205 Giovedì 5 marzo 2009
protagonisti «Stati vegetativi: noi famiglie & la legge»
il manifesto «Autodeterminazione» per scegliere di morire?
staminali Cellule riprogrammate: adesso basta embrioni
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Coscienze all’altezza di questioni che ci interrogano Impossibile archiviare il «caso Englaro». Impossibile non pensarci di continuo, ragionando della legge sul fine vita o leggendo interventi che – in forza di quel triste episodio – teorizzano ciò che poco tempo fa sarebbe stato impensabile: l’introduzione dell’eutanasia in Italia, con le buone (la via parlamentare) o con le cattive (ricorsi, sentenze o un referendum per rovesciare una legge che ancora non c’è). Impossibile scansare le riflessioni – etiche, giuridiche, culturali – che impone il momento del quale siamo testimoni attivi. Impossibile restare alla finestra, se ancora la coscienza risponde alle domande che inevitabilmente l’attualità rovescia su di noi ogni giorno. Attrezziamoci, allora, per saper essere all’altezza di questo tempo.
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Quei giochi di prestigio per non dire «eutanasia» R box
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ignor Englaro, converrà con me che su questo punto si innesta un altro problema: c’è chi autorevolmente paventa il rischio che questo sia il primo passo verso l’eutanasia», diceva con gravità Fabio Fazio a Beppino Englaro, ospite a Che tempo che fa, il 21 febbraio. «Vogliamo spiegare che differenza c’è fra l’eutanasia e invece questo tipo di soluzione che il testamento biologico potrebbe proporre, qualora comprendesse anche la sospensione della nutrizione e dell’idratazione forzata?» suggeriva con pedagogico zelo il conduttore. Levata di scudi del padre di Eluana: «Ma lo spiega bene sempre quella sentenza della Corte Costituzionale [in realtà Corte di Cassazione, ndr]! Dove dice praticamente che dire di no a una terapia salva-vita non ha niente a che vedere con l’eutanasia, nella maniera più assoluta. È semplicemente lasciare che la natura faccia il suo corso...».
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na malcelata stizza, quasi a sottintendere: "Basta con chi agita fantasmi e minacce inesistenti". Il che è quanto meno curioso. Perché ad agitare tali fantasmi è proprio la Consulta di bioetica, l’associazione che ha assistito il signor Englaro nella sua battaglia legale e nei confronti della quale – soprattutto nella figura del bioeticista Maurizio Mori, presidente del sodalizio – lo stesso Beppino ha sempre espresso ammirazione e riconoscenza.
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ome si legge in un documento della Consulta sulle cure palliative e sull’eutanasia (2000): «È tempo che anche nel nostro Paese si comincino a discutere le modalità di una modifica del codice penale, e in particolare degli articoli riguardanti l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio, al fine di permettere, in condizioni rigorosamente definite e con tutte le opportune garanzie, ivi compresa l’obiezione di coscienza dei medici interpellati, l’assistenza medica al suicidio e l’eutanasia volontaria».
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Giri di parole, concetti rovesciati, eufemismi: nel dibattito sul «fine vita» seguito all’epilogo della vicenda di Eluana, si fa ricorso a ogni espediente concettuale e semantico pur di non parlare apertamente di «dolce morte» Eppure è a quello che chi guida lo schieramento punta senza mezzi termini
iassumendo il percorso fatto negli anni da quello che viene chiamato «movimento di rivendicazione dell’autonomia del malato», è sempre la Consulta di bioetica a far presente che la strada che parte dal testamento biologico, inteso in un senso di totale «autonomia» del paziente, non può non condurre, a rigor di logica, verso l’eutanasia: «Il rifiuto dei trattamenti e la formulazione di direttive anticipate non esauriscono la gamma di proposte del movimento per l’autonomia del malato. Le rivendicazioni più forti – e anche più problematiche – avanzate dal movimento sono la legalizzazione o la depenalizzazione dell’eutanasia volontaria e quella dell’assistenza al suicidio. In effetti, se il principio di rispetto per l’autonomia viene preso sul serio, vale a dire se si riconosce a questo principio una priorità rispetto agli altri, non vi sono ragioni di principio che si possano opporre a queste richieste, ma semmai solo ragioni di prudenza».
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gnazio Marino, medico-senatore pd e vessillifero del testamento biologico – formulato nei termini propri della Consulta di bioetica –, dichiarava al Messaggero lo scorso luglio: «Avere a disposizione il testamento biologico non
significa legittimare un piano inclinato verso l’eutanasia. Contro la quale mi sono sempre battuto e sempre mi batterò». Singolare. Non risultano prese di distanze di Marino dall’Associazione Luca Coscioni, a lui così vicina e che solo un mese fa ha organizzato una raccolta di firme per una petizione al Parlamento su «Autodeterminazione, Testamento biologico ed Eutanasia». Né risulta che Marino si sia stracciato il camice per l’usuale schiettezza dei Radicali – nella compagine parlamentare del suo partito – che per bocca di Pannella, pochi giorni fa, hanno ricordato la necessità di una «norma sull’eutanasia controllata e legale». Né si ricordano evidenti rilievi mossi dallo stesso senatore alle numerose voci pubbliche della sua area culturale – da Umberto Veronesi a Corrado Augias, per citare due nomi popolari – che in questi anni hanno associato testamento biologico ed eutanasia, auspicando l’introduzione di entrambi nell’ordinamento legislativo.
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di Graz
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essuno però si scandalizza, anzi: Repubblica, da cui attingiamo, tesse con Giovanna Casadio l’elogio di ironwoman Emma: «Bonino, che è una donna d’acciaio, e i talebani li ha visti da vicino come osservatrice Onu in Afghanistan nel 2005, sferra l’attacco sul testamento di fine-vita accolto dalle ovazioni della platea radicale: "Capite bene che se una dice così, è forse meglio ritirare fuori l’Habeas Corpus (...). In base a quella i peggiori regimi collettivisti si sono imposti in alcuni periodi della
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hi ha imposto, nel dibattito italiano, il termine di «testamento biologico» o di «bio-testamento» e non parla invece, come sarebbe più corretto e opportuno, di «direttive anticipate di trattamento»? Queste – in inglese advance directives – non esprimono un rifiuto di trattamenti sanitari. Mentre il testamento biologico – o living will – è diretto a raccogliere in un documento le volontà che esprimono il rifiuto categorico di qualunque intervento medico-terapeutico nella fase terminale di una malattia. Il «testamento biologico» trova infatti la sua orgine nel Natural death act emanato dallo Stato della California nel 1976, che rappresenta il primo riconoscimento legislativo del diritto, attribuito a ogni persona adulta ridotta allo stadio terminale, di predisporre un testo che impone il rifiuto di terapie salva-vita. L’aver escluso dal linguaggio corrente le «direttive anticipate di trattamento» (e la sigla cle le riassume – Dat – mentre altri acronimi sono stati imposti in breve per via mediatica: basti pensare ai Dico) è stato certamente il primo successo di chi, cosciente o meno, porta acqua al mulino dell’eutanasia.
"cessazione attiva della vita" di malati non terminali in stato di sconforto puramente psicologico e di persone incapaci di consenso, come i neonati handicappati. Poi l’eutanasia è stata praticata su adulti senza il loro consenso. Nel 1998 una riforma legislativa riduce il controllo della procura giudiziaria sulle pratiche di eutanasia».
INSINTESI
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Si rivendica l’autonomia del paziente, si chiede il rispetto di ogni sua volontà. Ma si nega che questa è eutanasia.
