La Città
Aggregazione di individui in un centro costruito, riconosciuto come espressione della convivenza e della vita sociale umana, e l'insieme degli edifici e delle infrastrutture che accolgono tale popolazione. Il termine deriva dal latino cívitas, che designava la comunità sociale e politica dei cittadini (cives), da cui deriva ancora oggi il concetto di "cittadinanza" come insieme di diritti e doveri propri di chi appartiene a una comunità politica. Ma il termine città traduce piuttosto il più concreto urbs, dal quale derivano tutti i sostantivi e gli aggettivi che la concernono (urbano, urbanistica ecc.). Tralasciando le origini ma, tenendo presente, solo il modello che condizionò la crescita e lo sviluppo delle città e cioè quello della polis greca, affermatasi nel I millennio a.C. , si può arrivare alla rivoluzione industriale che portò a una crescita incontrollata della città verso la campagna, attraverso il complesso fenomeno dell'urbanizzazione. Le zone degradate (la periferia e i centri antichi) vennero lasciate ai ceti socialmente ed economicamente più deboli, accentuando la distribuzione gerarchica degli spazi della città. A titolo di esempio, consideriamo sei differenti categorie di città denominate rispettivamente : il “ gioiello ”, la “ città storica ”, la “ città-mondo ”, la “ città soggettiva ”, la “ città sovrasviluppata ”, e la “ città-non-sfruttatrice ”. Ciascuna di esse evidenzia un qualche punto di vista convenzionale. Per il “ gioiello ” s’intendono tipi di città che materializzano un puro, impressionante, e per molti versi, ambiente visuale ed architettonico, ancora relativamente incontaminato dagli sviluppi successivi. Gli esempi sono città come la Venezia mercantile, la Firenze rinascimentale, la Bath settecentesca. La seconda categoria, che parzialmente si sovrappone alla prima, è quella della città storica. Le grandi città ad essa appartenenti hanno giocato un ruolo memorabile, ed esercitano un impulso formidabile, in un qualche significativo periodo del passato. La loro attuale
grandezza consiste nell’accumulazione di impressionanti opere d’arte e residui di questo passato. Gli esempi sono intere legioni: Roma, Cracovia, Instanbul, Gerusalemme, Berlino, Hong Kong, Pechino, Fez. Grandi in un senso del tutto differente sono le “ città-mondo ”: Londra, Parigi, New York. Esse vertono sulla vivacità degli abitanti e sulla diversificazione di idee ed attività, nuove vitali correnti culturali, al pari di grandi università e musei; gente disparata, ricca di colore, piena di brio; eventi eccitanti all’ordine del giorno, come teatro, musica, mestieri di ogni genere, pittura, scultura, letteratura, ricerca; una varietà meravigliosa di quartieri differentemente caratterizzati. La quarta categoria comprende la “ città soggettiva ” che solleva la questione se una qualsiasi città possa essere grande al di fuori di un senso puramente soggettivo. Infatti ciò che la maggior parte della gente vede e spesso desidera nelle città non corrisponde a quanto i pianificatori, i decisori e le èlites, vedono e desiderano. Questo qualcosa varia nelle preferenze dei lavoratori, degli immigrati, delle persone di differente età, varia con i redditi, le occupazioni, le matrici culturali. Possiamo rovesciare il discorso trovando il modo di gestire i problemi della crescita delle “ città sovrasviluppate ”; i loro enormi costi, la congestione, gli slums e le questioni sociali, di far fronte al problema della mancanza di sviluppo nelle altre principali aree, uno squilibrio aggravato dalla concentrazione di poteri, mercati , redditi, attrezzature sociali e culturali, nelle grandi capitali e nelle città commerciali. La “ città-non-sfruttatrice ” è quel tipo di città che non deve la propria grandezza allo sfruttamento, al drenaggio di capitali e talenti dai territori colonizzati non solo interni al proprio paese ma anche appartenenti ai paesi sottosviluppati . In molte aree del mondo si assiste inoltre alla formazione di realtà urbane complesse, popolate da decine di milioni di persone, che impongono il concetto di "area metropolitana" e di "megalopoli". Una metropoli cresce quando costituisce un luogo relativamente favorevole alla
produzione di beni e servizi e contemporaneamente un luogo soddisfacente per la vita e il benessere della popolazione, e perde, invece, attività economiche e popolazione quando simili circostanze
non
sono
più
verificate.
