Avvenire - Inserto E' Vita - 2 Luglio 2009 - N. 222

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222 Giovedì 2 luglio 2009

aborto Obama per nuove sovvenzioni pubbliche

fine vita Tra medico e paziente c’è di mezzo Ippocrate

dibattiti Bioetica alla francese ora tocca al Parlamento

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Quell’incontenibile voglia di aggirare la volontà popolare Una sottrazione al popolo e ai suoi rappresentanti della prerogativa di legiferare. Un ribaltamento delle fonti del diritto e dei poteri dello Stato. Scritto così, il fenomeno allerterebbe qualsiasi persona anche solo vagamente sensibile alla tenuta democratica delle istituzioni. E provocherebbe un terremoto mediatico. Nel caso dell’ormai continuo tentativo di frantumare la Legge 40 a colpi di sentenze e ordinanze varie della Magistratura, tutto ciò sembra pacifico. Anzi, un doveroso sopperire alla «mancanza di buon senso dei politici» (e di coloro che li hanno eletti, s’intende), come dichiarava ieri un riverito rappresentante dell’intellighentsia laica e progressista. «Amo l’umanità, è il popolino che disprezzo» si narra dicesse un illuminista.

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Legge 40, la strategia è di riscriverla in tribunale box

«D

eve... ritenersi ammissibile la diagnosi preimpianto, nonché il diritto di abbandonare l’embrione risultato malato e di ottenere il solo trasferimento di quello sano». Dopo la sentenza del 2006 del Tar del Lazio e le due ordinanze del Tribunale civile di Firenze, anche il magistrato Cinzia Gamberini di Bologna, con un’ordinanza depositata lunedì scorso, ha autorizzato la diagnosi genetica sugli embrioni presso un centro di procreazione assistita della stessa città, Tecnobios. Il caso riguarda una coppia sposatasi nel 1996, in cui la donna è portatrice sana di distrofia muscolare di Duchenne, patologia trasmessa al primo figlio avuto nel 1999. Il parere del giudice felsineo cerca di appoggiarsi sulla sentenza della Corte Costituzionale dello scorso 1° aprile, dove la Consulta dichiarava tra l’altro l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 3, della legge 40, nella parte in cui questo non prevedeva che il trasferimento degli embrioni, da realizzarsi non appena possibile, dovesse essere effettuato «senza pregiudizio della salute della donna». Il magistrato aggiunge poi di aderire pienamente a «un orientamento giurisprudenziale» che riconosce una netta distinzione tra la nozione di «ricerca clinica e sperimentale» sugli embrioni, vietata dalla legge 40, e quella di «diagnosi preimpianto». In sostanza, secondo Cinzia Gamberini, nel conflitto di interessi tra la società e l’embrione – il caso di «ricerca sperimentale» – vincerebbe il diritto di quest’ultimo, ma nel conflitto di interessi tra l’embrione e la madre – il caso di una diagnosi prempianto per una sospetta malattia del nascituro – deve prevalere il diritto alla salute psico-fisica della madre. Con il diritto, appunto, a impiantare l’embrione «sano» e a scartare il «malato».

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uesto è il nocciolo dell’ordinanza resa nota ieri. Qualcuno ha voluto forzarla facendo credere che riguardasse anche la possibilità di ricorrere alla fecondazione assistita per le coppie fertili, cosa vietata invece dalla negge 40 e niente affatto smentita dalla Consulta. «Fecondazione assistita anche per coppie non sterili» titolava il Corriere della Sera di ieri. Secondo l’avvocato Gianni Baldini, il legale della coppia in questione, l’ordinanza riconosceva finalmente «anche alla coppia non sterile in modo assoluto

stamy

patologie genetiche» ha dichiarato, tra i tanti, Silvana Mura dell’Idv).

P

er Maurizio Lupi, Pdl, siamo invece di fronte «a un uso distorto delle sentenze... in ragione di posizioni meramente ideologiche». Secondo Laura Bianconi, Pdl, «nessuno, men che meno dei magistrati, può arrogarsi la facoltà di permettere che si distrugga o si manipoli indiscriminatamente la vita dell’essere umano». L’associazione Scienza & Vita parla di «una volontà di ratificare, per via giudiziaria, una cultura eugenetica», mentre per Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica, «la malattia torna a essere considerata una condanna che esclude il malato dalla sfera dei diritti fondamentali». Per Eugenia Roccella, sottosegretario al ministero del Lavoro e della Salute, «il tribunale di Bologna ha cercato di espandere la sentenza della Corte Costituzionale fino a utilizzarla come copertura per ammettere "il diritto di abbandonare l’embrione risultato malato", selezionando e impiantando solo quello sano».

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L’ordinanza di un magistrato di Bologna ha autorizzato la diagnosi genetica sugli embrioni presso un centro di procreazione assistita della stessa città, Tecnobios. L’ennesimo tentativo di scardinare un testo legislativo votato dal Parlamento e confermato da un referendum

ma che ha già figli procreati naturalmente, il diritto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita».

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n realtà, l’ordinanza su questo punto non dice nulla di nuovo. Afferma che i coniugi si erano rivolti al centro Tecnobios dopo i tentativi di concepire un altro figlio «protrattisi da oltre due anni» ed «essendo infine stato medicalmente accertato uno stato di infertilità della coppia sine causa». Il che rientra fra i parametri previsti chiaramente dalla legge 40, laddove si legge che «il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità». Da questo fraintendimento è seguita per tutta la giornata di ieri una serie di dichiarazioni entusiastiche, che rivelano una volta di più l’ostilità per una legge votata dal Parlamento e la speranza che sia la magistratura a scardinarla («L’ordinanza del tribunale di Bologna ha fatto venire meno l’ennesima ingiustizia in danno delle coppie non sterili ma portatrici di

di Graz

n’operazione complicata, spiega Roccella, «perché la sentenza della Corte si limitava a lasciare la responsabilità di decidere il numero degli embrioni da produrre e impiantare al medico, rispettando naturalmente i criteri stabiliti dalla legge, tra cui il divieto di "creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario" e il divieto di "ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni". Ma il tribunale di Bologna ignora la questione, giudicando il divieto di diagnosi preimpianto a scopo eugenetico "irragionevole"». Anche Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato all’Università Europea di Roma, stimgatizza l’accostamento, presente nell’ordinanza bolognese tra amniocentesi e diagnosi preimpianto, in quanto entrambe invasive e pericolose per l’integrità del nascituro: «Nel caso della legge 194 non è riconosciuto l’assoluto diritto del feto alla sua integrità fisica, come invece è stabilito dalla legge 40 per l’embrione. Il motivo è essenzialmente che nella fecondazione assistita siamo di fronte a una creazione meditata e voluta di una vita umana, la 194 riguarda la decisione su una vita che una donna si ritrova in grembo e spesso in modo indesiderato. I

di Andrea Galli

Cellule embrionali: il ricorso lo firma l’avvocato degli Englaro

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on solo la diagnosi preimpianto e l’accesso alla provetta a chi sterile non è. La nuova offensiva per via giudiziaria contro la legge 40 punta a colpire la norma là dove tutela l’embrione – sin dall’articolo 1 – anche rispetto ai tentativi di farne oggetto di sperimentazione. Tre ricercatrici hanno infatti presentato il 24 giugno un ricorso al Tar del Lazio contro il bando del Ministero del Welfare che destina fondi a progetti di ricerca sulle staminali, sostenendo che verrebbe discriminato chi fa ricerca sulle cellule embrionali. A ricorrere al Tar sono state Elisabetta Cerbai, farmacologa dell’Università di Firenze, Elena Cattaneo, direttore del Centro di ricerca sulle cellule staminali dell’Università statale di Milano (da sempre fieramente avversa alla legge 40), e Silvia Garagna, biologa all’Università di Pavia. La firma sotto il ricorso è di un nome assai noto alle cronache: l’avvocato Vittorio Angiolini, legale della famiglia Englaro lungo l’intera vicenda di Eluana. «La legge 40 vieta la manipolazione dell’embrione, cosa che nessuno di noi si sogna di fare», spiega la Cerbai. Ma la realtà, e il buon senso, dicono altro. La ricerca usa linee cellulari ricavate da embrioni. Che – ci risulta, a buon senso – sono già stati manipolati e distrutti. In tempi di sentenze creative, però, tutto ormai sembra possibile.