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È evidente il tentativo di celare il vero bersaglio finale: una norma che lasci aperta la porta alla morte procurata.
on è difficile immaginare, peraltro, come lungo la china che parte dal testamento biologico (che concettualmente è cosa ben diversa dalle Dichiarazioni anticipate di trattamento) e arriva all’eutanasia s’incroci chi pensa di trarre vantaggio da una volontaria e anticipata dipartita del paziente da questo mondo. Basta impacchettare con eleganza la realtà, ricorrendo a motivi pietosi e alla necessità di concentrare risorse limitate su pazienti con qualità di vita superiore, e l’opinione pubblica è servita. Detto tutto questo, rinunciare allora a forme eufemistiche di "negazionismo" e chiamare le cose con il proprio nome – per esempio eutanasia al posto di testamento biologico – aiuterebbe semplicemente la chiarezza e l’onestà del dibattito.
matita blu L’acciaio del mullah Emma gnuno si autodetermini. Io intanto determino te: «La mia collega Dorina Bianchi non è diversa dal mullah Omar, che decide lui chi si suicida saltando in aria». Parola di Emma Bonino, che dà della sadica omicida terrorista a Dorina Bianchi, colpevole di aver detto: «La vita non è un bene che appartiene a uno solo, al singolo individuo ma alla collettività».
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Le «Direttive anticipate» oscurate dal «Testamento»
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a sgradevolissima sensazione che lasciano certe campagne per un testamento biologico all’insegna di un’assoluta autodeterminazione del malato, magari con esibizione di pietas francescana e ammirazione della figura morente di Giovanni Paolo II, è quella Non solo Oregon: da oggi il suicidio di un goffo nascondersi dietro un dito. Che assistito è legge anche a Seattle l’eutanasia sia l’orizzonte a oggi lo Stato di Washington, con capitale Seattle, sarà il bioetico che sta dietro al secondo Stato americano a vedere legalizzata la pratica pressing sul bio-testamento dell’eutanasia. La decisione era stata presa in un referendum è un segreto di Pulcinella. popolare (tenutosi nel giorno delle elezioni presidenziali) dove la E a proposito di «piani cosiddetta Washington’s Initiative 1000 – che autorizzava il suicidio inclinati» e di sofismi medicalmente assistito – aveva riscosso il 60% dei consensi. Ora un semantici, oltre al caso della gruppo pro-eutanasia vuole premere ancora di più sull’acceleratore: Spagna, passata nel giro di Compassion & Choices è pronta a compilare un manuale per i quattro anni medici che si presteranno al procedimento eutanasico. In questo dall’approvazione del modo – assicura l’associazione – si vuole arrivare ad un testamento biologico alla "cambiamento culturale" affinché sempre più dottori si adoperino discussione sull’eutanasia, per «assistere» il suicidio di malati terminali. I vescovi americani resta sempre un punto di hanno fatto sentire la loro voce definendo la norma da ora in vigore riferimento l’Olanda, dove nello Stato di Washington come «un nuovo pericoloso assalto alla «nel 1993 viene disciplinata cultura della vita», in grado anche di «alterare radicalmente la l’eutanasia su richiesta con relazione tra medici e pazienti privandoli del supporto vitale della l’eufemismo di "cessazione famiglia, degli amici e della fede». Intanto sono stati diffusi i dati attiva della vita" – come sull’eutanasia nell’Oregon: nel 2008 ci sono state 88 prescrizioni ricorda Giorgio Carbone –. mediche di eutanasia, 3 in più rispetto al 2007. (L.F.) Nel 1995 i giudici iniziano ad avallare casi di
storia"». Casadio ricorda che «su YouTube circola la foto della bionda Dorina con relativa dichiarazione pro-life paragonata a una frase di Hitler: "La vita è della nazione"». Il tutto senza commento.
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di Andrea Galli
aramente una demonizzazione, fondata sulla più classica e voluta travisazione di una frase, è stata tanto violenta, intollerante, dogmatica e (ehm) talebana, oltreché assecondata dalla grande stampa. Dorina peraltro si consolerà, non essendo sola. Sul Riformista esprime il suo stesso pensiero il mullah Antonio Polito (titolo: «Il problema è che la vita non è una proprietà privata»): «La questione centrale è: se scelgo per me, per la mia vita, che male, che offesa, che danno posso mai fare agli altri? E dunque: la libertà consiste nella mia libertà di scelta. Io critico questo assolutismo libertario, contestando che possa essere definito l’unico approccio liberale accettabile. La vita di ognuno di noi, infatti, non è esattamente una proprietà privata, ma un bene collettivo.
di Tommaso Gomez
Non per altro lo Stato si cura della nostra vita, spende e investe per mantenerci in salute, per consentirci di dispiegarne tutte le potenzialità (...). Dunque, quando si parla della nostra vita anche la comunità in cui viviamo ha qualcosa da dire».
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l talebanissimo Foglio applaude: «Bravo Polito». Anna Maria Riviello del Manifesto coglie l’insidia dell’alternativa e cerca una terza via: «La tua vita certo è tua ed è irripetibile, ma ti appartiene non alla maniera di un manufatto, di un oggetto d’uso o di scambio. È tua ma è anche storia di altri e della tua famiglia, a partire dal progetto e dall’accettazione materna». E quindi? Quindi, conclude, ciascuna persona dirà come vuol morire e «lo farà possibilmente non da sola, ma con le persone che la amano e che hanno cura di lei, e morirà così come è nata, assistita dall’amore degli altri». Che cosa significhi concretamente è difficile dirlo. Forse, ognuno decida da sé e la società approvi senza nulla obiettare: autodeterminazione comunitaria.
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Avvenire
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l’intervento
«È una legge che rispetta le nostre famiglie» Chi opera tutti i giorni con stati vegetativi sa che alimentazione e idratazione non possono mai essere sottratte, che ogni vita è indisponibile, anche nella sofferenza e nonostante patologie gravissime. Punti messi a fuoco, e ben chiariti, nel progetto di norma sul fine vita su cui discute il Senato. Lo conferma il presidente di un’associazione di famiglie con pazienti vegetativi
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Associazione Risveglio ha seguito e segue molteplici casi di "stato vegetativo" conseguenti a gravi cerebrolesioni acquisite. In alcuni casi, purtroppo, questo stato può durare a lungo, a volte in via permanente; a volte si assiste solo a timide reazioni di minima responsività, tali da non consentire alcun sia pure elementare approccio con il mondo esterno. In altri casi ci sono, anche a distanza di anni, risposte più significative. Con riguardo al ddl all’esame del Parlamento riteniamo di poter svolgere, con riguardo al segmento di cui ci occupiamo, alcune osservazioni e considerazioni ben precise e ferme.
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esideriamo innanzitutto ribadire i convincimenti e le idee che da tempo cerchiamo di portare avanti: che cioè non vi è e non vi può essere alcuna considerazione di ordine medico, scientifico, etico, morale, sociale, religioso né (tanto meno) economico che possa giustificare un "abbandono" clinico di persone che, anche a distanza di lungo tempo dal danno subito, continuino a
lavori in corso
di Francesca Lozito
A Pisa e Imola due nuovi hospice li hospice crescono in Italia. In questi giorni apre a Pisa una nuova struttura dedicata ai malati terminali con 10 posti letto, in linea con il programma di implementazione della rete voluto dalla Regione Toscana. L’hospice di Pisa è la prima struttura di questo genere della provincia. Al suo interno tre aree: una residenziale, una destinata alla valutazione/preparazione della terapia e una di supporto. La tipologia strutturale è stata studiata per garantire il rispetto della dignità del paziente e dei suoi familiari, in linea con quanto prevedono in generale gli hospice: dare una continuità all’assistenza che la persona riceve a domicilio.
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l’intervento
alla Toscana all’Emilia Romagna: manca infatti poco più di un mese all’apertura dell’hospice ospedaliero dell’Umberto I di Imola. Un investimento che si aggira sui 3 milioni di euro, reso possibile in parte con fondi propri dell’azienda ospedaliera, in parte con finanziamenti regionali e statali, oltre ai contributi di Enti o associazioni umanitarie. Anche
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Sul crinale tra vita e nuova barbarie
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e i laicisti nostrani insorgono al sentir definire "omicidio" la fine della vita terrena di Eluana Englaro, non dovrebbero però storcere il naso a udirla qualificata come "morte innaturale", loro che consideravano innaturale l’alimentazione e l’idratazione assicuratele per 17 anni. Una vicenda che dal piano strettamente personale e familiare non poteva non acquisire una portata sociale e universale nel segno dell’umana solidarietà, della speranza estrema, del primato dei valori costitutivi la convivenza civile e politica.
