In Lotta Per Il Futuro

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  • Pages: 35
In lotta per il futuro LA CATTURA. Temeva che sarebbe successo. Sin da quando, pochi mesi prima, erano iniziate le incursioni delle truppe speciali dei Jear, si era sentita in pericolo. Continuava a ripetersi: «Perché poi i Jear dovrebbero interessarsi proprio a me, Marina Muster, semplice impiegata californiana?». Tendeva a dimenticare quanto fosse importante suo padre, Alan, il governatore della California: in fin dei conti non era mai andata d'accordo con lui. Sapeva che la cronaca recente era piena di rapimenti ai danni delle persone care dei potenti del mondo, ma non si era mai considerata veramente in pericolo. Invece erano venuti, e l'avevano rapita, insieme a svariate altre persone. Tutto si era svolto come al solito: un raid notturno, fulmineo, rapidissimo. Erano in pochi, una decina, forse meno. Erano entrati violentemente nelle case private, neri e silenziosi come moderni ninja, ed avevano immobilizzato gli uomini e gli anziani, portando con sé, nei loro enormi elicotteri, i ragazzi, le donne e i bambini. Il perché nessuno lo sapeva. O forse si... Forse era una rappresaglia per i bombardamenti dell'ONU alla città di Atacam. Ma perché non avevano semplicemente dichiarato una guerra? Perché limitarsi a rapire parte della popolazione nemica, limitando al minimo le uccisioni? E poi... possibile che in pieno 2090 il governo centrale non fosse capace di difendere il suo popolo? Ma ormai era stanca di pensare, era stanca di piangere. Ormai era là, sola, in quella penombra, già da diversi giorni. Aveva versato tutte le lacrime che aveva, si era quasi abituata a stare... dove? Chissà. Sull'elicottero l'avevano narcotizzata, e si era svegliata qui, in questa stanza, pulita ma spoglia, desolata. Ora sperava solo che la solita carceriera tornasse a portarle da mangiare, per poter scambiare quattro chiacchiere. Era già venuta tre o quattro volte, a intervalli pressoché regolari. All'inizio Marina aveva reagito violentemente, ma i jear sono tutti fortissimi e la loro tecnica di autodifesa è molto raffinata... Dopo i primi tempi di afflizione e smarrimento, i morsi della fame iniziavano a farsi sentire, ed era stato facile accorgersi che sarebbe stato inutile cercare di competere sul piano fisico. E poi, ogni volta che la carceriera si presentava sembrava che volesse dialogare. Ora Marina avrebbe ascoltato. Marina era piuttosto intelligente: aveva capito che, se l'avessero voluta morta, non avrebbero sprecato l'impiego di enormi mezzi, truppe e varie ore di volo, per poi farla morire in una cella. E che strana cella! Non sembrava un carcere. Piuttosto... un piccolo monolocale, arredato in modo molto spartano, tinteggiato di fresco, pulito, con un sola piccola finestra, troppo in alto per potere vedere cosa c'era fuori. Il letto era bassissimo, a pochi centimetri da terra, ma era comodo e pulito, e costituiva tutto l'arredamento, insieme al paravento, fissato al pavimento, che copriva l'angolo adibito a bagno. I servizi igienici erano in buono stato: un lavandino, un WC con bidè modulare sovrapposto, una doccia. L'ambiente, nel suo complesso, appariva spoglio, ma caldo e relativamente accogliente. Ma... ecco un rumore alla porta. La luce si accese. La porta si aprì. Marina si raggomitolò in un angolo del letto. Vide entrare la solita ragazza, con un vassoio in mano. Era bellissima, coi capelli neri, la pelle liscia e vellutata, di razza bianca ma di carnagione abbronzata. Indossava un abito molto aderente, nero, e si muoveva con uno stile felino: il suo corpo sembrava celare sotto la pelle muscoli scattanti e potenti, anche se non ipertrofici. Era, evidentemente, una jear, o, più correttamente, una donna G.R. (geneticamente razionalizzata). In California i Jear venivano dipinti come esseri diabolici, il frutto di una mente malata da scienziato pazzo, una aberrazione del progresso negli studi genetici applicati alla specie umana. Ma era molto difficile vedere in quella ragazza un essere diabolico. Anche se, a volte, il diavolo assume un aspetto molto gradevole: questo era stato insegnato a Marina da piccola, a catechismo. Era sempre stata una cattolica convinta. Lo sguardo di Marina incrociò quello della jear: i suoi occhi erano bruni, sereni, quasi distaccati. L'espressione era ambigua: sembrava dimostrare un sincero interesse per lei, o forse compassione. Marina attese che la jear le rivolgesse la parola: "Buon giorno". Era già spuntato il sole? Allora nel vassoio c'era la colazione!

"Allora? Ti sei calmata?". Appoggiò il vassoio accanto al letto: non c'erano tavoli. Poi si sedette accanto a lei. "Mi chiamo Kelir, e sono la tua tutrice. Questo significa che il mio compito sarà quello di rispondere alle tue domande e insegnarti come comportarti per i prossimi mesi". Marina ricacciò in gola l'impulso di piangere. Così quella donna era una tutrice? Eppure sembrava una sua coetanea, dimostrava più o meno diciott'anni. "Perché mi avete rapito?" "Ci sono molti motivi". Kelir si rialzò dal letto, e porse il vassoio a Marina. "In primo luogo, per avere degli ostaggi che impediscano all'ONU di bombardarci come hanno fatto ad Atacam. In secondo luogo, per vedere cosa si può fare contro la propaganda che vi ha riempito i cervelli in questi ultimi anni contro di noi. Infine, per cercare di fare di voi degli esseri consapevoli di ciò che sta succedendo nel mondo. Molte guerre, stragi e delitti di massa sono stati possibili, in passato, grazie all'ignoranza della maggioranza silenziosa del popolo. Noi vorremmo che voi smetteste di far parte di quella maggioranza che, col proprio silenzio, autorizza i gesti criminali dei vostri uomini di potere". "Vuoi dire che mi lascerete tornare a casa?" "Questa è la nostra intenzione. Non intendiamo certo mantenerti gratis per tutta la vita!" "Quando tornerò a casa?" "Dipende da te. Durante il tuo soggiorno imparerai molte cose, affronterai valutazioni ed esami. Quando sarai ritenuta matura, allora sarai libera." Marina tirò su col naso. "Non capisco... mi farete andare a scuola?" "In un certo senso è una scuola a tempo pieno. Dovrai sviluppare tutte le tue doti umane. Discuterai di storia, filosofia, matematica, informatica, economia, educazione fisica, tecniche di autodifesa... e altro. Poi potrai andare dove vorrai." Marina non riuscì a trattenere i singhiozzi, ma dopo un po' riuscì a chiedere: "Andare dove? Dove sono, adesso?" "In questo momento ti trovi nella colonia sperimentale di Namib, in Africa sud occidentale." La colonia jear di Namib, nel deserto della Namibia! Uno degli inferni più caldi della Terra! In America, Marina aveva sentito spesso parlare del nuovo insediamento jear e ipotizzare quali misfatti disumani si nascondessero tra le mura di quella città. Si diceva che i Jear manipolassero geneticamente i bambini per farli nascere con due teste, quattro gambe o quattro braccia. Alcuni dicevano addirittura che ci fossero esseri umani selezionati per la loro carne, allevati a scopo alimentare! Marina impallidì, e ripeté con un filo di voce: "... Namib..." "Già: Namib! Sappiamo quali sciocchezze i vostri ministri della propaganda abbiano diffuso su di noi. Uno dei tuoi compiti, quando sarai libera di tornare a casa, sarà quello di smentire quelle menzogne." Ma... allora... tutto quello che Marina aveva sentito nei notiziari televisivi era solo una trovata propagandistica? A chi bisognava credere? Kelir non sembrava in malafede. "Quindi... devo solo... farmi esaminare?" "Non si tratta degli esami scolastici ai quali siete abituati voi. Dovrete affrontare prove, discussioni, confronti... Dimostrerete la vostra maturità" Dunque si trattava solo di raccontare agli esaminatori quello che loro volevano sentirsi dire! Ma era possibile che i Jear fossero tanto ingenui da credere di indottrinare i nemici costringendoli a studiare? Ad un tratto le tornarono in mente i tempi del college, i suoi genitori, i suoi amici di infanzia... tornò a piangere, ma non commise l'errore di abbandonarsi a scene di isterismo. Sapeva che sarebbe stato inutile. Era sempre stato inutile, in precedenza. Cercò di ragionare lucidamente, di considerare la situazione in cui si trovava, e di adattarvisi. Deglutì e affrontò il discorso come se non le interessasse più di tanto: "Mi sembra di aver capito che una delle materie da studiare è economia... le altre quali sono?" "Qui, ai piedi del letto, c'è un piccolo opuscolo. C'è il regolamento di questa residenza, e gli esami che darai, con la loro importanza". Kelir raccolse un piccolo libretto, leggermente impolverato, di carta patinata, con rilegatura a molla. Mentre Marina leggeva, Kelir le disse:

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"Ti lascio qui il vassoio. Tornerò tra circa due ore. Intanto leggi, e cerca di capire come funzionano le cose qui". Detto questo uscì, dopo aver salutato. Sembrava tutto così assurdo! Fino a ieri Marina credeva di essersi lasciata alle spalle la scuola, di essere entrata definitivamente nel mondo del lavoro. Non aveva potuto permettersi di andare all'università, poiché aveva litigato coi suoi ricchi genitori, e aveva dovuto accontentarsi del diploma... e ora volevano costringerla a studiare. Ma studiare cosa? Tra le prime pagine c'era il prospetto delle materie d'esame, con l'importanza relativa, i punteggi massimi e le ore di frequenza. Tutte le materie erano suddivise in quattro settori: logica, arte, storia-filosofia-liguistica, educazione all'uso del corpo. La commissione degli esami di maturità era composta da cinque persone: un esperto per ognuno dei quattro settori e la tutrice. Le varie materie non erano tutte ugualmente importanti: alcune davano diritto a un punteggio maggiore di altre. Le più importanti erano autodifesa, cura del corpo, logica simbolica, psicologia, storia, ma non erano trascurabili neppure i punteggi di diritto, economia, scienza dell'alimentazione, lingue, matematica, scienze naturali, sport di squadra. Di minore importanza erano arti figurative, chimica, filosofia, fisica, geografia, manualità, musica. Fu particolarmente interessante considerare le sottobranche in cui venivano divise le materie, e le loro rispettive importanze relative. Il punto focale dell'istruzione sembrava indirizzato alla guerra, o comunque alla difesa: la chimica, ad esempio, era suddivisa in chimica inorganica, chimica organica, applicazioni belliche: armi ed esplosivi, così come la storia era composta da storia dei conflitti, storia della scienza, storia delle civiltà, storia contemporanea. L'autodifesa, poi, accanto alle classiche difesa a mani nude, armi bianche, e armi da fuoco presentava l'importante voce tattica e strategia. La logica era suddivisa in deduzione, retorica e giochi logici. All'interno del libretto erano descritti i giochi logici: si trattava di tornei periodici di scacchi, go, othello, exagone, dama... I vincitori dei tornei si assicuravano un incremento di punteggio. La competizione nei tornei era molto incentivata: esistevano tornei di lotta, di abilità nell'uso delle armi da taglio e da fuoco, di risoluzione di problemi matematici, di sport di squadra... Tra gli sport di squadra, Marina notò che non figuravano i più noti: basket, football, baseball, parabol, volley... o meglio: una nota a piè di pagina informava che, su iniziativa dei concorrenti, sarebbe stato organizzato un torneo di qualsiasi sport che avesse avuto un sufficiente numero di praticanti. Ma gli sport organizzati d'ufficio, ai quali era obbligatorio partecipare, erano poco più che giochi da bambini: pallamuro, pallaforte e diecipassaggi. Le regole, fornite in allegato, erano però codificate in modo molto preciso, in modo da rendere questi giochi dei veri sport agonistici. Marina sentiva crescere un certo interesse dentro di sé: il dolore per aver dovuto abbandonare gli amici poteva essere attenuato da un risvegliato interesse per i giochi e l'apprendimento. Marina avrebbe sempre voluto seguire un corso di judo: ora l'avrebbero costretta a farlo. Quella notte, Marina non pianse. PRIMO IMPATTO COL TUTORATO. La mattina successiva, Kelir si presentò di buon ora, e svegliò la prigioniera dolcemente. Portava con sé della stoffa ripiegata, simile a una pila di asciugamani. Attese che Marina andasse in bagno e, su sua indicazione, si facesse una doccia, poi le porse il fagotto. "Questo sarà ciò che potrai indossare durante il tuo soggiorno". Lo dispiegò. Erano due vestiti semplicissimi, bianchi, simili a lunghi accappatoi. Poi le porse una fettuccia, di cotone molto più pesante e resistente, larga pochi centimetri e lunga un po' più di due metri. "Questa è la cintura. Servirà a tenerti fissata la veste". Veste! Piuttosto sembrava una vestaglia! "E le scarpe?" "Non servono scarpe, su Namib. I pavimenti vengono periodicamente disinfettati, e all'esterno non ci si va praticamente mai". Per forza! Con più di 40 gradi all'ombra...! "Ma... e... la biancheria?" "Te l'ho appoggiata sul letto, vedi? Il reggiseno viene usato solo nella pratica sportiva. Le mutande si possono usare solo durante le mestruazioni; è tuo dovere segnare l'andamento del ciclo mestruale in

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questa scheda. Ci sono regole precise sull'abbigliamento: i vestiti non devono servire solo per coprire il corpo. Tutto ciò che non serve per motivi igienici, per particolari cerimonie o per tenerti calda, deve essere eliminato." "Ma come... devo girare nuda?" "Sarebbe l'ideale. Ma a volte ci sono circostanze che lo sconsigliano. Purtroppo, nella vostra morale ipocritamente perbenista, voi siete abituati a nascondere il corpo, come se fosse vergognoso. Qui non è così. Il clima, di giorno, è molto caldo, e lo stabile in cui ci troviamo è climatizzato: non serve proteggersi dal freddo. Per la notte potrai usare quella coperta lì, sul letto, anche come veste". Marina aveva già notato la coperta di lana, sul letto. Kelir continuò: "La veste di cotone serve solo per i momenti di ritrovo formale, ad esempio durante le lezioni, o le cerimonie. In casa e nei momenti di libertà ti sarà più pratico girare nuda. Passerai le feste e le cerimonie con la stessa veste, eventualmente la puoi abbellire con dei ricami. Il colore dominante della veste deve però restare il bianco, hai capito? Solo i liberi cittadini possono indossare vestiti colorati, non gli apprendisti. Sono molto importanti le fascette, queste qui". Kelir mostrò un insieme di anelli di stoffa morbida ed elastica, di diversi colori e dimensioni. "Queste si chiamano fascette: ne esistono di varie misure e colori. Servono per comunicare agli estranei il tuo stato d'animo: ti torneranno molto utili per evitare equivoci, alle feste e nelle occasioni formali. Il loro colore ha un significato preciso: il verde è quello di chi cerca compagnia amichevole; il rosso è quello di chi cerca esperienze più intime; il nero è quello di chi vuole essere semplicemente lasciato in pace; il giallo, o un qualsiasi colore bordato di giallo, indica il matrimonio: lo portano le persone che hanno sottoscritto un contratto matrimoniale. Quando non sei nel tuo alloggio sei obbligata a portare la fascetta, del colore che riterrai opportuno: la potrai usare come bracciale, come elastico per capelli o come fascia intorno alla testa. Anche quando non indosserai la veste, porterai la fascetta. I colori della veste indicano invece il tuo stato sociale: il nero è riservato ai tutori, agli insegnanti e ai comandanti. Il bianco è il colore degli apprendisti, ed è l'unico colore che sei autorizzata ad indossare. Ma per lo più farai a meno dei vestiti." Marina rimase interdetta, poi esplose, rossa in viso: "Non andrò mai in giro nuda!" Kelir sospirò, con aria di rassegnazione. La guardò, come si guarda una bambina che fa i capricci e le disse: "Quando sei andata a fare la doccia, mi sono dimenticata di dirti che non eri autorizzata a rivestirti. Devi toglierti quei vestiti." "No!" "Ci risiamo?" Kelir afferrò il polso destro della prigioniera. Lei cercò di scalciare, graffiare e colpire a caso, si agitò disperatamente, ma dopo pochi secondi si trovò con la schiena a terra, immobilizzata da varie leve articolari. Kelir aveva bloccato Marina usando le gambe e il braccio sinistro: le restava libero il braccio destro, e iniziò a strappare i vestiti della prigioniera. Dopo pochi minuti, Marina piangeva sommessamente, raggomitolata in un angolo, rossa di vergogna, coprendosi pateticamente con le coperte del letto. Kelir non sembrava neppure affaticata. "Ci vediamo questo pomeriggio." I PRIMI INSEGNAMENTI DELLA TUTRICE. Il resto della mattinata passò tra le lacrime, la rabbia e la noia. Marina aveva perfino provato a strappare la cosiddetta veste, ma non c'era riuscita: era leggera ma resistente. Attese il ritorno della tutrice sotto le coperte del letto. A mezzogiorno, Kelir si presentò con un altro vassoio, quello del pranzo. Era, se possibile, ancora più bella del solito: indossava una veste di colore nero, abilmente drappeggiata e fissata con una cintura di stoffa, senza fibbia, in tutto simile a quella che aveva dato a Marina. Ma era nera, così come la fascetta che le legava i capelli. I piedi erano scalzi e la veste le lasciava scoperte le ginocchia. La stoffa sembrava scorrere fluida sulle curve del corpo, esaltandone le forme; non si limitava a coprirle. Nel complesso, Kelir richiamava alla mente una dea dell'antica Grecia. "Ecco il pranzo". Si accorse che la prigioniera stava fissando la sua veste. "Che te ne pare?", disse sorridendo, "Non è poi così male, no?"