Solo un quarto di secolo fa i pianificatori metropolitani ritenevano che i problemi assolutamente prioritari concernessero il come e il dove la crescita si sarebbe prodotta e quanta se ne dovesse auspicare. La loro attenzione si rivolgeva principalmente ad argomenti quali gli usi del suolo, le densità più appropriate, gli schemi interni dello sviluppo fisico, l’efficiente movimento di merci e servizi, i metodi per organizzare od influenzare la crescita di aree esterne per mezzo delle politiche nazionali; le soluzioni più pertinenti o funzionali per l’organizzazione del governo metropolitano ed inframetropolitano, la pianificazione e programmazione ed il finanziamento e coordinamento degli investimenti necessari per l’acqua, le strade, le scuole, le case, e per le esigenze di altre infrastrutture e servizi pubblici. Vi erano, anche, altri settori di interesse, come quelli riferibili ai costi dei servizi sociali ed ai problemi dei sacchi di degrado e di povertà, ma tali temi, per quanto importanti, non erano considerati come elementi critici determinanti per il futuro della città – anzi, li si trattava come questioni di poco significato per lo sviluppo. L’obiettivo principale soggiacente a questi sforzi era il potenziamento della efficienza, dell’amenità, del look generale della metropoli, assoggettato ad un duro insieme di vincoli: in sostanza, far ciò in modo tale da accrescere le entrate ma nel contempo da salvaguardare ( e forse anzi aiutare ) i residenti poveri e marginali. Ora le cose sono cambiate, o almeno così pare. L’ondata di crescita della popolazione e delle attività economiche si è arrestata e non si riavvierà per uno o due decenni o forse anche più. È troppo presto, comunque, per valutare con esattezza i contorni e gli impatti delle nuove tendenze. L’idea che le loro conseguenze saranno largamente influenzate dalla natura e dalla localizzazione della crescita delle attività di servizio riscuote un ampio consenso. In merito, peraltro, le opinioni restano, al fondo, discordi. Gli analisti più pessimisti stimano probabili
cospicue riduzioni occupazionali, a causa: delle enormi perdite demografiche e dunque di reddito e di potere di acquisto nelle metropoli; del probabile persistere delle tendenze centrifughe del commercio all’ingrosso ed al minuto e di molti servizi agli affari ed al consumo; delle crescenti spinte a tagliare i bilanci locali del “ settore pubblico ”; dell’attesa che quote sempre maggiori di impieghi di concetto e di servizio possano allocarsi in altre aree, per via dello straordinario progresso nel trattamento delle informazioni e nelle telecomunicazioni. Gli analisti più ottimisti pensano, invece, che con redditi crescenti si avranno, probabilmente, molte nuove attività ed occupazioni nelle imprese basate sulla conoscenza e sull’apprendimento: nei nuovi servizi sanitari, formativi, paraprofessionali, nelle arti e nei relativi servizi culturali. Se avranno ragione i pessimisti o gli ottimisti dipenderà dall’importanza relativa di tali differenti tendenze nelle differenti aree metropolitane. In ogni caso è lecito attendersi molti studi delle attività in crescita in queste aree metropolitane, volti alla verifica del soddisfacimento delle logiche esigenze di quelle attività, ed anche molti altri studi inerenti ad attività marginali che potrebbero trovare vantaggiosa la ubicazione nelle aree metropolitane ove in queste avessero risposta alle proprie prevedibili esigenze.