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di Vittorio Benedetti *
qui dieci stanze singole per il ricovero e un’area per il day hospital. La gestione dipenderà direttamente dal reparto di oncologia di Lugo «ma andrà incontro anche alle esigenze di coloro che sono affetti da malattie cronico degenerative – precisa il primario Giorgio Cruciani – seguendo un approccio globale alla persona. L’hospice non può essere visto come l’ultimo passaggio prima della morte, ma come un’opportunità».Quello dell’Umberto I sarà il primo hospice ospedaliero dell’Ausl di Ravenna. Ma non basta per fronteggiare la richiesta di posti letto; entro la fine dell’anno dovrebbe essere completata una struttura simile a Faenza, e si sta lavorando per aprirne una anche a Ravenna. Con Pisa e Imola in Italia le strutture per l’accoglienza di malati terminali raggiungono quota 160. Un passaggio importante, anche in vista della prossima approvazione della legge in discussione alla Camera, che dovrebbe sancire ufficialmente il riconoscimento della "rete" costituita dall’integrazione di strutture residenziali e assistenza domiciliare di qualità.
di dichiarazione anticipata di trattamento (art. 5, comma 6, del ddl). Ciò appare anche in linea con il codice di i intitola L’ABC de la bioéthique la serie di deontologia medica redatto nel puntate dedicate dal quotidiano francese 2006, dove si afferma (art. 3) La Croix, appunto, alla bioetica, dal 9 al che dovere del medico è la 27 marzo. Ulteriore, piccolo segnale di uno tutela della vita, della salute sforzo comunicativo sui temi della vita che fisica e psichica dell’uomo e il coinvolge settori sempre più ampi del mondo sollievo della sofferenza nel cattolico transalpino, anche in vista dei rispetto della libertà e della cosiddetti «Stati generali della bioetica» voluti dignità della persona umana. da Sarkozy come momento di riflessione Pertanto se si volesse anche pubblica previa alla revisione della Legge accettare l’idea di Leonetti sul fine vita. La stessa Conferenza normativizzare una possibilità episcopale francese ha aperto un mese fa un di volontà anticipata, ciò deve blog tematico, www.bioethique.catholique.fr, essere nel senso di una finalità e ha preparato un dvd divulgativo, in vendita che non implichi la nel circuito librario insieme al volume disponibilità della vita umana, Bioéthique, propos pour un dialogue. in quanto va ribadito anche normativamente che la vita umana è un bene indisponibile. non avere possibilità di alcun apparente Si deve aggiungere che questa rapporto con il mondo esterno, pur indisponibilità è legata indissolubilmente conservando autonomia vitale e al concetto di dignità, nell’ambito del respiratoria. In anni di attività quale si deve affermare che se una persona dell’associazione mai ho sentito un dovesse anche perdere il senso della sua familiare di soggetto in stato di non propria dignità, di essa devono farsi coscienza chiedere di "volerla far finita", garanti gli altri membri della società persino dopo molti anni di stato umana, dai familiari agli "altri" in genere. vegetativo. Ribadisco quello che ho In questo senso plaudiamo al comma 4 sempre sostenuto: anche in quello stato dell’art. 1 del ddl per cui «la Repubblica incosciente la persona ha una sua piena riconosce il diritto alla vita inviolabile e dignità e le cure non costituiscono di certo indisponibile, garantito anche nella fase un accanimento terapeutico. Occorre terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui infatti affermare decisamente che la il titolare non sia più in grado di intendere persona in stato vegetativo, una volta che e di volere». sia "stabilizzata" non è "malata"; essa deve solo essere alimentata e idratata. Non solo a prestata poi la massima attenzione dunque nei "nostri" casi è assolutamente ad un’altra considerazione. Un malato improprio parlare di eutanasia, ma va in stato di gravità acuta indubbiamente ribadito con veemenza che lo Stato che crea enormi disagi alla famiglia, agli amici non si incaricasse di fornire un’assistenza e all’ambiente circostante. Chi è vicino a adeguata arriverebbe a praticare una persone in stato vegetativo sa bene che è eutanasia passiva. Ben vengano dunque il più quel che si riceve di quello che si dà. comma 1 dell’art. 2 del ddl Calabrò, per Ma è sempre in agguato il rischio che si cui «ogni forma di eutanasia, anche possano offrire delle carte importanti (ma attraverso condotte omissive, e ogni forma speriamo non vincenti) ad un mondo che di assistenza o di aiuto al suicidio sono volesse essere dominato da un edonismo vietate», e così il comma 5 dell’art. 5: che non sopporti sofferenza e morte. Si «Nella dichiarazione anticipata di vuol dire che il rischio è che in una trattamento il soggetto non può inserire previsione normativa di dichiarazioni indicazioni finalizzate all’eutanasia attiva anticipate possa celarsi una volontà o omissiva». politica di giungere ad una "liberazione" non del soggetto interessato ma di tutte le ulla base di queste premesse – e tenuto persone che lo circondano e inoltre che si conto ogni stato vegetativo è voglia giungere ad una soluzione per assolutamente diverso dall’altro, che è attenuare oneri di carattere economico. Si possibile qualche risposta anche a deve invece affermare con veemenza che distanza di anni, e soprattutto che la ciò che normativamente andrebbe previsto evoluzione della ricerca clinica e è un sistema sanitario e assistenziale che si farmacologia assume in questo settore una prenda una cura adeguata ed attuale, in importanza prospettica decisiva – il mio ogni direzione, del soggetto interessato e pensiero è che con riguardo a questo di tutto il mondo circostante, consentendo segmento non ci sarebbe neppure bisogno un intervento proporzionato allo stato di prevedere una Dat. È francamente della situazione, alleviando sofferenze desolante pensare che tutto ciò si sta fisiche e psicologiche (lì dove rendendo necessario solo a motivo di effettivamente esistono) con ogni mezzo inaccettabili provvedimenti giudiziari che (anche farmacologico) conosciuto, hanno deciso al di fuori della legge e facilitando la vita quotidiana dei familiari contro la legge. In ogni caso va affermato ed amici e soprattutto favorendo una alta che è certamente corretto che una educazione dell’immenso dono racchiuso eventuale disposizione normativa preveda nella vita umana fino all’ultimo istante espressamente che la alimentazione e che il Signore le vorrà concedere. l’idratazione non possono essere oggetto * presidente dell’Associazione «Risveglio»
Per i cattolici francesi è l’ora di conoscere la bioetica
egli ultimi tre anni è stato un crescendo impressionante di tanti "dis": prima i "dis-corsi", che etimologicamente evocano l’opposto dell’andar di corsa; e in effetti gli apparati giudiziari, dopo aver a lungo meditato sull’inaccettabilità della richiesta, si sono messi a correre lungo una diversa china dal 2007. Poi i "distinguo": non è vera vita quella di chi si trovi in uno stato neurovegetativo irreversibile. Donde un dilemma: "dis-umano" è volerla recidere a mo’ di un ramo secco o mantenerla finché dura il barlume della speranza? La "dis-cordia" a questo
«Del caso Englaro si continua a discutere in modo distorto Dimenticando che la donna di Lecco non era un vegetale, che la vita non è proprietà privata, che la Costituzione non può essere piegata a piacimento» punto si radicalizza, investendo il piano dei valori affermati in una Carta costituzionale, che – per essere ancora difesa così com’è nella prima parte – dovrebbero esser vissuti come attuali e sempre fondativi di un uguale sentire entro uno Stato che rappresenti la volontà del popolo. Ebbene, il signor Englaro, avanzando la sua richiesta sul piano processual-civilistico della volontaria giurisdizione, ha esplicitamente affermato che si trattava di questione a carattere privato. Però nelle "disposizioni sulla legge in generale" premesse al Codice civile è ben indicato come colmare eventuali lacune dell’ordinamento: ricorrere all’"analogia", ossia ad una legge che regola un campo simile oppure ai principi generali del nostro ordinamento giuridico. Eppure non ci pare che esista una legge analoga applicabile né un principio a cui rifarsi, essendo oltretutto da leggersi l’art.32 della Costituzione come finalizzato ad assicurare indistintamente a tutti la tutela della salute, riconducibile alla categoria
dei diritti inviolabili dell’uomo richiamati nell’art.2. Né sembra compatibile con una Costituzione – democratica per nascita come la nostra – una visione privatistica e proprietaria della vita, quale quella prevalsa stando alle carte processuali.
