Tesi-mchiarugi

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE

Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” Corso di Laurea in Scienze Politiche, Indirizzo Politico-Internazionale

COMMERCIO INTERNAZIONALE E TUTELA DELL’AMBIENTE: RICONCILIAZIONE O CLINICAL ISOLATION?

Tesi di Laurea in Organizzazione Internazionale Relatrice: Prof.ssa Micaela Frulli

Candidata: Marina Chiarugi

Anno Accademico 2004-2005

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INDICE

Tavola delle abbreviazioni...................................................................p. 7

Introduzione.......................................................................................p. 9

CAPITOLO I L’evoluzione del diritto internazionale dell’ambiente verso il principio dello sviluppo sostenibile.

1. Le origini: il divieto di inquinamento transfrontaliero.................p. 13 2. La Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano.......................p. 21 2.1. La Dichiarazione di Stoccolma........................................................p. 25 3. Da Stoccolma a Rio...........................................................................p. 29 3.1. La nascita del Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite.......p. 29 3.2. La formazione di norme per la protezione dell’ambiente globale..............................................................................................p. 31 3.3. I lavori della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo........p. 35 3.4. Il principio dello sviluppo sostenibile..............................................p. 37

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4. La Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo..............p. 42 4.1. La Dichiarazione di Rio.....................................................................p. 45 4.2. Agenda 21..........................................................................................p. 52 4.3. La Convenzione sulla diversità biologica, la Convenzione sui cambiamenti climatici ed i rispettivi protocolli attuativi..........................p. 56 5. Il dopo Rio...........................................................................................p. 64 6. Il Summit di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile....................p. 67

CAPITOLO II L’Organizzazione Mondiale del Commercio: principali aspetti istituzionali procedurali e normativi

1. La genesi del sistema commerciale multilaterale.............................p. 77 1.2. La struttura istituzionale del GATT..................................................p. 82 1.3. Verso l’OMC: l’evoluzione del sistema GATT attraverso i “round” di negoziati multilaterali...................................................p. 86 2. Struttura e funzioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.........................................................................................p. 88 2.1. La struttura dell’Accordo OMC.......................................................p. 88 2.2. L’assetto istituzionale dell’OMC......................................................p. 91 2.3. La soluzione delle controversie........................................................p. 96 2.4. (segue) Il giudizio d’appello............................................................p. 101 4

2.5. (segue) La fase esecutiva.................................................................p. 105 3. Il diritto sostanziale applicabile.......................................................p. 109 3.1. La normativa di base del sistema degli scambi di merci.................p. 111 3.2. Le clausole di deroga.......................................................................p. 118 3.3. Gli altri Accordi multilaterali sullo scambio di merci: l’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi e l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie....................................................................................p. 124 3.4. (segue) L’Accordo sull’agricoltura e l’Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative.............................................................p. 132 3.5. Il sistema degli scambi di servizi.....................................................p. 137 3.6. Gli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale.............p. 143

CAPITOLO III Il coordinamento tra commercio e ambiente: l’evoluzione della giurisprudenza

1. La giurisprudenza antecedente alla creazione dell’OMC.............p. 149 1.1. Il primo caso del tonno e dei delfini................................................p. 149 1.2. Il secondo caso del tonno e dei delfini.............................................p. 154 2. I casi risolti successivamente alla creazione dell’OMC................p. 159 2.1. Il caso della benzina riformulata......................................................p. 159

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2.2. Il caso del tono e dei gamberetti......................................................p. 165 2.3. (segue) il ricorso della Malaysia ex art. 2, par. 5, del DSU.............p. 178 2.4. Il caso della carne agli ormoni.........................................................p. 180 2.5. Il caso dell’amianto..........................................................................p. 185

3. Le misure restrittive fondate sui processi e i metodi produttivi...........................................................................................p. 191 4. I rapporti tra l’OMC e il diritto internazionale convenzionale....................................................................................p. 199

Conclusioni.........................................................................................p. 207

Bibliografia..........................................................................................p. 221

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TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

AJIL

American Journal of International Law

BISD

Basic Instruments and Selected Documents

CI

La Comunità internazionale

HJIL

Harvard Journal of International Law

ILM

International Legal Materials

ICJ Reports

International Court of Justice Reports

JIEL

Journal of International Economic Law

JWT

Journal of World Trade

EJIL

European Journal of International Law

RECIEL

Review of European Community and International Environmental Law

RDI

Rivista di diritto internazionale

RGA

Rivista giuridica dell’ambiente

UNRIAA

United Nations Reports of International Arbitral Awards

YJIL

Yale Journal of International Law

YIEL

Yearbook of International Environmental Law

YILC

Yearbook of International Law Commission

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INTRODUZIONE

La liberalizzazione degli scambi e la tutela dell’ambiente hanno costituito il fine di due delle principali linee evolutive tracciate dallo sviluppo del diritto internazionale contemporaneo. Nella realizzazione dei rispettivi obiettivi esse presentano un certo grado di complementarietà e di sinergia reciproca, ma frequentemente possono dare origine a momenti di conflittualità e attrito. Dal primo punto di vista, la teoria economica e la realtà empirica dimostrano che il libero commercio contribuisce ad aumentare la crescita economica, a ridurre le tensioni internazionali e a incoraggiare uno spirito cooperativo, consentendo lo sviluppo di economie più efficienti, dotate di tecnologie più pulite e di una migliore qualità ambientale. Allo stesso tempo deve essere evidenziato anche il rapporto funzionale che fa del ricorso a sanzioni commerciali un efficace strumento per garantire l’effettivo rispetto degli standard ambientali. Per quanto riguarda le ipotesi di contrasto, è altresì dimostrabile come il divieto di porre vincoli alla libera circolazione delle merci e dei servizi riduca sia la possibilità di intervento di un singolo Stato in difesa delle proprie risorse, sia l’efficacia delle numerose iniziative collettive che, in molti casi, sono state tradotte in importanti convenzioni multilaterali. Normalmente le relazioni tra soggetti economici si svolgono in un contesto che tende a considerare l’ambiente come un bene pubblico, senza che i costi che comporta l’utilizzo delle risorse ambientali venga internalizzato nel prezzo finale dei prodotti. Pertanto, l’intervento pubblico si mostra spesso l’unico sistema efficace per ristabilire un’efficiente allocazione delle risorse,

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sia a livello nazionale che per quanto riguarda l’amministrazione e la tutela dei beni globali. L’accresciuta competitività che consegue all’apertura delle frontiere produce frequentemente fenomeni di dumping ecologico e di free-riding, come mostra il costante incremento del tasso delocalizzazione delle industrie verso paesi che presentano standard ambientali meno rigorosi. Lo Stato che intenda procedere ad attuare la propria politica ambientale o che voglia prestarsi a cooperare con altri Stati per tutelare delle risorse condivise, si trova inevitabilmente di fronte alla necessità di proteggere la propria economia nazionale. Ciò può avvenire attraverso l’adozione di standard tecnici e sanitari o tramite il ricorso a strumenti fiscali, ma, in ogni caso, ogni provvedimento racchiuderà in sé una finalità ecologista e una protezionista. Se tra la prima e la seconda vi sia un rapporto di causa o di conseguenza non è una questione di facile determinazione, ma si mostra assolutamente cruciale al fine di poter valutare la legittimità della misura stessa. Combattere il rischio che dietro a pratiche di tutela ambientale possano effettivamente nascondersi tentativi di garantire un vantaggio immeritato all’economia nazionale, costituisce un obiettivo fondamentale, specialmente se si considera che la protezione dell’ambiente si pone solitamente in termini trasversali rispetto alle problematiche che riguardano i rapporti di dipendenza economica tra il Nord e il Sud del mondo. Le argomentazioni addotte dai paesi in via di sviluppo si fondano su osservazioni che difficilmente possono non essere condivise. Se uno Stato non dispone di risorse sufficienti a garantire un adeguato tenore di vita alla propria popolazione, sarà maggiormente propenso a sfruttare l’ambiente e la sua capacità di assorbire l’inquinamento, al pari di ogni altra risorsa di cui abbia la disponibilità. In secondo luogo, la crescita economica, che viene indotta anche dalle possibilità di esportazione, consentirebbe loro di reperire le risorse finanziarie necessarie a rinnovare le proprie economie e a munirsi di tecnologie più pulite. Inoltre, frequentemente le esigenze ambientali dei paesi più ricchi vengono viste come forme di “eco-imperialismo”, le quali

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finiscono per rispondere soltanto alle necessità di quei paesi che hanno beneficiato dello sfruttamento incondizionato dell’ambiente che ha caratterizzato i decenni passati, e che attualmente dispongono delle risorse necessarie a porvi rimedio. Gli sforzi verso la riconciliazione della liberalizzazione degli scambi con la protezione dell’ambiente globale sono stati condotti sulla base dello schema illustrato dalle considerazioni appena effettuate. Nei capitoli che seguono verranno evidenziate le caratteristiche peculiari dei sistemi di diritto che si propongono di perseguire i due diversi obiettivi e i risultati dei tentativi di bilanciamento. In primo luogo, verrà illustrato lo sviluppo del vasto e frammentato panorama degli strumenti giuridici facenti parte del diritto internazionale dell’ambiente, costituito da una moltitudine di accordi bilaterali e multilaterali, nonché da un consistente numero di strumenti di soft law, prevalentemente privi di collegamenti istituzionali tra di loro. Successivamente, vedremo come, al contrario, sotto il profilo del diritto del commercio internazionale, la comunità internazionale abbia saputo dare prova di poter raggiungere livelli elevatissimi di integrazione e di istituzionalizzazione, giungendo alla creazione un’organizzazione internazionale capace di

disciplinare nel loro complesso gli aspetti

riguardati lo scambio di beni e servizi e, soprattutto, dotata di sistemi efficaci per garantire l’osservanza delle sue disposizioni, primo tra tutti un organo per la soluzione delle controversie dotato di poteri particolarmente incisivi. Infine, nell’ultima parte vedremo quali siano stati i risultati dei lavori di tale organo nelle controversie che hanno avuto come oggetto iniziative di protezione ambientale e sanitaria, tentando di delineare un quadro fedele della situazione attuale, di apprezzarne gli sviluppi e di evidenziarne le lacune e le principali sfide per il futuro.

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CAPITOLO I L’EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE VERSO IL PRINCIPIO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE

1. Le origini: il divieto di inquinamento transfrontaliero

Negli ultimi trent’anni del secolo scorso l’esigenza di provvedere alla creazione di un sistema di regole per la tutela ambientale ha caratterizzato l’azione dell’intera comunità internazionale. Di fronte all’evidenza del costante deterioramento dello stato di salute del pianeta, della scarsità delle risorse disponibili a fronte dell’esponenziale incremento demografico e dell’inefficacia dei regimi di tutela nazionali nel porre rimedio ad un fenomeno che per sua natura non conosce confini geografici, un approccio concertato a livello internazionale era divenuto imprescindibile.

La

Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (United Nations Conference on the Human Environment, UNCHE), tenutasi a Stoccolma nel 1972, ha rappresentato il primo tentativo in tal senso. Prima di allora le problematiche inerenti al degrado ambientale non erano percepite come prioritarie né dagli Stati né dall’opinione pubblica internazionale, lo sviluppo economico e industriale non aveva ancora mostrato il suo impatto sull’ambiente e i rapporti tra Stati erano improntati al rispetto della sovranità territoriale. Tale visione dei rapporti internazionali trova un chiaro esempio nella “dottrina Harmon”, dal nome del Procuratore Generale degli Stati Uniti che, nel 1895, in merito ad una controversia sorta

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tra Stati Uniti e Messico circa l’inquinamento delle acque del Rio Grande, definì il danno subito dall’agricoltura messicana una questione meramente politica, escludendo l’ipotesi di ogni forma di responsabilità internazionale degli Stati Uniti1. Progressivamente sia la dottrina che la giurisprudenza internazionale hanno cominciato a condannare un’impostazione che non lasciava spazio al bilanciamento di due interessi parimenti meritevoli di tutela: quello a sfruttare autonomamente il proprio territorio e quello a non vederlo danneggiato, in osservanza del principio sic utere iure tuo ut alterum non laedas. L’esempio più eloquente di tale necessità si ritrova nel disposto della sentenza arbitrale nel caso Fonderia di Trail (1941)2, riconosciuta come pietra miliare nella formazione della norma sul divieto di inquinamento transfrontaliero. Il caso riguardava un’industria canadese che, tramite emissioni di biossido di zolfo, aveva seriamente danneggiato i campi di cereali dello Stato di Washington negli Stati Uniti. Il tribunale arbitrale, chiamato ad applicare una serie di regole di diritto internazionale, di diritto statunitense e applicando il criterio del giusto risultato, creò un precedente di importanza storica stabilendo che: “nessuno stato ha il diritto di usare il proprio territorio, o di consentirne l’utilizzo, in modo da creare danno con emissioni al territorio di un altro stato o verso le proprietà o le persone che ivi si trovano, quando vi siano serie conseguenze stabilite con prova chiara e convincente”3. Ai sensi di tale norma, ormai quasi unanimemente considerata facente parte del diritto internazionale generale4, allo Stato viene 1

Sugli approcci storici alla sovranità territoriale cfr. KISS, SHELTON, International Environmental Law, New York, 2000, p. 272 e ss. 2 Consultabile in UNRIAA, vol. III, p. 1907 e ss. 3 “ Under the principles of international law, (…) no state has the right to use or permit to use of its territory in such a manner as to cause injury by fumes in or to the territory of another or the property of persons therein, when the case is of serious consequences and the injury is established by clear and convincing evidence”. Ibidem, p. 1965. 4 Non tutta la dottrina concorda con questa impostazione. A titolo esemplificativo merita di essere considerata l’opinione dissenziente del Conforti, secondo il quale si può riconoscere un valore consuetudinario soltanto agli obblighi di prevenzione dell’inquinamento dei corsi d’acqua comuni e di informazione in caso di incidenti. Il caso della Fonderia di Trail non risulterebbe rilevante poiché, ai sensi del compromesso arbitrale, Canada e Stati Uniti avrebbero già concordato l’obbligo di risarcimento (cfr. CONFORTI, Diritto Internazionale, Napoli, p. 222 e ss.). A tali argomentazioni si obietta che il compromesso non fa altro che dare conferma del riconoscimento della doverosità del risarcimento

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fatto obbligo di astenersi dal danneggiare il territorio di un altro Stato per mezzo di comportamenti posti in essere dai suoi organi, cioè dal commettere un illecito di natura commissiva. La responsabilità dello Stato può sorgere anche a seguito di un illecito omissivo, che si concretizza nel mancato utilizzo della “dovuta diligenza” nel vigilare sulle attività svolte da privati (come viene chiaramente mostrato dal caso della Fonderia di Trail). L’obbligo di prevenzione rappresenta un principio di sostanziale importanza in materia ambientale, dove il verificarsi di un danno potrebbe eccedere notevolmente qualsiasi possibilità di riparazione. L’illecito, infatti, si verifica nel momento stesso in cui le doverose misure di vigilanza non vengono poste in essere, e il consequenziale obbligo di riparazione consiste anzitutto nell’adozione di misure adeguate. Nel momento in cui, in seguito a tale condotta colposa, dovesse verificarsi un danno sorge l’obbligo sia di minimizzarne le conseguenze che di risarcirle. L’ampliamento

dell’ambito

spaziale

in cui la

norma

trova

applicazione costituisce un efficace esempio di come, nel corso di una ventina d’anni, sia evoluta la sensibilità della comunità internazionale nei confronti delle necessità ambientali. Il disposto della sentenza arbitrale si limitava a tutelare il territorio di uno Stato dagli eventuali pregiudizi che le attività sottoposte alla giurisdizione di un altro Stato avrebbero potuto provocare,

secondo un criterio meramente utilitaristico, limitando ogni

forma di regolamentazione ai rapporti bilaterali. Altre sentenze hanno contribuito all’affermarsi della norma nel diritto consuetudinario, come la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sullo Stretto di Corfù5 del 1949, ai sensi della quale nessuno Stato ha il diritto di usare il proprio territorio in modo tale da violare i diritti di un altro Stato, e la sentenza

richiesto dagli Stati Uniti. Inoltre la sentenza non si limita a determinare l’ammontare della riparazione, ma riguarda anche le attività future, stabilendo l’obbligo di prevenzione dell’inquinamento, fissando massimali per le emissioni e prevedendo meccanismi di monitoraggio che ancora oggi costituiscono un modello di supervisione degli standard ambientali (Cfr. FRANCIONI, Per un governo mondiale dell’ambiente: quali norme? quali istituzioni?, in SCAMUZZI (a cura di), Costituzioni, razionalità, ambiente,Torino, 1994, p. 431 e ss.; SANDS, Principles of International Environmental Law, New York, 1995, p. 191 e ss.) 5 Corfù Channel Case (Gran Bretagna vs. Albania), 1949, ICJ Report, p. 4 e ss.

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arbitrale del 1956 sul Lago Lanoux6 relativa alla lesione dei diritti di uno Stato che può derivare dall’inquinamento delle acque che attraversano il confine. Successivamente la norma è andata evolvendosi verso la protezione dei beni ambientali a prescindere dalla loro collocazione geografica, estendendo il regime di tutela anche ad aree non sottoposte alla sovranità di alcuno Stato, quali l’alto mare, la piattaforma oceanica, l’Antartide e lo spazio extra-atmosferico7 . Nella sua accezione più estensiva è stata poi solennemente affermata nella Dichiarazione di Stoccolma sull’ambiente umano8 del 1972 al principio 21: “In conformità allo Statuto delle Nazioni Unite ed ai principi del diritto internazionale , gli Stati hanno il diritto di sfruttare le loro risorse secondo le loro politiche in materia di ambiente, e hanno il dovere di assicurarsi che le attività esercitate entro i limiti della loro giurisdizione o sotto il loro controllo non causino danni all’ambiente di altri Stati o a regioni che non sono sottoposte ad alcuna giurisdizione nazionale” 9 . Per quanto inclusa in un documento non vincolante, la regola che impone agli Stati un obbligo di prevenzione nei confronti dell’intera comunità internazionale è riconosciuta come parte del diritto internazionale generale. E’ stata infatti recepita da un notevole numero di atti internazionali, da molte dichiarazioni adottate dalle Nazioni Unite10 ed 6

Lake Lanoux Case (Francia vs. Spagna), 19 novembre 1956, UNRIAA, vol. XII, p. 281 e ss. 7 Ad esempio la Convenzione di Ginevra del 1958 sull’alto mare, all’art. 25, par. 1, dispone che tutti gli Stati siano tenuti a prendere le misure necessarie per evitare l’inquinamento del mare dovuto all’immersione di rifiuti radioattivi, tenendo conto delle norme elaborate in sede internazionale. Lo stesso criterio permea il Trattato di Washington del 1959 sull’Antartide, il Trattato del 1967 sui principi che regolano l’attività degli Stati nell’esplorazione e nell’uso dello spazio extra-atmosferico ivi compresi la luna e gli altri corpi celesti, la Convenzione di Ginevra del 1979 sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza, la Convezione di Montego Bay del 1982 sul diritto del mare. 8 Consultabile sul sito dell’UNEP, www.unep.org (pagina base). 9 “States have, in accordance with the Charter of the United Nations and the principles of international law , the sovereign right to exploit their own resources pursuant to their own environmental policies, and the responsibility to ensure that activities within their jurisdiction or control do not cause damage to the environment of other States or of areas beyond the limits of national jurisdiction” 10 Quali la Carta dei diritti e dei doveri economici degli Stati del 1974, la Carta Mondiale della Natura del 1982 e la Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo del 1992.

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infine la Corte Internazionale di Giustizia ha ribadito in termini molto chiari tale obbligo. Dapprima nel parere consultivo dell'8 luglio 1996 sulla Legalità della minaccia o dell'uso di armi nucleari11: “L’esistenza di un obbligo generale per gli Stati di assicurare che le attività all’interno della propria giurisdizione o controllo rispettino l’ambiente di altri Stati o di aree al di fuori del controllo nazionale è adesso parte del diritto internazionale relativo all’ambiente”12. Successivamente, nella sentenza resa il 25 settembre 1997 nella controversia sul progetto delle dighe di GabcicovoNagymaros13, la Corte ha ulteriormente evidenziato il valore della protezione ambientale nell’interesse non soltanto degli Stati, ma dell’umanità intera, sottolineando l’importanza che le misure di vigilanza e prevenzione rivestono in un campo in cui vi è un’alta probabilità di danno irreversibile ed irrisarcibile. Lo Stato è pertanto tenuto ad operare con la dovuta diligenza nel porre in essere le più efficaci misure preventive e nel minimizzare i rischi connessi alle attività suscettibili di causare un danno al di là dei confini nazionali. Secondo tale criterio il divieto di inquinamento transfrontaliero si configurerebbe come un obbligo non assoluto ma relativo, limitato dalla regola della “dovuta diligenza”. Tale obbligo, di diligenza quindi, e non di risultato, si sostanzia in varie procedure, difficili da determinare esaurientemente in astratto, ma tra cui rientrano sicuramente la 11

Advisory Opinion on the Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, 1996, consultabile in ILM, vol. XXXV, 1997, p. 809 e ss. 12 “The existence of the general obligation of States to ensure that activities within their jurisdiction and control respect the environment of other States or of areas beyond national control is now part of the corpus of international law relating to the environment.” Ibidem, par. 29. 13 Consultabile sul sito della Corte Internazionale di Giustizia: www.icj-cij.org (pagina base). La controversia, sorta tra Ungheria e Cecoslovacchia (cui poi era succeduta la Slovacchia), fu portata davanti alla Corte nel 1993 a seguito della formale denuncia del governo ungherese di un trattato bilaterale del 1977 relativo ad un progetto di dighe sul fiume Danubio. L’Ungheria decise dapprima di sospendere i lavori per la parte ungherese del progetto. Successivamente, di fronte alla decisione slovacca di portare avanti comunque i lavori per la parte che le competeva, optò per la denuncia del trattato invocando lo stato di necessità come causa di esclusione della propria responsabilità internazionale. Per quanto la Corte non abbia riconosciuto come legittime le rivendicazioni dell’Ungheria, la sentenza riveste un’importanza sostanziale nell’evoluzione del diritto internazionale dell’ambiente, avendo consentito alla Corte di ribadire l’importanza della tutela ambientale e dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale contemporaneo, nonché di dare per la prima volta un pieno e completo riconoscimento allo “stato di necessità ambientale” come causa di esclusione dell’illiceità. Per un’attenta analisi del caso cfr. MONTINI, La necessità ambientale nel diritto internazionale e comunitario, Padova, 2001, p. 198 e ss.

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valutazione di impatto ambientale, la messa in opera di efficaci meccanismi di monitoraggio, delle migliori tecniche possibili in materia di prevenzione dei rischi14 e soprattutto l’obbligo cooperare in buona fede, ai sensi del quale lo Stato è tenuto a informare gli altri Stati di eventuali attività che possano pregiudicarne l’ambiente, a notificare

le relative conseguenze e a

consultarsi con essi e a partecipare a negoziati “con lo scopo di arrivare ad un accordo e non soltanto di esperire una procedura formale (…) in modo che i negoziati abbiano un senso, il che non avviene quando l’una o l’altra [parte] insistono sulla propria posizione, senza contemplare alcuna modificazione della stessa.”15. Anche all’obbligo di cooperazione in materia ambientale va attribuito valore consuetudinario. Enunciato dalla sentenza sulla Fonderia di Trail16,

è stato da recepito dal principio 24 della

Dichiarazione di Stoccolma17 e costituisce il logico corollario dell’obbligo di prevenzione. Oltre all’eventualità in cui la responsabilità internazionale derivi da un comportamento doloso o colposo dello Stato, merita di essere preso in considerazione anche il caso in cui il danno transfrontaliero si verifichi nonostante lo Stato di origine abbia operato con la massima diligenza possibile. Si tratta di capire se il divieto di inquinamento transfrontaliero imponga agli Stati anche un obbligo di risultato, se la loro responsabilità appartenga al campo delle norme primarie o se invece essa derivi soltanto da norme secondarie, cioè dalla violazione dell’obbligo primario di prevenzione. 14

A titolo esemplificativo del grado di diligenza richiesto si può richiamare l’art. 8, par. 4, della Convenzione sulla disciplina delle attività minerarie antartiche (Wellington, 1988) che esclude la responsabilità dello Stato solo nel caso in cui si verifichino un disastro naturale , un conflitto armato o un atto di terrorismo “against which no reasonable precautionary measure could have been effective” . Il testo della Convenzione è consultabile sul sito del Australasian Legal Information Institute: www.austlii.edu.au (pagina base). 15 Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sulla Piattaforma continentale del mare del Nord (North Sea Continental Shelf) del 30 febbraio 1969, I.C.J. Reports, 1969, p. 48. 16 “The Tribunal expresses the strong hope that any investigations which the Governments may undertake in the future, in connection with the matters dealt with in this decision, shall be conducted jointly”. Cfr. op. cit., p. 1971. 17 “International matters concerning the protection and improvement of the environment should be handled in a co-operative spirit by all countries, big or small, on an equal footing. Co-operation through multilateral or bilateral arrangements or other appropriate means is essential to effectively control, prevent, reduce and eliminate adverse environmental effects resulting from activities conducted in all spheres, in such a way that due account is taken of the sovereignty and interests of all States”

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Nel 1978 la Commissione di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite ha deciso di inserire nella propria agenda un progetto di codificazione sulla “Responsabilità internazionale per conseguenze dannose derivanti da attività non proibite dal diritto internazionale”18, parallelamente al progetto, cui lavorava dal 1949, sulla codificazione della responsabilità internazionale degli Stati per atti illeciti. La responsabilità per atti leciti può essere vista come un’applicazione del principio “chi inquina paga”, dal momento che non essendoci alcun illecito non può esistere l’obbligo di cessazione e di non reiterazione dello stesso e pertanto l’attività inquinante, una volta che ogni ragionevole misura precauzionale sia stata adottata e sia stato riparato il danno comunque verificatosi, può tranquillamente proseguire. La Convenzione del 1972 sulla responsabilità internazionale per danni causati da oggetti spaziali19 costituisce uno dei pochi esempi di trattati che riconoscono chiaramente una forma di responsabilità oggettiva, basata non sulla colpa ma sulla semplice assunzione di un rischio20. Al contrario, nella prassi internazionale relativa all’ambiente non si riscontra alcuna propensione degli Stati a riconoscere l’esistenza di un obbligo generale di riparazione basato sulla semplice esistenza di un nesso causale tra un’attività

pericolosa

e

il

danno

eventualmente

derivante,

e

la

giurisprudenza in materia ha quasi sempre riguardato attività lecite in cui lo stato aveva colpevolmente omesso di adempiere agli obblighi di prevenzione e cooperazione21. Inoltre, al fine di incontrare l’approvazione degli Stati, sarebbe opportuno evitare di estendere il regime di responsabilità da fatto lecito a tutte le attività suscettibili di causare un danno transfrontaliero, limitandosi a quelle ultrapericolose (“activities (…) which involve a risk of causing significant transboundary harm” secondo il progetto della Commissione) cioè quelle che hanno un’alta probabilità di 18

Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: http://www.un.org (pagina base). Consultabile sul sito del Office for Outer Space Affairs delle Nazioni Unite: www.oosa.unvienna.org (pagina base). 20 L’art. II prevede la responsabilità totale dello Stato di lancio per danni alla superficie terrestre e ad aeromobili in volo, mentre, ai sensi dell’art. III, nel caso in cui vengano danneggiati altri oggetti spaziali o persone a bordo di essi, in un luogo diverso dalla superficie terrestre, lo Stato sarà chiamato a risponderne solo in caso di condotta colposa 21 Cfr. PISILLO MAZZESCHI, Le Nazioni Unite e la codificazione della responsabilità per danno ambientale, in RGA, 1996, p. 381 e ss.; KISS, SHELTON, op. cit., p. 605 e ss. 19

19

causare danni significativi o una bassa probabilità di avere effetti disastrosi. Del resto, si potrebbe argomentare che per tali attività il grado di diligenza richiesto dovrebbe essere così elevato da costituire quasi un obbligo di risultato, o quantomeno da giustificare la presunzione di colpevolezza per lo Stato danneggiante, invertendo quindi l’onere della prova. Ad ogni modo, durante la sua quarantanovesima sessione, nel 1997, la Commissione ha istituito un gruppo di lavoro per definire le linee guida che avrebbe dovuto seguire nella redazione del progetto. Nell’opinione del gruppo di lavoro si mostrava necessario distinguere tra due questioni che emergevano dai lavori della Commissione, da un lato la responsabilità da fatto lecito e dall’altro l’obbligo di prevenzione22. La Commissione ha deciso di focalizzare l’attenzione su quest’ultima, completando un progetto di articoli sulla “Prevenzione del danno transfrontaliero da attività pericolose” durante la sua cinquantatreesima sessione, nel 2001. Dalla sessione successiva l’argomento è stato ripreso in considerazione e continua ad essere presente nell’agenda della Commissione, ma va tenuto presente che una parte dei membri della Commissione ha espresso seri dubbi circa la possibilità di stabilire una normativa che possa essere largamente accettata23. Del resto gli Stati hanno mostrato una notevole riluttanza a riconoscere la propria responsabilità, optando solitamente per il risarcimento del danno a titolo grazioso, come nel caso Fuyuku Maru, relativo ai danni causati ai pescherecci giapponesi dagli esperimenti nucleari statunitensi, secondo un regime di “soft responsibility” circoscritto al campo del diritto internazionale privato24. In conclusione merita di essere considerata anche la controversa questione dell’esportazione del rischio, inerente al decentramento produttivo 22

Commissione di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite (CDI), Commento al progetto di articoli International Liability for Injurious Consequences Arising out of Acts not Prohibited by International Law, p. 368 e ss., consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). 23 Cfr. ROSENSTOCK, The ILC and State Responsibility, in AJIL, 2002, p. 802 e ss. 24 Sulla prassi internazionale relativa al risarcimento del danno transfrontaliero, cfr. CASSESE, International Law, Oxford, 2001, p. 389 e ss.; KISS, SHELTON, op. cit., p. 618 e ss.; LEME MACHADO, Nuove strade dopo Rio e Stoccolma, in RGA, 2002, p. 173 e ss.; PISILLO MAZZESCHI, op. cit., p. 373 e ss.; SCOVAZZI, La responsabilità internazionale in caso di inquinamento transfrontaliero, in RGA, 1986, p. 272 e ss.

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e all’utilizzazione di tecnologie rischiose in paesi con un più basso livello di tutela ambientale. Essa non viene presa in esame dai lavori della Commissione di diritto internazionale, i quali contemplano soltanto l’ipotesi di danno transfrontaliero verificatosi tramite un mezzo fisico, e non tramite il processo decisionale di un impresa multinazionale. Invece, nell’ipotesi di mancato utilizzo della dovuta diligenza nell’attività preventiva, il principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma estende la responsabilità dello Stato non soltanto alle attività che si svolgono nel suo territorio o sotto la sua giurisdizione, ma anche a quelle esercitate “sotto il controllo” dello Stato stesso. Ciò implica che se uno Stato è in grado di esercitare un effettivo controllo sull’operato della società madre di un gruppo multinazionale, esso sia anche tenuto a garantire un’efficace opera di vigilanza e prevenzione, almeno in relazione alle attività altamente pericolose, quali le attività del settore nucleare, della produzione chimica e della manipolazione genetica. Tale dovere sarebbe anche conforme all’esigenza di tutelare i diritti fondamentali della persona umana, garantendo un’applicazione uniforme e non discriminatoria del diritto all’integrità fisica. In relazione a determinate tipologie di rischi, l’ipotesi di un doppio standard di prevenzione sembra del tutto incompatibile con il principio dell’universalità dei diritti umani25.

2. La Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano Fin dalla nascita delle Nazioni Unite si manifestò la necessità di un’azione concertata a livello internazionale per stabilire un approccio razionale alla gestione delle risorse naturali. Il Consiglio Economico e Sociale, con la risoluzione 32 (IV) del 1947, mosse il primo passo in tale direzione, indicendo per il 1949 la Conferenza delle Nazioni Unite sulla conservazione e l’utilizzazione delle risorse (United Nations Conference on 25

Sull’esportazione del rischio cfr. FRANCIONI, op. cit., pp. 447 e ss.; SCOVAZZI, L’incidente di Seveso e il velo delle società transnazionali, in RGA, 1988, p. 277 e ss.; SCOVAZZI, Considerazioni sulle norme internazionali in materia di ambiente, in RDI, 1989, p. 601 e ss.; ZILIOLI, Il caso di Bophal e il controllo sulle attività pericolose svolte da società multinazionali, in RGA, 1987, p. 199 e ss.

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the Conservation and Utilization of Resources, UNCCUR). La conferenza rappresentò

un

inizio

abbastanza

modesto:

essa

rimase

limitata

prevalentemente allo scambio di informazioni, idee ed esperienze e priva della possibilità di adottare raccomandazioni. Tuttavia la risoluzione con cui venne istituita determinò la competenza delle Nazioni Unite sulle questioni ambientali, sulla base della quale verranno successivamente indette le conferenze di Stoccolma, Rio e Johannesburg26. Negli anni successivi l’attenzione della comunità internazionale e l’attività dell’Assemblea Generale si spostarono sulla conservazione della flora e della fauna e in particolare sugli effetti, disastrosi per l’ambiente degli esperimenti nucleari e della produzione petrolifera. Ciò condusse, da un lato, alla Conferenza sulla conservazione delle risorse marine viventi (Conference on the Conservation of the Living Resources of the Sea) del 1954 e alla conseguente Convenzione di Ginevra sulla pesca e sulla conservazione delle risorse viventi dell’alto mare del 195827, nonché alla Convenzione di Londra del 1954 sull’inquinamento del mare causato dal petrolio28, dall’altro al Trattato di Mosca sulla messa al bando dei test sulle armi nucleari nell’atmosfera, sott’acqua e nello spazio extra-atmosferico del 196329, meglio noto come Nuclear Test Ban Treaty, per quanto la sua adozione fosse dovuta a preoccupazioni di natura più politica che ambientalista. Nel 1962 l’Assemblea approvò la risoluzione 183130 sul legame intercorrente tra sviluppo economico e protezione ambientale. All’inizio degli anni settanta si stava quindi formando un sostanzioso corpus

di regole che limitavano la libertà degli Stati di disporre

arbitrariamente delle proprie risorse31. Tuttavia la totale mancanza di 26

Per un excursus sulla storia della Conferenza cfr. SANDS, Principles of International Environmental Law, New York, 1995, p. 30 e ss. 27 Consultabile sul sito della Internet Guide to International Fisheries Law: www.oceanlaw.net (pagina base). 28 Consultabile sul sito della Admiralty and Marittime Law Guide: www.admiraltylawguide.com (pagina base). 29 Consultabile sul sito del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti: www.state.gov, (pagina base). 30 Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). 31 Merita di essere ricordata la notevole influenza che in quegli anni ebbe, soprattutto tra le nazioni più sviluppate, la pubblicazione del rapporto del Club di Roma “The Limits to Growth”, nel 1972. Il rapporto prospettava scenari apocalittici dovuti al futuro esaurimento delle risorse non rinnovabili su cui di fatto è fondata l’economia internazionale. In meno di

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coordinamento, di istituzioni competenti, di meccanismi di controllo, sviliva il proposito di sviluppare una strategia ambientale coerente a livello internazionale. Questo è il contesto in cui venne indetta la Conferenza di Stoccolma. Nel luglio del 1968 il Consiglio Economico e Sociale adottò, su proposta svedese, la risoluzione 134632, nella quale veniva messo in luce il continuo e accelerato deterioramento ambientale e si raccomandava all’ Assemblea Generale di promuovere una conferenza internazionale, i cui principali obiettivi sarebbero dovuti essere la focalizzazione dell’attenzione dei governi e della pubblica opinione sulle problematiche ambientali e la promozione di un sistema di coordinamento nel quadro delle Nazioni Unite. L’idea di elaborare una dichiarazione universale sulla protezione dell’ambiente emerse durante i lavori della Conferenza sulla biosfera (Conference of Experts on the Scientific Basis for Rational Use and Conservation of the Resources of the Biosphere), promossa dall’UNESCO nel settembre dello stesso anno. Il 3 dicembre la Conferenza fu convocata dall’Assemblea Generale durante la sua XXIII sessione, con la risoluzione 239833. Il vertice si tenne nella capitale svedese tra il 5 e il 16 giugno del 1972 e vide la partecipazione di 114 capi di stato, varie istituzioni internazionali e numerosi attori non governativi. Durante la sessione successiva, con la risoluzione 258134, l’Assemblea Generale istituì un comitato preparatorio incaricato di consigliare il Segretario Generale della Conferenza, Maurice Strong, nel predisporre i contenuti del progetto di dichiarazione da presentare nel corso della Conferenza. Durante le quattro sessioni del comitato l’arduo processo di negoziazione tra le opposte esigenze degli Stati partecipanti fu praticamente concluso, contribuendo in maniera decisiva al successo del vertice, soprattutto riguardo alle controverse questioni relative agli effetti giuridici degli atti della Conferenza e alla delicata relazione tra ambiente e sviluppo, alla luce delle emergenti necessità dei paesi in via di sviluppo. un secolo ciò avrebbe condotto al totale collasso del sistema economico occidentale. 32 Consultabile sul sito dell’UNEP: www.unep.org (pagina base). 33 Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). 34 Ibidem

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La Conferenza si concluse con l’adozione di tre strumenti non vincolanti: una risoluzione contenente proposte in materia istituzionale e finanziaria35, la Dichiarazione sull’ambiente umano36 comprendente 26 principi e un Piano d’azione composto da 109 raccomandazioni37. Il primo di questi atti proponeva all’Assemblea Generale l’istituzione di un Governing Council for Environmental Programmes mirato a dirigere e coordinare i programmi ambientali, un Environment Fund per il loro finanziamento stimato in 100 milioni di dollari per i primi cinque anni, un Environment Secretariat con funzioni di coordinamento e consulenza più che specificamente esecutive38 e un Inter-agency Environmental Coordinating Board per assicurare la cooperazione e il coordinamento tra l’operato dei vari organismi con competenze ambientali nel sistema delle Nazioni Unite. Il Piano d’Azione si sostanziava in un programma mondiale di valutazione ambientale (Earthwatch), da attuarsi mediante un sistema globale di monitoraggio (Global Environmental Monitoring System, GEMS) e un sistema di scambio di informazioni (International Referral System, INFOTERRA), in modo da definire i criteri guida per le principali scelte in materia; in attività di gestione ambientale da promuovere a livello internazionale al fine di pianificare uno sfruttamento equilibrato delle risorse naturali; in misure di sostegno ad attività quali l’educazione e la formazione professionale, l’informazione e la cooperazione tecnica e finanziaria. Sul documento furono avanzate alcune riserve, in particolare risulta degna di nota quella opposta dagli Stati Uniti alla raccomandazione 109, con la quale si rifiutavano di accettare il principio di addizionalità secondo il quale avrebbero dovuto incrementare il loro budget di aiuti verso l’estero per coprire i costi aggiuntivi imposti dalle misure di protezione ambientale da integrare nei progetti di sviluppo39. 35

Consultabile sul sito dell’UNEP: www.unep.org (pagina base). Ibidem 37 Ibidem 38 Cfr. FERONE, La Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente, in RDI, 1972, p. 708 e ss. 39 Cfr. SANDS, op. cit., p. 35 e ss. 36

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2.1. La Dichiarazione di Stoccolma La Dichiarazione sull’ambiente umano costituisce un tentativo di compromesso tra le esigenze dei paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, sottolineando a più riprese l’inscindibile legame tra protezione ambientale e sviluppo economico. Al principio 1 viene riconosciuto il merito di aver stabilito per la prima volta un relazione tra protezione ambientale e diritti umani. Agli esseri umani viene attribuito un diritto all’ambiente che si sostanzia nel loro “diritto fondamentale alla libertà, all’uguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che (…) [consenta loro] di vivere nella dignità e nel benessere”, nonché “il dovere solenne di proteggere e migliorare l’ambiente a favore delle generazioni presenti e future”40. I principi dal 2 al 7 mettono in rilievo come anche l’acqua, l’aria, la terra, la flora, la fauna e la diversità biologica debbano essere considerate risorse naturali, al pari dei minerali e delle fonti di approvvigionamento energetico, e che pertanto debbano essere preservate e gestite secondo un’attenta pianificazione finalizzata al soddisfacimento delle necessità presenti e future. Nel progetto del Comitato Preparatorio la formulazione originale del principio 2, suggerita dal Segretario Generale e fermamente appoggiata dalla delegazione colombiana, era molto più significativa. Con essa si disponeva che “gli Stati dovranno economizzare le loro risorse naturali e dovranno tenere in amministrazione fiduciaria (shall hold in trust) per le generazioni presenti e future l’aria, l’acqua, la terra, le piante e gli animali da cui dipende ogni forma di vita”.41 Varie delegazioni di altri paesi in via di sviluppo obiettarono che un’impostazione del genere avrebbe costituito un’eccessiva restrizione del concetto di sovranità nazionale ed 40

“Man has the fundamental right to freedom, equality and adequate conditions of life, in an environment of a quality that permits a life of dignity and well-being, and he bears a solemn responsibility to protect and improve the environment for present and future generations. In this respect, policies promoting or perpetuating apartheid, racial segregation, discrimination, colonial and other forms of oppression and foreign domination stand condemned and must be eliminated”. 41 Citato in SOHN, op. cit., p. 456.

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avrebbe inevitabilmente pregiudicato le loro prospettive di crescita economica. Tale contrapposizione di interessi ha rappresentato il leitmotiv di ogni vertice internazionale su questioni

ambientali. Particolarmente

interessante risulta essere la formulazione del principio 7, ai sensi del quale gli Stati “dovranno prendere tutte le misure possibili per impedire l’inquinamento dei mari”. Esso costituisce una specificazione del principio 6, relativo all’immissione di sostanze tossiche nell’ambiente in generale, le quali “devono essere arrestate”, ma è chiaramente formulato in modo da imporre un obbligo più specifico direttamente in capo agli Stati. Per quanto tale obbligo sia limitato dal termine “possibili”, attribuendo agli Stati tecnologicamente avanzati una responsabilità aggravata, essa dimostra che durante la conferenza non vi era nessun effettivo impedimento a formulare i principi in termini maggiormente vincolanti42. I principi dall’8 al 20 elencano i presupposti e gli strumenti per la realizzazione di un’efficace protezione ambientale a livello globale. In primis si manifesta l’esigenza di garantire ai paesi in via di sviluppo adeguate prospettive per il miglioramento del tenore di vita dei propri cittadini, con particolare riguardo allo sviluppo economico e sociale, al costante trasferimento di aiuti tecnologici e finanziari e ad una corretta gestione dei rapporti commerciali, da attuarsi sia tramite la continua negoziazione di strumenti per ovviare alle conseguenze dannose per il commercio derivanti da misure di tutela ambientale, sia tramite l’adozione di strumenti mirati alla corretta remunerazione e alla stabilizzazione dei prezzi delle materie prime. In secondo luogo si mostra necessario assicurare la pianificazione razionale delle strategie di sviluppo a livello multilaterale, organizzando congiuntamente e integrando le politiche demografiche, l’urbanizzazione, la creazioni di istituzioni nazionali competenti, ponendo l’accento sull’importanza della ricerca scientifica, della formazione e dello scambio di informazioni. In proposito il principio 20 prevede che “la ricerca 42

Ibidem, p. 462 e ss. Le ragioni di tale impostazione risalgono alla lentezza dei negoziati sulla Convenzione per la prevenzione dell’inquinamento marino dovuto allo scarico di rifiuti tossici. Fallite le speranze di chi intendeva includere la Convenzione tra gli atti aperti alla firma durante la conferenza, la formulazione del principio, proposta della delegazione indiana, venne accettata senza obiezioni. La convenzione venne infine firmata a Londra, Città del Messico, Mosca e Washington il 29 dicembre del 1972.

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e lo sviluppo scientifico nel contesto dei problemi ambientali (…) devono (must) essere promossi in ogni paese, specialmente nei paesi in via di sviluppo. A tale scopo la libera circolazione di informazioni scientifiche aggiornate e il trasferimento di esperienze devono (must) essere promosse ed assistite (…); e tecnologie ambientali dovrebbero (should) essere messe a disposizione dei paesi in via di sviluppo (…) senza tuttavia che costituiscano un onere economico per i paesi in via di sviluppo”43. Questa formulazione rappresenta un compromesso tra le esigenze di tutela della proprietà intellettuale dei paesi industrializzati e gli sforzi delle delegazioni dei paesi in via di sviluppo mirati a rafforzare un principio di sostanziale importanza. Quest’ultime hanno ottenuto l’eliminazione della formula “to the fullest extent praticable” relativa al trasferimento di informazioni, che avrebbe consentito una maggiore protezione dei brevetti e dei diritti d’autore. Inoltre è stato inserito un esplicito riferimento al trasferimento di tecnologie e non soltanto quindi di informazioni e conoscenza scientifica. D’altra parte tale trasferimento si avvale della formula “should be made available”, che indebolisce notevolmente la portata della disposizione44. I restanti principi risultano particolarmente interessanti sul piano dello sviluppo del diritto internazionale ambientale. Il già citato principio 21 contempera il diritto sovrano allo sfruttamento delle proprie risorse secondo le proprie politiche ambientali45 con il dovere di non danneggiare aree non sottoposte alla propria sovranità. Ovviamente non si può ritenere che all’interno del proprio territorio uno Stato abbia il diritto illimitato di 43

“Scientific research and development in the context of environmental problems, both national and multinational, must be promoted in all countries, especially the developing countries. In this connection, the free flow of up-to-date scientific information and transfer of experience must be supported and assisted, to facilitate the solution of environmental problems; environmental technologies should be made available to developing countries on terms which would encourage their wide dissemination without constituting an economic burden on the developing countries.” 44 Cfr. SOHN, op. cit., p. 483 e ss. 45 Gia riconosciuto da molte risoluzioni dell’Assemblea Generale miranti a preservare le risorse dei paesi in via di sviluppo dallo sfruttamento arbitrario dei gruppi multinazionali, pur tentando di trovare un bilanciamento con la necessità di garantire alcuni diritti a quest’ultime soprattutto al fine di stabilizzare il flusso degli investimenti verso i paesi in via di sviluppo. Tra tutte riveste particolare rilevanza la risoluzione 1803 del 1962, denominata “Sovranità permanente sulle risorse naturali”, la quale prevede che: “The rights of people and nations to permanent sovereignty over their natural wealth and resources must be exercised in the interest of their national development of the well-being of the people of the State concerned”. Cfr SANDS, op. cit., p. 187 e ss.

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disporre delle proprie risorse. Un’interpretazione a tal punto estensiva sarebbe del tutto incoerente con lo spirito della Dichiarazione, la quale non manca di enfatizzare i più punti le responsabilità verso le generazioni future. A tale proposito sarebbe stato proficuo adattare il testo del principio alla proposta della Santa Sede che faceva riferimento al requisito di equità delle politiche ambientali determinanti lo sfruttamento delle risorse (“a just environmental policy”)46. Il principio 21 è strettamente collegato al successivo, relativo al dovere degli Stati di sviluppare regole comuni ulteriori sulla responsabilità e il risarcimento del danno, come al già menzionato principio 24 e al 25, riguardanti il più generale obbligo di cooperazione nella protezione ambientale, sia tra Stati che nel quadro delle organizzazioni internazionali. Ai sensi del principio 23, nel corso del processo di negoziazione dei successivi trattati in materia si dovranno tenere in particolare considerazione le esigenze e la peculiare scala di valori dei paesi in via di sviluppo, evitando di pretendere da essi il rispetto di standard che possano comportare un costo sociale ingiustificato. Infine il principio 26 auspica la rapida adozione di un accordo mirante ad eliminare completamente le armi nucleari e tutti i mezzi di distruzione di massa. Il giudizio sui lavori e sui risultati della Conferenza deve essere formulato tenendo presente che il motivo ispiratore del vertice non era cercare dei rimedi concreti ed efficaci alla crisi ambientale che andava profilandosi, ma delineare un nuovo ordine di problemi e impostare i criteri più opportuni per la loro soluzione. In tal senso si rivela particolarmente assennata e realistica l’idea di mettere in rilievo l’importanza della cooperazione internazionale, in modo che possa costituire la causa come la conseguenza di nuove norme internazionali relative ai problemi ambientali e che possa rappresentare il fondamento del mutato concetto di sovranità nazionale, non più incentrata sull’esclusività del potere di sfruttamento delle proprie risorse.

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Cfr. SOHN, op. cit., p. 492 e ss.

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3. Da Stoccolma a Rio La Conferenza di Stoccolma ha avuto un ruolo fondamentale nel catalizzare l’attenzione degli Stati e dei popoli del pianeta sul pressante problema del deterioramento ambientale e sulla necessità di trovare rimedi su scala globale. L’inquinamento cominciò ad essere percepito come una possibile lesione ad interessi fondamentali non più dei singoli Stati ma dell’umanità nella sua interezza. Tale nuova concezione delle problematiche ambientali ebbe un’influenza determinante nell’evoluzione del diritto ambientale fino alla Conferenza di Rio del 1992, indirizzandolo verso la costituzione di strumenti ed organismi funzionali alle rinnovate necessità di tutela globale.

3.1. La nascita del Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite Il resoconto della Conferenza di Stoccolma venne esaminato durante la XXVII sessione dell’Assemblea Generale, durate la quale furono adottate undici risoluzioni. Di particolare interesse risultano essere le risoluzioni dalla 2997 alla 3004, riguardanti la cooperazione internazionale in materia ambientale ed in primo luogo la creazione del Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (United Nations Environment Programme, UNEP). In particolare, con la risoluzione 299747, denominata “meccanismi istituzionali e finanziari per la cooperazione internazionale ambientale”, si procedette a determinare l’apparato istituzionale dell’ UNEP. Al Consiglio Direttivo (Governing Council), composto dai rappresentanti di 58 Stati selezionati geograficamente ed eletti per un periodo di tre anni dall’Assemblea Generale, furono attribuite funzioni di indirizzo per la promozione e il coordinamento della cooperazione internazionale ambientale nel quadro delle Nazioni Unite, raccomandando a tal fine le politiche più idonee; al Segretariato, e al Direttore Esecutivo che lo presiede, competono funzioni di 47

Consultabile sul del sito dell’UNEP: www.unep.org (pagina base).

