UN CASO ECUMENICO CHIAMATO UCRAINA Il cardinale Lubomyr Husar racconta la situazione della Chiesa Greco-cattolica di Ucraina ontinua la rassegna dei colloqui avuti da Paulus con le loro Beatitudini, presenti a Roma, in occasione dei lavori dell’Assemblea speciale in vista del Sinodo per il Medio Oriente. Siamo stati ricevuti da Sua Beatitudine, il cardinale Lubomir Husar, persona di grande temperamento e di spiccata sensibilità teologica. La sua voce è sempre stata presente nel dibattito teologico sull’ecumenismo e sull’identità delle Chiese Greco-cattoliche.
C Il complesso della chiesa di Santa Sofia dei Greco-cattolici ucraini in via Boccea (Roma). Nella pagina a fianco: il card. Lubomyr Husar, Arcivescovo maggiore della Chiesa Grecocattolica di Ucraina.
Beatitudine Eminentissima, qual è la situazione dei Greco-cattolici dell’Ucraina dopo la caduta del muro? «Sono passati venti anni da quando siamo tornati a occupare una posizione legale nello Stato... eppure sembra fosse ieri, quando – nel 1946 – il regime comunista dichiarò fuori legge la Chiesa Ucraina Greco-cattolica, integrandola coattamente nella giurisdizione del patriarcato moscovita, e i prelati riluttanti furono arrestati o dispersi in esilio. Tale situazione drammatica si trascinò fino all’epoca di Gorbaciov: sul finire del 1989, quando la Chiesa Ucraina Greco-cattolica poté registrarsi ufficialmente, la sua posizione cominciò a tornare alla normalità. Oggi la Chiesa gioisce della luce ritrovata, anche se non totale – tuttora le Chiese non possono gestire scuole – ma almeno la gerarchia è riconosciuta. In definitiva, siamo in una situazione di ripresa». ...e per quanto riguarda la popolazione? «La maggior parte della popolazione ucraina non ha potuto ascoltare la voce del Buon Pastore per parecchi anni e le ferite nelle loro anime sono
ancora vive. In compenso, molti cercano Dio, ma – ecco il problema – buona parte di quanti sono in ricerca non appartengono ad alcuna Chiesa. A dicembre celebreremo un Sinodo per sviluppare una strategia evangelizzatrice tesa a cercare il modo migliore per portare Cristo a questi smarriti... non per imporci, ma per presentarlo. Ovviamente investigheremo anche sul come si può essere cristiani oggi». Pensa che la celebrazione dell’Anno Sacerdotale porterà risultati concreti? Come sciogliere, ad esempio, la questione dei preti sposati? «Spero che le celebrazioni e le riflessioni sul sacerdozio portino a prendere coscienza dell’atteggiamento eccessivo, a volte, degli episcopati latini nei confronti del clero uxorato. Essi temono che si possa dare un “cattivo” esempio, ma in realtà, in diaspora, dove buona parte dei sacerdoti è costituita da quelli coniugati, non è mai successo alcunché. In verità, per amore di giustizia, questa nostra antica tradizione – il clero uxorato – dovrebbe essere rispettata. E rispetto non è chiedere di cambiare la propria tradizione – per di più millenaria –, e la propria identità, soprattutto poiché diverse volte e insistentemente è stato chiesto agli Orientali di non tradire le proprie tradizioni e identità. In Italia, per esempio, ci sono circa 250mila ucraini e l’85% del nostro clero è coniugato: non
L’Occidente conosce abbastanza l’Oriente cattolico? Aiuterebbe un Anno dedicato alle Chiese orientali cattoliche? «Penso che l’Occidente non conosca l’Oriente abbastanza, se non per nulla. Ed è stato chiesto che si faccia qualcosa per la mutua conoscenza, anche perché, senza conoscersi, come si può fare ecumenismo?».
E il vostro rapporto con gli ortodossi? «L’Ucraina è un Paese molto particolare. Mille anni fa era la “Rus’ di Kyiv [Kiev in ucraino, ndr]”, interamente cristiana grazie al principe san Volodymyr (978-1015), che scelse il cristianesimo e fece battezzare tutta la popolazione. Allora tutti erano cristiani, tutti erano uniti. Oggi abbiamo quattro Chiese orientali maggiori: noi e tre ortodosse, delle quali due autocefale – non riconosciute da alcun patriarcato ortodosso – e una sola legata a Mosca. In tale panorama la Chiesa Ucraina Grecocattolica cerca di fare da ponte, secondo quella che è la nostra natura. I rapporti, allora, si possono definire solo come “rapporti interni” e sono descrivibili come semplici contatti: non li caratterizza una certa continuità, e la loro stessa natura cambia molto di volta in volta. Negli anni recenti c’è stato un peggioramento. Noi, nonostante ciò, ci sforziamo di tendere la mano. A livello ufficiale siamo tutti presenti nel Consiglio Panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose, nel quale rientrano anche membri delle comunità ebraiche e musulmane. Si collabora a livello sociale e con il governo. Nel 2001 Giovanni Paolo II, dopo aver incontrato a Kyiv tutti i diciannove membri del Consiglio, ha detto che l’Ucraina è un vero “caso ecumenico”».
Una parola sul panorama ecumenico attuale. «Al momento non mi sembra dei migliori. Per sbloccare la situazione e i nodi presenti ci vorrebbero prima di tutto maggiore sincerità e un profondo desiderio di unità, senza porre condizioni. La gente deve desiderare l’unità, deve capire che l’unità è necessaria».
Beatitudine, quali sono le sfide e i doveri che avverte come più urgenti? «La santità del popolo unito, la santità della vita, e aiutare a rispondere a tre fondamentali “perché”: perché credere in Dio; perché essere cristiano; perché essere greco-cattolico. Senza ovviamente tralasciare l’aiuto a vivere la moralità cristiana».
abbiamo, quindi, un numero sufficiente di clero celibe per soddisfare le richieste della diaspora. Trovo che le difficoltà a noi poste sull’invio di sacerdoti coniugati in diaspora siano del tutto ingiuste e fonte di ulteriori problemi». Che cosa ha da insegnare il cristianesimo ucraino alla Chiesa universale? «La fedeltà a Dio e a Roma. Nonostante tutto, abbiamo mantenuto la fede. Le nostre chiese sono sempre piene, anche se, d’altro canto, c’è qualche difficoltà a vivere la fede “dal lunedì al sabato”... per questo cerchiamo un modo per aiutare la gente a vivere, respirando Cristo ogni attimo della loro vita». Ad oggi si può dire che Roma presiede nella carità? e la Chiesa Ucraina cosa le chiede? «Sì, è vero, Roma veramente presiede nella carità. Mi sembra che il Papa, con la sua ultima enciclica Caritas in veritate, abbia colto l’urgenza della carità supportata dalle opere e dalla verità. Si deve vivere e sentire che la Chiesa di Roma è prima di tutto una Chiesa locale e che presiede nella carità, e ogni Chiesa, in quanto Chiesa locale sui iuris in collaborazione con Roma, deve vedere tale relazione mantenuta nella piena comunione tra Chiese locali sui iuris, di cui una presiede nella carità, dando la possibilità alle altre di svilupparsi».
Daniela D’Andrea