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Piroettò su sé stessa, come un'indossatrice. Poi le si avvicinò lentamente e cercò di accarezzarle i capelli. Marina si scostò bruscamente e girò lo sguardo altrove, aggrondata. Manteneva il silenzio. "Non vuoi parlarmi? Ti capisco sai, non è facile rinunciare all'improvviso a seguire un'educazione che ti è stata imposta per anni. Ma, se vuoi, possiamo provare a ragionare". Si accomodò sul letto. Aveva assunto un tono confidenziale, come se parlasse ad una figlia. "Dimmi: perché mai i vestiti dovrebbero coprire il corpo, se non ce n'è bisogno? Forse perché il corpo è brutto? Ritieni di essere brutta? No, non sei affatto brutta, e lo sai bene! Allora? A chi giova che tu ti copra? Dimmi: se qualcuno per caso ti vedesse nuda, chi ne riceverebbe un danno? Chi dovrebbe chiedere scusa? Lui, per avere invaso la tua intimità? O tu, per avere offeso il suo senso del pudore? La verità è che non c'è alcuna colpa a girare nudi. Se tutti fossero abituati a vedere la nudità, non sarebbe scandaloso uscire di casa senza vestiti. Marina, il tuo corpo è meraviglioso! Il corpo umano è la più grande delle opere d'arte! Se tu avessi un quadro di Leonardo, o una statua di Michelangelo, li copriresti con della stoffa? Devi andare fiera del tuo corpo, curarlo, valorizzarlo! Il tuo corpo non è solo il guscio peccaminoso della tua anima: il tuo corpo sei tu! Per questo la rieducazione degli apprendisti inizia dalla rinuncia all'abbigliamento. Chi vuole che tu copra la bellezza del tuo corpo è solo uno stupido conformista, o, peggio, un ipocrita degenerato mentale che teme di non sopportare l'eccitazione sessuale. Pensaci: in epoca vittoriana la nudità era vietata: si fasciavano perfino le gambe dei pianoforti! Forse la gente era migliore? No. Era più ipocrita! Gli uomini si eccitavano vedendo le donne, bardate e appesantite dai loro vestiti, esattamente come cent'anni più tardi i loro discendenti si eccitavano vedendo le ragazze in bikini. A cosa servivano tutti quei metri di stoffa? Forse scoraggiavano la libidine degli sconosciuti? No. I reati sessuali erano diffusissimi, anche allora. Occorreva solo avere il coraggio di ammettere che, se una donna eccitava con la sua bellezza un uomo e questo poteva diventare violento, la responsabilità era dell'uomo. Invece si è preferito pensare che la colpa fosse della donna, e la si è ricoperta come un pacco regalo. Ma gli uomini violenti sono forse diminuiti? No, anzi! Sono diventati più eccitabili. Si è inventato il senso del pudore, perché non si voleva ammettere che una ragazza per bene potesse essere consapevole della bellezza del proprio corpo. Ma quei tempi sono passati. Anche gli uomini sono rinsaviti. Oggi un uomo non si sente poco virile solo perché non si lascia trascinare dalla passione quando una donna lo eccita, magari senza volerlo. E allora a che serve coprirti? A chi serve? Quante volte, la sera, ti sei guardata allo specchio e ti sei chiesta: cosa mi metterò stasera? Non sarebbe molto meglio se ti chiedessi: cosa farò stasera? Con chi andrò stasera? I vestiti sono spesso complicazioni inutili, status simbol, segnali indistinti e menzogneri. Qui, a Namib, sono i vestiti che devono essere al tuo servizio, non sei tu che devi essere schiava dei tuoi vestiti, non sei tu che devi limitare la tua libertà perché non hai i vestiti adatti o non hai un adeguato guardaroba. Non ti sembra assurdo che una donna, quando viaggia, debba portarsi dietro pesantissime e ingombranti valigie di abiti? Quando basterebbe un piccolo zaino? Pensaci, Marina. Tornerò tra un'ora, a ritirare il vassoio. Quando vorrai ti insegnerò a fare il nodo della cintura" Kelir si alzò e fece per andarsene, ma prima di uscire si voltò e, sorridendo, disse: "In ogni caso... guarda qua. Non è forse meglio dei tuoi jeans?". Poi uscì. Marina per i successivi due giorni non rivolse mai la parola a Kelir, e questa le ripeté continuamente gli stessi concetti, con parole diverse, e la invitava sempre ad intraprendere una qualche discussione. Era sempre decisa ma molto gentile, e Marina non poteva evitare di provare una certa simpatia per lei. Il terzo giorno, Marina si convinse che non aveva motivo per intestardirsi. Forse, l'unico motivo per cui aveva rifiutato il dialogo con Kelir era che aveva avuto paura di dover ammettere a sé stessa che aveva torto. In fondo, la veste non era poi così male. La mattina del terzo giorno, accolse la tutrice con lo sguardo basso, come per chiederle scusa. "Kelir... come si allaccia questo... coso?" La jear sorrise. "A Namib questo coso lo chiamiamo semplicemente cintura. Alzati."

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La prigioniera uscì dal letto, riluttante. Si alzò in piedi. Era dimagrita di qualche chilo, da quando era stata catturata, e la pelle le era diventata ancora più pallida di quanto non fosse stata prima. Non aveva una bella cera: teneva le spalle curve, come se volesse far sparire il seno, i capelli erano in disordine e gli occhi erano infossati. Kelir la osservò seria. "Marina... La veste non serve a renderti più bella. Non puoi lasciare che il tuo corpo vada in rovina. Prima di vestirti, devi imparare a rispettare il tuo corpo, ad averne cura. Non mangi abbastanza, Marina. Prendi. Inizia adesso. Voglio che il tuo corpo torni ad essere l'opera d'arte che dovrebbe essere." "E... devo mangiare... qui, adesso... nuda..." "Marina", sbuffò Kelir, "renditi conto che tu sei nata nuda, e questa è la tua condizione naturale. I vestiti non dovrebbero essere essenziali: la cura del tuo corpo viene molto prima. Quando sarai matura, e potrai tornare a casa, allora mi ringrazierai e ti chiederai perché sei sempre stata così dipendente da qualche metro di stoffa. Non vergognarti di stare nuda davanti a me. Ti senti imbarazzata, forse perché io non sono nuda? Ecco." Con poche, abili mosse, Kelir slacciò la cintura che aveva annodata intorno alla vita e lasciò scivolare la veste ai propri piedi. Metteva in mostra un corpo perfetto, un colorito uniforme che non aveva il pallore tipico delle zone abitualmente coperte dalla biancheria intima. Ma ciò che colpì maggiormente Marina fu il suo portamento: si muoveva, nuda, con una naturalezza maestosa, col petto in fuori e il collo eretto. Nelle sue movenze ricordava a volte un gatto, altre volte un cigno. Marina si sentì più inadeguata che mai, con le sue gambette esili, il suo seno piccolo, le sue anche sporgenti, e ricominciò a piangere. Kelir sembrava sinceramente commossa; le si avvicinò mormorandole parole di conforto e la strinse a sé. Marina non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma, dopo tutta quella solitudine, trovava un enorme conforto in quel contatto umano: la salda stretta delle braccia di Kelir, il vigore dei muscoli della sua schiena, la morbidezza della sua pelle, la dolcezza del suo odore, la sofficità del suo seno... ad un tratto Marina si rese conto di essere eccitata sessualmente, e riprese a piangere più disperatamente di prima. Possibile che fosse diventata omosessuale? Prima non aveva mai dato troppa confidenza ai vari corteggiatori, perché pensava che fosse buona educazione fare così, ma ora... si sentiva attratta da una donna! La vergogna era troppa per poterla sopportare. Avrebbe voluto morire. Kelir se ne accorse, e mormorò: "Non ti preoccupare di ciò che provi. Tutte le apprendiste passano questo momento: non ti devi sentire anormale. Il piacere che provoca il contatto della pelle non è peccaminoso, non è vergognoso, non è disdicevole. Tutto ciò che dona un sano piacere è buono, Marina. Non farti influenzare dai pregiudizi della tua passata educazione. Tu non sei un robot. Puoi provare piacere, e una delle maggiori fonti di piacere è il contatto fisico. Non ti vergognare se ti piace toccarmi. Non ti vergognare se ti piace che io ti tocchi. Non ti vergognare se a darti piacere è una femmina: siamo esseri umani entrambe. Lasciati accarezzare". Con dolcezza Kelir iniziò ad accarezzarle i capelli, poi passò ad accarezzare il viso, il collo, le spalle, la schiena. Ogni tanto le sue mani, leggere come nuvole, tornavano indietro, come per prendere la rincorsa e prepararsi a carezze più audaci. I movimenti si facevano sempre più ampi, pennellanti. Marina quasi non si accorse quando Kelir passò ad accarezzale lo stomaco, poi le mammelle, poi il ventre. Quasi non si accorse quando Kelir, delicatamente, le fece raggiungere la vetta del piacere. Marina rimase piacevolmente abbandonata tra le braccia della tutrice per alcuni minuti. Poi le rivolse la parola, sottovoce: "C'è un motivo, per cui vorrei potermi mettere la veste. Tra pochi giorni inizierà il flusso." "Non hai bisogno della veste, per quello. Ti porterò degli assorbenti, e potrai indossare le mutande. A proposito: fa parte della cura del corpo anche l'osservazione di ciò che esce dai genitali. La scheda che ti ho portato serve a questo: giorno dopo giorno devi tenere registrate le caratteristiche del muco o del mestruo. Ti tornerà utile: potrai distinguere facilmente i giorni di fertilità da quelli in cui non sarai fertile." "E' il metodo Billings?" "Si. Lo conosci già? Bene. Se vorrai, potrai avere dei normali contraccettivi, ma è sempre meglio usare i sistemi naturali. Quando ti mancherà... un uomo... cioè, quando desidererai un rapporto sessuale completo, ti accompagnerò nel settore maschile e potrai portare la fascetta rossa. I volontari

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non mancano mai, e potrai scegliere liberamente. Comunque, non vergognarti di chiedere francamente ciò che desideri a un uomo, specialmente se ha la fascetta rossa. Solo, ricorda che è buona educazione lasciare in pace chi ha la fascetta nera." "Mi stai dicendo che dovrei andare a caccia di uomini come se andassi al mercato? Non è molto romantico." "Ci sarà tempo per essere romantici dopo essersi presentati. Il primo approccio deve essere sempre sincero. Patti chiari, amicizia lunga." "No, grazie. Credo che andare al mercato del bestiame per fare l'amore non faccia per me. Sono ancora una donna all'antica." "E non te ne dovresti vantare. Ricorda: supera i tuoi pregiudizi!" Ci sarebbero voluti ancora alcuni giorni per superare l'imbarazzo della nudità e lo shock del senso di colpa legato al piacere sessuale. Ma Kelir avrebbe continuato ad incoraggiare la prigioniera a discutere, a parlare, a confidarsi, intaccando sempre più le basi dell'educazione precedente di Marina, ponendole domande cui lei non aveva mai pensato, incoraggiandola ad esprimere ciò che sentiva, senza i filtri artificiosi della buona educazione. Con una grande pazienza, ripetendo varie volte gli stessi concetti, ripresentando i problemi sotto forme diverse, Kelir sarebbe riuscita a fare in modo che Marina riacquistasse la propria autostima. Dopo alcuni giorni il sesso sarebbe diventato un gioco spensierato, un'innocente fonte di piacere. Marina si sarebbe scoperta a scherzare in modo civettuolo, come se volesse sedurre la sua tutrice; avrebbe ripreso l'appetito diventando più bella che mai, e la jear glielo avrebbe ricordato spesso, chiamandola confidenzialmente Bella. Avrebbero trovato mille argomenti di discussione diversi, mille campi di confronto di idee. Di lì a poco, a Marina si sarebbe sentita a proprio agio nuda, sentendo la pelle respirare gioiosamente. Il vestito sarebbe diventato semplicemente un accessorio, non essenziale. TORNARE A SCUOLA. Il giorno dopo, di buon mattino, Kelir svegliò l'allieva e, dopo averle fatto fare una doccia, le parlò: "Penso che tu sappia che io sono la presidentessa della tua commissione esaminatrice. Il mio è un ruolo delicato, perché devo conoscerti da vicino, ed esprimere un parere sulla tua personalità. Per questo è importante che noi due siamo amiche: è interesse di entrambe che l'esame che affronterai alla fine dell'apprendistato sia quanto più corretto possibile." "Interesse di entrambe? Cosa ci posso guadagnare io? Sono solo una prigioniera! E che ve ne viene in tasca, a voi?" "A queste domande non è facile rispondere. Il nostro interesse nel tuo apprendistato... lo capirai meglio tra qualche anno. Per quanto riguarda te, invece, vedila così: tu hai diritto, comunque, a ritornare libera tra qualche anno. Puoi aspettare qui, rinchiusa come una tigre in gabbia. Oppure puoi approfittare di questo soggiorno forzato per imparare qualcosa e per divertirti un po'. A te la scelta." Un silenzio sospettoso pervase la cella per qualche istante. "Quindi tornerò a casa in ogni caso?" "Te l'ho già detto. Ciò che non si sa è il quando e il come. Puoi tornarci mediante uno scambio di prigionieri, dopo aver buttato via qualche anno della tua vita, ma puoi anche decidere di uscire di qua di tua spontanea volontà e di prendere un aereo di linea, se supererai l'esame finale." "Come potete essere sicuri del mio comportamento dopo l'esame? Mi farete il lavaggio del cervello?" "No, non ce ne sarà bisogno. Tu dovrai solo studiare, imparare e divertirti. Quando ti riterremo pronta per l'esame, non sarai costretta a mentire. Noi desideriamo solo accrescere la tua informazione: le tue opinioni le puoi tenere per te." "Ma, dopo essere uscita, potrei fare propaganda contro di voi." "Si, potresti farlo. Ma siamo abbastanza fiduciosi che ciò che imparerai qui ti piacerà. Se ci farai cattiva pubblicità, vorrà dire che avremo fallito. Ora devo prendere una decisione importante: posso lasciarti le chiavi di questa stanza?" A Marina mancò il fiato dallo stupore. "Vuoi dire che mi lasceresti libera?" "No. Voglio dire che ti lascerei l'usufrutto di questa unità abitativa. Questa non è una prigione. Se mi darai la tua parola che non tenterai di fuggire e che ti comporterai correttamente, ti darò le chiavi."

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"Correresti questo rischio?" Kelir rise: "Quale rischio? Che tu fugga? Marina, siamo a Namib! Non è possibile fuggire. Siamo in mezzo ad uno dei deserti più aridi della Terra, in una cittadella fortificata in piena guerra. No, Bella. Se c'è un rischio, è solo per te. Se tenterai di trasgredire alle regole, allora io non avrò più giurisdizione su di te: passerai sotto il controllo dei militari, e allora conoscerai cosa significa stare in una vera prigione namibiana. Non hai nulla da guadagnare in un tentativo di fuga. Ma danneggeresti il mio curriculum: un buon tutore deve prevenire piuttosto che sopprimere. Di solito i tutori aspettano qualche giorno in più, prima di affidare le chiavi ad un allievo. Ma credo di potermi fidare di te. Allora?" Marina attese qualche secondo prima di rispondere: "D'accordo. Hai la mia parola che non tenterò di fuggire." "Non basta. Devi promettermi di tenere un comportamento rispettoso delle regole che ti darò." "Va bene. Farò quello che mi dirai. Cos'ho da perdere?" "Vedo che cominci a capire. Bene, ora vestiti come ti ho insegnato." Kelir aiutò l'apprendista a drappeggiarsi addosso la veste e ad allacciarsi la cintura. "Perché mi devo vestire? Dove andiamo stamattina?" "Hai passato il tuo primo esame, Bella. Ti ho ufficialmente riconosciuta libera apprendista." "Perché? Finora cosa sono stata?" "Tecnicamente eri definita un'aspirante apprendista. Significa che in tutto ciò che facevi dovevi essere guidata e sorvegliata da una tutrice. Da oggi invece sarai più indipendente, frequenterai i corsi scolastici e avrai a disposizione la tua chiave personale, che funziona anche come tessera di credito." La tutrice mostrò a Marina una barretta poco più grande di una comune chiave domestica, di colore argentato con riflessi iridati. "Come vedi c'è scritto il tuo nome: è tua. Con questa potrai anche fare acquisti: si usa al posto del denaro. Basta inserirla nell'obliteratore e battere il prezzo dell'acquisto: il computer provvederà a registrare il trasferimento di denaro dal tuo conto corrente a quello del negoziante. La cifra di cui disponi viene sempre memorizzata sulla tessera. Se la perderai, basterà una telefonata per renderla inutilizzabile. In questo modo, qui a Namib abbiamo reso inutili le rapine. Ah, dimenticavo... Tienila sempre con te, nella tasca interna della fascetta: ti servirà anche come chiave generale, per aprire tutte le porte per cui hai l'accesso autorizzato." "Come farò a guadagnare il denaro?" "Per i primi periodi, durante lo studio, avrai una cifra settimanale. Poi potrai svolgere alcuni lavoretti. C'è sempre qualcosa da fare: la disoccupazione non esiste. Potresti fare qualsiasi cosa per cui sarai ritenuta idonea: l'arbitro sportivo, la cassiera bancaria, la minatrice... qualcosa ti troveremo." "Posso chiederti una cosa?" "Sono qui per questo." "Mi sono spesso chiesta una cosa: su cosa si basa l'economia di questo posto? Come potete disporre di tante ricchezze, isolati come siete da noi umani? Non potete certo avere dei commerci molto fiorenti." Kelir, sospirò. "Marina... prima di tutto devi convincerti di una cosa: anche noi siamo umani! Abbiamo razionalizzato il nostro codice genetico, abbiamo due coppie di cromosomi in meno di voi, abbiamo eliminato le malattie ereditarie e migliorato le caratteristiche strutturali del nostro fisico... ma siamo umani, possiamo capire, sentire, gioire e soffrire, esattamente come voi." "Scusami, non volevo offenderti. Ma... come li chiami, allora, quelli della mia razza?" "Con una sigla: E. N. (Evoluti Naturalmente). Oppure con un nomignolo: Ennie. Noi invece, come sai, siamo G. R. (Geneticamente Razionalizzati), detti Jear." "D'accordo. Allora, come può reggere la vostra economia senza rapporti con gli Ennie?" "I commerci sono sempre stati molto importanti: il porto commerciale di Namib è un'importantissimo scalo aereo e navale. Ma l'economia è sorretta dall'ingegneria genetica. Grazie alle manipolazioni genetiche, le nostre colture idroponiche riescono ad ottenere molti raccolti all'anno, e gli animali crescono e si riproducono più in fretta. La carne è merce preziosa, specialmente in tempo di guerra, ma in generale il cibo non manca. Col mercato clandestino riusciamo a procurarci qualche importazione da alcuni Stati dell'ONU, ma per lo più abbiamo contatti commerciali con Atacam." "E le armi? Come potete tenere testa alla potenza dell'ONU?"

