Enrico Coppola - Breve Interpretazione Commento Ed Epifania Di Un Incubo

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PREFAZIONE

Voler ringraziare ogni singola persona, cosa o animale che lo meriti, senza neanche voler peccare di prolissità, sarebbe impresa ardua, anche se avessi a disposizione il doppio delle pagine e il doppio dell'inchiostro. Enrico Coppola

Questo racconto è stato scritto, stampato (e sarà letto) con la benedizione dell'Associazione per la Libera Espressione (ALE') di Solofra (AV)

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“Breve analisi, commento ed epifania di un incubo”

NOTA PER IL LETTORE: Il protagonista di questo racconto non ha un nome preciso, pensate a lui come un qualsiasi signor *******

I Racconti dell'Associazione per la Libera Espressione

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Una radiosveglia dal design tipico di fine anni ’80 risuonò dall’alto di un comodino in noce acquistato per pochi euro al Megastore vicino casa. Si svegliò in una pallida mattina ventosa d'inverno, il vetro sottile della finestra a malapena frenava le spallate del vento, dando come l'impressione che stesse per rompersi e andare in frantumi da un momento all'altro. Era il suono di un'altra giornata, il suono che la faceva cominciare, che dava vita a quel processo biologicosentimentale che sembrava aver trovato un attimo di pace nella notte. Invece no, era lì, ancora. Fame. La ricerca di qualcosa da mangiare era per lui qualcosa di asfissiante, di insopportabile; come entrare in una camera a gas. I piedi freddi sulle mattonelle grigie si erano addormentati; se non altro almeno qualcosa di lui dormiva... Con la stessa passione di uno spalatore di letame si versò una tazza di caffè; sorseggiando lentamente guardò i gatti nella nebbia. Un'orrida quiete faceva da regina, mentre gli alberi sembravano ancora dormire, umidi e calmi. Ad accompagnare lo spettacolo del risveglio della città era un sibilo leggero e gelido del vento attraverso le finestre, un sibilo che diventava fischio, trillo, allarme, strillo di qualcuno in cerca d'aiuto. Silenzio. La sterile luce dei neon dell'ufficio postale aveva

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dato, la notte prima, uno strano sapore d'alba all'oscurità che li avvolgeva. L'alba era arrivata, ed aveva spazzato via quello strano sapore. Nel lungo attimo che precedeva un'altra folata di vento, egli respirava: la sua lingua si liberava dalla morsa dei denti, e un'altra generosa quantità di caffè inondava ancora la sua bocca. Si chiuse la porta alle spalle e scese, ascoltando l'eco dei suoi passi salire per le scale mentre lui si allontanava, scendendo. Il portone pesante spezzò quel labirinto di specchi che rifletteva i suoi passi in ogni direzione: uscì. Per quanto si sentisse stanco, spossato, nervoso e infreddolito, non si distingueva tra la folla né per aspetti positivi né per aspetti negativi; considerò il che un bene e tirò dritto. Per quanto si sforzasse di guardarsi intorno, nessuno sembrava accorgersi di lui: tutti assorti a fare quel che dovevano senza degnarlo di uno sguardo, neanche uno cattivo. Davvero era così insignificante la sua presenza nel mondo? I piedi cominciarono a fargli un po' male a causa del lungo camminare sul porfido con delle scarpe di tela: perché diavolo se le era messe? Faceva freddo e soltanto un idiota come lui poteva scegliere quel tipo di scarpe; poi, per ripararsi dal freddo eccessivo, aveva messo due paia di calzini: un paio di spugna e uno di lana. Non

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avrebbe fatto prima a mettersi un paio di scarpe invernali? Pioveva, e le pozzanghere a terra facevano da finestre su un mondo capovolto. Era quasi piacevole straniarsi in quell'acqua sporca di olio e gomma bruciata, fingersi Narciso e guardare sé stessi, nella medesima pozzanghera. Ecco, in quel momento cominciò a rendersi conto di quanto fosse stata bislacca l'idea di mettersi un paio di scarpe di tela in una giornata d'inverno dal tempo incerto. Aveva voglia di strangolare l'uomo delle previsioni, che tra l'altro l'aveva avvertito la sera prima, dalla sua casetta quadrata, che l'indomani il tempo sarebbe stato variabile. Era davvero insopportabile quell'omino squallido che gli girava in testa dicendogli: "te l'avevo detto... te l'avevo detto...". Aveva voglia di farlo fuori, davvero, con tutte le sue forze; aveva voglia di farlo fuori e prese un cornetto al bar lì vicino, avendosi trovato in tasca un paio di spiccioli. Pensò che poteva risparmiarselo dopotutto... il cornetto, non l'uomo delle previsioni, che a pensarci bene l'aveva avvertito e non era stato poi tanto malvagio come avvertimento... Nel senso che lui l'aveva detto davvero che l'indomani avrebbe piovuto, forse, quindi avrebbe fatto bene a mettersi un paio di scarpe invernali e a portarsi un ombrello, magari, e magari anche a vestirsi in modo più decente, e magari anche a farsi la barba visto che doveva andare a lavorare. No, non avrebbe fatto per niente una