INSINTESI

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Con questa ordinanza un essere umano avrebbe diritto a nascere solo se sano e corrispondente ai desideri dei genitori. È la vecchia eugenetica che riaffiora in forme aggiornate

termini della questione sono differenti. Anche il concetto di salute psichica della donna, contemplato dalla 194, non è preso in considerazione né dalla legge 40 né dall’ultima sentenza della Consulta, che cerca di evitare solamente il rischio fisico derivante dal ripetersi delle stimolazioni ovariche. Nell’ordinanza invece, riguardo all’impianto di un embrione malato, si fa riferimento alla salute psichica della donna». «Con questa ordinanza – specifica il sottosegretario Roccella – un essere umano avrebbe diritto a nascere solo se sano, e se corrispondente ai desideri della madre e del padre; un’ipotesi del genere è una ferita profonda al concetto di eguaglianza tra gli uomini e alla solidarietà, ma soprattutto stravolge il senso delle relazioni tra genitori e figli, sottoponendo l’amore materno e paterno, per sua natura gratuito e incondizionato, a valutazioni discriminatorie. "Tu sì, tu no", tu puoi venire al mondo, tu no, perché sei imperfetto e inadeguato: è la vecchia eugenetica che riaffiora in forme aggiornate dalle opzioni tecnologiche».

matita blu E perché non abolire le gravidanze?

di Tommaso Gomez

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i leggono! E ci replicano a tono! Non è una novità, ma una consuetudine che si consolida, dopo gli anni passati e remoti in cui la stampa dagli orientamenti culturali diversi ci ignorava con sufficienza, fingeva che non esistessimo per sottolineare l’irrilevanza cattolica. Come quando i compagni di classe organizzano la festina e invitano tutti tranne te... rischi di cadere nella malinconia e nel vittimismo. Oggi possiamo esclamare: noi sapevamo di esistere, ma adesso devono ammetterlo pure loro!

tribuirli a loro, ma nell’incrociar di ferri ci sta. La Ru486 pericolosina lo è, ma l’obiezione – attenzione all’audace analogia di Bartolommei – «trascura che il rischio di morte in caso di aborto chimico, se è superiore al rischio di aborto chirurgico, è identico a quello per aborto spontaneo e inferiore a quello per morte in gravidanza (e nessuno si batte per abrogare le gravidanze)». Nessun rifuso, ha scritto proprio così. Possiamo quindi stare tranquilli e dire alle donne: corri rischi maggiori a far nascere tuo figlio che a "interromperlo".

C

empre sull’Unità, Luigi Manconi e Andrea Boraschi replicano a Francesco D’Agostino e al suo editoriale su Avvenire. Non c’intromettiamo nel confronto fra i tre. Ci limitiamo a segnalare un inciso. Occhio alla parentesi: «Viene da chiedersi cosa intenda D’Agostino per "diritto giusto": se stia cioè parlando di "acqua bagnata" (quale legislatore di un sistema democratico tende intenzionalmente a promuovere una normativa ingiusta?); o se faccia appello a un governo "etico del diritto"», eccetera. L’Ita-

on entusiasmo, e con matita blu allegramente puntuta, riferiamo di due interventi sull’Unità. Sergio Bartolommei, della Consulta di bioetica, annuncia con tono militare: «Continua e si intensifica la campagna di lotta (Avvenire) e di governo (sottosegretario Roccella) contro la registrazione in Italia della pillola Ru486». Siamo dei lottatori! Sentirselo dire è inebriante. Ma non possiamo distrarci, perché subito Bartollomei ci attribuisce «furori ideologici». Veramente siamo stati noi per primi ad at-

S

lia è un Paese democratico, ma di continuo la destra accusa la sinistra e la sinistra la destra di promulgare leggi ingiuste, perché "ad personam" o tese a tutelare i privilegi di pochi contro i diritti di tutti. «Diritto giusto» è un rafforzativo tutt’altro che banale e scontato.

A

proposito di toni forti, nella sua lettera a Europa la lettrice Alma Locatelli di Milano, più che la biro, usa la scure bipenne. Riferendosi a Ru486 e testamento biologico, a Roccella e Sacconi, scrive: «Non sarà che il ritorno dei sepolcri imbiancati sia un’uscita offerta a Berlusconi dopo il pubblico scandalo, che avrebbe dovuto offendere il Paese e la Chiesa che s’erano sbracciati ad osannarlo?». Federico Orlando nella risposta non dice nulla della Chiesa che nella parodia raffinata stile Gay Pride della Locatelli si sbraccia a osannare Berlusconi, limitandosi, da capoclasse rancoroso, a scrivere sulla lavagna i nomi dei cattolici buoni di qua (quelli che danno ragione a lui) e dei cattolici cattivi di là. Lo chiameremo Capitan Gessetto.

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Avvenire

Giovedì, 2 luglio 2009

www.avvenireonline.it\vita

di Lorenzo Schoepflin

Washington

Fondi pubblici per abortire, l’America si divide fragilità Abrogare la legge del distretto della capitale americana che impedisce l’accesso a soldi tratti dalle tasse dei cittadini per finanziare tutti i servizi legati all’interruzione di gravidanza È l’obiettivo della amministrazione Usa. Contro il quale si schiera la Chiesa

R

isale al maggio scorso la raccomandazione fatta dall’amministrazione Obama affinché Camera e Senato, nell’esaminare la previsione di bilancio proposta dalla Casa Bianca, si adoperino per abrogare il cosiddetto «Dornan Amendment», una legge riguardante il District of Columbia (quello della capitale Washington) e che attualmente impedisce l’accesso a fondi pubblici derivanti dalla tassazione dei cittadini per tutti i servizi legati all’aborto. Questo intervento, caldeggiato dal nuovo corso obamiano, si inserisce nella più ampia e articolata riforma del servizio sanitario degli Stati Uniti, uno dei cardini delle politiche del successore di George W. Bush.

U

n primo passo verso la cancellazione del Dornan Amendment è stato fatto grazie all’House Appropriations Committee, l’ente che si occupa degli stanziamenti e degli impegni di spesa per molti settori dell’amministrazione, dalla difesa all’educazione. Il Sottocomitato per i Servizi finanziari ha infatti prodotto un

Proprio ai membri dell’intero Appropriations Committe è indirizzata la lettera datata 30 giugno e firmata dall’arcivescovo ì alla protezione della donna africana di Filadelfia, il cardinale Justin dalle violenze e dalle discriminazione di Rigali, presidente del Comitato ogni genere; no alla legalizzazione per le attività pro vita della dell’aborto. È quanto affermano i vescovi del Conferenza episcopale degli Stati Camerun in una dichiarazione, inviata Uniti. Nella lettera, il cardinale all’agenzia Fides, sull’approvazione da parte lamenta l’effettiva abrogazione del Parlamento camerunese della legge che del Dornan Amendment e autorizza il presidente, Paul Biya, a ratificare spiega che «invece di continuare il Protocollo di Maputo, adottato dall’Unione a impedire l’uso di tutti i fondi africana nel 2003. La Chiesa cattolica ha per gli aborti, il Sottocomitato espresso la sua opposizione al paragrafo c restringe la proibizione ai soli dell’articolo 14, che stabilisce di proteggere i fondi federali cosicché quelli diritti riproduttivi delle donne autorizzando locali possono essere usati per l’aborto medico nei casi di stupro, incesto, e gli aborti senza limiti e quando la continuazione della gravidanza restrizioni». Un vero e proprio mette in pericolo la salute della madre. «esercizio di contabilità», come lo chiama lo stesso Rigali, se si considera che il Congresso ha il controllo di tutti i fondi pubblici rapporto in cui si enunciano i del District of Columbia. Dunque provvedimenti che per il 2010 eliminano «l’impatto in termini di vite umane sarà «la speciale proibizione sull’uso di fondi esattamente lo stesso che sarebbe stato se locali per l’aborto» per il District of l’emendamento fosse stato abrogato Columbia. interamente». Ciò che appare strano è che, come puntualizza ancora la lettera, «altri divieti circa l’uso di fondi pubblici sono stati lasciati intatti», configurando una vera e propria azione politica volta a «promuovere l’aborto pubblicamente finanziato».