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"Ci sono segreti che in tempo di guerra non sono accessibili, Bella. Non sono autorizzata a conoscere le fonti di approvvigionamento bellico. So quello che tutti sanno: non abbiamo un vero e proprio esercito, e i nostri blitz sono indirizzati ad obiettivi strategici: armerie e depositi di mezzi dell'esercito nemico. Spesso usiamo gli stessi fucili che usano gli eserciti ONU." "Ma come avete fatto a ingannare l'osservazione dei satelliti spia?" "Non lo posso sapere. So solo che il nostro spionaggio e i nostri sabotatori fanno bene il loro dovere." "Capisco. Quando inizierò a lavorare?" "Non c'è fretta: prima devi andare a scuola. Credo che tu abbia già letto l'opuscolo delle istruzioni. Scegli quali corsi frequentare. Le lezioni si tengono a casa dell'istruttore, ma in certi casi potrai usare un collegamento videotelefonico, se potrai pagarlo. Puoi cominciare anche oggi." "Oggi? Di domenica?" MISURE DI TEMPO "Qui non siamo in California, Bella. I vostri giorni della settimana sono scomodi e superati: il tempo si calcola diversamente. Ti farò io la prima lezione." Kelir si sedette più comodamente e iniziò a spiegare: "Ti sei mai chiesta perchè il vostro calendario è tanto difficile da imparare? Avete mesi di 31, 30 e 28 giorni, distribuiti in modo disordinato, e i cambi di stagione, cioè gli equinozi e i solstizi, avvengono in date curiose: 21 marzo, 22 settembre, 21 giugno... perché tante complicazioni? Il nostro sistema è molto più logico. Ogni anno ha semplicemente 365 giorni. I mesi non hanno motivo di esistere. Anticamente forse segnavano i ritmi dell'agricoltura, ma oggi raggruppare i giorni in mesi è un'operazione inutile: all'interno dell'anno basta distinguere i giorni. I giorni sono raggrupati in decadi. Ogni decade ha 10 giorni, che prendono il nome dalla cifra dell'unità della data: per esempio il 74° giorno è il quarto giorno della settima decade. Oggi è l'ottavo giorno della settima decade dell'anno 2090. La data si può scrivere così: 78/2090" Marina riflettè qualche istante. Poi intervenne: "Se proprio volevate semplificare il calendario, bastava semplicemente numerare i giorni. Che bisogno c'era di distinguere le stagioni e gli anni?" "Si, in effetti la data può anche essere contrassegnata da un solo numero intero. In quel caso, il giorno 1 corrisponde al 25 dicembre dell'anno 0 dell'era cristiana, quello in cui secondo la tradizione è nato Cristo. Tutti gli altri giorni sono numerati progressivamente. Oggi..." Kelir spinse un pulsante del suo orologio da polso "... è il giorno 763526 dopo Cristo. Comunque, questo sistema di datazione si usa solo nelle tecniche bancarie, o nelle poche applicazioni in cui l'utilizzo del tempo non subisce variazioni a seconda delle stagioni. Nelle applicazioni usuali torna sempre utile sapere a colpo d'occhio se un determinato giorno è estivo o invernale: nella pratica quotidiana la data viene sempre contrassegnata da giorno e anno." Marina sembrava perplessa, poi annuì: "Sì, è vero. Se devo andare al mare e voglio prenotare un albergo, mi torna utile usare una datazione che mi faccia capire a colpo d'occhio che le giornate che ho scelto sono estive. Capisco.” Marina cominciava ad incuriosirsi. “E, dimmi, per gli orologi come vi regolate? Avete anche voi 12 ore?" "No. Hai già capito lo spirito delle nostre innovazioni. La vostra suddivisione del giorno in 24 ore (di cui solo 12 sono rappresentate sul quadrante dell'orologio) è artificiosa. Per non parlare dei 60 minuti e dei 3600 secondi in cui suddividete un'ora. Il nostro sistema è più semplice: l'unità di misura del tempo è il krono, che equivale a 1 / 100.000 di giorno, cioè a 0,864 secondi. Per periodi di tempo più lunghi usiamo il kilokrono, detto klok, pari a 1000 kroni e quindi a circa 14 minuti e mezzo. Altrimenti si può usare il miriakrono, detto miria, pari a 10.000 kroni, cioè 1/10 di giorno, ovvero a 2 ore e 24 minuti. Tanto per darti un'idea: un turno di lavoro ti impegnerà per 3 miria al giorno, pari a 7 ore e 12 minuti." "Mi stai confondendo... non era più semplice tenere tutto come prima?" "No, non era più semplice. Ma c'eri più abituata, quindi posso capire le tue perplessità. Ti dimostrerò che il nostro sistema è migliore del vostro. Rispondi a bruciapelo: quante ore ci sono in 7 giorni e mezzo?"

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Marina era sempre stata abile in matematica, ma le occorsero parecchi secondi per rispondere. O forse è meglio dire... parecchi kronos. "Dunque... se non sbaglio... 168 ore... cui devo aggiungere 12... quindi 180 ore." "Brava, ci sai fare coi numeri. Ora ti rendi conto di quanto sia più facile per me rispondere alla stessa domanda: ci sono 750 klok, o se preferisci, 75 miria. Il calcolo, nel nostro sistema, è immediato. Dunque dimmi: chi di noi due usa il sistema di misura più semplice?" Bisognava ammetterlo: il vecchio sistema sessagesimale non è mai stato molto pratico. Marina guardò triste il proprio orologio da polso: ora lo osservava con occhi diversi. Kelir la notò. "Ah, già, il tuo vecchio orologio. Qui non ti serve più. Vieni con me, ti presterò la somma per comprare un orologio adeguato." Marina mise da parte il vecchio orologio a 12 ore, e tutta eccitata, seguì la tutrice fuori dalla cella... cioè, fuori dalla sua unità abitativa. Camminando, chiacchieravano. "Quindi, Kelir, se ho ben capito, voi non avete le domeniche. Dev'essere triste." "No, anche noi abbiamo l'equivalente delle vostre domeniche. Il decimo giorno di ogni decade, quello che finisce per 0 nella data, è festivo. Il quinto invece è semifestivo: è lavorativo solo al mattino." "Io sono cattolica. Quando potrò andare a Messa?" "A Namib c'è libertà di religione: diversi preti sono già entrati in città e vi tengono le loro cerimonie religiose. Potrai andare a messa tutte le domeniche, se ciò non intralcerà la tua attività lavorativa. Di solito, a quanto ne so, le funzioni religiose si tengono al mattino presto, prima del normale orario di lavoro." Marina stette per un po' in silenzio a riflettere. Quel sistema di calcolo era così macchinoso... o forse no? Forse si era tanto abituata alle complicazioni, dettate dalla tradizione, che non riusciva più a distinguere un sistema realmente semplice e logico. Mentre chiacchieravano passeggiando, attraversavano corridoi piastrellati che si snodavano sotto terra. Namib era per lo più una città sotterranea: in superficie si vedevano solo gli impianti di desalinizzazione dell'acqua marina, le colture e alcuni impianti, forse di aerazione. Le luci erano per lo più artificiali, negli alloggi. I corridoi percorsi dalle due donne erano molto puliti e nei pressi di ogni incrocio era disegnata una piantina che ricordava in che punto e a che livello ci si trovasse. Dopo pochi minuti di cammino arrivarono al quartiere azzurro, riconoscibile dal colore dei numeri civici. Qui, in un centro commerciale, Marina fece il suo primo acquisto: un orologio economico con display digitale. Come le sembrava alieno quel quadrante! Con quell'unico numero di cinque cifre che aumentava ad una strana velocità, come se avesse fretta: un krono durava un po' meno di un secondo. LA SCUOLA Più tardi, nella tranquillità della sua stanza, Marina studiò l'opuscolo del regolamento, insieme al notiziario scolastico fornitole da Kelir. Per decidere quali corsi frequentare, fece alcune considerazioni: i Jear prendevano i giochi agonistici molto sul serio, e dei buoni risultati ai tornei assicuravano un buon incremento del credito sul proprio conto corrente. Avrebbe iniziato con i corsi legati a qualche forma di agonismo: sport di squadra, autodifesa, giochi logici, matematica. Esistevano perfino delle olimpiadi matematiche! Poi vide che alcune materie avevano dei coefficienti di importanza molto alti: decise di frequentare anche storia e diritto. L'istruzione procedeva per livelli: il livello che Marina frequentava era il primo, il più elementare, anche se destinato a studenti adulti. Quando si otteneva un punteggio globale sufficiente, si poteva accedere al secondo livello, che comprendeva meno ore ma più specializzazione. Corrispondeva più o meno alle scuole superiori. L'ultimo livello era il terzo, corrispondente all'istruzione universitaria: poche ore, ma specializzazione molto spinta: si arrivava ai vertici della ricerca scientifica. Un normale studente poteva conseguire l'equivalente di una laurea all'età di 17-19 anni.

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Marina socializzò abbastanza in fretta con le sue compagne di corso. Apprese che non tutte avevano passato lo stesso periodo come aspirante apprendista: molte prigioniere non si rassegnavano facilmente alla cattura, e dovevano essere sorvegliate per mesi. Alcune dovevano venir ricoverate in ospedali psichiatrici. Altre invece diventavano libere apprendiste quasi subito: era la tutrice che decideva se l'apprendista era pronta per iniziare la propria vita di comunità. LE PUNIZIONI CORPORALI Una cosa impressionò particolarmente Marina: il frequente ricorso alle punizioni corporali. Una volta una sua compagna, di nome Stella, stava facendo lezione di autodifesa insieme a lei. Stavano lottando corpo a corpo, in una lezione di judo, quando Stella fu proiettata a terra dalla sua avversaria. Rimase a terra qualche secondo poi ebbe una reazione isterica: "Basta! Siamo tutte impazzite? Prima ci rapiscono poi ci costringono a lottare tra di noi! Io sono stufa! Lasciatemi in pace!" L'istruttore Koike, un robusto lottatore cintura nera di judo, tranquillamente cercò di calmarla: "Non ti devi preoccupare. Con un po' di applicazione..." "Ma sta zitto! Quale applicazione!? Cosa me ne frega di tutte queste stronzate?" "Potrebbe tornarti utile..." "Utile a cosa? Cosa mi può succedere, in una prigione?" "Il controllo del proprio corpo e dei propri movimenti..." "Ma quale controllo! Voglio tornarmene a casa mia!" "Stai turbando la lezione. Cerca di calmarti...." "Non me ne frega niente della tua lezione! Voglio andarmene adesso! Tu non puoi ordinarmi niente! Non hai nessun diritto! Lasciami! Lasciami!" Koike l'aveva afferrata saldamente. Lei iniziò ad urlare. Tranquillamente, l'istruttore si sedette su una panchina, sdraiò sulle proprie ginocchia la donna a pancia in giù, le scoprì il sedere e... la sculacciò. A Marina la punizione parve puerile, ma cambiò presto idea, vedendo le poche potenti manate del maestro, le urla e le lacrime della sfortunata allieva e il suo sedere arrossato. Comunque, per molto tempo le lezioni di autodifesa furono le più disciplinate. La giustificazione delle punizioni corporali venne data più tardi dall'insegnante di diritto, Rembaut, un uomo sempre in movimento, che passeggiava per l'aula durante le spiegazioni: "In passato, la somministrazione del dolore ad un altro individuo era una cosa normale. Si è spesso esagerato: le torture medievali sono una vergogna per l'umanità, e nel 20° secolo si è fatto anche di peggio. Per reazione a questi sadici crimini disumani, i successivi metodi dell'educazione e della correzione hanno completamente eliminato la somministrazione del dolore. Ma ciò è altrettanto esagerato. Tutte voi sapete cos'è il dolore: è un sistema d'allarme, che ci avverte quando qualcosa non va. E' una sensazione spiacevole, che induce l'individuo ad evitare in futuro la causa di essa. I masochisti sono persone che non provano alcune forme di dolore, perché il loro cervello le interpreta come piacevoli, ma sono malati mentali: normalmente il dolore è un segnale comprensibile a chiunque, ed è la più elementare e naturale delle forze di apprendimento. Ciò si spiega col fatto che il cervello umano è strutturato in modo tale che la memoria rimane molto impressa da avvenimenti associati a sensazioni emotive come la paura, la vergogna, il dolore spirituale e, soprattutto, quello fisico. Per questo, se applicato con moderazione, il dolore può essere un ottimo strumento educativo. Ripeto: se applicato con moderazione! Infatti, perché un dolore sia educativo, ci sono alcune condizioni da rispettare: Primo: l'alunno deve comprendere bene il perché lo si punisce. Altrimenti rivolgerà la repulsione generata dal dolore verso l'educatore, e l'odierà. Secondo: l'alunno deve capire che esiste un modo per evitare la punizione in futuro. Altrimenti concepirà la punizione come inevitabile, e non modificherà il proprio comportamento. Terzo: quando un errore viene commesso dall'alunno troppo spesso, sarà meglio cambiare sistema di insegnamento, invece di ripetere troppo spesso la punizione. Infatti un dolore troppo ripetitivo crea l'abitudine, non è più istruttivo. Quarto: il dolore deve essere facilmente sopportabile: un dolore troppo grande può creare dei blocchi psicologici e dei rifiuti totali della realtà, a parte i danni fisici che comporta.

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Un buon educatore, quindi, non rifiuta a priori l'applicazione del dolore ai propri allievi, ma la sa dosare con parsimonia, in modo adeguato alla personalità di ognuno; in ogni caso, non concepisce assolutamente il dolore come una forma di vendetta personale." Una allieva chiese: "Non crede che non ci sarebbe bisogno di punizioni corporali, se il carisma dell'educatore fosse tale da incutere il giusto rispetto?" Il professore sorrise, si accomodò sedendo sulla scrivania e rispose: "Già. Ogni educatore sogna di avere allievi che siano sensibili al suo carisma. Ma spesso rimane deluso. Vedete, il motivo per cui nella vostra cultura si preferisce eliminare la punizioni corporali dai metodi educativi, è fondamentalmente scorretto: si è pensato che tutti gli esseri umani fossero fondamentalmente buoni, e che ogni comportamento deviante fosse solo il frutto di un ambiente degradante. Si pensava che con la dolcezza, con la pazienza e con la non violenza si potesse fare in modo che il criminale, soprattutto se giovane, tornasse a vedere affiorare il suo lato migliore. In questo modo la delinquenza minorile, praticamente impunita, è dilagata in tutte le grandi città. Quando un ragazzino veniva catturato, la punizione era puramente simbolica: una ramanzina e una chiamata ai genitori. Poi, quando il ragazzo diventava maggiorenne, quella stessa società, che prima praticamente non lo puniva e quindi lo incoraggiava a delinquere, improvvisamente si accaniva contro di lui: carcere duro, punizioni aggravate dalle recidive e dalla fedina penale sporca... Ma questo modo di procedere è sbagliato! Il fatto è che quel ragazzo non ha mai potuto capire dove sbagliava! Per diciott'anni ha sempre pensato che l'unico errore fosse quello farsi beccare. E ora, smarrito, si chiede che cosa sia cambiato: si chiede perché fino a pochi mesi prima poteva fare tutto ciò che voleva, mentre ora lo si punisce in modo esagerato. Se quel ragazzo, da bambino, avesse ricevuto poche sberle ben date, avrebbe potuto capire che le regole civili di convivenza sono cose serie, e non favolette per gli ingenui, fatte apposta perché i più furbi potessero prosperare con la trasgressione. Vi faccio ora un esempio che vi aiuterà a capire. Chi di voi ha mai allevato cani? Nessuno? Beh, se ci fosse tra voi un'allevatrice, saprebbe che i cuccioli non sono né buoni né cattivi. Quando fanno i propri bisogni sul tappeto, non lo fanno per cattiveria: occorre far loro capire che è sbagliato. Quindi li si afferra quanto prima possibile, in modo che ricordino ancore bene ciò che hanno fatto. Poi gli si fa bagnare il muso nei loro escrementi. Poi li si percuote, perché associno all'evento la repulsione dovuta al dolore. Poi si raccoglie l'escremento e si mostra loro dove va riposto: nella cassetta igienica. In futuro, eventualmente, se si comportano correttamente, si può dar loro qualche piccolo premio, per rinforzare la buona abitudine. Sarebbe assurdo che un allevatore urlasse in faccia al cagnolino: «Cattivo! Non si fa!». Il cane non capirebbe cosa si vuole da lui. Poi, quando il cane sia cresciuto senza un'educazione, quell'allevatore direbbe: «Mi dispiace, ma tu sei cattivo nel cuore! Io ti ho trattato con dolcezza, ti ho sopportato con pazienza, ma non è servito. Ma ora basta: ormai sei grande. Ti farò rinchiudere in un canile». Vi sembra un comportamento giusto? Nessun allevatore di cani si comporterebbe mai così. Invece, gli educatori dei vostri bambini trovano questa assurdità del tutto naturale. Vi sembra possibile che la specie umana debba trattare meglio i cani che i propri piccoli?". Particolarmente impressionante fu anche una lezione relativa al codice penale. "Nella vostra cultura d'origine, i procedimenti legali sono lenti e complessi, e molte leggi tutelano i criminali meglio degli onesti cittadini. Il nostro ordinamento giuridico, invece, è molto più rapido ed efficace. I pricìpi da applicare sono pochi e semplici, mentre le leggi sono tutte basate su quei princìpi. Gli articoli delle leggi sono numerati in ordine di importanza: ogni articolo ha valore finché non interferisce con quelli che lo precedono. Vi leggo ora un brano del codice penale: 1. Qualsiasi individuo accusato di aver leso i diritti di una persona, di una comunità o di una istituzione, ha diritto a un regolare processo. 2. Un processo consiste: a) Nell'acquisizione delle prove. b) Nel giudizio di colpevolezza e di correggibilità da parte di una giuria di 9 elementi.

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c) Nella decisione della pena da parte del giudice. 3. Solo per colpe lievi (la cui definizione è rimandata all'apposita tabella), un superiore, che sia legalmente autorizzato e che ritenga l'imputato correggibile, può assumere le funzioni di giudice e giuria, ed eventualmente può somministrare la pena. Gli imputati ritenuti incorreggibili hanno comunque diritto a un processo in tribunale, con giudice e giuria. 4. Di norma il processo deve essere tenuto entro 24 ore dalla cattura dell'imputato. Solo il giudice ha l'autorità di decidere di rimandarlo, allo scopo di poter acquisire nuove prove. 5. Nell'attesa del processo, l'imputato viene ritenuto innocente fino a prova contraria. Rimarrà quindi in libertà vigilata, a meno che: a) L'imputato sia pericoloso per la comunità. b) Ci sia pericolo di inquinamento delle prove. c) Si tema una fuga dell'imputato, quando la pena prevista sia superiore all'esilio. 6. Gli imputati ritenuti correggibili verranno puniti con multe e/o somministrazione controllata di dolore. Gli imputati giudicati incorreggibili saranno condannati ai lavori forzati o, in casi estremi, alla morte. La pena di morte non deve essere considerata una vendetta, ma come l'eliminazione di un pericolo per la società. In ogni caso, agli imputati incorreggibili non deve essere somministrato dolore, in quanto sarebbe inutile ai fini del loro recupero. 7. Eventuali ricorsi contro un giudizio, ritenuto non giusto, seguiranno la stessa procedura dei processi; il ricorrente fungerà da accusatore e avrà diritto a un giudice e una giuria diversi. Se il ricorrente vincerà il ricorso, le punizioni subite ingiustamente verranno risarcite in denaro, mentre eventuali responsabili dell'errore giudiziario verranno puniti. Se il ricorrente perderà il ricorso, verrà punito con un'aggravante. 8. Non è permesso più di un ricorso, a meno che non compaiano nuove prove che lo giustifichino. In attesa del processo di ricorso, il verdetto precedente rimane valido, ma eventuali pene vengono sospese. Ora vi leggo un brano dalle norme per la somministrazione del dolore a scopo educativo e penale. 1. Il dolore non deve essere usato per estorcere confessioni, ma solo per punire le azioni scorrette di un imputato che abbia sostenuto un regolare processo (vedi la definizione di processo). 2. Il dolore non deve lasciare lesioni funzionali permanenti o che richiedano più di 24 ore per guarire. 3. Prima dell'applicazione del dolore, una visita medica stabilisce se la pena deve essere ridotta a causa delle condizioni fisiche dell'imputato. 4. Il dolore provocato da una punizione deve essere proporzionale al danno causato dall'imputato. Come vedete, l'applicazione del dolore ai metodi correttivi non è semplicemente una questione di barbarie." Marina si sentiva sconcertata. Quelle regole erano diverse da quelle del mondo cui era abituata. Ma sapeva che si sarebbe adattata facilmente: non erano regole assurde, perché avevano un fondo di buon senso. I TABÙ DEL SESSO Qualche mese dopo l'arrivo di Marina a Namib, lei e Kelir erano praticamente amanti, anche se non si erano scambiate alcun impegno. Il sesso veniva ormai vissuto in modo molto spigliato, e, grazie ai corsi di educazione sessuale, non aveva misteri. Un giorno, alla mensa del quartiere arancione, Marina vide molte centinaia di giovani donne e di ragazze, vestite di bianco come lei. Alcune erano nude, ma portavano legata al polso una fascetta di morbida stoffa elastica bianca. Kelir presentò Marina ad altre ragazze, alcune delle quali portavano il segno bianco dell'apprendistato. Si sedettero a un tavolo della mensa, erano in otto. Marina attaccò discorso: "Ci sono solo donne, qui? Non vedo uomini." Le rispose una jear dai capelli rossi, seduta al fianco di Kelir, di nome Dalia: "Questo è il settore femminile. Qui sono ammessi solo gli uomini autorizzati, o i maturi. Ma quando sarai matura potrai visitare il settore maschile quando vorrai. Perché? Ti manca un uomo?" Marina si rabbuiò, e Kelir diede a Dalia una gomitata nelle costole.

