Il 1° settembre 1969, l'ARPA (divenuta in seguito DARPA) attivava la comunicazione del “first node”, fondando “ARPANET” - una rete di elaboratori decentrata nata inizialmente con lo scopo di poter resistere ad un eventuale attacco nucleare da parte dell'Unione Sovietica che si sarebbe poi trasformata in Internet. Uno dei più grandi progetti di ricerca della storia delle telecomunicazioni, prese vita, nel 1960, all'interno della Rand Corporation, una compagnia statunitense incaricata di fornire al Pentagono servizi di consulenza. Fu Paul Baran a realizzare il primo lavoro di ricerca scientifica sulla “commutazione di pacchetto”. Per i suoi studi sulle reti di trasmissione dati, Baran si ispirò alla rete più complessa in assoluto, il cervello umano. Dallo studio approfondito delle reti neurali, Baran ricavò un modello, che battezzò col nome di “distributed network” (rete distribuita), basato sulla ridondanza e la molteplicità dei collegamenti: la duplicazione e la sovrabbondanza di connessioni del progetto di Baran ricorda quella del cervello umano, nel quale le funzioni di una parte danneggiata possono venire rimpiazzate da una nuova connessione realizzata con i neuroni rimasti intatti. Un'altra idea rivoluzionaria è quella del “packet switching”, cioè frazionare i messaggi in diverse unità elementari d'informazione, ciascuna in grado di seguire un percorso differente all'interno della rete. In un memorandum dal titolo “On Distributed Communications Networks” (marzo 1964), in cui descrive una rete di comunicazione capace di resistere ad un attacco termonucleare, Baran afferma: “è tempo di cominciare a pensare a una nuova e non ancora esistente rete pubblica, un impianto di comunicazione progettato specificamente per la trasmissione di dati digitali tra un vasto insieme di utenti”. Su sollecitazione dello stesso August Rand, nel 1965, il Pentagono decide di prendere in considerazione la proposta di rete distribuita, ma è lo stesso Baran a bloccare tutto quando si accorge che il progetto sarebbe stato affidato alla DCA, la Defense Communications Agency, un'agenzia governativa con nessuna esperienza nel campo delle tecnologie digitali. Nel luglio del 1961, Leonard
Kleinrock della UCLA (University of California di Los Angeles), pubblica “Information Flow in Large Communication Nets”, un testo che getta le basi statistiche e matematiche per lo studio del traffico nelle reti distribuite, che confluirà poi nel libro “Communication Net” (1964), nel quale è descritto più dettagliatamente il funzionamento di una rete basata sul packet switching. L'ARPA affida a Kleinrock la realizzazione del Network Measurement Center (NMC), il Centro di Misurazione della Rete situato presso la UCLA, che diventerà il primo nodo della futura Arpanet, con il compito di monitorare il traffico dei pacchetti attraverso i nodi che si sarebbero via via aggiunti. Nel frattempo, il secondo direttore dell'ARPA, il Generale Austin W. Betts, viene sostituito da Jack P. Ruina, il primo scienziato a dirigere l'ARPA dopo un uomo d'affari e un militare. Il principale merito di Ruina è quello di intuire il grande potenziale della computer science e delle sue applicazioni alla trasmissione dei dati. Nell'autunno del 1962, Ruina accoglie tra le file dell'ARPA, Joseph Carl Robnett Licklider, meglio conosciuto come “Lick”, uno studioso di psicoacustica che avrà un ruolo fondamentale. Le innovative visioni di Licklider sono raccolte nel saggio intitolato “ManComputer Symbiosis” (1960), in cui afferma esplicitamente: “Tra non molti anni la mente umana e i calcolatori saranno interconnessi molto strettamente e questa alleanza uomo-macchina sarà in grado di pensare così come nessun essere umano ha mai fatto finora, elaborando dati con prestazioni che sono ancora irraggiungibili per le macchine con cui effettuiamo attualmente il trattamento delle informazioni”. Successivamente, insieme a Wesley Clark del MIT, pubblicò “On-Line Man Computer Communication” (1962), che rappresenta il primo articolo sul concetto di Internet. Un altro scritto di Licklider che ha fatto storia è la pubblicazione scientifica intitolata “The Computer as a Communication Device”, realizzata presso l'ARPA nell'aprile 1968 assieme a Robert Taylor, in cui definisce per la prima volta il concetto di “comunità virtuali” (“on line interactive communities”), descritte come “gruppi di persone unite da interessi comuni anziché dalla vicinanza geografica” (i cosiddetti “social networks”, ndr). Il primo ottobre del 1962, Licklider viene messo sotto contratto dall'ARPA, che lo strappa al MIT. Lick inizia una “caccia ai cervelli”, coinvolgendo tutti i più grandi centri di ricerca e le più prestigiose istituzioni universitarie degli Stati Uniti. Questa scelta condiziona fortemente l'evoluzione di Arpanet, che si sviluppa al di fuori degli ambienti militari, con il contributo fondamentale di tutti gli studenti universitari che iniziano a utilizzare i collegamenti Arpanet a partire dal 1969, data di collegamento dei primi due nodi della rete. Licklider viene messo a capo di un gruppo di lavoro, da lui battezzato prosaicamente “Intergalactic Computer Network”, al quale indirizza nel 1963 un memorandum che rappresenterà la base concettuale di ciò che sarebbe diventata Arpanet. Lick rimane alla guida dell'IPTO (Information Processing Techniques Office) fino al 1965, quando viene sostituito da Ivan Sutherland. Sutherland porta avanti le teorie di Licklider e fonda il primo “network research”. Nel frattempo, un fisico del British National Physical Laboratory, Donald Watts Davies, aveva sviluppato a Londra delle teorie sul networking distribuito molto simili a quelle di Paul Baran. Nella primavera del 1966, Davies dà una pubblica lettura del suo lavoro, nel quale descrive l'inoltro di messaggi, suddivisi in tanti “pacchetti”, all'interno di una rete digitale. La scelta del termine “packet switching” per battezzare questa tecnologia di trasmissione dati si deve a Davies, mentre Baran aveva
descritto le stesse cose con il più prolisso “distributed adaptative message block switching” (commutazione distribuita adattiva a blocchi). L'anno seguente, il 1966, Bob Taylor sostituisce Ivan Sutherland alla guida dell'IPTO. Le idee sul networking seminate negli anni precedenti da Lick sono ormai giunte a maturazione: a Taylor basteranno solo venti minuti per ottenere da Charles Herzfeld, il quarto direttore dell'ARPA, un finanziamento da un milione di dollari per un progetto di rete distribuita. Vari anni più tardi, un articolo della rivista Time darà vita alla leggenda di una rete militare costruita con la precisa intenzione di mettere gli Stati Uniti in condizioni di affrontare una guerra termonucleare, disponendo di una rete di comunicazioni in grado di sopravvivere a un eventuale bombardamento (l'articolo del Time verrà subito smentito da una lettera, mai pubblicata, inviata alla prestigiosa rivista da Taylor). In realtà, le reti a commutazione di pacchetto e la realizzazione di Arpanet sono solamente due tra i tanti progetti di ricerca di base portati avanti dall'ARPA in quegli anni. Al Lincoln Lab, sempre all'interno di un progetto finanziato dall'ARPA, nell'ottobre del 1965, il ricercatore Larry Roberts supervisionò, insieme con Thomas Marrill, il primo collegamento dati fra il “TX-2” dei Lincoln Labs a Lexington, Massachussets, e l' “AN/FSQ-32” della SDC (System Development Corp.) a Santa Monica in California: era la prima volta che due computer si scambiavano informazioni tra di loro attraverso dei “pacchetti”. La connessione fu realizzata tramite una linea dedicata di 1200bps fornita dalla Western Union ed una coppia di modem. I risultati furono contrastanti: il collegamento tramite commutazione di circuito era inaffidabile, ma le teorie di Kleinrock sul “packet switching” funzionavano. Nell'ottobre del 1969, Roberts e Marrill