Il Camerun cade nella trappola della «salute riproduttiva»

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il caso L La coscienza dei «democrats»

«N

oi crediamo in una cultura che supporta e rispetta il diritto alla vita e che è dedicata alla tutela e alla conservazione delle famiglie». È così che si sono rivolti 19 membri del Congresso Usa, tutti appartenenti al Partito democratico, nella lettera indirizzata nei giorni scorsi a Nancy Pelosi, la presidente della Camera. Una lettera che agita ulteriormente le acque dell’amministrazione Obama in tema di bioetica, questa volta a proposito della riforma del sistema sanitario.

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di Elena Molinari

New York

preoccupare i 19 deputati democratici è il finanziamento dell’aborto: «Mentre il dibattito sulla riforma della sanità continua e si produce la legislazione, è indispensabile che la questione dell’aborto non sia trascurata», si dichiara nella lettera, a testimonianza di quanto il tema non sia ancora metabolizzato dalle coscienze degli americani. Non ci si deve dimenticare infatti che un recente sondaggio Gallup dà le posizioni pro-life maggioritarie nel Paese e che all’interno del Partito democratico Usa sono stati compiuti alcuni passi avanti per ridurre il ri-

C’è maretta nel partito di Obama per le scelte bioetiche del presidente. E alcuni deputati prendono le distanze dal leader corso all’aborto. In particolare, i firmatari della missiva si dicono contrari a qualsiasi tipo di finanziamento dell’aborto ottenuto con stanziamenti derivanti dalla riforma sanitaria in discussione: «Senza una esplicita esclusione, l’aborto potrebbe essere incluso nel piano sanitario con sussidi governativi come generica cura», si dice nella lettera, che prosegue: «Assicurando che l’aborto non sia finanziato attraverso alcun pacchetto della riforma [...] il Congresso può concentrarsi sulla creazione di una riforma largamente sostenuta».

N

ella lettera viene inoltre citato una studio del Guttmacher Policy Review, una organizzazione di orientamento pro-aborto, secondo il quale almeno un terzo delle interruzioni di gravidanza potrebbe essere evitato se i finanziamenti non fossero disponibili. Alcuni dei firmatari della lettera non sono nuovi ad iniziative pro-life. Charlie Melancon, deputato della Louisiana, nel 2006 supportò il Pregnant Women Support Act, una legge di sostegno per le donne in attesa. Me-

lancon dichiarò che «c’è bisogno di dare alle donne che affrontano una gravidanza indesiderata un aiuto in modo che possano realizzare che l’aborto non è l’unica opzione», dando le informazioni e i sussidi di cui necessitano per «scegliere la vita».

I

l nome di Melancon compare tra i sottoscrittori di un’altra lettera del febbraio scorso, cui altri dei 19 hanno aderito e promossa da uno di essi, Heath Shuler, rappresentante della North Carolina. Nella lettera, firmata da 180 membri del Congresso (157 repubblicani e 23 democratici), si chiedeva di conservare le misure che impediscono che il denaro proveniente dalla tassazione dei cittadini sia utilizzato per promuovere e praticare l’aborto, tenendo conto delle «preoccupazioni morali di molti americani che non desiderano vedere i loro soldi usati per le organizzazioni che forniscono servizi legati all’aborto». Shaun Kenney, direttore esecutivo della American Life League, si è dice ottimista: «È un segnale che il Partito democratico non è completamente venduto alla lobby abortista», ha dichiarato alla Cns News, aggiungendo che la lettera è una «scintilla» che incoraggerà il dibattito. (L.Sch.)

a missiva del cardinale Rigali precisa poi che ci sono almeno tre buoni motivi per ritenere la decisione del Sottocomitato un grave errore. Innanzitutto «gli americani rifiutano il finanziamento pubblico dell’aborto» con una forte opposizione dimostrata anche in occasione delle decine di milioni di cartoline spedite ai rappresentanti al Congresso per bloccare l’approvazione del Freedom of Choice Act, una legge ultrapermissiva proprio in tema di aborto. In secondo luogo «nessun legislatore e nessuna amministrazione può sostenere tale cambiamento di politica e contemporaneamente dichiarare il supporto alla riduzione degli aborti», viste le molteplici evidenze statistiche che dimostrano come la disponibilità di soldi pubblici per l’aborto ne causi un aumento. Il terzo aspetto che avrebbe dovuto consigliare maggiore prudenza è la considerazione che una simile decisione va a incrinare il clima di collaborazione che è necessario per l’approvazione della riforma della sanità. Nella lettera Rigali appoggia la protesta già esposta dall’Arcidiocesi di Washington, e conclude raccomandando la revoca del provvedimento per ristabilire la politica contro il finanziamento pubblico dell’aborto. Non sono ovviamente mancate le critiche provenienti dal mondo pro-life americano: il National Right to Life Committee ha parlato di «imbroglio politico». Sull’utilità del provvedimento molti sono i dubbi, se è vero che a oggi oltre il 40% delle gravidanze nel District of Columbia terminano con un aborto, come riportato proprio nel documento dell’Arcidiocesi di Washington.

10 mila dollari l’uno. Ovuli sul mercato Lo Stato della Grande Mela finanzia le cliniche perché paghino le donne che cedono i gameti Lo scopo: soddisfare la domanda della ricerca, sulla pelle delle più povere

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onare o, meglio, vendere i propri ovuli alle cliniche della fertilità è una prassi comune negli Usa. Cederli, al prezzo di 10 mila dollari l’uno, agli istituti di ricerca come materia prima per la clonazione terapeutica finora non era possibile nemmeno negli Stati Uniti. Ma anche questo sta per cambiare. Offrire i propri ovociti a scopi riproduttivi permette di guadagnare dai 7 mila a un massimo di 25 mila dollari per donazione, a seconda del numero di ovuli prodotti e della qualità della donatrice. Questa per legge non viene compensata per il commercio dei suoi gameti quanto rimborsata per il tempo perso e per il disagio subito durante le trequattro settimane di procedura (senza contare il tempo necessario a riprendersi dall’intervento). La donazione negli Usa è legale dagli anni ’80 e l’associazione di categoria delle cliniche della fertilità statunitensi, la American Society for Reproductive Medicine, calcola che ogni anno nel Paese più di 10 mila bambini nascano grazie all’uso di ovuli non appartenenti alla madre "legale”. Due fattori stanno espandendo ulteriormente quello che è ormai diventato un business da 3 miliardi di dollari l’anno: la crisi economica e la possibilità di donare ovuli alla ricerca scientifica. La recessione, stando sempre alle osservazioni delle cliniche della fertilità, data l’assenza di un’agenzia nazionale che monitori il commercio di ovociti, ha fatto impennare del 40 per cento il numero di donne che si sottopongono volontariamente alla massiccia dose di ormoni che stimolano la fertilità e alla raccolta degli ovuli stessi. Una tale

disponibilità di donatrici ha permesso alle famiglie che ricevono l’ovulo di essere più selettive. Le donatrici vengono reclutate tramite annunci affissi nelle metropolitane delle grandi città o pubblicati su siti di compravendita online come Craig’s list e sui giornali universitari. La ricerca è rivolta a donne non solo giovani (dai 21 ai 30 anni) e sane, ma sempre più spesso anche “attraenti”, e, come recita un’inserzione apparsa sul Daily Californian, il quotidiano studentesco di Berkeley, alte e con un elevato punteggio all’esame di ammissione all’università.