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"Scusami, Marina, non volevo essere offensiva. Ma immagino che Kelir ti abbia detto che, se lei ti accompagna, tu puoi andare nel settore maschile e... incontrare... un uomo di tuo gusto." In effetti era vero. Kelir glielo aveva detto parecchie volte. Ma Marina aveva sempre scherzato e rifiutato l'idea. Forse s'era proprio innamorata della sua carceriera. Il discorso scivolò su questioni poco importanti, e, quando la colazione finì, Kelir accompagnò Marina all'alloggio. "Bella, non dovresti isolarti dagli uomini. Non è naturale." "Andrò con un uomo quando mi sentirò pronta, va bene? Perché insisti tanto?" "Non arrabbiarti, Marina... Vedi, ho l'impressione che la tua educazione ti abbia insegnato a trattare gli uomini con distacco, a dire no quando pensi si, a fuggire per conquistare, ad essere riservata per apparire più attraente." "E se fosse?" "Sarebbe sbagliato. Sarebbe il retaggio di una cultura disparitaria, in cui la donna è considerata una proprietà da conservare gelosamente, da passare dal padre al marito. Non ha senso reprimere i propri istinti, se sono buoni. Soprattutto, non ha senso reprimere i buoni istinti sessuali. Dimmi, Bella, sei ancora vergine, vero?" Marina arrossì, e annuì abbassando lo sguardo. "Mi è sempre stato insegnato che era giusto così... mi sono mantenuta vergine... per il mio compagno nella vita..." "Male! Hai appena espresso il tipico parere maschilista di come le donne dovrebbero comportarsi nella vita. Ascolta". Kelir iniziò ad enumerare sulle dita. "In primo luogo, quanti anni hai?" "Diciannove" "E ti sembra di essere giovane?" "Beh... sì, certo" "Eppure il tuo organismo ha prodotto i primi ovuli quando avevi solo undici o dodici anni. Da allora tu sei biologicamente matura, Bella. Quante ovulazioni sono passate attraverso di te, in questi otto anni? Poco più di un'ottantina! Per più di ottanta volte la natura ti ha confermato che ti ritiene matura, pronta per il sesso. E tu sei ancora vergine! Ti sembra naturale? Non lo è! Ti è semplicemente stato imposto dalla tua cultura, una cultura che non rispetta la tua femminilità. O credi che anche i vostri maschi abbiano il mito della propria verginità?" Kelir continuò la sua arringa con foga. "In secondo luogo: cosa pensi che farai, durante la notte successiva alle nozze? Farai l'amore con tuo marito, cercando di fare del tuo meglio, senza saperne niente, senza avere mai provato cosa vuol dire accogliere un uomo dentro di sé. Pensi che farai una bella figura? Non si va in scena senza avere fatto le prove, Bella! Se tu avessi una maggiore esperienza, avresti molte più probabilità di far felice il tuo uomo, non ci hai mai pensato? In terzo luogo: a chi giova la tua verginità? Non a te, certamente. Il primo rapporto sessuale è sempre un po' traumatico: non è adatto a celebrare la prima notte di nozze. E tuo marito che ne penserà della tua verginità? Se sarà onesto, sarà deluso, ammetterà che a letto non sei entusiasmante, e che dovrà insegnarti tutto da capo. Se sarà meschino, sarà contento, perché nessuno lo ha preceduto; si sentirà lusingato, perché è stato il tuo primo uomo e tu non hai avuto la possibilità di confrontare le sue prestazioni sessuali con quelle di qualcun altro, quindi non dovrà temere le tue critiche. Ma saresti contenta di sposare un uomo del genere? Penso di no. Pensaci, Bella, e ricordati che il più sciocco degli assiomi è che la verginità sia un pregio!". Marina fece del suo meglio per cambiare discorso, ma nei giorni successivi il tema della verginità divenne sempre più ricorrente. Finalmente, forse perché non sapeva cosa rispondere alle critiche della tutrice, Marina consentì ad andare nel reparto maschile, con la famigerata fascetta rossa. S'era drappeggiata la veste nella maniera più provocante, e s'era fatta aiutare da Kelir a darsi un velo di trucco. Era molto attraente. Si sentiva intimidita. Quasi dovette essere spinta a forza, per uscire dall'alloggio, quella sera. La tutrice la prese per mano e la accompagnò verso il settore maschile. L'ESTASI

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"Se vuoi posso darti dei consigli, Bella. Di solito è difficile scegliere bene, se non si sa niente degli uomini che si sta per incontrare. O preferisci scegliere da sola? "No, ti prego. Non saprei cosa fare." "Dunque... La prima regola, specialmente per le prime volte, è seguire il proprio istinto. Se vedi un uomo che ti affascina, che cattura la tua attenzione in modo magnetico, non esitare! Chiedigli se vuole estasiarsi con te. Qui il verbo fare l'amore non si usa, se non tra coniugi. Ma ti avverto: la maggior parte delle volte è una delusione." Marina si mise a ridere. "Sembra che tu la sappia molto lunga!" "E' semplicemente una questione di probabilità. L'amore a prima vista è quasi sempre incompatibile con la perfetta intesa sessuale: non puoi giudicare il carattere di una persona dall'aspetto esteriore, e l'attività sessuale dipende molto dal carattere personale: si può estasiare in modo delicato, vigoroso, dolce, impetuoso...Il sesso è un'arte, Bella, non semplicemente un'attività animalesca. E' probabile che la tua concezione del buon sesso non sia la stessa di colui che ti ha attratta, se non lo conosci bene." "E se lo conosco...?" "Allora sai cosa puoi aspettarti da lui, ti prepari al meglio e ne godi pienamente. Dimmi: quali sono i tuoi gusti? Come desideri estasiarti, la prima volta?" "Ma... non so..." "Preferisci un uomo che ti lasci molta iniziativa? O uno che conduca il gioco in modo autonomo? Preferisci un rapporto vigoroso o uno delicato?" "Delicato, senza dubbio!" "Si, forse per la prima volta è meglio. E immagino che preferiresti lasciare a lui l'iniziativa, vero? Bene. Conosco qualcuno che fa per te. Il migliore che conosco è Yasai. E' un jear: non ti disturba, vero? O preferisci un ennie?" "No... non credo che faccia una gran differenza, vero?" "Nessuna differenza. Geneticamente razionalizzati o naturalmente evoluti, gli uomini sono sempre uomini. Diciamo che un jear... è più probabile che non sia uno che cerca solo una donna-oggetto. Ma ci sono molti Ennie che sono favolosi! Comunque non sarebbe un bene avere dei pregiudizi sulla struttura genetica del DNA del tuo partner. Proverò a chiedere a Yasai." Raggiunsero il settore maschile con una navetta, un mezzo pubblico simile a un filobus. Quando arrivarono presso l'appartamento di Yasai, Marina diventò molto nervosa. "Forse non è stata una buona idea. E se lui non è d'accordo?" "Lo conosco bene, è impossibile che non sia d'accordo. Piuttosto, può darsi che sia già impegnato. E' un uomo molto richiesto." "Santo cielo! Richiesto! Sembra che tu stia parlando di un idraulico o un elettricista." "Non ti scandalizzare. La vostra cultura cerca sempre di minimizzare l'importanza del sesso, ma poi voi lo mitizzate, rendendolo drammatico e innaturale! Yasai è un artista, Bella. E i bravi artisti sono sempre molto richiesti." Le due donne arrivarono finalmente davanti alla casa di Yasai. Kelir suonò il campanello e la porta si aprì. Come ci si poteva immaginare, Yasai era di razza orientale; robusto, dal fisico asciutto, alto circa una spanna più di Marina. Aveva i capelli neri e lisci, corti, e gli occhi quieti comunicavano serenità. Aveva il petto completamente privo di peli, ma la sua mascolinità non ne risentiva affatto. Solo in un secondo tempo Marina si accorse che l'uomo era completamente nudo. Arrossì violentemente e distolse lo sguardo. Yasai sorrise e salutò entrambe con uno strano accento, un po' strascicato, poi le fece entrare ed accomodare in un salotto grazioso, arredato con elegante essenzialità, che fungeva anche da camera da letto. Si sedettero accanto al letto. Kelir intavolò una discussione amichevole, in una lingua sconosciuta, ma molto armoniosa e ricca di vocali: sembrava spagnolo, o italiano. Mentre i due jear parlavano, Marina si sentì esclusa, ma riuscì ad osservare che sembravano due vecchi amici: la discussione procedeva veloce, intervallata da allegre risate e sorrisi compiaciuti. Dopo una decina di minuti, Kelir si rivolse a Marina: "Scusaci, Bella, ma Yasai conosce l'inglese solo come seconda lingua, e io non conosco per niente la sua prima lingua, il giapponese. Dobbiamo dialogare in Ido, la lingua internazionale dei Jear. La imparerai anche tu, non ci vuole molto. Ora vi lascio soli." Yasai la guardò, come dispiaciuto, dicendo, con una certa lentezza: "Non resti con noi, Kellie?"

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"Non ho ancora preparato Marina alla mancanza di intimità di un estasi a tre, Yasai. Credo che lei preferisca restare sola con te, vero Bella?" Marina annuì lentamente, arrossendo. Si sentiva come una zoppa in una sala di rieducazione motoria: tutti avevano per lei dei riguardi che nessuno di essi avrebbe preteso per sé. Yasai la guardò, e la sua espressione perplessa venne sostituita da un dolce sorriso, le labbra chiuse, lo sguardo intenso. L'orientale abbozzò con una certa fatica alcune parole: "D'accordo, allora. Ci vediamo dopo, Kellie. Non suonare: per te la porta è sempre aperta." "Va bene. Ciao, Bella". La jear diede un lento e intimo bacio sulla guancia di Marina. Poi si avvicinò a Yasai: "Bonefartu, Yasy" e i due Jear si scambiarono un lungo, appassionato e dolcissimo bacio sulle labbra. Quando si staccarono, rimasero alcuni istanti ad osservarsi negli occhi e sorrisero. Poi la tutrice si alzò e uscì dal monolocale con passo leggero. Rimasero soli, Marina e Yasai. L'uomo la guardò per alcuni secondi. I suoi occhi bruni erano dolci, sembravano voler leggere i sentimenti della ragazza nel suo viso. Poi le rivolse faticosamente la parola: "Sei molto tesa, Marina". Come era dolce il suo nome, pronunciato a quel modo! La donna iniziò a sentirsi meno imbarazzata. "Vieni. Accomodati sul letto. Gradiresti un massaggio rilassante alla schiena? Vado a prendere l'olio". Uscì dalla stanza per entrare nel bagno, poi ne uscì con una bottiglietta rossa, contenente olio profumato. "Ti piace l'odore del sandalo? Ne ho altri, se vuoi." Marina si schiarì la voce, batté rapidamente le palpebre e rispose con un filo di voce: "Credo... che il sandalo vada bene... grazie." L'uomo sorrise. Appoggiò la bottiglia accanto al letto. Si inginocchiò davanti alla donna, e lentamente, con gesti misurati, le slacciò la cintura, le aprì la veste e ne svelò la pallida pelle del petto. Poi le prese dolcemente le mani e la condusse a sdraiarsi, prona, sul letto. Finì di spogliarla, lentamente, poi si versò sulle mani un po' d'olio e delicatamente iniziò a massaggiarle la schiena. L'olio era caldo, piacevole, forse era già stato preparato per l'uso. Le mani esperte dell'uomo scivolavano sulla pelle vellutata di Marina, seguendo i contorni del dorso, spargendo il calore e il profumo dell'olio al sandalo, premendo con più forza sui muscoli più voluminosi e sfiorando delicatamente le vertebre e le costole. Marina sentiva la tensione abbandonarla, sentiva che la schiena propagava benessere al resto del corpo. Chiuse gli occhi, e le sensazioni tattili sembrarono amplificate. Mantenendosi sempre in contatto con la pelle della donna, Yasai si versò altro olio sulla mano, lo lasciò scorrere sul corpo di lei, lo raccolse con un agile gesto del palmo prima che sgocciolasse sul letto. Dopo pochi minuti, l'olio era stato completamente assorbito dalla pelle di Marina e l'aveva resa elastica, morbida e vellutata. Dopo essersi di nuovo unto leggermente le mani, Yasai condusse Marina a girarsi supina. Non usò parole, ma pochi, delicati ma decisi, gesti delle mani: sembravano parte integrante del massaggio. Marina, ad occhi chiusi, sentì le mani del partner accarezzarle le spalle, spargendo l'olio e diffondendo la fragranza del sandalo. Poi le carezze si estesero alla base del collo, allo sterno, allo stomaco, al costato. Solo alla fine, delicatamente, le mani dell'uomo le sfiorarono le mammelle; dapprima erano gesti noncuranti, come se le mani fossero passate di lì per caso, poi si fecero sempre più insistenti, ma sempre delicati. Quelle mani non stavano mai ferme, scorrevano sulla pelle ora lente, ora veloci; con movimenti circolari ora ampi, ora stretti; la pressione che esercitavano era decisa in certi punti, ma leggera in altri; nessun cambiamento veniva fatto bruscamente: la pressione, la direzione e la velocità venivano variate gradualmente. Poco dopo, quelle mani fantastiche si spostarono verso l'addome, accarezzarono più volte i fianchi, passarono sulle cosce, poi tornarono su, verso la cintura. Ripeterono il giro parecchie volte, ogni volta scendevano un po' più in basso: al secondo giro toccarono le ginocchia, successivamente raggiunsero i polpacci, le caviglie, le dita dei piedi, e ogni volta tornavano indietro, verso la vita. Con pochi gesti, decisi e nello stesso tempo gentili, l'uomo le aprì le cosce, e i massaggi passarono sulla parte interna delle gambe. I gesti ripresero il loro percorso ciclico, come se seguissero delle tappe: vita, fianchi, coscia esterna, ginocchio, coscia anteriore, vita... Ma ogni giro era più stretto del precedente, interessava prima la parte interna del ginocchio, poi l'interno della coscia, poi la connessione tra la gamba e il pube. Un gemito sfuggì a Marina, quando sentì Yasai che soffiava tra i suoi peli inguinali.

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Ormai le dita agili dell'uomo non avevano più bisogno dell'azione lubrificante dell'olio al sandalo. Accarezzando i genitali della donna, indugiavano alla base delle piccole labbra, si umettavano del fragrante liquido che la natura dona a tutte le donne, poi tornavano a massaggiare le zone erogene esterne, contornandone i particolari anatomici. Finalmente le mani di Yasai lasciarono l'area genitale della donna e, mantenendo sempre il contatto, salirono ad accarezzare il ventre, lo stomaco, le mammelle. Intanto il torace dell'uomo si era portato a sfiorare l'addome di lei, e contribuiva al massaggio, salendo lentamente. Marina sentiva la pelle del petto del compagno che premeva su di lei. Sentì i vigorosi muscoli delle sue braccia, che sostenevano il corpo quel tanto che bastava a non schiacciarla. Sentì sul proprio seno la pressione del suo torace, deciso, protettivo, tranquillizzante. Finalmente sentì il membro virile del compagno che avanzava tra le sue cosce. Sentì una fitta, leggermente dolorosa, all'inguine; ma il dolore scomparve subito, sepolto dal piacere. Anche dentro di lei, i movimenti dell'uomo si mantenevano lenti, misurati, dolci. La accarezzava all'interno col pene, così come la accarezzava all'esterno con le mani. Lei ebbe un primo orgasmo, ma lui non l'assecondò: iniziò a baciarla delicatamente sul viso, mentre lei sentiva i propri muscoli interni del ventre e del torace contrarsi violentemente. Quando le prime contrazioni cessarono, le pressioni di Yasai divennero più forti, i suoi baci più appassionati, la sua penetrazione più profonda. Dopo pochi minuti, Marina ebbe un secondo orgasmo, che coincise con quello di Yasai. In pochi attimi di passione Marina perse il controllo del proprio corpo: era come una marionetta, mossa da invisibili fili indipendenti dalla sua volontà. Il corpo di Marina era come un guanto, che assecondava i movimenti della mano al suo interno. Poi le spinte di Yasai divennero meno vigorose, gradualmente tornarono alla dolcezza con cui erano iniziate. Le carezze non cessarono, divennero solo più dolci. Lentamente, Yasai si distese su un fianco, senza mai perdere il contatto con la donna, poi si distese supino, portando il corpo di lei su di sé. Marina teneva la guancia sulla sua spalla, una gamba sul suo bacino, il corpo a contatto col suo fianco, il braccio sinistro sul suo possente torace. Rimasero così, abbracciati, senza parole, per parecchi minuti. IL SESSO A PAGAMENTO Marina non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato, ma alla fine sentì arrivare Kelir. "E' permesso? Ciao. Tutto bene?" Marina si sentì imbarazzata, si ritrasse istintivamente dal compagno e tentò di coprirsi con una coperta. Yasai, come se l'avesse letta nel pensiero, la frenò afferrandole dolcemente la mano e guardandola intensamente, come si guarda un bimbo che ha sbagliato per ignoranza. "Ne fiiju... non vergognarti, Marina." Kelir si sedette ai piedi del letto. "Tutto bene, eh? Non ti deve impressionare la nostra mancanza di pudore, Bella. Quando saprai apprezzare in pieno la bellezza del piacere estatico, allora avrai capito che non te ne devi vergognare. So che la tua cultura passata ha dipinto il sesso di un alone peccaminoso, ma spero che ti accorgerai di quanto si sbagliasse." Poi Kelir iniziò a chiacchierare in ido con Yasai, in maniera spensierata e allegra. Sarebbe sembrata una tranquilla riunione tra amici, se non fosse stato per il fatto che due di loro erano nudi sullo stesso letto. Ad un certo punto, Marina si rese conto che i due Jear parlavano di lei. "Cosa state dicendo, Kelir?" "Niente di particolare, Bella. Yasai mi stava chiedendo come procedeva il tuo condizionamento, per sapere quando avremmo potuto estasiarci in tre. Per uno come lui, l'estasi di coppia è poco più di un gioco." "Volete dire che voi... di solito... fate l'amore in gruppo?" "Di solito no. Ma i professionisti sono sempre alla ricerca di sperimentazioni, e, capirai, tra un uomo e una donna... non c'è più nulla da inventare. I rapporti a tre o in gruppo, invece, lasciano molto più spazio alla fantasia e all'inventiva. Per un professionista non..." "Professionista...?" "Si... Yasai è un etéro, un professionista dell'estasi."