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consulenza e coordinamento della cooperazione ambientale, sia nel sistema delle Nazioni Unite che in relazione all’operato di altre organizzazioni regionali, nonché l’esecuzione dei programmi di protezione ambientale decisi dal Consiglio; le azioni intraprese dall’UNEP vengono finanziate da un apposito fondo, l’ Environment Fund, la cui entità dipende dai contributi volontari degli Stati, i quali negli ultimi anni hanno progressivamente ridotto l’ammontare dei contribuiti o ne hanno vincolato il versamento all’attivazione di specifici progetti; inoltre al Direttore Esecutivo spetta la presidenza di un ufficio costituito appositamente per il coordinamento delle politiche ambientali determinate a livello internazionale, l’ Environment Co-ordination Board. Le attività dell’UNEP riguardano in prevalenza le tre categorie previste dal Piano d’Azione di Stoccolma: la valutazione ambientale, la gestione equilibrata dello sfruttamento delle risorse e le misure di sostegno ad attività formative e cooperative. L’opera di valutazione ambientale è demandata all’Earthwatch, il quale, benché privo di un effettivo quadro istituzionale, coordina l’attività valutativa dei centri di monitoraggio ambientale ad ogni livello, incluso l’operato del GEMS. Nel 1977, continuando a seguire lo schema delineato a Stoccolma, viene creata un apposita rete per lo scambio di informazioni a livello internazionale, INFOTERRA. Tra le singole iniziative promosse dall’UNEP hanno avuto particolare rilevanza i 3 programmi di Montevideo per lo sviluppo e il riesame periodico del diritto internazionale dell’ambiente. Essi, a partire dal 1982, hanno illustrato le linee guida da seguire e le priorità da tenere in considerazione e hanno proficuamente stimolato l’attività negoziale degli Stati attraverso la predisposizione di bozze di trattati preparati dalla Environmental Law Unit, riesaminati da dei gruppi di lavoro di esperti istituiti ad hoc e successivamente discussi e adottati dal Consiglio Direttivo o approvati da un’apposita conferenza, come nel caso della Convenzione di Vienna del 1985 per la protezione della fascia di ozono. Il ruolo dell’UNEP nello sviluppo del diritto internazionale è stato senz’altro fondamentale e

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dalla sua creazione ad oggi più di quaranta trattati ambientali multilaterali sono stati negoziati sotto la sua guida48.

3.2. La formazione di norme per la protezione dell’ambiente globale La Conferenza di Stoccolma ha avuto una certa influenza anche sui negoziati della Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (United Nations Conference on the Law of the Sea, UNCLOS), iniziata proprio nel 1972 e conclusasi dieci anni dopo con l’adozione della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare49. Sono molte le disposizioni della Convenzione che mirano a preservare l’ambiente marino da eventuali pregiudizi derivanti dalle varie attività poste in essere dagli Stati in tale contesto, ma in particolare risulta degna di nota la norma contenuta nell’art. 19250. Ai sensi di tale articolo agli Stati viene imposto l’obbligo generale di proteggere e preservare l’ambiente marino. Pertanto lo Stato dovrà astenersi dal pregiudicare anche le aree che rientrano a pieno titolo sotto la sua 48

Sulla nascita e sulle iniziative promosse dall’UNEP cfr. KISS, SHELTON, op. cit., p. 86 e ss.; SANDS, op. cit., p. 38 e ss. 49 Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). La Convenzione rappresenta lo strumento più importante del settore del diritto ambientale relativo alla tutela delle acque, ma per quanto riguarda la protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento già all’inizio degli anni settanta si è assistito allo sviluppo di un articolato regime di tutela globale, soprattutto in seguito ai numerosi incidenti occorsi alle petroliere e al conseguente versamento di ingenti quantità di idrocarburi in mare. In particolare si vedano la Convenzione del 1969 sull’intervento in alto mare in caso di incidenti causati da idrocarburi, la Convenzione di Londra del 1972 sulla protezione dell’ambiente marino da immissione di rifiuti e altre sostanze inquinanti e la Convenzione del 1973 sulla prevenzione dell’inquinamento proveniente da navi, la c.d. Convenzione Marpol, modificata da un protocollo del 1978. I testi delle convenzioni so no consultabili sul sito della International Marittime Organization (IMO): www.imo.org pagina base. Per quanto riguarda il settore, tradizionalmente disciplinato da accordi bilaterali, relativo alla protezione dei corsi d’acqua internazionali si devono attendere gli anni novanta perché possa essere osservato lo sviluppo di un regime convenzionale di portata globale. Sul modello della Convenzione di Helsinki del 1992 sulla protezione e l’uso dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, elaborata sotto gli auspici della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa, nel 1997 è stata aperta alla firma la Convenzione sugli usi dei corsi d’acqua internazionali per scopi diversi dalla navigazione, negoziata nell’ambito delle Nazioni Unite. I testi delle convenzioni sono consultabili rispettivamente sul sito della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa, www.unece.org pagina base, e sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org pagina base. 50 Art. 192, general obligation: “States have the obligation to protect and preserve the marine environment”.

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giurisdizione, senza che l’eventuale nocumento che esso possa arrecare agli interessi di un altro Stato abbia la minima rilevanza51. Poche settimane prima della chiusura dell’UNCLOS, il 28 ottobre 1982, l’Assemblea Generale adottò la Carta Mondiale della Natura, annessa alla risoluzione 37/752. Tre sono le principali innovazioni apportate dal documento. Come le precedenti dichiarazioni essa era ovviamente priva di efficacia vincolante, ma differiva dalle stesse nella forma e nella sostanza. Si trattava infatti di uno strumento apertamente ecologista, che conferiva alla natura il diritto ad una protezione di tipo assoluto. Alla concezione antropocentrica della tutela ambientale, che subordinava ogni misura protettiva all’esistenza di uno specifico interesse, benché dell’umanità nella sua interezza, si sostituisce il riconoscimento del dovere di preservare l’integrità della natura in quanto tale, come un fine a sé stante53. Alla Carta va riconosciuto anche il merito di aver integrato le necessità di tutela ambientale con quelle dello sviluppo economico, prendendo le mosse dall’impostazione meramente coordinativa di Stoccolma e iniziando a delineare quel concetto di sviluppo sostenibile che entro pochi anni diverrà il cardine del diritto dell’ambiente. Inoltre viene introdotto per la prima volta in campo internazionale il principio di precauzione. L’art. 11 dispone che le attività che possano avere un impatto sulla natura dovranno essere controllate con le migliori tecnologie disponibili e, in particolare, alla lettera b) si prevede che: “Le attività che comportano un rischio significativo per la natura dovranno essere precedute da un esame esaustivo (…) e nel 51

La Convenzione di Montego Bay contiene altri obblighi molto specifici e posti direttamente in capo agli Stati relativi alla protezione dell’ambiente marino. In particolare nella sezione XII, intitolata “Protection and Preservation of the Marine Environment”, l’art. 194 par. 1 prevede che gli Stati adotteranno misure preventive sulla base degli strumenti più idonei in loro possesso e secondo le loro capacità, adoperandosi per armonizzare le loro politiche di tutela ambientale. Il par. 3 dispone che gli Stati dovranno dotarsi degli strumenti adeguati per prevenire ogni possibile forma di inquinamento all’ambiente marino proveniente dalle navi sottoposte alla loro giurisdizione o dalle attività poste in essere sul loro territorio. Per un excursus sulle disposizioni della Convenzione relative all’ambiente cfr. KISS, SHELTON, op. cit., p. 445 e ss.; MONTINI, L’ambiente nel diritto internazionale, in MEZZETTI (a cura di) Manuale di diritto ambientale, Padova, 2001, p. 21 e ss. 52 Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). 53 Tale impostazione viene sintetizzata dall’art. 1: “Nature shall be respected and its essential processes shall not be impaired.” Analogamente nel preambolo si riconosce esplicitamente che “every form of life is unique, warranting respect regardless to its worth to man”.

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momento in cui i potenziali effetti avversi non siano pienamente compresi tali attività non dovrebbero essere intraprese”54. Il riconoscimento del principio precauzionale è, in campo ambientale, di sostanziale importanza, considerando, da un lato, la possibile irreversibilità del danno e, dall’altro, la difficoltà di raggiungere la completa certezza scientifica circa le possibili conseguenze di una determinata attività. Il documento è stato redatto utilizzando un linguaggio molto generale, riducendo quindi la probabilità che i principi ivi enunciati possano trasformarsi in diritto consuetudinario e limitandone la portata alla dimensione etica, senza che possano determinare un effettivo obbligo di condotta55. Negli anni immediatamente successivi sono stati adottati due strumenti56 che meritano di essere menzionati, la Convenzione di Vienna per la protezione della fascia di ozono57 del 22 marzo 1985 e il relativo Protocollo sulle sostanze che impoveriscono l’ozonosfera58 adottato a Montreal il 16 settembre 1987. La riduzione dello strato di ozono, che protegge ogni forma di vita dagli effetti letali delle radiazioni ultraviolette, rappresenta un pericolo gravissimo, immediato e a cui a nessuno è dato sottrarsi. Pertanto non stupisce che in materia sia stata adottata una normativa fra le più avanzate ed efficaci59. La Convenzione è una 54

“Activities which are likely to pose a significant risk to nature shall be preceded by an exhaustive examination; their proponents shall demonstrate that expected benefits outweigh potential damage to nature, and where potential adverse effects are not fully understood, the activities should not proceed” 55 Sulla Carta Mondiale della Natura cfr. SANDS, op. cit., pp. 42 e ss.; KISS, SHELTON, op. cit., p. 64 e ss., SCOVAZZI, op. cit., in RDI, 1989, p. 605 e ss.; SCOVAZZI, op. cit., in RGA, 1986, p. 277 e ss. 56 La Convenzione di Vienna e il relativo protocollo si inseriscono nel settore relativo ala protezione dell’aria da varie forme di inquinamento. Oltre alla Convenzione di Vienna sull’inquinamento da clorofluorocarburi e alla Convenzione di Rio sull’inquinamento da gas serra (vedi par. 4.3.), merita di essere menzionata anche la Convenzione di Ginevra del 1979 sull’inquinamento transfrontaliero a lunga distanza, dovuta principalmente alle preoccupazioni inerenti al fenomeno delle piogge acide. Anche la Convenzione di Ginevra si presenta come una convenzione quadro e ha costituito il forum negoziale di cinque protocolli attuativi, relativi alla progressiva riduzione delle emissioni di zolfo e di ossidi di azoto. Il testo della Convenzione è consultabile sul sito dell’UNEP: www.unep.org (pagina base). 57 Ibidem. 58 Ibidem. 59 Cfr. TAMBURELLI, Gli atti internazionali per la protezione dell’ozono stratosferico e la loro esecuzione in Italia, in RDI, 1994, p. 675 e ss.; MONTINI, L’ambiente nel diritto internazionale, op. cit. supra, p. 17 e ss.; RUTGEERTS, Trade and Environment. Reconciling the Montreal Protocol and the GATT, in JWT, 1999, p. 61 e ss.

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“convenzione quadro” che, richiamando nel preambolo il principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma, obbliga le parti ad adottare misure adeguate per eliminare gli effetti nocivi delle attività umane sull’ozonosfera, rinviando ad una successiva definizione obblighi più specifici. Tali obblighi sono stati stabiliti dal Protocollo di Montreal prima ancora che la Convenzione entrasse in vigore60. Il Protocollo, attraverso la previsione di concreti criteri per la produzione, il consumo e il commercio 61 delle sostanze contenenti clorofluorocarburi, pone in essere per la prima volta una regolamentazione internazionale di portata globale per una specifica attività industriale, richiedendo ai paesi firmatari la stabilizzazione delle emissioni di clorofluorocarburi ai livelli del 1986 e la loro riduzione del 50% entro il 1998. Inoltre, nonostante non venga espressamente menzionato, viene introdotto anche il principio delle responsabilità comuni ma differenziate, in ragione del fatto che, pur avendo un comune dovere di cooperazione, i paesi in via di sviluppo hanno contribuito all’impoverimento dello strato di ozono in misura decisamente minore e nella fattispecie viene consentito loro di posporre di dieci anni l’applicazione delle misure previste. Il Protocollo è stato inoltre emendato ed aggiornato (a Londra nel 1990, a Copenhagen nel 1992 e nuovamente a Montreal nel 1997 ed infine a Pechino nel 1999), con la previsione ulteriore di istituire un fondo multilaterale, incaricato di gestire l'assistenza finanziaria e tecnica agli Stati in via di sviluppo. 3.3. I lavori della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo Durante

gli

anni

ottanta

le

preoccupazioni

della

comunità

internazionale circa la velocità a cui l’ambiente andava deteriorandosi crebbero notevolmente. Una serie di incidenti catastrofici spinsero la comunità internazionale verso una maggiore sensibilità ambientale. Ricordiamo il caso di Seveso nel 60

La Convenzione è entrata in vigore il 22 settembre 1988, con il deposito del ventesimo strumento di ratifica, il protocollo il 1° gennaio 1989. 61 Il protocollo, oltre a regolamentare il commercio di prodotti contenenti clorofluorocarburi o realizzati secondo processi produttivi che ne necessitano l’impiego, mira a disincentivare anche l’esportazione di tecnologie che prevedono l’utilizzo di sostanze pericolose per la fascia di ozono dai paesi industrializzati verso i paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo di incentivare lo sviluppo e soprattutto la diffusione di tecnologie alternative che facciano uso di altre sostanze.

34

1976, il naufragio della petroliera Amoco Cadiz nel 1978, la strage di Bophal nel 1984 e l’esplosione del reattore nucleare di Cernobyl nel 1986. La desertificazione, le piogge acide, il depauperamento del patrimonio forestale tropicale divennero motivo di preoccupazione crescente per l’opinione pubblica mondiale. Lo scoppio della crisi del debito internazionale dei paesi in via di sviluppo, cominciata nel 1982, rese ancora più pressante il problema. La necessità di massimizzare le entrate di valuta pregiata per fare fronte al servizio del debito si tradusse in politiche di sfruttamento selvaggio delle proprie risorse naturali, sia su iniziativa delle élites locali che conformemente alle indicazioni contenute nei piani di aggiustamento

strutturare

formulati

dalle

istituzioni

finanziarie

internazionali. Inoltre si diffuse la consapevolezza che la desertificazione, la scarsità d’acqua potabile, la deforestazione tendono a determinare un’alta conflittualità sociale, costituendo una minaccia anche per la sicurezza di Stati estranei a tali fenomeni. In sostanza si cominciò a comprendere non soltanto che lo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo era un problema che riguardava molto da vicino anche gli Stati industrializzati, ma anche che la necessità di colmare il divario tra i due sistemi economici non poteva in nessun caso prescindere dalla compatibilità con la tutela dell’ambiente. E’ in questo clima che l’Assemblea Generale, con la risoluzione 38/16162 del 19 dicembre 1983, accolse con soddisfazione la proposta del Consiglio Direttivo dell’UNEP di istituire una Commissione Speciale per collaborare con un comitato preparatorio intergovernativo all’elaborazione di una “Prospettiva ambientale per l’anno 2000 ed oltre”. L’Assemblea suggerì vari termini di riferimento su cui la Commissione avrebbe dovuto focalizzare il proprio lavoro, tra cui, principalmente, “proporre una strategia ambientale di lungo periodo per conseguire uno sviluppo sostenibile per l’anno 2000 ed oltre”63. Sulla base di tale risoluzione fu istituita la Commissione mondiale su ambiente e sviluppo presieduta dalla norvegese Gro Harlem Brundtland. Dopo essere stato discusso dal Consiglio Direttivo dell’UNEP il Rapporto della Commissione, intitolato “Our Common 62

Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). Par. 8 a) della risoluzione.

63

35

Future”, venne sottoposto all’esame dell’Assemblea Generale durante la sua quarantaduesima sessione64, nel dicembre del 1987, perché potesse costituire la base per la preparazione e l’adozione, da parte dell’Assemblea, della Prospettiva Ambientale65. Il Rapporto Brundtland, indirizzato ai governi del pianeta, alle organizzazioni internazionali e ai semplici cittadini, ha rappresentato un’effettiva svolta nel modo di intendere le problematiche internazionali: “Fino a tempi recenti, il pianeta era un vasto mondo in cui le attività umane ed i loro effetti erano chiaramente compartimentati nell’ambito di nazioni e di settori (energia agricoltura, commercio), oltre che in vaste categorie di problemi (ambientali, economici, sociali). Tali compartimenti hanno cominciato a dissolversi, e ciò vale in particolare per le grandi “crisi” globali (…). Non ci sono crisi separate: non c’è una crisi ambientale, una crisi dello sviluppo, una crisi energetica. Esse sono un tutt’uno.”66 In base al riconoscimento di tale interdipendenza la Commissione decise, durante la sua riunione inaugurale tenutasi

Ginevra nell’ottobre del 1984, di

focalizzare i propri lavori su otto punti chiave: l’incremento demografico, la sicurezza

alimentare,

l’approvvigionamento

energetico, lo sviluppo

industriale, l’urbanizzazione, i rapporti economici internazionali, i sistemi di supporto

decisionale

alla

gestione

ambientale,

la

cooperazione

internazionale. Nel tentativo di adempiere alle richieste formulate dall’Assemblea Generale nei termini di riferimento contenuti nella risoluzione 38/161, la Commissione suggerì alcune misure essenziali, sintetizzate nella “Dichiarazione di Tokyo”, un comunicato adottato durante la sua riunione finale del 27 febbraio 1987. Un’assoluta priorità venne attribuita

alla

necessità

di

riformare

l’attuale

ordine

economico

internazionale. La crescita economica dei paesi in via di sviluppo deve essere rianimata attraverso la soluzione della crisi debitoria, un cospicuo aumento, preferibilmente a livello multilaterale, dei flussi finanziari per lo 64

Cfr. la risoluzione 42/187, consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). 65 Annessa alla risoluzione 42/186, Ibidem. 66 Rapporto della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo, Il futuro di tutti noi, 1988, p. 27.

36

sviluppo, la stabilizzazione dei proventi delle esportazioni67, il trasferimento di tecnologie e la facilitazione dell’accesso ai mercati. Il diritto ambientale nazionale ed internazionale deve essere sviluppato e costantemente aggiornato alle più recenti esigenze, l’apparato istituzionale deve essere rafforzato. La partecipazione della cittadinanza, delle organizzazioni non governative, della comunità scientifica deve essere incentivata, la base delle risorse deve essere conservata e possibilmente incrementata. Lo strumento più efficace per raggiungere tali obiettivi è il rafforzamento della cooperazione internazionale, secondo le parole dello stesso Presidente Brundtland: “il nostro compito più urgente oggi consiste forse

nel

persuadere

le

nazioni

della

necessità

di

tornare

al

multilateralismo.”68 Il fine ultimo a cui mira tale processo di riforma strutturale è “ la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far sì che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro”69.

3.4. Il principio dello sviluppo sostenibile Grazie al contributo della Commissione Brundtland veniva ad affermarsi

il

principio

più

importante

del

diritto

internazionale

dell’ambiente, veicolo per l’integrazione della tutela ambientale in ogni altra politica, il principio dello sviluppo sostenibile70. Di tale principio non esiste una definizione giuridica. Già al termine sviluppo può essere attribuita una molteplicità di significati. L’aggettivo sostenibile complica il concetto, implicando l’esistenza di un limite imposto alle possibilità di sviluppo. 67

In modo particolare per quanto riguarda le materie prime, che costituiscono in media più del 70% delle esportazioni dei paesi in via di sviluppo. 68 Rapporto della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo, op. cit., p. 17. 69 Ibidem, p. 32. 70 Sul principio dello sviluppo sostenibile cfr. PEPE, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto interno, in RGA, 2002, pp. 215 e ss.; MONTINI, L’ambiente nel diritto internazionale, op. cit., p. 8 e ss.; MONTINI, La necessità ambientale, op. cit., p. 32 e ss.; KISS, SHELTON, op. cit., p. 66 e ss.; SANDS, op. cit., p. 182 e ss.; MARCHISIO, Il principio dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale, in MARCHISIO, RASPADORI, MANEGGIA, Rio cinque anni dopo, Milano, 1998, p. 57 e ss.

37

Quale sia la natura di tale limite dipende da fattori storici e sociali, che mutano con l’evolversi delle possibilità di azione degli esseri umani. Gli elementi che compongono il concetto sono essenzialmente quattro, strettamente correlati, spesso usati in combinazione e frequentemente intercambiabili. Il primo di questi, e probabilmente il più importante, è il concetto di equità intergenerazionale. Esso può essere accostato all’istituto di diritto privato del trust, di matrice anglosassone, inteso come affidamento fiduciario di un bene ad un soggetto (l’attuale generazione) che ne può disporre pur essendo responsabile nei confronti di un beneficiario (le generazioni future). Si individua quindi nelle generazioni future un soggetto di diritto avente titolo alla conservazione dei beni ambientali e all’uso ragionevole delle risorse71. Tale linea di tendenza può essere fatta risalire al Caso della pesca delle foche nel mare di Behring del 1983, quando gli Stati Uniti avanzarono la pretesa di prevenire la pesca indiscriminata delle foche anche in acque al di fuori della loro giurisdizione. Il Tribunale Arbitrale negò tale diritto agli Stati Uniti, ma contestualmente elaborò un regolamento di pesca negoziato tra le parti per prevenire l’estinzione delle foche 72. Il principio di equità intergenerazionale è esplicitamente o implicitamente incluso nella maggioranza dei recenti trattati ambientali. Il secondo elemento riguarda l’uso sostenibile delle risorse naturali. Questo aspetto pone l’accento principalmente sull’adozione di standard che garantiscano un tasso di sfruttamento razionale delle risorse, piuttosto che sulla loro preservazione per le generazioni future. Nel tentare di porre un 71

A tale proposito riveste un particolare interesse la sentenza, del 30 giugno 1993, della Corte Suprema delle Filippine nel caso Minor Oposa vs. Secretary of Department of the Environment and Natural Resources (consultabile su ILM, 1994, p. 173 e ss.)che riconosce ad un gruppo di minori il diritto di rivendicare, anche a nome delle generazioni future, il diritto ad un uso razionale delle risorse. La Corte si spinge a riconoscere al diritto “to a balanced and healthful ecology” un valore addirittura superiore a quello delle norme costituzionali, in quanto relativo all’autopreservazione e alla riproduzione dell’umanità, indiscutibilmente appartenenti al diritto di natura. La sentenza in questione però si basa soltanto sul diritto interno delle Filippine, dove le generazioni future sono espressamente menzionate, ad esempio all’art. 16 della costituzione o nel decreto presidenziale 1151 del 1977, il quale attribuisce espressamente ad ogni generazione il dovere di custodire le risorse in nome e per conto di quelle successive. Cfr. SCOVAZZI, Le azioni delle generazioni future, in RGA, 1995, p. 165 e ss. 72 La sentenza è citata da MONTINI, L’ambiente nel diritto internazionale, op. cit., p. 8 e ss.; SANDS, op. cit., p. 199 e ss.

38

limite all’utilizzo indiscriminato delle risorse si è fatto ricorso ad una molteplicità di aggettivi: wise, appropriate, judicious, sound, proper, rational, sustainable. Ciò conduce a considerare tale principio una norma meramente programmatica e a non poter determinare in maniera univoca il contenuto degli standard da perseguire, operazione che dovrà essere necessariamente demandata all’interpretazione che ne verrà data in sede giudiziale o dall’attività cooperativa degli Stati. Il

terzo

elemento

è

rappresentato

dal

concetto

di

equità

intragenerazionale, in relazione al quale si manifesta l’urgenza di tenere nella più alta considerazione le esigenze degli altri Stati e degli altri popoli del pianeta. Questo concetto è strettamente correlato sia al principio delle responsabilità comuni ma differenziate, che distingue i doveri degli Stati alla luce delle loro diverse possibilità materiali nonché del loro diverso contributo al deterioramento ambientale, sia al principio del patrimonio comune dell’umanità73. Infine il quarto elemento costitutivo del concetto di sviluppo sostenibile è rappresentato dalla necessaria integrazione tra le politiche dello sviluppo e quelle di protezione ambientale. Da un lato i piani per lo sviluppo devono tenere in considerazione le conseguenze che possono avere sull’ambiente, dall’altro le misure di tutela ambientale non devono prescindere dal valutare attentamente gli effetti che producono sia a livello economico che a livello sociale. Si tratta del principio dal contenuto maggiormente concreto, la sua applicazione richiede la raccolta e la diffusione di informazioni, la valutazione di impatto ambientale, nonché legittima l’inclusione di clausole di condizionalità ambientali negli strumenti di assistenza allo sviluppo (le c.d. green conditionality). Naturale complemento del concetto di uso sostenibile delle risorse ne amplia il 73

Va segnalato che tale principio ha trovato applicazione in relazione alla tutela ambientale degli spazi comuni, mentre l’accettazione della ripartizione equitativa delle relative risorse ha incontrato notevoli difficoltà. Si pensi all’opposizione dei paesi industrializzati alla parte XI della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del che disciplina lo sfruttamento minerario della piattaforma oceanica e, analogamente, alle difficoltà incontrate dalla Convenzione di Wellington sulla regolamentazione delle attività minerarie antartiche a fronte della rapidità con cui è stata adottato il Protocollo di Madrid sulla protezione ambientale dell’Antartide. Cfr. FRANCIONI, op. cit. supra, p. 443 e ss.

39

contenuto ed enfatizza la necessità di azioni globali, non limitate ad uno specifico settore. All’affermazione del principio ha contribuito significativamente la Corte Internazionale di Giustizia, la quale, con la già citata sentenza resa il 25 novembre 1997 nel caso Gabcikovo-Nagymaros, al paragrafo 14074 non soltanto afferma, come abbiamo rilevato in precedenza, che “norme attuali” impongono l’obbligo di vigilanza e prevenzione, ma si spinge oltre, facendo riferimento a “nuove norme e nuovi standard” enunciati in molti strumenti giuridici adottati negli ultimi due decenni. Tali norme sono la logica conseguenza dell’accresciuta capacità delle attività umane di interferire con la natura e si sono sviluppate grazie alla consapevolezza dei rischi che tali attività comportano per le generazioni presenti e future. La necessità di minimizzare tali rischi conciliando lo sviluppo economico con la tutela ambientale “è appropriatamente espressa dal concetto di sviluppo sostenibile”. Risulta quindi evidente quale sia la natura delle nuove norme in questione, ma quel che è più importante è che la Corte riconosce loro il valore di diritto positivo75, non si tratta quindi di meri principi etici, ma di norme concretamente operanti, che devono essere applicate sia alle attività che verranno intraprese nel futuro, sia a quelle che sono già state poste in essere. Probabilmente la Corte avrebbe dovuto utilizzare un linguaggio meno generico, qualificando lo sviluppo sostenibile come un principio giuridico76 e non come semplice concetto, tuttavia ne trae una regola applicabile al caso 74

“(…) The Court is mindful that, in the field of environmental protection, vigilance and prevention are on account of the often irreversible character of damage to the environment and of the limitations inherent in the very mechanism of reparation of this type of damage. Throughout the ages, mankind has, for economic and other reasons, constantly interfered with nature. In the past, this was often done without consideration of the effects upon the environment. Owing to new scientific insights and to a growing awareness of the risks for mankind — for present and future generations — of pursuit of such interventions at an unconsidered and unabated pace, new norms and standards have been developed, set forth in a great number of instruments during the last two decades. Such new norms have to be taken into consideration, and such new standards given proper weight, not only when States contemplate new activities but also when continuing with activities begun in the past. This need to reconcile economic development with protection of the environment is aptly expressed in the concept of sustainable development (…).” (corsivo aggiunto). 75 Cfr. MARCHISIO, Il principio dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale, in op. cit., p. 70: “E tali nuove norme sono per la Corte diritto positivo, effettivamente vigente nella comunità internazionale, e non imperativi morali o semplici indicazioni politiche e, pertanto, devono applicarsi anche al caso che la Corte deve decidere”

40

in specie e afferma esplicitamente l’esistenza di nuove norme ispirate a tale concetto. Pertanto appare eccessivamente restrittiva la definizione di “semplice linea di tendenza che va affermandosi in seno alla comunità internazionale” avanzata da parte della dottrina77. La Commissione Brundtland, in conclusione dei suoi lavori, fece appello all’Assemblea Generale affinché essa predisponesse una Conferenza internazionale per la promozione dei principi emersi dal Rapporto. Essa considerava l’adeguamento della comunità internazionale alle proprie raccomandazioni un presupposto essenziale per un effettivo cambiamento e a tal fine auspicava la trasformazione del Rapporto in un Programma di azione per lo sviluppo sostenibile78. L’Assemblea Generale mostrò una notevole disponibilità nei confronti delle richieste della Commissione e già durante la quarantatreesima sessione, nel dicembre del 1988, con la risoluzione 43/19679, dette mandato al Segretario Generale, assistito dal Direttore Esecutivo dell’UNEP, di procedere all’organizzazione della Conferenza quanto a obiettivi, contenuti, titolo, scopo, modalità di preparazione, tempo e luogo più idonei, e di trasmettere le proprie considerazioni, attraverso il Consiglio Economico e Sociale, all’Assemblea stessa durante la sessione successiva, nonché al Consiglio Direttivo 76

In tal senso, infatti, è orientata l’opinione dissenziente del giudice Weeramantry, il quale riconosce il principio dello sviluppo sostenibile come parte integrante del diritto internazionale moderno, criterio per la formulazione di nuove norme e per la risoluzione di controversie ambientali. Di conseguenza andrebbe ricompreso tra le fonti del diritto cui si riferisce l‘art 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia in qualità di principio generale del diritto riconosciuto dalle nazioni civili. Inoltre il giudice si spinge fino a definire il principio come un’antica idea appartenente al patrimonio culturale dell’umanità, avendone influenzato la condotta sino dai tempi della civiltà sumerica. L’opinione del giudice può essere consultata sul del sito della Corte: www.icj-cij.org (pagina base). 77 Cfr. CONFORTI, op cit. supra, p. 225. In generale, sul problema della qualificazione giuridica dei principi fondamentali del diritto internazionale dell’ambiente cfr. MONTINI, La necessità ambientale, op. cit. supra, p. 45 e ss.: “(…) se è ormai facile riscontrare sia in dottrina che nell’opinio iuris della maggior parte degli Stati della comunità internazionale, una certa unanimità di vedute nell’ammettere l’innegabile progressiva affermazione di tali principi nel diritto internazionale ambientale contemporaneo in qualità di principi ispiratori di norme precettive, vi è una certa reticenza nel riconoscere agli stessi principi anche il possibile ruolo di vere e proprie norme precettive, in grado di imporre direttamente determinati obblighi agli Stati, ponendosi come autonome fonti di diritto internazionale. Il problema della corretta qualificazione giuridica (…) rimane pertanto un problema aperto, di difficile risoluzione nel presente stadio di sviluppo del diritto internazionale. Come minimo, tuttavia, a tali principi deve essere riconosciuto il ruolo di principi generali di diritto internazionale.” 78 Cfr. Rapporto della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo, op. cit., p. 413 e ss. 79 Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base).

41

dell’UNEP. La Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (United Nations Conference on Environment and Development, UNCED) venne indetta il 22 dicembre 1989 con l’adozione della risoluzione 44/228 80 .

4. La Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo La risoluzione 228 della quarantaquattresima sessione dell’Assemblea Generale costituisce l’ennesimo tentativo di trovare un compromesso tra le esigenze dei paesi industrializzati, giustamente preoccupati del costante depauperamento del patrimonio ambientale, e quelle dei paesi in via di sviluppo, poco propensi a porre un limite alle proprie possibilità di sviluppo al fine di trovare un rimedio a problemi ambientali che solo in minima parte hanno contribuito a generare. In tal senso la risoluzione 44/228 è stata definita una “creatura degli interessi del Sud”81. In essa vengono messe in risalto a più riprese ed in maniera particolarmente esplicita le responsabilità dei paesi del Nord. Nel preambolo si manifesta la più profonda preoccupazione circa al fatto che “la principale causa del continuo deterioramento dell’ambiente mondiale consiste nel modello insostenibile di produzione e consumo che esiste nei paesi sviluppati”, si afferma che “la responsabilità di limitare, ridurre ed eliminare i danni (…) grava sugli Stati che ne sono la causa”, si sottolinea che “la povertà e il degrado ambientale sono fenomeni strettamente connessi”, che nel tentare di porre un freno al degrado ambientale “i paesi in via di sviluppo devono avere un accesso facile a tecnologie, procedimenti ed attrezzature ecologicamente sani” e che ad essi dovrà essere garantito il trasferimento di “risorse finanziarie nuove ed addizionali (…), al fine di garantire la piena partecipazione all’azione mondiale per la protezione dell’ambiente”. Inoltre ai paragrafi 9 e 11 si 80

Ibidem. A. NAJAM, An Environmental Negotiations Strategy for the South, in International Environmental Affairs, 1995, p. 256, citato in RAJAMANI, From Stockholm to Johannesburg: the Anatomy of Dissonance in the International Environmental Dialogue, in RECIEL, 2003, p. 24. 81

42

ribadisce ulteriormente la responsabilità del Nord e si sottolinea l’urgenza di affrontare efficacemente il problema del debito estero degli Stati del Sud. Gli obiettivi della Conferenza, delineati nel par. 15, non mancano di rimarcare la necessità del trasferimento di tecnologie pulite e di risorse finanziarie

nuove

ed

addizionali,

enfatizzando

l’importanza

della

cooperazione internazionale, dello sviluppo progressivo del diritto internazionale e del ruolo del sistema delle Nazioni Unite. La Conferenza delle Nazioni Unite su l’ambiente e lo sviluppo si tenne a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992. I suoi lavori videro la partecipazione di 183 Stati, compresa la C.E.E., dotata di una status particolare, degli osservatori della Palestina e di vari movimenti di liberazione nazionale, organi e programmi delle Nazioni Unite, istituti specializzati,

altre

organizzazioni

intergovernative

e

numerose

organizzazioni non governative. Con la seconda parte della risoluzione 44/228 venne costituito il Comitato Preparatorio della Conferenza, articolato in tre gruppi di lavoro. Il Comitato tenne quattro sessioni negoziali tra il marzo del 1990 e l’aprile del 1992, durante le quali giunse ad un accordo sul testo della Dichiarazione su ambiente e sviluppo, ma non su la Dichiarazione sulle foreste ed Agenda 21, a tal fine nel corso della Conferenza furono istituiti otto gruppi di contatto sulle tematiche più rilevanti82, che continuarono a negoziare gli atti ancora oggetto di disaccordo. Contestualmente furono aperte alla firma la Convenzione sulla diversità biologica e la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici83. La Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo, la Dichiarazione autorevole di principi giuridicamente non vincolate per un consenso globale sulla gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile di ogni tipo di foresta e Agenda 2184, tutti strumenti di soft law, furono 82

Le tematiche sono le seguenti: risorse e meccanismi finanziari, trasferimento di tecnologie, atmosfera, principi sulle foreste, biodiversità e biotecnologie, risorse idriche, strumenti e meccanismi giuridici internazionali, intese istituzionali internazionali. 83 I testi delle della Convenzione sulla diversità biologica e della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici sono consultabili sui siti ufficiali delle due convenzioni, rispettivamente www.biodiv.org (pagina base), e www.unfccc.int (pagina base). 84 I testi della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo, della Dichiarazione autorevole di principi giuridicamente non vincolate per un consenso globale sulla gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile di ogni tipo di foresta e di Agenda 21 sono

43

adottati per consensus durante la sessione finale del 14 giugno e successivamente approvate dall’Assemblea Generale con la risoluzione 47/19085. La Conferenza di Rio rappresenta il punto di svolta fondamentale che ha segnato il passaggio tra due diverse concezioni delle relazioni internazionali in materia ambientale e la Dichiarazione su ambiente e sviluppo ne costituisce il principale risultato. Durante la quarta sessione del Comitato Preparatorio, all’interno del terzo gruppo di lavoro incaricato di trattare le questioni giuridiche ed istituzionali, si parlò esplicitamente di un “paradigm

shift”,

cioè

del

mutamento

qualitativo

dello

schema

interpretativo dei rapporti internazionali in materia. In sostanza, rispetto ai lavori di Stoccolma, cambia l’oggetto dei tentativi di codificazione e di sviluppo del diritto, dal diritto internazionale dell’ambiente al diritto internazionale dello sviluppo sostenibile, nell’ipotesi di riuscire a delineare un “nuovo ordine ecologico internazionale”86. Il par. 15 d)87 della risoluzione 44/228 aveva assegnato all’UNCED il compito di promuovere lo sviluppo progressivo del diritto internazionale dell’ambiente

tenendo

in

considerazione,

oltre

alla

Dichiarazione

sull’ambiente umano di Stoccolma, le necessità e le particolari preoccupazioni dei paesi in via di sviluppo. In tale prospettiva era auspicata l’adozione di una dichiarazione dei diritti e dei doveri generali degli Stati in campo ambientale, la Carta della Terra. Vittima della reticenza degli Stati del Sud all’adozione di principi legali in materia ambientale, la Carta è stata sostituita dalla Dichiarazione di Rio, solenne dichiarazione sull’integrazione tra ambiente e sviluppo, che non riveste carattere giuridicamente vincolante.

consultabili sul sito dell’UNEP, www.unep.org (pagina base). 85 Cfr. par. 2 della risoluzione, consultabile sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org (pagina base). 86 Cfr. RAJAMANI, op. cit., p. 25; SAND, International Environmental Law after Rio, in EJIL., 1993, p. 377 e ss. 87 “To promote the further development of international environmental law, taking into account the Declaration of the United Nations Conference on the Human Environment, as well as the special needs and concerns of the developing countries, and to examine in this context the feasibility of elaborating general rights and obligations of States, as appropriate, in the field of the environment, and taking into account relevant existing international legal instruments”

44

4.1. La Dichiarazione di Rio L’esempio più eloquente del “paradigm shift” avvenuto a Rio è rappresentato dalla formulazione del principio 2 della Dichiarazione. Esso riproduce il testo del principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma, ma, enfatizzando lo spirito della risoluzione 1803 del 1962, estende il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse naturali. Infatti, fermo restando il divieto di inquinamento transfrontaliero, il criterio determinante tale sfruttamento potrà essere ispirato non soltanto alle proprie politiche ambientali, ma anche a quelle di sviluppo88. L’ampliamento della sovranità statale sulle risorse naturali è stato recepito, più o meno esplicitamente, anche dalle due Convenzioni e dalla Dichiarazione sulle foreste. Ulteriori manifestazioni dell’intensa attività del Gruppo dei 77 durante i negoziati di Rio89 sono reperibili nei principi 3, 5, 6, 9 e 7. Il principio 390 richiama esplicitamente il diritto allo sviluppo91, che i paesi del Sud avevano posto come condizione necessaria all’accettazione dei principi procedurali e di quelli relativi a strumenti di politica ambientale voluti dai paesi 88

Si veda in proposito MARCHISIO, Gli atti di Rio nel diritto internazionale, in RDI, 1992, p. 586 e ss. “Al fine di comprendere il valore di questa correzione “minore” della Dichiarazione di Stoccolma, va anche detto che analoga considerazione è contenuta nell’ottavo considerando del preambolo della Convenzione sui cambiamenti climatici, mentre né la Convenzione sulla diversità biologica né la Dichiarazione sulle foreste la recepiscono.(…) Sarebbe tuttavia sbagliato ritenere che questi testi intendono attenersi più fedelmente al testo di Stoccolma. Sia la Convenzione sulla diversità biologica che la Dichiarazione sulle foreste riaffermano, con linguaggio non equivoco, che le risorse biologiche e le foreste costituiscono oggetto indiscusso del diritto di sovranità degli Stati e chiariscono che il loro sfruttamento avverrà non solo – e non tanto – secondo politiche ambientali, ma piuttosto secondo politiche di sviluppo economico. (…) Da quanto precede si deduce che la correzione del principio 21 (…) avrà l’effetto tendenziale di ampliare la liberta degli Stati nell’esercizio del diritto di sovranità permanente sulle risorse naturali.” 89 Si consideri anche il fatto che il titolo della Conferenza non è stato “Seconda Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano” come era stato inizialmente proposto dai paesi industrializzati. 90 “The right to development must be fulfilled so as to equitably meet developmental and environmental needs of present and future generations” 91 Va sottolineato che questa è la prima volta che il diritto allo sviluppo viene affermato in un atto internazionale adottato per consensus. Comunque gli Stati Uniti, coerentemente con l’atteggiamento tenuto nel 1986 di fronte all’Assemblea Generale quando da soli si opposero all’adozione della Dichiarazione sul diritto allo sviluppo, ritennero opportuno precisare che unendosi al consensus non intendevano mettere in discussione la loro originaria opposizione al cosiddetto diritto allo sviluppo, che avevano già definito come una meta da raggiungere e non come un diritto. Cfr. SANDS, op. cit, p. 51.

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industrializzati. Tale diritto appare però attenuato dalla mancata precisazione dei soggetti titolari e dalla correlazione con l’equità intergenerazionale. I principi 5 e 6 enfatizzano la necessità di cooperare al compito essenziale di eliminare la povertà e di accordare speciale priorità alle specifiche esigenze dei paesi in via di sviluppo, in particolare a quelli meno sviluppati o che risultino maggiormente vulnerabili sotto il profilo ambientale. Il principio 9 fa riferimento, nel quadro dell’obbligo di cooperazione per rafforzare lo sviluppo sostenibile, al trasferimento di tecnologie nuove ed innovative Il principio 792 rappresenta uno dei cardini dello sviluppo sostenibile, incentrato sul concetto di equità intragenerazionale energicamente promosso da paesi del Sud. Accanto al dovere generale di cooperare alla promozione dello sviluppo sostenibile viene riconosciuto il principio delle responsabilità comuni ma differenziate degli Stati. Gli Stati del Nord, da un lato hanno contribuito in misura enormemente maggiore al degrado ambientale, dall’altro dispongono delle risorse finanziarie e tecnologiche necessarie a porvi rimedio. Di conseguenza su di essi incombe un onere maggiore nel perseguimento dello sviluppo sostenibile, ma nella formulazione del principio è stata attentamente evitata ogni menzione di specifici obblighi, in modo particolare di natura finanziaria93. La prima conseguenza di tale principio si concretizza nella differenziazione degli obblighi derivanti da accordi relativi allo sviluppo sostenibile, come nel caso della Convenzione sui cambiamenti climatici. Anche il principio 11 della Dichiarazione riconosce che determinati standard di protezione ambientale possano 92

“States shall cooperate in a spirit of global partnership to conserve, protect and restore the health and integrity of the Earth's ecosystem. In view of the different contributions to global environmental degradation, States have common but differentiated responsibilities. The developed countries acknowledge the responsibility that they bear in the international pursuit of sustainable development in view of the pressures their societies place on the global environment and of the technologies and financial resources they command.” 93 I negoziati sul principio 7 furono particolarmente controversi. Alcuni paesi in via di sviluppo avrebbero voluto che il principio venisse formulato esplicitando la “principale” responsabilità dei paesi industrializzati in tema di protezione ambientale. In senso opposto gli Stati Uniti ritennero necessario annettere una dichiarazione interpretativa in cui specificavano che essi accettavano il principio solo nella misura in cui veniva messo in luce lo speciale ruolo di guida delle nazioni industrializzate. Parallelamente rifiutavano ogni interpretazione del principio 7 che implicasse il riconoscimento di un particolare obbligo o di una qualche forma di responsabilità degli Stati Uniti, nonché di una diminuzione della responsabilità degli Stati in via di sviluppo. Cfr. RAJAMANI, op. cit. supra, p. 26, nota 40.

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rappresentare un onere sproporzionato per i paesi in via di sviluppo in termini di costi economici e sociali. Un’altra conseguenza pratica del principio 7 riguarda il trasferimento di risorse finanziarie e di tecnologie ambientalmente sane. Gli impegni verso tali trasferimenti, contenuti nei capitoli 33 e 34 di Agenda 21, hanno costituito il cuore dei negoziati dell’UNCED e stanno alla base di ogni ragionevole strategia per il perseguimento dello sviluppo sostenibile. Gli Stati industrializzati si sono fatti portavoce di alcuni importanti principi relativi agli strumenti e alle procedure necessarie a porre in essere un efficace sistema di tutela ambientale. Quanto agli strumenti, il principio 11 invita gli Stati ad adottare misure legislative efficaci in materia ambientale, adeguate al particolare contesto socio-economico in cui andranno ad operare. Il principio 1294 si riferisce alla possibilità di adottare misure commerciali con obiettivi ecologici. Il principio, redatto sulla base del par. 152 del Dichiarazione sulla nuova partnership per lo sviluppo (“Cartagena Commitment”) adottata dall’UNCTAD nel febbraio 199295, limita notevolmente tale possibilità indicando due criteri sulla base dei quali valutare la compatibilità delle misure in questione. In primo luogo, esse non devono costituire un mezzo né per dissimulare una restrizione del commercio internazionale né per discriminare arbitrariamente e ingiustificatamente le esportazioni di un altro Stato. In secondo luogo, esse non devono essere unilateralmente rivolte a risolvere i grandi problemi ambientali al di fuori della giurisdizione dello Stato importatore. Inoltre, ma soltanto nella misura in cui sia effettivamente possibile, le misure aventi finalità ecologica devono essere basate sul consenso internazionale. La controversa questione viene analizzata anche nei capitoli 2 e 39 di Agenda 21, in cui il rigore del principio 12 viene in 94

“ States should cooperate to promote a supportive and open international economic system that would lead to economic growth and sustainable development in all countries, to better address the problems of environmental degradation. Trade policy measures for environmental purposes should not constitute a means of arbitrary or unjustifiable discrimination or a disguised restriction on international trade. Unilateral actions to deal with environmental challenges outside the jurisdiction of the importing country should be avoided. Environmental measures addressing transboundary or global environmental problems should, as far as possible, be based on an international consensus.” 95 Cfr. MARCHISIO, Gli atti di Rio, in op. cit., p. 609.

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parte attenuato. Pur continuando ad utilizzare il linguaggio della Dichiarazione di Cartagena e ribadendo le limitazioni ivi contenute, si riconosce che le politiche commerciali possano costituire un mezzo per rendere più efficaci le misure di tutela ambientale, come è del resto previsto da vari trattati internazionali96, e a tal fine si identificano i criteri per evitare che possano nascondere forme di “protezionismo verde”. Nel capitolo 39 si specifica che esse dovranno rispettare, inter alia, il principio di non discriminazione, il principio che la misura adottata sia meno restrittiva possibile rispetto al risultato che si propone di conseguire (condizione che implica la necessità di dimostrare l’eccessiva onerosità delle alternative), il dovere di trasparenza e di notificazione delle normative nazionali, il dovere di garantire una speciale tutela alle particolari esigenze dei paesi in via di sviluppo e alla loro condizione speciale, perseguendo obiettivi ambientali convenuti a livello internazionale. Inoltre nel capitolo 2 si raccomanda l’adozione di strumenti miranti a chiarire e precisare il problema della compatibilità tra le misure commerciali con fini ambientali e la normativa del GATT. I principi 1597, 1698 e 1799 conseguono il rafforzamento di tre principi appartenenti precipuamente alla politica ambientale nazionale, nell’ottica dell’adempimento dei fondamentali obblighi di vigilanza e prevenzione, ma applicabili anche sul piano internazionale per il raggiungimento delle medesime finalità. Si tratta, rispettivamente, del principio precauzionale, dell’internalizzazione dei costi ambientali e della valutazione di impatto ambientale. 96

Si riconoscono tre tipologie di trattati che contengono misure di carattere commerciale: quelli relative alla protezione della vita selvatica (come la Convenzione CITES del 1973), quelli tutelanti l’ambiente dello Stato di importazione e quelli relativi a beni globali (come il protocollo di Montreal). Ibidem, p. 609 e ss. 97 “In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing costeffective measures to prevent environmental degradation.” 98 “National authorities should endeavour to promote the internalization of environmental costs and the use of economic instruments, taking into account the approach that the polluter should, in principle, bear the cost of pollution, with due regard to the public interest and without distorting international trade and investment.” 99 “Environmental impact assessment, as a national instrument, shall be undertaken for proposed activities that are likely to have a significant adverse impact on the environment and are subject to a decision of a competent national authority”

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Il principio precauzionale100 prevede che, in caso di minaccia di danno serio ed irreversibile, l’assenza di certezza scientifica non possa giustificare la mancata adozione di misure preventive il cui costo risulti proporzionato agli effetti conseguibili101. Il principio viene ripetuto anche nei preamboli di entrambe le Convenzioni e nell’art. 3 par. 3 della Convenzione sui cambiamenti climatici e costituisce il naturale corollario dell’obbligo di prevenzione, contribuendo a precisare il contenuto della “dovuta diligenza” che lo Stato è tenuto ad impiegare nell’attività preventiva, conformemente alle proprie capacità102. L’internalizzazione dei costi ambientali, meglio nota come principio “chi inquina paga” (Polluter Pays Principle), è uno strumento fondamentale per evitare le distorsioni del mercato dovute alla comune tendenza a considerare l’ambiente un bene gratuito103. Viene specificato che tale operazione dovrà essere compiuta tenendo in debita considerazione, oltre all’interesse generale, anche le eventuali distorsioni al commercio internazionale ed al flusso degli investimenti. Nell’intenzione di molti Stati, sia industrializzati che in via di sviluppo, la sua applicazione doveva essere 100

Sul principio precauzionale si veda, in generale SANDS, op. cit., p. 208 e ss.; MONTINI, La necessità ambientale, cit., p. 39 e ss.; KISS, SHELTON, op. cit., p. 264 e ss.; PERREZ, The World Summit on Sustainable Development: Environment, Precaution and Trade- a Potential for Success and/or Failure, in RECIEL, 2003, p. 12 e ss. 101 E’ interessante notare che la versione francese del principio prevede che le misure in questione debbano essere effettive, ma non in rapporto ai costi . “(…) l'absence de certitude scientifique absolue ne doit pas servir de prétexte pour remettre à plus tard l'adoption de mesures effectives visant à prévenir la dégradation de l'environnement.” 102 Sullo status giuridico del principio cfr. MONTINI, La necessità ambientale, cit., p. 44: “anche in relazione a questo principio, la dottrina appare divisa secondo le medesime direttrici che abbiamo visto in relazione ad altri principi sostanziali del diritto internazionale dell’ambiente. (…) si può affermare che il principio possiede ancora un contenuto troppo vago e indeterminato per poterlo correttamente qualificare come una norma immediatamente precettiva e possibile fonte immediata di obblighi giuridici a carico degli Stati. Al principio precauzionale dovrebbe quindi essere riconosciuto da una parte il ruolo di possibile criterio ispiratore di nuove norme di diritto internazionale ambientale, e dall’altra il ruolo, forse ancora più importante, di criterio in grado di permettere un’interpretazione evolutiva dei trattati internazionali esistenti, non solo di natura ambientale, al fine di consentire, laddove possibile ed opportuno, di realizzare un’adeguata tutela preventiva ed anticipatoria dei beni ambientali in pericolo.” 103 La Dichiarazione non fa riferimento all’utilizzo di strumenti fiscali a tal fine. Risulta invece particolarmente interessante la dichiarazione del ministro dell’ambiente italiano, Giorgio Ruffolo, che, riprendendo la proposta della Commissione Europea, sottolinea l’opportunità di una “ecotassa” sui consumi dei combustibili fossili. Ciò condurrebbe anche ad un più facile reperimento dei fondi da destinare all’aiuto pubblico allo sviluppo. Cfr. GARAGUSO, MARCHISIO, Rio 1992: Vertice per la Terra, pp. 741 e ss.

