Filosofia Contemporanea: Esistenzialismo

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ESISTENZIALISMO Mini Dispensa ( prof.ssa Elena della Vella) Dopo la prima guerra mondiale l'uomo aveva dovuto assistere, quasi impotente, allo spettacolo desolante che essa aveva prodotto: distruzioni materiali, svalutazione monetaria in tutti gli Stati d'Europa, giovani vite spezzate, gravi crisi familiari e profonde lacerazioni delle coscienze individuali. Quella guerra che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi politici, sociali ed economici si concludeva con un'amara sconfitta dell'uomo, sia di quello vinto, sia di quello vincitore. Ci si trovava di fronte ad una realtà che portava con sé forti tensioni sociali, oscure paure per un incerto futuro e grave crisi dei valori morali. In questo scenario quasi apocalittico nasce una nuova corrente

filosofica,

l'Esistenzialismo,

che

vuole

interrogarsi

sul

significato

dell'esistenza umana e proporre nuove soluzioni che ridiano all'uomo quella fiducia in se stesso e quella dignità miseramente naufragata col predetto periodo della grande guerra. L'epoca dell'Esistenzialismo è, quindi, un'epoca di crisi. La filosofia esistenzialista considera l'uomo come un essere finito, gettato nel mondo, continuamente lacerato in situazioni problematiche ed assurde. È proprio dell'uomo nella sua singolarità che l'Esistenzialismo si interessa. L'esistenza è un modo di essere finito, essa è possibilità cioè un poter-essere. L'esistenza non è un'essenza, l'uomo sarà quello che egli ha deciso di essere. Il suo modo di essere è un poter-essere, un uscir fuori, un'incertezza ed un rischio. Pertanto al centro del pensiero esistenzialistico si trova il concetto di uomo singolo e finito e quello di libertà, intesa come impegno e rischio concreto. Alla radice dell'Esistenzialismo si trova il pensiero di Kierkegaard, il quale ha influenzato i maggiori rappresentanti di questa corrente: Heidegger, Sartre, Marcel e Jaspers. Il tema centrale della filosofia di Kierkegaard è l'esistenza. L'esistenza non è un atto unitario,ma si articola secondo una scala di possibilità e di stadi, ciascuno dei quali si oppone al precedente e lo nega. Tra i diversi stadi non vi è, però, alcun passaggio necessario e in questo senso si può parlare di una dialettica qualitativa dell'esistenza, ossia di una dialettica che procede per salti.

La prima possibilità è di vivere in modo estetico. In questo stadio l'uomo considera le contraddizioni della propria esistenza come qualcosa di accidentale, di esterno, e non è in grado di dominarle. L'uomo considera il mondo come uno spettacolo da godere, e si lascia vivere momento per momento, senza effettuare nessuna scelta e, quindi, senza legarsi stabilmente a nulla. Ma in questo modo la sua vita cade in una noia profonda che lo porta a fare, nello stadio etico, una scelta precisa e responsabile: ecco allora il formarsi di una famiglia, delle amicizie, delle relazioni sociali che danno un senso di serenità alla sua esistenza. Questa serenità però è bruscamente infranta quando si giunge al terzo stadio, quello religioso. Il singolo si trova, allora, al di sopra della legge morale perché si pone in un rapporto assoluto con Dio. Lo stadio religioso pone l'uomo in una situazione opposta a quella etica e gli impone di svincolarsene portandolo al peccato e quindi all'angoscia. L'angoscia non è il timore per qualcosa di determinato, ha come termine di riferimento il nulla ed è connessa alla libertà intesa come possibilità. L'angoscia è, perciò, il puro sentimento del possibile, è il senso di quello che può accadere e che può essere più terribile della realtà. L'angoscia caratterizza la condizione umana: chi vive nel peccato è angosciato dalla possibilità di pentirsi; chi si è liberato dal peccato vive nell'angoscia di ricadervi. Se l'angoscia è tipica dell'uomo nel suo rapportarsi al mondo, la disperazione è la colpa dell'uomo che non sa accettare se stesso nella sua profondità ed è una malattia mortale, un'autodistruzione impotente. L'unica salvezza possibile per l'essere angosciato e malato, che è l'uomo, sta nella fede. Secondo Kierkegaard, infatti, l'esistenza autentica è quella disponibile all'amore di Dio, quella di colui che non crede più a se stesso ma soltanto a Dio. Il problema dell'esistenza dopo Kierkegaard assume un'importanza rilevante per merito di filosofi quali Heidegger, Sartre, Marcel e Jaspers. Heidegger riprende ed amplia le tematiche già affrontate da Kierkegaard. Un tema dominante nella sua filosofia è quello dell'angoscia. L'angoscia non è, secondo Heidegger, come la paura generica, un timore di fronte a qualcosa di determinato, ma è ciò che si prova di fronte al completo annientamento dell'esistenza, di fronte al nulla ed è quindi quel sentimento che fa scoprire nella morte la possibilità decisiva dell'esistenza. I fondamentali modi di essere dell'esistenza umana sono l'Esserci, l'Essere nel mondo, l'Essere con gli altri e l'Essere per la morte. L'Esserci indica che l'uomo è sempre in una situazione ed è in un rapporto attivo nei suoi confronti.