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Marina arrossì violentemente, e quasi scoppiò a piangere. Kelir si rese conto dei suoi pensieri, mentre Yasai la guardava perplesso. "Bella... non ti sentire triste. Se Yasai non fosse stato uno dei migliori professionisti, non ti avrei portata qui." "Ma... tu stai parlando di prostituzione!" "E' difficile capire voi Ennie, sai? Dimmi, Marina, cosa penseresti se Yasai avesse cucinato per te? Avresti gustato i suoi piatti, e non ti sarebbe sembrato vergognoso. E se avesse suonato uno strumento per te? Avresti ascoltato la sua musica senza alcun imbarazzo. Cosa c'è, concettualmente, di diverso tra un cuoco, un musicista e un etéro? Nulla: uno ti procura piacere attraverso il senso del gusto, uno attraverso l'udito, uno attraverso il tatto. Per quale motivo voi ve la prendete tanto contro la prostituzione, e tollerate l'alta cucina o la musica? Non ti sembra un po' contraddittorio?" "Ma così... sono stata... usata!" Due risate risuonarono nella stanza. "Per la miseria, Bella, questa sì che è buona! Caso mai tu hai usato lui! E poi... per piacere, piantiamola una volta per tutte con questa sciocchezza che praticare il sesso senza amore significhi usare una persona! Quando due persone consenzienti fanno del sesso, provano piacere entrambe: nessuno ha il diritto di sentirsi usato! O ti sembra di aver fornito a Yasai più piacere di quanto te ne abbia dato lui?" Marina sembrava confusa, e Kelir le parlò in tono più tranquillo, confidenzialmente: "Vedi, Bella, tutto quello che è stato elaborato dalla tua cultura sul sesso non è affatto naturale. La tua lingua non ha neppure l'equivalente del verbo ido estàzi, che io traduco con estasiare: voi dite fare l'amore, come se l'amore c'entrasse qualcosa." L'AMORE "Ma l'amore è necessario per... fare l'amore..." "L'amore, Bella, è un sentimento, mentre il sesso è una tecnica, esattamente come la pittura, il ballo, la musica, la cucina. E come tutte le tecniche, se viene portata a un buon livello, diventa arte! E' evidente che, se c'è l'amore, il sesso è più piacevole. Ma è così per tutto: se tuo marito fosse un musicista e tu lo amassi sinceramente, la sua musica ti piacerebbe di più che se lui fosse un estraneo. La verità, Bella, è che l'amore è semplicemente qualcosa che ci fa perdere il senso critico: tutto ciò che si fa con chi amiamo ci sembra più bello." "Direi di più", si intromise Yasai, con la sua voce tranquilla, profonda e un po' incerta, "Dimmi, Marina, hai mai pensato seriamente a che cosa è l'amore? Il vero amore, quello che ti spinge a fare volentieri dei grossi sacrifici, quello che ti rende facile da sopportare l'inaccettabile. Marina, l'amore è il figlio del piacere. Non esiste l'amore gratuito. Quando ti innamori di qualcuno, lo fai perché lui ti ha dato piacere, anche senza saperlo. Se ti innamori di un uomo a prima vista, è perché lo trovi bello: la sua immagine ti ha dato piacere. Ma se ti innamori dopo una lunga conoscenza, è perché la somma dei piaceri che hai ottenuto supera la somma dei dispiaceri. Dimmi, Marina. Prima che entrasse Kelir, non ti eri forse innamorata di me?" Era vero! "Prima si, ma adesso no!" "Lo so. Prima io ti avevo dato piacere, e questo ti bastava. Ma ora che sai chi sono, mi disprezzi, perché la tua cultura ti ha insegnato che la prostituzione è da disprezzare. Quella scoperta ti ha fatto dispiacere, un dispiacere tanto grande da superare il piacere che ti ho dato prima. E il tuo amore è morto. Ma se io me ne fossi andato, senza darti la possibilità di conoscermi meglio, tu saresti rimasta innamorata perdutamente di me: il piacere di questa sera ti sarebbe rimasto impresso per sempre. Non esiste un Cupido che scaglia a caso le frecce dell'amore: l'amore non è cieco. L'amore nasce quando un piacere è abbastanza grande da generarlo." Continuò Kelir: "Vedi, Bella, lo so che questi discorsi non ti piacciono. Ti è stato insegnato che l'amore è il migliore dei sentimenti, che è il più forte, che rende possibile superare i dolori della vita. Ti è stato insegnato che l'amore è un sentimento troppo nobile per poter avere qualcosa a che fare col piacere. Ma è una visione sbagliata. Prova ad immaginare la più armoniosa delle coppie: una donna che ama un uomo sinceramente, con tutta sé stessa, e lo sposa. Ora prova a pensare che quell'uomo, dopo parecchi anni, voglia fare un esperimento: che voglia mettere alla prova l'amore della donna. Comincerà a trattarla male, smetterà di darle piacere, penserà solo a sé stesso. Quanto

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tempo durerà l'amore della donna? La donna all'inizio sarà spiacevolmente sorpresa, ma sopporterà il marito, pensando che si tratti solo di un malumore passeggero. Dopo un po', continuerà a sopportare, rifugiandosi nei ricordi dei bei tempi passati. Dopo un po', continuerà a sopportare, per pigrizia o incapacità di iniziare una nuova vita. Alla fine, quando la somma di tutti i dispiaceri presenti avrà superato la somma di tutti i piaceri passati, la donna deciderà di abbandonare il marito, e glielo andrà a dire. Allora il marito, felice, rivelerà il suo esperimento. Dirà: «Cara, quanto tempo hai resistito! Ora so quanto mi ami! Ora tornerò ad essere il marito di sempre, quello che tu hai sempre amato!». Ma ormai sarà troppo tardi: l'amore della donna sarà ormai definitivamente morto, e nulla potrà riportarlo indietro. Questa è solo una favoletta, Bella, ma credi che sia poi così inverosimile? L'amore non è cieco. Sarebbe molto triste, se lo fosse: l'umanità sarebbe schiava di un sentimento che colpisce a caso e che può indurre a sopportare la meschinità e l'ingiustizia. Per fortuna, l'amore non è cieco." IL PIACERE Marina non sapeva cosa controbattere. Possibile che l'educazione che in tanti anni le era stata data non fosse altro che un mucchio di sciocchezze? Istintivamente, quasi per partito preso, Marina tentò di difendere il proprio punto di vista: "Ma... il sesso senza amore... è arido... inutile..." "No, Marina! Questa è la vera menzogna su cui si basano tutti i tuoi preconcetti sul sesso. Il piacere a volte può essere dannoso, e bisogna stare in guardia. Ma se un piacere è affidabile, non è mai inutile, tantomeno arido. Un sano piacere è sempre un'esperienza che ti arricchisce. L'esperienza che hai avuto questa sera con Yasai non è stata inutile, perché ti ha lasciato un segno: se tu sarai pronta ad accettare questa esperienza per quello che è, la tua personalità ne sarà accresciuta, e la tua vita migliorerà. Ma dimmi: perché vi accanite tanto contro la prostituzione? Cosa ci trovate di tanto brutto?" Marina rifletté qualche istante, poi rispose decisa: "Beh, penso che, se Yasai fosse sposato, a sua moglie non piacerebbe che lui abbia accresciuto la mia personalità!" Un attimo di silenzio, poi i due Jear si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere contemporaneamente. "Bella! Non hai proprio capito niente! Yasai è sposato!" Marina rimase frastornata. "Ma come!? Ed è venuto a letto con me? Ma... non ama sua moglie?" Yasai le parlo con gentilezza, come si parla ad una bambina: "Vedi, Marina, io amo profondamente mia moglie. Passo al suo fianco i momenti migliori della mia vita, e insieme a lei allevo i miei due figli. A mia moglie non interessa che io estasii un'altra donna. La moglie di un cuoco è forse gelosa perché una cliente gusta i piatti del marito? Io sono un etéro, e mia moglie è orgogliosa di me. Se fosse gelosa significherebbe solo che non si fida di me, oppure che ha paura di perdermi perché non si ritiene alla mia altezza. Ma l'amore tra me e lei non è così fragile da temere la gelosia." "Ma...? Se tu sapessi che tua moglie va a letto con un altro, cosa diresti?" "Marina... In questo momento mia moglie è a letto con un altro. Anche lei è un etéra. E io l'amo come sempre, perché so bene che tornerà a cena, stasera, come ha sempre fatto, e che giocheremo insieme a scacchi prima di andare a dormire, dopo aver portato a letto i bambini. Io sono felice del fatto che lei sia un'artista del sesso: non mi permetterei mai di proibirglielo." Kelir riprese il discorso che aveva lasciato in sospeso: "Vedi, Bella? Neppure tu hai le idee chiare sui dogma della tua educazione. Quante volte ti sei soffermata a chiederti se è giusto proibire la prostituzione? O forse ti sei sempre detta: «E' così e basta, non c'è un perché». Ti sembriamo degenerati? Ti sembra degenerata la prostituzione? Prova a metterti nei panni di un ragazzo sfortunato, che a causa di un incidente sia rimasto sfigurato, o ferito, o comunque non desiderabile da parte di una donna. Ti sembrerebbe giusto proibirgli il piacere del sesso? I tuoi concittadini, la gente per bene, come si definiscono, fanno un ragionamento mostruosamente egoistico: si trovi una donna che lo sposi, se vuole fare l'amore! Ma bravi! Credono che sia facile trovare una donna disposta a sposare un uomo invalido, cieco, paraplegico, o semplicemente brutto? La verità è che i degenerati non siamo noi, Marina. Degenerata è una cultura come la vostra, che considera il sesso come un piacere che solo alcuni debbono potersi permettere, cioè quelli che

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riescono a trovare un partner fedele. Facci caso: chi è che si accanisce di più contro la prostituzione? Ipocriti benpensanti, ricchi, belli, sposati, socialmente realizzati: che diritto hanno loro di decidere di vietare il divertimento del sesso a chi non ha avuto la loro fortuna, a chi è brutto o emarginato?" Quando Kelir si infervorava nella discussione acquistava un colorito leggermente purpureo sulle guance: sembrava ancora più bella. "Chi altro non vuole la prostituzione? Zitelle inacidite, moraliste, indifferenti al sesso e invidiose del piacere altrui..." Marina interruppe la tutrice: "Ci sono però anche oneste madri di famiglia, che vogliono evitare che i mariti infedeli sperperino i soldi con le donnacce!" IL MATRIMONIO Kelir per un attimo sembrò diventare molto triste. "No, Marina. Questo non è un discorso giusto. In primo luogo, pensa: quale marito è realmente infedele? Quello che ha sedotto la moglie con false promesse? Quello che si mostra gentile durante il fidanzamento e poi, dopo il matrimonio, diventa uno sfruttatore egoista? Se è di questi mariti che stai parlando, dovresti tenere presente che l'errore di base sta nell'averli sposati, non nel permettere che dilapidino i soldi con le prostitute. Una moglie che si accorge che il proprio marito l'ha ingannata in questo modo, dovrebbe sciogliere il contratto matrimoniale. Perfino tra di voi esiste il divorzio. Vietare la prostituzione non risolverebbe alcun problema. In secondo luogo: può anche darsi che la donna sia semplicemente un'egoista che mirava a godere dei vantaggi del matrimonio: che abbia ingannato il marito durante il fidanzamento, per poi mostrare la sua vera personalità solo dopo averlo sposato. In questo caso, vietare al marito di trovare piacere nella prostituzione è semplicemente odioso. In terzo luogo, forse il marito infedele di cui parlavi è semplicemente un uomo onesto, che dopo sposato ha scoperto di essere sessualmente incompatibile con la donna che aveva scelto. Lei ha difeso strenuamente il suo diritto a non praticare il sesso, oppure l'ha praticato in maniera meccanica, solo per non litigare col marito, e lui si sente tradito: non poteva sapere che quella donna non gli sarebbe piaciuta, tra le coperte. Sarebbe bastato avere qualche sincero rapporto sessuale prima del matrimonio, per evitare l'errore di sposarsi. Ma la vostra cultura vieta perfino i rapporti prematrimoniali. La verità è che quell'uomo è solo una vittima delle ingiustizie del vostro codice morale: è un'inutile crudeltà impedirgli di frequentare le prostitute e trovare a pagamento quel piacere che la moglie non può o non vuole dargli. In quarto luogo, può darsi che lui e lei fossero sinceri, durante il fidanzamento e il matrimonio, ma poi siano cambiati: sai bene che una persona può cambiare parecchio in pochi anni. Può darsi che lui, invecchiando, cambi carattere tanto da non essere più gradito alla moglie, o viceversa. Allora non ci sarebbe più alcun motivo per continuare il matrimonio: sarebbe giusto separarsi serenamente, avere il coraggio di ammettere: «Sono stata felice, con te, ma ora non sei più la persona che ho sposato tanti anni fa. Separiamoci, mettiamoci d'accordo sulla spartizione dei nostri averi, e viviamo in libertà gli anni che ci restano». Sarebbe così ovvio! Eppure la tua cultura pretende che il matrimonio duri tutta la vita, come un ergastolo. Ma un cattivo matrimonio può essere anche peggio di una prigione, sai. Anche in questo caso, vietare la prostituzione non risolverebbe alcun problema." "Ma... Kelir, questo vorrebbe dire che un uomo può decidere tranquillamente di sposarmi solo per la mia bellezza e poi lasciarmi quando sarò vecchia e brutta". "Perché devi esserne tanto angosciata? Invecchiando anche lui diventa brutto. Siete alla pari. E poi... prova a porti il problema inverso: mettiamo che tu sposi un uomo bellissimo e che lui, con gli anni, smetta di fare sport, inizi a mangiare smodatamente, ingrassi di cinquanta chili e si inflaccidisca. Ti piacerebbe essere costretta a restare legata a lui? Nessuno ti obbliga a divorziare, Bella, ma non ti sembra che sia giusto averne almeno la possibilità?" "Però... non è bello che un matrimonio duri solo finche la moglie è abbastanza bella da attrarre sessualmente il marito." "Anche questo è sbagliato, Bella. Il matrimonio non si fonda solo sul piacere sessuale. Se il marito non è uno stupido, considererà tutti i pregi della moglie, non solo la sua bellezza, e non l'abbandonerà mai finché lei continua ad essere una fonte di piacere: una brava cuoca, una precisa padrona di casa o una simpatica compagna di conversazione. Il mondo è pieno di donne brutte felicemente sposate.

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La verità è che il matrimonio si fonda sull'amore, e l'amore deve essere alimentato continuamente dal piacere. Il piacere sessuale è solo uno dei piaceri che può dare il matrimonio: c'è il piacere di svegliarsi al mattino con un bacio sulle labbra, c'è il piacere di arrivare a casa e trovare la cena pronta, c'è il piacere di trovare un conforto e una spalla su cui piangere quando la vita diventa difficile..." Intervenne Yasai: "E c'è il piacere di una bella partita a scacchi dopo aver messo a letto i figli." "Esatto. Vedi, Bella? Il piacere sessuale è quello più intenso, forse il più importante dei piaceri del matrimonio, ma non è l'unico. Finché la somma dei piaceri della vita matrimoniale sarà sufficiente, l'amore resterà vivo e il matrimonio non correrà alcun pericolo. Per questo il primo dovere di ogni coniuge è quello di procurare piacere all'altro." "E se... nonostante il piacere che gli do, mio marito non vuole restare con me?" "Può significare solo due cose. Primo: tuo marito è uno sciocco che non sa valutare il piacere che tu gli dai. In questo caso merita più di essere perso che di essere trovato. Secondo: tu non sei in grado di dare a tuo marito i piaceri che lui cerca. Allora sarebbe ingiusto da parte tua pretendere che lui rimanga legato a te. In tutti i casi, mantenere il matrimonio in queste condizioni sarebbe un errore." "Non hai parlato dei figli: come vivranno senza uno dei genitori, se questi divorziano?" "Vivranno molto meglio che se i loro genitori fossero costretti a vivere insieme. Bella, la lontananza dal coniuge genera l'indifferenza, ma la coabitazione obbligata con una persona sgradevole genera l'odio: se tu fossi un bimbo, preferiresti che i tuoi genitori siano indifferenti l'uno verso l'altro, o che si odino?" "Preferirei... vorrei che si amino..." "Esatto. E per amarsi occorre rispettare le leggi dell'amore: Primo: sii una fonte di piacere, perché il piacere è il padre dell'amore. Secondo: sii sincero, perché la mancanza di fiducia sgretola l'amore. Terzo: sii aperto al dialogo, perché chi è permaloso non può accogliere l'amore. Quarto: sii chiaro, perché il malinteso è il modo più sciocco per soffocare l'amore. In ogni caso, Bella, è meglio riconoscere a malincuore che un amore è morto, e separarsi serenamente, piuttosto che voler continuare una convivenza piena di attriti, fonte di odio. Comunque, per riprendere il discorso di prima, la prostituzione non è affatto il crimine che la vostra cultura vuole far credere. Pensaci, Marina. Metti alla prova le basi della moralità della tua gente. Vedrai che non troverai alcuna risposta convincente." IL SESSO COME ARTE Marina era scossa. Rimase in silenzio, durante tutto il viaggio di ritorno al settore femminile. Quando arrivarono al suo alloggio, disse: "Kelir, Yasai voleva veramente fare l'amore con noi due insieme?" "Gli sarebbe piaciuto. E sarebbe piaciuto anche a me. Ma tu non sei ancora pronta." "Ma non ti sembra un discorso maschilista? Un uomo che abbia a disposizione due donne..." "Maschilista? Cosa c'entra la guerra tra i sessi? Qui a Namib la libertà della donna non è solo un progetto: è una realtà. Il maschilismo ha cessato di esistere quando le donne hanno avuto il coraggio di fare le loro scelte con consapevolezza, con patti chiari, trattando gli uomini come alleati e non come antagonisti. Un uomo è maschilista? Vedrai come fa presto a cambiare idea, quando viene abbandonato da tutte le donne. Oppure, se non cambia idea, perché preoccuparsi? E' libero di fare ciò che vuole. Ci saranno sempre uomini migliori di lui, più disposti ad accettare il punto di vista di noi donne, e più felici." "Ma è egoistico da parte sua pensare che due donne possano accontentarsi con un solo uomo." "Ti assicuro che Yasai non è affatto un egoista: tutt'altro! Credi che sia facile estasiare due donne contemporaneamente? Ti assicuro che non è una cosa alla portata di tutti. E ti assicuro che Yasai non è il tipo da prendere la sua professione alla leggera. Non devi pensare che Yasai sia un porco o un approfittatore: non costringe nessuno ad estasiarsi con lui: sono gli altri che fanno la fila per un appuntamento con lui. Un qualche merito lo avrà, non credi?" "Ma così... è semplicemente un'orgia!"