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a se finora gli enti pubblici si erano tenuti fuori dal commercio di ovociti, alcuni Stati stanno pensando di approfittare del crescente numero di donne in difficoltà economiche. Il primo a muoversi è lo Stato di New York, che nei giorni scorsi ha autorizzato ospedali, università e altri centri di ricerca a retribuire le donatrici che offrano i propri ovociti allo scopo di creare, per

clonazione, nuove linee di cellule staminali embrionali sulle quali condurre esperimenti scientifici. In questo modo New York ha scavalcato le indicazioni del governo federale che, nelle linee guida emesse (ma non ancora definitivamente adottate) dall’Istituto nazionale per la salute americano, proibisce l’uso di denaro pubblico per creare embrioni a scopo scientifico o terapeutico. La decisione è anche in contrasto con le indicazioni bioetiche delle US National Academies, che nel 2005 hanno scoraggiato la pratica del pagamento.

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a la Empire State Stem Cell Board, la Commissione etica per la ricerca scientifica del Dipartimento alla salute di New York, ha già stanziato un fondo da 600 milioni di dollari per la ricerca sulle staminali nello Stato, e intende mettere a disposizione dei propri scienziati il numero più alto possibile di embrioni, indipendentemente dalla loro provenienza. La Commissione permetterà dunque ai ricercatori dello Stato di pagare fino a 10 mila dollari per ogni singolo ovulo, usando fondi statali. Annunciando la decisione, il Board ha precisato che tale pagamento viene visto come una somma equa per riconoscere «il considerevole fardello fisico associato al processo di donazione». «Non abbiamo trovato nessuna ragione etica per la quale una donazione a scopo riproduttivo dovrebbe essere pagata, mentre una a scopo scientifico no», ha spiegato David Hohn del Roswell Park Cancer Institute a Buffalo, New York, membro del Comitato etico. «Questa decisione potrebbe essere controproducente – ha commentato invece Jonathan Moreno dell’Università della Pennsylvania, a Philadelphia – . Molti americani sono perplessi sulla ricerca sulla clonazione».

Rapporto choc: «Bimbi disabili curati male»

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l cerchio si chiude: con la pubblicazione in Inghilterra il 22 giugno del reportage "Bambini disabili e salute", promosso dall’associazione "Every Disabled Child Matters", viene puntato il dito sull’inefficienza del sistema sanitario inglese verso i piccoli con handicap. Talora, quando i malati sono piccoli disabili con caratteristiche particolari, il reportage mostra tale inefficienza è dovuta a cattiva organizzazione o a una scarsa preparazione dei sanitari verso comuni malattie (problemi dentari o agli orecchi). Il cerchio si chiude, perché proprio in questi mesi nel Paese sono usciti altri reportage sul cattivo trattamento medico delle persone con ritardo mentale e degli anziani. Cos’hanno in comune queste tre categorie? Semplicemente il fatto che non sono persone autonome, cioè le uniche che hanno pieno diritto di cittadinanza nelle società consumistiche ed evolute. In particolare, il rapporto che riguarda i bambini denuncia scarsa preparazione dei medici di base a riconoscere i segni di autismo, o le conseguenze di un danno cerebrale, e certe specificità anatomiche dei bambini Down che rendono speciale anche una normale visita alle orecchie.

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erto, non tutto è così nel sistema sanitario inglese, e il semplice fatto che se ne parli fa onore ai britannici. Ma inquieta leggere nel report la storia narrata dalla mamma di Daisy: «Quando la mia bimba di nove anni con ritardo mentale è morta, un dottore mi ha detto: è quasi come perdere un bambino. Cosa pensava che fosse la mia bellissima bimba? Un giorno Daisy entrò in ospedale per un’infezione dentaria. Tre settimane dopo era morta. Nessuna pianificazione attiva fu fatta per salvarla. Fu solo documentato il suo declino. (…) Dopo che Daisy morì, ci accorgemmo che lo staff era cosciente che la vita di Daisy era in pericolo. Ci dissero che avevano mal giudicato la sua qualità di vita. Se non avesse avuto un ritardo mentale non sarebbe stata trattata così». Questo caso ripropone lo spettro dell’handifobia, l’autocensura che tutti rischiamo di fare per non vedere il malato e la malattia e che arriva fino all’emarginazione del malato. E talvolta anche degli anziani. Scrive Terence Blacker sull’Independent del 26 giugno: «Due autorevoli reportage confermano come un settore del popolo inglese è routinariamente e sistematicamente discriminato con il risultato di migliaia di morti premature. Sono i vecchi. Individualmente possono essere simpatici, ma non contano niente. Dal governo al sistema sanitario passa un giudizio: che da un’età in poi il dovere del cittadino è di sedere paziente nell’anticamera della morte». Sono parole durissime, che vengono altresì da un Paese civilissimo e all’avanguardia.

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a è un Paese in cui un ulteriore reportage sui disabili mentali dal titolo "Morte per indifferenza" mostra che anche nelle terapie contro il dolore questi pazienti sono trattati peggio degli altri. La rivista Lancet giunse a scrivere che per il sistema sanitario inglese i disabili mentali sono «invisibili». Ma è un problema solo inglese? Noi come ci poniamo su questo fronte: ci riconosciamo o chiudiamo gli occhi? Coloro che non sono autonomi ci ricordano con forza che non ci è più lecito accettare che essi (bambini, anziani e disabili) e i loro problemi vengano messi ai margini della società, invisibili nei programmi televisivi, censurati nei programmi scolastici, fino ad essere discriminati anche nelle cure. Carlo Bellieni

Avvenire

Giovedì, 2 luglio 2009

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www.avvenireonline.it\vita

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ualche giorno fa un’inchiesta ha rivelato che non tutti i britannici che si sono recati in Svizzera da Dignitas a morire – finora sono stati 115 ma in lista d’attesa ce ne sono più di 800 – erano malati terminali. Trentasei avevano un tumore, 27 soffrivano di "motor neurone disease" e 17 di sclerosi multipla, ma altri avevano condizioni come il "Crohn’s disease", la tetraplegia, l’artrite reumatoide o malattie al fegato che possono essere curate con la dialisi o un trapianto. Steve Field, presidente del Royal College of General Practitioners, un ente che raccoglie i medici di famiglia del Regno Unito, ha detto di essere scioccato dalla lista. «Sono preoccupato perché vedo che alcuni pazienti nella lista di Dignitas soffrono di malattie curabili e, se opportunamente assistiti, sono in grado di condurre una vita produttiva e piena di significato». Elisabetta Del Soldato

l ddl parla all’articolo 2 di consenso informato e afferma al comma 1 che «salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito e attuale del paziente, prestato in modo libero e consapevole». Al comma 3 poi fa proprio riferimento all’«alleanza terapeutica costituitasi all’interno della relazione fra medico e paziente che si esplicita in un documento di consenso informato, firmato dal paziente, e diventa parte integrante della cartella clinica». E poi, ancora, all’articolo 7 comma 2 si dice chiaramente che «il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica. Le indicazioni sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio dell’inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo i princìpi di precauzione, proporzionalità e prudenza».