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a c’è dell’altro alla luce delle ultime esternazioni sempre del signor Englaro: ha detto che la figlia per anni è stata sottoposta ad accanimento terapeutico. Ma se questa era davvero la sua percezione dei fatti, perché non ha fatto quanto era logico, doveroso e conseguente fare, ossia sporgere una querela e seguire la via penale? Oppure non lo ha fatto perché questa è una opinione soggettiva, come quella sulla "barbarie" del disegno di legge sul testamento biologico all’esame del Parlamento? L’urgenza di intervenire è saltata, per colpe più o meno gravi e dirette di tutto il mondo politico e istituzionale italiano. Ben venga allora a riempire un vuoto, che si è sperimentato colmabile dalla "tirannia dei giudici" evocata da Bentham, l’esame parlamentare del progetto di legge sul testamento biologico. Un fatto è da registrare: il perno della discussione è dato sinora da temi sui quali tanti teologi del Medioevo si confrontarono, ossia i termini entro i quali e fino ai quali si ha l’infusione dell’anima nel corpo, sua
prigione secondo Platone, e sull’indisponibilità della vita. Invero Beppino Englaro e i laicisti – scettici o atei e materialisti che siano – sono evidentemente certi (sulla base di considerazioni scientifiche del tutto opinabili, e semmai con riscontri contrari) che quel corpo di Eluana ormai era come un vegetale, una qualcosa da eliminare per far cessare una condizione considerata lesiva della sua dignità umana. Senza ponderare sull’intrinseca contraddittorietà di tale assunto – perché se è la dignità a dover essere tutelata è chiaro che si tratta di valore riferibile non a un oggetto ma a un soggetto – e del paradosso di veder considerato accanimento terapeutico un dovere umano, prima ancora che di deontologia medica.
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cco: qui, a mio avviso, non si tratta di un caso singolo e pressoché irripetibile, ma della prova di uno stato di oblìo delle coscienze e di una determinata volontà politico-ideologica a esso speculare, sintomo di un tramonto di valori che ci ha lasciato in retaggio il Novecento dell’inferno dei diritti. Sia allora il XXI secolo quello della resurrezione dello spirito, o sarà quello di una nuova barbarie. * docente di Diritto pubblico all’Università di Pisa presidente Consiglio generale Movimento cristiano lavoratori (Mcl)
di Francesco Napoletano*
Belgio Così l’eutanasia "facilitata" scatena la corsa
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in dal 2002, anno di approvazione della legge sull’eutanasia, il Belgio è stato uno dei battistrada in tema di dolce morte, nonché esempio concreto di dove porti la deriva sui temi di fine vita. Se fino al settembre 2008 i tentativi di estremizzare l’accesso all’eutanasia si erano concentrati sui soggetti a cui estenderne l’applicabilità (neonati, minori emancipati, dementi), da quel momento si è deciso di percorrere una nuova strada: quella di facilitare la modalità di richiesta da parte dei cittadini. L’innovazione consiste nella possibilità di recarsi presso gli uffici del proprio Comune di appartenenza per depositare il modulo appositamente compilato, con validità quinquennale, col quale si dichiarano anticipatamente le proprie volontà a proposito di eutanasia. Secondo i dati resi pubblici dal Servizio federale di salute pubblica del Belgio, dal 1° settembre 2008 una media di 25 cittadini al giorno (4500 in totale) hanno usufruito di questa nuova possibilità. Moltissimi, se si considera che il Belgio conta poco più di dieci milioni di abitanti; fatte le debite proporzioni, è come se in Italia ogni giorno procedessero a una simile dichiarazione circa 130 persone.
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a macchina burocratica belga è stata messa in moto ufficialmente con il decreto reale del 27 aprile 2007, nel quale si indicava appunto nel settembre 2008 la data dalla quale sarebbe stato possibile rivolgersi agli uffici comunali per la consegna dei moduli, semplificando la vecchia prassi che coinvolgeva medici e notai. Proprio alle amministrazioni comunali fu recapitata, il 17 luglio 2008, una circolare firmata dal ministro degli Affari sociali e della sanità pubblica Laurette Onkelinx nella quale erano contenute le prime informazioni utili per i dipendenti preposti all’accettazione dei moduli per le dichiarazioni anticipate. Per maggiori dettagli e per tutte le raccomandazioni del caso si rimandava a una seconda comunicazione, giunta poi il 21 agosto dello stesso anno. Una volta presa in consegna la dichiarazione del cittadino, l’impiegato non deve far altro che registrarla attraverso il portale della sicurezza sociale con una semplice connessione a Internet, comodamente seduto alla scrivania. I dati relativi alla persona interessata e alle sue volontà confluiscono così nel database del Servizio federale di salute pubblica. Per evitare discriminazioni, per gli invalidi impossibilitati a recarsi agli uffici comunali è prevista l’opportunità di delegare una persona che potrà consegnare le dichiarazioni anticipate in sua vece.
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na siffatta pratica impedisce una reale alleanza terapeutica tra medico e paziente. In una circolare datata 4 settembre 2008 e ancora firmata dal ministro Onkelinx si fornivano ai medici le istruzioni per consultare l’eventuale dichiarazione anticipata fatta dal loro paziente e impossibilitato a esprimere la propria volontà. Anche in questo caso tutto può esser fatto via Internet, una volta che il medico si sia accreditato presso il sito di consultazione del database. Alla luce di tutto ciò, non può più sorprendere che a un percorso così semplice e rapido per l’eutanasia corrisponda l’alto numero di richieste effettuate. Lorenzo Schoepflin
Avvenire
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«Tutela della salute»? No: qui si vuole l’arbitrio l’analisi I
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di Viviana Daloiso
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imoncini spiega perché è sbagliato che il Parlamento si areni in una regolazione minuta e dettagliata di cosa si deve o non si deve fare: «Serve una legge “alveo”, non a una legge “fiume”. Una legge che fissi, come si suol dire, alcuni “paletti”, alcune definizioni e poi lasci lo spazio applicativo all’autonoma capacità normativa e alla responsabilità degli altri soggetti coinvolti, in primis i medici». (V. Dal.)
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l primo punto riguarda il centro di tutto il discorso, il «fondamentale diritto all’intangibilità del corpo». Se di un simile diritto è possibile parlare, ciò avviene anche in vigore dell’articolo 5 del Codice civile (norma però stranamente non menzionata dai civilisti nella loro elencazione di fonti), che disciplinando gli atti che «cagionino diminuzioni permanenti dell’integrità fisica», stabilisce che essi sono vietati sul «proprio corpo». Tale disposizione, che protegge la persona umana da atti inammissibili perché non proporzionati, sottintende il divieto di disporre del proprio corpo per scopi estranei alla sua cura. Ebbene, i redattori del documento in questione proclamano sì un «diritto all’intangibilità», ma lo trasformano in un «diritto elementare di accettare la morte che la malattia ha reso inevitabile», e che consisterebbe nell’attribuzione ope legis (questa sì incompatibile con l’ordinamento vigente: e non solo quello civile, se si pensa al divieto di omicidio del consenziente disciplinato dall’articolo 579 del Codice penale) al paziente attuale o potenziale del potere di costringere il personale sanitario a fare od omettere trattamenti dai quali, secondo una prassi antiippocratica, discenderebbe come conseguenza diretta la morte.