pubblicarono i risultati dell'esperimento in “Toward a Cooperative Network of TimeShared Computers”. In questo articolo viene utilizzato per la prima volta il termine "protocollo" per descrivere l'insieme delle procedure necessarie per la trasmissione dell'informazione. Nel dicembre del 1966, Larry Roberts fa il suo ingresso negli uffici dell'ARPA. Tra i sostenitori del progetto di rete descritto da Roberts, vi fu Douglas Engelbart e l'intero Augmentation Laboratory, il gruppo di ricerca dello Stanford Research Institute che in quegli anni stava sperimentando sotto la guida di Engelbart nuove forme di interazione tra l'uomo e i computer. Engelbart e soci realizzano il Network Information Center (NIC), il primo centro amministrativo della rete che più tardi prenderà il nome di INTERNIC (Internet Network Information Center). Nel corso del 1968, Roberts rilascia un documento nel quale si definiscono le specifiche degli Interface Message Processors (IMPs) - “interfacce di gestione dei messaggi” - che viene inviato a 140 compagnie interessate alla costruzione di questi fondamentali componenti della rete. Nel testo di Roberts vengono riorganizzati con ricchezza di dettagli tutti i contributi teorici e tecnologici realizzati sin dai primi anni
'60 da Baran, Davies, Kleinrock e Clark.La IBM è tra i primi a rispondere, sostenendo che una rete del genere non avrebbe mai potuto essere realizzata, a causa dell'enorme costo da sostenere per l'acquisto dei computer necessari a far funzionare ogni nodo della rete. Non è dello stesso parere la Bolt Beranek and Newman, una piccola ditta di Cambridge, Massachussetts, alla quale viene appaltata la realizzazione dei primi Interface Message Processors con un contratto da un milione di dollari. La BB&N era nata nel 1948 come una ditta di consulenza per la progettazione dell'acustica di teatri e sale cinematografiche. Proprio gli studi sull'acustica avevano attirato J.C.R. Licklider in questa ditta, dove lavorò per alcuni anni a partire dal 1957, costringendo i soci della BB&N ad acquistare il primo esemplare di “Pdp-1”, uno dei grossi “bestioni” informatici dell'epoca. Grazie a Lick, la BB&N si trasforma in un prolifico centro di ricerca sulle tecnologie informatiche, al punto da meritare il soprannome di "terza università" di Cambridge, accanto al MIT e a Harvard. Quando il documento di Roberts arriva alla BB&N, nell'agosto del1968, Frank Heart viene incaricato di mettere insieme un gruppo di ricerca in grado di realizzare il primo IMP, rispettando le scadenze fissate dall'ARPA. Attorno ad Heart si riuniscono gli “IMP guys”, i “ragazzi dell'IMP”: Dave Walden, esperto di sistemi in tempo reale, Severo Ornstein, mago dell'hardware, Bernie Cosell, capace di scovare qualsiasi errore di programmazione, Will Crowther, appassionato di matematica in grado di creare programmi piccoli e complessi al tempo stesso. I ragazzi dell'IMP si buttano a capofitto nel loro lavoro di programmazione, tanto da trasformare la BB&N in una seconda casa, nella quale trascorrere notti insonni. A cavallo tra il 1968 e il 1969, sono impegnati in una estenuante corsa contro il tempo, cercando di concludere il loro lavoro febbrile per la realizzazione del primo IMP, nei termini previsti. Contemporaneamente, nelle sedi universitarie destinate a ospitare i primi nodi Arpanet, si lavora altrettanto intensamente per mettere in grado i computer universitari di collegarsi agli IMP, e di conseguenza a tutto il resto della rete, secondo le specifiche stabilite dalla BB&N. Steve Crocker, del gruppo di ricerca di Leonard Kleinrock all'UCLA, scrive il Request For Comments (RFC) N. 1, intitolato “Host Software”, un documento nel quale si descrivono i protocolli di connessione tra due computer, vale a dire le regole per stabilire uno scambio di dati fra due calcolatori diversi connessi a due stessi IMP. I documenti RFC riflettono la natura originaria della rete, priva di una