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limitata al livello interno, senza conseguenze per i rapporti internazionali e per la responsabilità degli Stati, e ciò si riflette chiaramente nel linguaggio ambiguo con cui il principio è formulato104. Altro strumento di cui si auspica un crescente utilizzo è la valutazione di impatto ambientale, la quale, analogamente al principio di precauzione, consente di adempiere all’obbligo di prevenzione. In tal senso il riferimento al suo utilizzo come strumento nazionale non deve essere considerato come un limite alla sua applicazione sui potenziali effetti transfrontalieri, essendo peraltro ricompreso nel più generale obbligo di informazione, integrante dell’obbligo di cooperazione che abbiamo già visto essere parte del diritto consuetudinario105. I principi 18 de 19 individuano obblighi di carattere strumentale in relazione all’obbligo di notifica immediata in caso di emergenza ambientale e di notifica previa e tempestiva in caso di attività che possano avere effetti transfrontalieri seriamente negativi. Nel primo principio risulta più debole l’obbligo di assistenza, posto in capo alla comunità internazionale e non ai singoli Stati. Il secondo principio conferma anche l’obbligo di comunicare le informazioni pertinenti e di cooperare in buona fede. Anche al principio 26 si fa riferimento ad un obbligo di natura procedurale, relativo alla necessità di risolvere le controversie ambientali in modo pacifico e con mezzi adeguati. Con tale formulazione si riconosce implicitamente che gli strumenti attuali per la risoluzione delle controversie ambientali risultino inadeguati, data la peculiare natura delle controversie in questione. Il capitolo 39 di Agenda 21, relativo agli strumenti giuridici, specifica che gli Stati dovranno valutare, oltre alle ipotesi più appropriate per la soluzione delle controversie, anche i meccanismi più idonei a prevenirle, in conformità al par. 15 w) della risoluzione 44/228.

104 105

Cfr. SANDS, op. cit., p. 213 e ss. Cfr. TREVES, Il diritto dell’ambiente a Rio e dopo Rio, in RGA, 1993, p. 579 e ss.

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In conclusione merita di essere considerato anche il principio 10106, che enfatizza l’importanza della piena partecipazione della cittadinanza al processo decisionale, dell’accesso alle informazioni in materia ambientale e ai procedimenti giudiziari e amministrativi. Il principio è formulato in termini molto generici107, ma sottolinea un aspetto che ha una rilevanza sostanziale108 nel perseguimento dello sviluppo sostenibile, a cui vari capitoli di Agenda 21 hanno modo di dedicare indicazioni più precise ed efficaci.

4.2. Agenda 21 Il Piano d’azione per lo sviluppo sostenibile, in seguito ribattezzato Agenda 21, è il secondo documento di portata generale emerso dai lavori di Rio. Si tratta di un monumentale piano d’azione di natura programmatica ed operativa. Esso non contiene obblighi giuridici, è il risultato del consenso globale realizzatosi tra i 183 Stati partecipanti e costituisce un impegno politico al più alto livello verso una maggiore cooperazione internazionale in materia di sviluppo sostenibile, conformemente ai criteri enunciati dalla Dichiarazione su ambiente e sviluppo. L’integrazione ambiente-sviluppo 106

“Environmental issues are best handled with participation of all concerned citizens, at the relevant level. At the national level, each individual shall have appropriate access to information concerning the environment that is held by public authorities, including information on hazardous materials and activities in their communities, and the opportunity to participate in decision-making processes. States shall facilitate and encourage public awareness and participation by making information widely available. Effective access to judicial and administrative proceedings, including redress and remedy, shall be provided.” 107 Tale formulazione costituisce una manifestazione ulteriore della conventio ad excludendum, da parte sia dei paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo, circa il riconoscimento del diritto all’ambiente come diritto fondamentale dell’uomo. Cfr. MARCHISIO, Gli atti di Rio, cit., p. 595: “Il concetto è dunque quello di rendere il processo decisionale in materia ambientale democratico e trasparente, secondo le indicazioni più precise contenute nei capitoli di Agenda 21. Ma , né l’accesso all’informazione relativa all’ambiente, né la partecipazione ai processi decisionali, né , infine, l’accesso alla giustizia ordinaria e amministrativa sono formulati dal principio 10 della Dichiarazione d Rio in termini di situazioni giuridiche individuali. In tal senso la Dichiarazione appare assai poco innovativa e conferma la difficoltà di tradurre sul piano del diritto positivo il legame tra ambiente, sviluppo e diritti umani.” 108 E’ stato fatto osservare come l’obbligo di promuovere la partecipazione e l’informazione degli individui nei processi decisionali posto in capo agli Stati, costituisca il contenuto principale del diritto umano all’ambiente. Ibidem, p. 596.

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viene tradotta in un centinaio di aree di programma, concernenti la quasi totalità delle problematiche rilevanti da questo punto di vista, organizzate i quattro grandi sezioni relative alle dimensioni economiche e sociali del problema, alla conservazione e la gestione delle risorse per lo sviluppo, alla partecipazione della cittadinanza e il rafforzamento del ruolo dei Major Groups e ai mezzi necessari all’attuazione dello sviluppo sostenibile. Le sezioni sono organizzate in 40 capitoli dedicati ad una serie di programmi, iniziative o alla trattazione di questioni intersettoriali. Riguardo a ogni area di programma vengono identificati le basi d’azione, gli obiettivi, le attività da realizzare e gli strumenti necessari a tal fine. I capitoli da 33 a 40 , contenuti nell’ultima sezione, risultano essere particolarmente rilevanti dal momento che identificano gli strumenti necessari al conseguimento dello sviluppo sostenibile. Al capitolo 33 spetta il compito di determinare in che modo debbano essere reperite le “risorse nuove e addizionali”, cui faceva riferimento la risoluzione 44/228, da destinarsi ai paesi in via di sviluppo, sia perché possano rilanciare la propria crescita economica secondo criteri di compatibilità

ambientale,

sia

perché

possano

sostenere

i

“costi

incrementali”109 dovuti alla loro partecipazione alla difesa di beni globali. Viene immediatamente chiarito che la maggior parte di tali risorse dovrà essere di origine nazionale. Dai paesi industrializzati proverranno risorse finanziarie attraverso due canali. In primo luogo provvederanno a raggiungere un ammontare di ODA (Official Development Aid, aiuto pubblico allo sviluppo) pari allo 0,7% del PNL per gli interventi relativi allo sviluppo sostenibile in generale, ma non viene precisata alcuna data per l’adempimento , in secondo luogo osserveranno degli impegni specifici finalizzati al perseguimento degli obiettivi di Agenda 21. In tale contesto si viene

a

delineare

un

sistema

policentrico

di

finanziamento,

significativamente definito “menu approach”, che lascia agli Stati la più completa discrezionalità circa l’ammontare del finanziamento e la scelta degli strumenti attraverso i quali farlo giungere a destinazione. Questi 109

I costi incrementali rappresentano la differenza di costo tra un progetto con benefici per l'ambiente globale e un progetto alternativo senza questi benefici.

52

includono le banche e i fondi multilaterali di sviluppo, tra cui si distinguono l’IDA (International Development Association, Associazione Internazionale per lo Sviluppo, filiale della Banca Mondiale ) e il GEF (Global Environment Facility, Fondo per l’ambiente globale, creato e gestito congiuntamente dalla Banca Mondiale, dall’UNEP e dall’UNDP per aiutare i paesi in via di sviluppo a sostenere i costi legati a problemi ambientali di portata globale110); gli istituti specializzati delle Nazioni Unite; gli organismi multilaterali per la cooperazione tecnica, i particolare UNEP e UNDP; i programmi bilaterali; l’alleggerimento del debito estero, in particolare attraverso un utilizzo maggiore dei debt swaps111; i finanziamenti privati; il reperimento di risorse attraverso meccanismi fiscali. Il fabbisogno finanziario per la realizzazione degli obiettivi di Agenda 21 nei paesi in via di sviluppo è stato stimato dal Segretario Generale dell’UNCED Maurice Strong in 600 miliardi di dollari, 125 dei quali dovranno provenire dal Nord del mondo112. Il capitolo 34 esamina le problematiche relative alla cooperazione tecnologica e alla formazione di capacità tecnico-professionali endogene. Al problema fondamentale di garantire l’accesso a tecnologie sane e pulite nonostante il contrasto con la tutela dei diritti di proprietà intellettuale dovrà essere data “considerazione”, utilizzando il canale commerciale come veicolo preferenziale per il trasferimento. L’acquisto di licenze e brevetti nel quadro dei pacchetti d’aiuto viene comunque raccomandato, come vengono auspicati , in conformità alle decisioni UNCTAD adottate a Cartagena, l’elaborazione di un codice di condotta internazionale per i

110

Il GEF è stata oggetto di severe critiche da parte dei paesi in via di sviluppo, sia riguardo ai settori di intervento che assecondano gli interessi dei paesi industrializzati, sia riguardo al meccanismo decisionale, basato sulla ponderazione del voto in base ai contributi versati. Cfr. MACHISIO, Gli atti di Rio, cit., p. 602 e ss. 111 Si tratta di strumenti finanziari, promossi durante gli anni ottanta da alcune organizzazioni non governative, che condizionano la remissione di quote di debito all’applicazione di misure di tutela ambientale. 112 Nel 1992 l’aiuto allo sviluppo si aggirava sui 55 miliardi di dollari. L’unica indicazione concreta su come i paesi industrializzati avrebbero dovuto reperire i fondi necessari resta quella del ministro dell’ambiente italiano Ruffolo relativa all’imposizione di una ecotassa sui combustibili fossili. Cfr. GARAGUSO, MARCHISIO, Rio 1992: vertice per la Terra, Milano, 1993, p. 664 e ss.

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trasferimenti tecnologici e lo sviluppo e il rafforzamento delle capacità endogene di ricerca. Altri strumenti per il perseguimento dello sviluppo sostenibile previsti dalla IV sezione sono l’incremento della conoscenza scientifica riguardo all’interazione

tra attività

umane ed ambiente

(capitolo

35),

la

sensibilizzazione della cittadinanza e la partecipazione alle decisioni in materia (capitolo 36), la formazione di capacità endogene (capitolo 37). Il capitolo 38 concerne i meccanismi istituzionali per il dopo Rio. Esclusa a priori l’ipotesi di trasformare l’UNCED in un organo sussidiario permanente dell’Assemblea Generale sull’esempio dell’UNCTAD, il problema della gestione del follow-up della Conferenza fu risolto istituendo un unico organo nuovo, la Commissione per lo sviluppo sostenibile 113 (Commission on Sustainable Development, CSD). Alcuni Stati, tra cui l’Italia, avrebbero preferito collegare la Commissione all’Assemblea Generale, al fine di esaltarne il ruolo politico e di garantirne la composizione universale, invece si preferì optare, conformemente all’art. 68 della Carta delle Nazioni Unite, per una Commissione funzionale al Consiglio Economico e Sociale, a composizione ristretta, ma qualificata come organo “di alto livello”. Alla Commissione viene affidato il compito di assicurare i progressi degli obiettivi delineati da Agenda 21 e i suoi lavori dovranno essere esaminati dal Consiglio Economico e Sociale, il quale provvederà al coordinamento con l’operato delle altre organizzazioni del sistema ONU. All’Assemblea Generale spetta invece la valutazione politica e l’esame periodico dei progressi compiuti nell’attuazione di Agenda 21, in particolare attraverso una sessione speciale da tenersi non oltre il 1997. La questione delle funzioni da attribuire alla Commissione suscitò alcuni contrasti durante i Comitati Preparatori. Ad essa furono attribuite funzioni relative all’integrazione ambiente-sviluppo, al controllo e alla valutazione dell’adempimento di Agenda 21, specie in riferimento alla cooperazione tecnica e finanziaria, ma non fu possibile attribuirle specifiche competenze 113

La Commissione venne creata il 22 dicembre del 1992 con la risoluzione 47/191 dell’Assemblea Generale, consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base).

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riguardo l’esame dei rapporti nazionali e l’applicazione delle convenzioni internazionali ambientali. In entrambi i casi la Commissione si dovrà limitare ad un esame delle informazioni, e non dei rapporti, fornitele dai governi e dagli organi statutari delle singole convenzioni. Oltre a costituire la Commissione, con il capitolo 38 si procedette a rivitalizzare il Comitato amministrativo di coordinamento, composto dal Segretario Generale dell’ONU e da quelli degli istituti specializzati, cui spetta il compito di garantire il coordinamento tra l’operato delle varie istituzioni finanziarie internazionali e quello delle altre organizzazioni de sistema ONU impegnate nell’attuazione di Agenda 21. Inoltre si accentuò il ruolo delle ONG quali partner essenziali nel quadro della cooperazione internazionale in materia ambientale, senza però delineare un preciso sistema di coordinamento. Il capitolo 39 si occupa degli strumenti e dei meccanismi giuridici internazionali, mirando al codificazione e allo sviluppo progressivo del diritto internazionale dello sviluppo sostenibile, concetto che ha ormai stabilmente sostituito quello di diritto internazionale dell’ambiente, nonché alla prevenzione delle controversie in materia. Nell’ottica di assicurare l’integrazione ambiente-sviluppo e l’effettività del diritto convenzionale vigente dovrà essere garantita la concreta partecipazione dei paesi in via di sviluppo alla formazione e all’esecuzione dei trattati internazionali di carattere globale. Nel perseguimento di tali obiettivi si dovranno tenere in particolare considerazione l’eccessiva onerosità di determinati standard ambientali per i paesi in via di sviluppo e la necessità di evitare che misure commerciali si traducano in restrizioni dissimulate. Infine il capitolo 40 auspica l’adozione di procedure ed indicatori maggiormente adeguati al fine di reperire le informazioni necessarie al processo di decision-making.

4.3. La Convenzione sulla diversità biologica e la Convenzione sui cambiamenti climatici ed i rispettivi protocolli attuativi

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La Conferenza di Rio ha costituito l’occasione per aprire alla firma degli Stati partecipanti due convenzioni multilaterali che affrontano problemi ambientali di carattere globale, entrambe negoziate in sedi esterne al Comitato Preparatorio. La Convenzione sulla diversità biologica trae origine da un’iniziativa dell’UNEP con cui venne istituto un Comitato negoziale intergovernativo ad hoc. Il Comitato raggiunse un’intesa definitiva sul testo della Convenzione nel maggio 1992. Gli obiettivi generali della Convenzione sono la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile delle sue componenti, l’equa ripartizione dei benefici derivanti dalla sua utilizzazione114. In sede negoziale la diversità biologica non ottenne la qualifica di patrimonio comune dell’umanità (common heritage of humankind) a causa delle resistenze dei paesi in via di sviluppo ad accettare un regime che potesse ledere la sovranità nazionale sulle risorse biologiche. Infatti la biodiversità venne riconosciuta come interesse comune dell’umanità (common concern of humankind), l’art. 3 della Convenzione riproduce il principio 21 della dichiarazione di Stoccolma115 e l’art. 15 prevede che 114

La Convenzione si inserisce nel macro settore del diritto ambientale finalizzato alla tutela del suolo, per quanto, a differenza dei settori tutelanti aria e acqua, ad esso facciano capo regimi diversi, seppure accomunati dal prevalente legame con l’elemento del suolo e del territorio. Ad esso infatti si fanno comunemente appartenere, oltre alla Convenzione per combattere la desertificazione che vedremo meglio in seguito, la Convenzione sul commercio internazionale di specie in pericolo di estinzione (nota come Convenzione CITES), firmata a Washington nel 1973, la Convenzione sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e il loro smaltimento, firmata a Basilea nel 1989, la Convenzione sul movimento transfrontaliero di sostanze pericolose (nota come Convenzione PIC, acronimo della procedura del previo consenso informato), firmata a Rotterdam nel 1998, la corposa regolamentazione internazionale in materia di incidenti nucleari e il regime internazionale di protezione dell’ambiente antartico e delle risorse ivi presenti. Per un excursus sulla questione cfr. MONTINI, L’ambiente nel diritto internazionale, cit., p. 26 e ss. I testi delle convenzioni menzionate possono essere consultati sui siti ufficiali delle convenzioni stesse, rispettivamente: www.cites.org (pagina base), www.basel.int (pagina base), www.pic.int (pagina base); le convenzioni relative agli incidenti nucleari sono consultabili sul sito della Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, www.iaea.org (pagina base); i restanti trattati sono consultabili sul sito dell’UNEP, www.unep.org (pagina base). 115 A differenza della Convenzione sui cambiamenti climatici, né la Dichiarazione sulle foreste né la Convenzione sulla biodiversità recepiscono il riferimento alle politiche di sviluppo aggiunto a Rio. Sarebbe però errato ritenere che ciò posso comportare una limitazione delle della sovranità nazionale in materia, considerato che entrambe non mancano di specificare altrove che lo sfruttamento delle risorse dovrà avvenire in conformità anche alle politiche di sviluppo economico.

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l’accesso alle risorse genetiche sia disciplinato dalle legislazioni nazionali. La tutela dei diritti sovrani degli Stati sulla diversità biologica viene accompagnata, all’art. 16, dal riconoscimento della necessità di garantire ai paesi in via di sviluppo l’accesso e il trasferimento delle biotecnologie a condizioni eque o, se stabilito di comune accordo, preferenziali. La previsione del meccanismo in questione, oltre ad alcune preoccupazioni relative al sistema di finanziamento, motivò il rifiuto degli Stati Uniti di firmare la Convenzione, ma a tale riguardo va osservato sia che l’art. 16 riconosce la necessità di tutela adeguata ed effettiva dei diritti di proprietà intellettuale, sia che la Convenzione, all’art. 9 a), non esclude che il paese fornitore di risorse genetiche possa essere il paese che ha conservato tali risorse in banche genetiche. Alle luce di quanto appena detto, nonché del fatto che circa l’80% delle risorse genetiche viene conservato in banche genetiche e che esse si trovano quasi esclusivamente nei paesi sviluppati, le preoccupazioni statunitensi appaiono palesemente ingiustificate116. Come tutti gli altri documenti adottati a Rio la Convenzione recepisce il principio delle responsabilità comuni ma differenziate. In particolare l’art. 6 prevede che i fondamentali obblighi di conservazione ed uso sostenibile della biodiversità dovranno essere adempiuti “secondo le propri particolari condizioni e capacità” e l’art. 20 attribuisce l’obbligo di fornire risorse finanziarie nuove ed addizionali alle sole parti che sono paesi sviluppati, al fine di coprire i costi incrementali derivanti dal perseguimento degli obiettivi della Convenzione. In relazione a questo aspetto la Convenzione mostra un’impostazione particolarmente innovativa. Per la prima volta in un trattato ambientale globale, l’ottemperanza da parte dei paesi in via di sviluppo all’obbligo di conservazione e uso sostenibile viene specificamente subordinata al rispetto del dovere dei paesi industrializzati di fornire tecnologie e risorse finanziarie117. La Conferenza delle Parti ha designato il 116

Cfr. MARCHISIO, Gli atti di Rio, cit., p. 589 e ss. Art. 20, par. 4 “The extent to which developing country Parties will effectively implement their commitments under this Convention will depend on the effective implementation by developed country Parties of their commitments under this Convention related to financial resources and transfer of technology and will take fully into account the fact that economic and social development and eradication of poverty are the first and overriding priorities of the developing country Parties” 117

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GEF come strumento attraverso il quale far transitare i finanziamenti, per quanto gli Stati membri potranno determinare autonomamente le condizioni ed il contenuto della contribuzione118. La Conferenza delle Parti ha conseguito un importante risultato in materia di tutela della biosicurezza, con l’adozione a Montreal, nel maggio del 2000, del Protocollo di Cartagena119, finalizzato alla prevenzione dei danni alla biodiversità nel caso di esportazione di organismi viventi geneticamente modificati120. Il Protocollo riguarda le sementi e i prodotti agroalimentari destinati al consumo o alla trasformazione. Elemento centrale è la procedura di accordo preliminare (Advanced Informed Agreement, AIA), la quale assicura al Paese importatore l'accesso a tutte le informazioni necessarie alla valutazione dei rischi ambientali e il diritto di prendere una decisione prima dell'importazione, secondo il principio del previo consenso informato. Tale provvedimento è di particolare importanza per i paesi in via di sviluppo che non dispongono ancora di legislazioni nazionali adeguate. Il Protocollo rappresenta una prima applicazione, a livello internazionale e all’interno di un documento di natura vincolante, del principio precauzionale, a cui ogni paese può appellarsi per giustificare le decisioni prese riguardo all'importazione. Rispetto all’impostazione originalmente adottata Rio, va notato come il principio precauzionale abbia subito una notevole evoluzione e come ne sia stato ampliato l’ambito di applicazione. Ai sensi dell’art. 10 par. 6121 è sufficiente l’esistenza di un potenziale effetto avverso, e non di un 118

Tale questione è stata oggetto di un’apposita dichiarazione resa dalla delegazione italiana e da altri Stati in sede negoziale e al momento della firma. Cfr. MARCHISIO, Gli atti di Rio, cit., p. 607, nota 59. 119 Consultabile sul sito ufficiale della Convenzione: www.biodiv.org (pagina base). 120 Art. 1, obiettivi: “In accordance with the precautionary approach contained in Principle 15 of the Rio Declaration on Environment and Development, the objective of this Protocol is to contribute to ensuring an adequate level of protection in the field of the safe transfer, handling and use of living modified organisms resulting from modern biotechnology that may have adverse effects on the conservation and sustainable use of biological diversity, taking also into account risks to human health, and specifically focusing on transboundary movements.” 121 “Lack of scientific certainty due to insufficient relevant scientific information and knowledge regarding the extent of the potential adverse effects of a living modified organism on the conservation and sustainable use of biological diversity in the Party of import, taking also into account risks to human health, shall not prevent that Party from taking a decision, as appropriate, with regard to the import of the living modified organism in question as referred to in paragraph 3 above, in order to avoid or minimize such potential

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danno serio ed irreversibile, per legittimare l’adozione di misure relative all’importazione degli organismi geneticamente modificati. Inoltre se ne consente l’utilizzazione per l’adozione di misure volte a proteggere la salute umana e non soltanto l’ambiente e riguardo a tali misure viene meno il requisito dell’adeguatezza e della proporzionalità rispetto ai costi. In ragione di tali sostanziali innovazioni sono state numerosissime le difficoltà per giungere ad un accordo, gli Stati Uniti si rifiutarono di firmarlo contestando l'imposizione di vincoli all'esportazione di prodotti transgenici in nome della liberalizzazione del commercio mondiale, mentre la delegazione europea sostenne strenuamente il Protocollo e l’applicazione del principio. La Convenzione sui cambiamenti climatici pone le sue radici nella risoluzione 43/53122 dell’Assemblea Generale, adottata il 6 dicembre 1988, con la quale si riconobbe come il mutamento di determinate variabili climatiche costituisse un interesse comune dell’umanità. Nello stesso anno, su iniziativa dell’UNEP e della WMO (World Meteorological Organization, Organizzazione Meteorologica Mondiale),

venne istituito l’IPCC (

Intergovernamental Panel on Climate Change, gruppo di esperti intergovernativo sul cambiamento climatico) con l’obiettivo di studiare la gravità del fenomeno e proporre a riguardo le strategie maggiormente risolutive. Nel 1990 venne pubblicata la prima relazione dell’IPCC, con la quale veniva data conferma delle preoccupazioni di buona parte della comunità scientifica circa i rischi del surriscaldamento globale connesso all’effetto serra. Durante la seconda Conferenza mondiale sul clima tenutasi a Ginevra nello stesso anno, sulla base di tale rapporto si concordò sulla necessità di procedere ad un negoziato per l’adozione di misure precauzionali. L’Assemblea Generale, con la risoluzione 45/212123 del dicembre del 1990, istituì un Comitato negoziale intergovernativo (INC), che nel maggio del 1992 completò il testo della Convenzione aperta alla firma a Rio, seguendo lo schema della convenzione-quadro da integrare con successivi protocolli, già fruttuosamente sperimentato a Vienna nel 1985. La adverse effects” 122 Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). 123 Ibidem.

59

massimizzazione

delle

partecipazioni

venne

quindi

anteposta

alla

massimizzazione dei contenuti, in conseguenza della tenace resistenza degli Stati Uniti verso l’assunzione di impegni precisi. Nonostante il titolo si riferisca al cambiamento climatico in generale, le disposizioni della Convenzione riguardano specificamente l’emissioni dei gas ad effetto serra (greenhouse gases) prodotti dalle attività umane, mirando, ai sensi dell’art. 2124, alla stabilizzazione dei suddetti gas ad un livello che impedisca interferenze con il sistema climatico, secondo un approccio tipicamente precauzionale. Coerentemente con l’impostazione adottata a Rio, lo stesso articolo non manca di specificare che tale livello di emissioni dovrà essere raggiunto in tempi tali da permettere il perseguimento dello sviluppo economico in modo sostenibile. A tal fine è stato previsto un doppio regime giuridico, in osservanza del principio delle responsabilità comuni ma differenziate, attribuendo ai paesi industrializzati un ruolo di leadership, ma senza specificare impegni e scadenze temporali. Di fondamentale importanza risulta essere il disposto dell’art. 4, che impone alle parti sviluppate la fornitura di risorse finanziarie nuove ed addizionali125 e il trasferimento di tecnologie e know-how ecologicamente corretti. L’adempimento dei paesi in via di sviluppo agli obblighi della Convenzione viene esplicitamente subordinato all’effettiva osservanza di tali trasferimenti da parte delle paesi sviluppati. I successivi sviluppi della Convenzione e la supervisione della sua effettiva attuazione sono affidati all’opera della Conferenza delle Parti (Conference of the Parties, COP), la quale, a seguito dell’entrata in vigore

124

“The ultimate objective of this Convention and any related legal instruments that the Conference of the Parties may adopt is to achieve, in accordance with the relevant provisions of the Convention, stabilization of greenhouse gas concentrations in the atmosphere at a level that would prevent dangerous anthropogenic interference with the climate system. Such a level should be achieved within a time-frame sufficient to allow ecosystems to adapt naturally to climate change, to ensure that food production is not threatened and to enable economic development to proceed in a sustainable manner” 125 Lo stesso art. 4 prevede che, nell’esecuzione degli impegni in questione, sia tenuta in dovuta considerazione l’adeguatezza e soprattutto la prevedibilità del flusso di fondi, nonché l’importanza di un’opportuna ripartizione degli oneri tra le parti industrializzate.

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avvenuta il 21 marzo 1994, terrà sessioni ordinarie una volta l’anno, potendo comunque riunirsi ogniqualvolta lo riterrà necessario126. Durante la prima COP, tenutasi a Berlino nell’aprile del 1995, venne istituita una procedura multilaterale consultiva, come previsto dall’art. 13, e venne deciso che ogni organo ed ogni agenzia, nazionale o internazionale, governativa o non governativa, purché competente nelle materie previste dalla convenzione, potesse essere rappresentata all’interno della COP. I toni della discussione furono inaspriti dalla pubblicazione, verso la fine del 1994, di un rapporto dell’IPCC secondo il quale, anche qualora si fosse raggiunta una totale stabilizzazione delle emissioni di gas serra ai livelli attuali, la loro concentrazione nell’atmosfera avrebbe continuato a crescere per i due secoli successivi. Di fronte all’opposizione di alcuni Stati, capeggiati dai paesi esportatori di petrolio, verso l’adozione di ulteriori impegni, si giunse alla formulazione del c.d. “Berlin Mandate”, secondo il quale le parti convenivano di dare inizio ad un processo che avrebbe potuto portare alla conclusione di un protocollo o di un altro strumento legale. Nel corso della terza COP, svoltasi a Kyoto nel dicembre del 1997, i negoziati furono conclusi e il Protocollo127 venne adottato. Il principale obiettivo del Protocollo di Kyoto consiste nella riduzione delle emissioni dei sei gas serra indicati nell’allegato A. L’art. 3 par. 1 impone,

ai

paesi

industrializzati

elencati

nell’allegato

I128

della

Convenzione, una riduzione di almeno il 5% al di sotto dei livelli del 1990 entro il periodo che va dal 2008 al 2012129, da attuarsi individualmente o 126

La Convenzione, agli artt. 9 e 10, prevede che nel perseguire i propri obiettivi la COP possa usufruire dell’assistenza di due organi consultivi, l’organo sussidiario di assistenza scientifica e tecnologica (Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice, SBSTA) e l’organo esecutivo sussidiario (Subsidiary Body for Implementation, SBI). 127 Consultabile sul sito ufficiale della Convenzione: www.unfccc.int (pagina base). 128 Tra le nazioni ivi elencate si trovano anche dodici Stati in transizione verso un’economia di mercato, ai quali potrà essere accordato un regime preferenziale qualora successivamente la COP si pronunci in tal senso, in seguito alla richiesta dello Stato interessato. 129 Il Third Assessment Report, il terzo rapporto di valutazione dell’IPCC, sostiene che tra il 1990 e il 2100 la temperatura media della superficie terrestre potrebbe aumentare tra 1,4 ° e 5,8 °C, se non fosse invertito il tasso di produzione delle emissioni antropogeniche di gas serra, mentre il livello del mare dovrebbe innalzarsi fino a un metro. Un recente studio presentato nel novembre del 2004 alla Conferenza UE sulle politiche post-2012 sui cambiamenti climatici avverte che bisognerebbe stabilire impegni di riduzione di almeno il 30% entro il 2020, per evitare che la concentrazione di CO2 in atmosfera raggiunga livelli che comporterebbero un aumento della temperatura di 2°C sopra ai livelli del 1990.

61

collettivamente. Vengono indicate a tal fine alcune strategie da perseguire, quali la promozione di fonti di energia maggiormente efficienti, la ricerca di fonti alternative e rinnovabili, l’adozione di incentivi fiscali, la protezione delle foreste e degli altri “pozzi” per l’assorbimento dei gas, la promozione di attività agricole compatibili e della cooperazione internazionale. In particolare, al fine di consentire alle parti di raggiungere propri obiettivi di stabilizzazione e riduzione a costi più bassi, viene consentito il commercio delle quote di emissioni e il c.d. “big bubble approach”130, in base al quale gli Stati potranno accordarsi per ridurre congiuntamente il livello di emissioni aggregate. Coerentemente con il principio delle responsabilità comuni ma differenziate alle parti che sono paesi in via di sviluppo non viene richiesta alcuna riduzione delle emissioni. L’art. 10 prevede soltanto che esse debbano formulare, in base alle loro capacità, dei programmi nazionali o regionali finalizzati a minimizzare gli effetti dello sviluppo economico sul cambiamento climatico. L’art. 11 par. 2 b dispone che, per coprire i costi incrementali derivanti da tali programmi, dovrà essere garantito il trasferimento sia di tecnologie pulite che di risorse finanziarie. I contenuti del Protocollo di Kyoto riflettono il contrasto registrato durante i negoziati tra i paesi di antica industrializzazione. L’Unione Europea appariva nella posizione più avanzata131, proponendo di ridurre le emissioni di gas serra del 15% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2010, il Giappone proponeva una riduzione del 5% dei livelli del 1990 entro il 2012, ma legata ad un meccanismo flessibile e differenziato, ponderato in base al 130

I meccanismi di flessibilità previsti dal Protocollo sono tre. Il finanziamento di progetti per la riduzione delle emissioni in altri Stati dell’allegato I (Joint Implementation, JI) o in Stati che non appartengono all’allegato I (Clean Development Mechanism, CDM) e il commercio delle unità di riduzione delle emissioni (International Emission Trading, IET). 131 L’Unione Europea ha comunque assunto un obbligo maggiormente oneroso rispetto agli altri Stati industrializzati, proponendosi l’obiettivo di ridurre le proprie emissioni aggregate dell’8%. Il Consiglio dell’Unione Europea, nel giugno 1998, ha stabilito un “Accordo per la condivisione degli oneri tra gli stati membri” (il c.d. burden-sharing agreement, consultabile sul sito dell’Unione Europea, www.europa.eu.int pagina base.) suddividendo tra i 15 paesi l’obiettivo comune dell’8%. L’Italia secondo questa ripartizione deve ridurre le sue emissioni del 6.5% rispetto all’anno 1990, nel periodo 2008-2012. Oltre alla Francia, cui viene richiesta semplicemente la stabilizzazione delle emissioni, ad alcuni paesi viene consentito un aumento controllato delle emissioni, che va dal 4% assegnato alla Svezia al 27% concesso al Portogallo. I 10 Stati membri entrati a far parte dell’UE nel 2004 hanno anch’essi ratificato il protocollo e hanno loro propri obiettivi.

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livello di emissioni pro-capite. Alla delegazione statunitense invece appariva sufficiente assestarsi entro il 2008-2012 ai livelli del 1990 e soprattutto

riteneva

imprescindibile

l’accettazione

delle

medesime

condizioni anche da parte dei paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli di nuova industrializzazione132. Tali riserve hanno portato alla mancata ratifica del Protocollo da parte del Congresso statunitense e alle conseguenti difficoltà per la sua entrata in vigore133, avvenuta soltanto il 16 febbraio 2005 a seguito della ratifica della Federazione Russa.

Naturalmente

l’assenza del principale produttore mondiale di gas serra contribuisce a impoverire ulteriormente un accordo che già era stato giudicato particolarmente debole da buona parte della comunità scientifica. Secondo molti esperti il Protocollo d Kyoto, lungi dal riuscire a ridurre effettivamente la concentrazione di gas serra nell’atmosfera, potrà soltanto limitarne l’aumento134, anche qualora ne fosse data completa esecuzione all’interno del periodo considerato. Naturalmente va tenuta in debita considerazione la notevole importanza politica del documento, che ha visto, per la prima volta, la disponibilità della maggioranza della comunità internazionale a ridurre concretamente le proprie emissioni, con tutti i costi che tale impegno inevitabilmente comporta per l’economia di un paese.

5. Il dopo Rio La Conferenza di Rio de Janeiro ha rappresentato una pietra miliare nell’evoluzione del diritto internazionale dell’ambiente, consacrandone l’integrazione con le politiche di sviluppo economico, in quello che è ormai 132

Si consideri che soltanto la Cina, che già oggi contribuisce a circa il 12% delle emissioni di gas serra, qualora mantenesse l’attuale tasso di crescita economica giungerebbe entro il 2017 al 25%, attuale tasso di emissioni degli Stati Uniti. 133 L’art. 25 par. 1 prevede che il protocollo entrerà in vigore il novantesimo giorno successivo al deposito del cinquantacinquesimo strumento di ratifica da parte dei paesi firmatari che rappresentino almeno il 55% delle emissioni di biossido di carbonio del 1990. 134 L‘aumento dei gas serra nel periodo considerato è stato stimato attorno al 45% rispetto ai livelli del 1990. Si calcola che il Protocollo potrebbe ridurlo al 29%. Cfr. JACOANGELI, La Conferenza di Kyoto sui cambiamenti climatici, in MARCHISIO, RASPADORI, MANEGGIA, op. cit., p. 49 e ss.

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lecito considerare un nuovo ordine ecologico internazionale fondato sul diritto internazionale dello sviluppo sostenibile. In tal senso il vertice è stato un momento creativo di importanza sostanziale per lo sviluppo del diritto internazionale, soprattutto, come vedremo meglio in seguito, se confrontato con il successivo vertice di Johannesburg. I documenti adottati a Rio hanno avuto una rilevanza fondamentale sia in termini giuridici che politici e sono serviti da sprone per il conseguimento di importanti risultati anche in altri campi della protezione ambientale, primo fra tutti l’adozione, il 17 giugno 1994, della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (United Nations Convention to Combat Desertification, UNCCD135), caldamente auspicata dal cap. 12 di Agenda 21, ed entrata in vigore il 26 dicembre del 1996. La Convenzione costituisce un esempio eloquente della rinnovata consapevolezza della necessità di un approccio integrato alla protezione ambientale, considerata la dimensione globale della maggior parte delle problematiche ad essa inerenti. Pertanto viene ulteriormente ribadita l’essenzialità della cooperazione internazionale in materia, ma completamente innovata dalla complementarietà con il principio delle responsabilità comuni ma differenziate136, venendo quindi a delineare una prospettiva altamente progredita, mirante al conseguimento dell’uguaglianza sostanziale attraverso il riconoscimento della necessità di forme di disuguaglianza compensatrice. Altri risultati decisamente positivi sono stati il rafforzamento del ruolo della società civile, l’incremento della consapevolezza dell’opinione pubblica e del coordinamento e della coesione di quanti si battono per l’effettiva realizzazione dello sviluppo sostenibile. E’ questo il principale pregio che la Dichiarazione dei Rio delle ONG riconosce ad un vertice giudicato nel complesso in maniera piuttosto negativa137, alla luce 135

Consultabile sul sito ufficiale della Convenzione: www.unccd.int (pagina base). La Convenzione prevede un meccanismo di assistenza finanziaria, in base al quale i paesi sviluppati si impegnano a rendere disponibili risorse finanziarie sostanziali per sostenere lo sforzo dei paesi in via di sviluppo maggiormente colpiti dal fenomeno della desertificazione. I paesi esposti alla desertificazione, da parte loro, si impegnano a preparare programmi nazionali di lotta alla desertificazione e a dare ad essa adeguata priorità nella definizione delle proprie politiche ambientali e di sviluppo. 137 Parallelamente all’UNCED si è svolto il Global Forum, un incontro mondiale delle organizzazioni non governative impegnate sui temi ambientali e dello sviluppo. Al forum 136

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dell’incapacità di giungere all’adozione di un vero e proprio trattato di portata generale sullo sviluppo sostenibile, sottraendosi agli interessi economici dominanti e alle prevalenti logiche di potere. Fra il 23 e il 28 giugno del 1997, a distanza di cinque anni dall’UNCED, l’Assemblea Generale, riunita nella diciannovesima sessione speciale (UNGASS), in seguito ribattezzata “Earth Summit + 5”, ha approvato la risoluzione S/19-2138 a cui è allegato il “Programma per l’ulteriore attuazione di Agenda 21”, elaborato dalla Commissione per lo sviluppo sostenibile. Il contributo dell’UNGASS all’evoluzione del principio dello sviluppo sostenibile è stato decisamente modesto. In primo luogo non si è riusciti a pervenire ad un accordo riguardo ad una solenne dichiarazione politica dei Capi di Stato e di governo (Political Statement), che è stata inserita all’interno della risoluzione come semplice dichiarazione d’intenti sminuendone la portata politica e giuridica. In secondo luogo l’obiettivo del summit non era la rinegoziazione dei contenuti degli atti adottati a Rio, quanto la rivitalizzazione degli impegni ivi contenuti e la valutazione dei progressi compiuti nei cinque anni trascorsi. In tal senso va riconosciuto all’UNGASS il merito di aver proceduto ad una valutazione attenta ed imparziale, riferendosi all’applicazione dei principi in termini non certo entusiastici139. Concretamente, il principale contributo dell’UNGASS allo sviluppo del diritto internazionale dello sviluppo sostenibile è ravvisabile nell’integrazione della dimensione sociale nei due pilastri classici del concetto, lo sviluppo economico e la protezione ambientale. Tale concezione tripartita, emersa a causa degli effetti contraddittori della globalizzazione e contenuta nei risultati di diversi incontri internazionali140, hanno partecipato circa 2900 organizzazioni e al termine, oltre ad alcuni testi su questioni specifiche denominati “trattati”, hanno approvato una Dichiarazione a carattere generale di natura apertamente ecologista. Cfr. MARCELLI, Il Forum Globale delle ONG, in GARAGUSO, MARCHISIO, op. cit., p. 71 e ss.. 138 Consultabile sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org (pagina base). 139 Ad esempio, al par. 14: “While some progress has been made in implementing United Nations Conference on Environment and Development commitments through a variety of international legal instruments, much remains to be done to embody the Rio principles more firmly in law and practice.” (enfasi aggiunta). 140 Già presente nell’Agenda per lo sviluppo presentata da Boutros Ghali all’Assemblea Generale il 6 maggio 1994 ha trovato la sua massima espressione negli atti della Conferenza sullo sviluppo sociale tenutasi a Copenhagen dal 6 al 12 marzo 1995. E’ inoltre presente nei risultati della Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo del 1994, della

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viene riconosciuta dalla risoluzione come una delle strategie necessarie ad accelerare il progresso verso

lo sviluppo sostenibile141, al pari

dell’identificazione dei metodi di attuazione e dei settori prioritari su cui la comunità internazionale è chiamata a concentrare gli sforzi. Circa il problema dei mezzi necessari all’adempimento, la risoluzione focalizza l’attenzione sulle risorse e meccanismi finanziari142, sul trasferimento di tecnologie ambientalmente sane, sul rafforzamento della capacity-building a livello nazionale, sul libero accesso alle informazioni e sulla necessità di garantire una crescente consapevolezza e una formazione adeguata in materia. A riguardo, quindi, il Piano riprende l’impostazione adottata Rio senza apportarvi particolari innovazioni, salvo constatare il sostanziale stallo dei processi in questione. Al contrario, la definizione delle priorità d’attuazione143 risponde ad una delle principali debolezze di Agenda 21, quella di non aver indicato quali questioni risultino particolarmente urgenti nel quadro di oltre 2500 raccomandazioni rivolte ai governi144. Non si registra nessun progresso quanto al riconoscimento del legame intercorrente tra il diritto allo sviluppo sostenibile e i diritti fondamentali della persona umana145. I sintesi i risultati dell’UNGASS confermano che l’attuazione degli obiettivi delineati a Rio necessita un processo graduale e molto complesso e

IV Conferenza di Pechino sulle donne del 1995 e della Conferenza sugli insediamenti umani di Istanbul del 1996. 141 Cfr. par. 22 e ss. della risoluzione. 142 A tale proposito ribadisce la necessità di destinare all’ODA lo 0,7% del PNL, ma senza riuscire a stabilire un calendario dei scadenze, conferma la centralità del GEF tra le istituzioni multilaterali competenti, rileva gli effetti negativi del debito estero e pertanto l’importanza di iniziative come l’HIPC (Highly Indebted Poor Countries Initiative) e sottolinea la necessità della stabilizzazione dei flussi di investimenti privati. 143 Il Piano individua sedici settori che richiedono un’azione urgente: risorse idriche, oceani e mari, foreste, energia, trasporti, atmosfera, sostanze chimiche tossiche, rifiuti pericolosi, rifiuti radioattivi, terra e agricoltura sostenibile, desertificazione e siccità, biodiversità, turismo sostenibile, piccoli Stati insulari in via di sviluppo, disastri naturali e disastri tecnologici 144 Sui risultati dell’UNGASS cfr. FERRAJOLO, Il programma dell’UNGASS e lo sviluppo sostenibile, in MARCHISIO,RASPADORI, MANEGGIA, op. cit., p. 25 e ss.. 145 Cfr. MARCHISIO, Il principio dello sviluppo sostenibile, cit., p. 61: “Del tutto vaghi sono i cenni al rapporto tra promozione dello sviluppo sostenibile, tutela dei diritti umani e democrazia, contenuti i un generico richiamo al par. 108 all’acceso all’informazione, alla più ampia partecipazione del pubblico ai processi decisionali e ai rimedi giurisdizionali, con evidente ripetizione del principio 10 della Dichiarazione di Rio.”

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testimoniano le difficoltà che la comunità internazionale attraversa nel consolidamento del principio dello sviluppo sostenibile.

6. Il Summit di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile Il vertice mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (World Summit on Sustainable Development, WSSD), tenutosi a Johannesburg dal 26 agosto al 4 settembre 2002, è stato, con oltre ventunmila partecipanti, la conferenza internazionale a più larga partecipazione della storia, grazie all’enfasi posta sulla necessità del coinvolgimento di tutti i componenti della società civile, i c.d. stakeholders. La loro presenza è stata ritenuta essenziale non soltanto durante la fase di produzione normativa e politica, ma anche, e soprattutto, per quanto riguarda la fase dell’attuazione degli obiettivi proposti, considerando l’approccio pragmatico degli atti adottati al termine del vertice. La risoluzione 55/199146, con cui l’Assemblea Generale promosse il vertice, si proponeva di attuare una revisione ed un bilancio dei progressi, osservabili a dieci anni dall’UNCED, fatti nel lungo cammino verso lo sviluppo sostenibile e di rilanciarne i principali obiettivi. A differenza della risoluzione 44/228, la quale conteneva un’ esplicita esortazione a definire i diritti ed i doveri degli Stati in campo ambientale, la 55/199 non fa alcun riferimento allo sviluppo di un quadro normativo per lo sviluppo sostenibile, né per il diritto internazionale in generale, presentando quindi il WSSD come un Summit of Implementation, finalizzato all’attuazione concreta dei risultati di Rio e all’effettiva applicazione dei principi ivi emersi. Conseguentemente, dei due atti adottati al termine della conferenza, è il Piano d’azione147 (Plan of Implementation) e non la Dichiarazione politica148 ad avere maggiore rilevanza. La Dichiarazione ha la funzione di garantire il 146

La risoluzione, intitolata “A ten-year review of progress achieved in the implementation of the outcome of the United Nations Conference on Environment and Development”, è consultabile sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org (pagina base). 147 Ibidem 148 Ibidem

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necessario sostegno politico al Piano, enfatizzando alcuni aspetti ritenuti sostanziali, quali ad esempio la continuità tra Stoccolma, Rio e Johannesburg, ma non apporta alcunché di innovativo al quadro dei principi relativi allo sviluppo sostenibile. Contrariamente, il Piano d’azione è un documento sostanzioso, negoziato intensivamente per più di nove mesi e articolato in undici capitoli e in 170 paragrafi. Nonostante nel corso delle conferenze preparatorie si fosse giunti ad un accordo su circa tre quarti del testo del piano, rimanevano da discutere alcune tra le questioni più controverse, in particolare l’accesso all’acqua potabile e ai servizi sanitari, i sussidi per le energie rinnovabili, la perdita della biodiversità e i cambiamenti climatici, l’impatto dei prodotti chimici sulla salute, la gestione delle risorse ittiche, l’attuazione dei principi di Rio, il finanziamento dello sviluppo sostenibile e gli effetti che su di esso ha il commercio internazionale. Durante il processo negoziale si sono scontrati essenzialmente tre gruppi di Stati, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e il G77 insieme alla Cina. Gli Stati europei, schierati sul fronte di una più efficace protezione ambientale, si sono opposti alle antitetiche posizioni statunitensi. Il G-77 ha finito per costituire l’ago dello bilancia. Naturalmente interessato ad enfatizzare la dimensione sociale ed economica dello sviluppo sostenibile, ha preferito schierarsi da una parte o dall’altra a seconda delle questioni trattate, tendendo comunque ad opporre resistenza all’adozione di obiettivi efficaci in materia ambientale149. Il Piano d’azione è il frutto di tale contrasto di interessi. 149

In tal senso risulta emblematico il comportamento tenuto dal G 77 durante i negoziati relativi al principio precauzionale (cfr. infra). Durante la quarta sessione del Comitato Preparatorio a Bali, la delegazione svizzera, al fine di ottenere il supporto dei paesi in via di sviluppo, propose di collegare il principio di precauzione a quello delle responsabilità comuni ma differenziate, dal momento che entrambi presentavano alcune ambiguità, avevano subito una certa evoluzione dopo Rio e vedevano schierati due gruppi di Stati su posizioni opposte. Una volta che un accordo venne raggiunto riguardo al principio delle responsabilità comuni ma differenziate, il G 77 sposò la tesi delle delegazioni statunitense, giapponese e australiana, opponendosi alla codificazione dell’evoluzione del principio precauzionale. “In fact, the G77/China had shown some flexibility on precaution only as long as it needed the support of the European countries to get an agreement on common but differentiated responsibilities, but once this issue was resolved, fears prevailed in the G77/China that an undue broadening of the concept of precaution would open the door to its misuse for protectionist purposes.” Cfr. PERREZ, The World Summit on Sustainable Development: Environment, Precaution and Trade – A Potential for Success and/or Failure, in RECIEL, 2003, p. 17 e ss.

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Nell’introduzione vengono specificati gli obiettivi del Piano, facendo riferimento all’attuazione, oltre che dei documenti d Rio, anche del Piano d’azione dell’UNGASS, della Millennium Declaration150 ed in generale dei maggiori accordi internazionali e dei risultati delle più importanti conferenze tenutesi dal 1992, richiamando implicitamente, tra gli altri, gli esiti della IV Conferenza ministeriale di Doha dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC)151 del novembre 2001 e della Conferenza internazionale sui finanziamento per lo sviluppo152, tenutasi a Monterrey nel marzo del 2002. Gli obiettivi e le priorità indicati in entrambi i vertici saranno richiamati più volte lungo tutto il documento, ed in maniera particolare all’interno dei capitoli sulla globalizzazione e sul commercio. Al par. 2153 viene confermata la concezione multidimensionale dello sviluppo sostenibile, già emersa durante l’UNGASS, dove la tensione tra sviluppo economico e protezione ambientale viene integrata dal terzo pilastro interdipendente, lo sviluppo sociale. Il cap. 2 è dedicato alla lotta alla povertà e riprende sostanzialmente gli obiettivi della Millennium Declaration oltre all’impegno di creare un fondo di assistenza allo sviluppo. Tale proposta è stata fortemente osteggiata da molti paesi europei, alla luce del fatto che molti impegni finanziari sono

150

Si tratta della risoluzione 55/2 dell’Assemblea Generale, del 18 settembre 2000, con la quale gli Stati membri delle Nazioni Unite si impegnano a raggiungere, entro il 2015, i c.d. “Millennium Development Goals”, tra cui il dimezzamento delle persone che vivono sotto la soglia di povertà, l’accesso all’acqua potabile, all’istruzione e ai servizi sanitari di base. Obiettivi da attuarsi tramite l’integrazione dello sviluppo sostenibile nelle politiche nazionali, la promozione di una partnership globale per lo sviluppo fondata su un sistema finanziario e commerciale trasparente e non discriminatorio e sulla diffusione e l’utilizzo delle nuove tecnologie. I testo della risoluzione può essere consultato sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org (pagina base). 151 La Dichiarazione ministeriale di Doha, WTO doc. WT/MIN(01)/DEC/1, del 20 novembre 2001, consultabile sul sito dell’OMC: www.wto.org (pagina base). 152 Il Monterrey Consensus, consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). 153 “To this end, we commit ourselves to undertaking concrete actions and measures at all levels and to enhancing international cooperation, taking into account the Rio principles, including, inter alia, the principle of common but differentiated responsibilities (…). These efforts will also promote the integration of the three components of sustainable development — economic development, social development and environmental protection — as interdependent and mutually reinforcing pillars. Poverty eradication, changing unsustainable patterns of production and consumption and protecting and managing the natural resource base of economic and social development are overarching objectives of, and essential requirements for, sustainable development.”

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già stati presi e non rispettati, primo tra tutti quello di destinare lo 0,7% del PNL all’ODA. Particolarmente innovativo è il capitolo 3, dedicato alla necessità di modificare gli attuali modelli di produzione e consumo insostenibili, incoraggiando schemi fondati sull’eco-efficienza. Al par. 18 troviamo una delle novità più interessanti di tutto il Piano, il riconoscimento dell’importanza della responsabilità delle imprese in campo sociale e ambientale. Per quanto le imprese vengano semplicemente incoraggiate ad autoregolamentarsi su base volontaria, la questione rappresenta, almeno a livello concettuale, un enorme passo avanti verso la tutela de primo e del terzo pilastro dello sviluppo sostenibile. Il cap. 4, relativo alla protezione e alla gestione delle risorse naturali, non apporta novità significative alle disposizioni di Agenda 21, ma promuove la necessità di un approccio ecosistemico integrato alla loro gestione ed enfatizza il ruolo di pietre miliari delle tre convenzioni adottate durante e dopo Rio, ottenendone il riconoscimento formale anche da parte di Stati che non ne sono membri154. I capitoli dal 5 al 9, attinenti rispettivamente alla globalizzazione, alla salute, ai piccoli Stati insulari in via di sviluppo, all’Africa e alle iniziative regionali per lo sviluppo sostenibile, sono formulati in termini molto blandi e con un linguaggio estremamente generico e non apportano particolari novità a quanto già previsto da Agenda 21. Analogamente, il cap. 11, riguardante i meccanismi istituzionali, insiste nel sottolineare l’importanza del ruolo delle istituzioni competenti in materia, quali l’Assemblea Generale, il Consiglio Economico e Sociale, l’UNEP,

la Commissione per lo sviluppo sostenibile, la necessità del

coordinamento con le altre organizzazioni internazionali e del rafforzamento i meccanismi istituzionali regionali e nazionali.