Tra urbanistica e comunità
Il tema è ambiguo anche perché lascia intendere che l’urbanistica – o una sua componente – abbia uno stretto rapporto con le comunità, e questo accade solo in particolari circostanze . L’urbanistica con le comunità è considerata una pratica relativamente marginale, sia per l’entità del fenomeno sia per l’area sociale cui in prevalenza si rivolge . La descrizione della Comunità si intende come un insieme di abitanti e di operatori economici che vivono o lavorano abitualmente in una data porzione di città, e che condividono anzitutto un determinato spazio urbano. In questo caso si tenderebbe a superare la definizione classica che
rimanda alla società preindustriale, per riferirsi piuttosto a nuove comunità improprie che presentano solo alcune caratteristiche del modello storico. Si tratta di una definizione minima ma funzionale allo scopo del community-based planning che, non solo riconosce la comunità locale come interlocutore, ma che vi si affida per dialogare con gli abitanti di un quartiere, per affrontare i problemi comuni e favorire la partecipazione alla formazione delle decisioni . Il community-based planning è una pratica che affonda le sue radici nella cultura statunitense fin dalle sue origini ( negli anni sessanta e settanta ) , nella spiccata attitudine degli “americani” ad associarsi spontaneamente per affrontare le più disparate questioni ritenute di interesse comune . Il community planning americano ha pertanto una precisa connotazione culturale e storica, ma anche geografica: è un fenomeno tipicamente urbano, che nasce e trova alimento nelle città, dove i problemi sociali sono più evidenti e le lotte più accese. E, particolare non trascurabile per gli Stati Uniti, una maggiore densità abitativa. Nelle città lo spazio urbano non è rarefatto, la prossimità ha un significato diverso rispetto ai suburbs, il rapporto con ciò che accade nei pressi è più immediato, nel bene e nel male . Le condizioni nelle quali si sviluppa il fenomeno dell’urbanistica con le comunità si concretizzo con il New Communities Program deliberato nel 1968 , poi significativamente ampliato nel 1970 con la creazione di quindici Nuove Comunità negli Stati Uniti e annullato nel 1978 , tre anni dopo che si erano annullati i suoi pur modesti obbiettivi . Quella del community planning è soprattutto una storia di lotte per la difesa dei quartieri da discutibili operazioni di rinnovo urbano, una storia di rivendicazioni per case più umane, meno costose e più vivibili. È una storia di successi e di insuccessi, di un cammino difficile e incerto verso una maggiore equità sociale, verso una partecipazione effettiva alla vita democratica. Un elemento costante di questa storia, come si evince dal nome che porta, è la comunità: quella rete di relazioni, quella sorta di assicurazione sociale di cui hanno bisogno soprattutto coloro che devono unire le forze per difendere i propri diritti in assenza di potere e rappresentatività politica adeguati.
Se allora la sfida del community planning rientrava nei più ampi social movements per l’estensione dei diritti civili, ora la stessa sfida si fa più impegnativa, perché l’urbanistica partecipata è chiamata a contribuire al rafforzamento complessivo delle condizioni che favoriscono la coesione sociale, siano esse fisiche o relazionali. Nello stesso periodo nasceva l’ advocacy planning, una particolare forma di urbanistica con finalità sociali che si batteva per una maggiore giustizia sociale, coinvolgendo i cittadini nei processi decisionali e assistendo i più deboli nella difesa dei propri quartieri, nel tentativo di migliorare le loro condizioni di vita . Anche l’ Equity planning una pianificazione a favore dell’equità, della urbanistica in difesa dei gruppi urbani più deboli , viene assunta come in eludibile per il progetto delle città contemporanee e che ha le sue radici nei movimenti in difesa delle comunità come l’advocacy planning. Krumholz definisce i pianificatori per l’equità come coloro che cercano di distribuire potere, risorse o partecipazione sottraendoli alle elite locali e convogliandoli verso i residenti poveri e proletari della città. I pianificatori che lavorano per l’equità cercano all’inizio di capire quali siano le disuguaglianze urbane chiedendosi, in termini di economia politica, chi stia ottenendo qualcosa dai piani e dalle politiche urbane locali e cosa stia ottenendo. Accettando l’imperativo secondo cui la pianificazione è l’ancella della politica, questi pianificatori devono avere bene in mente gli interessi dei poveri e di coloro che non sono rappresentati . In una rivisitazione della tesi di Friedmann e Keuester, del 1994 si esprimono significativi concetti sulla pianificazione come : •
La pianificazione si preoccupa di rendere le decisioni pubbliche/politiche più razionali. La tensione, quindi, è rivolta prevalentemente verso un processo decisionale revisionale: verso lo sviluppo di visioni del futuro e verso una razionalità strumentale che esamina e valuta con molta cura opzioni e alternative.
