Capitolo I

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CAPITOLO I STRUTTURA E AUTONOMIA, TEORIE DELLA “MENTE” A CONFRONTO Il Giudizio in genere è la facoltà di pensare il particolare come contenuto nell’universale. Se è dato l’universale (la regola, il principio, la legge), il Giudizio che opera la sussunzione del particolare (anche se esso, in quanto Giudizio trascendentale, fornisce a priori le condizioni secondo le quali può avvenire la sussunzione a quell’universale), è determinante. Se è dato invece soltanto il particolare, e il Giudizio deve trovare l’universale, esso è semplicemente riflettente. Il Giudizio determinante sotto le leggi trascendentali universali date dall’intelletto, è soltanto sussuntivo; la legge gli è prescritta a priori, e così esso non ha bisogno di pensare da sé a una legge per poter sottoporre all’universale il particolare della natura. (Kant, 1979, 18 – 19) Perché un discorso sugli schemi mentali, in una tesi che vuole analizzare, in particolare all’interno dell’Analisi Transazionale, il rapporto tra il desiderio interno di struttura e quello d’autonomia? Perché, come fa notare Immanuel Kant, nel brano sopra riportato, è il ricorso agli “a priori” della mente che determina il Giudizio, e, quindi, la motivazione che noi poniamo a fondamento delle nostre azioni. Questo “a priori” è sia universale, nell’intelletto, che individuale, nel soggetto, perché: “Il Giudizio ha in sé, dunque, anche un principio a priori della possibilità della natura, ma soltanto dal punto di vista soggettivo, col quale prescrive, non già alla natura (in quanto autonomia), ma a se stesso (in quanto eautonomia) una legge per la riflessione della natura” (Kant, 1979, 26). Volendo, quindi, in questo primo capitolo, esaminare quali siano questi “a priori” soggettivi, ho pensato di poterli rintracciare nella struttura stessa della nostra mente e negli schemi che la inducono a non “pensare da sé” ogni volta che un problema quotidiano si pone, trovando nel passato e nella struttura mentale acquisita una pronta, anche se non sempre adeguata, sequenza di risposte, spesso automatiche. Indirizzando, quindi, l’attenzione sull’espressione: “Schemi mentali”, non intendo sottolinearne l’uso in senso specifico, o tecnico, di “struttura conoscitiva”, ma piuttosto prenderli in considerazione come elementi caratteristici dell’aspetto strutturale della mente e da essi partire per illustrare le teorie della mente secondo i modelli cognitivista, costruttivista, connessionista e interpersonale.