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buona impressione, e non avrebbe certamente ricevuto una promozione, quel giorno. "Te l'avevo detto... te l'avevo detto". Camminava veloce sotto la pioggia, e camminava un po più lento sotto i balconi e i portici per godersi qualche lieve istante senz'acqua sulla testa. Camminava con le sue scarpe di tela ormai zuppe d'acqua, camminava, e con le sue scarpe di tela ormai zuppe d'acqua schiacciò un insetto sotto al portico davanti alla gelateria... ...dopotutto non era così insignificante la sua presenza nel mondo. Sentiva ancora le zampette dell'insetto schiacciate sotto le sue Converse (recentemente acquistate al grido di: “Evviva il consumismo!!”) quando schiacciò di nuovo qualcosa: il pulsante dell'ascensore che avrebbe dovuto, di lì a poco, portarlo in un posto angusto e sudicio chiamato "ufficio". Odiava l'ascensore, specialmente quando era pieno, e quel giorno lo era... Una signora con un passeggino vuoto: il pupo frignava e non aveva voglia di stare seduto né tanto meno di dormire, figuriamoci... un vecchio signore con un bastone e con un cappotto elegante, un uomo in giacca e

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cravatta antipatico a primo acchito, una signora anziana che fissava il vuoto, una ragazza carina con un maglione a righe nere e marroni e, cosa che attirò la sua attenzione, un cameriere con le lentiggini e con 3 caffè sul vassoio. I caffè erano ricoperti da piccoli pezzi di carta stagnola che rilucevano sotto i neon pallidi, facendo brillare le gocce di pioggia che vi erano cadute quando aveva attraversato la strada. Aveva sonno, e stava pensando a come fosse strano il fatto che quando si è svegli si è tremendamente superficiali, nonostante si abbia il presunto controllo totale delle proprie forze; magari, se avesse dormito di più la notte, o meglio, se non avesse avuto l'insonnia, o meglio, se non avesse avuto i problemi che gli causavano l'insonnia, probabilmente non avrebbe mai notato le goccioline sulla stagnola, e non starebbe neanche perdendo tempo a guardare il vuoto! ... "E' per caso diventato sordo? Le ho appena detto di non star lì a perdere tempo a guardare il vuoto! Esca immediatamente da quell'ascensore e timbri il suo cartellino: non la pago per dormire!" Era il signor Martins, il suo capo: era brutto, era burbero, era terribilmente antipatico quella mattina, ma non lo era di solito, o meglio, era antipatico a tutti ma lui ci trovava qualcosa di simpatico sotto tutti quei peli

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bianchi. Era soprattutto l'ora di muoversi, così si incamminò verso la sua scomoda poltrona di similpelle, quelle che se le guardi ti comincia già a sudare il culo, e si mise al PC. Doveva scrivere un articolo sul degrado che le stazioni ferroviarie e metropolitane stavano raggiungendo negli ultimi mesi; specialmente dopo l'omicidio di quel signore, in effetti, anche lui avrebbe avuto un po di fifa ad aspettare da solo un treno nel bel mezzo del niente, laggiù vicino al campo di calcio, magari di sera... Effettivamente non lo avrebbe mai fatto neanche prima dell'omicidio. In ogni caso restava da scrivere l'articolo, neanche quello l'avrebbe mai fatto, ma doveva. Durante la gita quotidiana della freccina del mouse attraverso il desktop, passò, quasi senza volerlo, sul file di testo che aveva cominciato a scrivere la notte prima: gli era sempre sembrato strano rileggersi, non era una sensazione gradevole, e poi Eddie gli stava portando un cappuccino e l'idea che potesse leggere quello che aveva scritto, fosse stato anche solo per gioco, gli dava terribilmente fastidio. Tuttavia, non chiuse la pagina Word, e decise di leggerla ancora un po': ci stava lavorando da qualche tempo, a quel suo libro, magari lo avrebbe tirato fuori dalla miseria in cui viveva, magari no, ma perché non tentare?