•
La pianificazione è più efficace quando è comprensiva. La comprensività è scritta nella
legislazione
urbanistica
multifunzionali/multisettoriali
e
si
riferisce
a
come pure alle intersezioni
piani
spaziali
tra pianificazione
economica, sociale, ambientale e fisica. La funzione della pianificazione è dunque quella di integrare, coordinare e definire gerarchie. La pianificazione è scienza e arte basata sull’esperienza, ma l’accento è di solito posto sulla scienza. L’autorità dei pianificatori deriva in larga misura dalla padronanza di teoria e metodi delle scienze sociali. •
La pianificazione, in quanto parte del progetto di modernizzazione, è un progetto di futuri guidati dallo stato, dove questo ha orientamenti progressisti, riformisti ed è indipendente dall’economia.
•
La pianificazione è opera nell’ “ interesse pubblico ” e la formazione dei pianificatori è tale da renderli soggetti privilegiati, perché li mette nelle condizioni di riconoscere in cosa consista quell’ interesse. I pianificatori mostrano un immagine pubblica di neutralità e, quindi, le politiche di pianificazione basate sulla scienza positivista sono neutrali rispetto al genere e alla razza.
Dalla lettura delle trasformazioni urbane degli ultimi quarant’anni, si osserva come città si è dovuta misurare con un processo di crescita e di trasformazione continuo e imponente, a causa del forte dinamismo economico e demografico seguendo, invece di organizzare preventivamente, il proprio sviluppo urbano. La forza economica del mercato immobiliare appare evidente ma, inaspettatamente, emerge un’importante componente pubblica nelle vicende di trasformazione urbana più importanti degli ultimi decenni. Ingenti finanziamenti pubblici hanno infatti sostenuto molte delle principali operazioni immobiliari private che hanno cambiato il volto della città, contribuendo ad accelerare la transizione verso la città della finanza e dell’informazione. Chi critica il sostegno pubblico a queste operazioni lo fa segnalando la contraddizione del sostegno al mercato più redditizio (degli uffici e delle
residenze di lusso) a danno delle politiche di sostegno ai ceti più deboli (Fitch 1983). Questi ultimi risultano danneggiati sia direttamente dagli interventi realizzati, sia indirettamente, a causa della riduzione dei fondi per interventi di rigenerazione urbana delle aree più svantaggiate.
La valutazione della qualità urbana
Seguendo quanto indicato da Myers (1988) è possibile individuare le seguenti categorie di approccio per le valutazioni sulla qualità degli ambienti urbani: •
l’analisi del livello di vivibilità (liveability study) delle aree urbane mediante il confronto di indicatori di qualità ambientale e urbana
•
la valutazione monetaria delle Amenities, o delle componenti di qualità urbana, attraverso la costruzione di haedonic equations o mediante valutazioni di contingenza
•
la valutazione della qualità percepita (Greene, 1992; Nasar, 1990 ; Lynch e Gimblett, 1992 ; Douglas Porteous, 1996), mediante l’uso di metodologie di interrogazione diretta quali tecniche di ascolto, questionari, mappe mentali ecc;
•
la costruzione di geografie di valori ambientali effettuata attraverso la individuazione di indicatori complessi (Maciocco, 1989; Cecchini e Fulici, 1994) con l’uso di tecniche di correlazione, approcci multicriteriali o multidimensionali, e la loro localizzazione spaziale.
Partendo da un set di indicatori il livello di qualità ambientale può essere rappresentato con un valore risultante da una funzione a più variabili : Q = F( i1 ,i2 ,...iN) dove: Q è il livello della qualità ambientale, F è la funzione, i1 ,i2 ,...iN sono le variabili, rappresentate da un set di indicatori di qualità ambientale. L'approccio in termini di vivibilità può mostrare confronti disaggregati tra i valori delle singole variabili, e/o un unico valore che
è ottenuto con relazioni empiriche o matematiche. Usualmente l'approccio in termini di vivibilità esprime la qualità ambientale globale come una somma nella forma:
dove: Ai è il valore della variabile riferita all'i-esima componente ambientale, f è un coefficiente di omogeneizzazione. Come già rimarcato, la liveability analysis mediante confronto di parametri dipende totalmente dalla scelta degli indicatori, e la qualità ambientale cambia cambiando set di indicatori. Uno studio condotto su 20 città europee (Mutti, 1994) e approfondito su 5 (Barcellona, Lione, Monaco e Stoccarda) individua una serie di funzioni urbane attraverso cui classificare i sistemi metropolitani considerati. L’approccio è quello dell’analisi statistica. Le categorie sono le seguenti: •
sistemi di trasporto e mobilità,
•
infrastrutture a rete (fisiche e non),
•
insediamento urbano,
•
servizi alle imprese,
•
qualificazione del capitale umano,
•
servizi alla persona.