qualsiasi autorità centralizzata e aperta alle proposte di chiunque. Basti pensare che Crocker ha scritto l'RFC N.1 nel bagno della casa che condivideva con altri studenti, cercando volutamente di utilizzare uno stile aperto e informale, in grado di invogliare chiunque a collaborare allo sviluppo delle specifiche tecniche della rete ancora in incubazione. La nascita degli RFC è stata raccontata dallo stesso Crocker nell' RFC N. 1000, dal titolo “The Beginning of the Network Working Group from The Origins of RFCs”, un numero speciale richiesto a Crocker da Jon Postel, editor dei Request For Comments. Lo stile aperto di questi documenti viene apprezzato da tutte le università che lavorano al progetto di rete promosso dall'ARPA. Si crea così un clima di intensa cooperazione inter-universitaria, nel quale prende vita il Network Working Group (NWG), un gruppo di lavoro all'interno del quale nasceranno le soluzioni tecnologiche e gli standard che sono alla base degli attuali
servizi Internet, sulla base di un modello “open source” (lo stesso di oggi): a chiunque era permesso di contribuire con idee, che venivano poi sviluppate collettivamente. Del gruppo faceva parte anche Vinton Cerf, che poi fonderà l'Internet Society. Il 30 agosto 1969, l'IMP numero 1 parte dai laboratori BB&N, al numero 50 di Moulton Street, per arrivare in aereo all'UCLA: il primo embrione della futura Internet, realizzato da Vinton Cerf, Steve Crocker, Jon Postel insieme agli IMP guys, è un computer senza hard disk, senza floppy (non erano ancora stati inventati), con soli 12K di memoria a nuclei di ferrite. Il codice di sistema necessario al funzionamento dell'IMP No. 1 occupa più di mezzo miglio di nastro perforato (circa 800 metri). L'intenso lavoro realizzato all'UCLA nelle settimane precedenti dà i suoi frutti. Il primo settembre, nel weekend del Labour Day, iniziano le prime prove di funzionamento. Nel giro di un'ora, il “Sigma-7” e l'IMP numero 1 iniziano a scambiarsi dati e a colloquiare come due vecchi amici che si conoscono da sempre. Il primo ottobre 1969, l'IMP N. 2 raggiunge lo Stanford Research Institute in California, a Menlo Park: è questa la data a cui si fa ufficialmente risalire la nascita di Internet. La visione condivisa da Baran, Davies, Roberts e tutti i pionieri di Arpanet diventa finalmente una realtà concreta. Iniziano i primi esperimenti di collegamento con l'università di Los Angeles e il nucleo della rete si estende con due nuovi nodi: a novembre il terzo IMP collega l'Università di Santa Barbara (UCSB) al nodo dell'UCLA; un mese più tardi, si unisce alla rete anche l'Università dello Utah, che viene collegata allo Stanford Institute tramite l'IMP N. 4. In un articolo di Newsweek del '94, viene riportato che Crocker, alla domanda di quale fu il primo messaggio inviato in rete, abbia risposto: “Il collegamento funziona. Solo questo è importante”. L'applicazione che avrà la maggiore influenza nell'evoluzione successiva della rete, nasce per caso, nel marzo del 1972. Un ingegnere chiamato Ray Tomlinson, per scambiare opinioni con i suoi colleghi delle altre università, installa su Arpanet un semplice sistema di messaggistica su computer: nasce così la posta elettronica e per la prima volta compare il famoso simbolo a chiocciola. Il termine Internet viene utilizzato per la prima volta nel 1975, nel documento che definì il protocollo TCP, inizialmente per indicare l'interconnessione tra reti distinte (ARPAnet e NSFnet inizialmente): in quegli anni convivevano diversi standard di comunicazione e la loro interconnessione era considerata un importante obiettivo. Successivamente, al consolidarsi della posizione dell'Internet Protocol come protocollo generico di comunicazione interno ad una rete, il suo significato si modificò per indicare la rete di interconnessione basata sulla associazione TCP/IP, rispettivamente Protocollo di Trasporto Internetwork e Protocollo di Network.