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Era un libro che parlava di un ragazzo più o meno come lui, solo più affascinante, che si trovava (ancora non si sa come... non è detto che tutti i libri debbano cominciare dall'inizio) in un posto oscuro e magico, con demoni e mostri; insomma qualcosa di commerciale che vendesse... aveva bisogno di soldi. Eddie gli portò il cappuccino e lui chiuse di scatto la finestra, salvando i cambiamenti che aveva apportato al testo.

Era solo, e solo correva, e solo camminava, immerso nel buio di un'acida notte dal sapor di fanghiglia. Solo, ma tra una massa stritolante di persone, solo. La luna balenava dietro al mare, vincendo le tenebre e illuminando quella che, forse, era l'ultima curva: l'ultimo miglio, nero e umido. Ciechi demoni correvano nella notte, accorgendosi di lui, ma sentendolo come uno di loro, nelle sue vene scorreva la stessa cattiveria, la stessa voglia di violenza, di orrore; un filo rosso sangue che univa due menti. Pensava... No, non era l'anima quello che davvero lo legava a quel mondo, ma la sua pazza razionalità; era cosciente di quel che faceva, solo andava avanti. Mentre cercava qualcosa al contempo evitava quella stessa, gli fuggiva disperatamente, finché non si vide contro la realtà con le sue lame luccicanti carezzargli la schiena e costringerlo a terra, sconfitto, vinto, mutilato della sua stessa anima...

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Negli occhi del collega c’era un bagliore idiota tipico di chi ha appena avuto un momento di epifania, e che non scoprirà mai che in realtà non ha capito una singola sillaba, così parlò: "Dì la verità, stavi guardando un video porno? Concluse l'articolo entro la giornata, era un brutto articolo, ma dopotutto lavorava per un brutto giornale con un brutto caporedattore, che però non era proprio brutto... era semplicemente pittoresco. E poi il suo articolo era meglio di quanto si leggeva su gran parte dei giornali e questo bastava, almeno per ora. Entrò nell'ascensore con Eddie, che intanto gli aveva offerto un passaggio. Non gli piaceva proprio quell'ambiente lì: erano solo in due adesso, e c'era odore di caffè, di sudore, di profumo scadente, di shampoo. Gli faceva proprio schifo l'ascensore. Rifiutò il passaggio e ringraziò, salutando Eddie con una pacca sulla spalla. La porta girevole che da tempo elemosinava una misera goccia d’olio cigolò, presente, al suo ennesimo passaggio, lasciandolo in balia di quel fiume in piena che era la strada. Freddo, aria fredda, aria di neve, aria di Natale. Il freddo non gli aveva mai dato troppo fastidio (non come il caldo, in ogni caso) e poi almeno col freddo basta coprirsi, col caldo soffri anche se ti spogli. Se i suoi piedi avessero avuto le mani lo avrebbero preso a pugni, e se avessero avuto il cervello se

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ne sarebbero probabilmente andati lasciandolo irreparabilmente mutilato: invece rimasero lì, attaccati a quel corpo debole e umido... non è una cosa buona quando i vestiti ti si asciugano addosso. Tra uno starnuto ed una fitta alle tempie raggiunse la via principale che avrebbe dovuto riportarlo a casa in 15, al massimo 20 minuti di cammino. La gente è sempre frenetica, anche se deve andare al bar a prendersi una camomilla: ha fretta di calmarsi, e se non riesce a calmarsi in tempo si innervosisce e beve caffè, oppure fuma, oppure schiaccia il piede sull'acceleratore. Beh, quel giorno era più frenetica del solito, ma questa volta era a fin di bene. Esatto: la gente si innervosiva, beveva caffè, faceva file chilometriche ai negozi, spendeva stipendi su stipendi anche se non poteva permettersi l'affitto, non trovava parcheggio, imprecava contro i parcheggiatori, strisciava le auto, litigava con la moglie, con la fidanzata, coi figli, la madre, il padre, fumava... per fare i regali di Natale. Questo è lo spirito del Natale, uno spirito da missionario: sacrificarsi per gli altri. A questo punto era davvero giunto il momento di mettersi le cuffie e tirare dritto, più lentamente possibile.