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ulla di tutto ciò ha a che vedere con la proclamazione di un inedito (e quindi legalmente inesistente) «diritto di autodeterminazione»: né per affermarlo vale allora richiamarsi, come fa il documento dei civilisti, alla Convenzione di Oviedo del 1997 (che ribadisce l’ormai acquisito principio del consenso libero e informato, e per quel che riguarda le manifestazioni anticipate di volontà ricorre a un termine – «desideri» – che dice proprio l’opposto di quel che i redattori del documento odierno vorrebbero fargli dire). L’altra fonte internazionale menzionata dai redattori del documento è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che però non contiene affatto la pretesa canonizzazione di un diritto
a norma di legge
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a necessità di una legge sul fine vita? Non è dettata dalla fede. E non nasce nemmeno dall’ideologia. Esce dalla convinzione che dovrebbe permeare chiunque oggi, nel nostro Paese, si trovi a discutere sull’autonomia dell’individuo. È l’opinione argomenta da Alberto Simoncini nell’editoriale apparso su ilsussidiario.net lunedì e intitolato «Fine vita: perché dire sì a una legge». «La decisione su Eluana – scrive Simoncini – lascia tutte le persone ragionevoli insoddisfatte. Lascia insoddisfatto chi, come me, ritiene che l’autonomia della persona sia un diritto inviolabile e i giudici di Milano hanno chiaramente violato l’autonomia di Eluana "presumendo" la sua volontà. Ma a ben vedere dovrebbe essere insoddisfatto anche chi è d’accordo con i giudici milanesi, semplicemente perché un diverso giudice (casomai abruzzese) potrebbe decidere all’opposto. Il punto è tutto qui: vogliamo lasciare all’arbitrio, al cosiddetto forum shopping?».
l’articolo 32 parla sì di salute, ma per dichiararla allo stesso tempo «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», aggiungendo poi a secondo comma il divieto di obbligare chicchessia «a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», e col noto limite del «rispetto della persona umana».
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i sono poi i princìpi della Costituzione, fatti oggetto di manipolazioni e acrobazie ermeneutiche sempre più vertiginose; come avviene per il presunto diritto costituzionale all’autodeterminazione terapeutica o, di nuovo, per l’attribuzione al paziente di un potere costituzionalmente garantito nei confronti dell’operato clinico dei medici: potere che oltre a mettere in discussione il diritto vigente fa saltare in aria l’intero apparato deontologico delle professioni sanitarie. Ma andiamo alle norme citate: l’articolo 13 ha come oggetto la libertà personale (anch’essa «inviolabile»), intesa come libertà di movimento e non certo di cura;
di Tommaso Scandroglio *
«Norma necessaria Per tutti»
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ra tanti interventi a proposito della legge sul fine vita, quello recente lanciato dall’associazione «A buon diritto», sottoscritto da 44 professori di diritto civile delle università italiane e raccolto da MicroMega si segnala perché articolato in maniera schematica e perché cerca di fare il punto sui profili giuridici della problematica come impostata dal disegno di legge in discussione al Senato. A una lettura attenta, tuttavia, non ne sfuggono i numerosi punti deboli, anzitutto con riguardo all’affermazione dei princìpi.
Il «manifesto» per la libertà di cura firmato da 44 giuristi e rilanciato da «MicroMega» confonde il consenso informato con l’autodeterminazione senza alcun limite
all’autodeterminazione, giacché il comma secondo dell’articolo 3 (e non 2 come scritto su MicroMega) in realtà non fa che reiterare il principio del consenso libero e informato. Lo stupefacente equivoco tra consenso informato e autodeterminazione radicale (di vita e di morte) si commenta da sé: l’accettazione di un trattamento (inizio e prosecuzione) non ha proprio nulla a che vedere con l’imposizione ai medici (magari anticipata in dichiarazioni vincolanti) di condotte attive od omissive contrarie alle norme giuridiche e agli impegni deontologici. In tal senso, moltiplicare le citazioni delle fonti interne e internazionali che tutelano e promuovono il sacrosanto principio del consenso informato può servire alla causa
dell’autodeterminazione solo in modo surrettizio e ideologico.
professori di diritto civile chiudono con la «giurisprudenza europea» e con l’affermazione di un «principio condiviso in bioetica e in biodiritto per cui l’interruzione delle cure, anche senza la volontà espressa del paziente divenuto incapace, debba essere praticata non solo quando le cure sono sproporzionate (c.d. accanimento terapeutico) ma anche quando esse siano inutili o abbiano il solo effetto del mantenimento in vita artificiale». Non sorprende che i redattori del documento, per suffragare questa discutibilissima tesi, riescano a citare solo due norme ricavate in modo peraltro dubbio da articoli del Code de la santé publique francese: la "condivisione" di determinati princìpi, per poter essere sostenuta, chiede un consenso almeno maggioritario, irreperibile nel caso di specie giacché è al contrario intenso e lacerante il dibattito sulla definizione dell’accanimento terapeutico e sulla consistenza del concetto di «cure inutili» o «futili», mentre è preso di peso dalla legge francese il concetto di «solo effetto del mantenimento in vita
di Claudio Sartea
artificiale» come limite di tollerabilità della prosecuzione delle cure (e si tenga anche presente che la stessa legge francese fa divieto al medico di interrompere qualsivoglia trattamento su paziente incompetente senza l’assenso di almeno un medico consulente e dei familiari o del fiduciario eventualmente indicato nelle dichiarazioni anticipate).
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a materia del contendere, se si riesce a guardare oltre la cortina di fumo degli istituti giuridici messi in campo e degli slogan più o meno efficaci con cui talvolta si cerca di imporne la – di per sé modesta – forza persuasiva, non è la tutela della salute del paziente ma la rivendicazione sovrana del suo arbitrio trasformato in diritto soggettivo e autorizzato a pretendere coercitivamente condotte attive od omissive del personale sanitario. Subito dopo, e in modo solo apparentemente paradossale, viene il potere degli "altri" (autorità pubbliche o rappresentanti privati) di "arbitrare" sulla vita degli incapaci, resa disponibile nel nome della loro libertà, che mai rivelò un volto così tragicamente "incivile".
Tutti i perché di una denuncia ra le decine di denunce ed esposti giunti alla Procura di Udine a seguito della morte di Eluana, una ha suscitato molto scalpore. Il Comitato Verità e Vita ha denunciato Beppino Englaro e il personale medico-infermieristico della Clinica La Quiete per omicidio volontario. Per omicidio volontario si fa riferimento all’art. 575 del Codice penale che recita: «Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno». Di primo acchito sembrerebbero più pertinenti al caso altri due articoli: il 579 che punisce l’omicidio del consenziente oppure il 580 che sanziona l’aiuto al suicidio. A ben vedere questi due articoli però non si possono applicare al caso di Eluana. Infatti non è omicidio del consenziente per tre motivi. Primo perché il consenso alla propria uccisione deve essere esplicito e chiaro: nel caso di Eluana sono gli stessi giudici che ci hanno informato che la sua volontà doveva essere ricostruita, proprio perché non esplicita. In secondo luogo il medesimo articolo 579 specifica che è da considerarsi "omicidio volontario" e non "omicidio del consenziente" la condotta omicida che è rivolta verso un soggetto infermo di mente come lo era Eluana. Detto in parole povere, non è consenziente chi non riesce nemmeno a spiccar parola perché in stato vegetativo. Infine il consenso di chi vuole la propria morte de-
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Un giurista spiega come nel caso di Eluana Englaro si possa configurare il reato segnalato nell’esposto alla Procura di Udine ve perdurare fino a quando l’omicida commette il fatto. Se per esempio Tizio chiede a Caio di ucciderlo tra un mese, l’omicidio di Caio nei confronti di Tizio si deve qualificare come omicidio volontario e non come omicidio del consenziente nel caso in cui Tizio non confermi di voler essere ucciso nel momento stesso in cui avviene l’atto delittuoso.