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"Ci risiamo? Ti basta chiamarla orgia per pensare di poterla condannare? Cosa c'è di male in un'orgia? Cerca di vedere le cose come sono, Marina! Non accontentarti di usare etichette dispregiative! Quella che tu chiami orgia, e uno dei divertimenti collettivi più complessi e raffinati che esistano, uno dei massimi vertici artistici che una civiltà possa raggiungere. Non è bestiale, non è egoistico. Tutti si preoccupano di far raggiungere l'estasi agli altri, non ci sono meschini individualismi." "Mi vuoi raccontare che un uomo coccolato da due donne si preoccupa della loro felicità?" "Della loro estasi, non della loro felicità! La felicità è un compito individuale: nessuno può darla ad un altro. L'estasi è il benessere intenso che precede, accompagna e segue l'orgasmo: quello si può donare e accettare, se si è abbastanza abili." "Sarà vero, ma è degradante per una donna doversi ridurre a dividere un uomo a metà con un'altra." "Dividere? Chi ha parlato di dividere? Non hai capito niente! L'estasi di gruppo prevede la partecipazione di tutti: una persona non è qualcosa da dividere. Io stessa ho partecipato ad un estasi a tre con Yasai e sua moglie Valerie: è stata una delle esperienze più intense della mia vita. Durante l'estasi, l'attenzione che Yasai ha dedicato a Valerie è stata più che compensata da quella che Valerie ha dedicato a me. Non devi pensare che mi sia mancata una parte di Yasai: quattro braccia erotizzano meglio di due, se sono ben coordinate." "Quindi, se ho ben capito, Yasai sarebbe anche disposto a dividere... cioè condividere... una donna con altri uomini, durante lo stesso rapporto sessuale?" "Certo! Un trio può anche essere composto da una donna e due uomini. L'importante è l'intesa reciproca." "Ma così... gli uomini non si sentono... come degli omosessuali?" "Non dirmi che in pieno ventunesimo secolo hai ancora dei pregiudizi contro l'omosessualità! Marina, il sesso consenziente è sempre un piacere, mai una vergogna! In quanto a Yasai... non ha nessuna difficoltà ad estasiarsi con dei maschi, se ha con loro una buona intesa. A volte ha fatto anche delle estasi di gruppo composte da soli uomini. L'importante è il rispetto reciproco e l'intenzione di provare piacere insieme. Il sesso del partner è solo un vincolo alle tecniche di erotizzazione che si possono usare." "Quindi... voi potete anche trovare piacere in orge... cioè estasi di gruppo... composte da decine di persone. Non è... deprimente, spersonalizzante?" "Scherzi? Ti ho detto che non è facile gestire un estasi a tre, figurati una a dieci! A volte ci sono delle estasi a quattro... solo i più grandi artisti riescono a condurre insieme un'estasi a cinque, ma, che io sappia, nessuno ha mai portato con successo a termine un'estasi a sei. Non si tratta semplicemente di masturbarsi a vicenda, Bella! C'è una tecnica molto complessa di sincronizzazione che riguarda le respirazioni, i massaggi, le posizioni e gli orgasmi. Basta che uno non faccia il suo dovere per rovinare l'impegno di tutti. Non devi credere che Namib sia una nuova Sodoma: questa è arte, non porcherie come quelle che voi trasmettete tranquillamente in TV, con l'avvertenza vietato ai minori". Marina rimase in silenzio. Si sentiva stanca, sovraccaricata da troppe idee nuove e strane. Kelir la salutò amichevolmente, con un bacio, e la lasciò sola a riflettere. C'era molto su cui riflettere. GLI INSEGNAMENTI DELLA VECCHIA CULTURA Il giorno dopo Marina sentì bussare alla porta, di buon'ora. Era Kelir. "Allora, Bella? Che ne pensi dei saggi insegnamenti che ti sono stati dati dalla tua cultura senza neanche una spiegazione?" "Sono ancora un po' confusa.", rispose Marina spazzolandosi i capelli, "Non ho le idee molto chiare. Eppure, se la mia cultura ha elaborato quegli insegnamenti, ci sarà un motivo, no?" "Si, ovviamente c'è stato un ottimo motivo. Qualche decina di migliaia di anni fa, come sai, gli uomini erano come tutti gli altri animali, solo più intelligenti. L'intelligenza era semplicemente un'arma evolutiva, come i denti del lupo o le corna dei tori. Grazie all'intelligenza, un mammifero, quasi del tutto simile a un gorilla o a uno scimpanzé, è riuscito a prendere possesso dell'intero pianeta. Ma l'intelligenza non era solo un'arma: era anche la madre della curiosità e del desiderio di capire e il mondo e i suoi segreti. Così nacquero i primi riti, le prime cerimonie, le prime religioni:

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nacque la cultura. Abbiamo scoperto nuove forme, imitato le cose che vedevamo, imparato ad usarle secondo le nostre esigenze. Non per costruire una civiltà, ma solo per trovare un po' di gusto nella vita. La civiltà è venuta di conseguenza, e le nuove forme furono standardizzate. Ma molto presto non fu più un gioco. La cultura smise di essere al servizio dell'uomo, e l'uomo iniziò ad esserne dominato, fino a perdere di vista la semplice bellezza della vita." "Ma senza cultura un uomo è solo un animale." "Non ho detto che bisogna rifiutare in blocco la cultura. Occorre però saperla giudicare in modo critico. Alcune usanze erano funzionali, millenni fa, ma ora sono semplicemente barbariche. Diecimila anni fa era normale per un uomo considerare le femmine della propria specie come dei capi di bestiame, qualcosa il cui possesso poteva essere ceduto o acquisito. Solo molto più tardi si è evoluta l'opinione che le donne avessero pari dignità, rispetto all'uomo." "Questo cosa c'entra con la vostra rivoluzione sessuale?" "Il sesso è solo il più appariscente dei campi in cui la vostra cultura è inadeguata. Perché le donne devono essere pudiche, umili, sottomesse ai desideri sessuali del marito?" "Ma oggi non è più così." "Oggi quelle che si ribellano tendono a rifiutare il sesso, a simulare un mal di testa, a dire «non ora, ti prego». Una donna veramente indipendente non si limiterebbe a rifiutare ogni tanto le effusioni del marito, ma pretenderebbe che fossero soddisfatte più spesso le proprie, o che il marito curasse di più la propria tecnica erotica. Invece, anche tra sposi, l'argomento del sesso per le donne è spesso un tabù." "Si... Forse in passato non mi è stato insegnato che il sesso potesse essere molto bello anche per me." "Già. Senti, ero venuta per chiederti se sei libera questo pomeriggio. Oggi è decimo, è festa." "Questo pomeriggio? Ho il torneo di pallamuro. Se arrivo almeno seconda, raggiungo la maturità in educazione alla cura del corpo." "Così presto? Se continui così, sarai libera di andartene prima della fine dell'anno." Marina si rattristò. "Magari... sai, non sono mai andata molto d'accordo con i miei, in America, ma mi mancano molto. Quando potrò tornare da mio padre?" "Beh, conosci le regole. La maturità parziale in educazione alla cura del corpo non sarà un problema, ma i tuoi punteggi in artistica sono piuttosto bassi." "Arte! Nemmeno alle elementari sopportavo di impiastricciarmi con i pennelli!" "Il termine arte è inteso in senso molto largo: anche il judo può contribuire al punteggio di artistica, ed ho visto che per le arti marziali hai una buona predisposizione. Comunque ci sarà pure una disciplina artistica che non disprezzi; che ne dici della musica?" "Ho suonato un po' la chitarra, qualche anno fa. Ma non ho mai avuto il tempo e la voglia di studiarla a dovere." "Qui il tempo non ti manca. Devi solo ritrovare la voglia. Guarda: nel salone centrale del quartiere rosso c'è un concerto per strumenti a corda, stasera. Vuoi venirci con me?" "E il tuo fidanzato, Paul, non viene?" "Paul è un soldato. E' stato richiamato per una missione, e io l'ho saputo solo ieri." "Capisco... d'accordo! Verrò con te, stasera. Ma promettimi che tiferai per me questo pomeriggio." "Puoi contarci!" LA FINALE DI PALLAMURO Il pomeriggio di quello stesso giorno, il campo sportivo sotterraneo di pallamuro del quartiere viola, il più grande di Namib, registrò il tutto esaurito tra gli spettatori. Marina in precedenza aveva quasi sempre vinto le eliminatorie, e quel torneo raccoglieva le migliori apprendiste della città. Il punteggio in palio era molto alto, e la tensione era fortissima. Il gioco della pallamuro era semplicissimo, ma molto dinamico e spettacolare. Si trattava di schiacciare a turno la palla sul pavimento, con un gesto simile a quello della pallavolo. La palla, dopo aver colpito il pavimento, doveva poi rimbalzare contro un muro frontale, e il giocatore successivo doveva schiacciarla prima che facesse due rimbalzi per terra. Nel campo del quartiere viola c'era poi un secondo muro, a sinistra delle giocatrici, di materiale trasparente, perpendicolare al muro frontale. I rimbalzi del pallone sul muro di sinistra, purché fossero successivi al rimbalzo sul pavimento, mantenevano il pallone in gioco. Le giocatrici dovevano quindi essere molto rapide nel calcolare la

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traiettoria del pallone, che poteva carambolare in uno spazio delimitato da uno spigolo solido. Una giocatrice commetteva un fallo se toccava la palla quando non era il suo turno, se non riusciva a toccare la palla prima del secondo rimbalzo a terra, se schiacciava la palla direttamente contro uno dei muri anziché sul pavimento, oppure se la palla non arrivava al muro frontale prima del secondo rimbalzo sul pavimento. Quando una giocatrice commetteva 15 falli, veniva eliminata. Le sedici concorrenti vennero suddivise in quattro batterie di quattro elementi. Al primo turno venivano eliminate metà delle concorrenti, cioè le prime due che commettevano 15 falli nella loro batteria. Otto giocatrici passavano al secondo turno, dopodiché le quattro giocatrici migliori disputavano il turno finale. Marina aveva il cuore in gola, quando entrò in campo al primo turno, ma lo superò senza grossi problemi. Il secondo turno fu più problematico: lo passò insieme a una ragazza norvegese che non aveva mai visto, di nome Layla, che sfruttava molto bene la potenza delle sue lunghe braccia. Finalmente arrivò la finale. La più forte della batteria era Layla, ma Marina aveva notato che tendeva a diventare molto nervosa ed impaziente nel gioco di regolarità. Per fortuna il sorteggio sistemò Marina dopo la meno potente delle avversarie, la francese Luise, la quale era preceduta da Layla. Marina pensava che la potenza della ragazza nordica avrebbe eliminato la francese senza problemi, ma... Layla aveva iniziato a giocare in modo molto blando, porgendo la palla a Luise con facili traiettorie in modo che la francese potesse calibrare al meglio i suoi tocchi contro Marina. Inizialmente questa condotta di gioco aveva fatto indignare la giovane californiana, che innervosendosi aveva commesso quattro falli. Per raggiungere le precise traiettorie di Luise, Marina dovette sfoderare tutto il meglio del proprio repertorio di corse, tuffi e salti, e spesso chi ne faceva le spese era la successiva di Marina, la piccola e agile indiana Raya. La tattica di Layla stava raccogliendo i suoi frutti: quando lei aveva commesso solo un fallo, Luise era a zero, mentre Marina era a sette e Raya a cinque. Finalmente Marina capì: la norvegese e la francese erano amiche, e si erano alleate per eliminare le due avversarie, per poi giocarsi il primo posto tra di loro. Stremata dallo sforzo fisico, dopo aver commesso l'ottavo fallo Marina chiese all'arbitro un time out, come le concedeva il regolamento. Durante i 100 kronos di riposo (pari a circa un minuto e mezzo) alle giocatrici era vietato rivolgersi la parola, ma Marina notò le occhiate di intesa che le due europee si lanciavano reciprocamente. Allo scadere del time out, Marina finse che la palla le sfuggisse di mano verso Raya, si alzò per andarla a prendere e, chinandosi per raccoglierla di fianco all'indiana, le mormorò a denti stretti: "Per favore, fammi a pezzi la biondona!". Quindi andò al servizio e porse a Raya una bellissima palla, vicino allo spigolo dei tre muri. L'indiana aveva dei muscoli piccoli ma di tutto rispetto, e spedì a Layla una bordata carica d'effetto e irraggiungibile. La nordica al servizio tentò di favorire Luise, ma Maina ormai se l'aspettava, e con un guizzo pennellò una traiettoria precisa per Raya, che ripetè l'impresa. Dopo tre falli, la norvegese iniziava ad innervosirsi, ma non poteva fare nulla, se non scaricare la propria rabbia sull'amica con occhiatacce e potenti colpi. L'intesa delle europee si incrinò a tal punto che il finale si accese di agonismo: dopo circa un klok (cioè circa un quarto d'ora), Layla aveva 13 falli, Luise 12, Marina 14 e Raya 13. La tensione nervosa divenne insopportabile per la francese, che sbagliò due tocchi consecutivamente, accompagnata dalle grida soffocate di Layla. Fremente dalla tensione, Luise si apprestò al servizio. Caricò il braccio, flettè il busto e... con un urlo di rabbia sparò un colpo fortissimo, verso l'angolo tra il pavimento e il muro laterale, dove la palla faceva i rimbalzi più carichi di effetto. Ma la mancanza di concentrazione le giocò un brutto scherzo: la traiettoria del pallone sembrava leggermente troppo alta. Era impossibile dire se il pallone avesse rimbalzato correttamente, prima sul pavimento e poi sul muro. Ma dopo aver rimbalzato, il pallone ruotava in avanti: era la prova inconfutabile che l'ultimo rimbalzo era avvenuto sul pavimento. L'arbitro fischiò quindi il fallo e l'eliminazione di Luise. Layla, fremente di rabbia, urlò in faccia all'arbitro un insulto: probabilmente non era riuscita a vedere bene come stavano le cose. La punizione fu automatica: fallo tecnico. Ora un altro fallo le sarebbe stato fatale. Ma il servizio spettava ancora a Luise, che prima di uscire dal gioco aveva diritto ad eseguire l'ultima battuta. Tra le lacrime, la francese battè un facile pallone, che Marina si accinse a porgere in modo ancora più facile a Raya. Comprendendo la situazione, Layla si gettò verso il muro con la furia di una pantera, per anticipare la traiettoria del tocco dell'indiana.

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Ma all'ultimo istante Marina ruotò il polso e schiacciò il pallone in modo molto angolato, non verso il muro frontale, ma verso Layla. Era un attacco molto rischioso: se non colpiva Layla non avrebbe avuto nessuna possibilità di arrivare al muro frontale. Ma la norvegese, nella foga della sua azione, non prese le necessarie precauzioni: il pallone la colpì in pieno, dietro la schiena. Un concorrente commette fallo se tocca la palla quando non è il suo turno. Layla era eliminata. Tanta era la gioia di Marina che quasi non le importò quando in seguito commise un fallo banale, che regalò il primo posto a Raya. La sorpresa di Marina fu enorme quando, dopo la cerimonia di premiazione, si accorse che Raya non parlava l'inglese. Evidentemente, durante il time out, aveva semplicemente intuito ciò che la californiana voleva comunicarle. Quando si salutarono, le poche parole che Marina udì da Raya le ricordarono la lingua di Yasai. L'IDO Quella sera, quando Kelir venne a prenderla, Marina le domandò: "Sai, ho provato a fare amicizia con una ragazza, l'indiana che si è classificata prima nel torneo di pallamuro." "Non credo che conosca l'inglese, anche se è la figlia di un importante ministro." "Hai capito il problema. Io non conosco l'indiano, né lei l'inglese. Ma quando mi ha parlato, mi è sembrato che parlasse la lingua di Yasai..." "Il giapponese?" "No, quella con cui si rivolge a te." "Ah, l'ido. Si, può darsi che lo parli." "Ma non è la lingua ufficiale dei Jear?" "Si, ma è facilissima da imparare. Tutta la grammatica è compresa in un testo di undici pagine. Praticamente, l'unico sforzo richiesto a chi vuole parlare in ido è... imparare un po' di vocabolario." "Vuoi dire che potrei impararla facilmente anch'io?" "Chiunque potrebbe impararla. Perché non frequenti il corso di ido?" "Non posso: si sovrappone a quello di storia." "Beh, comunque... se comperi un vocabolario, le regole grammaticali te le posso insegnare io." "Iniziamo adesso." "Va bene, iniziamo. Ma tra poco dobbiamo partire: ci aspetta il concerto. Dunque...iniziamo col dire che l’ido discende direttamente dall'esperanto si legge esattamente come si scrive: non è come l'inglese o il francese. L'alfabeto esperanto originario era composto da 28 lettere, tutte diverse. Oggi, per poter usare le normali macchine da scrivere inglesi, l’ido può usare l'alfabeto inglese con qualche regola di pronuncia." Kelir iniziò a scrivere su un pezzo di carta uno schema, mentre parlava. Kelir spiegò: "Ricordare le parole è semplicissimo: ad ogni concetto corrisponde un radicale, preso in prestito dal latino o, meno spesso, dall'inglese. L'esperanto classico aveva parole derivate dal francese, dal tedesco e dal polacco, ma l'ido moderno preferisce trascurarle. Il meccanismo comunque funziona anche con radicali derivati da altre lingue europee, non riconosciute dall'esperanto internazionale. Al radicale vengono attaccati dei suffissi e dei prefissi, che ne specificano il significato. Ad esempio: prendiamo il concetto del termine cerchio: Il radicale è chirk. Il suffisso -i designa i verbi: chirki = accerchiare -o designa i sostantivi: chirko = cerchio -a designa gli aggettivi: chirka = circolare, a forma di cerchio -e designa gli avverbi: chirke = circolarmente Il plurale si forma aggiungendo la semivocale -y: chirkoy = cerchi Non si segna l'accento, perché cade sempre sulla penultima sillaba. Ogni sillaba contiene una sola vocale. La y e la w hanno sempre valore di consonante. Perciò le parole plurali hanno lo stesso accento delle singolari: chirko si accenta sulla i, così come chirkoy.” Kelir spiegò velocemente le regole di base dell’Ido: verbi, avverbi, aggettivi, pronomi, prefissi, suffissi, … Era tutto semplice e logico, senza eccezioni, facile da imparare.

