Hostel

  • Uploaded by: Alessio Mannucci
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“Hostel”, l'ultimo film di Eli Roth, uno dei registi cresciuti sotto le ali protettive di Quentin Tarantino, è ispirato ad un fatto di cronaca. “L'idea mi è venuta”, ha raccontato il regista, “leggendo in un sito Web che in Thailandia puoi toglierti lo sfizio di uccidere una persona pagando 10 mila dollari”. Roth, già regista di “Cabin Fever”, una commedia horror che nel 2003 ha incassato in tutto il mondo 100 milioni di dollari, dice che “alla cattiveria umana non c'è limite”. E di cattiveria, “Hostel” fa il pieno (sul set sono stati impiegati più di 600 litri di sangue), narrando la terrificante storia di due giovani studenti americani che, zaino in spalla, vanno alla scoperta dell'Europa, alla ricerca di belle ragazze e di festini. Natalya e Svetlana, le sensuali compagne di stanza in un ostello fuori mano, si trasformeranno in perfide sirene, spingendoli nelle mani di sadici torturatori. “La Slovacchia è una terra di confine”, dice Roth, “appena fuori le mete tradizionali dei turisti americani. Lì non ci sono i comfort a cui noi siamo abituati, è facile sentirsi fuori posto, una specie di alieni». Quentin Tarantino, che ha prodotto il film e ha aiutato il regista con il copione e il montaggio, ha dichiarato di aver creduto in questo progetto sin dall'inizio. "Hostel", in effetti, va oltre la tradizione dell'horror americano, incorporando la più cruda e violenta nouvelle vague coreana. Nonostante le 30 differenti location in cui il film è stato girato, per buona parte del tempo lo spettatore rimane ingabbiato insieme agli attori nelle tetre stanze di un ospedale psichiatrico, tra le cui grigie pareti si svolge un teatro della crudeltà che poco lascia all'immaginazione: occhi a penzoloni, impietose perforazioni da trapano, dita mozzate, ecc. (un deja-vu assoluto, ndr). “Abbiamo girato le scene di tortura sul mio personaggio, Paxton, per tre giorni consecutivi, sono stati i giorni peggiori”, ha raccontato Jay Hernandez, uno dei due protagonisti, «dovevo urlare e vomitare e siccome ho avuto le gambe e le braccia legate per molte ore, sentivo dolore ovunque. È stata dura». All'anteprima natalizia del film, in un cine-club di Hollywood, Tarantino si è presentato alla platea con una camicia bagnata nel sangue; sul palco, su una carrozzella, c'era un attore martoriato dalle torture. E intanto, il produttore urlava: “Non sapete che in Thailandia, come in tante cantine di Los Angeles e del mondo, in prigioni legali o illegali, le torture sono realtà e procurano piacere se vengono consumate sino alla morte?”. Tarantino ha arringato la platea annunciando un film dominato dalla violenza estrema: “Il sangue schizzerà sui vostri corpi, le torture sui protagonisti vi ricorderanno che a Los Angeles queste cose accadono davvero” (Tarantino si riferisce a casi venuti alla luce, come “The Franklyn Cover-Up”, di festini a base di sesso e violenza ai danni di poveri bambini per il godimento perverso di uomini politici e altolocati, ndr). “Hostel è un film che affronta i soprusi e le pulsioni peggiori della natura umana. Contro l'horror che ci circonda e ci disgusta, solo un'estrema e reale cine-violenza può rappresentare per tutti un antidoto, un monito. Forse anche una preghiera”. Tarantino chiama in causa la teoria aristotelica della catarsi: “Tragedia dunque è mimesi di un'azione seria e compiuta in se stessa, con una certa estensione; in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno a suo luogo nelle parti diverse; in forma drammatica e non narrativa; la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l'animo da siffatte passioni” (Aristotele, “Poetica”). Il film, invece, chiama in causa il marchese De Sade e lo scenario de “Le 120 giornate di Sodoma” (e in qualche modo anche “Salò” di Pasolini) in cui un folto gruppo di giovani, maschi e femmine, vengono sequestrati da una banda di sadici bestiali, portati in un luogo inaccessibile e qui costretti a subire le voglie depravate dei loro rapitori. Che infine li uccidono tutti, in un'apoteosi di crudeltà e di godimento.

In “Hostel” vengono mostrate orge, omicidi con seghe elettriche e torture che portano all'orgasmo i carnefici, mostrati spesso in divise naziste, mentre fuori dai covi dove si consumano le atrocità sventola la bandiera stelle e strisce. È chiaro l'intento del film: scioccare lo spettatore nel tentativo di provocare una presa di coscienza. Restano però molti dubbi sul fatto che film come questo producano un qualche effetto catartico e non invece un malsano desiderio di imitazione. Quanti litri di sangue dovranno ancora essere versati affinché il mondo venga purificato? Tarantino sarà un grande regista, ma non è un grande filosofo. Farebbe meglio a rileggersi Platone. Se l'arte si limita all'imitazione del reale, è qualcosa di povero, di misero, è semplice attività del copiare. Compito dell'arte è la ri-creazione, non l'imitazione. La Pulp Fiction, così come tutta l'arte contemporanea, è solo rappresentazione, priva di qualsiasi aura, che non riesce minimamente a penetrare nelle coscienze, ormai ampiamente assuefatte alla violenza. L'inferno di De Sade si è materializzato, lo dice lo stesso Tarantino, che bisogno c'è allora di rappresentarlo? (Pubblicato su Ecplanet 18-01-2006) LINKS LA COSPIRAZIONE DEL SILENZIO

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