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n merito alla vicenda di Eluana, le sue dichiarazioni di desiderare la morte se fosse entrata in coma – dichiarazioni presunte dato che ci sono altre compagne di scuola, non sentite dalla Corte di Appello di Milano, che affermano il contrario – sono state prestate 17 anni or sono e quindi non sono più attuali. La morte di Eluana non configura nemmeno la fattispecie dell’aiuto al suicidio, dato che per suicidio si intende un comportamento attivo di chi si vuole togliere la vita. Ed Eluana non era in grado neppure di muoversi. Non si può poi invocare l’art. 50 c.p.: «Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne». Nessuno può disporre validamente della propria vita chiedendo di essere ucciso, perché la vita è un bene indisponibile. È proprio per questo motivo che il nostro ordinamento punisce l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio. Escluse l’ipotesi di o-
micidio del consenziente e di aiuto al suicidio, rimane quindi in piedi solo la fattispecie di omicidio volontario. Qualcuno potrebbe obiettare: esiste il decreto della Corte di Appello di Milano che ha autorizzato i medici a sospendere l’idratazione e l’alimentazione. Qualche breve chiarimento al proposito. In primo luogo l’autorizzazione era rivolta in favore del solo Beppino Englaro. I medici quindi non posso aggrapparsi a ciò che ha disposto la Corte. In secondo luogo un organo giudiziario che ha competenza in materia civile – qual è la Corte di Appello di Milano – non può disapplicare un norma penale, nello specifico, la norma che punisce l’omicidio volontario. Ma l’aspetto che più si deve tenere in considerazione è il seguente. La Corte non aveva autorizzato il papà di Eluana a uccidere la figlia, ma aveva accolto un altro tipo di autorizzazione.
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i legge infatti nel testo del decreto: «Accoglie l’istanza di autorizzazione a disporre l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale, realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino nasogastrico». Beppino Englaro poteva, quindi, sì togliere il famigerato sondino naso-gastrico, ma non poteva opporsi al fatto che venisse idratata e alimentata attraverso altre vie quali quelle naturali – il neurologo professor Dolce riferisce che Eluana era capace di deglutire – o mediante PEG. * dottorando di ricerca in Filosofia del Diritto all’Università di Padova, assistente di Filosofia del Diritto e Filosofia teoretica all’Università europea di Roma
Da Londra la «lezione» di Ivan Cameron letture
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van era un bambino magico. Con un sorriso magico. Il suo sorriso sapeva farmi sentire il padre migliore del mondo. E certo, a volte era appena accennato, a volte era accompagnato da un piccolo rantolo... ma quel sorriso! Sapeva illuminare a giorno una camera». Le parole con cui David Cameron, il leader dei conservatori britannici, ha ricordato il figlio scomparso appena mercoledì scorso, lasciano senza fiato. Basterebbero a dire tutto sulla vita, sulla morte, sulla sofferenza, temi così attuali oggi, soprattutto nel dibattito nostrano. Ma di Ivan Cameron occorre sapere di più. Per imparare una lezione che, a sorpresa, arriva dal Paese che più ha fatto sentire la voce negli ultimi anni per l’arroganza e la sfrenatezza della sua corsa al progresso scientifico: l’Inghilterra degli ibridi e della clonazione, la nazione che non ha paura di nulla a parte dell’imperfezione dei propri figli.
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van Cameron nasce proprio lì, in Inghilterra, in un tiepido giorno di aprile del 2002. È il primogenito di una coppia perfetta: David giovane e sorprendente volto della politica, già all’epoca quotato per la scalata a Downing Street; Samantah – che di cognome fa Gwendoline Sheffield – figlia di ricchissimi proprietari terrieri e titolare di un famoso negozio di design di lusso a Notting Hill. Ma qualcosa, nel piccolo Ivan, non va. Dai
La drammatica storia del figlio disabile del leader conservatore britannico morto mercoledì scorso ha commosso la Gran Bretagna. Che ora si interroga sulle ambizioni eugenetiche della sua ricerca scientifica. cCn una nuova certezza: la vita umana, anche se sofferente, ha dignità medici presto un verdetto inaspettato: il neonato è affetto da una gravissima forma di encefalopatia epilettica, malattia incurabile che gli renderà la vita impossibile, impedendogli di parlare, di muoversi, di camminare.
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ui arriva la prima sorpresa: per i Cameron non è la fine. È un brutto colpo, certo, qualcosa di inaspettato e tragico, ma entrambi sono sicuri, subito: ora si va avanti, si cambia. E la coppia perfetta manda gambe all’aria la vita "perfetta". La casa viene attrezzata per Ivan, Samantah smette quasi completamente di lavorare e si divide tra il bambino e lo psicologo (per sapere come comportarsi col piccolo, per non fare niente di sbagliato, per capire come accogliere gli altri figli che verranno), David decide di non usufruire dei suoi "privilegi" e affidarsi completamente al servizio sanitario nazionale (se affronto – ripete spesso – il percorso che ogni singolo cittadino si trova innanzi in una situazione simile sarò un politico migliore, oltre che un buon pa-
dre). Seconda sorpresa: i Cameron decidono di prendersi cura in prima persona del loro bambino. E questo comporta anche nutrirlo con un sondino, tutti i giorni, sistemare quel tubicino con cura nel suo piccolo stomaco: Ivan non sa mangiare da solo, e non può essere imboccato, rischierebbe di soffocare. Ci pensa suo padre, David, ogni giorno. E in giardino realizza anche una "collinetta sensoriale" – come la chiama lui – dove Ivan può essere sistemato comodo, e guardare il cielo, sentire il vento. Samantah invece prepara la "bibbia" di Ivan, che è il suo diario medico, in cui lei scrive come sta, ogni giorno, i suoi progressi, i suoi dolori.
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a settimana scorsa la terza sorpresa, quella davvero tragica. Ivan si sente male all’improvviso, viene ricoverato, infine si spegne. La morte è l’unica barriera che la sua mamma e il suo papà non possono superare assieme a lui. «Il suo amore ci ha cambiato la vita – scrive David ai sostenitori del suo partito –.Quando ci fu detto per la prima volta quanto fosse grave la sua disabilità pensai che avremmo sofferto dovendoci prendere cura di lui ma almeno lui avrebbe tratto beneficio dalle nostre cure. Ora che mi guardo indietro vedo che è stato tutto il contrario. È stato sempre solo lui a soffrire davvero e siamo stati noi a ricevere più di quanto io abbia mai creduto fosse possibile ricevere dall’amore per un ragazzo così meravigliosamente speciale, e bellissimo». Una lezione che lascia senza fiato la Gran Bretagna, e il mondo intero.
◆ Un magistrato
e le domande che «bruciano» ccanimento terapeutico? Oppure uccisione di una disabile che non ha chiesto di morire e che ha subito la morte a causa della sua condizione, ritenuta indegna di essere vissuta? Un padre che rispetta la volontà della figlia o che vuole farla morire per le proprie convinzioni? E i giudici: hanno applicato la Costituzione e le leggi o hanno pronunciato una ingiusta condanna a morte? Molti sono i dubbi che nascono dalla vicenda di Eluana Englaro, di cui si fa carico Il caso Englaro. Le domande che bruciano, volume appena pubblicato dalle Edizioni studio domenicano (Esd, pagine 128, euro 9,50) a firma di Giacomo Rocchi, magistrato con le funzioni di giudice penale presso il tribunale di Firenze e già autore de «Il legislatore distratto» (2006) sulla legge 40 e la procreazione assistita.