Internet - o più semplicemente “the Net”, “la Rete” - è una sorta di metarete costituita da molte reti telematiche connesse tra loro. Non ha importanza quale sia la tecnologia che le unisce: cavi, fibre ottiche, ponti radio, satelliti, o altro. Non è neanche rilevante di che tipo siano i computer connessi: dal piccolo personal computer al grosso elaboratore, o mainframe. Punto di forza di Internet, e motivo del suo velocissimo espandersi, è la sua capacità di "parlare" un linguaggio universale, adatto alla quasi totalità degli elaboratori esistenti. TCP/IP permette di far parlare fra loro milioni di computer in tutto il mondo, ma anche di connettere efficientemente le poche macchine di una rete locale. Per potersi collegare ad Internet, il solo requisito richiesto ad un qualsiasi agente o dispositivo elettronico è quello di poter “dialogare” con i protocolli, TCP (Transmission Control Protocol) e IP (Internet Protocol), che controllano l'invio e la ricezione dei pacchetti. Gli sviluppatori del protocollo - Bob Khan e Vinton Cerf - non solo crearono un prodotto valido ed estremamente versatile, ma decisero di regalarlo all'umanità, non vincolando il software a nessuna forma di copyright. Il 23 dicembre 1987 nacque “cnr.it”, il primo nome a dominio italiano, che ha inaugurato la rete italiana, la quarta in Europa. Ed è, ancora oggi, l'IIT-CNR (Istituto di Informatica e Telematica) a registrare i domini nel nostro Paese, che nel frattempo sono diventati un milione e mezzo, sesti al mondo per diffusione, e che crescono di 20mila al mese. Il primo collegamento alla rete Internet, il 30 aprile del 1986, avvenne da Pisa agli Stati Uniti, passando per il satellite, e fu il frutto del lavoro dei ricercatori dell'allora neonato Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico (CNUCE). Alla stessa struttura, venti mesi dopo, le autorità americane, che regolavano e regolano la rete, assegnarono la gestione del Registro dei domini .it in virtù delle competenze tecniche e scientifiche maturate dai suoi esponenti, quarti in ordine di tempo in Europa ad adottare il protocollo Internet. I primi a comprare uno spazio sulla grande rete furono università, enti scientifici e amministrazioni pubbliche. Le prime funzioni affidate alla rete riguardavano la gestione degli archivi e la redazione delle prime banche dati. I centri di ricerca usavano Internet quasi solo per scambiarsi risultati di laboratorio. Enrico Gregori, attuale responsabile del Registro, ha dichiarato che “nessuno, tra i ricercatori che allora contribuirono a realizzare la prima infrastruttura di rete e ai quali mi onoro di appartenere, avrebbe mai creduto che quello strano modo di far parlare tra loro computer diversi, sparsi in ogni luogo nel mondo, un giorno avrebbe rappresentato uno dei principali mezzi di comunicazione. E non per gli scienziati, ma per la gente comune. Se oggi in Italia, e nel resto del mondo, parole come blog, e-mail, Web e domini sono entrate a far parte della vita quotidiana, lo si deve soprattutto a quella generazione di ricercatori che, negli anni '80, ha saputo guardare al futuro, costruendo mattone su mattone il medium più esplosivo dell'era moderna”. A distanza di 20 anni, cosa è cambiato? Dopo l'era dei “portaloni”, l'avvento dei blog, di YouTube e dei contenuti “user-generated”, ci troviamo ora nella fase cosiddetta “Web 2.0”, mentre già si parla di “Web 3.0” e della costruzione di
una vera intelligenza collettiva. Nel campo dei domini, uno dei prossimi, prevedibili, traguardi, sarà il passaggio ad un sistema di registrazione definito “sincrono”, cioè un software che dovrebbe allineare il Registro italiano a quello di altri Paesi, garantendo una sensibile riduzione dei tempi tecnici necessari alla struttura del CNR per ottemperare alla procedura, ora come ora lenta e farraginosa. La “rete delle reti” - il “ciberspazio”, l' “infosfera”, il “simulmondo” - da molti ciber-entusiasti è stata salutata come l'avvento di una “intelligenza collettiva”. Si è pensato a questa intelligenza sotto forma del marxiano “general intellect”, ma c'è anche chi, come Pierre Lévy, ha scomodato concezioni della metafisica islamica di derivazione neoplatonica. Per Lévy, l'intelligenza che si origina nell'infosfera per mezzo delle conferenze in rete, è paragonabile a una sorta di “anima mundi” di carattere planetario, che, in opposizione simmetrica alla tradizione islamica, non trae nutrimento dalle sfere superiori ma dalla base. Viene rovesciato così lo schema assiologico della metafisica medievale, ma ne restano tuttavia condivisi i giudizi relativi al peso di una componente immateriale, seppure tradotta nei bit di informazione della comunicazione elettronica. Ancor prima, Marshall McLuhan aveva parlato di “villaggio globale”. In effetti, le aspettative sul formarsi di una comunità mondiale non sono andate deluse. Internet si va sempre più espandendo, mostrando una grande vitalità. Non si espande però di pari passo la qualità del rapporto comunicativo che in essa trova luogo. Internet non è diventata la sede virtuale di un'intelligenza globale che lavora in sinergia, ma