154

Cfr. PERREZ, op. cit., p.15: “Not all States are members of these regimes, and the WSSD’s confirmation of the concepts and commitments agreed previously only within specific regimes may be seen as an expansion of these commitments to all States, this broad confirmation and support of the achievements of the international climate change and biodiversity processes is a milestone.”

70

Anche il cap. 10, relativo ai mezzi di attuazione, ribadisce per l’ennesima volta gli impegni presi a Rio a destinare lo 0,7% del PNL all’ODA, a sostenere i flussi di investimenti pubblici e privati, a ridurre i debito estero, a favorire il trasferimento di tecnologie innovative. Richiama inoltre il principio 10 sulla partecipazione della società civile e il principio 16 sulla valutazione di impatto ambientale. Ma le questioni di maggiore interesse, nonché alcune tra quelle maggiormente

dibattute,

riguardano

l’applicazione

del

principio

precauzionale e il chiarimento dei rapporti tra gli accordi ambientali multilaterali (Multilateral Environmental Agreements, MEAs) e la disciplina dell’OMC. Riguardo al principio di precauzione, il negoziato fu incentrato sullo status legale della precauzione e sull’opportunità di riportare nel Piano l’evoluzione del concetto durante i dieci anni successivi a Rio. Circa il primo aspetto si trattava di decidere se definire la precauzione come un principio o come un approccio. L’Unione Europea proponeva la prima impostazione al fine di sottolineare lo status di diritto consuetudinario del concetto, mentre Stati Uniti e l’Australia si ponevano su posizioni diametralmente opposte, propendendo per la definizione di semplice approccio. Riguardo all’evoluzione della precauzione, come abbiamo già visto relativamente al Protocollo di Cartagena, si trattava di stabilire se riconoscerne l’applicabilità anche in relazione a misure per la protezione della salute umana, in caso di semplice potenziale effetto avverso e non di danno serio e irreversibile, nonché se eliminare il requisito della proporzionalità rispetto ai costi delle misure in questione155. Il compromesso raggiunto faceva riferimento alla precauzione come ad un approccio, poiché parve che la distinzione avesse valore più a livello semantico che sostanziale, considerato che di fatto molti autori e molti Stati europei già attribuivano alla precauzione valore di diritto consuetudinario156. In secondo luogo, si decise di non inserire nel testo del Piano l’evoluzione del concetto, 155

Un’impostazione più o meno analoga può essere riscontrata anche all’art. 5 dell’Accordo sulle Misure Sanitarie e Fitosanitarie dell’OMC e agli artt. 1, 5 e 8 della Convenzione di Stoccolma del 2001 sugli inquinanti organici persistenti. 156 Cfr. PERREZ, op. cit., p. 15, nota 33.

71

poiché essa è presente soltanto in alcuni strumenti giuridici ed è formulata in maniera differente. Ma questo approccio apparentemente conservatore157, che vede la riaffermazione letterale di tutto il principio 15 della Dichiarazione di Rio, evidenzia l’esistenza di un consenso generalizzato su tale formulazione e sul suo valore giuridico, contribuendo ulteriormente alla cristallizzazione del principio nel diritto internazionale consuetudinario158. Il rapporto tra il commercio internazionale e lo sviluppo sostenibile è stato risolto in favore di quest’ultimo. Durante i negoziati fu presentata una proposta che stabiliva chiaramente un rapporto gerarchico, anteponendo la normativa dell’OMC a quella relativa ad ambiente e sviluppo, attraverso la previsione della necessaria coerenza della seconda con la prima. Tale riferimento fu eliminato successivamente, grazie all’intervento della Svizzera e della Norvegia che riuscirono a rompere la compattezza del G77, ottenendo anche l’appoggio di Canada e Ungheria. Al par. 97 si richiede agli Stati di garantire il reciproco sostegno tra commercio,

ambiente

e

sviluppo

tenendo

in

considerazione

il

raggiungimento dello sviluppo sostenibile, attraverso l’operato del Comitato su Commercio e Ambiente (Commitee on Trade and Environment, CTE), del Comitato su Commercio e Sviluppo (Commitee on Trade and Development, CTD), la cooperazione internazionale e l’attuazione del programma di lavoro sui sussidi elaborato a Doha. Il par. 98159presenta una formulazione altamente avanzata e progredita, che capovolge il rapporto gerarchico precedentemente paventato. Infatti, da un lato gli Stati sono 157

Par. 109 f) : “Promote and improve science -based decision -making and reaffirm the precautionary approach as set out in principle 15 of the Rio Declaration on Environment and Development, which states: “In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost -effective measures to prevent environmental degradation.” 158 Cfr. PERREZ, op. cit., p. 18: “Interestingly, the fact that the WSSD does not reflect the further development of precaution in specific areas such as chemicals, biosafety and WTO may have a surprising effect. (…) [it] can be seen as an expression of an existing consensus on the legal force of that principle. Thus, by focusing on the broadly accepted elements of precaution, the WSSD may have contributed more to the further crystallization of Principle 15 into customary international law, than by making reference to specific and diverse development, which apply only to specific areas.” 159 “Promote mutual supportiveness between the multilateral trading system and the multilateral environmental agreements, consistent with sustainable development goals, in support of the work programme agreed through WTO, while recognizing the importance of maintaining the integrity of both sets of instruments” (corsivo aggiunto).

72

nuovamente chiamati ad assicurare il reciproco supporto tra il sistema commerciale multilaterale e i MEAs, nonché a riconoscere l’integrità di entrambi i sistemi e peraltro in supporto del programma di lavoro concluso all’interno dell’OMC. Ma dall’altro la necessità di garantire la coerenza dei due sistemi con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, sottolinea che la promozione del libero commercio non deve affatto essere considerata come un fine in quanto tale, ma semplicemente uno strumento per raggiungere l’obiettivo sovrastante dello sviluppo sostenibile, il quale dovrebbe essere quindi anche la funzione ultima della stessa OMC. Inoltre, specificando la necessità di mantenere l’integrità di entrambi i sistemi, si intende precisare che l’uno deve portare rispetto alle competenze dell’altro e che pertanto le questioni ambientali non dovrebbero essere risolte all’interno dell’OMC, né l’OMC dovrebbe valutare la compatibilità dei MEAs con la propria normativa. In conclusione, identificando lo sviluppo sostenibile come fine ultimo si assume che i rapporti OMC-MEA dovrebbero essere governati dai principi del sostegno reciproco, dell’assenza di gerarchia e del mutuo rispetto160. Naturalmente la realtà dei fatti, che, dal 1992, ha visto crescere enormemente la normativa commerciale e la sua efficacia, mentre parallelamente ha mostrato tutte le difficoltà incontrate dalla comunità internazionale nella negoziazione e nell’adempimento degli accordi ambientali, per non parlare di quelli in materia sociale, dimostra come l’integrazione tra i tre pilastri dello sviluppo sostenibile sia ben lontana dall’essere stata concretamente realizzata. Mostra invece, considerato il primato de facto del diritto internazionale commerciale, come si sia verificata un’integrazione in senso monodirezionale161.

160

Cfr. PERREZ, op. cit., p. 20 e ss. Cfr. PALLEMAERTS, International Law and Sustainable Development: Any progress in Johannesburg?, in RECIEL 2003, p. 10: “The Preamble of the 1994 Marrakesh Agreement Establishing the WTO acknowledges the importance of policy integration (…), but the lingering tensions between national and international environmental and social policies and the multilateral trading system demonstrate that the WTO’s commitment to sustainability has been mainly rhetorical so far. The Doha Ministerial Conference in November 2001 launched a major new round of multilateral negotiations, designed to further expand the scope and reach the WTO law. No comparable effort to strengthen international environmental and social standards at the beginning of the new millennium seems to be in the offing.” 161

73

In generale al Piano d’azione di Johannesburg va riconosciuto il merito di riconfermare e rilanciare l’impegno della comunità internazionale verso lo sviluppo sostenibile, di consolidare e confermare i progressi ottenuti nei dieci anni trascorsi da Rio e di provvedere a delineare alcuni obblighi talvolta anche piuttosto specifici, con obiettivi e scadenze temporali concreti, che, per quanto inquadrati in uno strumento di soft law, costituiscono dei passi avanti nel quadro della protezione ambientale rispetto agli impegni di Rio. In particolare risultano degni di nota, al par. 15, la previsione di un quadro decennale per il supporto delle iniziative nazionali e regionali per la promozione di modelli di produzione e consumo sostenibili, al par. 26, l’impegno a sviluppare dei piani per la gestione integrata delle risorse idriche entro il 2005 e, al par. 23, la gestione sostenibile dei prodotti chimici e de rifiuti pericolosi. Inoltre appaiono molto significativi i continui riferimenti al coinvolgimento degli stakeholders nel processo di attuazione, attraverso le c.d. “Type II Partnerships”, ovvero alleanze e progetti di cooperazione concreta su specifiche questioni tra entità statali e non, come ONG, comunità locali o imprese, destinate ad avere con ogni probabilità un ruolo chiave nell’attuazione dello sviluppo sostenibile. Come durante il vertice di Rio, le ONG hanno dato vita ad un Global Forum parallelo, contribuendo al dibattito in maniera particolarmente produttiva. Il giudizio espresso dal forum delle ONG sui risultati finali del vertice ufficiale è alquanto sfavorevole. Per quanto siano state toccate tematiche di rilevanza sostanziale, non si è riusciti ad affrontarle in maniera incisiva, utilizzando la falsariga offerta da atti di diversa natura, come la Dichiarazione di Doha e il Monterrey Consensus, che lasciano poco spazio all’evoluzione dei temi della tutela ambientale e dello sviluppo sociale. Del resto molti paesi, primi tra tutti gli Stati Uniti, erano giunti a Johannesburg con il chiaro obiettivo di non concordare alcunché di nuovo162. 162

Cfr. STEINER, NGO Reflections on the World Summit: Rio + 10 or Rio – 10?, in RECIEL, 2003, p. 37: “Most NGOs were in agreement – albeit to differing degrees – that the summit failed to take the broad-based action necessary to make a real difference in the delivery of sustainable development. The real value added by such a summit tat happens once a decade is to address critical global challenges in the light of all facets of the sustainable development agenda. This includes issues that are not dealt with elsewhere,

74

In conclusione, bisogna considerare che, data la scarsa ambizione del mandato, i risultati andranno valutati nel lungo periodo e dipenderanno dalle azioni future, dalla volontà politica di adempiere agli impegni assunti. Sarà la storia a mostrare se durante la prossima conferenza internazionale sullo sviluppo sostenibile si potrà parlare di “Johannesburg + 10” o se invece si dovrà fare ancora riferimento al vertice di Rio. Alla luce della crescente tendenza all’unilateralismo degli Stati Uniti, del costante incremento delle disparità tra paesi industrializzati e in via di sviluppo, dell’effettivo inadempimento degli impegni assunti a Rio, pare poco realistico assumere posizioni troppo fiduciose.

such as sustainable financing, globalization, corporate accountability and reorienting the economic agenda towards sustainable development. These issues were touched upon in Johannesburg, but not in an in-depth manner, nor with any real result. Too many powerful counties and special interests were intent on maintaining the status quo. In some cases, the summit story was even worse, with issues already agreed elsewhere being opened up anew for debate. Some key problems were a broad lack of political will, poor organization of the PrepCom’s work, and using previously agreed documents as a blockade to progress.”

75

CAPITOLO II L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO: PRINCIPALI ASPETTI ISTITZIONALI PROCEDURALI E NORMATIVI

1. La genesi del sistema commerciale multilaterale: l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio del 1947 Il processo storico che ha portato alla creazione di un sistema di regole per la disciplina del commercio internazionale e alla successiva istituzione di

un’organizzazione

internazionale

preposta

alla

loro

gestione,

l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), presenta delle caratteristiche singolari che meritano di essere brevemente rievocate163. L’istituzione di un’organizzazione diretta a gestire i rapporti commerciali tra Stati era stata prevista sin dalla fine della seconda guerra mondiale, quale terzo fondamentale pilastro dell’ordine economico internazionale, delineato nel 1944 durante la Conferenza di Bretton Woods, incentrato sulla dottrina del neoliberismo garantito. In tale sede si procedette a regolare gli aspetti monetari e finanziari delle relazioni economiche 163

Relativamente ai profili storico-istituzionali dell’evoluzione del diritto del commercio internazionale si veda in particolare: ADINOLFI, L’Organizzazione Mondiale del Commercio. Profili istituzionali e normativi, Padova, 2001, p. 5 e ss.; COCCIA, GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. VII, Torino, 1991, p. 77 e ss.; COMBA, Il neo liberismo internazionale. Strutture giuridiche a dimensione mondiale dagli accordi di Bretton Woods all’Organizzazione Mondiale del Commercio, Milano, 1995, p. 25 e ss.; JACKSON, The World Trade Organization: Constitution and Jurisprudence, Londra, 1998, p. 12 e ss.; PICONE, LIGUSTRO, Diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, Padova, 2002, p. 3 e ss.

76

internazionali, istituendo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS). Gli obiettivi di politica economica ritenuti prioritari nel periodo post-bellico erano

sostanzialmente l’ottenimento della piena occupazione, la

stabilizzazione dei tassi di cambio e l’espansione degli scambi commerciali. A tal fine si rivelava imprescindibile trovare una soluzione ad un triplice ordine di problemi: la ricostruzione del disastrato sistema monetario internazionale, il sostegno degli investimenti con finalità produttive e la cessazione delle pratiche protezionistiche e delle politiche di beggar thy neighbour, che, attraverso la logica bilaterale, l’imposizione di tariffe doganali,

restrizioni

quantitative,

sovvenzioni

all’esportazione

e

svalutazioni competitive, avevano caratterizzato il ventennio tra le due guerre. Il “sistema di Bretton Woods”, oltre ad affidare la gestione delle prime due questioni rispettivamente al FMI e alla BM, auspicava la creazione di un meccanismo

integrato

di istituzioni economiche

internazionali e in tal senso al termine delle Conferenze si raccomandò formalmente ai quarantaquattro Stati partecipanti di raggiungere al più presto un accordo sui mezzi più idonei a instaurare relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose.164 Nel febbraio del 1946, il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, in occasione della sua prima sessione, indisse la Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e occupazione, con l’obiettivo esplicito di costituire l’Organizzazione Internazionale del Commercio (International Trade Organization, ITO) quale istituto specializzato delle Nazioni Unite165. A tal fine venne istituito un Comitato preparatorio incaricato sia di predisporre il progetto di accordo istitutivo che di patrocinare i negoziati multilaterali mirati a ridurre le tariffe doganali, operazione che venne svolta durante la terza sessione del Comitato, conclusasi a Ginevra nell’ottobre del 164

Considerata l’intuitiva interdipendenza tra la libera circolazione delle merci e la liberalizzazione dei pagamenti, l’impegno a garantire l’espansione e lo sviluppo armonico del commercio internazionale rientra tra gli obiettivi esplicitamente attribuiti al FMI dall’art. 1 dell’Accordo istitutivo. Il testo dell’Accordo può essere consultato sul sito ufficiale del FMI, www.imf.org (pagina base). 165 Sulla natura degli Istituti specializzati e sui loro rapporti con le Nazioni Unite si veda CONFORTI, Le NazioniUnite, V ed., Padova, 1996, p. 236 e ss.

77

1947. La Conferenza su commercio e occupazione si tenne all’Avana tra il novembre del 1947 e il marzo del 1948 e durante i suoi lavori venne aperto alla firma degli Stati partecipanti l’accordo istitutivo dell’ ITO. Parallelamente, le liste di concessioni tariffarie risultanti dai negoziati di Ginevra, incorporate nella quarto capitolo della c.d. Carta dell’Avana166, furono utilizzate per dare vita ad un accordo internazionale a sé stante, il quale, in virtù di un accordo in forma semplificata, denominato Protocollo di applicazione provvisoria, rendesse immediatamente vincolanti tali concessioni, considerati i tempi necessari ai procedimenti di ratifica da parte dei singoli parlamenti nazionali167. Le disposizioni presenti nella quarta parte della Carta dell’Avana presero il nome di Accordo generale sulle tariffe e il commercio (General Agreement on Tariffs and Trade, GATT)168, che fu sottoscritto il 30 ottobre del 1947. Il GATT entrò in vigore il primo gennaio 1948 e le concessioni tariffarie in esso incluse divennero vincolanti per i ventitre Stati firmatari del Protocollo, al quale successivamente molti altri Stati aderirono169. 166

La Carta, il cui testo è consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base), constava di 106 articoli divisi in nove capitoli e di sedici allegati. Il capitolo maggiormente innovativo risultava essere il quinto, dedicato alle pratiche commerciali restrittive. In esso, per la prima volta in un trattato multilaterale, venivano analiticamente descritte le pratiche commerciali lesive della libera concorrenza poste in essere dalle imprese, nonostante, naturalmente, l’obbligo di evitare tali pratiche fosse posto in capo agli Stati membri e non alle imprese. Inoltre, la Carta faceva riferimento alle pratiche esercitate dalle imprese indipendentemente dalla loro natura giuridica, facendovi pertanto rientrare anche le imprese pubbliche. Infine, il divieto di pratiche commerciali restrittive veniva esteso, pur con alcune differenze, anche ad alcuni tipi di servizi, quali i trasporti, le assicurazioni, le telecomunicazioni ed i servizi bancari. Cfr. COMBA, Il neoliberismo, cit., p. 40 e ss. 167 L’entrata in vigore della Carta era stata subordinata al deposito degli strumenti di ratifica da parte di un numero di Stati tale da rappresentare almeno l’85% del volume globale degli scambi commerciali tra gli Stati firmatari. 168 Il testo dell’accordo è consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 169 Il GATT non ha mai raggiunto un numero di ratifiche sufficienti per la sua entrata in vigore e, durante in quarantasette anni durante i quali è rimasto il principale strumento giuridico relativo alle relazioni commerciali internazionali, ne è sempre stata data esecuzione tramite il Protocollo di applicazione provvisoria, incorporante il testo del GATT tramite un rinvio redazionale. Analogamente, gli Stati che vi hanno aderito in seguito hanno proceduto a stipulare accordi per l’applicazione provvisoria, denominati Protocolli di adesione. Si ritiene che tali atti debbano essere considerati veri e propri accordi internazionali a carattere definitivo, per quanto in dottrina siano stati avanzati dubbi relativamente alla loro efficacia. Difatti alcuni Stati, tra cui l’Italia, hanno preferito seguire la procedura di stipulazione solenne e hanno ottenuto l’autorizzazione all’adesione dai rispettivi organi legislativi (nel caso italiano venne emanata un’apposita legge di autorizzazione alla ratifica a di esecuzione dell’Accordo, la legge n. 295 del 5 aprile del 1950, successivamente confermata, per le modifiche intervenute, dalla legge n. 1307 del 7 novembre 1957), salvo poi procedere alla stipulazione del protocollo di adesione (l’Italia,

78

Negli anni immediatamente successivi, la sollecita negoziazione e la stipulazione di un accordo separato sulle tariffe doganali si rivelò particolarmente assennata, dal momento che divergenze inconciliabili, in particolar modo tra Stati Uniti e Gran Bretagna170, riguardo al sistema maggiormente idoneo a regolare gli scambi commerciali portarono all’abbandono del progetto. Nel dicembre del 1950 il governo statunitense annunciò formalmente la rinuncia a ottenere da Congresso l’autorizzazione alla ratifica, poco tempo dopo seguì un’analoga dichiarazione da parte della Gran Bretagna e conseguentemente tutti gli altri Stati firmatari seguirono il loro esempio. Restava il GATT, il quale, da semplice “costola” dell’ITO, si trovò a svolgere il ruolo sia di accordo di diritto materiale che di accordo istitutivo di un’organizzazione internazionale171. Dalla provvisorietà dovuta a tale procedimento costitutivo sui generis, dalla flessibilità del sistema normativo, dall’imponente numero di eccezioni contemplate e dalla scarsa incisività del sistema di risoluzione delle controversie derivarono i numerosi limiti del sistema. insieme ad altri 9 paesi, attraverso il Protocollo collettivo di Annency del 10 ottobre 1949), né mai la provvisorietà dell’accordo è stata invocata per giustificarne la violazione. Inoltre sia la Corte Internazionale di Giustizia che la Corte di Giustizia della Comunità Europea si sono espresse circa la natura di normale trattato multilaterale, definitivo e pienamente vincolante del GATT. Cfr. COCCIA, GATT, op. cit., p. 82 e ss.; GREPPI, WTO (World Trade Organization), in Aggiornamenti al Digesto delle Discipline Pubblicistiche, Torino, 2000, p. 720 e ss.; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 10 e ss. 170 Tali ragioni sono da ricondursi principalmente a preoccupazioni relative alla possibile lesione della sovranità nazionale delle due grandi potenze. L’affermazione del principio di non discriminazione e del divieto dei restrizioni quantitative, strenuamente sostenuti da parte statunitense, confliggeva con le necessità britanniche di mantenere il sistema delle preferenze imperiali e di poter utilizzare anche le restrizioni quantitative al fine di risolvere i problemi di bilancia dei pagamenti collegati a quelli del pieno impiego (si pensi che la Carta dell’Avana, all’art. 2, sottraeva esplicitamente al dominio riservato degli Stati anche le politiche relative all’occupazione, materia tradizionalmente appartenente a tale sfera, cfr. COCCIA, GATT, cit., p. 81). Va aggiunto che il Congresso americano era, dal 1948, a maggioranza repubblicana, da sempre orientata in senso maggiormente protezionistico, e inoltre, nello stesso periodo, le priorità di politica estera si stavano orientando verso la costituenda NATO e la gestione del Piano Marshall. 171 Non tutta la dottrina si trova concorde sulla possibilità di attribuire al GATT la qualifica di vera e propria organizzazione internazionale, per quanto una parte maggioritaria di essa si sia espressa in senso affermativo. Cfr. COCCIA, Dal GATT 1947 al GATT 1994: considerazioni generali e istituzionali, in SIDI, Diritto e organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, p. 83 e in particolare note 5 e 11. Per una sua caratterizzazione come organizzazione internazionale “debole” o “leggera” si veda PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 22 e ss.

79

Le maggiori incertezze furono riscontrate sul piano interno. In primo luogo, sulla base di tali presupposti, gli apparati giudiziari degli Stati membri negarono il carattere self-executing delle disposizioni dell’Accordo e pertanto la diretta applicabilità delle stesse172, rallentandone fortemente il processo di attuazione. In secondo luogo, il par. 1 b) del Protocollo del 1947 conteneva la c.d. clausola Grandfather, ai sensi della quale, relativamente all’adempimento della Parte II dell’Accordo contenente le più importanti norme di diritto materiale, veniva fatta salva tutta la legislazione interna antecedente alla data di adesione. Si trattava evidentemente di un’eccezione di non poco conto, che minava le fondamenta della certezza del diritto in materia, venendosi a delineare una normativa ad hoc per ogni singolo Stato. Le stesse conseguenze erano attribuibili al frazionamento del quadro normativo ( la c.d. “balcanizzazione”) che caratterizzava l’Accordo173. Difatti, da un lato, alla vigilia dell’Uruguay Round le parti contraenti erano passate da 23 a 92, dall’altro sotto l’egida del GATT erano stati stipulati più di 200 accordi separati e autonomi, che non erano stati firmati dalla totalità degli Stati membri. Si veniva quindi a creare il c.d. fenomeno del free-riding, in ragione del fatto che la clausola della nazione più favorita, prevista dall’art. I del GATT, estendeva automaticamente a tutti gli Stati membri i benefici derivanti dagli accordi separati, mentre i rispettivi oneri incombevano soltanto sugli Stati che ad essi si erano esplicitamente vincolati. Infine, la limitatezza e la debolezza dell’apparato istituzionale, anche alla luce della 172

Tale orientamento venne seguito dalla quasi totalità degli Stati membri con la sola eccezione dell’Italia, la quale, relativamente alle norme ritenute self-executing, ammetteva l’efficacia diretta delle medesime e quindi la loro idoneità a produrre diritti e obblighi direttamente azionabili dagli individui. L’ordinamento italiano continuò a seguire tale impostazione fino alla metà degli anni 70, quando la Corte di Giustizia delle Comunità Europee si espresse circa la mancanza di effetti diretti dell’accordo nell’ordinamento comunitario. Con tale constatazione venne sancita anche l’inidoneità del GATT a fungere da parametro di legittimità del diritto comunitario derivato. Pertanto la mancata attribuzione dell’efficacia diretta condizionò il rango delle disposizioni del medesimo a livello comunitario, mentre negli Stati membri venne assicurata la prevalenza delle norme dell’Accordo rispetto alle norme interne confliggenti, anche se successive. Sulla questione cfr. ampiamente PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 545 e ss. 173 Un’analoga considerazione deve essere fatta riguardo alla prassi sviluppatasi relativamente all’acquisto dello status di membro del GATT. Cfr. ADINOLFI, op. cit., p. 20 e ss.

80

notevole evoluzione174 che lo ha caratterizzato, ha fortemente circoscritto la capacità operativa dell’organizzazione.

1.2. La struttura istituzionale del GATT L’unico organo originariamente previsto dall’Accordo generale, ai sensi dell’art. XXV, par. 1175, consiste nelle “parti contraenti agenti collettivamente”

e

viene

denominato

“PARTI

CONTRAENTI”.

All’organo, in tutto simile a una conferenza di Stati, era attribuita una competenza generale ed era previsto un sistema di votazione a maggioranza semplice, salvo prescrivere maggioranze qualificate per questioni di particolare rilevanza176. Già a partire dal 1950 questo sistema è stato abbandonato in favore della prassi del consensus. Tale meccanismo implica l’adozione di un atto, senza una formale votazione, qualora non vengano sollevate esplicite obiezioni, con l’ovvia conseguenza che ad ogni Stato viene conferita la possibilità di bloccare una decisione. Nel giugno del 1960, dopo vari tentativi di ovviare alle carenze istituzionali del sistema177, le PARTI CONTRAENTI decisero di istituire, 174

Sulla questione si veda, in particolare, COCCIA, GATT, cit., p. 84 e ss.; COMBA, Il neoliberismo, cit., p. 158 e ss. 175 “Representatives of the contracting parties shall meet from time to time for the purpose of giving effect to those provisions of this Agreement which involve joint action and, generally, with a view to facilitating the operation and furthering the objectives of this Agreement. Wherever reference is made in this Agreement to the contracting parties acting jointly they are designated as the CONTRACTING PARTIES.” 176 Ad esempio per la concessione di deroghe agli obblighi dell’Accordo, ex art. XXV, par. 5, viene richiesto sia la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, sia che in tale maggioranza siano compresi voti di più della metà delle parti contraenti. Anche per l’entrata in vigore degli emendamenti (art. XXX) sono necessari i due terzi, ma questi vincolano solo le parti che li hanno accettati, mentre per emendare la Parte I dell’accordo (artt. I e II) è richiesta l’unanimità. La particolare onerosità della procedura ha fatto si che lo sviluppo del sistema normativo si sia realizzato principalmente tramite il ricorso a norme di secondo grado (emanate dagli organi dell’organizzazione e incapaci di incidere sulle disposizioni primarie dell’Accordo) o grazie alla prassi applicativa. La procedura di emendamento è stata usata per l‘ultima volta nel 1964 in occasione dell’aggiunta della Parte IV su “Commercio e Sviluppo” , mentre l’evoluzione normativa si è realizzata ad opera di accordi separati, l’esempio più eloquente dei quali è costituito dai codici del Tokio Round (v. infra). 177 In tal senso l’esempio più eloquente è costituito dall’adozione, durante la sessione del 1954-55, del trattato istitutivo dell’Organizzazione per la cooperazione commerciale (Organization for Trade Cooperation, OTC). Il progetto presentava caratteristiche meno ambiziose di quelle dell’ITO, ma le ragioni politiche che portarono al fallimento della

81

sulla base dell’art. XXV, par. 1, il Consiglio dei Rappresentanti. Si considera che tale atto rappresenti il momento di transizione del GATT da semplice accordo multilaterale amministrato da una conferenza di Stati a vera e propria organizzazione internazionale178, caratterizzata dalla tipica struttura ternaria dei suoi organi. Al Consiglio erano attribuite funzioni esecutive, per quanto le sue prerogative non si discostassero in maniera sostanziale da quelle dell’organo a cui era subordinato179 e di cui doveva gestire le attività tra una sessione e l’altra. La composizione e il meccanismo di voto del Consiglio erano analoghi a quelli delle PARTI CONTRAENTI, come, del resto, la successiva prassi di affidarsi al consensus per l’adozione delle decisioni. Anche il Segretariato del GATT si è formato grazie a un processo di progressiva

strutturazione

istituzionale.

Inizialmente

le

attività

amministrative erano demandate alla Commissione ad interim per l’Organizzazione Internazionale del Commercio (Interim Commission for the International Trade Organization, ICITO), e al Segretario esecutivo posto a capo della medesima. Nel 1965 le PARTI CONTRAENTI modificarono il titolo del Segretario esecutivo in quello di Direttore Generale,

cui

furono

assegnate,

oltre

alle

consuete

competenze

amministrative, anche funzioni di mediazione tra gli Stati membri. Nel sistema GATT rivestono un ruolo estremamente rilevante i numerosi organi sussidiari180 chiamati a esaminare e sorvegliare determinati stessa provocarono anche l’abbandono dell’OTC. Le procedure dell’Accordo furono migliorate con l’istituzione del Comitato Intersessionale, un organo deputato alla gestione degli affari correnti tra una sessione e l’altra delle PARTI CONTRAENTI, poi stabilmente sostituito dal Consiglio dei Rappresentanti. Cfr. GREPPI, WTO, cit., p. 723. 178 Ibidem, p. 724. 179 Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 20: “(...) non si attuava la “divisione dei poteri” tra un organo deliberativo e di carattere plenario e un organo a composizione ristretta e con compiti strettamente esecutivi normalmente prevista dalle organizzazioni internazionali. Più che un organismo realmente distinto, il Consiglio era infatti, specialmente al principio, una sorta di alter ego delle PARTI CONTRAENTI, destinato a dare maggiore continuità alla loro azione coprendo i “vuoti” intersessionali.” 180 Merita di essere ricordata l’istituzione del Gruppo consultivo dei diciotto ad opera del Consiglio dei Rappresentanti, nel 1975. Tale organo avrebbe dovuto assumere un ruolo di particolare rilievo. Composto dai rappresentanti governativi a livello ministeriale di sei stai industrializzati, sei in via di sviluppo e sei scelti tra i rimanenti, avrebbe dovuto svolgere un’importante funzione di indirizzo politico con particolare riferimento alla congruità della normativa GATT con le esigenze politico economiche dei membri e al coordinamento con le attività del FMI. Di fatto il Gruppo non ha mai acquisito la rilevanza di primo piano che

82

aspetti del sistema commerciale. In primo luogo vi sono diversi comitati permanenti preposti a esaminare in modo continuativo questioni che rivestono uno specifico interesse, in particolare il Comitato su commercio e sviluppo, quello sulle restrizioni quantitative, quello sulla bilancia dei pagamenti, quello sulle misure di salvaguardia, quello sull’agricoltura e quelli previsti dai Codici del Tokyo Round181. Viceversa i gruppi di lavoro rivestono carattere temporaneo, sono composti da un numero ristretto di rappresentanti degli Stati membri e vengono istituiti ad hoc per l’esame di specifiche questioni. Dalla prassi di costituire di volta in volta tali gruppi è derivato il particolare sistema di soluzione delle controversie dell’Accordo. Il meccanismo consiste sostanzialmente in un procedimento di conciliazione, fondato sull’esame della controversia e sulla successiva stesura di un rapporto, da presentare alle PARTI CONTRAENTI, da parte di gruppi di esperti (panels), che si differenziano dai gruppi di lavoro in quanto i soggetti che li compongono agiscono a titolo individuale e non come rappresentanti dei rispettivi Stati. La scarna base normativa del procedimento è costituita dagli artt. XXII e XXIII, ma la continua evoluzione della prassi ha reso necessaria una sua codificazione durante il Tokyo Round attraverso una risoluzione delle PARTI CONTRAENTI182. Ai sensi del par. 1 dell’art.

XXIII183, la

avrebbe dovuto avere, ma ha comunque svolto un’importante funzione consultiva. Cfr. COCCIA, GATT, cit., p. 84 e ss. 181 Va notata la particolarità di questi ultimi. Quali espressioni di accordi autonomi questi non facevano parte dell’apparato istituzionale del GATT, a differenza degli altri organi sussidiari delle PARTI CONTRAENTI. Conseguentemente queste non avevano il potere di coordinarne le attività, limitandosi all’esame di un rapporto annuale inviato da detti organi. 182 Il testo della risoluzione, intitolata “Understanding Regarding Notification, Consultation, Dispute Settlement and Surveillance”, e dell’allegato, denominato “Agreed Description of the Costumary Practice of the GATT in the Field of the Dispute Settlement”, è consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 183 “If any contracting party should consider that any benefit accruing to it directly or indirectly under this Agreement is being nullified or impaired or that the attainment of any objective of the Agreement is being impeded as the result of (a)the failure of another contracting party to carry out its obligations under this Agreement, or (b)the application by another contracting party of any measure, whether or not it conflicts with the provisions of this Agreement, or (c)the existence of any other situation, the contracting party may, with a view to the satisfactory adjustment of the matter, make written representations or proposals to the other contracting party or parties which it

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condizione sufficiente e necessaria184 affinché uno Stato membro possa ricorrere al suddetto meccanismo è costituita dall’annullamento o dalla menomazione (nullification or impairment) di un qualunque vantaggio derivante dalla sua partecipazione al GATT. Dal punto di vista procedurale il meccanismo risulta articolato in cinque fasi. Una prima fase prevede negoziati e consultazioni tra le parti, sia nel caso in cui a una di esse sia stato arrecato un pregiudizio, ex art. XXIII, par. 1, sia in riguardo a qualunque altra questione relativa all’applicazione dell’Accordo, ex art. XXII. La seconda fase, fondata, come le successive, sul disposto del par. 2 dell’art. XXIII, prevede l’istituzione di un panel di esperti da parte del Consiglio185, su richiesta della parte interessata. Il Consiglio costituisce il panel tramite il ricorso al consensus e delimita l’oggetto della controversia stabilendo i termini di riferimento per il panel. Durante la terza fase, al panel spetta accertare i punti di diritto e di fatto e successivamente formulare conclusioni ed eventuali raccomandazioni in merito. La lettera dell’art. XXIII186 prevede che, durante la quarta fase, il Consiglio possa adottare a maggioranza semplice una raccomandazione oppure una decisione, con effetto vincolante per le parti. Tuttavia, nella prassi, tale differenza non è mai venuta in rilievo e per l’adozione del rapporto si è sempre fatto ricorso al consensus187. L’ultima fase del considers to be concerned. Any contracting party thus approached shall give sympathetic consideration to the representations or proposals made to it.” (enfasi aggiunta). 184 È una condizione necessaria perché non è ritenuta sufficiente l’esistenza della violazione di un obbligo perché possa sorgere la responsabilità internazionale dello Stato ed è una condizione sufficiente perché uno Stato è legittimato ad agire sulla base della mera esistenza di un danno, senza che rilevi in alcun modo un’eventuale condotta illecita di un altro Stato, il quale pertanto viene ritenuto responsabile nel senso lato di “liable” (cfr. ante, cap. 1, par. 1). Tuttavia l’illiceità della condotta, per quanto irrilevante dal punto di vista sostanziale, produce effetti importanti relativamente all’attribuzione dell’onere probatorio. Nel momento in cui uno Stato dimostra la violazione di un obbligo nei suo confronti vige la presunzione che gli sia stato arrecato un danno, conseguentemente sta allo Stato che ha commesso l’illecito riuscire a dimostrare che non è stato arrecato nessun effettivo pregiudizio. Sui presupposti sostanziali dell’art. XXIII si veda COCCIA, GATT, cit., p. 89 e ss. 185 Naturalmente il testo del GATT fa riferimento alle PARTI CONTRAENTI, e non al Consiglio dei Rappresentanti, riguardo alla titolarità della competenza contenziosa. Nella prassi, dal 1968, tale funzione è stata delegata al Consiglio. 186 “The CONTRACTING PARTIES shall promptly investigate any matter so referred to them and shall make appropriate recommendations to the contracting parties which they consider to be concerned, or give a ruling on the matter, as appropriate.” 187 Nonostante tale meccanismo attribuisca anche alla parte soccombente la possibilità di bloccare l’adozione del rapporto del panel, nella prassi gli atteggiamenti ostruzionistici non

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procedimento riguarda l’esecuzione di quanto indicato nel rapporto. Considerato che l’adozione dello stesso avviene, di fatto, con l’assenso della parte soccombente, si può ritenere che l’accettazione del rapporto abbia la funzione di accordo risolutivo della controversia. In caso di inadempimento o di adempimento eccessivamente tardivo o inadeguato la parte lesa può comunque essere autorizzata ad adottare contromisure proporzionate188.

1.3. Verso l’OMC: l’evoluzione del sistema GATT attraverso i “round” di negoziati multilaterali In base all’art. XXVIII-bis il GATT organizza delle conferenze multilaterali mirate a ridurre gli ostacoli tariffari e non tariffari al libero commercio internazionale, tradizionalmente denominate round. Le otto conferenze svoltesi sotto la sua egida hanno ampiamente confermato la funzione di forum negoziale come una delle più importanti dell’Accordo. I primi sei round189 hanno riguardato principalmente la riduzione dei dazi doganali, considerato l’alto livello tariffario del periodo post-bellico. Il settimo, svoltosi a Ginevra tra il 1973 e il 1979, noto come Tokyo Round, oltre ad aver raggiunto ulteriori importanti riduzioni tariffarie, ha visto

sono stati particolarmente numerosi. Cfr. COCCIA, GATT, cit., p. 93. Inoltre “Anche prescindendo poi dall’efficacia formale che ha un rapporto adottato per gli Stati che ne sono stati parti nel procedimento avanti al Panel, tutti i rapporti hanno un notevole valore di precedente “giurisprudenziale” e vengono frequentemente invocati dagli Stati per corroborare le loro pretese o per dare peso a determinate interpretazioni delle norme del GATT.” Ibidem. 188 Le contromisure istituzionali in questione furono adottate solo una volta. Nel 1952 l’Olanda fu autorizzata ad adottare misure di ritorsione nei confronti di alcune pratiche restrittive poste in essere dagli Stati Uniti nei confronti di alcuni prodotti lattieri. Normalmente si assisteva all’adozione di misure sanzionatorie unilaterali, fuori dal controllo degli organi del GATT. 189 Il primo round si è svolto a Ginevra nel 1947 e ha contribuito a raggiungere una riduzione media del livello tariffario del 20%. Il secondo, svoltosi a Annency tra il 1949 e il 1951, ha condotto a un’ulteriore riduzione del 2%. Il terzo (Torquay 1950-51) e il quarto (Ginevra 1955-56) non hanno prodotto risultati particolarmente rilevanti. Il quinto (Ginevra 1961-62), noto come Dillon Round, ha visto la rinegoziazione compensativa delle tariffe dovuta all’entrata in vigore della CEE. Il sesto (Ginevra 1964-67), noto come Kennedy Round, ha prodotto ulteriori riduzioni tariffarie tra il 30 e il 40% e ha visto l’adozione del primo codice antidumping.

85

l’adozione di sei accordi relativi agli ostacoli non tariffari e tre accordi settoriali su prodotti specifici190. Alla vigilia dell’Uruguay Round rimanevano inalterate tutte le principali lacune191 che avevano caratterizzato il sistema GATT. Il Tokyo Round, pur avendo posto rimedio alla mancata previsione di regole comuni applicabili alle pratiche restrittive del commercio maggiormente utilizzate, aveva acuito il problema della frammentazione normativa, mentre non era stata affrontata la questione delle c.d. “aree grigie”, cioè settori commerciali rispetto ai quali non era stata sviluppata alcuna regolamentazione multilaterale. Ci riferiamo, in primis, al settore agricolo, giuridicamente indistinto dagli altri settori merceologici, ma di fatto sottratto alla liberalizzazione degli scambi attraverso un massiccio ricorso a clausole di salvaguardia; in secondo luogo, all’intero settore dei servizi, ai prodotti contemplati dagli accordi di limitazione volontaria delle esportazioni e ai prodotti tessili, per i quali, nel 1973, è stata addirittura formalizzata la deroga ai principi dell’Accordo generale, attraverso la conclusione di un apposito accordo, il c.d. Accordo multifibre (Multi-Fibre Arrangement, MFA). Infine, tra le principali carenze del sistema commerciale multilaterale, va evidenziata la particolare debolezza del sistema di soluzione delle controversie e la conseguente incertezza della funzione di garanzia che l’Organizzazione avrebbe dovuto svolgere. L’Uruguay Round venne ufficialmente aperto con l’adozione, il 20 settembre del 1986, della Dichiarazione di Punta del Este 192, ad opera delle PARTI CONTRAENTI, con la quale venne fissata un’agenda di lavoro comune, tracciando le linee guida e le finalità dei negoziati. Le trattative furono condotte da numerosi gruppi negoziali incaricati di esaminare le singole questioni, sotto la guida e il coordinamento del Comitato per i negoziati commerciali. Un momento decisivo del processo negoziale si ebbe 190

Venne adottato un secondo codice sulla pratiche antidumping, che andò a sostituire il precedente, altri in materia di sovvenzioni pubbliche alle imprese, di fornitura di merci alle pubbliche amministrazioni, di valutazione del valore delle merci in dogana, di licenze di importazione e di ostacoli tecnici. Gli accordi settoriali riguardavano il commercio di prodotti lattiero-caseari, aeromobili civili e carni bovine. 191 Cfr. SACERDOTI, Profili istituzionali dell’OMC e principi base degli accordi di settore, in SIDI, op. cit., p. 3 e ss. 192 Consultabile sul sito dell’UNESCO, www.unesco.org (pagina base).

86

nel dicembre del 1991 con l’approvazione del c.d. “progetto Dunkel”, dal nome del Direttore Generale del GATT in carica al momento e promotore dell’iniziativa. Con esso fu definitivamente istituzionalizzato il progetto di una vera e propria organizzazione internazionale. Il progetto Dunkel, assieme a numerosi documenti integrativi, confluì nell’”Atto finale che incorpora i risultati dei negoziati commerciali multilaterali dell’Uruguay Round” (Final Act Embodying the Results of the Uruguay Round of Multilateral Trade Negotiations)193, che venne sottoscritto il 15 aprile 1994 dai rappresentanti di 111 Stati, tra i 125 che avevano preso parte ai negoziati, durante la Conferenza ministeriale di Marrakech. Il passaggio dal GATT all’ordinamento OMC, previsto per il 1° gennaio 1995, richiedeva la soluzione di alcune questioni lasciate irrisolte al momento dell’adozione dell’Atto finale, la più urgente delle quali riguardava il peculiare regime di transizione che fino al 31 dicembre 1995 avrebbe visto coesistere in parallelo i due sistemi normativi, al fine di garantire la conclusione delle consultazioni e delle procedure contenziose avviate in ambito GATT. Gli Stati partecipanti alla Conferenza di Marrakech optarono per l’istituzione di un Comitato Preparatorio, il quale convocò nel dicembre del 1994 un’apposita Implementation Conference, durante la quale le PARTI CONTRAENTI adottarono alcune decisioni per regolare il regime di coesistenza transitoria e per dichiarare estinto l’Accordo generale del 1947194.

193

Consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org, (pagina base). Le decisioni adottate in tale sede dalle PARTI CONTRAENTI fecero sorgere alcuni dubbi sulla loro idoneità a dichiarare estinto il precedente accordo e sulla peculiare natura del regime di coesistenza transitoria, con particolare riferimento alle eventuali menomazioni del principio dell’unitarietà dell’impegno assunto. Cfr. COCCIA, Dal GATT 1947 al GATT 1994, cit., p. 87 e ss.; MOORE, The Decisions Bridging the GATT 1947 and the WTO Agreeement, in AJIL, 1996, p. 317 e ss. 194

87

2. Struttura e funzioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio

2.1. La struttura dell’Accordo OMC L’Atto finale si compone di tre parti: la prima contiene la delibera di adozione dell’atto stesso, la seconda comprende l’Accordo istitutivo dell’OMC e i suoi Accordi allegati, la terza include alcune decisioni e dichiarazioni

ministeriali

dell’Accordo

OMC

o

volte a

a

interpretare

predisporre

alcune

meccanismi

per

disposizioni facilitarne

l’applicazione195. L’accordo OMC costituisce il fulcro del documento. Il vero e proprio Accordo istitutivo dell’OMC è particolarmente breve e consiste soltanto in un Preambolo, in cui vengono enunciati gli obiettivi dell’Organizzazione, e in sedici articoli, dove vengono definiti esclusivamente gli aspetti istituzionali e procedurali. All’Accordo istitutivo fanno capo, e ne costituiscono parte integrante, quattro allegati a loro volta suddivisi in ventotto testi normativi, unitariamente gestiti dall’OMC, e comprendenti, oltre ad alcune disposizioni di carattere istituzionale e procedurale, le principali regole di diritto materiale del commercio internazionale. L’art. II, par. 2 e 3, dell’Accordo istitutivo suddivide gli allegati in due categorie: gli Accordi commerciali multilaterali (ACM), contenuti negli allegati 1, 2 e 3 e gli Accordi commerciali plurilaterali (ACP), contenuti nell’allegato 4. Il criterio che sta alla base di tale distinzione è il principio dell’approccio unico o impegno globale (single undertaking), in base al quale tutti gli accordi rientranti nella prima categoria possono essere 195

Le dichiarazioni e le decisioni riguardano la maggioranza delle questioni più importanti affrontate durante l’Uruguay Round, quali il commercio dei servizi, il trattamento dei paesi meno sviluppati, il commercio dei prodotti tessili, quello dei prodotti agricoli, l’applicazione dell’intesa sulla risoluzione delle controversie. Furono adottate ad opera del Comitato per i negoziati commerciali durante la sessione del 15 dicembre 1993 e soprattutto durante quella del 14 aprile 1994. Tra queste ultime, ai fini del presente lavoro, merita di essere menzionata la decisione intitolata Trade and Environment con cui venne istituito il Comitato su commercio e ambiente e quella su Trade in Services and the Environment (cfr. infra). I testi delle decisioni e delle dichiarazioni sono consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

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accettati soltanto in blocco, in modo da eliminare il rischio del free-riding che poteva conseguire alla precedente frammentazione normativa e da garantire una maggiore efficacia e certezza della normativa commerciale 196. Viceversa gli ACP197 hanno mantenuto il principio di adesione facoltativa che contraddistingueva i Codici del Tokyo Round, necessitano infatti di un apposito procedimento di ratifica ed è possibile recedere da essi senza pregiudicare in alcun modo la partecipazione all’OMC. Un’ulteriore attenuazione dell’unitarietà del sistema deriva dalla previsione, all’art. XIII, par. 1198, della c.d. “clausola di non applicazione” (o di opt-out), che permette, analogamente all’art. XXXV del GATT 1947, di non applicare l’Accordo OMC tra due membri nel caso l’uno o l’altro, nel momento in cui diviene membro dell’Organizzazione, non vi acconsenta199. Tra gli ACM, le norme di diritto sostanziale sono contenute negli accordi dell’allegato 1. Il più esteso ed articolato è l’allegato 1A, che, sotto l’ampia denominazione di “Accordi multilaterali sugli scambi di merci”200, include ben 20 strumenti giuridici. Si compone, in primis, del nuovo 196

Cfr. QUICK, I risultati dell’Uruguay Round del GATT e l’istituzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, in CI, 1994, p. 676: “ Contrariamente alla tradizione del GATT, l’Atto finale fissa il primato del diritto del commercio internazionale. Dopo i chiarimenti apportati alle regole del GATT vigenti e l’aggiunta di nuove regole (...) i membri dell’OMC godranno di un potere politico discrezionale inferiore a prima riguardo ai problemi commerciali, ma di maggiore certezza giuridica.” 197 Va tenuto in considerazione che gli ACP si riferiscono ad ipotesi estremamente circoscritte. Attualmente riguardano soltanto il commercio di aeromobili civili e il regime normativo degli appalti pubblici, quest’ultima unica ipotesi che rivesta un’effettiva rilevanza, garantendo ai paesi in via di sviluppo la possibilità di utilizzare discrezionalmente un efficace strumento di politica economica. Gli altri due ACP contemplati dall’allegato 4 al momento dell’entrata in vigore dell’OMC, relativi al commercio delle carni bovine e dei prodotti lattiero-caseari, già dal 1997 sono stati inclusi nell’ACM sul commercio di prodotti agricoli. 198 Non-Application of Multilateral Trade Agreements between Particular Members: “This Agreement and the Multilateral Trade Agreements in Annexes 1 and 2 shall not apply as between any Member and any other Member if either of the Members, at the time either becomes a Member, does not consent to such application.” 199 L’art. XIII limita tale possibilità all’ipotesi in cui tale regime fosse già in vigore fra due membri nel momento dell’entrata in vigore dell’OMC, escludendo quindi che il nuovo sistema possa comportare un grado minore di liberalizzazione degli scambi rispetto al GATT 47. Inoltre, la clausola opt-out non può essere invocata riguardo al meccanismo di esame delle politiche commerciali previsto dall’allegato 3, dal momento che questo assume rilievo esclusivamente riguardo al rapporto tra lo Stato membro e l’Organizzazione. Storicamente, sia nella prassi del GATT che in quella dell’OMC, tale clausola ha trovato applicazione soprattutto per motivi politici, perdendo d incisività con l’attenuarsi della contrapposizione politica bipolare del ventesimo secolo. Cfr. ADINOLFI, op. cit., p. 65 e ss. 200 Consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

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Accordo generale sulle tariffe e il commercio, il GATT 1994, e in secondo luogo di 13 accordi settoriali sullo scambio di beni e sulle misure non tariffarie201, 6 Intese e un Protocollo. L’allegato 1B contiene l’Accordo generale sul commercio dei servizi (General Agreement on Trade in Services, GATS) con i propri allegati202, l’allegato 1C l’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TradeRelated Aspects of Intellectal Property Rights, TRIPs)203. Gli allegati 2 e 3 comprendono norme di natura istituzionale e procedurale. Il primo contiene l’Intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie (Understanding on Rules and Procedures Governing the Settlement of Disputes, sinteticamente noto come Disputes Settlement Understanding, DSU), il secondo il Meccanismo per l’esame delle politiche commerciali (Trade Policy Review Mechanism, TPRM). Infine, all’allegato 4, troviamo i due ACP. La peculiare struttura dell’Accordo OMC è dovuta al fatto che la creazione dell’Organizzazione è stata decisa in una fase avanzata dei negoziati dell’Uruguay Round, pertanto, al fine di evitare un ulteriore rielaborazione degli accordi negoziati in modo da integrarli organicamente nell’Accordo, si è deciso di collegare le norme materiali all’Organizzazione tramite il meccanismo degli allegati.