Q

uella di costruire una buona relazione tra medico e paziente è per Giorgio Fossale, presidente dell’Ordine dei medici di Vercelli e medico di famiglia, una «vera e propria sfida» che ha come finalità principale quella di «uscire dalla burocratizzazione». Perché la volontà del paziente non è altro che un «continuum» che «emerge dal rapporto tra lui e il medico» e che può essere «allargato anche all’ambiente familiare». Sta infatti al medico, sempre secondo Fossale, fare un adeguato «discernimento della situazione che ci si trova di fronte, caso per caso. Sta dunque a noi essere fino in fondo veri e propri medici ippocratici».

D

i autentico squilibrio da parte di chi vorrebbe che la volontà da tenere in considerazione

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econdo Nunzia D’Abbiero, che lavora a Reggio Emilia all’Arcispedale Santa Maria Nuova e ha l’incarico di alta specialità per le cure palliative in radioterapia, «l’esercizio della medicina è tutto racchiuso nel rapporto tra due persone, e la norma deve garantirlo. Occorre tutelare la volontà del malato, ma anche salvare la libertà del medico – aggiunge – perché non è una persona qualunque ma un professionista». Che, se propone un determinato intervento di cura, lo fa con cognizione di causa. Ma anche quando si tratta di cessare dall’azione limitandosi ad accompagnare verso la fine della vita la D’Abbiero è convinta che «è giusto conoscere le direttive anticipate di un paziente perché non si manifesti la violenza di una medicina "guerriera"» che

diritto & salute

È

braccio di ferro in Gran Bretagna tra la lobby pro eutanasia e coloro che la avversano. Il dibattito si è infiammato dopo l’appello dei tre leader religiosi più influenti della Gran Bretagna, il cattolico Vincent Nichols, l’anglicano Rowan Williams e il rabbino Johnatan Sacks, perché sia respinta una proposta di legge a favore del suicidio assistito. Un esponente della Camera dei Lord, Falconer, sta spingendo in Parlamento un emendamento alla legge "Justice and Coroner Bill", che solleverebbe da ogni incriminazione chi accompagna familiari o amici malati a togliersi la vita in cliniche estere dove il suicidio assistito è legale, come la Dignitas in Svizzera. Un tentativo di cambiare la legge a favore del suicidio assistito era già stato avanzato in passato da Lord Joffe ma era stato bocciato. Ora la lobby pro-eutanasia, ha spiegato ieri Peter Saunders di Care not Killing, «sta tentando nuove vie, come per esempio l’emendamento al Justice and Coroner Bill. La legge attuale protegge i vulnerabili, punisce chi aiuta al suicidio con la reclusione fino a 14 anni, ma nessuno ancora è stato incriminato per aver accompagnato i familiari a morire all’estero. La giustizia riesce a dare uno sguardo di compassione ai casi che la richiedono. Quale sarebbe dunque la necessità di modificare la legge? Mi pare piuttosto che questo emendamento renderà ancora più dure le sofferenze dei malati terminali che già si sentono un peso per i familiari e le strutture che li hanno in cura».

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fosse solo quella della persona malata – un modo di ragionare «non ancorato alla realtà» – parla Stefano Ojetti, medico chirurgo ad Ascoli Piceno. L’alleanza terapeutica – spiega – ci apre alla possibilità di percorsi condivisi che possano superare sia il paternalismo che l’autodeterminazione. Questa alleanza deve essere permeata dall’esperienza del medico perché il paziente non può sapere tutto sulla malattia e le terapie possibili, e può anche sbagliare nel dire che non vuole essere sottoposto a una determinata cura che potrebbe dargli sollievo». Per questo occorre che il paziente possa «beneficiare della conoscenza del medico». Un sapere, quello del curante, che

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deve essere sempre messo al servizio di chi ha bisogno di essere curato: è questo uno degli obiettivi più alti della medicina, che si concretizza sia nel momento in cui è possibile una prospettiva di guarigione sia quando è immaginabile solo un percorso di cura e accompagnamento.

INSINTESI

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«Il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica». Ragionevole, no? Lo dice il ddl Calabrò sul fine vita approvato al Senato. E dire che c’è chi lo vorrebbe smontare...

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«La volontà del paziente – dicono i medici – è un discernimento sulla propria situazione fatto insieme al medico e ai familiari».

di Francesca Lozito

Mercoledì 8 il disegno di legge Calabrò inizia l’iter alla Camera. Di Virgilio il relatore

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nizierà mercoledì 8 luglio la discussione in Commissione affari sociali alla Camera del ddl Calabrò sulle direttive anticipate di trattamento. Dopo il via libera del Senato, in marzo, ora si riprenderà il testo articolo per articolo. Relatore sarà Domenico Di Virgilio (Pdl): «Mi adopererò per ascoltare maggioranza e opposizione, senza alcun preconcetto – ha dichiarato ieri –. Spero che su un tema così delicato ci sia un filo conduttore comune che dia spazio a un ampio dibattito». L’auspicio è che il testo possa talora capita di vedere in azione.

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ietro questa metafora si nasconde la problematica di chi continua a proporre ai malati terminali chemioterapie e interventi anche quando non servono più e causano solo effetti collaterali. La dottoressa emiliana parla dunque di «rispetto reciproco tra la libertà del medico e quella del paziente: non ci può

uscire dalla Commissione prima della pausa estiva, per approdare in Aula subito dopo l’estate. Secondo Paola Binetti (deputato del Pd) sulla volontà del paziente «occorre che la medicina resitituisca al consenso informato il valore di medical education: il paziente deve esprimere la sua volontà con ricchezza e partecipazione emotiva, ma la sua decisione non può essere vincolante per il medico, che deve impiegare la sua formazione per stabilire ciò che è bene per il paziente». (F.Loz.) essere forzatura e nemmeno coercizione, ma se i malati continuano a fidarsi vuol dire che c’è in campo una competenza. Anche perché come medico sono sempre tenuta a dare conto delle scelte che faccio». All’orizzonte il pericolo è dunque quello di una «medicina cautelativa» che non rappresenterebbe secondo la D’Abbiero «un reale progresso, ma una sconfitta per tutti».