La metodologia di valutazione proposta utilizza come indicatori complessi una serie di vettori ottenuti da una somma, appunto vettoriale dei valori espressi dagli indicatori semplici. Rimane il rischio della arbitrarietà di attribuzione dei pesi, anche se la combinazione degli indicatori è più attenta rispetto alla combinazione lineare di Legambiente. Il software utilizzato permette di effettuare una analisi di sensitività, riscontrando quindi quali siano i
fenomeni (rappresentati dagli indicatori) più significativi nella determinazione di un certo livello di qualità urbana. Alla descrizione si accompagna quindi una fase valutativa, il cui risultato è un indicatore generale di qualità che fornisce un ordinamento delle città.
Indici di qualità urbana
Cecchini suggerisce la costruzione di un Indice di qualità urbana totale (Iqt). L’indice di qualità urbana totale (Cecchini e Fulici, 1994) è finalizzato alla individuazione di aree sensibili nei contesti urbani, cioè di aree per cui è necessario effettuare una valutazione di ipotesi di intervento per il loro particolare valore ambientale. La costruzione dell’indice di qualità urbana totale proposto, richiede la costruzione di due indici parziali , l’indice di qualità urbana Iqu e l’indice di qualità sociale Iqs Per la definizione degli Iqu (indicatori su scala cardinale da 0 a 60) si considerano le risorse urbane, cioè gli elementi fisici dell'ambiente urbano: 1. i siti, intesi come luoghi urbani che in relazione alla loro configurazione o alla funzione che oggi svolgono si configurano come elementi unici all'interno della città; tale peculiarità non è solo funzionale o economica, ma si anche storica fisica; 2. i servizi, sia quelli legati alla vita quotidiana, sia quelli specializzati non legati alla vita quotidiana. 3. le emergenze artistico-culturali, e cioè gli elementi caratteristici e rari di elevato valore culturale ed artistico (edifici, complessi di edifici, singole architetture). 4. I modelli sociali di fruizione si basano sulle caratteristiche d’uso dell'ambiente urbano da parte del cittadino e sul significato culturale da lui attribuito alle sue singole parti: essi vengono definiti attraverso indici di gradimento. Sono necessarie tecniche d'indagine specifiche di supporto, basate su questionari e tecniche di ascolto.
Si attribuisce un Iqu alto (punteggio 40-60) alle aree sensibili (aree che presentano particolari condizioni di vincolo, risorse di alto valore culturale ed artistico, buona organizzazione dei servizi); si attribuisce un Iqu medio (21-39) alle aree critiche (aree in fase dì evoluzione nell'organizzazione dei servizi, nella struttura economica e nella qualità architettonica; esse sono aree, cioè, che rappresentano delle "potenzialità positive"); si attribuisce un Iqu basso (020), alle aree indifferenti, prive di risorse urbane. La definizione degli Iqs avviene attraverso una serie di variabili rappresentate da indicatori socio economici e di qualità della vita.
Nell’esempio l’Iqu totale deriva dalla presenza di Molte emergenze di Alto gradimento + Pochi
siti
di
Medio
gradimento
+
Molti
=(10+10)+(5+5)+(10+10) Gli Iqs sono indicatori che considerano i seguenti aspetti : •
il livello di occupazione
•
il tasso di criminalità
•
il grado di istruzione
servizi
di
Alto
gradimento
•
il reddito
•
la salute fisica e mentale
•
le forme di disadattamento sociale
•
lo stato degli immobili
•
il livello di coesione sociale
Attraverso la definizione di un pacchetto di indicatori viene condotta una analisi fattoriale, che individua le componenti principali, cioè variabili statistiche nuove che spiegano con maggiore significatività il fenomeno rappresentato dagli indicatori iniziali. L’iqs è una combinazione delle componenti principali ottenute. L’ Indice di qualità urbana totale (Iqut) si determina per combinazione tra Iqu e Iqs. Si moltiplica il valore, ottenuto per somma dei singoli indicatori presenti nelle caselle d'incrocio riga-colonna, che definiscono attraverso una scala discreta (0-60) gli Iqu per quello degli Iqs, espresso da un numero compreso tra O e 1 . Quindi :