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…no, non era l’anima quello che davvero lo legava a quel mondo…

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Before you slip into unconsciousness I'd like to have another kiss another flashing chance at bliss another kiss another kiss

Avrebbe potuto accettare il passaggio che Eddie gli aveva offerto, in uno spicco di generosità più unico che raro. Ma fu proprio grazie all'aver rifiutato quel passaggio che improvvisamente, proprio lì, all'incrocio che la strada principale del paese formava con la stradina laterale che lo avrebbe portato a casa (dopo un cammino mediamente lungo), una Mercedes nuova di zecca, nera, scintillante, passò sulla pozzanghera tra di lui e la prima striscia pedonale e... sì. Era talmente furioso che si sarebbe fatto come minimo una doccia, fredda, perché l'acqua calda non funzionava tanto bene a casa sua, ma era sicuro che se la sarebbe fatta, la doccia. Avrebbe giurato che qualcuno lo avesse salutato, per strada, ma forse no, e allora tirò dritto verso il portone di casa, lo aprì e un po' di rimorso lo colse, ripensando a quella entità che probabilmente gli aveva parlato prima e a cui, volgarmente, non aveva risposto: perciò si girò di scatto e, non potendo impedire alle gambe, ancora furiose per la Mercedes, di continuare ad avanzare, sbatté fragorosamente contro le cassette

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della posta. Una volta ricomposto (se questo è termine adeguato per descrivere un tipo fradicio da capo a piedi di acqua sia caduta dal cielo di una grande metropoli, sia saltata su dalla strada di una grande metropoli) riaprì il portone che aveva poco fa sbattuto con una certa calma, quasi volesse scusarsi col nero legno per il suo gesto di prima, e mise la testa fuori. Il palazzo non aveva balconi, da quel lato, e quindi ******* sentiva l'acqua sporca del tetto cadergli in testa: pioveva sul bagnato, letteralmente. In ogni caso, mise la testa fuori e vide: una signora con un cappotto marroncino che portava a spasso una specie di cane (quanto odiava i pechinesi...); la Mercedes di prima che sfrecciava nella discesa; un signore che fumava in canottiera sul balcone di casa, rischiando di buscarsi un accidente; il giornalaio che chiudeva il piccolo chiosco; una ragazza con un maglione a righe nere e marroni; un'altra ragazza, dall'altro lato della strada, con un ombrello di color celestino, di quelli che sarebbero stati un cazzotto in un occhio anche in un mondo in bianco e nero; un ragazzo - questo lo aveva già visto da qualche parte - magro, più di lui, con barba incolta e che camminava in modo un po' strano lungo la stradina, incurante della pioggia che bagnava i suoi capelli ricci. Forse era stato lui a salutarlo, forse no, forse lo aveva solo guardato, ma forse non era neanche stato lui. Del resto, chi avrebbe dovuto salutarlo? Non conosceva

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quasi nessuno. Rientrò, si chiuse il portone alle spalle con una certa forza, un po' mitigata dalla sua innata normalità, e salì i gradini di casa: andò a farsi la doccia. Il peso dell'acqua che, goccia a goccia, lo bagnava da capo a piedi sembrava stesse per far crollare da un momento all'altro quella fragile impalcatura di ossa, carne ed anima. Quel processo esteriormente catartico lo metteva a proprio agio, come se fosse per un attimo in un'altra dimensione, isoterma, sospesa ed onirica. Vedeva davanti a sé la strada, e dietro non volle girarsi, ma non per paura di vedere qualcuno, qualcosa che lo inseguiva, ma solo perché non voleva girarsi, tutto lì; respirava a pieni polmoni un'aria densa e tiepida, sotto un chiaro sole primaverile, ma non di primavera inoltrata. Come quando l'erba comincia a verdeggiare e nasconde il fango sotto la sua coltre verde, lui ci camminava sopra, e sentiva di camminare nel fango, ne era sicuro, ma non ci pensava perché sopra c'era il verde del prato ed allora andava tutto bene, anche se aveva le scarpe infangate il sole le avrebbe asciugate e il terreno sarebbe caduto di lì a poco e fango, fango, ancora fango sotto le sue suole, poteva sentirlo quasi dentro le scarpe, i calzini, ma chi se ne frega? Camminava, e nessuno avrebbe detto: “oh guarda che scarpe infangate” perché tanto c'era l'erba che era verde e umida e profumata, e anche se non è proprio un profumo, è qualcosa che senti come