La vera libertà? Di curare n merito alle Dichiarazioni chiesto di morire. Di questi, tre hanno cambiato idea anticipate di trattamento dopo le opportune cure. (Dat), un’obiezione che si sente spesso è la seguente. Il n opposizione a questi argomenti si potrebbe medico, di fronte al rifiuto obiettare: allora ammettiamo la vincolatività della di cure espresso da un Dat perlomeno nei casi di malattia a esito infausto paziente cosciente e capace di già conclamata. Si può rispondere affermando che se intendere e volere, deve attenersi decidi quando sei malato (tumore, Aids...) la tua alle volontà di questi; perché invece di fronte al rifiuto libertà è condizionata dal dolore e dalla paura della di cure contenuto nelle Dat il medico non ha il morte e non puoi decidere sul tuo miglior bene. In medesimo obbligo? Proviamo a rispondere. Lo merito poi alla inevitabile lacunosità delle Dat, è strumento delle Dat è viziato per sua impossibile prevedere nel concreto la stessa natura da due difetti i quali fanno I desideri del paziente patologia letale da cui sarò affetto e le sì che il medico non debba essere relative cure che vorrò rifiutare. non possono vincolato a esse. L’inattualità delle essere imposti a terzi volontà del dichiarante e la lacunosità aradossalmente allora le Dat insuperabile delle dichiarazioni scritte. bloccano la mia libertà proprio né per forza eseguiti perché non la attualizzano nel Soprattutto inattualità della volontà: il decidere presente. Cristallizzano e congelano la se essi sono "datati" mia libertà nel passato a danno proprio "ora per allora" espone il dichiarante a rischi che vanno della tanto invocata autodeterminazione contro il suo stesso bene. Una cosa è del paziente. L’articolo 9 della decidere della propria sorte quando sei sano, un’altra Convezione di Oviedo in merito alle Dat parla di quando sei malato. Quando siamo in salute ci desideri scritti, e il desiderio non può essere cosa ripugna l’idea di essere in futuro attaccati a macchine imposta a terzi. Il Rapporto esplicativo sull’articolo 9 è per la respirazione e sondini di vario genere, perlopiù poi chiarissimo: «Tenere in considerazione i desideri in stato di incoscienza. Ma allorché ci diagnosticano precedentemente espressi non significa che essi una malattia grave siamo disposti a sopportare di debbano necessariamente essere eseguiti. Per tutto a patto di poter vivere. Questo per dire che con esempio, se i desideri sono stati espressi molto tempo buona probabilità molti di coloro che nelle Dat prima dell’intervento e la scienza ha da allora fatto scriverebbero nero su bianco di voler staccare la spina, progressi, potrebbero esserci le basi per non tener in se fossero coscienti potrebbero cambiare idea. Infatti conto l’opinione del paziente». Detto in altri termini: sono i sani a voler l’eutanasia, non i malati. cure che oggi sono inefficaci e che potrebbero Riportiamo, tra i moltissimi riscontri scientifici a configurare accanimento terapeutico, perciò riguardo, un’indagine del 2007 dell’Unità di cure rifiutabili, domani ti potrebbero salvare la vita. Sì palliative dell’Istituto dei Tumori di Milano. In 25 quindi alle Dat con valore consultivo e orientativo per anni di attività su 40 mila pazienti solo quattro hanno il medico, no alle Dat a carattere vincolante.

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di Tommaso Scandroglio

Suicidi assistiti: c’è la "lista"

Alla vigilia dell’«esordio» a Montecitorio, dopo il varo del Senato, c’è chi ipotizza addirittura un azzeramento del testo. Ma il lavoro di Palazzo Madama ha prodotto un consenso ampio attorno ad alcuni punti fermi, sui quali non si può recedere: l’alimentazione assistita come sostegno vitale non sospendibile, e un rapporto equilibrato tra chi cura e chi è curato Come ci ricordano gli stessi professionisti

letture

Londra

n dialogo tra il medico e il malato. Necessario, fondamentale per poter costruire una buona relazione che sfoci nella cosiddetta "alleanza terapeutica". Alla vigilia ormai dell’inizio della discussione alla Camera – prevista per mercoledì prossimo in commissione Affari sociali – del disegno di legge Calabrò sulle direttive anticipate di trattamento nella formulazione licenziata dal Senato, i medici fanno il punto su alcuni articoli della legge che riguardano più da vicino l’aspetto della relazione con la persona malata. E rifiutano l’idea unilaterale di volontà del paziente che vorrebbe il medico mero esecutore di quello che diventerebbe un vero diktat.

di Pier Luigi Fornari

fine vita

Tra medico e paziente c’è di mezzo Ippocrate

«Fragili» discriminati: la legge può evitarlo n prospettiva del prossimo avvio in commisione Affari sociali della Camera del disegno di legge sul fine vita approvato al Senato, il tema del libro di Paola Binetti, La vita è uguale per tutti, presentato ieri a Roma, riporta al centro dell’attenzione il rispetto di ogni esistenza umana e il diritto-dovere di solidarietà anche nella cura di ogni età o condizione di salute. Erano presenti parlamentari di diversi schieramenti, e anche il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, i sottosegretari Gianni Letta ed Eugenia Roccella.

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a vita è uguale per tutti», è un fatto ovvio, ha osservato monsignor Rino Fisichella, rettore della Università Lateranense e presidente della Pontificia accademia per la vita, tuttavia oggi è necessario evidenziarlo. «Dinanzi alla vita umana non è possibile nessuna forma di discriminazione», ha spiegato l’arcivescovo, che citando per intero l’articolo 32 della Costituzione ha sottolineato il primo comma spesso dimenticato: «La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gra-

«La vita è uguale per tutti»: un principio che finirebbe disatteso se si desse retta a chi vuole aprire il varco all’eutanasia riducendo le garanzie della norma sul fine vita Attorno al libro-denuncia di Paola Binetti dibattito a Roma con monsignor Rino Fisichella tuite agli indigenti». Una formulazione che evidenzia una concezione relazionale della persona inserita nella sua comunità. In questo senso la dignità della persona non può essere separata «dalla relazione, dalla solidarietà» degli altri.

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n questo quadro il presule ha invitato i legislatori a tener conto di un fattore «determinante»: una norma di tale valenza che tocca temi etici come il fine vita «crea una cultura consequenziale». La responsabilità formativa non può essere chiusa in compartimenti stagni, chiama in causa anche le istituzioni. «Prendersi cura di tutta la persona implica che essa non è mai solo identificabile con il suo solo corpo – ha precisato l’arcivescovo – né con la sua sola attività di pensiero, ma con la sua esistenza segnata fin dall’inizio come

vita umana e come tale merita di essere rispettata e accudita sempre». Più cresce la responsabilità sociale, più si affina la capacità di prendersi cura del «disabile». «La società insomma – ha concluso monsignor Fisichella – deve sentire forte su di sé il richiamo perché nessuno subisca un trattamento discriminatorio e ingiusto per il solo fatto di essere inabile». Al contrario essa dovrà «rendere ognuno realmente in grado di vivere la propria esistenza conforme alla natura che lo ha generato».

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a Binetti ha ricordato il parere del Comitato nazionale per la Bioetica del 2005 che ha considerato alimentazione ed idratazione sostegni vitali. Questo il cuore della legge per cui si preannuncia «una battaglia» non facile a Montecitorio. Per questo ha richiamato il bisogno di un sostegno culturale, per diffondere una antropologia relazionale e una solidarietà generazionale. Anche Elvio Covino, preside della facoltà di medicina del Campus Biomedico, ha evidenziato la necessità dell’aspetto formativo nel curriculum universitario dei medici. Nel ricordare il contenuto del giuramento di Ippocrate, ha citato la sua esperienza trentacinquennale di cardiochirurgo: «Non mi è mai accaduto che una persona si sia rivolta a me, se non per chiedermi di guarire».

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ltre il diritto all’autodeterminazione c’è anche il diritto alla vita», ha osservato Paola Bilancia nel corso di un preciso esame del dettato costituzionale. La docente di diritto pubblico all’Università di Milano ha invitato il legislatore ad «un sapiente bilanciamento», perché i fatti recenti mostrano come la norma può essere interpretata dalla magistratura. A questo proposito, la Binetti ha fatto l’esempio della legge 40 sulla procreazione assistita, osservando che «proprio la sentenza prima della Corte Costituzionale e ora quella del tribunale di Bologna ci rende tutti particolarmente attenti a legiferare per essere certi che il valore della vita sia sempre difeso in se stesso». «Non è positiva», ha detto a commento del pronunciamento del tribunale del capoluogo emiliano, che consente la diagnosi preimpianto. Secondo la deputata del Pd «la scienza ci dovrebbe dare tutti gli strumenti per curare e non per selezionare e in qualche modo cancellare alcune persone». «La diagnosi preimpinato porta inevitabilmente ad una soluzione eugenetica», ha aggiunto monsignor Fisichella, mettendo in evidenza che «molte malattie sono state curate o vengono ora curate intervenendo sulla cellula e non sull’embrione». Quindi «bisogna avere pazienza perché la scienza faccia i suoi progressi», d’altronde sono cose che non si possono «risolvere con interventi continui della magistratura».