1.LA STRUTTURA NELLA MENTE La Psicologia ha, da sempre, riconosciuto l’esigenza di “struttura” che la mente ha in sé. Una strutturazione costituzionale, che va di là dalla scelta volontaria, anche se la condiziona, e che, i vari autori, hanno chiamato in diversi modi, distinguendo, nella psiche, l’aspetto contenutistico, costituito da idee e concetti, in gran parte coscienti, da quello strutturale e funzionale. Nell’aspetto funzionale predominano, i meccanismi inconsci e pulsionali che ci spingono a scegliere tra diverse alternative e permettono di orientarsi nella realtà. La ricerca di definire quali strutture siano caratteristiche nella mente, si è sviluppata in tutte le correnti psicologiche e, la minore o maggiore importanza attribuita all’aspetto strutturale, e le caratteristiche di quest’ultimo, è spesso stata causa di polemiche e tensioni come, ad esempio, nel contrasto tra lo strutturalismo Titchneriano e il funzionalismo di Dewey, oppure tra i diversi modelli della mente proposti da Freud, Adler e Jung, per arrivare ai modelli della mente cognitivisti e strutturalisti o connessionisti e interpersonali. La struttura è la solida base dalla quale l’individuo ricava gli elementi caratterizzanti la propria decisione personale. L’individuo, nella sua ricerca di autonomia, deve rintracciare, infatti, l’oggetto dal quale partire nella costruzione del proprio particolarissimo sé, il quale non è, in fondo, distinto dalla sua strutturazione interna che “risale alle configurazioni sensomotorie e di espressione affettiva dell’inizio della vita, che sono rappresentate internamente negli schemi emozionali e che danno inizio al processo di ordinamento dell’esperienza” (Stern in Greenberg – Rice – Elliot, 2000, 79). Nella formazione di questa struttura un ruolo, quindi, chiave, seguendo Stern, è svolto dalle emozioni perché “È più probabile che le esperienze e le percezioni registrate durante stati di attivazione emotiva siano immagazzinate in memoria, a causa del potenziamento del vissuto sensoriale e della maggiore allocazione attenzionale dovuta alla loro intensità, piuttosto che il materiale registrato in condizioni affettivamente neutre” (Greenberg – Rice – Elliot, 2000, 79). Tale base strutturale ha avuto anche, secondo i medesimi autori, una valenza decisiva, anche, nell’evoluzione della stessa specie umana perché: “Gli esseri umani che erano più sensibili e maggiormente in grado di simbolizzare le risposte affettive alle situazioni risultavano avvantaggiati dal punto di vista dell’evoluzione nella lotta per la sopravvivenza. Gli esseri umani sono diventati predisposti ad imparare dalle proprie risposte emotive a situazioni legate ai bisogni e a costruire schemi su di esse” (Greenberg – Rice – Elliot, 2000, 79). Tale aspetto di necessità strutturale è confermato anche biologicamente come elemento di fissità della configurazione stessa del cervello, perché: “In seguito a una sua ripetuta attivazione, uno stato può essere fissato e ‘ricordato’; in accordo con l’assioma di Hebb (neuroni che vengono

eccitati insieme tendono a venire collegati), questo insieme di processi avrà successivamente una maggiore probabilità di essere attivato come uno stato della mente coeso. Post e Weiss hanno aggiunto una nuova prospettiva all’assioma di Hebb: ‘neuroni che vengono eccitati insieme sopravvivono insieme, e tendono a venire collegati’ [...]. Stati di attivazione che si ripetono durante fasi critiche dello sviluppo possono quindi plasmare la struttura di circuiti neuronali che poi formano le basi funzionali di pattern costanti negli stati della mente di un individuo” (Siegel, 2001, 215). Dal rapporto, inoltre, più o meno maturo, acquiescente o conflittuale, con la nostra struttura mentale, deriva l’alternativa, che ci si pone continuamente, tra l’essere capaci di trascenderne l’inevitabile condizionamento, in modo libero e costruttivo o, in maniera più semplice, ma meno liberante, piuttosto integrare la stessa struttura con elementi ulteriori, sostituirla con diversi condizionamenti, o, infine, rassegnarsi, facendone propria la dipendenza. L’aspetto strutturale è stato indicato, in letteratura, con diversi nomi, tesi a descrivere, in esso, aspetti e funzionalità diversi. Per rintracciare le caratteristiche e l’esistenza, dell’aspetto strutturale della mente, prenderò in esame alcune di queste definizioni tecniche, iniziando dagli “Schemi” in senso stretto per poi passare agli “Script”, ai “Prototipi”, agli “Schemi – Sé” e, infine, alle strutture mentali/affettive/relazionali proposte da alcuni autori, a mio giudizio, rappresentativi, come i Modelli Operativi Interni di Bowlby e le Rappresentazioni d’Interazioni Generalizzate di Stern. Internamente all’aspetto strutturale, la capacità di usare schemi mentali, ci dà la possibilità di “sentirci a casa”, nelle più disparate situazioni, scegliendo rapidamente l’alternativa che sentiamo più vicina al nostro modo di pensare, ed al nostro comportamento abituale, grazie all’utilizzo sistematico di strumenti cognitivi sia innati sia acquisiti culturalmente.

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