piuttosto un gigantesco labirinto zeppo di materiali, in cui ognuno cerca e offre, all'eventuale attenzione degli altri, testi e tutto quanto possa essere convertito in lettere e numeri. Internet finisce quindi con l'essere un qualcosa a metà tra una gigantesca biblioteca virtuale e una specie di grande emporio culturale. Le comunità virtuali rimangono invece un fatto molto più limitato. Howard Rheingold ha raccontato in “Comunità Virtuali” la sua esperienza in una rete collegata a “The Well”, una microcomunità elettronica che non riesce, all'interno di una struttura globale di comunicazione, a superare il particolarismo subculturale che domina l'attuale condizione sociale, sempre tesa tra un movimento di globalizzazione e una focalizzazione del proprio ambito esperienziale entro limiti contenuti. Nell'Information Age, la svolta tecnologica, più che introdurre forme rilevanti di socialità, protrae la tendenza alla creazione di identità frammentarie e nomadi, connesse alle subculture metropolitane o alla rivendicazione di istanze momentanee, o, ancora, alla riscoperta di tradizioni e di identità etniche, in modo persino più ortodosso e fondamentalista quanto più legato ad un retroterra di instabilità e di crisi. Nel novembre del 1990, il fisico inglese Tim Berners-Lee, l'ideatore del “World Wide Web”, creò su un computer del Cern di Ginevra la prima pagina Web della storia. Berners-Lee lavorò al primo “web browser” e al primo “web server” su un computer NeXT, creato da una società fondaa da Steve Jobs, la NeXT Computer. L'inventore britannico provò l'emozione di vedere realizzato il suo ambizioso progetto collegandosi con un sito installato a diecimila chilometri di distanza grazie ad un collega americano, il fisico
nucleare Paul Kunz. Quest'ultimo, dopo una proficua visita al Cern, tornò a Stanford in California e il 12 dicembre 1991 realizzò su un pc dello SLAC (Stanford Linear Accelerator Center) il primo sito Web degli USA. «Si trattava di una semplicissima pagina - racconta Kunz - con due soli link, uno era una rubrica telefonica, l'altro un database». Un mese dopo, Tim Berners-Lee scelse il sud della Francia per presentare la rivoluzionaria invenzione durante una conferenza di fisici nucleari. Duecento scienziati, tra incredulità ed entusiasmo, videro apparire su uno schermo la rudimentale pagina realizzata da Kunz e poterono consultare la rubrica e il database su quel server antesignano collocato al di là dell'oceano. Nel 1994, Kunz ha creato “GnuStep”, un progetto informatico che riproduce in versione open source il sistema operativo “OpenStep” di Next Inc., poi utilizzato da Apple Commputer come base per realizzare il Mac OS X. È stato anche sviluppatore capo di “HippoDraw”, un potente software “orientato agli oggetti” per l'analisi statistica dei dati. Si è occupato dell'analisi del software per il GLAST (Gamma-ray Large Area Space Telescope), missione alla quale partecipa anche l'Italia, per il satellite che la Nasa ha lanciato all'inizio del 2008. Kunz è oggi uno strenuo sostenitore dell'open source, ovvero del software distribuito con una licenza con cui si permette a qualsiasi sviluppatore di modificare il codice di programmazione (è il caso del diffusissimo sistema operativo Linux, considerato il più esteso progetto collaborativo della storia). Un lavoro collettivo che può impegnare gli esperti informatici di una nazione o di tutto il mondo ad elaborare un programma molto più sicuro e sofisticato di quello prodotto da un singolo gruppo. Una “filosofia” che in Italia sta per decollare: la Finanziaria 2007 prevede un fondo di 30 milioni di euro per gli investimenti legati all'uso e allo sviluppo dei «software a codice aperto». Recentemente, Luigi Nicolais, Ministro per le Innovazioni e le Riforme, ha istituito un'apposita Commissione e un Osservatorio sull'open source (OSSPA). La Gazzetta del Sud Online ha recentemente pubblicato una lunga intervista con Kunz - “Il pioniere di internet profeta del software senza padroni”, che definisce l'open-source la vera anima di internet. «Ho preso in prestito questo concetto - dice Kunz - da Tim O'Reilly, amministratore delegato della omonima casa editrice (nonché “padre” del concetto di “Web 2.0”). Tim fa notare che è un software open source anche il programma BIND (Berkeley Internet Name Domain), il quale, quando noi digitiamo gli Url (i comuni indirizzi preceduti da “www”) li traduce in indirizzi numerici per regolare il traffico su internet. E questo è solo un esempio. Anche i primi software Web, sia quelli usati dagli utenti sia quelli installati sui server, erano distribuiti come open source, prima ancora che questa espressione fosse inventata [...] Per ironia della sorte, nonostante l'assenza di “venditori”, chi usa un software “libero” ha un supporto migliore e più veloce di chi ne usa uno bloccato dal copyright. Ciò grazie ai forum online e alle mailing list, in cui sono costantemente affrontati e risolti i problemi di un programma informatico e i suoi errori di scrittura. Se hai una difficoltà nell'uso di un software, grazie a Google trovi la soluzione sui siti di discussione».