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Avvenire

Giovedì, 2 luglio 2009

www.avvenireonline.it\vita

Bioetica alla francese: dopo la gente, il Parlamento box Liberi per vivere

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Al termine della vasta consultazione popolare, ora gli sguardi sono puntati sulla politica. Il commentatore Patrick Verspieren: incertezza sulla futura revisione della legge

obiezione I condom, proposta superficiale a mozione della Provincia di Roma che prevede l’installazione di distributori automatici di preservativi nelle scuole superiori di Roma solleva interrogativi di varia natura. È noto come nei Paesi che hanno lanciato campagne di prevenzione tra i giovani centrate esclusivamente sull’uso di profilattici e pillole contraccettive non si sia ridotta sensibilmente né la diffusione di malattie sessualmente trasmesse né le gravidanze non ricercate, né gli aborti conseguentemente procurati. C’è da chiedersi, perciò, se non sia ormai opportuno cambiare un orientamento che, avallato dalle istituzioni, promuove una visione riduttiva della sessualità e una proposta scientificamente non corretta di prevenzione. L’attuale emergenza educativa esige di non oscurare i significati inscritti nella sessualità umana, creata per un dono disinteressato di sé. L’educazione integrale della persona, anche con il supporto di educatori alla procreazione responsabile, può aiutare adolescenti e giovani a risalire, con la conoscenza della fertilità, dai segni ai significati dell’amore, della vita e del procreare umano : non una tecnica ma la proposta di uno stile di vita controcorrente, umanizzante e liberante.

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iffondere nelle scuole i distributori di profilattici rappresenta un incentivo diseducativo all’esercizio della sessualità, un preoccupante precedente che ignora non solo i risvolti pedagogici ma anche la crisi finanziaria che ha tagliato fondi a tante prestazioni sanitarie. Probabilmente ragioni economiche (legate alle ditte produttrici) e ideologiche sono alla base di tale scelta. È opportuno perciò un invito per scuola, famiglia, agenzie educative, istituzioni e mass media a non lasciare soli i ragazzi davanti a proposte superficiali, perché è in gioco la loro salute e la loro felicità, presente e futura. Angela Maria Cosentino

uella parte di Francia desiderosa di informarsi e di riflettere non è rimasta delusa dagli Stati generali della bioetica». A pensarlo è Patrick Verspieren, gesuita, direttore del Dipartimento di etica biomedica del Centro Sèvres di Parigi, autore di decine di studi e pubblicazioni, ma anche noto commentatore dell’attualità bioetica francese. Ogni ottimismo, tempera però padre Verspieren, è mitigato dalle incognite sull’uso politico che verrà fatto delle conclusioni della vasta consultazione popolare voluta dall’Eliseo. Le grandi attese della vigilia sono state dunque rispettate? È stato un incontro popolare molto fruttuoso, anche per quei cittadini che attendevano di conoscere la posizione della Chiesa. Il numero di colloqui, giornate di formazione, dibattiti, tavole rotonde sull’argomento non era mai stato tanto rilevante, con un’affluenza sempre alta. Occorre rallegrarsi di questa sensibilizzazione sulle nuove tecniche biomediche. La questione della maternità surrogata ha dominato il dibattito, soprattutto sui giornali. La sorprende? Se ne è parlato molto e probabilmente un po’ a scapito di altri temi. Su ciò ha certamente influito l’enfasi di molti media. Ma è vero che su questo tema i punti di vista erano molto diversi. È parso chiaro che le posizioni di coscienza prevalgono sulle logiche di schieramento politico. In ciò ha certamente influito il libro "Il corpo sbriciolato" di Sylviane Agacinski, personalità di sinistra scagliatasi contro la maternità surrogata.

Durante molti dibattiti è emersa una certa paura della mercificazione del corpo dovuta alle tecnoscienze. Qualcosa sta mutando nello sguardo dei francesi verso la scienza?

La provetta funzionerà? Ecco il test «rivelatore»

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n semplice test del sangue sull’aspirante mamma per predire se la tecnica di procreazione assistita avrà successo e decidere se proseguire o no il trattamento. È quello che ha messo a punto un team di ricercatori del Rotunda Hospital di Dublino, che ha presentato il proprio studio al congresso della Società europea per la riproduzione umana e l’embriologia (Eshre), in corso ad Amsterdam. I ricercatori hanno individuato marcatori nel sangue della donna in grado di predire il successo o il fallimento della tecnica, partendo dall’analisi di quali geni vengono attivati o disattivati in alcuni punti prima, durante e dopo la gravidanza. Le analisi dei campioni di sangue hanno mostrato che molti geni che controllano la crescita di nuovi vasi sanguigni, l’infiammazione e la fornitura di energia a tutte le cellule fanno cose diverse nelle donne sotto trattamento di procreazione assistita. Questi processi sarebbero coinvolti nel creare il giusto contesto per l’impianto di un embrione nel grembo materno e il sostegno alla crescita del feto. Tra le cinque donne in gravidanza e tre che non lo erano è stata riscontrata una marcata differenza tra le attività di 200 di questi geni, all’inizio del trattamento di fertilità. Si tratta della "firma genetica" in grado di predire l’esito della tecnica. E ieri ad Amsterdam, nel corso del congresso, l’italiano Luca Gianaroli è stato nominato presidente dell’Eshre.

Da una parte emerge in effetti uno sguardo critico verso certe tecniche. Dall’altra, si prova compassione verso coloro che si trovano in uno stato di sofferenza psicologica, in particolare le coppie sterili. Molti francesi vivono un autentico dilemma. Gli Stati generali hanno emesso un verdetto possibilista sulla ricerca sugli embrioni. Perché il dibattito ha

eluso la questione delle piste di ricerca alternative? Da una parte resta per molti ancora difficile comprendere cosa siano le cellule staminali indotte. L’informazione non è stata sufficiente. Ma soprattutto permane una forte pressione esercitata da certi scienziati e certi giornali. Ogni volta che si tocca il tema delle piste alternative, c’è un fronte sempre pronto a ripetere la vulgata dominante come una sorta di ritornello: ovvero che la ricerca sugli embrioni resta indispensabile. Le conclusioni dei dibattiti serviranno davvero da base per l’imminente revisione legislativa? Una sintesi degli Stati generali deve essere sottoposta ai parlamentari, e si può già dire che sarà estremamente difficile da realizzare. Al contempo, non sappiamo ancora fino a che punto tale sintesi verrà presa in considerazione. Restano dunque delle incertezze sui frutti degli Stati generali e sulla futura revisione della legge.

Il rapporto finale potrebbe restare in fondo a un cassetto? Finora il dibattito è stato aperto. Il mondo cattolico, ad esempio, ha giocato a carte scoperte pubblicando un libro completo di proposte e alimentando il dibattito attraverso un sito internet molto consultato. Ci sono ragioni per un relativo ottimismo. Ma resta anche il rischio dell’azione sotterranea da parte di gruppi di pressione. Secondo alcuni osservatori l’ipotesi di un ribaltamento dell’attuale legge pare scongiurata. Che ne pensa? Sono d’accordo. Si tende a dimenticare che la legge risale al 2004 e che parla di cambiamenti solo eventuali, senza che si possa prefigurare un autentico sconvolgimento su una cadenza quinquennale. Certi gruppi di pressione vorrebbero cambiamenti radicali su punti specifici. Ma l’assetto di fondo difficilmente verrà messo in discussione. Daniele Zappalà

All’estero per procreare? Colpa della disinformazione

frasi sfatte

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Nella pancia di mamma il bimbo «non c’è»

a campagna denigratoria contro la legge 40 sulla procreazione assistita «ha avuto l’effetto di produrre disinformazione tra le coppie interessate: in molte sono convinte che la legge proibisca tutto o che la qualità dei nostri centri sia più bassa rispetto all’estero». È il parere del sottosegretario al Welfare Roccella, che commenta i dati diffusi dall’European Society of Human Reproduction and Embryology (Eshre) e che vede l’Italia aggiudicarsi il primato del "turismo della provetta", con 10 mila coppie l’anno che lasciano il Paese. Il sottosegretario punta il dito su quel 40% di coppie che si reca in altri Paesi per sottoporsi a trattamenti che in Italia sono leciti. «Ciò comprova che la campagna portata avanti contro la legge ha prodotto effetti, a danno dei cittadini».