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"Queste sono solo alcune delle caratteristiche dell'ido: in un corso ti spiegherebbero meglio l'elenco di tutti i prefissi e i suffissi esistenti, con le regole sintattiche. Ma già da questi primi elementi puoi cominciare a parlare, se conosci un minimo di vocabolario. Marina scosse la testa, confusa: "Mi sembra tutto così strano..." "Come al solito. L'ido è la più semplice delle lingue esistenti. Basta farci l'abitudine. Prova e vedrai. Ma ora andiamo: non vorrai perdere il concerto." L'ARPA Dopo un paio di klok (cioè circa mezz'ora), Marina si trovava comodamente seduta nella platea del teatro del quartiere giallo. Lo spettacolo fu avvincente. A Marina, sin da bambina, i Jear erano stati fatti sembrare come dei selvaggi, sanguinari senza scrupoli pericolosi per l'umanità. Eppure alcuni di loro erano su quel palco, traendo frammenti di paradiso da violini, clavicembali, ghironde, chitarre, arpe. L'arpa celtica fu lo strumento che più colpì l'immaginazione di Marina: nei sogni infantili della ragazza, gli angeli passavano il loro tempo sulle nuvole a suonare dolci melodie su arpe di quel tipo. Non poté trattenere una lacrima, quando la triste ballata dell'arpista giunse alla fine. Concluso il concerto, le due ragazze si avviarono vero casa: "Allora, Bella? Che ne dici?" "Amo tutti gli strumenti, ma ho sempre prediletto l'atmosfera che sanno dare gli strumenti a corda." "Sai, stavo pensando che... se tu ricominciassi a suonare la chitarra, il tuo punteggio in artistica crescerebbe molto. Tu sai quanto ne avresti bisogno." "Sì. Sai... l'arte non è mai stata il mio forte. La chitarra è bella, ma... l'arpa... è divina. Che ne dici? Potrei prendere lezioni di arpa?" "Certo. In questo periodo l'arpa celtica ha un grande successo, ormai è di moda. Domani ti porterò dove insegna David Shore, il nostro migliore maestro d'arpa." Il giorno dopo, di buon mattino, Marina si trovava in un gruppo di otto allieve, ciascuna delle quali aveva di fronte una piccola arpa celtica. Come erano difficili i primi passi! Le dita della ragazza, di solito tanto agili, sembravano goffe e impacciate. Quando cercavano di pizzicare una corda, spesso ne toccavano due, oppure si sbagliavano e traevano suoni tanto sgraziati da far stringere i denti al maestro. Gli inizi furono scoraggianti. Il maestro sembrava freddo, distaccato. Tutte le compagne sembravano migliori di lei. Ma ogni volta che il maestro dava una dimostrazione della propria abilità, accarezzando le corde di uno strumento con lo stesso amore che si dedicherebbe a una fidanzata, Marina si tirava su di morale. Non sarebbe mai arrivata all'abilità di David, ma ci avrebbe provato. Quasi prosciugò il proprio conto corrente per comprarsi un'arpa, ma ne valeva la pena. Ormai passava lunghe ore a casa, da sola, ad esercitarsi con quelle lunghe e noiose scale che il maestro le prescriveva. Ma di tanto in tanto abbozzava qualche motivetto, sentendosi un po' in colpa, come se il maestro fosse dietro di lei a corrugare la fronte ogni volta che la melodia si interrompeva per una stonatura. Immaginava gli occhi azzurri di David che la fissavano accigliati, immaginava la sua voce melodiosa che le spiegava con calma ciò che occorreva correggere, immaginava le sue lunghe ed agili dita che con grazia le prelevavano lo strumento e le mostravano il giusto modo di accarezzare le corde. Si era prefissata di studiare tutti i giorni, dopo pranzo, al klok 52 (mezzogiorno e mezza), e dopo cena, verso il klok 78 (le sei e tre quarti). Ma in pratica, ogni scampolo di tempo libero era assorbito dall'arpa. Sembrava che le dita provassero un certo piacere fisico nel sentire il contatto delle corde sui polpastrelli. Lo stesso segreto piacere che provavano occhi guardando David. Dopo circa un mese, cinque delle compagne di corso di Marina iniziarono a saltare qualche lezione. A lei dispiaceva, le sembrava che quelle ragazze, un tempo tanto più abili di lei, stessero tradendo l'ideale di armonia che lei perseguiva da tanto tempo. Tre decadi più tardi, per una concomitanza di impegni di molte allieve, la lezione era quasi deserta: davanti al maestro c'erano solo Marina e una ragazza dagli occhi verdi, coi capelli rossi sempre leggermente in disordine, Margaret.

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Margaret era la più dotata. Era nata negli USA, ma i suoi genitori erano irlandesi, quindi anche lei si considerava tale. Probabilmente concepiva l'arpa celtica come un legame con la sua famiglia, che la aiutasse a dimenticare la prigionia che stava trascorrendo a Namib. Era sempre un po' triste, ma quando suonava si concentrava al massimo: aveva occhi solo per le corde del suo strumento. Dalle poche chiacchiere che aveva scambiato con lei, Marina sapeva che Margaret non aveva un carattere dolce, e infatti aveva avuto più di un problema con la sua tutrice. Forse era per quello, che viveva tanto intensamente il suo rapporto con l'arpa. Margaret e Marina erano le allieve preferite di David. Quando si trovarono soli, in tre in quell'aula che sembrava enorme, David decise che avrebbero deviato un po' dal normale programma di addestramento, in modo da vivacizzare la lezione. Il maestro chiamò a sé le due ragazze, e i tre si sedettero, ciascuno con la propria arpa, a un metro di distanza l'uno dalle altre. "Dunque, ragazze..." Iniziò il maestro, parlando in ido. Perfino le parole in ido, passando attraverso le labbra di David, sembravano più armoniose del solito. "... ormai siete in grado di fare qualcosa di più che una semplice successione di scale musicali. Come sapete, l'arpa nacque come uno strumento per improvvisatori: nessuno degli antichi menestrelli leggeva la musica, mentre la eseguiva. Tu, Margaret, sei già abituata da tempo a suonare questo strumento. Tu, Marina, con un po' di pratica puoi arrivare a fare grandi cose." Ora parlava solo a Marina: "Ti sarai già accorta da tempo che, passando da una corda all'altra, le dita percorrono distanze prefissate. Dopo aver toccato una corda, non si può passare ad un'altra corda qualsiasi: solo alcune delle altre corde possono continuare con successo la melodia." Era ovvio! Quante stonature le erano uscite dallo strumento, fino a poche decadi prima. "Il segreto, Marina, sta nel visualizzare mentalmente non i suoni delle corde, ma le traiettorie delle dita. Suonare l'arpa è quasi un esercizio di geometria: le dita devono saltare un certo numero di spazi in avanti o all'indietro, per trovare una delle corde giuste. Così se parto da un do... " Il maestro fece risuonare la singola, flebile nota. "... devo sapere per istinto che le note che meglio si armonizzano con questa sono il mi e il sol." Nell'aria risuonò armonioso l'accordo di do maggiore, creato dalle tre corde all'unisono. "Ciò che occorre memorizzare non è il suono delle tre note, né tanto meno i loro nomi. La mia mente deve essere concentrata nel seguire le traiettorie giuste, e le mie dita devono toccare le corde giuste come per istinto. Il suono delle corde deve essere solo una verifica della bontà del movimento delle dita: il mio intento deve essere quello di raggiungere la perfezione nelle geometrie del movimento." Il maestro stava esprimendo a parole un concetto che Marina aveva sempre compreso, a livello inconscio. Ma solo ora la ragazza si rendeva conto di quello che il suo istinto le aveva sempre suggerito. Il maestro continuò: "Facciamo una prova. Margaret, come proseguiresti questa linea melodica?" Il maestro suonò per un breve periodo, poi si interruppe. La melodia sembrava sospesa per aria. Margaret la portò a termine, come se leggesse uno spartito, accarezzando il proprio strumento ad occhi socchiusi. Il maestro sorrise: "Brava. Mi sai dire ora quali note hai suonato?" "No... non seguivo i nomi delle note. Ho pizzicato le corde che mi sembravano più opportune." "Esattamente. Marina, vuoi provare anche tu?" L'emozione accelerò i battiti del cuore della californiana, quando sentì la melodia del maestro interrompersi. Era una melodia in la minore? Sì, non c'era dubbio. E quindi, come avrebbe potuto proseguire? Con qualcosa di semplice, come questa scala discendente. Una parte di Marina si stupì che quei suoni armoniosi venissero dal suo strumento. Le sue dita andavano a toccare alcune corde, senza sapere quali suoni ne sarebbero usciti. Ma sapevano che quella era la traiettoria giusta, e che quelle erano le corde giuste. Marina si sentiva come se stesse cogliendo fiori in un prato: le corde giuste erano tutte là, davanti a lei, in mezzo a tutte le altre corde dell'arpa, come i fiori di un campo possono essere dispersi tra i fili d'erba. Ma, proprio come le bianche margherite tra i verdi fili d'erba, le corde giuste risaltavano sulle altre: le dita non avevano dubbi su quali corde pizzicare e quali trascurare. Eppure, fino a qualche decade prima tutte le corde le sembravano uguali!

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Il maestro annuì, con grande soddisfazione. "Ottimo! Ora passiamo a una cosa un po' più difficile: suoniamo insieme. Provate a seguirmi." David iniziò una dolcissima melodia in do maggiore. In breve tempo concluse il giro armonico, e, prima di ripartire, attese qualche istante, lanciando un'occhiata a Margaret. Il secondo giro musicale partì. Ma ora c'erano due arpe, che suonavano contemporaneamente. Margaret e David eseguivano melodie diverse, ma perfettamente compatibili: i suoni si fondevano in un tutto unico e variamente articolato. Poi anche il secondo giro armonico finì. David osservò per un istante Marina, prima di ripartire con un cenno del capo. Marina partì insieme ai due suonatori. Non sapeva quali corde avrebbero scelto i suoi compagni. Non sapeva neppure quali corde avrebbe scelto lei stessa. Sapeva solo che c'erano alcune corde che potevano essere toccate, altre no, e le dita non avevano bisogno di chiedere al cervello per sapere quali scegliere. Marina si sentiva curiosamente divisa in tre parti. La prima era costituita dalle sue dita, che sembravano muoversi per conto loro. La seconda fissava l'arpa, decideva quali varianti immettere nel giro melodico e in quali zone dell'arpa spostare le mani. La terza, rapita, ascoltava la musica emessa dalle tre arpe, che suonavano melodie differenti ma che, nell'insieme, sembravano un unico grande strumento. Ora Marina cominciava a rendersi conto della magia della musica. LA VETTA DEL MONTE FUJI Marina aveva scelto, come mestiere, di fare la musicista: suonava la chitarra e l'arpa nelle cerimonie religiose, alle feste da ballo e ai matrimoni. Non percepiva un salario molto alto, ma il denaro non le mancava mai: partecipava a tutti i tornei agonistici, e non di rado vinceva premi in denaro. Le giornate di Marina sembravano trascorrere tutte uguali, ma, sebbene non se ne rendesse conto, ormai era molto cambiata. Il suo orologio da polso segnava la data 352/2090: erano passati più di nove mesi da quando l'avevano catturata. Nove mesi... proprio quanti ne occorrono per creare una nuova vita. Forse le era successo proprio questo: era tornata a nascere. Non era più la ragazzina stressata, in perenne conflitto coi genitori, che aveva lasciato la California qualche mese prima. Ormai era... maturata: aveva una visione diversa delle cose. La società, i riti, i tabù, i vizi, i conflitti con le persone... tutto quello che in passato le sembrava caotico ma scontato, ora prendeva il suo giusto posto nello schema generale delle cose. Ora apprezzava il fascino delle cose semplici, il piacere di vivere la propria vita senza l'assillo di trovare qualcosa di interessante da fare al sabato sera, il gusto di dialogare con le persone senza le censure dettate dalla buona educazione e dalle buone usanze. Ora aveva il tempo per pensare, e lo usava... per pensare. Quante volte in passato aveva detto "Non ho tempo", oppure "Se ne avessi il tempo allora...". Qui non aveva scuse: qui il tempo c'era, e poteva essere utilizzato. Esigeva di essere utilizzato. La nostra vita è tutto ciò che abbiamo. E ne abbiamo una sola. La nostra vita merita il meglio di noi stessi: merita di essere osservata, valutata, plasmata a regola d'arte. La nostra vita merita di diventare un'opera d'arte. Marina scoprì di essere diventata molto intransigente con sé stessa, quasi pignola. Anche nelle più piccole cose, si chiedeva quale fosse il modo migliore per farle e se valesse veramente la pena di farle. In passato, per pura forza dell'abitudine, aveva difeso a spada tratta quelle che riteneva le sue virtù, ma quando trasgrediva pensava: "Bisogna pur vivere!", quasi come se sapesse chiaramente che quelle vecchie regole di vita quotidiana erano contrarie alla vita. Scoprì di usare sempre meno le parole sempre e mai. Prima non beveva mai alcoolici. Ora sapeva apprezzare il gusto corposo del whiskey di puro malto. Prima non andava mai a letto con un uomo. Ora sapeva apprezzare le abilità personali di uomini che trasformavano un rapporto sessuale in un'opera d'arte. Prima andava sempre a messa tutte le domeniche, anche se quando usciva non ricordava mai cosa avesse detto il prete. Ora era alla ricerca di risposte che la Chiesa non riusciva a darle.

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Marina cominciava a capire che le parole sempre e mai sono molto pericolose, perché abituano a non pensare. Quando si parla della propria vita, non bisognerebbe usarle... quasi mai. Quella mattina, Marina aveva partecipato come al solito alla lezione di judo. Già da tempo l'autodifesa aveva perso ogni attrattiva per lei: un'arte marziale è troppo importante, troppo bella per essere confinata nelle esigenze dell'autodifesa. D'altra parte, chi vuole fare del male agli altri non ha bisogno di spendere tempo e sudore per imparare un'arte marziale: basta comprare una pistola. Ma allora, a che serve un'arte marziale? Praticando il judo, Marina si accorse che le arti marziali hanno un valore intrinseco: sono essenzialmente dei metodi educativi, che utilizzano la lotta come mezzo, non come fine. Esse danno la possibilità di sviluppare e coordinare tutti quei fattori fisici, psicologici ed emotivi che consentono di raggiungere e mantenere un equilibrio psicofisico ottimale ed una tranquillità interiore assoluta, in qualsiasi situazione ci si venga a trovare. La lotta è il più naturale e spontaneo laboratorio di sperimentazione di sé stessi e delle proprie potenzialità nel confronto con gli altri. Il maestro di judo di Marina era abbastanza saggio da non pretendere che la propria arte marziale fosse considerata la migliore. Egli una volta disse: "Un'arte marziale è come un dito che indica la luna: non è il dito che devi ammirare.". Per questo Marina si iscrisse anche al corso di aikido e si procurò un'infarinatura di karate sankukai, karate wado ryu, kung fu wing tsun, escrima. Era vero! Ogni arte marziale pone l'accento su alcuni aspetti dell'utilizzo del corpo, ma l'obiettivo finale è lo stesso: migliorarsi. E Marina voleva migliorare, in tutto. Le abilità che accumulava in un'arte, molto spesso influivano positivamente in tutti gli altri aspetti della sua vita. Aveva notato, per esempio, che era migliorato molto il suo rendimento nel judo, da quando aveva padroneggiato l'arte del suonare l'arpa celtica. Quando lo spiegò al suo maestro, Koike, egli commentò: "Una qualsiasi arte è come un sentiero tra i tanti diretti verso la vetta del monte Fuji: anche se qualche volta cambi sentiero, continuerai ad avvicinarti alla vetta. La vetta è l'obiettivo finale di tutti i sentieri." LA LIBERTÀ Quello stesso giorno, all'ora di pranzo, Kelir fece visita a Marina. Già da tempo, ormai, la californiana conduceva una vita autonoma, e quelle della tutrice erano semplici visite di cortesia. "Ciao, Kelir. Entra, accomodati." Marina si comportò da perfetta padrona di casa, fece accomodare Kelir e si preparò a portarle da bere su un vassoio. "Allora? Che mi dici di nuovo? Quella ragazza... Caterine, quella che hai preso sotto tutela la settimana scorsa, si comporta bene?" "Fa un po' i capricci, proprio come facevi tu. Ma credo che si calmerà tra qualche giorno. Mettiti a sedere: oggi sono in visita ufficiale." Kelir attese che Marina si accomodasse. "Vedi, Bella, il tuo comportamento è andato oltre le aspettative: hai raggiunto il punteggio più alto che io abbia mai visto, superiore anche a quello di molte jear. Te ne sarai già accorta da tempo, visto che il tuo reddito dipende dal punteggio." Era vero. Spesso Marina si era chiesta come mai le sue "buste paga" erano più alte della media delle altre allieve. Kelir continuò: "Sono venuta per farti l'annuncio che tanto speravi: quando desideri puoi fare l'esame di maturità. La commissione aspetta solo di sapere quale sessione preferisci. Per l'esame non devi avere nessun timore: è praticamente una formalità, visto che due dei tuoi esaminatori sono David, per il settore artistico, e il tuo maestro di judo, Koike, nel settore di educazione alla cura del corpo. Gli altri due esaminatori non li conosci, ma vedrai che non ti metteranno in difficoltà. Quando vorrai, tornerai libera come un uccellino". Marina ascoltò attonita, e sentì scorrere le proprie lacrime ai lati del naso. Abbracciò la jear, di slancio. "Oh, Kellie... non so che dire..." "Non c'è bisogno di dire niente. Fa questo esame, e fatti onore, Bella!" Marina, asciugandosi il viso, si guardò intorno. "Sai... penso che tutto questo mi mancherà." "Sarebbe un guaio, se non fosse così. Ma non ti preoccupare: quando vorrai tornare, potrai sempre farlo. Se gli Ennie ti lasceranno andare." "Ah, se fosse per mio padre, probabilmente potrei anche stare qui." "Non essere crudele coi tuoi genitori, Bella. Tu non puoi capire il dolore che probabilmente la tua scomparsa ha causato. Anche se tuo padre non ti dimostrava apertamente il suo affetto, tieni presente

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che nel mondo degli Ennie le convenzioni sociali possono stritolare l'affettività di un maschio. Non è colpa sua: probabilmente lui si comporta come ritiene che il suo ambiente si aspetti da lui. E' molto raro che gli uomini siano sé stessi, nel vostro mondo." Marina rimase sovrappensiero per qualche istante, guardando il pavimento. "Chissà. Forse hai ragione. Vedremo. Quando posso dare l'esame di maturità?" "Le date delle sessioni sono nell'opuscolo dei regolamenti. La prossima sessione è appena prima della festa di fine anno, in data 363. Ci mancano dieci giorni." "Dieci giorni? Dovrò lavorare sodo!" "Ti basterà ripassare un po' di storia e di filosofia, mentre per il resto... tieniti un po' in esercizio. Ti assicuro che hai tutti i numeri in regola." La decade seguente fu la più faticosa del soggiorno di Marina: ogni volta che si metteva a studiare si stupiva di quante cose avesse dimenticato. Ormai le arti marziali e l'arpa erano diventati una valvola di sfogo: le servivano per mantenere i nervi a posto. La data degli esami arrivò. La prova scritta di matematica e logica simbolica non le diede alcun problema. Anche le nozioni di informatica erano pienamente sufficienti. Qualche difficoltà arrivò dall'esame orale di storia, ma non ci fu nessun dubbio serio sul risultato finale. Comunque le prove più grandiose furono date nel saggio musicale e in quello di kata di judo. Per quanto riguarda il voto finale, le alte valutazioni che aveva conseguito in passato, nonché gli altissimi punteggi guadagnati nei tornei agonistici, le assicurarono una presentazione di tutto rispetto. La sufficienza stretta del voto di maturità era 50. Marina quasi non credette ai suoi occhi, quando la sera stessa del giorno 363 lesse sulla tabella, accanto al suo nome, il voto 91. In tutta la sessione, era il più vicino al massimo teorico, 100. CARPE DIEM I tre giorni seguenti, 364, 365 e 1, erano tutti festivi: le feste di fine anno costituivano il triduo finale ed erano la più importante occasione festiva dell'anno. Marina partecipò a quasi tutte le occasioni mondane, in compagnia delle sue varie amicizie. Quasi non ci aveva creduto, quando Kelir le aveva chiesto di restituirle la veste bianca del noviziato, e in cambio le aveva portato una morbidissima veste di similseta verde smeraldo, con sottili ed elaborati fregi gialli e rossi sul petto. Sembrava una imperatrice cinese, quando entrava in una sala da ballo, e sentiva puntati su di sé gli ammirati occhi di tutti. Sarebbe potuta partire anche subito, ma preferiva partecipare ai festeggiamenti di Namib. Una sera, David, che già da tempo aveva mostrato di avere un debole per lei e per Margaret, la invitò a ballare un lento. Guancia a guancia, l'atmosfera sembrava fatta apposta per sciogliere i cuori, quando il musicista le sussurrò all'orecchio. "Sei bellissima, Marina." "Grazie. Anche tu non sei male." "Non sto scherzando. In questo periodo sembri essere raggiante più del sole. Posso farti una domanda?" Marina sembrò imbarazzata, e arrossì abbassando lo sguardo. "Si, certo." "Ora che stai per andartene, me lo puoi dire. Perché hai sempre rifiutato le mie proposte di estasi?" Marina arrossì violentemente. "Ma io... veramente pensavo che tu... che a te piacesse di più Margaret." "Questo non c'entra, Marina. Tu sei uno splendente giglio tigrato, mentre lei è una vellutata rosa rossa. La sua bellezza non può offuscare la tua, né viceversa. Siete entrambe belle quanto la vostra gioventù può concedervi, ma il fascino di una non può competere con quello dell'altra." "Si, lo so, ma..." "Ma cosa? Eri forse gelosa di lei?" "Forse... si. O forse, meglio... credo di avere avuto paura di innamorarmi di te." David restò esterrefatto. "Paura? Di me? Forse mi consideri pericoloso?"