«Dal 1991 a oggi, la ricerca scientifica è stata avvantaggiata attraverso la divulgazione di importanti documentazioni. Basta andare sul sito del Cern e aggiornarsi sugli esperimenti realizzati utilizzando il Large Hadron Collider (un sofisticatissimo acceleratore di particelle). Si possono trovare dettagli in un modo che prima del 1991 era possibile solo su documenti cartacei. Grazie a Internet, l'informazione scientifica oggi è a disposizione di ogni ricercatore in qualsiasi parte del mondo [...] In campo sociale, Internet ha fornito una rete utilizzabile da chiunque e per qualunque scopo. Prima della sua nascita esistevano numerose reti separate con opportunità e contenuti limitati. Internet fu perciò il naturale luogo di nascita per il Web, permettendo alla gente di rendere disponibili a tutti contenuti di ogni genere. Il Web è una magia: è meno costoso e più conveniente sia per i fornitori di servizi sia per gli utenti [...] In futuro, Internet sarà ovunque. Immagino che presto sarà fruibile gratuitamente in tutte le aree di servizio delle autostrade. Sta già per accadere negli Stati Uniti dove è già è possibile collegarsi liberamente dalle stanze degli hotel di categoria media». Dunque: gli anni '60 hanno partorito i Personal Computer, Internet, il modello collaborativo open source. In generale, una intelligenza collettiva illuminata e rivoluzionaria. A distanza di 35 anni da quella magica stagione psichedelica, ci riroviamo oggi, dopo la disillusione, la fine del sogno, il trionfo della “mentalità economica”, dell'alienazione tecnologica, ben lontani dal veder realizzata quell'utopia libertaria che ha generato Internet, un mezzo straordinario di comunicazione le cui effettive potenzialità non sono ancora state sperimentate. In tempi di Web 2.0 e 3.0, appare evidente, dopo aver ripercorso le tappe fondamentali della sua storia, che la Rete sia rimasta “imballata”, che invece di guidare una rivoluzione psichedelica, di espansione della coscienza, si sta trasformando in un mezzo di oppressione, repressione e depressione, regno dell'infocaos. Invece di un reale progresso delle facoltà umane, la Rete, per volontà dei suoi “padroni”, sta causando un regresso. All'orizzonte si intravede una grande, immensa, “stupidità artificiale”. “Ogni nuova tecnologia esige una nuova guerra”. Possiamo solo augurarci che lo spirito degli anni '60, che vive ancora nell'open source, nel movimento “free”, in ciò che rimane della autentica cultura hacker, del cyberpunk, nel “media-attivismo”, nel progetto di “Net Art”, alla fine abbia il sopravvento. Tutto dipenderà dagli esiti della “Terza Guerra Mondiale”, la guerra di informazione, che, come diceva McLuhan, “non vedrà alcuna divisione tra partecipazione militare e civile”. Buon compleanno Internet. (Pubblicato su Ecplanet 21-01-2008) ARPANET - Wikipedia
Storia di Internet - Wikipedia Packet switching - Wikipedia Man-Computer Symbiosis THE IMP GUYS The First Email The Early World Wide Web at SLAC The World Wide Web: A very short personal history BIND - Wikipedia Paul Kunz, il pioniere di internet profeta del software senza "padroni" 20 luglio 2007 howard rheingold's | the virtual community Collective intelligence - Wikipedia net.art - Wikipedia
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