«Se lei avesse una figlia di 19 anni che restasse incinta e che decidesse di abortire, dopo aver tentato di convincerla a rinunciare senza riuscirci, farebbe ancora obiezione di coscienza?». Guglielmo Pepe, «Repubblica Salute», 25 giugno.

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l direttore di Repubblica-Salute sembra nutrire un sacro rispetto per gli obiettori di coscienza. Rispondendo alla lettera del neonatologo Alberto Carratù, premette: «Nessuno deve e può obbligare gli obiettori a rinunciare ai loro princìpi etici». Salvo poi uscirsene con la frase sfatta qui a fianco, rivolta al povero Carratù, e concludere: «A volte penso che l’obiezione di coscienza sia anche un modo per non avere problemi di coscienza». Pepe, inquisitore sommo delle sporche coscienze altrui, in nome della laicità e della libertà (anche), dà degli infingardi alla gran parte degli

obiettori e non si scompone di fronte alla domanda di Carratù: «Perché nessuno parla mai di "rispetto" per il bambino, anche se da poco concepito, che non ha nessuna garanzia giuridica (...) pur essendo umano a tutti gli effetti?», e replica gelido: «Sarebbe più importante sua figlia o una creatura che non c’è?». Non c’è, il bimbo che cresce nella pancia della mamma «non c’è». Di che cosa vaneggiamo? «Le donne che chiedono di abortire – scrive Pepe – hanno il diritto di farlo». L’aborto è un diritto e gli obiettori sono opportunisti: il resto è aria fritta. (T.G.)

Promemoria per incontri «di successo»

L’incontro di Roma

iberi per vivere» continua a far parlare di sé e molti sono gli appuntamenti e gli eventi messi in cantiere per promuovere l’azione di coscientizzazione popolare sulla fine della vita. Ma come si organizza un incontro di successo? Come si fa a far partecipare 300 persone a una tavola rotonda il cui titolo fa pensare a una serata di filosofia: "La forza del limite"? Scienza & Vita Roma 1 sembra aver trovato la combinazione che porta al massimo risultato, cioè alla soddisfazione sia di chi organizza sia di chi partecipa. Giovedì 25 giugno la chiesa di Santa Francesca Romana all’Ardeatino era gremita da un folto pubblico che ha ascoltato con attenzione gli interventi dei relatori. Ha introdotto la serata Gianluigi De Palo, presidente di Scienza & Vita Roma 1 e delle Acli di Roma, e poi hanno preso la parola il docente Stefano Colucci, Guido Saraceni, ordinario di Filosofia del diritto all’Università di Teramo, e il poeta Davide Rondoni. Ne parliamo con Stefano Colucci, membro dell’associazione locale, che durante la serata ha presentato il Manifesto "Liberi per Vivere": «In primo luogo abbiamo "sfruttato" la felice situazione di questa parrocchia che, grazie anche al dinamismo del parroco, don Fabio Rosini, raduna un bel gruppo di persone. Poi abbiamo messo in atto un efficace sistema di volantinaggio e abbiamo mandato sms di invito a tutta la nostra rete di contatti».

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nsomma, pensa in grande e agisci sul singolo. E, soprattutto, gioca d’anticipo: «Circa una settimana prima dell’appuntamento – continua Colucci – abbiamo organizzato un pre-incontro con i referenti delle parrocchie limitrofe e abbiamo spiegato loro la posta in gioco e gli obiettivi che volevamo conseguire». Convincendo gli "opinion leader" delle realtà locali, è meno arduo raggiungere un buon numero di altre persone. Tanti sono stati i dubbi sul fine vita e molte le domande dal pubblico, sia in diretta, sia via mail il giorno successivo; la domanda più gettonata pare sia stata: «Perché sui media non si parla mai di queste cose in questo modo?». L’incontro di giovedì non rimane evento singolo, ma si inserisce in un progetto più ampio di formazione e di divulgazione. In programma c’è già un appuntamento a settembre. Titolo, manco a dirlo, "Il dono della vita". Emanuela Vinai

sotto osservazione Giovani e sesso, basta il manuale?

di Antonella Mariani

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opo la guida multilingue al sesso sicuro per giovani turisti ("Travelsex", per la cronaca), in autunno arriveranno le lezioni sullo stesso argomento nelle piscine e nella palestre, per «contagiare con un’epidemia di corrette informazioni i milioni di atleti e i tanti giovanissimi sportivi italiani». È una vera e propria offensiva quella lanciata dalla Sigo, la Società di ginecologia e ostetricia, che tra un convegno e l’altro sembra dare per scontato che se oggi c’è da colmare una lacuna culturale tra i teenagers, è senz’altro sul sesso. Niente di male a voler proporre nozioni corrette laddove – dicono – prevale la disinformazione e il silenzio dei genitori. Resta da vedere però di quali informazioni i nostri ragazzi hanno bisogno. Davvero il problema è solo come usare il condom, dove reperire la pillola del giorno dopo e come evitare infezioni? E davvero la panacea di tutti i mali – in termini di gravidanze precoci, di diffusione di malattie

La Società di ginecologia annuncia lezioni «nelle palestre e nelle piscine». Guarneri (Associazione genitori): risposta sbagliata a problemi veri, così si propone un modello di sessualità consumistico sessualmente trasmesse, di aborti tra le giovanissimi – sarebbero la distribuzione dei preservativi negli istituti e i corsi a scuola? «L’educazione sessuale è come quella fisica: una materia da insegnare ai ragazzi per restare in salute. Per un corretto stile di vita non devono bere, fumare e drogarsi, devono fare movimento, mangiare bene e usare sempre pillola e preservativo», hanno spiegato gli esperti martedì durante il convegno della Sigo a Roma. Tutto qui? Il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella ha bocciato l’idea di trattare l’educazione sessuale «come se fosse una semplice materia, mentre è una cosa complessa che fa parte dell’educazione alla responsabilità e all’affettività» e che deve coinvolgere in prima battuta le famiglie. «Sono

risposte sbagliate a problemi veri – commenta dal canto suo Davide Guarneri, presidente dell’Associazione genitori e padre di quattro figli –. Alle domande degli adolescenti vanno date risposte adulte, non consumistiche. Da genitori, dobbiamo ammetterlo, constatiamo la difficoltà di confrontarci con i nostri figli su temi molto delicati quali quello della gestione della propria sessualità. E se una corretta informazione è fondamentale, per noi l’accento va sulla parola "educazione" piuttosto che sull’aggettivo "sessuale". Vuol dire che non ci sta bene che i corsi nelle scuole siano monopolio di infermieri e medici. I percorsi vanno concordati con i genitori ed essere multidisciplinari».

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ragazzi – è il pensiero di Guarneri –, del resto, sanno benissimo cosa sono i preservativi e dove procurarseli. Quello che nessuno dice, invece, è che il modello di sessualità che viene loro proposto dai mass media è quello consumistico, usa e getta, mai «come scelta di vita responsabile». Le fughe in avanti della Sigo dimostrano quale delle due strade i medici hanno deciso di imboccare.

L’appuntamento con le pagine di Avvenire sui temi della bioetica è per giovedì 9 luglio Per inviare notizie, segnalazioni, proposte, lettere e interventi alla redazione di “è vita”: email: [email protected] fax: 02.6780483

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