201

Gli accordi settoriali sono: l’Accordo sull’agricoltura, l’Accordo sui tessili e l’abbigliamento (estinto il 1° gennaio 2005), l’Accordo sulle misure relative agli investimenti che incidono sul commercio (noto come Accordo TRIMs, Trade-Related Investments Measures), l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie, l’Accordo relativo all’applicazione dell’art. VI del GATT 1994 (noto come Accordo antidumping), l’Accordo relativo all’applicazione dell’art. VII del GATT 1994 (noto come Accordo sulla valutazione delle merci in dogana), l’Accordo sulle ispezioni pre-imbarco, l’Accordo relativo alle regole in materia di origine, l’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi, l’Accordo relativo alle procedure in materia di licenze di importazione, l’Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative, l’Accordo sulle misure di salvaguardia. 202 Il testo del GATS e degli allegati (sulle esenzioni all’art. II, sul trasporto aereo e marittimo, sui servizi finanziari, sui movimenti delle persone, sulle telecomunicazioni) sono consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 203 Ibidem.

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2.2. L’assetto istituzionale dell’OMC A differenza del GATT, dotato di una struttura istituzionale orizzontale, la nuova regolamentazione multilaterale degli scambi commerciali prevede un preciso rapporto gerarchico tra gli organi, secondo uno schema tipicamente piramidale. L’art. IV dell’Accordo istitutivo dell’OMC contiene le principali disposizioni relative alla struttura istituzionale dell’Organizzazione. In base al par. 1 si costituisce una Conferenza dei Ministri composta dai rappresentanti di tutti gli Stati membri, con competenze omnicomprensive, tenuta a riunirsi almeno una volta ogni due anni. La Conferenza dei Ministri prende le iniziative necessarie a svolgere le funzioni dell’OMC, in tal senso, tra le funzioni previste dall’art. III204, assumono particolare rilievo quelle previste dai primi due paragrafi dell’articolo, in base ai quali la Conferenza costituisce il quadro istituzionale fondamentale per favorire l’applicazione e lo sviluppo progressivo del diritto del commercio internazionale. La principale caratteristica distintiva dell’organo è quella di essere composto da rappresentanti governativi di rango ministeriale, al fine di garantire un’attiva partecipazione dei soggetti dotati dell’autorità politica necessaria per determinare le linee guida e per imprimere un dato corso al processo decisionale dell’Organizzazione. La natura politica delle decisioni adottate in tale sede legittima la prassi del consensus, contrariamente al disposto dall’art. IX, par. 1, che richiede semplicemente la maggioranza dei voti espressi. Il par. 2 dell’art. IV prevede che venga costituito un Consiglio generale, in qualità di organo esecutivo dell’Organizzazione, tenuto a riunirsi quando necessario e competente a svolgere le funzioni della 204

L’art. II, denominato “campo di attività dell’OMC”, al par. 1 prevede che “The WTO shall provide the common institutional framework for the conduct of trade relations among its Members in matters related to the agreements and associated legal instruments included in the Annexes to this Agreement.” L’art. III specifica il contenuto di tale norma, attribuendo all’OMC le funzioni di quadro istituzionale per facilitare l’applicazione degli accordi, di forum negoziale, di organismo preposto alla soluzione delle controversie e all’esame delle politiche commerciali nazionali e, infine, in modo da massimizzare la coerenza delle politiche economiche a livello internazionale, prevede che l’Organizzazione, se necessario, cooperi con le istituzioni finanziarie internazionali.

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Conferenza dei Ministri negli intervalli tra le sue riunioni, anch’esso a composizione plenaria. La caratteristica che lo differenzia della Conferenza sta nella composizione qualitativa dell’organo, in cui siedono rappresentanti di livello diplomatico. Il Consiglio costituisce il fulcro dell’apparato istituzionale dell’OMC. Le sue competenze possono essere distinte a seconda che si riferiscano alla produzione normativa, all’accertamento del diritto o al controllo dell’esecuzione del medesimo. Alla prima categoria di competenze fanno capo le funzioni normative assegnate all’organo di indirizzo politico, automaticamente attribuibili anche al Consiglio ex art. IV, par. 2. A tale regola fanno eccezione le disposizioni relative allo sviluppo progressivo della disciplina materiale che possano comportare un mutamento fondamentale dei diritti e degli obblighi degli Stati membri205. Ai sensi dell’art. IX, par. 2, l’attività di accertamento del diritto viene esercitata dal Consiglio tramite la competenza interpretativa di portata generale. L’organo esecutivo può essere chiamato a fornire interpretazioni su qualsiasi disposizione dell’Accordo OMC sia dagli Stati membri che dagli organi sussidiari206. La prassi vuole che il Consiglio si esprima per consensus o, in mancanza di questo, con una maggioranza dei tre quarti dei membri. Riguardo all’attività di controllo istituzionale e di esecuzione del diritto, il parr. 3 e 4 dell’art. IV dispongono che il Consiglio si riunisca, quando necessario, per esercitare i compiti dell’Organo di risoluzione delle controversie (Disputes Settlement Body, DSB) e dell’Organo per l’esame delle politiche commerciali (Trade Policy Review Body, TPRB), seguendo 205

Si tratta delle ipotesi contemplate dall’art. III, par. 2, ai sensi del quale la Conferenza funge da ambito per ulteriori negoziati su materie diverse da quelle contemplate dagli allegati, e dall’art. X relativo agli emendamenti all’Accodo OMC. In virtù delle funzioni politiche, e non meramente diplomatiche, della Conferenza, la sua competenza in materia è da considerarsi esclusiva. Cfr. ADINOLFI, op. cit., p. 136 e ss. 206 Nel caso in cui venga richiesta un’interpretazione di una norma di un Accordo allegato, il potere di iniziativa è attribuito al Consiglio che ne sovrintende l’applicazione (v. infra). Considerato che l’applicazione delle norme necessariamente richiede la loro interpretazione si può ritenere che ai Consigli possa competere una sorta d potestà interpretativa de facto, di natura tecnica, e che soltanto nel caso in cui non sussista una visione unitaria in seno al Consiglio settoriale si debba ricorrere, ex art. XI, par. 2, al Consiglio generale. Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 40.

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le norme procedurali previste dai rispettivi allegati e sotto la guida di un diverso presidente. Varie differenze tra gli organi, relativamente al quorum delle presenze richiesto, alla cadenza delle riunioni e alla disciplina del processo decisionale207, consentono di distinguere nettamente i tre organi e di affermare che i poteri previsti dagli allegati 2 e 3 non sono attribuiti al Consiglio ma al DSB e al TPRB. L’art. VI completa la tipica struttura ternaria delle organizzazioni internazionali attribuendo alla Conferenza dei Ministri il potere di nominare il Direttore generale dell’OMC e di determinare le sue competenze e le condizioni di servizio dei funzionari del Segretariato. Il par. 4 pone l’accento sul fatto che il personale del Segretariato è tenuto a non accettare istruzioni dai governi o da qualsivoglia altra autorità. I principali organi sussidiari permanenti, il Consiglio per gli scambi di merci (Consiglio GATT), il Consiglio per gli scambi di servizi (Consiglio GATS) e il Consiglio per gli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Consiglio TRIPs) vengono istituiti, ex art. VI, par. 5, allo scopo di sovrintendere al funzionamento dei rispettivi allegati. Al fine di consentire loro di poter svolgere al meglio le proprie funzioni, il par. 6 prevede che essi possano istituire dei comitati sussidiari, secondo le loro necessità. La disciplina delle competenze del Consiglio GATT non è dettagliata come per gli altri Consigli settoriali, in ragione del fatto che la normativa prevista dall’allegato 1A è molto più complessa di quella in materia di servizio o di proprietà intellettuale. A tale articolazione della normativa materiale corrisponde pertanto una struttura istituzionale composta da numerosi comitati, ognuno preposto alla gestione del corrispondente Accordo multilaterale sul commercio dei beni dell’allegato 1A. L’attività normativa del Consiglio GATT si limita essenzialmente all’adozione di quelle decisioni per cui non si è formato il consensus in

207

Mentre il Consiglio ha la possibilità di decidere secondo le maggioranze previste, il DSB può fare ricorso unicamente alla regola del consensus.

93

seno ai suoi organi sussidiari208, mentre risulta di gran lunga più rilevante la sua funzione di controllo e di coordinamento del loro operato. La struttura istituzionale preposta a garantire l’attuazione della normativa sugli scambi di servizi e sulla proprietà intellettuale risulta, invece, molto più limitata, in ragione del numero di disposizioni estremamente inferiore e al suo interno il ruolo preponderante è ricoperto dal rispettivo Consiglio settoriale. In generale, ai Consigli settoriali e ai corrispondenti comitati competono poteri normativi piuttosto circoscritti assieme ad alcune limitate funzioni durante la procedura di risoluzione delle controversie209, mentre le loro attività principali risultano prevalentemente orientate al controllo delle misure di politica commerciale. Infine, ai sensi del par. 7 dell’art. IV, vengono istituiti, con decisione della Conferenza dei Ministri, alcuni organi con competenze specifiche, ma relative al funzionamento generale dell’organizzazione e all’applicazione della sua normativa, quali il Comitato restrizioni per motivi di bilancia dei pagamenti, il Comitato commercio e sviluppo e il Comitato bilancio, finanze e amministrazione. Anche il Comitato su commercio e ambiente (Commitee on Trade and Environment, CTE) si colloca tra questo genere di organi, per quanto, a differenza dei precedenti, sia stato costituito già durante la sessione del 14 aprile 1994 del Comitato per i negoziati commerciali. In base alla decisione istitutiva210 il mandato del CTE appare 208

Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 44 “Sul piano formale, tali comitati non sono subordinati al Consiglio GATT: così come gli Accordi multilaterali sugli scambi di merci non sono allegati al GATT 1994, parimenti gli organi preposti alla loro attuazione non sono espressamente qualificati quali organi sussidiari del Consiglio settoriale. Tuttavia, una conclusione in senso opposto si impone ove si prendano in considerazione le norme che regolano il processo decisionale in seno a ciascun comitato: queste prevedono, infatti, che, in assenza del consensus, l’adozione dell’atto in questione debba essere demandata al Consiglio per gli scambi di merci, così riprendendo la disciplina del processo decisionale del Consiglio GATT stesso, fondata sulla qualificazione di quest’ultimo quale organo sussidiario del Consiglio generale.” 209 Riguardo al commercio dei beni, gli accordi in materia di sovvenzioni e di commercio di prodotti tessili contemplano il funzionamento di specifiche procedure contenziose, durante le quali i rispettivi comitati possono intervenire al fine di facilitare la definizione di una soluzione. Relativamente al commercio dei servizi l’art. XXII, par. 2 del GATS, prevede che i membri parte di una controversia possano, dopo reciproche consultazioni non andate a buon fine, sottoporre la questione al Consiglio GATS affinché questo eserciti un’attività di conciliazione e di assistenza tecnica. Un’analoga competenza è prevista anche per il Consiglio TRIPs, ai sensi dell’art. 68 dell’accordo. 210 La decisione ministeriale con cui è stato istituito, denominata WTO Trade and Environment Ministerial Decision, WTO doc. MNT.TNC/MIN(94)/1/Rev.1, è consultabile

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piuttosto ampio, dovendosi occupare in via generale del rapporto tra misure commerciali e misure ambientali e svolgendo un ruolo consultivo relativamente alle possibili modifiche del sistema commerciale multilaterale miranti a sviluppare un’interazione positiva tra i due tipi di misure, a garantire un’effettiva attuazione della disciplina dei MEAs, evitando al contempo che, le misure ambientali concernenti aspetti commerciali (Trade Related Environmental Measures, TREMs) da essa derivanti, possano tradursi in pratiche meramente protezionistiche. I suoi lavori hanno avuto un impatto scarsamente incisivo sull’operato dell’Organizzazione e anche come forum di discussione ha mostrato di avere notevoli carenze strutturali, prima fra tutte la mancanza di ogni previsione relativa alla partecipazione delle ONG, anche solo in qualità di osservatori come nel caso delle organizzazioni internazionali211.

2.3. La soluzione delle controversie L’adozione dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie (Dispute Settlement

Understanding,

DSU)212

ha

rappresentato

la

principale

innovazione dell’Uruguay Round. L’Intesa racchiude una disciplina sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 211 Per una disamina piuttosto critica dell’operato del CTE, cfr. CHARNOVITZ, The World Trade Organization and the Environment, in YIEL, 1999, p. 106 e ss.; MACMILLAN, WTO and the Environment, Londra, 2001, p. 12 e ss. 212 Sulla normativa del DSU e sull’evoluzione della prassi applicativa si veda: Cfr. ADINOLFI, La soluzione delle controversie nell’OMC e il contenzioso euro-statunitense, in VENTURINI, L’Organizzazione Mondiale del Commercio, II ed., Milano, 2004, p. 191 e ss.; ADINOLFI, op. cit., p. 277 e ss.; COCCIA, Il sistema di soluzione delle controversie nella World Trade Organization, in GIARDINA, TOSATO, Diritto del commercio internazionale, Milano, 1996, p. 89 e ss.; COMBA, op. cit., p. 260 e ss.; DI STEFANO, Soluzione delle controversie nell’OMC e diritto internazionale, Padova, 2001; GERBINO, Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), in Aggiornamenti all’Enciclopedia del Diritto, Milano, 1998, p. 660 e ss.; JACKSON, op. cit., p. 59 e ss.; LIGUSTRO, Le controversie tra Stati nel diritto del commercio internazionale: dal GATT all’OMC, Padova, 1996; LIGUSTRO, La soluzione delle controversie nel sistema dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: problemi interpretativi e prassi applicativa, in RDI, 1997, p. 1003 e ss.; MANZINI, L’Organizzazione mondiale del commercio quale sistema di diritto, in ROSSI (a cura di), Commercio internazionale sostenibile? WTO e Unione europea, Bologna, 2003, p. 27 e ss.; SIDI, Tavola rotonda: La soluzione delle controversie nell’OMC, introduzione di LEANZA, interventi di LAFER, LIGUSTRO, TREVES, p. 275 e ss.; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 575 e ss.; VELLANO, L’Organo d’appello dell’OMC, Napoli, 2001.

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estremamente ampia e particolareggiata, costituita da 27 articoli, quattro appendici e alcune decisioni ministeriali allegate alla Parte III dell’Atto finale213, tale da conferire all’OMC un potenziale di efficacia e operatività del

tutto

peculiare

nell’attuale

panorama

delle

organizzazioni

internazionali214. Il sistema è caratterizzato da un approccio unitario, sia in relazione alle materie cui risulta applicabile, cioè tutti gli accordi appartenenti all’Accordo OMC con l’eccezione dell’Allegato 3 (i c.d. Accordi contemplati), sia relativamente ai soggetti considerati, cioè tutti i membri dell’Organizzazione. Per quanto riguarda il profilo temporale, l’Intesa si applica a tutte le controversie sorte in seguito all’entrata in vigore dell’OMC. L’art. 3 del DSU definisce i principi generali e gli obiettivi dell’Organizzazione. Dopo aver richiamato esplicitamente i principi per la soluzione delle controversie e la prassi applicativa degli artt. XXII e XXIII del GATT 1947, parte del c.d. acquis del GATT, viene ulteriormente evidenziata la continuità con il sistema precedente, di natura meramente conciliativa, tramite il riconoscimento della preferibilità di una soluzione reciprocamente accettabile per le parti della controversia. Tale obiettivo viene però saldamente legato a quello della tutela del diritto dell’Accordo OMC e del rispetto dei diritti e degli obblighi degli Stati membri, assicurando così la certezza e la prevedibilità del sistema commerciale multilaterale, grazie anche alla previsione di un’ulteriore specifica funzione in capo al DSB, quella di chiarire il significato delle disposizioni degli Accordi contemplati215. 213

La normativa aggiuntiva è prevalentemente orientata a dirimere le ipotesi di conflitto tra le disposizioni del DSU e quelle eventualmente previste dagli accordi settoriali o dalle dichiarazioni ministeriali. La seconda Appendice dell’Intesa contempla proprio tali ipotesi di conflitto, enumerando gli articoli degli accordi settoriali che contengono norme rilevanti in materia. A differenza del GATT 1947 la pluralità di regole applicabili ai procedimenti contenziosi non comporta seri inconvenienti per la certezza del diritto e l’unitarietà del sistema, dal momento che sono state previste, all’art. 1, par. 2, apposite norme per disciplinare gli eventuali conflitti. In osservanza del principio lex specialis derogat lex generali, in caso di divergenza prevarranno le norme e le procedure speciali o aggiuntive elencate nell’Appendice 2. 214 Cfr. GERBINO,op. cit., p. 666 e ss. 215 Tale norma ha prodotto numerose perplessità circa il significato del termine to clarify, posto che la competenza interpretativa generale appartiene ai due organi politici principali

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Il procedimento contenzioso si articola in quattro fasi fondamentali: la fase delle consultazioni preliminari tra le parti, la fase giudicante di primo grado davanti a un panel, l’eventuale fase giudicante di secondo grado davanti all’Organo d’appello e la fase esecutiva. La fase delle consultazioni obbligatorie ha una duplice funzione: da un lato, la sua finalità precipua è naturalmente quella tentare una soluzione amichevole definitiva della controversia, dall’altro, qualora un accordo non venga raggiunto, quella di delineare e formalizzare immediatamente le questioni da affrontare e le posizioni assunte dalle parti, facilitando in tal modo gli stadi successivi della procedura, nonché la presentazione della richiesta di costituzione del panel. L’accettazione della richiesta e la costituzione del relativo panel è del tutto automatica, a meno che il DSB non decida per consensus in senso contrario, secondo la regola del c.d. consensus negativo. Le condizioni sostanziali che consentono di avviare il procedimento contenzioso sono quelle previste dall’art. XXIII del GATT 1947, che legittimano uno Stato membro ad agire qualora esso ritenga che si sia verificato un annullamento o un pregiudizio dei vantaggi risultanti da un accordo oppure un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi dell’accordo. Tali circostanze possono attribuirsi a tre cause differenti, cui corrispondono tre diversi tipi di ricorsi: la violazione di un obbligo di un accordo (reclami con infrazione, violation complaints), l’adozione da parte di un altro Stato membro di una misura lecita (reclami senza infrazione, non-violation complaints) o l’esistenza di una qualsiasi altra situazione (situation complaints). Le disposizioni del DSU sono prevalentemente orientate a disciplinare le procedure relative ai ricorsi per infrazione, dal momento che gli altri due tipi di reclami costituiscono ipotesi decisamente

marginali,

raramente

presentatesi nella prassi sia del GATT che dell’OMC, e oggetto di una dell’OMC, nonché relativamente all’ampiezza dei poteri conseguentemente attribuiti ai panel e all’Organo d’appello, i quali hanno frequentemente usato tale prerogativa in senso particolarmente estensivo, ponendo scarsa attenzione ai due limiti che tale facoltà incontra: il divieto di modificare diritti e obblighi degli Stati membri e di occuparsi di questioni giuridiche di portata generale, che esulino dalla fattispecie in esame e che non riguardino soltanto le parti coinvolte. Cfr. DI STEFANO, op cit., p. 54 e ss.

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normativa ad hoc216. Considerazioni analoghe possono essere fatte anche riguardo ai reclami concernenti l’esistenza di un ostacolo al perseguimento degli obiettivi dell’accordo. Per quanto riguarda il potere di azionamento gli unici soggetti legittimati ad adire il meccanismo contenzioso sono gli Stati e soltanto quelli che abbiano effettivamente subito il pregiudizio o l’annullamento dei vantaggi dell’accordo, dovendosi escludere sia l’ipotesi di actio publica che quella di actio popularis217. Gli Stati membri sono gli unici protagonisti del sistema anche sotto il profilo della legittimazione passiva. Al fine di far sorgere la loro responsabilità internazionale, è necessario che la condotta pregiudizievole possa essere imputata allo Stato e quindi riguardi provvedimenti adottati da un organo che partecipi all’esercizio dei poteri di governo218. In certi casi, anche la condotta adottata da soggetti privati può 216

Tali fattispecie sono contemplate dall’art. 26 del DSU, il quale prevede, per i reclami senza infrazione, l’inversione dell’onere della prova e alcune differenze relative agli effetti dei ricorsi e alla fase esecutiva. Le differenze riscontrabili riguardo ai situation complaints risultano ancora più marcate. Tali situazioni si riferiscono solitamente a gravi squilibri dell’economia internazionale o di un singolo paese e pertanto si sottraggono ad una precisa distinzione tra parte lesa e parte responsabile, costituendo invece questioni di interesse generale. Di conseguenza si continua ad applicare la regola del consensus positivo, privilegiando la funzione di organo politico del DSB piuttosto che il metodo giudiziale previsto dal DSU. 217 Esiste la possibilità che quest’ultima ipotesi possa riscontrarsi nella prassi, sia relativamente alla possibilità di ricorso in seguito all’insorgenza di un qualunque ostacolo al perseguimento degli obiettivi dell’accordo, sia in relazione al fatto che, come evidenziato dall’Organo d’appello nel caso European Communities - Regime for the Importation, Sale and Distribution of Bananas, (WTO doc. WT/DS27/AB/R, del 9 settembre 1997, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base) il meccanismo di soluzione delle controversie dovrebbe essere utilizzato cum grano salis da parte degli Stati membri ed inoltre, nell’ottica di voler tutelare le opportunità competitive degli Stati in generale e non le rispettive quote di mercato, la definizione dell’elemento del danno risulta estremamente complessa. Cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 174 e ss. Di conseguenza “in virtù della quasi automatica costituzione del Gruppo speciale, pur rilevando l’inesistenza di un interesse giuridico sufficiente, non esiste un modo per evitare la decisione del Gruppo speciale. Non è stato previsto alcuno strumento volto a controllare in via preliminare la reale sussistenza di un interesse giuridico all’instaurazione della procedura: la volontà dei membri e la loro prudenza si presentano come gli unici limiti ad un uso esagerato delle procedure dell’Intesa.” Ibidem, p. 179. 218 Nel GATT 1947, la c.d. “clausola federale” contenuta nel par. 12 dell’art. XXIV, in deroga ai principi del diritto internazionale generale, si limitava a disporre che “Each contracting party shall take such reasonable measures as may be available to it to ensure observance of the provisions of this Agreement by the regional and local governments and authorities within its territories.”. Tale clausola, che pareva configurare un semplice obbligo di diligenza, oltretutto di carattere altamente discriminatorio in quanto attribuibile soltanto agli Stati federali, è venuta meno grazie all’Intesa interpretativa dell’art. XXIV, la quale , al par. 13, codificando un’impostazione già ampiamente accettata nella prassi, prevede che “Each Member is fully responsible under GATT 1994 for the observance of all

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essere attribuibile allo Stato, per quanto tali ipotesi siano da ricollegarsi in linea di massima alla fattispecie dei ricorsi senza infrazione219. Una volta costituito in base a precisi criteri di imparzialità, indipendenza e competenza, ex art. 8 del DSU, il panel dovrà provvedere a istruire la causa svolgendo le opportune indagini. Al fine di poter delineare tutti gli elementi di fatto e di diritto oggetto della controversia, l’art. 13 riserva al panel poteri conoscitivi estremamente ampi, comprendenti la facoltà di richiedere informazioni e pareri a qualsiasi persona o ente posto sotto la giurisdizione di uno dei membri e di istituire gruppi di studio ad hoc sotto la propria autorità. Risulta evidente il potenziale rilievo assunto da una simile disposizione nel settore “commercio e ambiente”, caratterizzato, per sua natura, da una notevole necessità di conoscenze tecniche e scientifiche. Ad ogni panel compete, inoltre, l’esercizio di una costante attività conciliativa, dal momento che una soluzione reciprocamente soddisfacente risulta comunque preferibile, mentre i suoi compiti specifici vengono determinati dal mandato conferitogli dal DSB. Un’importante differenza con il GATT 1947 riguarda la possibilità, in mancanza di un accordo tra le parti, di conferire al panel un mandato standard220. L’inchiesta svolta dal panel è provisions of GATT 1994, and shall take such reasonable measures as may be available to it to ensure such observance by regional and local governments and authorities within its territory”. L’obbligo di adottare ogni ragionevole misura viene pertanto a configurarsi come un obbligo di risultato e, qualora il governo centrale si trovi impossibilitato ad assicurare la rimozione delle misure in conformità alla normativa GATT, lo Stato leso avrà comunque la possibilità di far valere le conseguenze dell’illecito. Cfr ADINOLFI, op. cit., p. 303 e ss. 219 Non tutta la dottrina concorda circa la possibilità che possa configurarsi un’effettiva responsabilità dello Stato per fatti compiuti dagli individui. Di fatto tali ipotesi si sono verificate con frequenza in relazione ad accordi di cartello e ad altre pratiche anticoncorrenziali adottate dai privati. Dal momento che le disposizioni dell’Accordo OMC in materia di concorrenza comportano obblighi piuttosto limitati, l’eventuale assenza di un’efficace legislazione antitrust a livello nazionale, pur causando un inevitabile danno alle opportunità competitive degli altri Stati membri, non costituisce un illecito propriamente detto, legittimando pertanto un non-violation o un situation complaint. Nella prassi tali ricorsi si sono verificati più volte, ma non hanno mai avuto un esito positivo, sia in ragione della difficoltà di fornire prove sufficienti del danno subito, sia a causa della diffusa riluttanza degli organi di risoluzione delle controversie a riconoscere responsabile uno Stato per atti compiuti dai suoi cittadini. L’esempio più eloquente di tale tendenza è il caso Japan-Measures Affecting Cousumer Photographic Film and Paper (noto come caso Kodak-Fuji). Cfr, PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 592 e ss. 220 Art. 7, par. 1: “Panels shall have the following terms of reference unless the parties to the dispute agree otherwise within 20 days from the establishment of the panel: "To examine, in the light of the relevant provisions in (name of the covered agreement(s) cited by the parties to the dispute), the matter referred to the DSB by (name of party) in document ... and to make such findings as will assist the DSB in making the

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di tipo contraddittorio e si svolge in due fasi, la presentazione delle comunicazioni scritte e la partecipazione alle udienze orali delle parti alla controversia e anche di eventuali Stati terzi che, ai sensi dell’art. 10, vi abbiano un interesse sostanziale221. L’art 15 prevede una fase di esame interinale ( il c.d. interim review stage), in base alla quale il progetto di relazione finale viene inviato alle parti perché possano formulare, qualora lo reputino necessario, le osservazioni che ritengono più appropriate222. Infine, il rapporto finale, redatto entro un limite massimo di sei mesi, recante le contestazioni di fatto e di diritto e le eventuali raccomandazioni relative all’adempimento,

viene

presentato

al

DSB,

il

quale

lo

adotta

automaticamente, a meno che non decida di respingerlo tramite consensus o una delle parti non intenda ricorrere in appello, ipotesi, quest’ultima, verificatasi nella quasi totalità dei casi.

2.4. (segue) Il giudizio d’appello L’esistenza di un secondo grado di giudizio, caratteristica del tutto atipica nel quadro della funzione giurisdizionale internazionale223, costituisce una delle maggiori innovazioni introdotte dal DSU al fine di trasformare il sistema di soluzione delle controversie dell’OMC in senso

recommendations or in giving the rulings provided for in that/those agreement(s)."” 221 Nella prassi la verifica della effettiva sussistenza di detto interesse si è tradotta in un semplice controllo sommario, consentendo varie forme di intervento in cui l’interesse sostanziale ha mostrato di non essere un requisito indispensabile. Cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 159 e ss. “Appare sempre più evidente dall’esame della prassi la volontà dei membri di intervenire ogni qualvolta sono in gioco aspetti essenziali della procedura ovvero occorra interpretare alcune disposizioni chiave, come gli articoli XX e XXIV del GATT 1994. (...) Può dunque rilevarsi un interesse sistemico all’intervento da parte dei membri dell’OMC, che si pone a metà strada tra l’intervento tradizionale e la partecipazione amicus curiae: infatti, lo Stato terzo (...) intende preservare indirettamente i propri interessi commerciali e rendere nota, soprattutto, la sua posizione su aspetti sostanziali e processuali della controversia.” Ibidem, p. 162. 222 Tale previsione è stata oggetto di ampie critiche in dottrina, poiché è stata giudicata tendenzialmente inutile alla luce della possibilità di ricorrere in appello, ma si conforma perfettamente alla natura del procedimento contenzioso, che ai meccanismi tipicamente giurisdizionali ne associa altri di ispirazione meramente diplomatica, al fine di soddisfare il più possibile le aspettative delle parti. Ibidem, p. 164 e ss. 223 Cfr. VELLANO, L’Organo d’appello, op. cit., p. 61 e ss.

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giudiziale e di rafforzare l’efficacia della tutela del diritto e della corretta interpretazione degli Accordi contemplati La procedura d’appello è disciplinata dall’art. 17 del DSU e dalle Procedure di lavoro per il riesame d’appello224, regolamento elaborato dallo stesso Organo d’appello ai sensi del par. 9 dell’art. 17. L’Organo ha carattere permanente ed è composto da sette membri, i cui criteri selettivi riguardo ai requisiti di competenza, imparzialità e indipendenza risultano essere ancora più rigorosi che per la scelta dei panelist, per quanto in questa sede non rilevi la nazionalità dei membri. Non è stata previsto alcun tipo di decisione in formazione plenaria, infatti ogni singolo caso viene esaminato da tre membri scelti in maniera casuale. Qualunque Stato parte della controversia è legittimato a ricorrere in appello, indipendentemente dal fatto che si tratti della parte lesa o della parte soccombente225, mentre tale facoltà è negata agli Stati terzi, ai quali è comunque garantita una forma di partecipazione tramite la presentazione di comunicazioni scritte e orali, sulla base della sussistenza di un interesse sostanziale nella controversia. La lettera dell’art. 17, parr. 6 e 13, prevede che all’Organo d’appello non competano funzioni di tipo conciliativo, dovendosi limitare ad analizzare le questioni di diritto trattate nel rapporto del panel e le interpretazioni giuridiche in esso contenute, al fine di confermare, modificare o annullare le conclusioni raggiunte durante il primo grado di giudizio, senza tuttavia riesaminare gli elementi di fatto. Ad esso compete, quindi, unicamente la funzione di garante dell’esatta applicazione e interpretazione226 del diritto. 224

Working Procedures for Appellate Review, WTO doc. WT/AB/WP/3, del 28 febbraio 1997, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 225 Nella prassi si presentano con frequenza casi di ricorsi “incrociati”, in cui il rapporto del panel viene impugnato, con motivazioni e obiettivi differenti, da entrambe le parti. 226 Sulla questione e sul rapporto tra tale funzione e il disposto dell’art. IX, par. 2, dell’Accordo istitutivo dell’OMC, in base al quale la competenza esclusiva a interpretare autoritativamente le norme dell’Accordo OMC è posta in capo alla Conferenza dei Ministri e al Consiglio generale, si veda DI STEFANO, op cit., p. 54 e ss.; ed in particolare VELLANO, L’Organo d’appello, op. cit., p. 124 e ss. relativamente a fatto che l’art. 3, par. 9, del DSU che lascia impregiudicata la facoltà dei membri di ricorrere, in una qualsiasi fase della procedura, al Consiglio generale per ottenere un’interpretazione autentica degli Accordi contemplati. Tale prerogativa potrebbe comportare l’effetto paradossale di configurare una sorta di terzo grado di giudizio, e tale ipotesi verrebbe altamente aggravata

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Circa la competenza dell’Organo a valutare esclusivamente gli elementi di diritto e relativamente alla possibilità che questo possa pronunciarsi anche su questioni che esulano dall’analisi svolta dal panel, sono sorte, nella prassi, numerose difficoltà. L’Organo d’appello, avocando a sé la “competenza sulla competenza”, ha dato un’interpretazione decisamente estensiva delle norme in questione alla luce dell’art. 3, par. 7 del DSU, che identifica come scopo principale del sistema di soluzione delle controversie quello di assicurare una soluzione positiva della stessa227. Nel momento in cui dovesse mostrarsi necessario procedere a una radicale rettifica delle conclusioni del panel, potrebbe rivelarsi impossibile evitare un non liquet senza ricorrere all’esame ex novo delle questioni giuridiche non considerate in primo grado. Inoltre i panel sono soliti non pronunciarsi su tutte le questioni sollevate nei reclami, una volta che, sulla base di una di esse, abbiano comunque avuto modo di accertare l’illiceità delle misure oggetto della contestazione, in osservanza del principio dell’economia giudiziaria228. Alla luce di tali considerazioni l’Organo d’appello ha ritenuto necessario, in determinati casi, estendere la propria competenza anche all’esame di alcuni aspetti fattuali della controversia, avvalendosi peraltro della sostanziale acquiescenza del DSB229. Tali dal fatto che in caso di conflitto tra il rapporto dell’Organo d’appello e l’interpretazione del Consiglio, quest’ultima prevarrebbe, potendosi applicare ad essa anche la regola del precedente. Inoltre per ottenere l’adozione di un’interpretazione autentica si necessitano i tre quarti dei consensi, mentre notoriamente il rapporto dell’Organo d’appello può essere rigettato soltanto all’unanimità. Di conseguenza il meccanismo di soluzione delle controversie verrebbe a perdere due delle sue caratteristiche più importanti, la competenza tecnico-giuridica nell’elaborazione della sentenza e l’automaticità della sua approvazione in virtù del consensus negativo. Pertanto: “Ci sembra, dunque, più ragionevole sostenere che la funzione dell’art. 3.9 dell’Intesa sia semplicemente quella di ribadire la possibilità per gli Stati membri di poter chiedere agli organi politici dell’Organizzazione (...) interpretazioni autentiche del contenuto degli accordi amministrati dall’OMC, ma sempre al di fuori, e,dunque, prima o dopo, rispettivamente, l’inizio o la fine del procedimento di soluzione di una determinata controversia.” Ibidem, p. 127. 227 Un’affermazione particolarmente risoluta della tesi in questione è rinvenibile, come vedremo, nel rapporto United States - Import Prohibition of Certain Shrimps and Shrimps Products, WTO doc. WT/DS58/AB/R, del 12 ottobre 1998, al par. 124, consultabile sul sito www.wto.org (pagina base). 228 Sull’applicazione del principio cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 45 e ss. 229 Sul ruolo di controllo dell’Organo d’appello si veda ampiamente VELLANO, L’Organo d’appello, op. cit., p. 138 e ss., con particolare riferimento al controllo dell’operato dei membri, in relazione all’ipotesi che le pronunce dell’Organo possano avere ricadute di carattere politico, verificatasi in particolare riguardo al tema commercio e ambiente: “Appare, a questo riguardo, evidente l’evoluzione dell’atteggiamento dell’Organo d’appello nel caso U.S. – Import Prohibition of Certain Shrimp and Shrimp Product rispetto a quello

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tendenze, seppure ampiamente giustificate dall’esigenza di garantire l’efficacia e la credibilità del sistema, hanno l’effetto di annullare il diritto dei membri ad un secondo grado di giudizio sulle considerazioni effettuate ex novo230. In conclusione, va evidenziato che l’atteggiamento tenuto dall’Organo d’appello in relazione all’interpretazione delle proprie competenze gli ha consentito di assumere un ruolo assolutamente centrale, ben al di là di quanto previsto dalla lettera del DSU231. La sua attività sembra talvolta sconfinare in funzioni di tipo quasi normativo, nella direzione di uno sviluppo progressivo del diritto materiale e procedurale, nonché di tipo consultivo, alla luce della tendenza a pronunciarsi su questioni non strettamente necessarie alla soluzione del caso in specie.

più risalente U.S. – Standards for Reformulated and Convenional Gasoline. Nel rapporto più recente, pronunciato alla fine del 1998, anche se le conclusioni a cui perviene sono analoghe a quelle raggiunte in relazione alla prima vicenda (illegittimità delle misure unilaterali e discriminatorie sia pure motivate dalla necessità di proteggere risorse naturali esauribili) l’Organo d’appello si sente in dovere di svolgere considerazioni di ordine generale sul valore assoluto della protezione dell’ambiente anche nel quadro delle priorità osservate dall’Organizzazione e dai suoi membri.”Ibidem, p. 145. 230 Viene quindi a mancare una delle più importanti garanzie poste a fondamento dell’Intesa e trattandosi di aspetti quasi sempre decisivi ai fini della risoluzione della controversia la questione riveste una particolare gravità, a riguardo: “Non pare che ci siano particolari motivi, oltre a quello di evitare una durata eccessiva del procedimento di soluzione delle controversie, che possano essere opposti al riconoscimento di un potere di rinvio da parte dell’Organo d’appello. In una prospettiva di riforma del sistema nel suo complesso, questo riconoscimento ben si salderebbe con l’istituzione di un Panel Body con le caratteristiche di un organo permanente. Infatti, con detta istituzione, si eviterebbe il rischio, al momento del rinvio, di trovarsi di fronte ad un cambiamento della composizione originaria del panel con conseguenti e facilmente comprensibili problemi di uniformità.”Ibidem, p. 137. 231 Cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 67-68: “Tali tendenze si iscrivono nel tentativo più ampio dell’Organo d’appello di costruirsi competenze parallele a quelle stabilite dall’Intesa. Non può conoscere i fatti di una controversia, ma attraverso vari escamotages stilistici o tecnici riesce comunque ad esprimere il proprio parere. Non può adottare semplici decisioni interpretative, ma tuttavia si pronuncia, appena si presenta l’occasione, formulando precise scelte di pensiero. Precisa che i rapporti dei Panels non hanno valore di precedente vincolante, eppure esso stesso afferma nel rapporto Banane “We should make it clear that we do not limit our conclusions to this case”. Costruisce un preciso percorso interpretativo per i Gruppi speciali, rifacendosi alle norme consuetudinarie d’interpretazione. Concilia le posizioni dei membri, riconoscendo loro il diritto di seguire precise politiche legislative in materie come il diritto dell’ambiente.”

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2.5. (segue) La fase esecutiva L’esecuzione della sentenza costituisce indubbiamente la fase più delicata del procedimento di soluzione delle controversie. Con l’adozione del rapporto da parte del DSB si conclude la fase giudicante della procedura e le decisioni incluse nel rapporto del panel o dell’Organo d’appello acquistano efficacia obbligatoria. Ai sensi dell’art. 17, par. 14, ai membri viene fatto obbligo di accettare incondizionatamente la relazione dell’Organo d’appello232, a meno che, entro trenta giorni, il DSB non decida per consensus di non adottarlo. Di conseguenza tale organo, formalmente depositario della competenza principale in materia contenziosa, viene ad assumere di fatto un ruolo eminentemente esecutivo, mentre le raccomandazioni formulate dagli organi tecnici acquistano il valore di conclusioni definitive. Se nel rapporto viene constatata l’incompatibilità di determinate misure con la normativa OMC possono essere imposti il ritiro o la modifica delle stesse, raccomandando eventualmente le modalità di adempimento233, con il limite specifico, ex art. 19, par. 2, di non ampliare né ridurre diritti e obblighi dei membri. Va esclusa, pertanto, l’ipotesi di poter imporre sanzioni di qualunque natura e forme di risarcimento del danno di carattere pecuniario. Oltre alla cessazione dell’illecito, l’obbligo conseguente ad una infrazione, consiste nella riparazione in forma specifica con efficacia ex nunc, nel senso di dover ristabilire la situazione antecedente la commissione dell’illecito, in considerazione del fatto che l’obiettivo del meccanismo

232

Qualora una parte decida di non opporre appello al rapporto del panel, il DSU non prevede esplicitamente un analogo obbligo di accettazione incondizionata del rapporto del panel. Dall’esame della prassi del GATT 1947, che mostra come i membri abbiano sempre concordato sull’obbligatorietà delle decisioni dei panel, nonché dalla ratio stessa della previsione di un secondo grado di giudizio, può ragionevolmente desumersi l’obbligo di conformarsi alle decisioni contenute nel rapporto del panel una volta che questo è stato approvato dal DSB. Cfr. ADINOLFI, La soluzione delle controversie, op. cit., p. 203 e ss. 233 I suggerimenti in questione non hanno natura vincolante, ma hanno comunque importanti conseguenze giuridiche, poiché si ritiene che possano comportare una presunzione assoluta nel senso del pieno adempimento, mettendo lo Stato interessato al sicuro rispetto all’eventualità di un ricorso all’arbitrato obbligatorio del panel originario, ex art. 21, par. 5.

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contenzioso è la tutela e il ristabilimento dell’equilibrio delle opportunità competitive e non del volume degli scambi. L’Intesa attribuisce al DSB un potere di controllo particolarmente ampio sull’esecuzione delle decisioni contenute nei rapporti. L’art. 21, par. 3, prevede che la parte soccombente abbia trenta giorni per informare il DSB su come intende ottemperare alle decisioni indirizzatele. Se non risulta possibile l’adempimento immediato dovrà essere fissato un periodo ragionevole. La determinazione di tale periodo può essere rimessa a un pronuncia per consensus del DSB, all’accordo tra le parti o al lodo emesso al termine di un arbitrato vincolante, ma in ogni caso il periodo non dovrebbe superare i quindici mesi234. Nell’eventualità in cui le parti non concordino sull’adeguatezza delle misure adottate dalla parte soccombente e sulla loro compatibilità con gli Accordi contemplati, si dovrà ricorrere alla valutazione del panel originario, ex art. 21, par. 5235. In ogni caso, il DSB esercita una sorveglianza costante sull’applicazione delle decisioni e la 234

La regola generale del pronto adempimento è divenuta un’eccezione, mentre il ricorso alla determinazione del periodo ragionevole costituisce la norma. La procedura di gran lunga più seguita è quella dell’accordo diretto tra le parti, ma in presenza di strategie marcatamente dilatorie la procedura arbitrale si è mostrata di notevole utilità. La prassi arbitrale ha tenuto in considerazione, quali potenziali ostacoli all’adempimento, una serie di fattori di natura tecnica, quali la tipologia dell’atto, il suo contenuto, il procedimento di adozione mentre non hanno trovato spazio considerazioni di carattere politico. Cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 30 e ss. 235 Questa seconda ipotesi di arbitrato obbligatorio, frequentemente utilizzata nella prassi, ha sollevato numerose problematiche relative alla sua applicazione. In primo luogo è venuto in rilievo il problema di stabilire se la procedura fosse attivabile anche su istanza della parte soccombente. Nel merito del caso Banane, il panel, investito della questione dalla Comunità Europea, ha evitato di pronunciarsi sul punto. Nel medesimo contesto è stata posta, sempre dalla Comunità europea, la questione dell’eventuale esistenza di un “rapporto sequenziale” tra la procedura dell’art. 21, par. 5, e il successivo disposto dell’art. 22. Nonostante tale previsione abbia incontrato il favore della quasi totalità della dottrina e vada perfettamente incontro allo spirito del sistema (nel senso che solo l’avvenuta verifica dell’inadeguatezza delle misure per l’adempimento dovrebbe legittimare il ricorso alle contromisure) nella prassi si è affermata la tendenza, proprio a partire dal caso Banane, di esaminare la richiesta di sospensione delle concessioni parallelamente all’avvio della valutazione delle misure per l’adempimento. L’ultima questione riguarda l’appellabilità della decisione del panel ex art. 21, par. 5. Considerato che il contenuto del giudizio nell’ambito del procedimento esecutivo tende ad essere assimilabile al giudizio di merito iniziale, senza limitarsi ad esercitare il controllo dell’obbligo secondario di cessazione dell’illecito, e che lo stesso art. 21, par. 5, prevede esplicitamente che la controversia sull’adempimento debba essere risolta “facendo ricorso alle presenti procedure di soluzione delle controversie”, è stato dedotto che possa essere opposto appello anche al rapporto arbitrale. Palesemente questa possibilità configura la concreta ipotesi che il ciclo di giudizi si riproduca indefinitamente, soprattutto nell’eventualità in cui l’attivazione della procedura arbitrale possa essere richiesta anche dalla parte soccombente. Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 603 e ss.

105

questione viene posta all’ordine del giorno sei mesi dopo la data in cui è stato determinato il periodo ragionevole e vi rimane finché non viene risolta. Qualora la parte soccombente non adempia alle decisioni de DSB entro il termine previsto, è possibile il ricorso a due strumenti: la conclusione di accordi di compensazione o l’adozione di contromisure. Entrambi hanno natura provvisoria, in ragione del fatto che, come viene esplicitato dell’art. 22, par. 1, né la compensazione né la sospensione di concessioni sono da preferirsi a quanto deciso dal DSB. Il par. 2 dell’art. 22 impone alla parte ricorrente che lamenti l’inadempimento della sentenza l’obbligo di condurre negoziati per concludere un accordo di compensazione entro venticinque giorni a partire dalla scadenza del periodo ragionevole. Dopo tale termine può chiedere al DSB l’autorizzazione alla sospensione delle concessioni, che viene concessa a meno che non decida per consensus di respingere la richiesta. Secondo il par. 3 tali concessioni dovrebbero essere relative allo stesso settore rispetto a cui è stato riscontato l’annullamento o il pregiudizio dei benefici, qualora si rivelino impossibili o inefficaci potrebbero essere sospese concessioni in altri settori dello stesso accordo (cross-sector retalitation), qualora anche queste si mostrassero impossibili o inefficaci e le circostanze risultassero sufficientemente gravi, si potrebbero sospendere concessioni relative a altri accordi (cross-regime retalitation). La valutazione dell’inefficacia o dell’impossibilità di adottare contromisure nei settori di corrispondenza o della sussistenza di condizioni sufficientemente gravi è rimessa alla discrezionalità della parte ricorrente. Conseguentemente, i parr. 6 e 7 dell’art. 22, prevedono, a tutela della parte soccombente, il ricorso al panel originario, se disponibile, o a un arbitro nominato dal Direttore generale, al fine di valutare la conformità del provvedimento restrittivo con i requisiti procedurali del par. 3, con il criterio di proporzionalità prescritto dal par. 4 e con gli Accordi contemplati in generale. La sentenza che valuta tali elementi è definitiva e inappellabile e pertanto entrambe le parti sono tenute a conformarvisi, ma, in ragione della provvisorietà di tali misure, il DSB continuerà a esercitare la sua opera di controllo fintantoché le misure

106

condannate non verranno modificate conformemente agli Accordi contemplati. L’obiettivo della coesione del sistema viene perseguito sul piano interno tramite la previsione di una serie di norme e procedure unitariamente applicabili, sul piano esterno attraverso il “principio di esclusività” delle norme del DSU, ovverosia l’obbligo di ricorrere alle stesse per la soluzione di qualunque aspetto di una controversia rientrante nell’ambito di applicazione dell’OMC. Tale principio è sancito dall’art. 23 dell’Intesa, significativamente intitolato “Consolidamento del sistema multilaterale”, ed ha una portata particolarmente ampia. In primo luogo, va desunto l’obbligo di ricorrere in via esclusiva al “foro” domestico, cioè alle procedure del DSU per la soluzione della controversia, in secondo luogo consegue il divieto di misure sanzionatorie non autorizzate dal presente meccanismo di garanzia, ma decise su base unilaterale. Il riconoscimento dell’illiceità del ricorso a contromisure unilaterali ha rappresentato una delle questioni maggiormente controverse sia durante i negoziati dell’Uruguay Round che nella prassi dell’Organizzazione236. Tale divieto va ricondotto alla possibilità di configurare il sistema OMC, e in particolare la normativa facente capo al DSU, come regime self-contained237. Nell’eventualità in cui il sistema venga riconosciuto come tale il divieto sarebbe tassativo 238, ma, anche nel caso in cui non fosse possibile attribuire tale qualifica all’Intesa239 e, secondo la teoria del fall-back, in caso di mancato funzionamento del meccanismo contenzioso le parti fossero reintegrate nel loro diritto di autotutela, la previsione del meccanismo del consensus negativo priverebbe tale ipotesi di 236

La questione si è posta in relazione al caso United States – Import Measures on Certain Products from the European Communities. Cfr. il rapporto del panel, WTO doc. WT/DS165/R, del 17 luglio 2000 e il rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS165/AB/R, del 11 dicembre 2000, entrambi consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 237 Secondo la definizione data dalla Corte Internazionale di Giustizia nella controversia relativa alla detenzione del personale diplomatico statunitense nell’ambasciata di Teheran (Case Concerning United States Diplomaticand Consular Staff in Teheran (United States of America vs. Iran), in ICJ Reports, 1980, p. 1 e ss.), un regime normativo può essere considerato self-contained, cioè autosufficiente, nel caso in cui i mezzi di difesa cui è possibile ricorrere in caso di violazione e le sanzioni conseguentemente applicabili siano disciplinati in maniera esaustiva. 238 Cfr. in tal senso ADINOLFI, op. cit., p. 320 e ss.; LIGUSTRO, La soluzione delle controversie, cit., p. 1062 e ss. 239 Per un’opinione contraria cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 213 e ss.

107

credibilità. Il radicale mutamento del processo decisionale in materia contenziosa consente di autorizzare le contromisure su base multilaterale ogni qualvolta queste vengano richieste, consentendo di affermare che, quantomeno de facto, l’Intesa non legittima in alcun modo il ricorso a contromisure unilaterali, ponendo quindi delicati problemi circa la liceità delle legislazioni nazionali in materia240.

3. Il diritto sostanziale applicabile L’analisi delle fonti normative utilizzate dai panel e dall’Organo d’appello può essere condotta sulla base di tre distinte categorie: le norme degli Accordi contemplati, le norme consuetudinarie da esse richiamate e altre fonti non esplicitamente menzionate. Tale classificazione deriva dalla necessità di evitare un’interpretazione del diritto OMC separata dal contesto del diritto internazionale, alla luce dell’applicazione in sede contenziosa finalizzata a bilanciare e ad armonizzare le varie discipline del diritto e le varie esigenze da esse derivanti241. Alla prima categoria di norme va ricondotto tutto il complesso degli Accordi contemplati e le norme convenzionali a cui essi fanno espresso rinvio242. L’imponente mole della normativa degli Accordi consentirà, in questa sede, di tracciare un quadro estremamente schematico della sua strutturazione e del suo contenuto, focalizzando l’attenzione su quanto possa rilevare al fine di consentire l’adozione di adeguati standard di protezione ambientale. 240

Sulla questione ed in particolare sulla legittimità dell’applicazione delle Sezioni 301-310 del Trade Act statunitense del 1974, positivamente risolta dal rapporto del panel (WTO doc. WT/DS152/R del 22 dicembre 1999, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base), nel caso United States – Sections 301-310 of the Trade Act of 1974, cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 669 e ss. 241 Cfr. ampiamente DI STEFANO, op. cit., p. 75 e ss. “La giurisprudenza applicativa degli accordi tenterà in questo senso di individuare case-by-case una linea di bilanciamento tra tante e diverse realtà. Il principio guida sarà il rifiuto di considerare ed interpretare il diritto OMC isolandolo dal diritto internazionale. Verrà utilizzato un approccio evolutivo per comprendere il valore e la portata delle norme.” Ibidem, p. 76. 242 Ci si riferisce in particolare ad alcune disposizioni dell’Accordo TRIPs che richiamano il contenuto delle convenzioni sulla proprietà intellettuale, con la conseguenza di inserire anche gli articoli richiamati in un sistema quasi-giudiziale (v. infra). Ibidem, p. 78 e ss.