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Avvenire
Giovedì, 5 marzo 2009
www.avvenireonline.it\vita
Staminali embrionali, ora non servite più box biblioteca
scoperte
di Alessandra Turchetti
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Perfezionata la tecnica per far ringiovanire le cellule adulte e trasformarle in pluripotenti Roberto Colombo: importante passo in avanti
agenda ◆ Milano, associazioni
sul «caso Englaro» Lunedì 9 alle 18.30, presso la Sala San Giorgio (piazza san Giorgio 2-via Torino) a Milano, si terrà un incontro organizzato da Cif, Scienza & Vita e Alleanza Cattolica sul tema «Dal caso Englaro alla legge sul fine vita. Il contesto legislativo e politico del nostro impegno culturale». Dopo il saluto di Pietro Macconi, presidente della Commissione Sanità della Regione Lombardia, parleranno Nicola Natale, presidente di Scienza & Vita Milano, Mauro Ronco, ordinario di diritto penale all’Università di Padova, e Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno. L’evento è realizzato con il Movimento per la Vita Ambrosiano, Nuove Onde, Circolo Culturale La Rocca e Associazione famiglie numerose cattoliche. ◆ L’Amci di Amalfi
di Giuseppe Noia
tecnoscienza
su «Educare alla vita» La sezione San Giuseppe Moscati dell’Associazione medici cattolici (Amci) di Amalfi-Cava de’ Tirreni ha organizzato nei giorni scorsi un dibattito su «Educare alla salute, educare alla vita» riprendendo il tema della Giornata mondiale del malato, presente Aldo Bova, vice presidente nazionale Amci, con l’intervento di don Tonino Palmese, docente di teologia pastorale all’Università Salesiana. Quanto a Eluana Englaro, Giuseppe Battimelli, presidente diocesano Amci, ha ribadito che si è trattato di un inaccettabile caso di eutanasia.
n altro goal della ricerca mondiale sul fronte della riprogrammazione delle cellule staminali adulte: due squadre di ricercatori della Gran Bretagna e del Canada, con un lavoro appena pubblicato su Nature, hanno perfezionato la tecnica fino al punto di introdurre i geni capaci di innescare il processo "a ritroso" senza l’ausilio di retrovirus, l’elemento più a rischio di sicurezza. Ma che cosa sono esattamente queste cellule riprogrammate e perché metà dei laboratori di tutto il mondo ha investito risorse imponenti in questa direzione di ricerca? Da quando nel novembre del 2007 il giapponese Shinya Yamanaka ha resi noti su Cell i risultati del suo esperimento che ha condotto alle prime "cellule staminali pluripotenti indotte" ("iPS") una pioggia di risultati ha letteralmente inondato la ricerca scientifica mondiale. Dopo una serie di sperimentazioni sui modelli animali per identificare i geni in grado di dare alle cellule staminali embrionali il loro carattere di pluripotenzialità, Yamanaka è infatti riuscito a spostare indietro l’orologio biologico di cellule adulte già specializzate, facendole giungere a un minor grado di differenziazione, cioè ad uno stadio simil-embrionale. Questo scopo è stato raggiunto introducendo nel Dna di cellule della pelle quattro geni per mezzo di un vettore retrovirale. Sotto l’azione di questi geni, le cellule adulte hanno cominciato a regredire, diventando sempre più simili a cellule pluripotenti capaci di ripartire nello sviluppo e tornare a specializzarsi secondo strade diverse.
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uesta scoperta è stata salutata come una vera svolta dalla comunità scientifica internazionale. Per un duplice vantaggio: senza distruggere o creare embrioni, e quindi non
Più anomalie nei bimbi concepiti in provetta
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uovi dubbi sui rischi genetici della fecondazione in vitro (Fiv). I «Centers for Disease Control and Prevention» (Cdc) americani hanno pubblicato uno studio in cui si dimostra che «i bambini concepiti tramite Fiv o Icsi (lo sperma iniettato nell’ovulo) hanno un rischio leggermente maggiore di presentare diversi difetti alla nascita, tra cui un foro tra le due cavità del cuore, il palato leporino, l’esofago sviluppato in maniera anomala, il retto malformato». Nei giorni scorsi la notizia è stata riportata dal New York Times e dal suo condensato settimanale che appare con Repubblica. I Cdc si riferiscono a uno studio pubblicato sull’autorevole rivista Human Reproduction (novembre2008): «Alcune anomalie nell’espressione dei geni sono associate all’utilizzo della Fiv, che sembra essere la causa anche di un maggiore numero di nascite premature, e di bambini nati sottopeso». Il quotidiano americano sottolinea: «Anche se i rischi sembrano essere di piccola entità, i ricercatori chiedo di fare più chiarezza». Così si legge sul New York Times e su Repubblica (peccato sia solo in inglese...): «Anomalie genetiche possono dipendere dalla Fiv: adesso è tempo di risposte certe sulla probabilità che la fecondazione assistita sia la causa di difetti nel bambino». (L.G.D.)
comportando problemi etici, si ottengono direttamente dal paziente staminali pluripotenti "su misura", ossia autologhe, che nel caso di impiego non darebbero origine a problemi di rigetto in quanto provenienti dal paziente stesso. Nei successivi miglioramenti della tecnica si è cercato di risolvere i rischi legati all’introduzione nelle cellule dei geni embrionali e di virus che possono promuovere una crescita incontrollata delle cellule e portare così allo sviluppo di tumori. È qui che si colloca la recente
frasi sfatte Bebè su misura, i figli dello struzzo «Clinica garantisce bambini "su misura". Sesso, occhi e capelli a scelta dei genitori». Titolo, «Il Messaggero», 3 marzo.
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a clinica è a Los Angeles, si chiama «LA Fertilità Institute» ed è specializzata in gravidanze artificiali. Flavio Pompetti, corrispondente da New York, annota: «Ha cominciato ad esplorare l’"opzione cosmetica" degli embrioni impiantati nel ventre». Nulla di nuovo, anzi, tutto già ampiamente noto: si tratta della diagnosi genetica pre-impianto, che in Italia è illegale ed è al centro degli attacchi alla legge 40, e infatti la si vorrebbe per individuare possibili
malformazioni dell’embrione. I contrari ribattono: è il primo passo verso l’eugenetica. I favorevoli si sdegnano: fandonie, e quando mai? A Los Angeles, per esempio. Il dottor Jeff Steinberg, della clinica californiana, proclama: «È tempo di estrarre la testa da sotto la sabbia e avventurarci su strade inesplorate». A qualcuno viene in mente la parola "eugenetica" e la fabbrica di esseri umani di Londra nord del "Mondo nuovo" di Huxley; gli altri tengono la testa sotto la sabbia. (T.G.)
scoperta: non più impiego di virus potenzialmente pericolosi, ma un sistema diverso per trasportare nelle cellule adulte il mix di geni che le fa tornare "bambine". È stata infatti utilizzata una sequenza di materiale genetico chiamata "trasposone" in grado di assolvere la stessa funzione.
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avvero uno sviluppo molto importante», commenta Vania Broccoli, ricercatore dell’Istituto San Raffaele di Milano e autore di un’importante sperimentazione eseguita in collaborazione con il Mit (Massachussets Institute of Tecnology) di Boston. Il team è riuscito a riprogrammare i fibroblasti della pelle, cellule adulte differenziate, in iPS che, nello specifico, sono diventate in vitro neuroni dopaminergici, proprio quegli elementi la cui funzionalità viene persa nel morbo di Parkinson. Trapiantate in topi affetti da questa malattia, hanno rimpiazzato i neuroni alterati migliorandone sensibilmente la funzione. «L’avanzamento è indubbio ma questo lavoro è solo la punta dell’iceberg di tante ricerche che hanno portato al miglioramento della procedura sotto vari punti di vista», prosegue Broccoli. Anche il professor Roberto Colombo, direttore del Laboratorio di biologia molecolare e genetica umana dell’Università cattolica di Milano, commenta con favore la recente scoperta pubblicata su Nature: «Il passo in avanti compiuto dai ricercatori scozzesi e canadesi è molto importante: al posto dei vettori virali, imprevedibilmente pericolosi nell’uso clinico di queste cellule, è stato impiegato un geniale metodo di trasfezione non virale. Esso si avvale del "piggyBac", un elemento genetico trasponibile originalmente usato per gli studi sugli insetti. Il "piggyBac" riconosce una sequenza di lettere del nostro Dna (esattamente "TTAA") e lì inserisce i quattro geni che fanno "ringiovanire" le cellule: C-Myc, Klf4, Oct4 e Sox2. Facendo in questo modo tornare indietro l’orologio cellulare, non vi è più necessità di cellule embrionali».