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vero, una realtà non è come una strada asfaltata, no, quella ci sbatti sopra e non ti ha neanche sentito, l'erba se ci cadi sopra ti sente e cerca di prenderti, l'erba, verde; il sole, chiaro; un sapore sulle labbra, un bacio di donna, un profumo di pelle, una carezza, uno stridore, un grido, un urlo lancinante, uno scricchiolio nel buio... Sapeva che avrebbe dovuto cambiare il braccio della doccia prima o poi, la mamma era andata a fargli visita qualche giorno prima e proprio quello gli disse, sì, gli disse proprio così: “aggiustala quella doccetta (così spesso la chiamava) che poi ti cade in testa mentre fai la doccia e sei nel mondo bello, onirico, sensuale e perfetto.” Beh, veramente non aveva detto così... cioè sì, però senza il fatto del mondo bello onirico e sensuale. In ogni caso gli era caduto il braccio della doccia in testa, e altro non poteva fare se non sciacquarsi ad altezza di cane sotto il rubinetto. Doccia del cazzo! Lo aveva interrotto durante il suo orgasmo di sensazioni, ed ora non lo poteva raggiungere in alcun modo, tanto era lontano nello spazio, nel tempo e nella sua mente. Si asciugò alla men peggio e andò in cucina. Si guardò alle spalle, senza nemmeno sapere perché; si sedette, solo, davanti al suo fedele computer portatile pagato soli 1000 euro (con sistema operativo all'avanguardia e antivirus inclusi nel prezzo) e cominciò

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a fare un dinamico solitario chiamato “Freecell”: il “Pinball” (sì, insomma, il flipper) era troppo per lui, ma il classico solitario lo annoiava. Il Freecell era un ibrido, proprio come lui. Si fece notte... Si ordinò, si fece e bevve un caffè con due cucchiaini di zucchero: caffè espresso, servizio veloce. Sì, esatto, un ibrido. Né uomo, né donna, solo uno striminzito cocktail di carne, peli ed ormoni che deambulava e, in qualche modo, pensava. Si accese una Chesterfield, ma così, giusto per tenere la mano destra impegnata in qualcosa, qualcosa di costruttivo. Poi si cominciò a bruciare la piccola “C” sulla cartina, e ripensò al tanto conosciuto quanto lassativo connubio chimico al quale si era sottoposto: decise di lasciar perdere il solitario tecnologico e di andare ad asciugarsi i capelli. Si ritrovava spesso a pensarci, specialmente quando era davanti allo specchio ad asciugarsi i capelli: se avesse tolto tutto ciò di superfluo, vano e transitorio che aveva fatto e faceva parte della sua vita, non gli sarebbe rimasto niente. In fondo perché agiva, e perché lo facevano tutti? Lavoravano per arrivare a fine mese, studiavano per non dover lavorare per arrivare a fine mese, progettavano scadenze che mai avrebbero rispettato, sognavano e poi si disilludevano, perché?

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Perché si faceva carico di colpe che non erano sue per stare a posto con la coscienza? Lo avrebbe comunque tormentato, perché sapeva che voleva farlo solo per mettersi a posto con sé stesso. O forse un po' lo sentiva veramente? Perché si ostinava a cercare dentro di sé una soluzione che mai avrebbe trovato? Neanche un indizio, un accenno, niente, così come era dispersa la ragione del suo continuo pensare: puro sforzo mentale che avrebbe sicuramente trovato definizione di mera perdita di tempo alle menti dei più. Sbattersi per chi? Per cosa? Per andare in vacanza! Drogarsi di pausa, ancora indolenziti dall'assuefazione alla routine, e poi, quando cominci a prenderci gusto, cambi pusher e torni alla solita solfa. Si guardava attorno alla ricerca di conforto, conforto che non sarebbe venuto da alcun oggetto al mondo, né da persona, né da grido, né da sospiro; era stizzito dal silenzio delle mura, stomacato dal rumore dell'aria... Voleva dichiarare guerra a tutto, far saltare in aria il mondo, tirar giù l'albatro nel cielo a colpi di mitra e bruciarne il cadavere, e poi sputarci sopra, sì, forse, magari. Si vestì, guardò fuori dalla finestra, e cominciò ad invidiare qualsiasi altra forma di vita gli capitasse a tiro.