108

La seconda categoria di fonti viene implicitamente menzionata nell’art. 3, par. 2243, laddove si prevede che la funzione chiarificatrice del diritto da applicare in sede contenziosa dovrà essere svolta conformemente alle regole consuetudinarie sull’interpretazione dei trattati. Com’è noto, tali criteri interpretativi sono stati codificati nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969244, agli artt. 31 e 32. Va rilevata, in particolare, la tendenza dei panel e dell’Organo d’appello a enfatizzare, durante il processo interpretativo, l’equilibrio degli interessi negoziato nel corso dell’Uruguay Round, inteso più come ulteriore strumento interpretativo che come limite ai criteri oggettivi dell’art. 31, cioè la valutazione del significato naturale dei termini, utilizzati nel loro contesto, alla luce dell’oggetto e dello scopo del trattato245. Infine, per quanto riguarda il valore di fonti esterne al sistema OMC, l’Organo d’appello ha, da un lato, attribuito ad esse un valore analogo a quello che ricoprono nel diritto internazionale, dall’altro, ha sottolineato che non possono in alcun caso modificare il tenore degli impegni assunti nel quadro dell’Organizzazione246. Nella prassi è stato fatto ricorso a norme consuetudinarie, pattizie e di soft-law, in massima parte riferibili a strumenti di protezione ambientale, quali il principio precauzionale, alcune tra le principali convenzioni in materia, come la Convenzione sulla biodiversità, 243

“The dispute settlement system of the WTO is a central element in providing security and predictability to the multilateral trading system. The Members recognize that it serves to preserve the rights and obligations of Members under the covered agreements, and to clarify the existing provisions of those agreements in accordance with customary rules of interpretation of public international law. Recommendations and rulings of the DSB cannot add to or diminish the rights and obligations provided in the covered agreements.” (corsivo aggiunto) 244 Consultabile sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org (pagina base). 245 Cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 112 e ss. “Il riferimento all’equilibrio negoziato, come limite all’opera interpretativa degli organi OMC, comporta la possibilità che, in presenza di due distinte interpretazioni, debba prevalere quella che concilia meglio l’equilibrio negoziato dalle parti. (...) In realtà, rispetto alla suddetta interpretazione dottrinale, l’esame della prassi pare evidenziare il tentativo dei Panels e dell’Organo d’appello di utilizzare maggiormente il criterio soggettivo. Sembra delinearsi, in altri termini, la tendenza a rivalutare l’intenzione dei membri come elemento importante di interpretazione degli accordi (...). Infatti, rispetto al contenuto della Convenzione di Vienna, che sembra accentuare la rilevanza del criterio oggettivo d’interpretazione, la giurisprudenza OMC si adopera a “ridare” valore al criterio soggettivo. In questo senso, piuttosto che rappresentare un limite al potere d’interpretazione, l’intenzione delle parti, come rilevabile dal contenuto dei singoli accordi, si affianca ad altri metodi, aggiungendo un elemento di equilibrio al sistema.” Ibidem, p. 115. 246 Ibidem, p. 127 e ss.

109

la Convenzione sul diritto del mare, la convenzione CITES, alcuni documenti non vincolanti come la Dichiarazione di Rio, Agenda 21 o alcune raccomandazioni

internazionali

finalizzate

all’armonizzazione

di

determinati standard. Alla luce delle priorità delineate dal preambolo dell’Accordo istitutivo, che, alla piena utilizzazione delle risorse mondiali prevista dal GATT 1947, sostituisce la necessità di un impiego ottimale di tali risorse conformemente all’obiettivo dello sviluppo sostenibile, le fonti in questione sono state utilizzate dai panel e dall’Organo d’appello per ricostruire un’interpretazione evolutiva di alcune disposizioni degli Accordi contemplati247.

3.1. La normativa di base del sistema degli scambi di merci Le principali disposizioni in materia sono contenute nel GATT 1994248 , il primo e il più importante tra gli accordi sullo scambio di merci. Pur trattandosi di un documento giuridicamente distinto dal GATT 1947, ne riproduce in massima parte il contenuto tramite la tecnica del rinvio redazionale. Di fatto si tratta di un “accordo contenitore” 249, comprensivo di soli tre punti, in grado di inglobare una pluralità di fonti normative. Il punto primo specifica che l’Accordo comprende, oltre al GATT 1947, il c.d. acquis del medesimo, ovverosia tutto il sistema normativo formatosi 247

Ci si riferisce, in particolare, all’attività degli organi tecnici nel quadro delle controversie Shrimps/Turtles e Hormones (European Communities – Measures Affecting Meat and Meat Products). In tal senso è stata avanzata l’idea di ricorrere con maggiore frequenza al principio contenuto nell’art. 31, par. 3 c), della Convenzione di Vienna dove si prevede che durante il processo interpretativo si debba tenere conto di qualsiasi altra regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti tra le parti. Cfr. ibidem, p. 134. 248 Sulla disciplina degli scambi di merci si veda BEVIGLIA ZAMPETTI, Dall’Accordo generale sulle tariffe e il commercio all’Organizzazione Mondiale del Commercio, in GIARDINA, TOSATO, op. cit., p. 3 e ss.; COCCIA, Dal GATT 1947, cit., p. 81 e ss.; COCCIA, GATT, cit., p. 76 e ss.; COMBA, il commercio internazionale delle merci: dal GATT 47 al GATT 94. La circolazione di alcuni modelli e le innovazioni dell’Uruguay Round, in SIDI, op. cit., p. 69 e ss.; COMBA, Il neoliberismo, cit., p. 97 e ss.; LAL DAS, The World Trade Organisation. A Guide to the Framework for International Trade, Londra, 1999; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 87 e ss.; VENTURINI, L’OMC e la disciplina degli scambi internazionali di merci, in VENTURINI, op. cit., p. 3 e ss. 249 Su passaggio tra i due accordi cfr. ampiamente COCCIA, Dal GATT 1947, cit., p. 81 e ss..

110

attraverso i più diversi atti adottati dalle PARTI CONTRAENTI250. Naturalmente vi sono delle aggiunte e delle esclusioni piuttosto significative.

Le

prime

sono

costituite

dalle

6

Intese

relative

all’interpretazione e all’applicazione di alcuni articoli e dal Protocollo di Marrakech251, mentre le seconde riguardano la dimensione istituzionale del GATT 1947, il regime di applicazione provvisoria e i conseguenti grandfather rights. La normativa di base del GATT può essere illustrata facendo riferimento al tipo di comportamento prescritto. Secondo tale criterio è possibile individuare cinque modelli normativi principali, a seconda che le norme in esame riguardino l’obbligo di non discriminazione, la reciprocità degli obblighi assunti, l’eliminazione degli ostacoli tariffari e non tariffari al commercio, la facoltà di reagire alla lesione dei propri diritti o questioni residuali di carattere accessorio e strumentale all’attuazione delle norme fondamentali. L’obbligo di non discriminazione si sostanzia nella garanzia di pari trattamento delle merci sia a livello esterno che a livello interno. La prima prescrizione trova attuazione nel disposto dell’art. I, in cui viene codificato il trattamento generale della nazione più favorita, ai sensi del quale ogni vantaggio accordato da uno Stato membro a un prodotto originario di o destinato a qualunque altro Stato (non necessariamente membro 250

La questione fa sorgere alcuni dubbi riguardo alla possibilità che le decisioni adottate dalle PARTI CONTRAENTI, ex art. XXIII, al termine del procedimento di risoluzione delle controversie, possano acquistare efficacia erga omnes in virtù di detta previsione, con la conseguenza paradossale di vedere loro attribuita un’efficacia maggiore di quella che avevano nel sistema GATT 1947. L’Organo d’appello ha dato conferma dell’opinione già espressa in dottrina secondo cui i rapporti dei panel non fanno parte delle altre decisioni delle PARTI CONTRAENTI del GATT 1947 ai sensi del punto 1 (b) del GATT 1994. tali atti rivestono comunque una notevole importanza sia in qualità di manifestazioni della continuità tra i due regimi giuridici sia come ausilio interpretativo come previsto dall’art. 31, par. 3 b), della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Ibidem, p. 94 e ss. 251 Le Intese sono le seguenti: l’Intesa sull’interpretazione dell’art. II. 1.b) dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994, l’Intesa sull’interpretazione dell’art. XVII dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994, l’Intesa sulle disposizioni relative alla bilancia dei pagamenti dell’ Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994, l’Intesa sull’interpretazione dell’art. XXIV dell’ Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994, l’Intesa relativa alle deroghe agli obblighi previsti dall’Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994, l’Intesa sull’interpretazione dell’art. XXVIII dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994. Al Protocollo di Marrakech del GATT 1994 sono allegate le liste di concessioni tariffarie dei membri divenute operative con l’entrata in vigore dell’Accordo OMC.

111

dell’Organizzazione) sarà automaticamente e incondizionatamente esteso a tutti i prodotti similari252 originari del o destinati al territorio di tutti gli altri Stati membri. La clausola della nazione più favorita prevista dal GATT 1994 risulta quindi essere reciproca, indeterminata, cioè applicabile al trattamento concesso a qualsiasi Stato terzo, oltre che incondizionata, multilaterale e dotata di una portata generale quanto al campo di applicazione materiale, potendo essere invocata relativamente a ogni prodotto e a ogni tipo di vantaggio, sia attuale che futuro. Il GATT 1994 prevede numerose eccezioni all’obbligo di applicare tale trattamento alle relazioni commerciali tra Stati membri. Talune di queste eccezioni hanno carattere permanente. La prima riguarda l’art. XXIV, con cui si autorizzano condizioni preferenziali per i traffici interni a unioni doganali o zone di libero scambio, la seconda è costituita da tutta la Parte IV dell’Accordo su “Commercio e sviluppo” che consente un trattamento più favorevole e non reciproco per i paesi in via di sviluppo. Il pari trattamento delle merci sul piano interno è garantito dall’art. III, intitolato

“trattamento

nazionale

i

materia

di

imposizioni

e

di

regolamentazione interna”, in base al quale viene fatto obbligo di assimilare le merci importate da uno Stato membro alle merci nazionali e di evitare qualunque tipo di trattamento differenziato che possa avere come conseguenza la protezione della produzione nazionale. La portata materiale dell’art. III è particolarmente vasta. Riguarda tutte le misure di carattere interno suscettibili di avvantaggiare un prodotto nazionale, quali le tasse e ogni altro tipo di imposizione interna, così come ogni fonte normativa che disciplini la vendita, l’acquisto, il trasporto e le modalità di utilizzazione dei prodotti. Il par. 2 si occupa specificamente

delle imposizioni fiscali,

252

La nozione di similarità non risulta di facile definizione ed è evidente che all’interprete viene lasciato un ampio margine di apprezzamento. La giurisprudenza elaborata nel quadro del GATT 1947 ha delineato quella che viene definita la teoria unitaria della similarità, cercando di rendere il più possibile obiettivi i criteri di definizione. Tale teoria, ponendosi nell’ottica di garantire la maggiore tutela possibile al libero scambio delle merci, prevede che la nozione di similarità sia interpretata in maniera estensiva nel caso in cui si faccia riferimento all’adempimento di obblighi di portata generale, potendo ricorrere in tal caso anche ai concetti di succedaneità, concorrenzialità e sostituibilità, mentre, qualora si tratti di applicare una delle eccezioni previste dall’Accordo, si richiede un’interpretazione il più possibile restrittiva. Cfr. Spain – Tariff Treatment of Unroasted Coffee, in BISD 1982, suppl. 28, p. 102 e ss.

112

stabilendo l’illiceità di qualunque provvedimento che fissi un trattamento fiscale differenziato sulla base della diversa origine delle merci, sia tramite imposizioni intrinsecamente discriminatorie sia tramite effetti indiretti che possano derivare da imposizioni apparentemente imparziali. Proprio a tale riguardo la portata del paragrafo viene notevolmente ampliata da una nota interpretativa al par. 2 dell’art. III253, che introduce una sorta di “duplice test”254

di

compatibilità

con

il

divieto

di

non

discriminazione

interna,implicante un’interpretazione del concetto di similarità più estensiva di quanto previsto riguardo all’art. I. Se due prodotti similari vengono trattati differentemente non rileva provare l’effetto protezionistico per dimostrare la violazione dell’art. III. Invece, nell’eventualità in cui tra due prodotti non risultasse una relazione di similarità, ma comunque si riscontrasse un trattamento fiscale favorevole al prodotto nazionale, si dovrebbe procedere a valutare l’esistenza di un rapporto di succedaneità o di diretta concorrenzialità. In caso affermativo si dovrebbe allora valutare se il trattamento fiscale differenziato comporti un effetto protezionistico255 e possa quindi essere considerato contrario all’art. III, par. 2. Il par. 4 riguarda invece le disposizioni interne di natura non fiscale, solitamente relative alle caratteristiche tecniche dei prodotti ed in particolare agli standard ambientali. In materia viene lasciata un’ampia autonomia agli Stati membri, dovendosi comunque rispettare il divieto di sottoporre i prodotti similari importati ad un trattamento meno favorevole. Le eccezioni all’art. III hanno una rilevanza inferiore rispetto a quelle previste per l’art. I, limitandosi a consentire, al par. 8, un regime di deroga per gli acquisti pubblici e per le sovvenzioni pubbliche ai produttori nazionali. Al principio di non discriminazione si associa il principio di reciprocità degli obblighi assunti, in qualità di pilastro fondamentale del 253

“A tax conforming to the requirements of the first sentence of paragraph 2 would be considered to be inconsistent with the provisions of the second sentence only in cases where competition was involved between, on the one hand, the taxed product and, on the other hand, a directly competitive or substitutable product which was not similarly taxed.” 254 Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 114. 255 La ratio e le modalità di applicazione del par. 2 sono state illustrate dall’Organo d’appello nel caso Canada – Certain Measures Concerning Periodicals, nel rapporto WTO doc. WT/DS31/AB/R, del 9 settembre 1997, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

113

sistema commerciale multilaterale. Entrambi vengono esplicitamente enunciati sia nel preambolo del GATT 1947 che nel preambolo dell’Accordo istitutivo dell’OMC. Il principale ambito di applicazione del principio è costituito dall’art. XXVIII-bis relativo allo svolgimento dei negoziati tariffari, i quali dovranno essere condotti su una base di reciprocità e di mutui vantaggi. Ovviamente tale principio dovrà guidare anche ogni eventuale modifica delle concessioni ex art. XXVIII. Il concetto di reciprocità non deve essere inteso in senso giuridico-formale, come semplice simmetricità dei vantaggi concessi, ma, come

ampiamente

dimostrato dalla finalità ultima del sistema OMC, mirante a garantire le opportunità competitive degli Stati membri e non determinate quote di scambio, deve essere attuato in senso sostanziale, come costante bilanciamento dei vantaggi effettivamente ottenuti dagli Stati sul piano materiale. La necessità di dover tutelare la reciprocità sostanziale ha portato ad adottare una serie di deroghe al principio di reciprocità formale. In tal senso risulta evidente la funzione perequatrice delle clausole di salvaguardia256 e delle restrizioni all’importazioni per proteggere l’equilibrio della bilancia dei pagamenti257, rispettivamente previste dall’art. XIX e dall’Accordo sulle misure di salvaguardia ad esso connesso, qualora si verifichi un serio pregiudizio alla produzione nazionale a causa di un imprevisto aumento delle importazioni, e dall’art. XII (e dall’art. XVIII:B limitatamente ai paesi in via di sviluppo) e dalla relativa Intesa annessa al GATT 1994, in caso di minaccia imminente di un’importante diminuzione delle riserve monetarie. Tali deroghe hanno carattere temporaneo, mentre la Parte IV consente di derogare stabilmente al principio di reciprocità in favore del trattamento preferenziale ai paesi in via di sviluppo, seppure con il limite importante rappresentato dalla clausola di ritorno graduale. L’obbligo di eliminare gli ostacoli al commercio riceve un trattamento molto differente a seconda della natura, tariffaria o meno, di detti ostacoli. Per quanto si riconosca la necessità di una riduzione progressiva dei dazi doganali, rafforzata, sulla base dell’art. II, dalla regola del consolidamento, 256 257

Cfr. ampiamente PICONE, LIGUSTRO, op cit., p. 304 e ss. Ibidem, p. 299 e ss.

114

ai sensi della quale non possono essere aumentati, né possono esserne imposti di nuovi, essi rappresentano l’unico strumento di protezione dei mercati nazionali esplicitamente consentito, in osservanza del principio cardine della protezione doganale esclusiva258. Viceversa, le barriere non tariffarie sono destinate ad essere completamente eliminate, come richiesto dagli artt. III, VIII e XI, a meno che non siano espressamente autorizzate dai regimi di deroga che vedremo in seguito. Mentre l’art. VIII si limita a prescrivere che il gli oneri e le imposizioni, diversi dai dazi doganali e dalle tasse di cui all’art. III, siano circoscritti al costo approssimativo del sevizio offerto e non costituiscano una protezione indiretta della produzione nazionale, l’art. XI, eloquentemente intitolato “eliminazione generale delle restrizioni quantitative”, ha una portata materiale vastissima. Risultano vietati non soltanto i contingentamenti e le licenze all’importazione e all’esportazione, ma anche qualunque altra misura che abbia come effetto una limitazione della libera circolazione delle merci. In ogni caso, quando le restrizioni, in via eccezionale, possono essere ammesse, andranno applicate in maniera non discriminatoria, come previsto dall’art. XIII. Ai sensi del medesimo articolo sono da preferirsi le restrizioni che comportino il minore livello

di

arbitrarietà

possibile.

Pertanto,

rispetto

alle

licenze

all’importazione andranno privilegiati i contingenti, e, tra di essi, i contingenti suddivisi in quote piuttosto che i contingenti

globali, dal

momento che questi ultimi sottostanno al principio prior in tempore, potior in iure. Il riferimento alle “altre misure” lascia palesemente un ampio margine di apprezzamento all’interprete. La prassi del GATT ha avuto modo di specificare che l’art. XI vieta ogni tipo di provvedimento statale che abbia come effetto, anche solo potenzialmente, una riduzione degli scambi commerciali. Qualora le misure restrittive fossero distintamente applicabili ai prodotti esteri e a quelli nazionali si incorrerebbe in una violazione sia dell’art. III, che dell’art. IX, ma anche le misure neutre possono costituire un ostacolo alle importazioni. In conseguenza 258

Sulle problematiche connesse al livello e alla natura dei dazi, nonché al tasso di variabilità e al coefficiente di dispersione degli stessi, al fine di determinare la specifica struttura dello schema tariffario di ciascun paese, cfr. COMBA, Il neoliberismo, cit., p. 103 e ss; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 139 e ss.

115

dell’estrema varietà di misure che possono cadere sotto quest’ultima ipotesi, la disciplina degli ostacoli non tariffari al commercio è stata oggetto di un’imponente opera di codificazione e gli Accordi ad essa inerenti rappresentano la parte più consistente della normativa sullo scambio di merci. Il quarto modello normativo è riconducibile alla facoltà concessa ad ogni Stato di reagire di fronte a una lesione dei diritti derivanti dai principi e dalle regole fondamentali fin qui esaminati e risulta pertanto funzionale all’attuazione dei medesimi. Come è già stato ampiamente rilevato, non è necessaria la violazione di un obbligo, ma è sufficiente le mera esistenza di un pregiudizio ai propri interessi per giustificare la reazione dello Stato leso. Tale reazione passa normalmente attraverso il meccanismo multilaterale di soluzione delle controversie, ma, in determinate circostanze, lo Stato può reagire in maniera del tutto autonoma e discrezionale, senza dover attendere un’autorizzazione da parte degli organi dell’OMC successiva alla commissione dell’atto pregiudizievole. È il caso, in particolare, dei dazi anti-dumping e dei dazi compensativi previsti dall’art. VI del GATT. Con l’evolversi della normativa sulle due fattispecie, i dazi in questione possono arrivare a colpire anche sovvenzioni che risultano espressamente vietate, e in tal caso acquistano una connotazione differente, configurando l’ipotesi di vere e proprie contromisure unilateralmente applicabili, alla luce della necessità di una reazione tempestiva. Naturalmente esse dovranno essere proporzionali al pregiudizio subito, in caso contrario lo Stato oggetto del provvedimento sarà autorizzato a ricorrere al meccanismo contenzioso dell’Organizzazione. Un’analoga esigenza di tempestività legittima anche l’adozione di provvedimenti, consentiti dalle clausole di deroga del GATT, che possono sospendere unilateralmente diversi obblighi e concessioni pur senza un’esplicita autorizzazione preventiva, come ad esempio le misure di salvaguardia o le misure per proteggere l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, fatto salvo il controllo successivo eventualmente esercitabile in sede contenziosa.

116

Infine, la disciplina degli scambi di merci viene integrata da alcune regole di carattere accessorio (come la libertà di transito e la libertà dei pagamenti internazionali, disciplinate rispettivamente dagli artt. V e XV) o strumentale (come l’obbligo di trasparenza e di notifica delle misure statali potenzialmente incidenti sugli scambi commerciali, principio sancito dall’art. X e richiamato nelle più varie disposizioni, per l’attuazione del quale è stato appositamente istituito il Registro centrale delle notifiche, attraverso una Decisione sulle procedure di notifica inclusa nella Parte III dell’Atto finale) rispetto all’attuazione della medesima.

3.2. Le clausole di deroga Il sistema del GATT 1947 è stato caratterizzato da un’eccessiva flessibilità delle clausole di eccezione e di salvaguardia, soprattutto a causa dell’inadeguatezza dei meccanismi di controllo istituzionale, al punto di rischiare di invertire il rapporto tra regola ed eccezione e di non far percepire come effettivamente vincolante la normativa dell’Accordo generale. Con la creazione dell’OMC si è mostrato necessario specificare il contenuto e le modalità di attuazione del sistema, sia tramite alcune delle Intese annesse al GATT 1994, sia tramite l’Accordo istitutivo e gli Accordi allegati. Una prima classificazione delle deroghe può essere operata sulla base della loro durata, distinguendo le deroghe strutturali e permanenti dalle deroghe temporanee, miranti, le prime a promuovere obiettivi generali come le norme in materia di integrazione regionale e quelle su commercio e sviluppo della Parte IV del GATT,

e le seconde alla realizzazione di

interessi particolari ritenuti meritevoli di tutela. Le deroghe appartenenti a quest’ultima categoria sono da ricondursi a sei distinte ipotesi: le eccezioni al divieto di restrizioni quantitative, le misure di salvaguardia della bilancia dei pagamenti, le misure di salvaguardia urgenti, le eccezioni generali, le eccezioni concernenti la sicurezza e le deroghe speciali.

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L’art XI, dopo aver sancito il divieto di restrizioni quantitative, disciplina, al par. 2, una serie di circostanze in cui uno Stato può essere autorizzato a disattendere il divieto in questione, senza la necessità di autorizzazione preventiva. In primo luogo possono essere applicate restrizioni all’esportazione nel caso critico in cui si verifichi una penuria di prodotti alimentari o di altri prodotti essenziali. La seconda eccezione contempla un’ipotesi ormai rientrante nell’ambito di applicazione dell’Accordo sugli ostacoli tecnici al commercio, in base alla quale sono consentite restrizioni agli scambi necessarie all’attuazione di normative nazionali concernenti la classificazione, il controllo di qualità e la messa in vendita dei prodotti259. Infine sono autorizzate restrizioni all’importazione di prodotti agricoli o della pesca, se necessarie al riassorbimento di eccedenze temporanee. Ulteriori deroghe al divieto di restrizioni quantitative sono autorizzate dagli artt. XII e XVIII(B) per far fronte a eventuali deficit della bilancia dei pagamenti. L’art. XII prevede che esse non andranno oltre quanto necessario per proteggere le riserve monetarie dalla minaccia imminente di un’importante diminuzione o, nel caso fossero eccessivamente basse, di quanto necessario ad accrescerle secondo un tasso ragionevole. L’art. XVIII(B), nel quadro della disciplina relativa agli aiuti statali in favore dello sviluppo economico, attenua la rigorosità delle condizioni richieste, eliminando il requisito della minaccia imminente, limitatamente a quanto possa rivelarsi necessario ad uno paese in via di sviluppo nell’attuazione dei propri programmi di sviluppo economico. Per evitare i frequenti abusi che di queste clausole sono stati fatti in passato, considerato che anch’esse non necessitano di un controllo preventivo, le modalità di ricorso sono state

259

L’unico caso in cui è stata invocata a clausola in questione ha determinato l’affermazione di un’interpretazione piuttosto rigida della nozione di necessità, imponendo la scelta delle misure meno restrittive possibili tra quelle praticabili. L’interpretazione giurisprudenziale è stata accolta dall’art. 2, par. 2, dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi. Cfr. il rapporto del panel sul caso Canada – Measures Affecting Exports of Unprocessed Herring and Salmon, WTO doc. L/6268 - 35S/98 del 22 marzo 1988, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

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indicate con maggiore chiarezza nell’Intesa sulle disposizioni relative alla bilancia dei pagamenti annessa al GATT 1994260. L’art. XIX, intitolato “Misure urgenti concernenti l’importazione di prodotti particolari”, fa riferimento alle c.d. clausole di salvaguardia urgenti. Si consente infatti, ad uno Stato membro, di derogare agli obblighi del GATT se, conseguentemente a un’evoluzione non prevedibile delle circostanze, si presenta la minaccia di un pregiudizio grave ai produttori nazionali di beni similari o direttamente concorrenziali, qualora questo dipenda dagli obblighi assunti in base all’Accordo generale e soltanto nella misura e per il tempo necessari a porre rimedio al pregiudizio, come nel caso dell’art. XII. Fermo restando l’obbligo di notifica delle misure urgenti e di consultazione con lo Stato interessato, esse non richiedono un’autorizzazione preventiva. L’indeterminatezza della formulazione dell’art. XIX dal punto di vista sostanziale e procedurale, soprattutto riguardo alla circostanza che la clausola dovesse soggiacere o meno al principio di non discriminazione, ha condotto anche in questo caso a frequenti abusi. Sulla questione i panel si sono espressi in senso affermativo261, contrariamente a quanto auspicato dai paesi industrializzati, favorevoli a una applicazione selettiva per contrastare gli effetti

della crescita delle

esportazioni dei paesi di nuova

industrializzazione. Tale tendenza giurisprudenziale ha favorito il ricorso 260

L’Intesa introduce l’obbligo di pubblicazione di un calendario relativo ai tempi delle progressiva abolizione delle misure, ma la maggiore innovazione riguarda l’impegno ad adottare misure basate sui prezzi dei prodotti, dal momento che risultano avere effetti molto meno negativi sugli scambi. La mancata previsione di una simile possibilità all’interno dell’art. XII è dovuta al fatto che in un regime di cambi fissi le restrizioni quantitative giocano un ruolo fondamentale quali strumenti per colmare deficit delle riserve monetarie, non potendosi ricorrere a manovre sui tassi di cambio. Con l’abbandono, alla fine degli anni ’70, del sistema di Bretton Woods, le clausole in questione sono state utilizzate prevalentemente come strumenti meramente protezionistici, da cui la necessità di specificarne in tal senso le modalità di attuazione. Difatti l’Intesa annessa al GATT 1994 richiama e sviluppa la “Dichiarazione sulle misure commerciali prese ai fini di bilancia dei pagamenti” adottata già nel 1979 dalle PARTI CONTRAENTI (WTO doc. L/4904, in BISD, 1980, suppl. 26, p. 205 e ss.). In ogni caso, alla luce del fatto che le misure basate sui prezzi possono ottenere i medesimi effetti pur comportando minori inconvenienti, risulta piuttosto singolare la loro mancata previsione, soprattutto considerando che, al contrario, le misure di salvaguardia ex art. XIX consentono di scegliere tra le restrizioni e le misure tariffarie. 261 Cfr. il rapporto del panel nel caso Norway – Restrictions on Imports on Certain Textile Products, WTO doc. L/4959-27S/119, del 25 marzo 1980, in BISD, 1981, suppl. 27, p. 119 e ss.

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alle c.d. “misure di zona grigia”, solitamente costituite agli accordi di limitazione volontaria delle esportazioni, a cui di fatto sottostavano forme larvate di contingentamenti delle importazioni, imposti unilateralmente dai paesi importatori in alternativa alle misure ex art. XIX. L’Accordo sulle misure di salvaguardia negoziato durante l’Uruguay Round ha risposto all’esigenza di rendere maggiormente elastiche dette misure, al fine stimolarne l’utilizzo e di limitare il ricorso agli accordi informali o segreti di autolimitazione delle esportazioni262. Tali auspici sono stati frustrati nei fatti, mentre il frequente ricorso ad altre misure come dazi anti-dumping e i dazi compensativi, per loro natura selettivi e non implicanti né l’obbligo di ristrutturazione dell’industria nazionale né l’eventualità di potenziali ritorsioni, ha suggerito l’ipotesi che le clausole di salvaguardia possano essere “strutturalmente destinate a ricoprire un ruolo marginale”263. L’art. XX contiene una normativa più estesa in materia di regimi di deroga, contemplando ben dieci eccezioni riconducibili ad esigenze di politica pubblica, applicabili a qualsiasi obbligo discendente dall’Accordo generale, in maniera del tutto automatica, cioè senza necessità di autorizzazione preventiva né di controllo ex post, fatti salvi l’obbligo di notifica e la possibilità di attivare in seguito il meccanismo contenzioso. L’obiettivo delle eccezioni in questione è salvaguardare la sovranità degli Stati membri in materie di pubblico interesse che si ritiene debbano prevalere sulle esigenze del libero commercio. Sono contemplate le ipotesi più disparate: la protezione della moralità pubblica o di tesori nazionali di valore artistico, storico o archeologico; l’adozione di particolari misure sul commercio dell’oro e dell’argento o sul commercio di prodotti fabbricati nelle prigioni; la possibilità di applicare restrizioni all’esportazione di materie prime necessarie ad una industria nazionale di trasformazione o di applicare misure essenziali all’acquisto di prodotti di cui si faccia sentire 262

Nell’Accordo si specifica che la gravità del pregiudizio può essere valutata non in termini assoluti, ma proporzionalmente alla produzione nazionale. Inoltre sono venuti meno i requisiti dell’evoluzione imprevista delle circostanze e della connessione con gli obblighi derivanti dal GATT. Tuttavia si è determinata una notevole incertezza nell’applicazione delle clausole poiché nella prassi si è affermata la necessità di applicare integralmente e cumulativamente le condizioni richieste dall’art. XIX e dall’Accordo. Cfr. ampiamente PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 309 e ss. 263 Ibidem, p. 319.

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una penuria generale o di misure finalizzate ad attuare accordi su prodotti di base; misure necessarie a tutelare particolari situazioni di mercato relative ad esempio all’applicazione di provvedimenti doganali, monopoli amministrativi, alle pratiche che possono indurre in errore e a tutte le materie riconducibili alla proprietà intellettuale. Infine, alle lettere b) e g), sono previste le due eccezioni sulla cui base gli Stati possono fondare le proprie politiche ambientali eventualmente confliggenti con la libera circolazione delle merci. Si tratta, rispettivamente, della possibilità di adottare misure necessarie alla protezione della salute e della vita delle persone, degli animali e delle piante o misure relative alla conservazione di risorse nazionali non rinnovabili264. Dopo aver appurato se le misure nazionali risultano giustificabili sulla base di una delle suddette eccezioni, occorre verificare se esse rispettino anche i requisiti richiesti dal preambolo dell’art. XX. Infatti, in nessun caso le misure in questione devono essere applicate in maniera da costituire una discriminazione ingiustificata o arbitraria tra paesi in cui sussistono analoghe condizioni, né una restrizione dissimulata del commercio internazionale. Va notato come il presente concetto di non discriminazione si differenzi da quanto previsto dagli artt. I e III, ammettendo implicitamente che possa sussistere un certo grado di discriminazione tra Stati, purché giustificabile e non arbitrario. Per l’analisi dei molteplici problemi sorti relativamente alla prassi applicativa e all’interpretazione giurisprudenziale delle eccezioni contenute nelle lettere b) e g) dell’art. XX, congiuntamente alle condizioni richieste dal preambolo, si rinvia al prossimo capitolo, di cui tali questioni costituiranno uno dei principali oggetti d’analisi. Anche le eccezioni previste dall’art. XXI, relativamente alla tutela della sicurezza nazionale, sono suscettibili di applicazione automatica e 264

“ Subject to the requirement that such measures are not applied in a manner which would constitute a means of arbitrary or unjustifiable discrimination between countries where the same conditions prevail, or a disguised restriction on international trade, nothing in this Agreement shall be construed to prevent the adoption or enforcement by any contracting party of measures: (…) (b) necessary to protect human, animal or plant life or health; (…) (g) relating to the conservation of exhaustible natural resources, if such measures are made effective in conjunction with restrictions on domestic production or consumption.”

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consentono di derogare a qualunque obbligo dell’Accordo generale. Riguardano il commercio di materie fissili, di materiale bellico o comunque misure applicate in tempo di guerra o di grave tensione internazionale, ma considerata la rilevanza delle loro finalità si sono poste notevoli perplessità circa la loro sindacabilità in sede contenziosa. Infatti, le disposizioni dell’articolo consentono un elevatissimo grado di discrezionalità agli Stati riguardo alla valutazione della necessità di dette misure, fino a permettere di non rivelare qualunque informazione ritengano necessaria alla protezione della sicurezza nazionale, sottraendo pertanto un elemento essenziale alla meccanismo di soluzione delle controversie. La questione è venuta in rilievo in numerosi casi, sia nel quadro del GATT che dell’OMC, ma per varie ragioni non è mai stato possibile emettere un giudizio che delineasse i criteri da seguire in materia265. L’ultima ipotesi di deroga è contemplata dall’art. IX, par. 3 dell’Accordo istitutivo dell’OMC, il quale riprende quanto originariamente disposto dall’art. XXV, par. 5, del GATT, in materia di azione collettiva delle PARTI CONTRAENTI, estendendone il contenuto, oltre che alla restante normativa sullo scambio di merci prevista dagli altri Accordi dell’Allegato 1 A,

anche alla disciplina dei servizi e della proprietà

intellettuale, nonché allo stesso Accordo istitutivo. Tali deroghe speciali (o waivers) hanno carattere generale, temporaneo e residuale, potendo riguardare qualsiasi situazione non espressamente prevista dai precedenti regimi derogatori, manifestatasi in seguito al verificarsi di circostanze 265

A partire dal caso United States – National Security Export Restrictions del 1949 si è affermata una linea giurisprudenziale per cui, pur riconoscendo la competenza a sindacare le misure ex art. XXI, si ammetteva la totale discrezionalità degli Stati nel valutare sia l’esistenza della minaccia alla sicurezza, sia quali fossero le misure più idonee per contrastarla. In seguito, di fronte all’acuirsi delle tensioni internazionali riguardo alla situazione nicaraguense e delle Falkland, la questione è stata oggetto di una decisione delle PARTI CONTRAENTI finalizzata a ottenere un’interpretazione autentica dell’art. XXI (cfr. Decision Concerning Article XXI of the General Agreement, in BISD, 1983, suppl. 29, p. 24 e ss.) in essa si riscontra un’impostazione estremamente vaga e indeterminata, che, riaffermando il diritto di ricorrere alla procedura di soluzione delle controversie, riconosce come “contracting parties should be informed, to the fullest extent possible, of trade measures taken under art. XXI” (enfasi aggiunta). La normativa OMC ha introdotta un elemento di importante novità attraverso la previsione del mandato standard per i panel, se non viene raggiunto un accordo tra le parti in causa, fatto che potrebbe influire in maniera determinate riguardo alla possibilità, in futuro, di sindacare la legittimità delle misure in questione.

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eccezionali. Nella prassi, la ratio delle deroghe speciali è stata in parte snaturata ed esse sono diventate strumenti di ordinaria amministrazione266, spesso di lunga durata, se non addirittura permanenti, in ragione di carenze strutturali delle economie degli Stati membri e in particolare di quelli in via di sviluppo. In sostanza, l’espressione “circostanze eccezionali” è stata interpretata come riferibile sia a fattori congiunturali imprevisti, che a fattori strutturali semplicemente non previsti dalle precedenti eccezioni. Dal punto di vista procedurale, le deroghe speciali sottostanno all’obbligo di autorizzazione preventiva a maggioranza dei tre quarti degli Stati membri e di riesame annuale267, in seguito al quale la Conferenza dei Ministri può decidere, qualora constatasse che sono venute meno le circostanze eccezionali o che non sono stati rispettati i termini o le condizioni prescritte, di prorogare, modificare o abrogare la deroga.

3.3. Gli altri Accordi multilaterali sullo scambio di merci: l’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi e l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie Tra i dodici Accordi multilaterali rimanenti ci limiteremo a tracciare le linee guida di quelli suscettibili di avere un effetto diretto o indiretto sulla tutela dell’ambiente. Si tratta, in primo luogo, dell’Accordo sugli ostacoli tecnici al commercio e di quello sulle misure sanitarie e fitosanitarie e, in misura minore, di quello sull’agricoltura e di quello sulle sovvenzioni e i dazi compensativi268. 266

Solo durante il periodo di vita del GATT le deroghe autorizzate sono state 115 e soltanto due sono state respinte. 267 L’art. XXV è stato integrato da una decisione delle PARTI CONTRAENTI del 1956 (BISD, 1957, p. 25 e ss.) che prevedeva l’introduzione di un meccanismo di riesame e di verifica periodica delle circostanze che hanno legittimato l’adozione delle deroghe. Tale procedimento è stato accolto dal par. 4 dell’art. IX dell’Accordo istitutivo. Ulteriori precisazioni riguardo alle modalità di ricorso sono state prescritte dall’Intesa relativa alle deroghe agli obblighi previsti dall’Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994, la quale ha espressamente ribadito la possibilità di esercitare anche un controllo di legalità in sede contenziosa in caso di mancato rispetto delle condizioni o nel caso di reclami senza violazione. 268 In linea di principio, anche l’Accordo sulle misure relative agli investimenti che incidono sugli scambi commerciali (TRIMs) potrebbe avere degli effetti sulla facoltà degli Stati di adottare misure di protezione ambientale, considerati i problemi connessi all’eventuale imposizione di determinati standard ambientali e ai conseguenti fenomeni dell’environmental shopping e del dumping ecologico da parte delle imprese investitrici. Di

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Le norme tecniche relative alle caratteristiche dei prodotti e i relativi sistemi di certificazione costituiscono una delle forme più diffuse di barriere non tariffarie agli scambi commerciali, soprattutto nel caso in cui si verifichi un’alta difformità delle differenti normative nazionali. L’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi (o Accordo TBT, dall’acronimo inglese di Technical Barriers to Trade) integra e precisa il contenuto del Codice sugli ostacoli tecnici agli scambi elaborato durante il Tokyo Round (il c.d. Standard Code), al fine di rispondere all’esigenza di contemperare la tutela della sovranità statale e quella della libera circolazione delle merci. In tal senso, l’Accordo opera una sintesi tra il disposto dell’art. XX, che consente di derogare agli impegni del GATT per determinati motivi di pubblico interesse, e quello dell’art. XI, che vieta le restrizioni quantitative e “ogni altra misura di effetto equivalente”. Di conseguenza gli Stati sono tenuti ad applicare le proprie normative tecniche in maniera da non causare distorsioni al commercio internazionale. L’Accordo TBT è diviso in tre parti, relative, rispettivamente, ai regolamenti tecnici e alle norme, alle procedure di valutazione della conformità dei prodotti alle suddette disposizioni e agli obblighi di informazione e assistenza. L’ambito di applicazione è particolarmente vasto, dovendosi escludere soltanto le normative riguardanti gli acquisti degli organismi governativi, le misure sanitarie e fitosanitarie e le norme riguardanti la fornitura di servizi, in fatto l’Accordo non fornisce alcuna reale disciplina del rapporto tra TRIMs e ambiente. In sede negoziale era stato proposto di introdurre un collegamento tra lo stabilimento di imprese estere sul territorio di un paese in via di sviluppo e il trasferimento di tecnologie pulite, ma l’accordo è stato raggiunto su posizioni minimaliste che mostrano una sostanziale indifferenza rispetto alle problematiche in esame. Ad ogni modo, la prima questione appare maggiormente incisiva. Dal momento che è ben probabile che la crescita economica dei paesi in via di sviluppo avvenga in misura maggiore per effetto dello stabilimento di imprese multinazionali nel loro territorio, piuttosto che tramite l’affermazione di industrie nazionali, la qualificazione tecnologica degli investimenti di dette imprese risulta più importante del trasferimento delle tecnologie in loro possesso alle imprese nazionali. “Sotto questo profilo, appare criticabile la mancanza di norme internazionali che consentano quanto meno di indirizzare possibili opzioni di politica degli investimenti sostenibile da parte dei Paesi in via di sviluppo, ed è grave dover rilevare che il non aver previsto nell’ambito dell’Accordo TRIMs almeno un “diritto” dei Paesi in via di sviluppo di imporre requisiti tecnologici minimi alle imprese straniere che intendono stabilirsi sul loro territorio finisce per assumere toni più amari – e preoccupanti – di una semplice occasione perduta.” Cfr. MUNARI, Il rapporto tra liberalizzazione del commercio internazionale e tutela dell’ambiente con particolare riguardo agli aspetti relativi alla proprietà intellettuale e agli investimenti, in SIDI, op. cit., p. 194 e ss.

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quanto oggetto di accordi ad hoc, e si estende ai regolamenti tecnici, con effetto vincolante, e alle norme tecniche, semplici parametri di riferimento privi di efficacia obbligatoria. L’art. 2 prescrive che i regolamenti non debbano violare gli obblighi di non discriminazione di cui agli artt. I e III. Inoltre, il par. 2269 stabilisce che essi non devono costituire indebiti ostacoli al commercio. A tal fine, dovranno, in primis, perseguire un obiettivo legittimo di pubblico interesse e, in secondo luogo, non dovranno essere più restrittivi di quanto necessario al conseguimento di detto obiettivo, analogamente a quanto prescritto dall’art. XX e da altre clausole di deroga e salvaguardia. Il par. 2 fornisce inoltre un elenco esemplificativo di obiettivi considerarti legittimi, tra cui figurano la tutela della salute o della sicurezza delle persone, la protezione della salute o della vita del mondo animale o vegetale e dell’ambiente. Va rilevato che l’ambito di applicazione dell’Accordo, a differenza dello Standard Code270, si estende anche ai processi e ai metodi produttivi, ma soltanto nella misura in cui questi vadano influire direttamente sulle caratteristiche del prodotto271, venendosi quindi a escludere la possibile 269

“Members shall ensure that technical regulations are not prepared, adopted or applied with a view to or with the effect of creating unnecessary obstacles to international trade. For this purpose, technical regulations shall not be more trade-restrictive than necessary to fulfil a legitimate objective, taking account of the risks non-fulfilment would create. Such legitimate objectives are, inter alia: national security requirements; the prevention of deceptive practices; protection of human health or safety, animal or plant life or health, or the environment. In assessing such risks, relevant elements of consideration are, inter alia: available scientific and technical information, related processing technology or intended end-uses of products.” 270 Il caso più celebre, nonché l’unico a superare la fase delle consultazioni, riguarda la disputa, intercorsa nel 1987 tra Comunità Europea e Stati Uniti, sull’utilizzo di ormoni nell’allevamento dei bovini. La questione non giunse mai all’attenzione di un panel, persistendo tra i due Stati un contrasto su questioni di carattere procedurale circa l’approccio da seguire per l’esame del reclamo. Tale questione sottintendeva, di fatto, un contrasto relativo all’applicabilità alla controversia della normativa giuridica del Codice, tesi contestata dalla CEE in favore della clausola di eccezione dell’art. XX, richiamata anche dal preambolo dello stesso Codice, che riconosce a ciascuna parte il diritto di adottare tutte le misure necessarie alla tutela della vita e della salute delle persone. Nonostante la controversia non sia mai stata risolta nell’ambito del GATT 1947, ha avuto modo di evidenziare un’importante lacuna dello Standard Code. Cfr. LIGUSTRO, Le controversie, cit., p. 308 e ss. 271 Si tratta della related processing technology di cui si deve tenere conto, tra l’altro, nella valutazione del rischio, secondo la lettera del paragrafo. In tal senso, cfr. LAL DAS, op. cit., p. 116: “What a “related” process and production method is, has not been specifically defined, but, in practice, it is generally understood that the process or production method will be considered “related” if it has an effect on the quality or characteristics of the product.”

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adozione di regolamenti che disciplinino processi produttivi suscettibili di arrecare danni all’ambiente senza lasciare traccia nel prodotto finito272. Un valido strumento per garantire il rispetto del requisito di necessità e proporzionalità da parte di un regolamento tutelante un obiettivo legittimo è, ai sensi del par. 4, l’armonizzazione degli standard tecnici a livello internazionale273. Gli Stati sono tenuti ad uniformarsi a tali standard (nonché, ex par. 6, a cooperare alla loro elaborazione) nel corso della predisposizione dei propri regolamenti tecnici, tranne nei casi in cui dovessero rivelarsi inefficaci e inadeguati al perseguimento dell’obiettivo legittimo. Qualora ritenessero inadeguate le norme internazionali, o in mancanza delle stesse, gli stati membri rimangono liberi di adottare autonomamente i regolamenti che ritengono maggiormente efficaci. Nel corso della loro elaborazione sono invitati a valutare i requisiti del prodotto in relazione alle sue prestazioni, piuttosto che alla sua concezione o alle caratteristiche descrittive, e soprattutto a tenere in considerazione il principio di equivalenza e mutuo riconoscimento dei regolamenti tecnici degli altri membri274. 272

La questione, strettamente connessa alla possibile portata extraterritoriale delle eccezioni dell’art. XX, sarà oggetto di trattazione nel terzo capitolo. 273 Le principali istituzioni internazionali preposte all’elaborazione di standard tecnici sono l’Organizzazione internazionale per la standardizzazione (International Organization for Standardization, ISO) competente riguardo ai più svariati settori tecnici, con l’eccezione della tecnologia elettrica e elettronica, di competenza della commissione elettrotecnica internazionale (CEI). Al fine di garantire una completa informazione riguardo alle norme previste dall’ISO, il Segretariato dell’OMC e l’ISO hanno istituito un sistema di informazione comune attraverso la pubblicazione periodica dei dati raccolti da parte del Centro di informazione ISO/CEI, che viene successivamente sottoposta all’esame del Comitato per gli ostacoli tecnici agli scambi. In campo ambientale l’attività dell’ISO si è concentrata in particolare sui criteri di eco-labelling (serie 14000), incontrando il parere favorevole del CTE. Cfr. JOSHI, Are Eco-Labels Consistent with World Trade Organization Agreements?, in JWT, 2004, p. 69 e ss. Di fatto, i criteri su cui dovrebbe basarsi la trasparenza delle attività dell’ISO e la sua indipendenza dai principali settori industriali sono stati oggetto di accese contestazioni da parte dei movimenti cosiddetti noglobal. Per un’analisi particolarmente critica, che si spinge fino a definire l’ISO come “costituzionalmente controllata e gestita dalle industrie”, si veda, WALLACH, SFORZA, WTO. Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale, Milano, 1999, p. 90 e ss. 274 Il principio, formulato in maniera assolutamente non tassativa, configura un regime di libera circolazione delle merci di gran lunga meno efficace di quanto contemplato dall’ordinamento comunitario, sia relativamente al mutuo riconoscimento delle certificazioni operate dagli altri Stati membri, in seguito alla ben nota sentenza Cassis-deDijon (consultabile sulla Raccolta della giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado delle Comunità europee, 1979, p. 649), sia riguardo all’armonizzazione in positivo, attraverso l’introduzione dell’etichetta di garanzia comune

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Riguardo all’adozione delle norme, le quali, seppur prive di carattere vincolante, hanno in genere una larghissima diffusione, vanno tenuti in considerazione gli stessi principi e criteri applicabili ai regolamenti275. Come è già stato accennato, dall’Accordo TBT sono state esplicitamente escluse le norme relative alle misure sanitarie e fitosanitarie, in ragione della necessità di garantire una specifica tutela alle esigenze poste dal commercio agricolo, come la salute dei consumatori o il rispetto dell’ambiente naturale, senza che tali misure possano costituire strumenti indirettamente protezionistici. In tal senso, l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (o Accordo SPS, da Sanitary and Phitosanitary Measures), da un lato, opera un’integrazione del disposto della lettera b) dell’art. XX, e, dall’altro, estende al settore agricolo le regole in materia di ostacoli tecnici agli scambi. Sulla base delle disposizioni dell’Allegato A, emerge una definizione di misura sanitaria o fitosanitarie estremamente rigorosa. Di fatto, vi rientrano soltanto quelle misure immediatamente ricollegabili alla tutela della salute umana, animale o vegetale, dovendosi invece escludere la loro adozione per altri scopi, anche se successivamente riconducibili alla medesima finalità, come nel caso di misure volte a preservare l’habitat naturale di determinate specie. Assoluta libertà viene lasciata, invece, riguardo alla forma e al contenuto dei provvedimenti in questione. L’art. 2, ai parr. 2 e 3, prevede che gli Stati membri debbano soddisfare quattro condizioni prima di adottare una misura SPS: andranno applicate soltanto nella misura necessaria a tutelare la vita e la salute, non dovranno costituire discriminazioni arbitrarie o ingiustificate né larvate restrizioni al commercio e, soprattutto, dovranno essere basate su adeguate

“CE” certificante la conformità dei prodotti alle direttive comunitarie e applicabile indifferentemente in qualunque Stato membro della Comunità. 275 L’Allegato 3 dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi predispone un Codice di procedura per la corretta preparazione, adozione e applicazione degli standard normativi (Code of Good Practice for the Preparation, Adoption and Application of Standards), cui i diversi enti nazionali di normalizzazione sono chiamati a notificare la loro adesione. In data 1 marzo 2005 si contano 152 enti facenti capo a 111 Stati membri. L’elenco aggiornato e il resoconto delle attività dell’ISO possono essere consultati sul sito ufficiale dell’Organizzazione, www.iso.org (pagina base).