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uali applicazioni cliniche ipotizzabili ora saranno davvero possibili domani? «Partendo dalle stesse cellule del paziente (in questo caso, i fibroblasti della sua epidermide) – risponde Colombo – si potrà disporre di staminali pluripotenti per rigenerare diversi tessuti danneggiati da disordini metabolici o insulti traumatici. Pensiamo alle patologie connesse al diabete, all’infarto miocardico, alle neurodegenerazioni o alle lesioni dell’apparato osteoarticolare. Il mito delle staminali embrionali multipotenti come candidate ideali per la terapia cellulare sta per cadere: l’era delle multipotenti indotte da trasfezione e riprogrammazione è già iniziata».
L’aborto un "diritto"? Se il linguaggio viene manipolato
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tentativi di stravolgimento della prospettiva antropologica partono da un’accorta sofisticazione del linguaggio, che parte dai centri del sapere e si propaga attraverso i media. Non fa eccezione l’aborto, percepito nell’immaginario collettivo come un "diritto" della donna in nome del quale si viola, nei fatti, il diritto alla vita del concepito. Per cercare di spiegare il capovolgimento culturale cui si è andati incontro, le edizioni "Vivere In" hanno appena pubblicato: "Aborto. Dalla manipolazione della scienza alla manipolazione delle parole". L’autrice, la professoressa Maria Luisa Di Pietro, associato di Bioetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e presidente di Scienza & Vita, scandendo il testo in 90 domande e relative risposte, si propone di contrastare il pensiero unico in tema di interruzione volontaria di gravidanza, senza trascurare di porre l’accento anche sul grande dolore conseguente a una realtà socialmente assai diffusa.
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l libro si articola in sette capitoli, a cominciare proprio dalla questione semantica e dal significato delle parole, che non sono mai neutre. Da questa necessaria introduzione si prosegue con un’attenta disamina delle tecniche abortive e con un’analisi delle motivazioni che stanno alla base della richiesta di aborto, accompagnate da una riflessione etica e dal necessario, ma troppe volte trascurato, approfondimento sulla prevenzione. Il testo è di agevole lettura e nello stesso tempo non viene mai meno al rigore scientifico con cui viene trattato un argomento controverso, ricco di "legittimazioni" artificiali, spesso vittima di un’autentica congiura del silenzio. "Aborto" si inserisce in una collana, curata da Domenico Delle Foglie, dal significativo titolo "Le chiavi", che ha il dichiarato obiettivo di rendere accessibile al grande pubblico argomenti e materie che sono al centro del dibattito, fornendo strumenti di comprensione e di elaborazione personale.
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urare il discernimento in questi tempi difficili è impresa da maratoneti, ed ecco che gli altri titoli della collana si preoccupano di intervenire su tematiche per le quali i media hanno provveduto a fornire ampia disinformazione. Ne è un esempio il primo titolo pubblicato: "Otto per mille", scritto da Umberto Folena. Anche in questo caso, attraverso una narrazione coinvolgente e ricca di esempi di attività concrete, il giornalista si è impegnato a dissipare le false credenze sulla destinazione del contributo alla Chiesa cattolica. Il prossimo volume, curato dal professor Venerando Marano, sarà invece dedicato alle unioni di fatto e alle implicazioni giuridiche e socio-culturali che si determinerebbero con il loro riconoscimento. Emanuela Vinai
I giudici e quel diritto a «non nascere»
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egli ultimi 30 anni si è andata sempre più sviluppando una cultura "tecnocratica", che, prevista profeticamente anni prima, ha fatto dire al filosofo Del Noce: «Nella rivoluzione attraverso la tecnica l’uomo vorrebbe appropriarsi (...) dei poteri di cui si pensa che l’umanità si sia spossessata per gettarli in Dio». La diagnosi preimpianto e prenatale è uno dei tanti aspetti della "tecnocrazia scientifica": l’idea di selezionare con tecniche sofisticate i feti affetti da malattie genetiche per trasferire in utero solo quelli trovati geneticamente sani è un’acuzie di eugenismo e selezione pura, gravata da altre due connotazioni negative.
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a prima è quella di entrare nelle vie degli "scoop scientifici" senza che vengano pubblicati insieme ai successi tecnici "il prezzo" (le perdite degli embrioni legate alla metodica sono dal 30 all’80%) e "i prezzi" (le eliminazioni degli embrioni dopo le diagnosi di malattia sono del 100%). La seconda è che in questa "spirale
«Non esiste un diritto di venire al mondo sani come non esiste un diritto a non ammalarsi o a non morire. Noi ostetrici conosciamo benissimo e informiamo ogni giorno sul "rischio naturale" (circa 5%) a cui qualsiasi donna in gravidanza va incontro» selettiva" non si considerano quelle eventualità malformative che si possono determinare nelle fasi successive della gestazione e che fanno parte del "rischio naturale". Per cui quando queste vengono riscontrate, un altro iter di morte fisica (per il feto malformato) e psichica (per la madre) viene imboccata.
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n’attesa di vita si traduce in questa cultura eugenistica in un’attesa di figlio perfetto e se ciò non si ha, in un tunnel di morte, scandito da freddi momenti diagnostici dove la parola "rischio genetico riproduttivo" domina incontrastata. Ma accanto alle problematiche della diagnosi prenatale preimpianto si sono aggiunte anche "illuminazioni" di tipo giuridico che
contraddicono il diritto di tutti gli esseri umani a non essere discriminati sulla base del loro stato biologico. La sovrapposizione eugenistica tra giurisprudenza e medicina della riproduzione ha raggiunto un record alcuni anni fa con la sentenza delle toghe francesi. Nicolas, sordomuto e cieco per una rosolia congenita non diagnosticata, è stato indennizzato per il fatto di essere nato: non solo i genitori ma proprio lui, in prima persona, ed è stato come se i giudici gli avessero detto che sarebbe stato meglio se non fosse nato. Con quella sentenza si è aperta una finestra su un ipotetico diritto a nascere senza handicap o di non essere nato, cioè di essere abortito.
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iciamo subito invece che non esiste un diritto di venire al mondo sani come non esiste un diritto a non ammalarsi o a non morire. Noi ostetrici conosciamo benissimo e informiamo quotidianamente sul cosiddetto rischio naturale (circa 5%) a cui qualsiasi donna in gravidanza va incontro; è ripetuto continuamente che con la diagnosi prenatale si vede molto ma non si vede tutto; viene affermato con chiarezza che il nascere di una vita umana non è programmabile al minuto
e che l’imprevedibilità dei fenomeni biologici, pur nella vastità delle conoscenze, rimane una variabile importante. Nessuno ostetrico onesto può dare garanzia assoluta: potrà fare il massimo ma non fornire certezze. Sarebbe tempo di prevedere qualche misura concreta: a) evitare che i medici declinino le loro responsabilità professionali nell’esercizio di una eccessiva medicina predittiva, evidenziando in molti casi la possibilità terapeutica pre o perinatale; b) essere molti attenti a che le politiche della sanità pubblica non portino a lottare contro la malattia con la soppressione del malato.
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n questa corsa alla discriminazione eugenistica, abbiamo molto da riflettere e molto da educare all’interno delle nostre coscienze. Quando apriamo il nostro cuore ad accettare la "terminalità" selettiva, qualcosa muore dentro di noi. E poi, che cosa è la terminalità? Siamo veramente nati per "terminare", o come dice Hannah Arendt: «Gli esseri umani, sebbene debbano morire, non sono nati per morire, ma per incominciare»? Sì, pensiamo proprio che siamo nati per incominciare!
L’appuntamento con le pagine di Avvenire sui temi della bioetica è per giovedì 12 marzo Per inviare notizie, segnalazioni, proposte, lettere e interventi alla redazione di “è vita”: email:
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