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Marina appoggiò la guancia sul petto del compagno di danza. "Vedi, David... Io ho sempre saputo che qui sono solo di passaggio... con quale coraggio potrei tornare a casa se qui si trovasse l'uomo che amo?" "Ma non ti ho chiesto di sposarmi." "Si, lo so. Ma devi capirmi... per tutta la vita ho sognato un certo tipo di matrimonio. Un matrimonio classico, tradizionale. Oggi sono più consapevole, sono più preparata, non sono più la verginella sprovveduta di un tempo. Mi sono estasiata con molti uomini, ma il piacere che ciascuno di loro ha potuto darmi è rimasto sulla pelle, non è penetrato nel cuore. Se mi estasiassi con te... Non sarebbe più una semplice estasi. Sarebbe un vero e proprio fare l'amore. E il giorno in cui me ne andassi, mi si spezzerebbe il cuore." David rimase in silenzio alcuni attimi, osservando gli umidi occhi della donna. "Povera ragazza mia. Hai paura della troppa felicità, e di ciò che proverai quando sarai costretta a rinunciarvi. Hai torto, Marina. Io posso capire la tua difficile situazione, ma hai torto. Se il piacere di oggi supererà il dolore di domani, dipende solo da te. Cosa credi? Che sia meglio non avere mai amato piuttosto che soffrire d'amore? Ti sbagli. La gioia di oggi e la tristezza di domani sono due facce di una stessa medaglia: sta a te decidere su quale delle due fissare maggiormente lo sguardo. Io sono qui per te, ora. Domani sarà un altro giorno, io sarò un altro uomo e tu sarai un'altra donna. L'atmosfera di questa sera non tornerà mai più indietro. Nella tua vita potrai avere tante occasioni affettive, tutte diverse. Non si tratta di stabilire quale sarà la migliore di tutte: saranno tutte uniche. Così come questa sera è unica. E' come un fiore che sboccia una volta sola e che ti chiede di raccoglierlo. Se non lo farai, incontrerai altri fiori, in futuro, ma forse la loro bellezza sarà offuscata dalla tristezza del pensiero del primo, bellissimo fiore che hai rifiutato. La bellezza di oggi non sminuisce quella di domani. E' vivendo bene il presente che si valorizza al meglio il futuro. Il nostro ballo ormai sta finendo, tra poco ti lascerò tra le braccia di un altro. Hai paura di amarmi? Io da tempo ti amo. Ed è per questo che ti lascio libera. Libera di tornare da me quando vorrai. Libera di cercare da altri uomini ciò che io non avrò saputo darti. Libera di trovare in me ciò che nessun altro ti darà mai. Io stasera ti aspetterò. Se vorrai venire a casa mia, non cercare di mettere a tacere il tuo cuore." Il lungo, dolcissimo bacio che le diede rese superfluo qualsiasi tipo di saluto. Quella notte Marina rincasò piuttosto tardi. Guardò l'arpa, fissandola per lunghi attimi. Poi distolse lo sguardo, scosse lievemente il capo e andò a dormire. Il risveglio fu brusco. Le sirene d'allarme suonavano senza posa. I corridoi erano pieni di gente che, con gli occhi gonfi di sonno, correva verso i rifugi antiatomici. Marina, ancora intontita, si infilò velocemente la veste e corse, prima ancora di pensare a dove si sarebbe diretta. Un sordo rimbombo seguì un sinistro tremolio del pavimento. Finalmente Marina trovò l'ingresso di un rifugio. Ci si precipitò dentro. Una seconda esplosione, fortissima, scosse i muri. Il rumore penetrava nello stomaco. Nulla sembrava stare fermo. Buio. Silenzio. Poi una sequenza molto veloce di esplosioni, tutte incredibilmente potenti, ma molto lontane. Poco dopo il silenzio era violato solo dai repressi singhiozzi di alcune delle ragazze che si erano rifugiate insieme a Marina. Tornò la luce. Il megafono interno al rifugio si animò di una voce innaturale, un po' metallica: "Cittadini di Namib! Chi vi parla è Lou Cheng, presidente della vostra città. Abbiamo subìto un attacco missilistico. I missili, partiti dall'Etiopia, sono stati identificati ed intercettati troppo tardi. Non erano missili teleguidati, né intelligenti. Molti dei missili lanciati erano fuori rotta, così abbiamo potuto concentrare le nostre forze aeree per abbattere la maggior parte di quelli che avrebbero raggiunto il bersaglio. Purtroppo due di essi ci sono sfuggiti, ed hanno colpito la città.

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Il primo ha gravemente danneggiato le colture idroponiche sud-orientali, colpendo anche parte del quartiere viola. Il secondo ha raggiunto il cuore della città: il quartiere giallo è andato distrutto, mentre gravi danni hanno subito i quartieri verde, rosso e nero. Il numero delle vittime sarà reso ufficiale col primo notiziario. L'unica raccomandazione che posso farvi è questa: mettetevi in contatto al più presto col centro di raccolta dati, per segnalare le vostre condizioni fisiche e la vostra disponibilità a partecipare ai lavori di aiuto e riparazione. Dopodiché attendete gli ordini che vi verranno impartiti attraverso il videoschermo. Se siete bloccati resistete con calma. Se siete liberi di muovervi non intasate le vie di comunicazione, ma attendete gli ordini. Le squadre di soccorso sono già all'opera. In questo difficile momento, Namib ha bisogno di voi: non peggiorate la situazione diffondendo il panico. Ripeto: restate calmi e segnalate al centro raccolta dati le informazioni che possono tornare utili. Lou Cheng, dalla Sala Centrale del quartiere nero, vi saluta e vi esorta a mantenere alto il morale." Quando Marina rientrò nel suo alloggio, la situazione generale era tornata quasi alla normalità. Andò al terminale pubblico e trasmise i suoi dati al computer centrale. Aveva dovuto accompagnare nel loro alloggio due allieve terrorizzate, che non avevano potuto trovare il conforto delle loro tutrici. Ora, sdraiata sul letto, al buio, comprese in pieno le implicazioni di ciò che era successo. Le armi atomiche erano state bandite dal conflitto dal congresso di Berna, pochi anni prima: poiché entrambe le razze le possedevano, sarebbe stato suicida non rispettare i patti e scatenare un conflitto finale. Per attaccare le due città jear occorreva bombardarle dall'alto. Gli aerei non avrebbero avuto il tempo di fare neppure metà del percorso: tutte le basi aeree più vicine erano state distrutte. Evidentemente erano stati raccolti in una base etiope un gran numero di piccoli missili esplosivi ad alto potenziale. Non potevano essere teleguidati, perché l'antiaerea avrebbe potuto disturbare con interferenze la trasmissione del telecomando. Non potevano essere missili intelligenti, perché sarebbe stato possibile interferire elettronicamente con i loro sistemi di rilevazione, e poi un'alta concentrazione di armi intelligenti avrebbe dato nell'occhio. Erano stati scelti i missili terra-terra non controllati. Poco precisi, ma velocissimi e impossibili da sviare: l'unico modo di fermarli era abbatterli. Ma questo voleva dire anche che il governo responsabile di quel lancio aveva deliberatamente messo a repentaglio la vita dei tremiladuecento ostaggi. Probabilmente alcuni di questi ostaggi erano già morti: il quartiere giallo era andato completamente distrutto. Marina ripensò con nostalgia al vecchio quartiere giallo: il teatro, i concerti... la casa di David! David abitava nel quartiere più colpito dal bombardamento! Un fremito percorse la schiena della ragazza, e quella notte non riuscì a dormire. Il giorno dopo, all'alba, Marina si mise in coda per il terminale pubblico. Quando fu il suo turno, fece scorrere la lista dei morti identificati e... Se non l'avessero sorretta sarebbe caduta a terra. In mezzo ai numerosi nomi dei caduti, il nome Shore David sembrava volersi confondere. Non spiccava minimamente. Era solo uno dei tanti. Ma quelle poche lettere sembravano allungare dallo schermo invisibili mani che torcessero lo stomaco di Marina. Marina non voleva piangere. Ma sentiva i singhiozzi arrivare dalle viscere, come la lava di un vulcano. Sentiva le lacrime inarrestabili, che salivano tra le ciglia come la marea tra gli scogli. E soprattutto sentiva un'invisibile piovra nel petto, che sembrava volerle stritolare il cuore. Non urlò. Dalla sua gola uscì un rauco ruggito sommesso, interrotto ritmicamente dai singhiozzi. Riuscì a tornare nel suo alloggio, a sdraiarsi sul suo letto. Pensò a David, al suo viso l'ultima sera che s'erano visti, a cosa le aveva detto.

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Io sono qui per te, ora. Domani sarà un altro giorno, io sarò un altro uomo e tu sarai un'altra donna. L'atmosfera di questa sera non tornerà mai più indietro. Marina sospirò. Hai paura di amarmi? Io da tempo ti amo. Ed è per questo che ti lascio libera. Libera di tornare da me quando vorrai. Libera di cercare da altri uomini ciò che io non avrò saputo darti. Libera di trovare in me ciò che nessun altro ti darà mai. Marina singhiozzò. Se il piacere di oggi supererà il dolore di domani, dipende solo da te. Marina urlò. LA RELIGIONE. Ci volle qualche decade perché Marina fosse pronta a partire da Namib. Lavorava duramente, partecipando attivamente alla ricostruzione dei settori distrutti della città. In quel modo si teneva la mente occupata, riuscendo a non pensare a David. Ma, nei momenti di libertà, la colpiva una profonda depressione. In quei giorni Kelir le stette accanto molto premurosamente. Una sera, dopo un ennesimo massacrante turno di lavoro, Marina ricevette una visita di Kelir. "Ciao, Bella. Non mi sembri in gran forma." Era gentile ad esprimersi così! In verità, Marina stava trascurando molto il suo fisico: era pallida, dimagrita, in disordine. E stava assumendo un caratteraccio. "Se sei venuta a farmi la predica, puoi tornare a casa." "No. Non voglio continuare ad essere la tua tutrice. Non ne hai più bisogno, ormai. Ti voglio solo parlare come amica." Le due donne si sedettero sul letto. Marina continuava a tenere fisso lo sguardo sul pavimento. Kelir, lentamente, le si avvicinò e la baciò. Poi disse, quasi sottovoce: "Non ti servirà a nulla seppellire nel cuore quella brace che ti sta ardendo dentro. Se vuoi piangere, fallo. Ti sentirai molto meglio." "Io... non voglio... piangere...". Dopo pochi istanti Marina abbracciò l'amica e ne inondò di lacrime la spalla. Scanditi dai suoi singhiozzi, passarono lunghi minuti. Ma Kelir aveva ragione: ci si sentiva molto meglio, dopo aver pianto. Quando si sentì pronta a parlare, Marina sollevò lo sguardo: "Perché tutto questo? Perché proprio lui? Era il migliore di tutti. Perché Dio ha voluto lui e non me?" "Non lo so, Bella. Ma, per quanto ne so, raramente Dio prende in considerazione il nostro parere, quando decide." "Si, già. Tu in Dio non ci credi!" "Non è esatto. Non credo nel Dio dei Cristiani." "Ah!" esclamò beffarda Marina "Pensavo che voi Jear foste troppo forti ed autosufficienti per avere bisogno di un Dio!" "La nostra forza è quella che è, e tutti ne siamo consapevoli. Credere in un Dio non ti rende più forte: serve solo ad affrontare meglio la realtà. E a tirare avanti. A che ti serve essere cristiana, se ti lasci andare così? Se il tuo Dio esiste, sicuramente non è contento di vederti così." "Già. Se esiste!" Marina riflettè per qualche attimo, prima di continuare. "Kellie, sono così confusa! Una si dà da fare, va a messa, prega... Poi crede di avere aperto gli occhi, e per un po' abbandona le celebrazioni religiose... e Dio la punisce così!" "No, Bella. Se il motivo per cui vuoi riacquistare la Fede è solo il timore di una punizione, lascia perdere. Una religione del genere ti farebbe più male che bene. Come vivresti d'ora in poi? Con il terrore di dimenticarti di andare a Messa? Ogni buona religione è nata per migliorare la vita dei fedeli, non per peggiorarla. Se Dio esiste, non ti ha voluto punire. Ha solo voluto mandarti un messaggio, e tocca a te decifrarlo." "Vuoi dire che Namib è stata bombardata solo per mandarmi un messaggio?" "No. Namib è stata bombardata perché era necessario, dal punto di vista degli Ennie. Ma Dio potrebbe avere approfittato degli avvenimenti per mandarti un messaggio." Marina sorrise, sarcastica. "E a te, non è arrivato nessun messaggio?" Senza scomporsi, Kelir rispose. "No. Ma non me ne stupisco. Io non credo nel tuo Dio." Marina scosse la testa, e fissò la finestra per un po'. Poi, senza distogliere lo sguardo, ricominciò a parlare.

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"Kellie, come fate a non credere in un dio? Che significato date, voi Jear, a tutto questo? Come sopportate i dolori della vita?" "I Jear non hanno una religione ufficiale. Molti sono atei, ma la ricerca della dimensione spirituale è sempre molto viva. I nostri storici hanno lavorato molto alla ricerca delle origini delle vostre varie religioni, e molti di loro hanno abbracciato una qualche Fede. Tra i Jear ci sono Cristiani, Musulmani, Buddisti, Taoisti, Induisti, e non solo. Ma difficilmente riconosceresti nella pratica religiosa di un Jear quella cui sei abituata. Purtroppo, col passare dei secoli, ogni Fede religiosa si è contaminata: l'insegnamento del Maestro originario è stato corrotto dalla mediocrità della maggioranza dei suoi discepoli. Invece, quando un Jear abbraccia una Fede, accoglie in sé la dottrina originaria, l'essenza del suo messaggio. Un Jear cristiano, per esempio, persegue la semplicità della vita, il perdono, la povertà, l'altruismo, ma non si sogna nemmeno di ammettere l'infallibilità del Papa, o il sacramento della Confessione. Tutto ciò che non è venuto da Cristo, viene scartato. San Paolo, l'uomo che dopo Cristo ha contribuito più di ogni altro alla dottrina cristiana, è considerato un deviatore, un autore di eresie. Il Cristianesimo dei Jears è molto lontano dalla Chiesa Romana. Allo stesso modo, il Jear taoista è molto lontano dai riti della Cina; il Jear musulmano è molto lontano dall'Islam ufficiale; e così via." "E tu, Kellie? Tu sei atea?" "Non proprio." Kelir si accomodò meglio sul letto, prima di continuare, e riflettè per qualche lungo istante. "Io credo che esista un principio superiore, al quale noi esseri umani e tutto ciò che ci circonda siamo assoggettati: io lo chiamo Tao. La filosofia della mia vita è abbastanza vicina al Taoismo, ma per alcuni aspetti mi avvicino al buddismo Zen." "Taoismo? E perché non hai scelto il Cristianesimo?" "Perché non fa per me. Non è nel mio carattere esaltare la debolezza, pregare un Dio che non mostra di ascoltarmi, sentirmi perennemente in colpa per il fatto di essere una peccatrice. Sono convinta che, se Dio esiste, non è come lo immaginano i Cristiani." "Come fai ad esserne convinta? Che prove hai?" "Non esistono prove. E' questo che mi insospettisce: il concetto di Dio è fatto in modo che non sia possibile provarne l'esistenza o la non esistenza. Se non lo vedi, è colpa tua: non hai abbastanza Fede. Se ti accade qualcosa di spiacevole, è perché Lui ti vuole mettere alla prova. Se qualcosa ti rende felice, è perché Lui ti ha concesso la Sua grazia. La Sua «Verità» sembra fatta apposta per confondere le persone razionali. Ama i tuoi nemici. Beati gli ultimi, perché saranno primi nel regno dei cieli. Beato chi crede senza vedere. E' tutto troppo perfetto. E' troppo comodo essere Dio, a queste condizioni." "Eppure molti Martiri hanno offerto la propria vita, per difendere la Fede!" "A maggior ragione, non credo in Dio! La Sua «Verità», quella con la «V» maiuscola, ha bisogno che si muoia per lei! Altrimenti, chi la crederebbe mai? Ma la verità vera, quella autentica, non ha bisogno della lettera maiuscola. Non ha bisogno di essere difesa, e non chiede a nessuno di rinunciare alla propria vita per lei. Il Cristianesimo mi sembra solo una gran fregatura, creato ad uso e consumo di due generi di persone: chi non si sente abbastanza forte da affrontare la realtà razionalmente, e chi è abbastanza spregiudicato da approfittare della devozione altrui." Marina attese qualche istante in silenzio, prima di chiedere: "E allora, tu che giustificazione trovi per tutto ciò che è successo?" "Il dolore che provo per gli amici che ho perso è soltanto dovuto alla relatività del mio insignificante punto di vista. Il Tao non è interessato a ciò che accade a me, esattamente come io non sono interessata alle lotte tra insetti all'interno delle colture idroponiche. Quello che conta è il risultato finale. Chi sopravvivrà avrà avuto ragione. Il sacrificio di David non sarà stato inutile, se ti spingerà a batterti con decisione per le sue idee. Il suo spirito, cioè le sue idee, continueranno a sopravvivere in te e in tutti i suoi cari.

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La morte di David è spiacevole, ma deve avere lo scopo di rafforzarti. Ciò che non ti distrugge, ti deve rendere più forte." Marina si mosse, irrequieta, cambiando posizione sul letto. Kelir continuò, addolcendo la voce: "Bella, la tua mente è uno specchio d'acqua che riflette la realtà, e la morte di David è un sasso che ci è caduto dentro e ne ha sconvolto la superficie. Ora la realtà ti sembra distorta, orribile. Lascia che la tua mente si calmi. Quando un sasso cade in un lago, subito ne sconvolge la quiete, ma poi ne innalza le acque, avvicinandole al cielo." "Kellie... Ci sai fare, tu, con le parole!" "Non ho nessun merito. Non sono parole mie: appartengono ai classici della filosofia orientale. Ora ti lascio. Hai bisogno di riflettere. Nel frattempo, fammi un favore: mantieni in ordine questo bel corpicino. Ti può sempre servire!" Dolcemente, Kelir accarezzò l'amica e la baciò. Poi se ne andò, silenziosa come la notte. Quella notte stessa, Marina si mise in ordine, telefonò a Yasai, l'etèro, poi uscì. Sentiva il bisogno di farsi stringere tra le sue braccia. Il piacere è il miglior antidoto contro il dolore. Due giorni dopo prese l'aereo per tornare dai suoi genitori, in America.

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