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prove scientifiche276. L’obbligo di valutazione scientifica costituisce uno dei capisaldi dell’Accordo, unitamente alle disposizioni dell’art. 3 in materia di armonizzazione, ma la sua applicazione nella prassi è stata piuttosto problematica e controversa. Infatti, la lettera degli articoli sembra riconoscere la piena competenza degli Stati a determinare autonomamente il livello di protezione che ritengono maggiormente adeguato, potendo anche optare per un livello di rischio pari a zero, ma, nelle controversie che hanno avuto ad oggetto misure SPS277, è emersa un’interpretazione particolarmente restrittiva dell’obbligo di valutazione scientifica, nel senso di richiedere la prova non dell’esistenza di un rischio, ma della sicura nocività delle conseguenze legate all’importazione di un determinato prodotto. Una simile impostazione ribalta completamente la ratio del principio precauzionale, noto cardine del diritto ambientale che, in caso di dubbio, prescrive di dare priorità alle esigenze di tutela della salute piuttosto che agli interessi legati alla libera circolazione delle merci. Per ovviare a tale grave lacuna normativa l’art. 5, par. 7278, accoglie il principio, seppure formulato in termini piuttosto deboli. In tal senso, le misure SPS possono essere comunque adottate in assenza di sufficienti prove scientifiche, ma soltanto in via provvisoria e sulla base delle informazioni scientifiche disponibili. Inoltre, lo Stato che intende adottarle ha l’obbligo di continuare la ricerca per ottenere le prove scientifiche definitive della necessità delle misure in questione, le quali dovranno essere sottoposte a un riesame entro un periodo 276

Nel caso Japan – Measures Affecting Agricultural Products (noto come caso Varietals) il requisito delle “prove scientifiche sufficienti” è stato interpretato nel senso che possa ritenersi sufficiente l’esistenza di una relazione logica e obiettiva tra le misure SPS e le prove scientifiche. Inoltre non si richiede che la valutazione dei rischi sia stata fatta necessariamente dallo Stato che adotta le misure, né che sia suffragata dalla maggioranza della comunità scientifica, potendosi anche basare su opinioni di minoranza, fermo restando il successivo controllo, in sede OMC, dell’effettiva applicazione di metodi e procedure scientifiche. Cfr. il rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS76/AB/R, del 22 febbraio 1999, par. 84, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base) 277 Si tratta delle già citate controversie sui casi Varietals e Ormoni e del caso Australia – Measures Affecting the Importation of Salmon. 278 “In cases where relevant scientific evidence is insufficient, a Member may provisionally adopt sanitary or phytosanitary measures on the basis of available pertinent information, including that from the relevant international organizations as well as from sanitary or phytosanitary measures applied by other Members. In such circumstances, Members shall seek to obtain the additional information necessary for a more objective assessment of risk and review the sanitary or phytosanitary measure accordingly within a reasonable period of time.”

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di tempo ragionevole. Infine, in sede giudiziale è stato chiarito che i requisiti menzionati devono essere considerati cumulativamente e che l’onere di provare che siano stati rispettati incombe sullo Stato che intende adottare la misura SPS, procedura solitamente piuttosto onerosa dal punto di vista finanziario, soprattutto per i paesi in via di sviluppo. A ciò va aggiunto che, a differenza di quanto previsto dall’art. XX, le misure SPS necessitano di una giustificazione a prescindere da ogni eventuale violazione della normativa OMC. Invece, nel caso in cui uno Stato adotti una misura SPS sulla base degli standard formulati dalle organizzazioni internazionali competenti279, l’art. 3 par. 2, prevede che debbano ritenersi necessarie e compatibili con l’Accordo SPS, senza bisogno di verifica successiva. Un ulteriore strumento per l’armonizzazione degli standard è rappresentato dal principio di equivalenza o mutuo riconoscimento stabilito dall’art. 4, in base al quale lo Stato esportatore dimostra “oggettivamente” che le misure SPS poste in essere nel suo territorio raggiungono un livello di protezione ritenuto appropriato dallo Stato importatore. Per facilitare tale processo il Comitato SPS ha stabilito una serie di criteri per facilitare le procedure di mutuo riconoscimento e per evitare che i membri applichino distinzioni arbitrarie o ingiustificate nei livelli che ritengono appropriati in situazioni diverse280, come disposto dall’art. 5, par. 5. Queste disposizioni hanno l’effetto tendenziale di livellare gli standard verso il basso, soprattutto 279

Si tratta della Commissione del Codex Alimentarius, organo consultivo con sede a Roma creato su iniziativa della FAO e dell’OMS e competente su questioni di sicurezza alimentare, dell’Ufficio internazionale delle epizoozie (Office International des épizooties, OIE) con sede a Parigi, che svolge le stesse funzioni relativamente alla salute degli animali e alle zoonosi, cioè le malattie degli animali trasmissibili all’uomo, della Commissione ad interim sulle misure fitosanitarie (Interim Commission for Phytosanitary Measures, ICPM) della Convenzione internazionale per la difesa dei vegetali (International Protection Plants Convention, IPPC), nonché ogni altra organizzazione internazionale con competenze in questi settori individuata dal Comitato SPS dell’OMC. I resoconti delle attività delle organizzazioni e relativi standard normativi approvati possono essere consultati sui siti ufficiali delle organizzazioni, rispettivamente, www.codexalimentarius.net, www.oie.int, www.ippc.int, (pagine base). Sull’indipendenza e sull’obiettività delle suddette organizzazioni sono state avanzate perplessità notevoli, in maniera particolare riguardo al Codex Alimentarius, con riguardo alle influenze che i vari settori industriali interessati a un’armonizzazione verso il basso degli standard di tutela esercitano sul loro operato. Cfr. WALLACH, SFORZA, op. cit., p. 84 e ss. 280 I criteri in questione sono contenuti, rispettivamente, nei documenti WTO doc. G/SPS/19/Rev. 2 del 23 luglio del 2004 (che rivede e completa un’analoga decisone del 2001, WTO doc. n. G/SPS/19) e WTO doc. G/SPS/15 del 18 luglio 2000, consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

129

qualora debba ritenersi equivalente la normativa di molti paesi in via di sviluppo, i quali, frequentemente pressati dalle politiche di aggiustamento strutturale imposte dal FMI, tendono ad abbassare i livelli di sicurezza per massimizzare i proventi delle esportazioni281. Alla luce di quanto esposto sembra esserci una notevole discrepanza tra l’obiettivo teorico dell’Accordo, ossia evitare l’adozione di misure SPS che discriminino arbitrariamente o ingiustificatamente o che costituiscano una dissimulata restrizione commerciale, e quello pratico, che sembra tradursi in una cospicua perdita della sovranità statale a beneficio esclusivo della libera circolazione delle merci, nonostante sia unanimemente accertato che la globalizzazione dei mercati rappresenti un importante fattore di diffusione di malattie umane, animali e vegetali282. Inoltre, la seria limitazione delle prerogative statali in materia di sicurezza alimentare viene considerevolmente amplificata dagli obblighi, posti dall’Accordo TRIPs, inerenti

alla

tutela

dei

brevetti

anche

sulle

varietà

vegetali283.

Conseguentemente non stupisce che l’Accordo sia stato oggetto di notevoli critiche all’interno dei più svariati settori della società civile284.

3.4 (segue) L’Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative e l’Accordo sull’agricoltura L’Accordo sulle sovvenzioni e le misure compensative (detto anche Accordo SCM, da Agreement on Subsides and Countervailing Measures) ridisegna la disciplina delle sovvenzioni originariamente prevista dagli artt. XVI e VI del GATT e dal successivo Codice del Tokyo Round, colmandone le principali lacune. Innanzitutto chiarisce il contenuto della nozione di sovvenzione, evidenziando i due elementi costitutivi fondamentali: l’esistenza di un aiuto proveniente dalla finanza pubblica e il relativo 281

Cfr. WALLACH, SFORZA, op. cit., passim. Si veda, in tal senso, il rapporto dell’OMS, Foodborne Diseases, Emerging, del 1996, aggiornato nel gennaio del 2002, in Factsheet n. 124, consultabile sul sito ufficiale dell’Organizzazione, www.who.int (pagina base). 283 Cfr. infra 284 Per una lettura particolarmente critica delle vicende relative all’attuazione dell’Accordo si veda WALLACH, SFORZA, op. cit., p. 62 e ss. 282

130

conferimento di un vantaggio competitivo alle imprese che lo ricevono. L’Accordo delinea uno schema tripartito che differenzia il regime giuridico cui devono sottostare le sovvenzioni a seconda sia dei possibili effetti sugli scambi che degli obiettivi che si propongono di tutelare. Viene così a configurarsi un regime giuridico che, durante i negoziati dell’Uruguay Round, è stato efficacemente esemplificato attraverso la metafora del “sistema-semaforo”. Le sovvenzioni c.d. “rosse”, rientranti nella Parte II, risultano del tutto incompatibili con l’Accordo e sono quindi soggette ad azione legale. Ai sensi dell’art. 3 soltanto due tipi di sovvenzioni risultano tassativamente

vietate,

le

sovvenzioni

condizionate

ai

risultati

dell’esportazione285 e quelle condizionate all’uso preferenziale di merci nazionali. Le sovvenzioni “gialle”, contenute nella Parte III, sono passibili di azione legale soltanto nel caso in cui arrechino un pregiudizio agli interessi di altri Stati286. A tale categoria appartengono tutte le sovvenzioni specifiche287 che non rientrano delle ipotesi contemplate dalla Parte II o dalla Parte IV. In quest’ultima rientrano le sovvenzioni senz’altro lecite e quindi non passibili di azione legale. Si tratta, oltre che di tutte le sovvenzioni prive di carattere specifico, di quelle mirate a tutelare obiettivi di particolare rilevanza sociale. L’art. 8 identifica tre possibilità: l’assistenza alla ricerca, l’aiuto alle regioni svantaggiate e l’assistenza all’adeguamento delle strutture produttive a nuovi obblighi in materia ambientale. Per poter essere considerate lecite, tali sovvenzioni devono comunque rispondere a determinati requisiti. Nel caso dell’adeguamento alla normativa ambientale è richiesto, in particolare, che gli impianti da sostituire esistano da più di

285

Trattandosi di una nozione particolarmente vasta e complessa, l’Accordo riproduce, all’Allegato I, l’”Elenco illustrativo delle sovvenzioni all’esportazione” già annesso al Codice del 1979, che facilita la definizione del tipo di sovvenzione pur avendo valore esclusivamente esemplificativo. 286 Tali pratiche sono illustrate all’art. 6. In base alla ripartizione dell’onere della prova dell’eventuale grave pregiudizio, è possibile suddividere ulteriormente quest’ultima categoria in sovvenzioni “giallo chiaro” (parr. 2 e 3) e “giallo scuro” (par. 1), a seconda che l’onere probatorio ricada sullo Stato leso o sullo Stato sovvenzionante. 287 Ai sensi dell’art. 2 una sovvenzione è ritenuta specifica qualora, de iure o de facto, non possa essere automaticamente attribuita a ogni impresa o industria posta sul territorio dello Stato concedente. Per una classificazione delle varie tipologie di sovvenzioni, cfr. COMBA, Il neoliberismo, op. cit. supra, p. 211.

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due anni, che si tratti di una misura una tantum e limitata al 20%288 del costo dell’adattamento, che sia direttamente collegata alla riduzione e non a un eventuale abbassamento dei costi di produzione, che possa essere concessa indifferentemente ad ogni impresa che possa adottare i nuovi sistemi produttivi e non copra i costi di sostituzione e di gestione dell’investimento assistito. Il controllo del rispetto di tali requisiti compete al Comitato sulle sovvenzioni e sulle misure compensative, cui ogni Stato che intenda adottare programmi di sussidi conformi ai criteri dell’art. 8 è tenuto a notificare l’adozione. Per quanto riguarda i mezzi di ricorso, l’Accordo conferma l’impostazione del Codice del Tokyo Round, il quale, accanto allo strumento unilaterale dei dazi compensativi (la c.d. “track I”, disciplinato dalla Parte V dell’Accordo) introduce la possibilità di sottoporre le sovvenzioni alla procedura di consultazione, conciliazione e soluzione multilaterale delle controversie (“track II”). Del resto, risulta evidente come il campo di applicazione dei dazi ex art. 6 sia particolarmente limitato, trattandosi di misure adottabili solo dallo Stato importatore di un bene reso maggiormente competitivo da un sussidio, mentre la procedura contenziosa consente di tutelare gli interessi anche di eventuali Stati terzi che esportino quel determinato bene sia nel mercato dello Stato sovvenzionante che in quello di altri Stati dove possa essere esportato il bene oggetto della sovvenzione. Inoltre, il meccanismo contenzioso è azionabile anche dagli stessi Stati sovvenzionanti che abbiano motivo di ritenere di essere stati ingiustificatamente o sproporzionatamente colpiti da dazi compensativi o da altri tipi di contromisure. Il primo procedimento può essere considerato come una deroga esplicita al divieto di contromisure unilaterali e, infatti, nella prassi viene utilizzato

con

estrema

frequenza289.

Tuttavia,

tale

potere

viene

288

Sia per i sussidi alla ricerca che per quelli alle regioni svantaggiate sono previsti requisiti meno stringenti e viene consentito di coprire una percentuale maggiore dei costi di adeguamento, in ragione del fatto che, mentre i primi due obiettivi possono essere raggiunti con difficoltà semplicemente grazie all’iniziativa dei privati, i costi connessi a una maggiore efficienza ambientale dovrebbero essere sostenuti dall’impresa stessa e compresi nel prezzo definitivo del prodotto. Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 245. 289 Nella prassi s verifica spesso anche il c.d. fenomeno del counter-subsidy, cioè la concessione di sovvenzioni di analoga entità alle imprese nazionali. Tale “scorciatoia

132

controbilanciato dall’obbligo di attendere l’esito di una procedura di inchiesta preliminare, finalizzata ad accertare l’esistenza dei tre elementi oggettivi necessari a legittimare la riscossione dei dazi, cioè la sussistenza di una sovvenzione, di un pregiudizio arrecato all’industria nazionale e, soprattutto, l’esistenza di un rapporto di causalità tra i due. In base all’art. 11, l’inchiesta può essere aperta su istanza dei soggetti privati nazionali interessati o delle autorità nazionali competenti, alle quali preventivamente spetta il compito di constatare la non manifesta insussistenza dei requisiti oggettivi e della legittimazione ad agire dei ricorrenti. L’inchiesta può avere tre differenti esiti: il rigetto della domanda, la sospensione o la chiusura del procedimento in seguito ad un accordo tra le parti o l’accoglimento della domanda e l’imposizione dei dazi compensativi, i quali dovranno essere proporzionali, non discriminatori e non eccedere la durata necessaria a compensare il danno, che non deve in ogni caso superare i cinque anni. La procedura contenziosa può essere invocata in parallelo e svolgersi contemporaneamente alle procedure della Parte V, tuttavia, per quanto concerne gli effetti, è ammessa soltanto una forma di compensazione. Uno Stato membro che abbia ragione di ritenere che un altro Stato abbia accordato una sovvenzione vietata e che non sia nella posizione di potere adottare misure compensative o comunque non ne abbia intenzione, può presentare un reclamo con infrazione al DSB. Se viene accertata l’illiceità della sovvenzione, lo Stato che la eroga ha l’obbligo di revocarla senza indugio a prescindere dal verificarsi o meno di un pregiudizio per lo Stato ricorrente. Anche le sovvenzioni appartenenti all’”area gialla” possono essere oggetto di entrambi i mezzi di tutela previsti dall’Accordo, ma nel caso di ricorso al DSB deve essere provato sia il carattere specifico della sovvenzione che l’esistenza di effetti pregiudizievoli. In caso di esito positivo del ricorso lo Stato sovvenzionante può limitarsi a rimuovere tali effetti modificando la sovvenzione senza necessità di revocarla. Nei confronti delle sovvenzioni ex art. 8 non può essere utilizzata nessuna delle extraistituzionale” è stata ritenuta inammissibile dal rapporto del panel, WTO doc. WT/DS46/R, del 14 aprile 1999, nel caso Brazil – Export Financing Programme for Aircraft, (consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base) quanto in evidente contrasto sia con la disciplina delle sovvenzioni che con l’art. 23 del DSU.

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due procedure, salvo il caso in cui non siano state regolarmente notificate al Comitato SCM. Tuttavia, se successivamente risultassero conformi ai requisiti che il Comitato è tenuto a controllare in via preventiva, i procedimenti eventualmente instaurati dovranno dichiararsi estinti290. Naturalmente, l’ambito di applicazione dell’Accordo SCM è circoscritto ai prodotti industriali, mentre il regime delle sovvenzioni agricole sottostà alla disciplina dell’Accordo ad hoc concluso durante l’Uruguay Round. L’Accordo sull’agricoltura risponde all’esigenza di integrare nel sistema generale dello scambio di merci i prodotti agricoli che, in virtù delle prescrizioni degli artt. XI, par. 2 c), e dell’art. XVI, par. 3, venivano sottratti sia al divieto di restrizioni quantitative, sia al divieto di sovvenzioni all’esportazione, creando un regime ad hoc con caratteristiche marcatamente protezionistiche. Le principali regole dell’Accordo si sostanziano nelle norme sull’accesso al mercato, nelle norme sul sostegno interno e nelle norme sulle sovvenzioni all’esportazione. Le norme sull’accesso al mercato constano di un generale obbligo di eliminazione di ogni genere di barriera non tariffaria, in osservanza del principio della tariffazione, unitamente all’impegno di riduzione progressiva delle tariffe. Per consentire un adattamento meno traumatico in un settore notoriamente molto sensibile, all’art. 5 è prevista una clausola di salvaguardia speciale che, senza la necessità della minaccia di un grave pregiudizio che viene richiesta per invocare la clausola generale ex art. XIX, consente di applicare un dazio addizionale provvisorio qualora venga

290

L’art. 9 (il quale, ai sensi dell’art. 31 è da considerarsi decaduto a partire dal 1° gennaio 2000) prevedeva che in certi casi fosse possibile, nonostante l’avvenuto controllo del Comitato, che le sovvenzioni non passibili di azione legale potessero comunque dar luogo a procedimenti nell’ambito dell’Accordo. A tal fine occorrevano due elementi: l’esistenza di seri effetti sfavorevoli per un’industria nazionale e che tali danni fossero difficilmente risarcibili. La procedura prevista era in parte simile a quella per le sovvenzioni passibili di azione legale e poteva condurre all’adozione di contromisure finalizzate esclusivamente a neutralizzare l’effetto del danno, e rientranti pertanto nell’ipotesi di responsabilità per fatto lecito, per altro non pacificamente ammessa in dottrina. Cfr. COMBA, Il neoliberismo, cit., p. 218 e ss.

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importata una quantità di prodotti superiore ad una “quantità limite” oppure i prodotti vengano importati a un prezzo inferiore a un “prezzo limite”. L’area del sostegno interno riguarda ogni forma di aiuto pubblico, a eccezione delle sovvenzioni all’esportazione, e si distinguono in base all’effetto che producono sugli scambi commerciali. Le misure che incidono sul commercio sottostanno a un obbligo di riduzione del 20% entro un “periodo di attuazione” di sei anni e consistono solitamente in sovvenzioni alla produzione e misure di sostegno dei prezzi. L’entità della riduzione viene calcolata a livello aggregato, in base a un indicatore noto come AMS (Aggregate Measurement of Support, misura di sostegno aggregata), Viceversa, le misure prive di effetti rilevanti sul commercio non rientrano negli impegni di riduzione e risultano completamente escluse dall’AMS totale. L’Allegato 2, intitolato “Sostegno interno: base per l’esonero dagli impegni di riduzione”, specifica il contenuto delle misure suddette attraverso una lista, comunemente definita Green Box, che fa riferimento a dodici tipi di misure. Al punto 12291 figurano le sovvenzioni finalizzate a sostenere i programmi di tutela ambientale, la cui attuazione comporta frequentemente oneri consistenti per i produttori agricoli. La norma risulta perfettamente coerente con il riconoscimento della multifunzionalità delle attività agricole enunciata dal preambolo dell’Accordo, che implica una necessaria

attenzione

agli

aspetti

non

commerciali

connessi

alla

liberalizzazione di tali attività, quali la sicurezza alimentare e la protezione ambientale. Gli impegni di riduzione delle sovvenzioni all’esportazione hanno, naturalmente, una portata molto più ampia che nel caso di sovvenzioni interne, per quanto sottostiano ad un regime più blando rispetto al divieto assoluto di sovvenzioni all’esportazione di prodotti industriali. Inoltre, l’art 13 prevede una “clausola di cautela” per consentire di superare le difficoltà 291

“Payments under environmental programmes: (a)Eligibility for such payments shall be determined as part of a clearly-defined government environmental or conservation programme and be dependent on the fulfilment of specific conditions under the government programme, including conditions related to production methods or inputs. (b)The amount of payment shall be limited to the extra costs or loss of income involved in complying with the government programme.”

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derivanti alla liberalizzazione del settore attraverso l’esonero totale o parziale delle stesse dall’imposizione di dazi compensativi e dalla possibilità di ricorso in sede contenziosa per un periodo di nove anni.

3.5. Il sistema degli scambi di servizi La regolamentazione internazionale del commercio dei servizi292 ha dovuto attendere i negoziati dell’Uruguay Round a causa delle divergenze tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo riguardo agli effetti che la liberalizzazione del settore avrebbe comportato nelle rispettive economie. Da un lato, la particolare caratterizzazione di tale tipo di commercio implica un’alta probabilità di possibili ricadute sulle normative nazionali in materia di controllo dell’immigrazione e di sicurezza, dall’altro, i paesi in via di industrializzazione non potevano non manifestare notevoli timori riguardo alla competitività dei servizi offerti dai paesi tecnologicamente avanzati293. Di fatto, ogni forma di resistenza è dovuta venire meno di fronte alla crescita imponente del terziario, sia nelle economie nazionali che negli scambi internazionali, ma la libera circolazione dei servizi resta comunque soggetta a numerosi ostacoli dovuti alle normative nazionali, in special modo quelle che impongono standard minimi, il riconoscimento dei diplomi

292

Sull’Accordo generale sul commercio di servizi si veda, BERGAMINI, Le eccezioni generali e di sicurezza dell’Accordo GATS alla liberalizzazione dei servizi, in ROSSI, op. cit., p. 77 e ss.; COMBA, op. cit., p. 242 e ss; DORDI, Gli accordi sul commercio dei servizi, in VENTURINI, op. cit., p. 61 e ss.; FABBIS-BEN NAOUM, Questioni empiriche sul commercio internazionale di servizi, in SACERDOTI, VENTURINI, La liberalizzazione multilaterale dei servizi e i suoi riflessi per l’Italia, p. 103 e ss; LAL DAS, op. cit., p. 325 e ss.; MENGOZZI, I servizi nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, in SIDI, op. cit., p. 107 e ss.; SACERDOTI, L’Accordo Generale sugli scambi di servizi (GATS): dal quadro OMC all’attuazione interna, in SACERDOTI, VENTURINI, op. cit., p. 1 e ss. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 361 e ss.; VENTURINI, Recenti sviluppi in tema di liberalizzazione degli scambi di servizi, in SIDI, op. cit., p. 133 e ss. 293 Alcune perplessità sono state avanzate anche dal punto di vista scientifico, relativamente alla possibilità che l’estensione al settore dei servizi del trattamento della nazione più favorita possa effettivamente condurre all’aumento generalizzato del livello di benessere, come si verifica nel caso del commercio delle merci. Per una visione critica dell’opportunità di estendere al processo di liberalizzazione dei servizi le medesime clausole previste per il commercio dei beni, cfr. FABBRIS BEN-NAOUM, op. cit., p. 103 e ss.

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o l’iscrizione agli ordini professionali294 e richiede modifiche dei sistemi giuridici degli Stati membri di gran lunga superiori a quelle rese necessarie dalla libera circolazione delle merci. Il GATS è caratterizzato da una struttura piuttosto complessa e risulta formato da diversi testi, per quanto essi costituiscano un quadro unitario e indivisibile. Accanto all’Accordo principale, che determina il campo di applicazione e le norme fondamentali, il GATS annovera anche una serie di allegati dedicati a settori specifici, come le telecomunicazioni, i servizi finanziari, i trasporti e i movimenti transfrontalieri di persone295. In base all’art. I, ricadono sotto la disciplina del GATS tutti i provvedimenti adottati dai membri che incidono sullo scambio dei servizi. Si tratta, evidentemente, di una definizione molto ampia, che contempla, come unica eccezione, i servizi forniti nell’esercizio dei poteri governativi, cioè non prestati su base commerciale, né in regime di concorrenza. L’assenza di un’esplicita definizione del concetto di sevizio viene considerata un elemento di forza dell’Accordo, potendosi prendere in considerazione prestazioni in continua evoluzione. Il par. 2 si limita a definire lo scambio di servizi cui applicare i GATS come ogni fornitura che avvenga tramite quattro modalità esplicitamente menzionate296. Il GATS contempla due differenti tipologie di obblighi: gli obblighi generali e gli obblighi specifici. I primi, contenuti nella Parte II, hanno una natura analoga agli obblighi previsti dal GATT e riguardano tutti gli Stati che hanno sottoscritto l’Accordo. Si sostanziano, in primo luogo, nel divieto di discriminazione esterna, fatta salva la possibilità di elencare in 294

Cfr. DORDI, op. cit., p. 65 e ss. Parte della dottrina, mutuando un’espressione tipica del diritto comunitario, ha ravvisato nel GATS la tipica struttura fondata su tre “pilastri”. Il primo è costituito dagli obblighi generali della Parte II dell’Accordo, il secondo dalle disposizioni speciali contenute negli allegati dedicati a specifici settori e il terzo dal sistema delle liste, contenenti sia gli impegni specifici che le deroghe agli impegni generali. Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 364. 296 Si tratta dei servizi forniti da uno Stato membro a un altro (la c.d. fornitura transfrontaliera, l’ipotesi maggiormente assimilabile al commercio delle merci), nel territorio di uno Stato membro a un consumatore di un altro Stato (la modalità del consumo all’estero), da individui di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato (che si realizza tramite lo spostamento di persone fisiche nel paese di residenza del fruitore), attraverso la presenza di un’entità commerciale di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato (la c. d. presenza commerciale, analoga alla precedente, ma caratterizzata da la presenza stabile dell’erogatore del servizio). 295

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un’apposita lista i servizi esclusi da tale trattamento rispettando i requisiti previsti dall’Allegato sulle eccezioni all’art. II, par. 2, e in secondo luogo, nell’obbligo di garantire la trasparenza tramite la pubblicazione e la comunicazione al Consiglio GATS di tutte le misure nazionali suscettibili di influire in materia di scambio di servizi. Oltre a quanto disposto dall’Allegato apposito, altre disposizioni consentono di derogare al trattamento della nazione più favorita: gli artt. XIV e XIV-bis, che prevedono le eccezioni di portata generale297 e relative alla sicurezza, l’art. V che disciplina le condizioni necessarie a creare aree di integrazione regionale, l’art. IV sul il trattamento dei paesi in via di sviluppo298, l’art. X sulle misure di salvaguardia, l’art. XII sulle restrizioni per motivi di bilancia dei pagamenti. Rientrano tra gli obblighi di portata generale anche altre disposizioni che appartengono soltanto al sistema degli scambi di servizi, come gli obblighi ex artt. VI, VII, VIII, IX e XI. L’art. VI comporta l’obbligo sia di astenersi dal disciplinare la fornitura di servizi in modo discrezionale o discriminatorio e dal porre in essere ostacoli non necessari299, che di istituire procedure e tribunali a cui ricorrere contro gli atti delle autorità nazionali che violino detti requisiti. Gli artt. VII e XI fanno riferimento a due obblighi di carattere strumentale: il mutuo riconoscimento dei titoli professionali e il divieto di restrizioni dei movimenti internazionali di capitali. Gli artt. VIII e IX sono volti a garantire standard minimi di concorrenza sui mercati nazionali dei servizi

297

Cfr. infra. Il trattamento preferenziale per i paesi in via di sviluppo può essere classificato in due gruppi di norme, quelle volte a semplificare le condizioni per l’applicabilità delle deroghe e quelle, come l’articolo in questione, che si limitano a imporre l’onere di istituire ulteriori negoziati per elaborare norme sostanziali che favoriscano lo sviluppo. Parte della dottrina ha conseguentemente sottolineato come, considerato il conflitto tra Stati industrializzati e non in merito alle modalità di liberalizzazione, tale disposizione tenda a configurare nei fatti una “falsa deroga”. Cfr. DORDI, op. cit. supra, p. 82 e ss. 299 Al Consiglio GATS spetta l’elaborazione di linee guida per fare in modo che le normative statali siano fondate su criteri obiettivi e trasparenti e che non siano più rigorose di quanto necessario ad assicurare la qualità del servizio. Al fine di favorire l’armonizzazione delle discipline nazionali, il Consiglio ha istituito, con la decisione WTO doc. S/L/70 del 28 aprile 1999 (consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base), lo Working Party on Domestic Regulation, in sostituzione dello Working Party on Professional Services, operante sin dalla nascita dell’Organizzazione. 298

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relativamente sia ai regimi di monopolio, sia a qualsivoglia altra pratica anticoncorrenziale300. Gli obblighi specifici hanno, invece, una portata circoscritta ai soli Stati membri che abbiano manifestato la volontà di vincolarvisi, includendo nelle proprie liste le categorie i servizi che intendano liberalizzare ulteriormente attraverso l’imposizione degli obblighi della Parte III dell’Accordo. Si tratta delle disposizioni relative all’accesso al mercato (art. XVI) e al trattamento nazionale (art. XVII). Risulta evidente la centralità assunta dal sistema delle liste in ambito GATS. Solo facendovi riferimento è possibile comprendere l’effettivo grado di liberalizzazione che ogni singolo paese ha inteso accordare a un certo servizio, sulla base delle quattro differenti modalità attraverso le quali può essere fornito. Il trattamento nazionale comporta l’obbligo di accordare ai prestatori stranieri un trattamento non meno favorevole di quello concesso agli operatori nazionali. In tal senso, non rileva che il trattamento possa essere formalmente diverso, ciò che conta è che non vi sia una forma di discriminazione che vada ad alterare le condizioni di concorrenza. L’obbligo di garantire l’accesso al mercato, ossia il divieto di opporre ostacoli ingiustificati alla fornitura di servizi, costituisce un perno fondamentale del sistema GATS, garantendo, oltre alla semplice non discriminazione, l’effettiva apertura dei mercati nazionali agli operatori stranieri, per quanto, ovviamente, sia sempre derogabile grazie al sistema delle liste. Al par. 2 è stato inserito un elenco tassativo delle misure da considerarsi in contrasto con la garanzia di accesso al mercato, prevalentemente riguardanti forme diverse di restrizioni quantitative301. 300

Si è parlato, a riguardo, di un’ “embrionale disciplina ultraregionale della concorrenza”, in quanto il quadro illustrato, seppur largamente ampliabile, configura un primo tentativo di fissare standard minimi di concorrenza applicabili a tutti i mercati nazionali dei servizi. Cfr. MENGOZZI, op. cit., p. 121 e ss. 301 Le lettere a), b), c), d) e f) vietano misure volte a limitare, rispettivamente, il numero dei prestatori, il valore complessivo delle transazioni, il numero massimo di imprese, il numero massimo delle persone impiegate e la possibilità di investimenti stranieri in società di servizi. La lettera e), invece, rappresenta un elemento di novità che va ben oltre il semplice divieto di discriminazione interna, vietando l’adozione di misure che impongano una forma specifica di personalità giuridica o di organizzazione dell’impresa. Da ultimo va considerato anche un obbligo sussidiario, derivante da una nota integrativa dell’articolo, che impone ai membri che abbiano assunto impegni riguardo all’accesso al mercato, di consentire i trasferimenti di capitale che costituiscano parte essenziale del servizio (da non

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Le particolari circostanze previste dall’art. XIV consentono agli Stati membri di adottare misure che contravvengono agli obblighi assunti in sede GATS. Si tratta dell’ipotesi di misure necessarie a proteggere la pubblica morale e l’ordine pubblico (invocabile soltanto nei casi di minaccia concreta e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della società), la salute e la vita di persone, animali o piante e di misure necessarie ad assicurare l’osservanza di leggi e regolamenti relativi alla prevenzione delle frodi, alla sicurezza e alla tutela della privacy. Inoltre, è possibile adottare misure in deroga al principio del trattamento nazionale al fine di garantire l’equa imposizione o l’efficace riscossione di imposte e misure in deroga alla clausola della nazione più favorita se risultano da accordi contro la doppia imposizione fiscale302. Il Consiglio GATS ha stabilito alcuni criteri da tenere presenti per adottare misure ai sensi dell’art. XIV, per quanto, nella fattispecie, si riferisse a provvedimenti miranti a prevenire le frodi e a tutelare la morale pubblica e la privacy. Tali provvedimenti dovranno, in primo luogo sottostare al c.d. “test di necessità”303, e non dovranno costituire discriminazioni arbitrarie o ingiustificate né restrizioni commerciali dissimulate. Inoltre, trattandosi di una disposizione relativa a delle confondersi con l’obbligo di liberalizzare i movimenti di capitale costituenti il pagamento di un servizio reso, già oggetto di un obbligo generale ai sensi dell’art. XI). 302 Va notato che, a differenza di quanto disposto dall’art. XIV-bis sulle eccezioni di sicurezza, l’art. XIV non prevede un obbligo di notifica a carico dello Stato che intenda porre in essere misure in contrasto con la normativa GATS. Parte della dottrina ha suggerito che un siffatto obbligo potesse essere desunto dal testo dell’Accordo, ma sulla questione, in mancanza di indicazioni esplicite, non vi è unità di vedute. Cfr. BERGAMINI, op. cit., p. 80 e il WTO doc. n. S/L/5 adottato da Consiglio GATS in data 4 aprile 1995 (consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base), per definire le linee guida da seguire in caso di necessità notifiche, in cui viene omesso ogni riferimento all’art. XIV. 303 La necessità costituisce la componente più importante del principio di proporzionalità, assieme all’idoneità e all’adeguatezza. Il giudizio sulla liceità di un provvedimento restrittivo prende in esame i primi due aspetti, lasciando la valutazione dell’adeguatezza tra le prerogative dei singoli membri. Inoltre i testi giuridici si limitano ad enunciare il requisito della necessità, dal momento che l’idoneità costituisce la logica componente della necessità, non potendosi ritenere necessaria una misure inidonea a conseguire un risultato. Di conseguenza, il giudizio sulla necessità risulta fondamentale ai fini di stabilire la liceità di una misura, e può essere scomposto in tre fasi: in primo luogo, vanno individuate una o più misure alternative significativamente meno restrittive, in seguito, si verifica l’efficacia di dette misure in relazione al fine da conseguire e, infine, qualora superino entrambi i test, va considerato se possano essere ragionevolmente adottate dallo Stato interessato valutandone l’adeguatezza e i costi che comporta. Cfr. GRADONI La protezione internazionale del consumatore nel diritto internazionale del commercio, in ROSSI, op. cit., p. 143 e ss.

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eccezioni, il suo contenuto dovrà essere interpretato restrittivamente e il suo scopo non potrà andare al di là degli obiettivi esplicitamente elencati. Va notato, che non tutte le delegazioni presenti si sono trovate concordi sull’opportunità di enunciare criteri così precisi in settori delicati e in continua evoluzione che potrebbero essere valutati più appropriatamente in sede contenziosa304. Riguardo a quest’ultima osservazione va considerato che la giurisprudenza in materia risulta pressoché assente, a differenza dell’art. XX del GATT. Né può ritenersi ammissibile una completa estensione dei principi relativi alle eccezioni generali del GATT, anche perché non vi è una completa corrispondenza tra il contenuto dei due articoli, mancando, ad esempio, ogni riferimento alla tutela delle risorse naturali esauribili305, carenza che potrebbe comportare l’illiceità delle misure tutelanti qualunque tipo di risorsa non vivente. In merito, il Consiglio GATS ha richiesto al CTE di esaminare il rapporto tra liberalizzazione del commercio dei servizi e la protezione ambientale, con riferimento all’obiettivo dello sviluppo sostenibile306. Il CTE, attraverso un’analisi dei negoziati che hanno portato all’attuale formulazione dell’art. XIV, ha voluto dimostrare come certi concetti inseriti nella prima bozza dell’articolo, cioè lo sviluppo sostenibile, l’ambiente e la protezione delle risorse non rinnovabili, siano stati successivamente esclusi poiché ritenuti superflui o non necessari307. In generale, il CTE ritiene che l’obiettivo dello sviluppo 304

Cfr. l’Interim Report, WTO doc. S/C/8, del 22 marzo 1999 (consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base), p. 9-10: “Members noted that Article XIV of the GATS (General Exceptions) applied to the protection of privacy and public morals and the prevention of fraud, and that measures taken by Members in fulfilment of such objectives should be subject to a test of necessity and should not constitute a means of arbitrary or unjustifiable discrimination nor a disguised restriction on trade in services. It was stressed that, as Article XIV constituted an exception provision, it had to be interpreted narrowly, and its scope could not be expanded to cover other regulatory objectives than those listed in the same Article. Doubts were expressed about the appropriateness of developing criteria in the WTO for the policy objectives identified in Article XIV, such as the protection of privacy and public morals and the prevention of fraud. One delegation suggested that there was no need for the Council to undertake further work on the interpretation of the principles of Article XIV, such as the necessity test, because, as in the case of Article XX of the GATT, these issues could only be settled in the context of dispute settlement.” (corsivo aggiunto) 305 Cfr. BERGAMINI, op. cit., p. 82 e ss. 306 Cfr. Decision on Trade in Services and the Environment, WTO doc. S/L/4. del 1°marzo 1995, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base) 307 Cfr. lo studio del CTE Environment and Services WT doc. WT/CTE/W/9, ibidem, parr. 8, 23.

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sostenibile debba essere raggiunto tramite un’ulteriore liberalizzazione dei servizi ambientali al fine di abbassarne i costi e tramite una rinegoziazione degli impegni finalizzata a garantire l’accesso ai servizi che abbiano un impatto positivo sull’ambiente308, piuttosto che tramite l’utilizzo delle eccezioni ex art. XIV. I tempi richiesti da simili interventi possono indurre a ritenere eccessive le considerazioni del CTE, dal momento che, il mantenimento degli impegni attuali, derogabili avvalendosi delle eccezioni interpretate con maggiore flessibilità, risulterebbe molto più immediato ed efficace309.

3.6. Gli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale Le rinnovate esigenze dell’economia internazionale, che vedono nella ricerca, nelle idee e nelle innovazioni tecnologiche delle componenti sempre più importanti del valore aggiunto dei beni internazionalmente commerciati, hanno imposto una revisione della precedente disciplina della materia, lacunosa sotto molti aspetti e facente capo alla Convenzione di Berna del 1886 per la protezione delle opere letterarie e artistiche, alla Convenzione di Parigi del 1883 per la protezione della proprietà industriale (entrambe successivamente emendate, rispettivamente, nel 1971 e nel 1967), alla Convenzione di Roma del 1961 per la protezione di artisti, interpreti e esecutori, dei produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione e al Trattato di Washington del 1989 in materia di topografie di semiconduttori310. Ciò ha condotto, dopo otto anni di intense trattative, all’adozione dell’Accordo sugli aspetti relativi al commercio dei diritti di

308

Cfr. i rapporti de CTE, WTO doc. WT/CTE/M/19, del 27 ottobre 1998 e WTO doc. WT/CTE/M/25, del 25 ottobre 2000, ibidem. 309 Cfr. BERGAMINI, op. cit., p. 89 e ss. 310 I testi delle quattro convenzioni possono essere consultati sul sito ufficiale dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale, OMPI (World Intellectual Property Organization, WIPO), www.wipo.int (pagina base). L’OMPI, agenzia specializzata delle Nazioni Unite, è stata istituita nel 1967, allo scopo di promuovere la tutela della proprietà intellettuale a livello globale, di favorire la cooperazione tra Stati e di amministrare gli accordi internazionali in materia.

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proprietà intellettuale311, al fine di porre rimedio alla pratica delle contromisure unilaterali, rese necessarie dalla mancata previsione, nelle quattro convenzioni, di efficaci meccanismi per garantire la tutela sostanziale dei diritti in questione. Il principale merito dell’Accordo TRIPs risiede infatti nell’aver predisposto delle procedure volte a garantire l’osservanza delle prescrizioni materiali. In particolare, agli Stati viene fatto obbligo di garantire l’esistenza di meccanismi contenziosi adeguati a consentire un’azione, in sede civile e penale, contro ogni violazione dei diritti di proprietà intellettuale (art. 41, par. 1) e vengono previsti dei meccanismi per bloccare alla frontiera le merci contraffatte (artt. 51-60). Inoltre, cosa più importante, all’Accordo si applica la DSU (art. 64) e pertanto gli Stati che non rispettano la normativa TRIPs potranno essere sottoposti a una procedura obbligatoria di soluzione delle controversie. L’Accordo è suddiviso in sette parti, riguardanti, rispettivamente, l’applicazione dei principi fondamentali del GATT (artt. 1-8), gli standard relativi all’esistenza, alla portata e all’esercizio dei diritti di proprietà intellettuale (artt. 9-40)312, gli strumenti per il rispetto di tali diritti (artt. 4161), le modalità per l’acquisizione e il mantenimento dei medesimi (art. 62), la prevenzione e il regolamento delle controversie (artt. 65-67), le disposizioni transitorie e le disposizioni istituzionali e finali (artt. 68-73). Sul piano generale, l’Accordo prevede l’estensione alla materia dei principi di non discriminazione interna e esterna, mentre dal punto di vista sostanziale ripropone e integra la disciplina delle convenzioni menzionate. Dal preambolo dell’Accordo si può desumere che la più corretta chiave di lettura degli impegni TRIPs non risiede nella volontà di promuovere una tutela della proprietà intellettuale armonizzata a livello 311

Sull’Accordo si veda, COMBA, op. cit., p. 260 e ss.; LAL DAS, op. cit., p. 355 e ss.; LUPONE, Gli aspetti della proprietà intellettuale attinenti al commercio, in VENTURINI, op. cit., p. 113 e ss.; MEZZETTI, Biotecnologie e diritti di proprietà intellettuale, in ROSSI, op. cit., p. 211; MUNARI, op. cit., p. 182 e ss.; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 397 e ss. 312 I diritti di proprietà intellettuale ivi menzionati possono essere ricondotti a tre differenti categorie. La prima riguarda la proprietà industriale, cioè i diritti registrabili quali i brevetti, i marchi commerciali, le indicazioni geografiche, i disegni industriali e i circuiti integrati. Nella seconda rientrano i diritti d’autore e i diritti connessi, che risultano automaticamente tutelati senza necessità di registrazione. La terza riguarda soltanto i segreti industriali, protetti al fine di evitare pratiche di concorrenza sleale.

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internazionale, quanto più nell’esigenza di evitare che forme di tutela inadeguate possano costituire degli ostacoli o delle distorsioni al commercio internazionale. L’estensione dei principi di non discriminazione comporta effetti assai significativi sulla tradizionale sovranità degli Stati in materia, soprattutto in riferimento al divieto di discriminazione interna. Infatti, tale divieto opera in correlazione con gli obblighi discendenti dalla Parte II, che impongono standard minimi di tutela dei diritti di proprietà intellettuale, e dalla Parte III, relativa ai meccanismi di enforcement dei medesimi. Ciò conduce a ritenere la normativa in questione di gran lunga più incisiva di quanto previsto per il commercio delle merci e dei servizi, potendosi ritenere esistente una sorta di obbligo di trattamento “internazionale”, poiché il trattamento imposto deriva dal regime internazionale positivamente codificato dall’Accordo. Tale requisito si mostra di sostanziale importanza nel caso dei diritti di proprietà intellettuale, dal momento che questi risultano, per loro natura, fortemente dotati di connotazione territoriale313. La principale critica che viene rivolta al sistema dell’Accordo TRIPs è quella di aver recepito quasi esclusivamente gli obiettivi, i valori e gli interessi degli Stati industrializzati e di risultare del tutto inadeguato a tutelare le peculiari esigenze dei paesi in via di sviluppo314. Ciò si traduce in una molteplicità di previsioni e, in particolare, nella mancata disciplina dell’esaurimento internazionale dei diritti di proprietà intellettuale315 e nelle 313

In tal senso cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 404 e ss. “In sintesi, benché l’Accordo TRIPs non interferisca formalmente con la natura territoriale dei beni immateriali, l’adozione nell’Accordo medesimo dei principi che informano il commercio internazionale concorre alla formazione d un regime globale e centralizzato” Ibidem, p. 406. Va sottolineato, comunque, che tali prescrizioni non configurano un regime armonizzato a livello internazionale. L’art. 1 fa salva, in ogni caso, la possibilità di adottare standard che tutelino maggiormente i diritti di proprietà intellettuale, sempre che non si pongano in contrasto con le previsioni dell’Accordo. Non essendovi alcun obbligo di reciprocità, non vi è nessuna garanzia di uniformità degli standard adottati, coerentemente con la ratio dell’Accordo, tesa piuttosto a rimuovere gli indebiti ostacoli al commercio. 314 Ibidem, p. 402 e ss. e, limitatamente ai rapporti con la protezione dell’ambiente, MUNARI, op. cit., p. 186 e ss. 315 Con tale nozione si intende indicare il divieto, per i titolare di un diritto di proprietà intellettuale, di far valere tale diritto qualora il bene che lo incorpora sia già stato immesso nel mercato di uno Stato membro, limitandone l’applicabilità alla sfera della produzione e non anche a quella della distribuzione. In tal caso, il titolare del diritto non potrà opporsi all’ulteriore commercializzazione del bene da parte di terzi in altri mercati. Si legittimano, in tal modo, le c.d. “importazioni parallele”, le quali, incentivando la libera circolazione

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disposizioni relative al trattamento differenziato riservato a tali paesi. In relazione a quest’ultimo argomento va notato come, di fatto, l’Accordo preveda soltanto eccezioni temporanee, peraltro sottoposte alla clausola di stand-still, che vieta modificazioni legislative che non avvicinino le discipline nazionali alla normativa TRIPs. L’art. 7, che identifica gli obiettivi dell’Accordo e dispone che la tutela della proprietà intellettuale dovrebbe contribuire, tra l’altro, al trasferimento e alla diffusione della tecnologia a reciproco vantaggio dei produttori e degli utilizzatori, è formulato in maniera talmente generica da non poter essere considerato più che un’enunciazione di principio316. Considerazioni analoghe possono essere fatte riguardo all’art. 67 in materia di cooperazione tecnica e all’art. 66, par. 2, che prevede che gli Stati industrializzati debbano incentivare il trasferimento di tecnologia da parte delle proprie imprese. La questione del trasferimento di tecnologie verso i paesi in via di sviluppo si manifesta con particolare evidenza e drammaticità relativamente alla disciplina dei brevetti, sollevando un duplice ordine di problemi: da un lato si pone la vexata quaestio di garantire l’acceso ai farmaci anche ai cittadini di paesi a basso reddito317, dall’altro, il trasferimento di tecnologie delle merci, hanno effetti particolarmente positivi sul livello dei prezzi e quindi, conseguentemente, limitano la redditività del diritto di proprietà intellettuale incorporato nel bene. All’interno della Comunità europea il fenomeno è stato riconosciuto come un importante stimolo alla creazione del mercato unico (cfr. la sentenza Deutche Grammophon c. Metro, dell’8 giugno 1971, in Raccolta della giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado delle Comunità europee, 1971, p. 487 e ss.) e, in seguito, è stato elaborato il principio dell’esaurimento comunitario dei diritti di proprietà intellettuale (cfr. la sentenza Terrapin c. Terranova, del 22 giugno 1976, Causa 119/75, ibidem, 1976, p. 1039 e ss.). 316 Grazie a un gruppo di paesi in via di sviluppo, durante una riunione del Consiglio TRIPs del giugno 2001 è stata avanzata l’idea che tale articolo, significativamente intitolato “obiettivi”, debba essere utilizzato per interpretare ogni singola disposizione dell’Accordo, coerentemente con quanto disposto dall’art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Cfr. il rapporto WTO doc. IP/C/W/296, TRIPs Council discussion on access to medicines, e, nello stesso senso, la Dichiarazione di Doha precisa che il Consiglio TRIPs, nello svolgimento del suo lavoro, dovrà essere guidato dai principi e dagli obiettivi identificati dagli artt. 7 e 8. 317 Nonostante l’ovvia necessità, riconosciuta anche dal par. 4 della Dichiarazione di Doha, di provvedere a garantire ai paesi in via di sviluppo un adeguato livello di protezione sanitaria, l’art. 70, par. 8, lett. a), prevede un’eccezione alla norma transitoria contenuta nell’art. 65, par. 4, (che consente ai membri di ritardare di cinque anni la protezione dei brevetti, in deroga al disposto dell’art. 27, par. 1, in campi che, prima all’entrata in vigore dell’Accordo OMC, non ricevevano alcuna tutela) proprio in relazione alla brevettabilità dei prodotti chimici, agricoli e farmaceutici. Ai sensi di tale norma, agli Stati viene fatto obbligo di accogliere le domande di brevetto, riguardo alle tre categorie di invenzioni, sino

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“pulite” a quei paesi che non hanno modo di investire risorse ingenti nella ricerca costituisce una condizione essenziale per garantire la sostenibilità dello sviluppo economico. Riguardo a quest’ultima problematica, in dottrina si è giunti a rilevare una “sostanziale indifferenza” dell’Accordo TRIPs318. Rispetto all’obbligo generalizzato, di cui al par. 1 dell’art. 27, di garantire protezione alle invenzioni sia di prodotto che di processo, l’Accordo prevede due eccezioni: la possibilità di escludere la brevettabilità di invenzioni necessarie a proteggere la vita o la salute di persone animali e piante o per evitare gravi danni all’ambiente (art. 27, par. 2) e la possibilità di imporre al titolare di un brevetto una licenza obbligatoria, fatto comunque salvo l’obbligo di corrispondere un’adeguata remunerazione (art. 31). Considerata l’onerosità del test di necessità in ambito GATT, sembra che circa l’applicabilità dell’art. 27, par. 2, non vi siano troppe illusioni da farsi, nonostante l’auspicata possibilità di interpretare tale requisito alla luce di quanto disposto dalle grandi convenzioni multilaterali in materia ambientale319. Parallelamente, l’art. 31, pur sembrando maggiormente fruibile dai paesi in via di sviluppo, pone concretamente il problema del reperimento delle risorse necessarie a remunerare adeguatamente il titolare del brevetto. Posto che il patrimonio ambientale costituisce un bene a tutti gli effetti, la propensione dei paesi in via di sviluppo a sfruttarlo deliberatamente senza incorporare i costi esterni nei prezzi dei prodotti, pone dei seri problemi di irrazionale allocazione delle risorse. In considerazione di ciò, parrebbe del tutto coerente con lo spirito del sistema commerciale multilaterale promuovere un’interpretazione del diritto OMC in osservanza dei principi cardine del diritto internazionale dell’ambiente. Sempre in relazione al perseguimento dello sviluppo sostenibile, si mostra alquanto problematica anche l’attuazione del disposto dell’art. 27, par. 3, lett. b), ai sensi del quale ai membri è consentito di vietare la dal momento dell’entrata in vigore dell’Accordo. Tale questione è venuta in rilievo nella nota controversia India – Patent Protection for Pharmaceutical Agricultural Chemical Products , instaurata su richiesta di Stati Uniti e Unione Europea, al termine della quale sia il panel che l’Organo d’appello hanno ravvisato una violazione dell’ art. 70, par. 8, lett. a) da parte dell’India. Sulla controversia si veda LUPONE, op. cit., p. 122 e ss. 318 Cfr. MUNARI, op. cit., p. 186. 319 Cfr. Ibidem, p. 188 e ss

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brevettabilità dei processi biologici di riproduzione animale e vegetale, ma non delle tecniche di ingegneria genetica. Ancora una volta, l’Accordo penalizza i paesi in via di sviluppo, principali detentori della diversità biologica, che si trovano, invece, di fronte al rischio di dover corrispondere le royalties alle multinazionali del settore agrochimico, e crea notevoli difficoltà di coordinamento con i principi e gli obiettivi promossi dalla Convenzione di Rio sulla biodiversità320.

320

Sull’etica della brevettabilità, specialmente riguardo al rapporto tra le necessità dei paesi in via di sviluppo e il regime delle privative biotecnologiche, si veda, ampiamente, MEZZETTI, op. cit., p. 223 e ss.