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…mise la testa fuori…

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Del resto chi era lui per invidiare? Cosa poteva saperne dei problemi di un animale, di un insetto, di una farfalla o di un cane? Proprio lui, che diceva sempre di amare gli animali... ogni creatura sulla faccia della Terra aveva un significato particolare per lui, e non raggruppava mai tutti gli animali in un unico concetto di "cane" o "gatto", ma li considerava per quello che erano: a sé stanti. Ogni singolo animale faceva storia a sé... una specie di neo-San Francesco... questo diceva! Ma in realtà aveva paura quando si trovava di fronte un cane che superasse i 40 centimetri di altezza, ma forse aveva pure ragione, perché quel cane veramente gli poteva fare male, mica a scherzare! E San Francesco chissà se era mai esistito, magari era una metafora, magari una balla e basta, un lupo gli avrebbe fatto paura e chi se ne frega se aveva un animo gentile sotto sotto, lui non aveva voglia di conoscerlo, neanche gli avessero regalato un milione. Sì, perché di fronte a quelle cose i soldi non riuscivano ad influenzarlo, nonostante pensasse "...ma alla fine sarebbe un secondo solo, un attimo, un'ora, una sera..." ma poi non lo faceva mai, e dico mai! Ma perché avrebbe dovuto condividere qualcosa con qualcuno? Dove stava scritto? Al diavolo chi lo additava come "asociale", la sua era una minoranza composta da un solo elemento, che era lui stesso, capo di sé e al contempo suo seguace... Una doccia, una cazzo di doccia!

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Gli specchi dentro casa erano una presenza inquietante, ogni volta che passava davanti a uno di loro si trovava di fronte quella persona che cercava di migliorare da più di vent'anni, e che chissà se gli avrebbe mai dato qualche soddisfazione. Cercava di asciugarsi i capelli cercando di dare loro una qualche forma, ma ad ogni colpo di fon si ripeteva che non gli fregava niente del suo look, e che i capelli potevano fare quel che volevano. Ma se lo ripeteva spesso, eh... voleva proprio convincersi in tutti i modi che non gli importava... un po' come Einstein. Dopo la formulazione della teoria della relatività, 100 fisici scrissero un libro con il quale cercarono di smantellare questa tesi, ma Einstein disse che, se davvero avesse avuto torto, ne sarebbe bastato uno solo, di fisico, per confutare le sue teorie. E in effetti i capelli stavano prendendo quella piega... Dormì. Si risvegliò, e per qualche giorno -non saprei ben dirvi quanti- gli sembrò di vivere in un eterno deja-vu costituito dagli stessi avvenimenti, ragionamenti e momenti di felicità e depressione... docce, telefonate, chiacchierate (più uniche che rare), film e telefilm in TV, tutto maledettamente identico al giorno prima, e a quello prima ancora! La spirale si fermò un giorno che cominciò esattamente come tutti gli altri: si alzò, si fece un caffè

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piuttosto lungo che bevve a malincuore e cominciò le sue solite pratiche igieniche mattutine. La finestra sembrava scheggiata, dall'angolo del lavandino nel quale solitamente si metteva per farsi la barba; si fermò, col rasoio ancora in mano e la schiuma da barba sulla faccia, a guardare la finestra. Sì, da lì sembrava proprio un graffio bello profondo, però se si spostava un po' più a sinistra il graffio non c'era: magari era solo un riflesso del sole... è strano come la luce, che ci consente di vedere, a volte ci inganni in modo così meschino. Eccolo di nuovo! Il graffio c'era - il graffio non c'era. Squillò il telefono. Andò a rispondere, continuando a guardare la finestra mentre usciva dal bagno. Era Eddie: "Buongiorno, volevo dirti che oggi la metro è chiusa per lavori, e probabilmente i pullman saranno straripanti dato che fuori diluvia... bello il gioco di parole, eh?!". Guardò fuori, cercando di non pensare alla battuta: effettivamente pioveva molto. "Ho visto." "Ok, se mi paghi la benzina passo a prenderti, che ne dici?" "Va bene, ciao."