Essendo l'Esserci l'uomo è nel mondo, coinvolto in esso e nelle sue vicende. Trasformando il mondo, egli forma e trasforma se stesso. Se l'Esserci è nel mondo sarà anche con gli altri. Questi costituiscono, a loro volta, altri Esserci, tutti in relazione. L'esistenza vera, però, si comprende pienamente, secondo Heidegger, soltanto con l'Essere per la morte. La morte non è intesa come qualcosa di anonimo, ma come il limite rispetto al quale occorre decidersi. È dunque nell'anticipazione della morte che l'esistenza scopre il proprio senso più autentico e questo è essenziale per comprendere il carattere temporale e storico dell'esistenza stessa. L'anticipazione della morte, il sapere di dover morire qualifica l'esistenza umana; presente e passato, infatti, hanno senso solo in rapporto al futuro, più precisamente a quel limite futuro che è la morte come annientamento dell'esistenza. Anche per Sartre, come per Heidegger, il nulla non indica semplicemente la negazione, ma è il termine essenziale per comprendere la vita della coscienza. La coscienza, che è l'uomo, è assolutamente libera e dunque la libertà è costitutiva della coscienza. L'uomo, una volta gettato nella vita, è responsabile di tutto ciò che fa. L'uomo è ciò che progetta di essere, poiché la sua libertà è incondizionata egli può mutare il suo progetto in ogni momento. La libertà di ogni uomo dipende dalla libertà dell'altro uomo, per cui ciascuno si rapporta all'altro come potenziale fonte di distruzione e di oppressione in una situazione di lotta e di conflitto. In Sartre l'analisi della coscienza porta dunque ad accentuare il senso della responsabilità dell'uomo davanti all'uomo, ma la responsabilità di cui parla Sartre è sostanzialmente minaccia e condanna reciproca. L'Esistenzialismo di Sartre è dunque un Umanismo in quanto riconosce che l'uomo è solo perché continuamente si progetta in rapporto all'altro uomo. In questo senso l'Esistenzialismo è anche ateismo, non perché si preoccupi di dimostrare o di affermare che Dio non esiste, ma perché cerca di persuadere l'uomo che nulla può salvarlo, neanche Dio, essendo l'uomo l'unico legislatore di se stesso e l'unico padrone del proprio futuro tutto ancora da costruire. Con

Marcel

si

ha

un'accentuazione

della

tematica

metafisico-religiosa

dell'Esistenzialismo in direzione di un "socratismo cristiano" come continua riflessione dell'esistenza umana nella sua drammaticità. Il pensiero di Marcel, nel suo sviluppo complessivo, è attraversato da alcuni motivi fondamentali che continuamente si sovrappongono e si integrano: la difesa della singolarità irripetibile dell'uomo e del mistero dell'Essere; la dottrina del mistero ontologico, per la quale l'esistenza si fa autentica nella partecipazione all'Essere. Affinché la persona riscopra se stessa, e si

renda disponibile al mistero dell'Essere, deve capovolgere la gerarchia che il mondo contemporaneo ha fissato tra la categoria dell'avere e quella dell'essere. Secondo la metafisica dell'avere si vale per quello che si ha e non per quello che si è, così il mondo e gli altri sono unicamente oggetto di un possesso sempre più vasto. Il mondo della categoria dell'avere è un mondo in pezzi, è il mondo dell'alienazione e della preoccupazione. Di fronte a questa tragedia dell'avere la metafisica deve prendere posizione, deve, quindi, liberare l'uomo dal piacere del possesso delle cose e renderlo disponibile all'essere. Un'altra figura centrale dell'Esistenzialismo è Jaspers che, come gli altri esponenti di questa corrente, rivolge la sua attenzione al problema dell'esistenza umana. L'esistenza, come già aveva affermato Kierkegaard, nella sua concretezza, irripetibilità e singolarità, non può essere oggetto di teorie o discorsi universali. È sempre un'esistenza particolare, singola ed inconfondibile. L'esistenza non è un dato di fatto ma è una "questione personale". Da ciò scaturisce che anche l'uomo non è un dato di fatto: egli può essere. La sua scelta sta solo nel riconoscimento e nell'accettazione di quell'unica possibilità che è la situazione in cui si trova. L'uomo non può essere se non ciò

che

è,

e

non

può

divenire

se

non

quello

che

è.

L'esistenza

rimanda

necessariamente alla trascendenza. L'esistenza giunge a vera maturità soltanto quando

prende

coscienza

dell'irraggiungibilità

dell'Essere,

ossia

della

sua

trascendenza. Quest'ultima si rivela soprattutto in quelle che Jaspers chiama "situazioni limite" che sono: sono sempre in situazione; non posso vivere senza lotta e dolore; sono destinato alla morte. Queste situazioni sono immutabili e definitive. L'impossibilità per l'individuo di comprendere l'origine ed il senso di queste situazioni e di affrontarle sul piano pratico fa capire che in esse sussiste la presenza misteriosa dell'Essere, ossia della trascendenza. Tutti gli scrittori esistenzialisti hanno seguito Kiekegaard lungo la strada di un sentimento metafisico fondamentale che mette l'uomo in crisi e lo solleva al di sopra della banalità quotidiana. L'angoscia di Heidegger, la nausea di Sartre, le situazioni limite di Jaspers, rivelano la profonda crisi del primo Novecento che è ancora in atto nel nostro tempo. Infatti, i filosofi esistenzialisti e Kierkegaard rappresentano, ancora oggi, una testimonianza preziosa in un'epoca che rende sempre più sbiadita la figura del singolo e che si mostra favorevole ad un facile e disinvolto edonismo, esente da ogni accettazione di responsabilità individuale.

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