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Riagganciò. Non era sicuro di essersi reso conto di quello che stava facendo, ma era normale: di mattina non era mai al 100% delle sue facoltà intellettive e motorie. Tornò in bagno a finire di lavarsi: acqua, sapone, rasoio, acqua, rasoio, acqua, rasoio, acqua fredda, asciugamano, dopobarba. La finestra era sempre lì, il graffio sembrava svanito nel nulla, forse era davvero solo un riflesso; si spostò di nuovo nell'angolo di prima per trovarlo di nuovo, ma non ci riuscì. Alzò un po' la testa, si curvò leggermente tenendo gli occhi alti per scorgere anche il minimo bagliore, si spostò più a destra, si inginocchiò sul tappeto impolverato e umido e procedette carponi sotto il lavandino guardando verso lo spigolo della finestra. Il graffio non c'era, avrebbe dovuto esserne contento ma qualcosa lo turbava. Ripose il rasoio sul piccolo scaffale adiacente al lavandino, non staccò gli occhi dalla finestra neanche per un secondo. Il rasoio cadde a terra e non lo raccolse nemmeno, tanto era impegnato a notare un piccolo buco molto vicino alla zona che avrebbe dovuto celare il graffio. Era un buco di termiti? Non c'erano molte cose in legno nel suo bagno, ma questo non era certo un buon motivo per non preoccuparsene: magari avrebbe dovuto prendere una siringa di anti-termiti e iniettarla nel buco, per poi ricoprirlo con un po' di stucco per legni per non far vedere il colore diverso dell'anti-termiti; e poi fare

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aerare il locale prima di soggiornarvi. Perché avrebbe dovuto soggiornare nel bagno? E perché non riusciva a trovare quel dannato graffio? La sua vista non era calata, neanche dopo tutte quelle ore al PC perse a cercare di scrivere quel cazzo di romanzo fantasy, erano sempre 10/10, nonostante la miopia. Forse era per gli occhiali! Sì, certo, come aveva fatto a non pensarci prima? Gli occhiali non erano pulitissimi, avrebbe visto meglio con le lenti a contatto: ne aveva un paio scadute da 3 mesi, ma le doveva mettere solo per cinque minuti, giusto il tempo di trovare quel bastardo e poi se le sarebbe tolte e sarebbe andato a lavorare. Già, a lavorare, si stava facendo tardi! Guardò la porta del bagno e il suo sguardo tornò a posarsi sulla finestra: "Con le lentine non ci metterò certo più di cinque minuti per trovarlo: sarò in perfetto orario". Aprì l'armadietto a destra del lavandino e cominciò a cercare le lenti a contatto: spostò il flacone di acqua ossigenata, lanciò nel water il piccolo rotolo di garza che aveva comprato per ogni evenienza (ma che mai si era rivelato utile) buttò due o tre vecchi asciugamani per terra fino a raggiungere un beauty-case nero. Lo aprì: dentro c'era un piccolo profumo spray da uomo e un contenitore per lenti a contatto. Svitò i tappi e raccolse le due lentine semi prosciugate e provò a mettersele. Bruciavano, e gli caddero a terra un paio di volte, prima di riuscire a ficcarsele negli occhi. Ora aveva le lenti a contatto, era senza maglietta e indossava solo un

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pantalone di una vecchia e sudicia tuta, ed era tremendamente tardi. Gli occhi gli lacrimavano, lui aspettava trepidante che le lacrime si asciugassero per permettergli di vedere perfettamente e scoprire il graffio sulla finestra... Afferrò l'asciugamano vecchio che giaceva a terra e ci si asciugò frettolosamente gli occhi e, con le guance ancora umide di lacrime, poggiò le mani ai due lati della finestra e scrutò attentamente il legno per tutta la sua lunghezza. Le mattonelle cominciavano a inumidirsi del sudore delle sue stesse mani, ed era strano, perché non gli sudavano mai le mani, e poi non trovava il graffio. Doveva trovarlo! Gli scivolò una mano dalla mattonella e perse l'equilibrio: per reggersi posò la destra sul rasoio che era caduto prima e si tagliò; l'altra era ancora premuta sul muro; a pochi metri c'era l'acqua ossigenata. Sanguinava. Si girò verso l'acqua ossigenata, era lontana, lontana, lontana, doveva interrompere il suo lavoro, e per oggi aveva avuto già abbastanza interruzioni, doveva prima finire quello che aveva cominciato, non poteva fermarsi. Rialzò la mano dalla piccola pozzanghera rossa che si era formata sul pavimento scuro e la poggiò nuovamente

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forse era davvero un riflesso…

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sul muro: ciò gli provocò un forte dolore, sia per il freddo, sia per il forte formicolio che ormai gli straziava il palmo. La vista gli si annebbiò per un secondo, un secondo solo, e poi tornò a scrutare il legno. Gli piaceva il profumo del legno, ma quello non profumava neanche, e il legno graffiato non profuma, o sì? "Trova il graffio, così vediamo!". Era la soluzione, sì, per forza! Così gli avrebbe sicuramente detto anche sua madre, o il signor Martins, o anche il signor Martins di sua madre, se mai lo avesse avuto. Cercava disperatamente attorno alla maniglia qualche cenno di usura, anche un piccolo graffio o un buco come quello delle termiti; già, neanche quello trovava... eccolo! Ma il problema era il graffio, come diavolo aveva fatto a graffiare una finestra?! E quanto la utilizzava, poi, quella finestra? E poi si tagliava sempre le unghie, non avrebbe mai potuto graffiarla con un'unghia spezzata o tagliata male. Le unghie le tagliava, lui. Era quasi arrivato ad ispezionare con millimetrica cura tutto il lato sinistro quando uno squillo di telefonino gli fece perdere la concentrazione: era Eddie, forse voleva farlo scendere per andare al lavoro. Beh avrebbe aspettato, tanto ci volevano cinque minuti, dieci al massimo per trovare quello stramaledetto graffio di merda. Ne passarono alcuni, di minuti, forse più di

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cinque, e il telefono squillò di nuovo, stavolta a lungo. Lanciò un urlo stridulo, afferrò il cellulare e lo scaraventò contro la parete della doccia, frantumandola: il telefono non squillò più. Si curvò sulla parte inferiore della finestra, ora sporca di sangue, e prese ad esaminarla con maggiore attenzione: non c'era niente, solo macchie rosse. Il rasoio era ancora sul pavimento, assieme agli asciugamani sporchi, al tappeto umido e ai frammenti di vetro. Ad un tratto sentì il rumore di qualcosa infilato nella serratura: Eddie aveva le sue chiavi! Una volta gli aveva prestato la casa per un appuntamento con una donna e allora probabilmente si era fatto una copia... Ci avrebbe pensato dopo: bisognava trovare il buco, e alla svelta anche, Eddie stava entrando. La porta d'ingresso si aprì, Eddie entrò gridando: "Ma ti vuoi muovere? Sono già 20 minuti che aspetto! E quando ti deciderai a cambiare quel cellulare preistorico?! ... Ma... dove sei, idiota?" Passò davanti al bagno, si fermò. "Cristo... ma che è successo?! Sei ferito!" "Sì, non preoccuparti, non è niente, ho l'acqua ossigenata lì per terra e la garza da qualche parte, ho tutto il necessario, tra cinque minuti mi medico la ferita: ora devo trovare il

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graffio... anzi, vieni a darmi una mano anziché stare lì a guardarmi!" Eddie gli si avvicinò piuttosto incazzato e gli disse: "Ora ti dai una ripulita e vieni a lavorare, ma guarda che casino! E io che pensavo che fossero venuti i ladri... non ti sognare nemmeno di chiedermi una mano per mettere in ordine! Dai alzati cretino..." Gli prese il braccio sinistro. Si alzò di scatto e gli tirò un destro con la mano insanguinata, proprio sotto il mento: gli fece male -sia a lui che a Eddie- poi lo spinse violentemente a terra sui pezzi di vetro, ferendolo. Raccolse la doccetta dalla vasca, proprio quella che gli era caduta durante l’orgasmo di sensazioni e che avrebbe, di lì a 5, massimo 10 minuti riparato, e cominciò a colpire violentemente la testa di Eddie, finché non vide più alcuna reazione. Si girò velocemente e tornò al suo lavoro: niente poteva distoglierlo ormai dal trovare il graffio... “Il graffio... il graffio...” Il graffio aveva spezzato la catena, lo aveva tirato fuori da quel vortice di routine che era costretto a vivere e a subire da tanto tempo: ora non era necessario riflettere, anzi, era proprio il riflettere che faceva parte della sua

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routine: non doveva più fermarsi e ragionare, guardare a quello che aveva fatto, che stava facendo e che avrebbe continuato a fare. La catena si era spezzata, doveva trovare il graffio, nessun deja-vu, solo il graffio, almeno per ringraziarlo... trovare il graffio. Provò ad aprire la finestra per cercarlo sulla superficie esterna, ma era incastrata. Gli lacrimavano di nuovo gli occhi, non per le lentine, stavolta piangeva: piangeva perché non si apriva la finestra, a che serviva disperarsi per altro? La finestra non s’apriva, doveva guardare fuori e c'era una soluzione, e lui la conosceva. La conosceva, e prese la rincorsa. La conosceva, e si lanciò.

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