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CAPITOLO III

IL COORDINAMENTO TRA COMMERCIO E AMBIENTE: L’EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA

1. La giurisprudenza antecedente alla creazione dell’OMC

1.1. Il primo caso del tonno e dei delfini La prima controversia che richiamò con forza l’attenzione della pubblica opinione sul rapporto tra libertà degli scambi internazionali e tutela dell’ambiente, fu in celebre caso del tonno e dei delfini 321, che contrappose gli Stati Uniti dapprima al Messico322 e successivamente alla Comunità Europea e all’Olanda323. In entrambi i casi i rapporti dei panel non vennero adottati, ma le questioni in essi sollevate da allora costituiscono il principale 321

Sui due casi in esame, cfr. MACMILLAN, op. cit., p. 70 e ss.; MANZINI, Environmental Exceptions of Art. XX GATT 1994 Revisited in the Light of the Rules of Interpretation of General International Law, in MENGOZZI, op. cit, p. 811 e ss.; MONTINI, La necessità, cit., p. 270 e ss.; MUNARI, La libertà degli scambi internazionali e la tutela dell’ambiente, in RDI, 1994, p. 403; SHOENBAUM, International Trade and the Protection of the Environment: the Continuing Search for Reconciliation, in AJIL, 1997 p. 271 e ss.; TRACHTMAN, Note (Tuna/Dolphins I), in AJIL, 1992, p. 142 e ss. 322 Cfr. United States – Restrictions on Imports of Tuna, (successivamente Tuna/Dolphins I) rapporto del panel, WTO doc. DS21/R-39S/155, del 3 settembre 1991, consultabile su ILM, 1991, p. 1594 e ss. 323 Cfr. United States – Restrictions on Imports of Tuna, (successivamente Tuna/Dolphins II) rapporto del panel, WTO doc. DS/29/R, del 16 giugno 1994, consultabile su ILM, 1994, p. 842 e ss.

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parametro di riferimento del problematico rapporto tra commercio internazionale e tutela dell’ambiente. Ci riferiamo, in particolare, all’estensione dell’ambito di applicazione delle eccezioni ambientali previste dall’art. XX, all’ipotesi di applicazione extragiurisdizionale delle normative ambientali e alla conseguente possibilità di disciplinare l’importazione di un prodotto sulla base del processo produttivo che ne sta all’origine. La controversia sorse in merito a una normativa nazionale statunitense del 1972, il Marine Mammals Protection Act (MMPA), e dai successivi regolamenti che ne dettero attuazione324, sulla cui base gli Stati Uniti fondarono l’adozione di misure commerciali volte a bloccare le importazioni di tonno pescato senza l’ausilio di reti particolari, in grado di permettere l’uscita dei delfini che vi fossero rimasti accidentalmente intrappolati. Qualora uno Stato avesse voluto continuare a esportare il tonno pescato con le normali reti a strascico negli Stati Uniti, sarebbe stato tenuto a dimostrare che il proprio tasso di cattura accidentale dei delfini non superasse quello statunitense di più del 25%. La prima nazione ad essere colpita dall’embargo commerciale diretto fu il Messico, mentre in seguito il blocco delle importazioni venne esteso anche alle c.d. “nazioni intermediarie”, che continuando a importare tonno messicano avrebbero potuto immetterlo nel mercato statunitense tramite l’esportazione di prodotti lavorati: si tratta del secondo caso Tuna/Dolphins. Com’è noto, entrambi i rapporti non furono mai adottati dal Consiglio dei Rappresentanti, a causa della ferma opposizione degli Stati Uniti. Il Messico presentò il proprio ricorso lamentando la violazione dell’art. III sul divieto di discriminazione interna tra prodotti similari, dell’art. XI sul divieto di restrizioni quantitative e dell’art. XIII sul divieto di applicazione discriminatoria delle medesime, mentre gli Stati Uniti sostenevano che la misura potesse rientrare tra le regolamentazioni tecniche di carattere interno consentite dall’art. III, par. 4. Alla luce del significato testuale dei termini dell’art. III e della nota addizionale al medesimo, che 324

La normativa in questione è consultabile sul sito dell’Office for Protected Resources del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, www.nmfs.noaa.gov (pagina base).

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fanno riferimento soltanto ai prodotti in quanto tali e non ai processi produttivi325, il panel ritenne di dover condividere la posizione messicana e procedette, pertanto, a valutare la possibilità di giustificare l’embargo sulla base delle eccezioni ambientali dell’art. XX. Riguardo all’art. XX b) venne specificato che, trattandosi di un’eccezione, doveva essere interpretata in maniera restrittiva e che l’onere della prova doveva ricadere sullo Stato che ne invocava l’applicazione326. Inoltre, ne fu dapprima negata l’applicabilità extragiurisdizionale, in ragione di una singolare valutazione dei lavori preparatori operata dal panel327, e, in secondo luogo, le misure di embargo furono ritenute non necessarie. Il panel richiamò l’interpretazione del termine “necessary” che era stata data durante la nota controversia sulle sigarette thailandesi328, secondo la quale le eventuali violazioni delle norme GATT possono essere considerate necessarie solo qualora non ci siano misure alternative coerenti con l’Accordo Generale, o meno incoerenti con esso, che possano essere 325

Sulla questione, cfr., ampiamente, TRACHTMAN, op. cit., p. 146 e ss. Cfr. rapporto del panel, par. 5.22. 327 Ibidem, par. 5.26, ove si fa riferimento all’eliminazione, durante la sessione di Ginevra del Comitato preparatorio, di una formulazione della lettera b) inclusiva di una clausola limitativa territoriale, in quanto ritenuta non necessaria. Seguendo una logica alquanto contraddittoria, il panel ha ritenuto che tale eliminazione dovesse indurre l’interprete a escludere l’applicabilità della norma al di fuori della giurisdizione dello Stato importatore, dal momento che dai lavori preparatori risultava possibile rilevare l’esistenza di una interesse generale a limitare li effetti extraterritoriali delle normative ambientali nazionali. Tale ragionamento ha attirato la critica di gran parte della dottrina dovendosi eventualmente concludere in senso opposto, circa la mancanza di consenso a circoscrivere l’ambito di operatività dell’eccezione alla sfera territoriale. Cfr. CHARNOVITZ, Exploring the Environmental Exceptions in GATT Article XX, in JWT, 1991, p. 5 e ss.; FRANCIONI, La tutela dell’ambiente e la disciplina del commercio internazionale, in SIDI, op. cit., p. 160 e ss.; FRANCIONI, Extraterritorial Application of Environmental Law, in MEESSEN (a cura di), Extraterritorial Jurisdiction in Theory and Practice, Le Hague, 1996, p. 128 e ss. 328 Cfr. Thailand – Restriction on the Importation of and Internal Taxes on Cigarettes, (successivamente Thai Cigarettes) rapporto del panel, WTO doc. DS10/R, del 7 novembre 1990, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). In tale circostanza fu negata la legittimità delle restrizioni all’importazione delle sigarette straniere, ritenute maggiormente dannose di quelle nazionali. Pur trattandosi di una politica rientrante senz’altro nella fattispecie prevista dall’art. XX b), il panel non ritenne necessaria la violazione dell’art. XI, in considerazione di alcune raccomandazioni dell’OMS che indicavano altre misure, quali le campagne di informazione o i sistemi di etichettatura del prodotto, meno contrari alla normativa GATT. Sulla controversia, cfr. ampiamente MONTINI, La necessità, cit. p. 267. Tale interpretazione risale, a sua volta, a quella data nel caso United States – Section 337 of the Tariff Act of 1930 (successivamente Section 337) in relazione al termine “necessary” contenuto nella lettera d) dell’art. XX. Cfr. il rapporto del panel, WTO doc. L/6439-36S/345, del 7 novembre 1989, par. 5.26, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 326

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ragionevolmente adottate per proteggere la vita o la salute di persone, animali o piante329. In altre parole, qualora la violazione dell’Accordo non si mostri inevitabile le misure restrittive non potranno ritenersi necessarie. Il panel ritenne che due fattori escludessero tale inevitabilità. In primis, gli Stati Uniti avrebbero potuto ragionevolmente cercare di concludere degli accordi internazionali per la protezione dei delfini con gli Stati interessati. In secondo luogo, la condizione che il MMPA rendeva necessaria per autorizzare l’importazione del tonno, cioè un tasso di cattura accidentale dei delfini legato a quello rilevato negli Stati Uniti nello stesso periodo, si mostrava assolutamente imprevedibile e una restrizione alle importazioni basata su condizioni non prevedibili non poteva ritenersi necessaria a proteggere la vita dei delfini330. Analogamente, il panel concluse circa l’impossibilità di giustificare l’embargo tramite il ricorso alla lettera g) dell’art. XX, sia perché anche in questo caso l’eccezione non era ritenuta suscettibile di applicazione extragiurisdizionale, sia perché l’imprevedibilità delle condizioni su cui era basata

la

normativa

statunitense

non

consentiva

di

considerarla

primariamente finalizzata alla conservazione di una risorsa naturale. In entrambi i casi, il panel richiamò le considerazioni effettuate da un altro panel nel caso Salmon and Herring331, ribadendone i due concetti 329

Cfr. Thai Cigarettes, rapporto del panel, par. 75: “The Panel concluded from the above that the import restrictions imposed by Thailand could be considered to be "necessary" in terms of Article XX(b) only if there were no alternative measure consistent with the General Agreement, or less inconsistent with it, which Thailand could reasonably be expected to employ to achieve its health policy objectives.” 330 Cfr. Tuna-Dolphins I, rapporto del panel, par. 5.28. 331 Cfr. Canada – Measures Affecting Exports of Unprocessed Herring and Salmon (successivamente Salmon and Herring), rapporto del panel, WTO doc. L/6268-35S/98, del 22 marzo 1988, parr. 4.4-4.6, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). La controversia verteva sulla restrizione all’esportazioni di salmone e aringhe da parte del Canada che gli Stati Uniti ritenevano non poter essere giustificata dalle eccezioni dell’art. XX g). In tale sede, il panel operò una valutazione del significato dei termini “relating to” e “in conjunction with”, dandone un’interpretazione particolarmente restrittiva. Dopo essersi domandato quale tipo di relazione con la politica di conservazione e quale tipo di legame con la produzione e il consumo nazionali fossero necessarie e avere attribuito al termine “relativa a” il significato di “primariamente finalizzata”, il panel concluse che l’eccezione in questione poteva essere invocata solo nel caso in cui le misure fossero primariamente finalizzate a rendere effettive le politiche nazionali di conservazione. Cfr. Ibidem, par. 4.6: “The Panel noted that some of the subparagraphs of Article XX state that the measure must be "necessary" or "essential" to the achievement of the policy purpose set out in the provision (cfr. subparagraphs (a), (b), (d) and (j)) while subparagraph (g) refers only to measures "relating to" the conservation of exhaustible natural resources. This suggests that

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fondamentali, ossia che l’eccezione può essere invocata solo per misure che hanno come scopo principale quello di rendere effettive le restrizioni nazionali332 e che una misura può essere considerata relativa (relating to) alla conservazione delle risorse naturali esauribili solo se risulta primariamente finalizzata (primarly aimed) a rendere maggiormente efficace tale conservazione333, caratteristica che non può certo essere riscontrata in una misura che lega la protezione dei delfini a condizioni imprevedibili334. L’interpretazione straordinariamente restrittiva di entrambe le eccezioni ambientali dell’art. XX

data dal panel nel primo caso

Tuna/Dolphins ha attirato le critiche pressoché unanimi della dottrina, in ragione del rischio concreto di stravolgere il significato dell’art. XX, privandone di efficacia le disposizioni e sottraendo, pertanto, prerogative fondamentali alla sovranità degli Stati membri.

Article XX:(g) does not only cover measures that are necessary or essential for the conservation of exhaustible natural resources but a wider range of measures. However, as the preamble of Article XX indicates, the purpose of including Article XX:(g) in the General Agreement was not to widen the scope for measures serving trade policy purposes but merely to ensure that the commitments under the General Agreement do not hinder the pursuit of policies aimed at the conservation of exhaustive natural resources. The Panel concluded for these reasons that, while a trade measure did not have to be necessary or essential to the conservation of an exhaustible natural resource, it had to be primarily aimed at the conservation of an exhaustible natural resource to be considered as "relating to" conservation within the meaning of Article XX:(g). A trade measure could therefore, in the view of the Panel, only be considered to be made effective "in conjunction with" production restrictions if it was primarily aimed at rendering effective these restrictions.” (corsivo aggiunto) 332 Cfr. Tuna-Dolphins I, rapporto del panel, par. 5.31. 333 Ibidem, par. 5.33. 334 In linea di principio, collegare il tasso di cattura accidentale consentito ai paesi esportatori di tonno a quello degli Stati Uniti, potrebbe addirittura ottenere l’effetto contrario, qualora il tasso statunitense si mostrasse notevolmente elevato. Risulta pertanto evidente come la ratio sottintesa a tale norma risieda più nella necessità di tutelare le opportunità competitive dei pescatori statunitensi che in preoccupazioni di natura ambientale, dovendosi conseguentemente ricondurre l’opportunità della sua adozione al più vasto dibattito relativo alla legittimità di forme di “protezionismo verde” in risposta a eventuali pratiche di dumping ecologico e per disincentivare l’ovvia propensione a sfruttare posizioni da free rider in un simile contesto. Per un’analisi delle dottrine economiche in materia, cfr. MUNARI, op. cit., p. 389 e ss.; e più dettagliatamente TURNER, PEARCE, BATEMAN, Economia ambientale, Bologna, 1994, p. 187 e ss.

152

1.2. Il secondo caso del tonno e dei delfini Pochi anni dopo gli Stati Uniti furono chiamati a rispondere, davanti a un altro panel, dell’estensione dell’embargo commerciale anche alle nazioni intermediarie, che avrebbero potuto rivendere nel mercato statunitense prodotti lavorati contenenti il tonno messicano originariamente bandito. Le conclusioni raggiunte dal panel riguardo alla contrarietà delle misure statunitensi alla normativa GATT sono formalmente le stesse, ma l’interpretazione delle eccezioni ambientali contenuta nel rapporto fornisce degli spunti interessanti attraverso un’elaborazione più completa e rigorosa. Questa volta, la valutazione della compatibilità delle misure statunitensi fu condotta a partire dall’art. XX g). In merito, il panel ritenne di poter individuare un iter specifico da seguire nell’attività interpretativa, suddiviso in tre passaggi335: in primo luogo, va considerata la politica ambientale sulla cui base la misura è adottata, che deve rientrare tra quelle finalizzate a conservare le risorse naturali esauribili; in secondo luogo, la misura deve essere relativa a tale conservazione e deve essere applicata congiuntamente ad analoghe restrizioni domestiche; infine, deve essere verificato se il modo in cui è applicata risulta conforme alle condizioni previste dalla clausola introduttiva dell’art. XX, ossia se può essere o meno ricondotta a una restrizione dissimulata del commercio o a una discriminazione arbitraria o ingiustificata. In termini concreti, il panel considerò soddisfatta la prima condizione, sia perché ritenne di potere attribuire ai delfini la qualifica di risorse naturali esauribili, sia perché nel testo della lettera g) non risulta alcuna esplicita limitazione

alle

risorse

naturali

situate

nel

proprio

territorio

e

conseguentemente riconobbe la possibilità di provvedere alla conservazione delle risorse situate al di fuori di esso disciplinando la condotta dei propri

335

Cfr. Tuna/Dolphins II, rapporto del panel, par. 5.12.

153

cittadini336. In altre parole il panel riconobbe all’eccezione un ambito di operatività extraterritoriale, ma non extragiurisdizionale. Riguardo alla seconda condizione, il panel contestò nuovamente il fatto che, al fine di poter essere considerata relativa alla conservazione delle risorse naturali, la misura doveva avere tale obiettivo come finalità primaria, mentre appariva palese che il primo obiettivo dell’embargo fosse indurre anche l‘Olanda e la Comunità Europea a modificare le proprie politiche ambientali in materia di protezione dei delfini337. Per tale motivo, il panel escluse la possibilità di giustificare la misura ricorrendo dell’art. XX g) e pertanto non ritenne necessario controllare il rispetto delle condizioni poste dallo chapeau dell’articolo, e procedette invece a verificare l’opportunità di invocare l’eccezione contenuta nella lettera b). Anche a tale riguardo, il panel suggerì un processo interpretativo articolato in tre fasi: per prima cosa la politica ambientale che determina l’adozione della misura in questione doveva rientrare tra le politiche di protezione della vita e della salute di persone, animali e piante; successivamente doveva essere accertata la sussistenza del requisito di necessità in relazione a tale fine; la terza fase, infine, prevedeva la verifica dell’osservanza delle condizioni poste dal preambolo dell’articolo. Il risultato dell’analisi del panel ricalca perfettamente quanto concluso riguardo alla precedente eccezione. La prima condizione risultò soddisfatta, trovandosi concordi anche le parti in causa e potendosi, in linea di principio, riconoscere

l’applicabilità

extraterritoriale

dell’eccezione,

seppure

circoscritta alla “jurisdiction over its nationals and vessels”338. Il panel giunse, invece, a conclusioni negative riguardo alla necessità delle misure di embargo. Richiamando nuovamente i rapporti Section 337 e Thai Cigarettes, venne accolta l’interpretazione restrittiva data in tali sedi, dove 336

Ibidem, par. 5.20: “(…) the Panel could see no valid reason supporting the conclusion that the provisions of Article XX (g) apply only to policies related to the conservation of exhaustible natural resources located within the territory of the contracting party invoking the provision. The Panel consequently found that the policy to conserve dolphins in the eastern tropical Pacific Ocean, which the United States pursued within its jurisdiction over its nationals and vessels, fell within the range of policies covered by Article XX (g).” 337 Anche in questo caso si ripropone la vexata qaestio relativa alla natura delle misure più opportune da adottare in caso di dumping ecologico. Cfr. supra, nota 13. 338 Tuna/Dolphins II, par. 5.33.

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la nozione di necessità venne ritenuta assimilabile ai concetti di indispensabilità e di inevitabilità, imponendo la scelta, tra le misure disponibili, di quella che comporti il minor grado di incoerenza con le disposizioni dell’accordo generale, con l’ovvio limite della ragionevolezza della sua adozione339. A differenza del caso Tuna/Dolphins I, il panel non esaminò la misura in relazione alle possibili alternative, quali, ad esempio, l’adozione di accordi multilaterali per la protezione dei delfini, ma decise di valutarla soltanto in riferimento all’obiettivo rispetto al quale si sarebbe dovuta mostrare necessaria, cioè la protezione della vita e della salute di persone animali e piante. A riguardo, il panel concluse che, per ottenere i suddetti effetti di tutela, l’embargo imponeva ad altri Stati un cambiamento delle proprie politiche ambientali all’interno della propria giurisdizione e quindi non poteva ritenersi in tal senso necessaria. Essendo venuta meno la condizione essenziale dell’art. XX (b), il panel non proseguì nell’analisi del rispetto delle condizioni dello chapeau340. L’approccio seguito dai due panel è stato oggetto di numerose critiche in dottrina341 e da parte dei movimenti ambientalisti, riguardo, in particolare a due questioni strettamente connesse: l’interpretazione del requisito di necessità e il rifiuto di interpretare le due eccezioni dell’art. XX coerentemente con il disposto dell’art. 31, par. 3, c) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Circa il primo punto, attribuire al concetto di misure necessarie a proteggere la vita e la salute il significato di misure che comportino il minor grado possibile di incompatibilità con la libera circolazione delle merci, dimostra un sostanziale stravolgimento del senso ordinario dei termini 339

Ibidem, par. 5.35: ”(...) in cases where a measure consistent with the others GATT provisions is not reasonably available, a contracting party is bound to use, among the measures reasonably available to it, that which entails the least degree of inconsistency with other GATT provisions.” 340 Gli Stati Uniti sollevarono anche la questione della legittimità dell’embargo ai sensi dell’ art. XX d), che legittima l’adozione di misure necessaria a garantire l’attuazione di leggi e regolamenti non incompatibili con le disposizioni dell’Accordo Generale. Avendo riscontrato la violazione dell’art. XI, par. 1, panel negò risolutamente la possibilità di invocare l’eccezione. Ibidem, par. 5.40, 5.41. 341 In tal senso, cfr. FRANCIONI, La tutela dell’ambiente, cit. p. 159 e ss.; per un giudizio meno critico riguardo alle conclusioni sull’applicazione extraterritoriale, ma altrettanto negativo quanto al test di necessità, si veda SHOENBAUM, op. cit., p. 279 e ss.

155

dell’articolo342 e, quindi, della ratio ad esso sottintesa, che non può per sua natura essere indirizzata a garantire la libera circolazione delle merci, dal momento che questo è l’obiettivo principale di un accordo a cui l’articolo si propone esplicitamente di derogare, operando un bilanciamento fra due esigenze di natura opposta, ma ugualmente degne di protezione. In termini concreti, attribuire un significato simile alla nozione di necessità equivale a qualificarla come un obbligo, posto in capo allo Stato che intende adottare la misura, di operare un analisi costi-benefici dei costi incrementali della misura, facendo un confronto tra una varietà di misure pressoché infinita343, configurando una sorta di probatio diabolica, che costituisce quasi un emendamento de facto del testo dell’art. XX b), e rendendo, inoltre, del tutto inutile la verifica del rispetto dei requisiti dello chapeau344. Al contrario, larga parte della dottrina si è trovata d’accordo sull’opportunità di rimettere la determinazione della nozione di necessità ambientale a quanto viene ritenuto meritevole di tutela dai principali trattati ambientali multilaterali, potendosi ragionevolmente ritenere che a riguardo si sia formato un consenso generalizzato all’interno della comunità internazionale. Tale largo consenso rappresenta un’ulteriore ragione che conduce a ritenere illogico il mancato ricorso alla regola generale di interpretazione contenuta nell’art. 31, par. 3 c), che, com’è noto, impone all’interprete di considerare, assieme al contesto, anche ogni altra regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti tra le parti, permettendo un’interpretazione evolutiva delle disposizioni del trattato. Alla luce dell’imponente mole di accordi per 342

Si noti che l’art. XX j), relativo alle misure adottabili in caso di acquisto o ripartizione di prodotti per i quali si faccia sentire una penuria generale o locale, utilizza appositamente il termine “essential” e non “necessary”. Appare evidente che la portata dell’eccezione debba risultare di gran lunga più circoscrittà, ma, se al concetto di necessità viene associato quello di inevitabilità, diventa complicato riuscire a determinare un livello più ristretto di discrezionalità. Cfr. MANZINI, op. cit., in MENGOZZI, op. cit., p. 831 e ss. 343 Cfr. FRANCIONI, Environment, Human Rights and the Limits of Free Trade, in FRANCIONI (a cura di), Environment, Human Rights and International Trade, Oxford, 2001, p.24. 344 Cfr. SHOENBAUM, op. cit., p. 276 e ss. Merita di essere rilevato anche un ulteriore elemento di incoerenza. Secondo tale interpretazione, il minor grado possibile di incompatibilità con il sistema commerciale sarebbe un requisito imprescindibile per la protezione della vita e della salute, ma non per la conservazione delle risorse. Si giungerebbe, pertanto, a configurare l’ipotesi paradossale per la quale alla conservazione delle risorse naturali esauribili verrebbe accordato un livello di tutela superiore che alla vita a alla salute umana. Ibidem.

156

la protezione dell’ambiente stipulati tra Stati membri successivamente all’Accordo Generale, che impongono sia la tutela ambientale al di fuori della propria giurisdizione che l’adozione di misure economiche, in modo particolare restrizioni all’importazione345 per garantire l’attuazione degli standard ambientali previsti, i due panel avrebbero dovuto mostrare un maggiore rigore nell’esercitare le loro funzioni. Singolarmente, invece, mentre il secondo panel analizza tale prassi convenzionale, sebbene concludendo circa la sua irrilevanza in tale circostanza346, nel rapporto del primo panel la questione non viene neppure presa in considerazione. Una delle principali argomentazioni utilizzate da entrambi i panel per negare l’ipotesi di applicazione extragiurisdizionale delle misure ambientali, riguarda il rischio di compromettere irrimediabilmente l’unitarietà del sistema commerciale multilaterale, creando una moltitudine di piccoli sistemi commerciali caratterizzati da analoghe regolamentazioni ambientali. Di fatto, esiste il rischio che l’abuso del ricorso a tali prerogative possa nascondere pratiche protezionistiche dissimulate, ma, a riguardo, appare maggiormente proficuo seguire fedelmente la procedura tripartita prescritta dall’art. XX, piuttosto che stravolgere il significato delle sue disposizioni. Inoltre, precludere in toto l’applicabilità extragiurisdizionale lede la ratio dell’obbligo erga omnes di preservare gli spazi non sottoposti alla sovranità di alcuno Stato, come previsto dal principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma e dal principio 2 della Dichiarazione di Rio, le cui ulteriori

345

Dei più di 200 MEA esistenti, circa una ventina prevedono misure commerciali, sia come strumento di controllo dell’adempimento, sia come strumento sanzionatorio verso Stati parti in caso di inadempimento o verso Stati terzi come deterrente verso eventuali pratiche di free-riding. Per quel che riguarda le restrizione quantitative, gli esempi di storicamente più rilevanti e dotati di maggiore incisività sono rappresentati dall’art. X della Convenzione CITES, che permette di bloccare le importazioni di specie animali che si trovino primariamente o esclusivamente nel territorio di uno Stato terzo, dall’art. 4 della Convenzione di Basilea sui movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi, che proibisce l’esportazione di tali rifiuti verso Stati terzi, dall’art. 4 del Protocollo di Montreal, che prescrive il blocco delle importazioni dei prodotti contenenti clorofluorocarburi da Stati terzi. Cfr. BRACK, The Shrimp-Turtle Case: Implications for the Multilateral Environmental Agreements – World Trade Organization Debate, in BRUNNẾE, HEY (et. al.), op. cit., p 13 e ss.; BRACK, GRUBB, WINDRAM, International Trade and Climate Change Policies, Londra, 2000, p. 126 e ss.; FRANCIONI, Extraterritorial Application, cit. p. 129 e ss.; 346 Cfr. Tuna/Dolphins II, par. 5.19.

157

preoccupazioni relative al rispetto della sovranità statale sulle proprie risorse naturali trovano adeguata tutela delle condizioni prescritte dall’art. XX.

2. I casi risolti successivamente alla creazione dell’OMC

2.1 Il caso della benzina riformulata Il caso United States – Standards for Reformulated and Conventional Gasoline (successivamente Gasoline)347 rappresenta il primo caso risolto nel quadro dell’OMC, e come tale sottoposto alle regole del DSU e quindi a un doppio grado di “giudizio”. La controversia sorse in merito ad una normativa tecnica, la c.d. “Gasoline Rule

348

, che, nel 1994, la Environmental Protection Agency

(EPA) degli Stati Uniti aveva emanato in attuazione delle disposizioni generali contenute nel Clean Air Act (CAA)349 del 1963. In base della Gasoline Rule, ai produttori stranieri veniva richiesto il rispetto di standard ambientali più severi che ai produttori nazionali. Le ragioni di tale discriminazione erano da attribuirsi, nell’opinione del governo statunitense, a questioni di ordine tecnico e amministrativo e in essa non era comunque ravvisabile alcuna violazione dell’Accordo Generale, dal momento che si riteneva che, nei fatti, la normativa avesse un effetto neutrale sulle importazioni di benzina350. Inoltre, gli Stati Uniti affermavano che le

347

Sul caso Gasoline cfr. CHO, Case note, in EJIL, 1996, consultabile su: www.ejil.org (pagina base); MACMILLAN, op. cit. p. 81 e ss.; MONTINI, La necessità, cit. p. 279 e ss.., MONTINI, Il principio di necessità ambientale come criterio di bilanciamento tra commercio internazionale e protezione dell’ambiente, in RGA, 2002, p. 137 e ss; SHENK, Case Note, in AJIL, 1996, p. 669 e ss. 348 Regulation of Fuels and Fuel Additive - Standards for Reformulated and Conventional Gasoline, consultabile sul sito ufficiale dell’EPA, www.epa.gov (pagina base). 349 Ibidem 350 Cfr. Gasoline, rapporto del panel, WTO doc. WT/DS2/R, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base), parr. 3.17-3.22.

158

disposizioni della Gasoline Rule sarebbero state comunque giustificabili ai sensi dell’art. XX b), d) e g). Venezuela e Brasile, invece, lamentarono la violazione dell’art. I, dei parr. 1 e 4 dell’art. III e dell’art. 2 dell’Accordo TBT e, pertanto, presentarono ricorso al neo istituito DSB. Il panel non esaminò la Gasoline Rule alla luce degli artt. I, par. 1, III, par. I, né dell’art. 2 dell’Accordo TBT351, ma ritenne che alla benzina estera fosse stato garantito un trattamento meno favorevole di quello accordato ai prodotti similari nazionali in relazione alle condizioni di vendita in violazione dell’art. III, par. 4352, e quindi procedette a valutare la possibilità di giustificazione ex art. XX. Quanto all’art. XX b), seguì nuovamente l’iter interpretativo suddiviso in tre fasi che era stato specificato nel caso Tuna/Dolphins II, e ritenne soddisfatta la prima condizione, potendosi annoverare la misura in questione tra quelle finalizzate a proteggere la vita e la salute di persone, animali e piante. Invece, riguardo al secondo passaggio, richiamò la definizione di misura necessaria che era stata data nei casi Section 337 e Thai Cigarettes, quella cioè di misura meno incompatibile con le disposizioni del GATT tra quelle ragionevolmente disponibili, concludendo che agli Stati Uniti si presentavano varie alternative e che pertanto la misura non poteva rientrare tra quelle consentite dall’art. XX b)353. Anche riguardo all’art. XX g) il panel ribadì la correttezza dell’iter in tre fasi delineato nel caso Tuna/Dolphins II, ma, suddivise in due parti il secondo punto, scindendo la verifica della finalità della misura da quella della sua applicazione congiunta a restrizioni a livello nazionale, configurando, di fatto, una procedura quadripartita che verrà osservata anche nei casi successivi. Pur considerando soddisfatta la prima condizione e includendo, quindi, l’aria pulita tra le risorse naturali esauribili354, non 351

Ibidem, parr. 6.17, 6.19 e 6.43. Ibidem, parr. 6.5-6.16. 353 Ibidem, par. 6.25. 354 L’argomentazione prodotta dal Venezuela riguardo a questo punto, ossia che l’art. XX g) coprirebbe soltanto le risorse effettivamente esauribili quali petroli e carbone, mentre l’aria si limiterebbe a cambiare di stato, ma non ne muterebbe la quantità disponibile (Ibidem, par. 3.60), avrebbe rappresentato, se accettata, un serio rischio per la credibilità dell’intero sistema GATT relativo alla tutela delle prerogative statali in materia di protezione 352

159

ritenne di poter individuare una diretta connessione tra il trattamento discriminatorio derivante dalla misura in questione e il proposito di conservazione delle risorse naturali esauribili355, seguendo l’interpretazione che il panel istituito nel caso Salmon and Herring aveva dato del termine “relating to”. Conseguentemente non procedette ad esaminare se la misura fosse stata applicata in parallelo a restrizioni della produzione e del consumo a livello nazionale, né se fossero state violate le condizioni della clausola introduttiva dell’art. XX. In ogni caso, merita di essere sottolineata la vastissima portata dell’inclusione della lettera g) tra le eccezioni utilizzabili ai fini di tutela ambientale, poiché tale disposizione non prevede l’obbligo di esercitare il “necessity test” prescritto dalla lettera b) che impone, come abbiamo visto, un onere particolarmente gravoso allo Stato che intenda avvalersi delle prerogative ivi contemplate. Gli Stati Uniti ricorsero in appello soltanto riguardo a quanto concluso dal panel circa la lettera g) dell’art. XX. L’Organo d’Appello dapprima contestò il ragionamento seguito dal panel riguardo al mancato riscontro di una diretta connessione tra il trattamento meno favorevole operato dalla Gasoline Rule e il proposito di conservazione delle risorse naturali esauribili. Nella logica dell’art. XX g), non è la violazione dell’art. III, par. 4, cioè i trattamento meno favorevole accordato alla benzina importata, ma la misura stessa, a dover essere relativa a tale conservazione356. A riguardo, l’Organo d’appello contestò anche la ambientale, ma fu fortunatamente rigettata da panel, il quale ritenne che la rinnovabilità della risorsa non minasse in linea di principio la possibilità di qualificarla come risorsa esauribile, potendosi comunque intaccare la qualità disponibile della risorsa o logorarne la qualità. Ibidem, par. 6.37. 355 Ibidem, par. 6.40. “The Panel then considered whether the precise aspects of the Gasoline Rule that it had found to violate Article III -- the less favourable baseline establishments methods that adversely affected the conditions of competition for imported gasoline -- were primarily aimed at the conservation of natural resources. The Panel saw no direct connection between less favourable treatment of imported gasoline that was chemically identical to domestic gasoline, and the US objective of improving air quality in the United States. (…) The Panel therefore concluded that the less favourable baseline establishments methods at issue in this case were not primarily aimed at the conservation of natural resources” (corsivo aggiunto) 356 “In our view, the Panel here was in error in referring to its legal conclusion on Article III:4 instead of the measure in issue. The result of this analysis is to turn Article XX on its head. Obviously, there had to be a finding that the measure provided "less favourable treatment" under Article III:4 before the Panel examined the "General Exceptions"

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scarsa chiarezza dei termini “direct connection” usati dal panel, non potendosi evincere se dovessero essere considerati o meno sinonimi di “primarly aimed”, il quale, comunque non fa parte dei termini del trattato, e non deve essere considerato una sorta di “cartina tornasole” per valutare l’inclusione o l’esclusione della misura nella fattispecie contemplata dall’eccezione in questione357. Il bilanciamento tra le disposizioni fondamentali dell’Accordo Generale e le sue eccezioni dovrà essere operato dall’interprete caso per caso, valutando attentamente ogni elemento di fatto e di diritto358. Riguardo al caso in specie, apparve sicuramente possibile identificare una relazione sostanziale tra la Gasoline Rule e la conservazione dell’aria pulita e conseguentemente risultò pienamente soddisfatta anche la seconda condizione posta dall’art. XX g). Relativamente alla verifica della sussistenza di corrispettive restrizioni sul piano nazionale, l’Organo d’appello specificò chiaramente che la clausola dovesse essere considerata come una esplicita richiesta di imparzialità359. Quale che sia il significato da attribuire al concetto di imparzialità, esso appare palesemente in contrasto con qualunque pretesa di identità di trattamento tra prodotti nazionali e prodotti importati, non potendosi altrimenti considerare violato l’art. III, né, quindi, invocare le giustificazioni contemplate dall’art. XX. Parallelamente, se non dovesse sussistere alcuna restrizione a livello interno, l’unico proposito attribuibile alla misura sarebbe la protezione del mercato nazionale. Pertanto anche in tal caso spetterà all’interprete operare un’attenta valutazione caso per caso. Ed in questo caso, gli standard assegnati ai produttori e ai rivenditori contained in Article XX. That, however, is a conclusion of law. The chapeau of Article XX makes it clear that it is the "measures" which are to be examined under Article XX(g), and not the legal finding of "less favourable treatment."” Rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS2/AB/R, del 29 aprile 1996, p. 15, consultabile sul sito dell’OMC, ww.wto.org (pagina base). 357 Ibidem, p. 17. 358 The relationship between the affirmative commitments set out in, e.g., Articles I, III and XI, and the policies and interests embodied in the "General Exceptions" listed in Article XX, can be given meaning within the framework of the General Agreement and its object and purpose by a treaty interpreter only on a case-to-case basis, by careful scrutiny of the factual and legal context in a given dispute, without disregarding the words actually used by the WTO Members themselves to express their intent and purpose.” Ibidem. 359 “The clause is a requirement of even-handedness in the imposition of restrictions, in the name of conservation, upon the production or consumption of exhaustible natural resources”. Ibidem, p. 19.

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nazionali, poterono ragionevolmente rientrare nella nozione di restrizioni della produzione o del consumo nazionali360. I “nodi” sulla base dei quali il panel aveva ritenuto di escludere la Gasoline Rule dal novero delle misure giustificate dall’art. XX g), vennero al pettine nel corso dell’ultimo passaggio del processo di verifica operato dall’Organo d’appello, ossia quando divenne necessario passare a controllare la maniera in cui la misura veniva concretamente applicata, valutando il rispetto delle condizioni che lo chapeau dell’articolo stabilisce per evitare ogni possibile abuso delle successive eccezioni. È in tale fase che deve essere esaminato il trattamento meno favorevole, al fine di determinare se tale forma di discriminazione sia stata attuata in maniera tale da risultare arbitraria o ingiustificata, dando luogo ad una restrizione dissimulata del commercio internazionale. In merito al significato da attribuire alle tre nozioni, infatti, l’Organo d’appello, impegnato per la prima volta nel tentativo di fornire un’interpretazione delle disposizioni dello chapeau, offrì una lettura che determina una stretta interconnessione tra i tre concetti, senza giungere a delineare una precisa linea di demarcazione, ma sintetizzando che la ratio della prescrizione deve essere rinvenuta nell’obiettivo inderogabile di garantire il rispetto delle norme fondamentali dell’Accordo generale di fronte alle ipotesi di abuso o di uso illegittimo delle eccezioni ivi contemplate361. Tali presupposti non risultarono 360

A riguardo, l’Organo d’appello ritenne necessario specificare due aspetti. Primo, osservò che l’uso della congiunzione disgiuntiva “or” consentiva di concentrare le restrizioni soltanto su uno dei due livelli. Secondo, sottolineò che, al contrario di quanto sostenuto dal Venezuela, non potesse essere richiesto una sorta di test empirico dell’efficacia della misura rispetto al fine che si propone, considerata l’estrema difficoltà di provare simili questioni sia a livello scientifico che giuridico. Ma, posto che una misura che per sua natura non potesse ottenere nessun effetto di tutela ambientale non potrebbe senz’altro essere primariamente finalizzata alla conservazione delle risorse naturali esauribili, si introduce la possibilità che la prevedibilità degli effetti di una misura rientrante in tale fattispecie debba avere una certa rilevanza, seppure non vengano specificati i criteri da seguire nel corso di tale valutazione. Ibidem, p. 20. 361 “"Arbitrary discrimination", "unjustifiable discrimination" and "disguised restriction" on international trade may, accordingly, be read side-by-side; they impart meaning to one another. It is clear to us that "disguised restriction" includes disguised discrimination in international trade. It is equally clear that concealed or unannounced restriction or discrimination in international trade does not exhaust the meaning of "disguised restriction." We consider that "disguised restriction", whatever else it covers, may properly be read as embracing restrictions amounting to arbitrary or unjustifiable discrimination in international trade taken under the guise of a measure formally within the terms of an exception listed in Article XX. Put in a somewhat different manner, the kinds of

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soddisfatti nel caso in specie. L’Organo d’appello considerò che agli Stati Uniti si presentassero varie alternative, tra cui, in primis, la possibilità di imporre gli stessi standard alla benzina importata e a quella nazionale. Le ragioni addotte dal governo statunitense riguardanti le difficoltà amministrative che l’attuazione di un regime analogo avrebbe comportato, non furono ritenute sufficienti, considerato che la strada della cooperazione con i governi interessati non era stata concretamente battuta. Inoltre, veniva contestato agli Stati Uniti di non aver tenuto in considerazione i costi che i produttori stranieri avrebbero dovuto affrontare nell’attuazione degli standard della Gasoline Rule nel corso della valutazione costi benefici che precedettero la sua adozione. Di conseguenza, la discriminazione avrebbe potuto essere prevista e quindi non poteva essere considerata meramente involontaria o imprevedibile362. Tale accezione del grado di discriminazione ammissibile costituisce un ulteriore elemento restrittivo caratterizzante l’approccio all’applicazione delle eccezioni ambientali363. Un ulteriore aspetto degno di attenzione, sollevato nel corso del secondo grado di giudizio, riguarda la distinzione tra i termini “relating to” e “necessary” utilizzati nell’art. XX364. L’Organo d’appello ritenne di dover segnare una forte linea di demarcazione fra l’ambito di applicazione delle due eccezioni. Facendo riferimento alle regole generali di interpretazione codificate dalla Convenzione di Vienna e rientranti in quelle norme di diritto internazionale generale che l’art. 3, par. 2, del DSU, prevede debbano guidare

panel

e

Organo

d’appello

nell’esercizio

dell’attività

di

interpretazione e di applicazione del diritto, viene negata la possibilità che si fosse

inteso

attribuire

significati

analoghi

a

parole

diverse.

Conseguentemente, i presupposti legittimanti un’eccezione, quali, ad esempio il test di necessità delle least trade-restrictive measures, non considerations pertinent in deciding whether the application of a particular measure amounts to "arbitrary or unjustifiable discrimination", may also be taken into account in determining the presence of a "disguised restriction" on international trade. The fundamental theme is to be found in the purpose and object of avoiding abuse or illegitimate use of the exceptions to substantive rules available in Article XX.” (corsivo originale). Ibidem, p. 22-3. 362 Ibidem, p. 27. 363 Cfr. SHENK, op. cit., p. 673. 364 Ibidem, p. 16.

163

devono essere soddisfatti anche in relazione a quelle che utilizzano una diversa terminologia. Sulla questione, va rilevato che il principio di necessità ambientale, al di fuori dell’utilizzo specifico fattone nel testo dell’articolo e dell’interpretazione restrittiva attribuitagli, deve poter essere considerato un parametro primario per operare l’essenziale bilanciamento tra protezione dell’ambiente e tutela del libero scambio365. Ad ogni modo, all’obiter dictum in cui l’Organo d’appello affronta la questione, va riconosciuto il merito di mettere in rilievo un aspetto che assumerà notevole importanza nei casi successivi, ossia il riconoscimento che l’Accordo generale deve essere interpretato alla luce delle norme fondamentali del diritto internazionale pubblico366.

2.2. Il caso dei gamberetti e delle tartarughe Il caso United States – Import Prohibition of Certain Shrimp and Shrimp Products (successivamente Shrimps/Turtles)367 rappresenta un punto di svolta sostanziale nell’evoluzione del coordinamento giurisprudenziale tra diritto del commercio e diritto dell’ambiente. I fatti che generarono la controversia ricalcano in massima parte quanto avvenne all’origine del caso Tuna/Dolphins. Nel 1987 gli Stati Uniti adottarono l’Endangered Species Act368, dove si richiedeva ai pescatori 365

In tal senso, cfr. MONTINI, La necessità, cit., p. 286 e ss.; MONTINI, The Necessity Principle as an Instrument to Balance Trade and the Protection of the Environment in FRANCIONI (a cura di), op. cit., p. 135 e s. 366 Cfr. il rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS2/AB/R, p. 16: “(...) Article 3.2 of the DSU (...) reflects a measure of recognition that the General Agreement is not to be read in clinical isolation from public international law.” (corsivo originale) 367 Sul caso Shrimps/Turtles cfr. BRUNẾE, HEY (et al.) Symposium; The United States – Import Prohibition on Certain Shrimp and Shrimp Products Case, in YEIL, 1998, p. 3 e ss; DE LA FAYETTE, Case Note – Recourse to article 21.5 of he DSU by Malaysia, in AJIL, 2002, p. 685 e ss.; HOWSE, The Turtles Panel. Another Environmental Disaster in Geneva, in JWT, 1998, p. 73 e ss.; KACZKA, Case Note (Panel Report), in RECIEL, 1998, p. 308 e ss.; MACMILLAN, op. cit., p. 88 e ss.; MAVROIDIS, Trade and Environment after the Shrimps-Turtles Litigation, in JWT, 2000, p. 73 e ss.; MONTINI, La necessità, cit., p. 288 e ss.; SHAFFER, Case Note, in AJIL, 1999, p. 507 e ss.; TRACHTMAN, Case Note, in EJIL, 1999, p. 192 e ss.; TRACHTMAN, Case Note (Shrimps/Turtles) – Recourse to Article 21.5 of the DSU by Malaysia, in EJIL, 2001, p. 793 e ss.; WERKSMAN, Case Note, in RECIEL, 1999, p. 7 e ss. 368 Consultabile sul sito dell’EPA, www.epa.gov (pagina base).

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operanti nel Golfo del Messico di utilizzare degli strumenti, i c.d turtles excluding devices (TED), che consentivano di evitare la cattura accidentale delle tartarughe nel corso della pesca dei gamberetti. Due anni dopo, nel 1989, fu emanata una nuova normativa, la Section 609 della U.S. Public Law 101-162369, che autorizzava il Segretario di Stato americano a iniziare appositi negoziati per arrivare alla conclusione di accordi per la protezione delle tartarughe marine, notoriamente riconosciute come specie a rischio di estinzione dalla Convenzione CITES. Parallelamente all’avvio dei negoziati, la Section 609 poneva un bando alle importazioni di gamberetti pescati tramite sistemi che non garantissero l’incolumità delle tartarughe, tranne che nei casi in cui fosse stato possibile dimostrare che i sistemi usati escludessero ogni rischio per le tartarughe o comportassero una percentuale media di pesca accidentale analoga a quella registrata negli Stati Uniti. Il Dipartimento di Stato, cui il Presidente degli Stati Uniti aveva delegato il compito di certificare il rispetto degli standard richiesti, inizialmente limitò il bando ai paesi caraibici e dell’Atlantico occidentale, ma in seguito alla condanna dell’attuazione parziale da parte della Corte degli Stati Uniti del Commercio Internazionale (US Court of International Trade, CIT), ne venne garantita l’applicazione indifferenziata. Quattro paesi esportatori di gamberetti, India, Malaysia, Pakistan e Thailandia, sollevarono la questione di fronte agli organi dell’OMC. Il rapporto del panel370 costituisce uno degli esempi più palesi della tendenza dell’Organizzazione, denunciata con veemenza dai gruppi ambientalisti, di subordinare la tutela ambientale alle esigenze del libero commercio. Il panel si spinse fino ad introdurre una nuova linea interpretativa di portata straordinariamente restrittiva, ottenendo giudizi altamente critici da parte della dottrina371. Gli Stati ricorrenti lamentarono la violazione degli artt. I, XI, e XIII, non ritenendo che potesse essere giustificata a sensi dell’art. XX. Il panel decise di non pronunciarsi riguardo agli artt. I e XIII, ma rilevò che il bando 369

Ibidem. Rapporto del panel, WTO doc. WT/DS58/R, del 15 maggio 1998, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 371 Cfr. HOWSE, op. cit. p. 73 e ss.; KACZKA, op. cit. p. 308 e ss. 370

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statunitense contravveniva al par. 1 dell’art. XI e stabilì che nel caso in specie l’art. XX non consentiva di derogare al divieto di restrizioni quantitative. Nel giungere a tali conclusioni il panel utilizzò un procedimento alquanto inusuale, procedendo prima a valutare la conformità della Section 609 alle condizioni poste dalla clausola introduttiva dell’articolo. A riguardo, rilevò dapprima che le restrizioni statunitensi comportavano un certo grado di discriminazione e successivamente passò a valutare se tale discriminazione potesse considerarsi anche ingiustificata, interpretando il significato del termine alla luce del contesto, dell’oggetto e del fine dell’Accordo generale, rifacendosi alle osservazioni dell’Organo d’appello nel caso Gasoline372. Il panel ritenne che il proposito centrale del GATT 1994 fosse essenzialmente la promozione dello sviluppo economico attraverso la tutela della libera circolazione delle merci373 e, in conseguenza di tale valutazione, qualunque misura unilaterale che metta a rischio il perseguimento di questo imprescindibile obiettivo deve essere considerata inammissibile374. Inoltre, il panel pose l’accento sulla necessità di pervenire, per quanto riguarda la protezione delle risorse naturali globali, a soluzioni negoziate a livello multilaterale. Qualunque misura unilaterale adottata senza aver seriamente tentato di raggiungere una soluzione reciprocamente accettabile, deve essere considerata una discriminazione ingiustificata375. Il divieto assoluto di condizionare l’accesso al proprio mercato all’adozione di determinate politiche da parte dello Stato esportatore, esclude esplicitamente ogni ipotesi di misure commerciali con effetto extragiurisdizionale applicabili ai processi e ai metodi produttivi, legittimando, quindi, la prospettiva secondo la quale la volontà di sfruttare indiscriminatamente le specie in via di estinzione, poste sul proprio territorio, possa costituire una base accettabile su cui fondare un vantaggio competitivo. Le critiche rivolte all’operato del panel riguardano anche la decisione di non ammettere la partecipazione di due ONG in qualità di 372

Cfr. Gasoline, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS2/AB/R, p. 18. Cfr. Shrimps/Turtles, rapporto del panel, WTO doc. WT/DS58/R, par. 7.42. 374 Il panel ripeté per ben otto volte che qualsiasi misura che possa minare, indebolire, rappresentare un rischio o una minaccia per il sistema commerciale multilaterale è da considerarsi contraria all’Accordo generale. Ibidem, parr. 7.44, 7.45, 7.51, 7.55, 7.60, 7.61. 375 Ibidem, par. 7.61 373

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amici curiae. Inoltre, larga parte del rapporto è dedicata a valutare le conclusioni scientifiche raggiunte dai gruppi di esperti presentati da tutte le parti alla controversia. Sulla base di quanto da essi riportato, appare palese la totale assenza di certezza scientifica riguardo alla migliore politica da adottare per preservare le tartarughe, ma il panel non soltanto non ritenne necessario conformarsi ad un approccio precauzionale, ma si spinse fino capovolgere il significato della precauzione, al punto di considerare l’incertezza scientifica una base sufficiente a giustificare l’inazione. L’Organo d’appello376, pur pervenendo alle medesime conclusioni circa la contrarietà della misura statunitense allo chapeau dell’art. XX, operò una sostanziale rettifica del processo interpretativo seguito dal panel, ribaltandone in parte i risultati pratici riguardo alla possibilità di adottare misure che condizionino l’accesso al mercato all’adozione di determinate politiche ambientali e giungendo fino a legittimare, in ipotesi, l’adozione di misure commerciali relative ai processi e ai metodi produttivi dotate, quindi, di portata extragiurisdizionale. In primo luogo, l’Organo d’appello si pronunciò circa l’assoluta discrezionalità dei panel e dell’Organo stesso riguardo all’ammissibilità delle amicus curiae brief, ossia i documenti informativi tramite i quali agli attori non statali viene offerta la possibilità di assumere un ruolo nel quadro dell’ordinamento internazionale377. Pur non pronunciandosi riguardo agli aspetti procedurali della questione, l’Organo dette un’interpretazione estensiva degli artt. 12 e 13 del DSU, correggendo il giudizio del panel, che non aveva ritenuto di potervi riscontrare la base giuridica per l’ammissibilità dei rapporti non esplicitamente richiesti dagli organi giudiziari378. Successivamente, passò a contestare la ratio dell’interpretazione dello chapeau data dal panel. Ribadendo quanto esplicitato nel caso Gasoline, 376

Cfr. Shrimps/Turtles, rapporto dell’Organo d’Appello, WTO doc. WT/DS58/AB/R, del 12 0ttobre 1998, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 377 Per un’attenta disamina dell’evoluzione storica e dei profili sostanziali della figura dell’amicus curiae, cfr., ampiamente, BARATTA, La legittimazione processuale dell'amicus curiae dinanzi agli organi giudiziali dell'Organizzazione mondiale del commercio, in RDI, 2002, p. 549 e ss.; riguardo alla funzione degli amici curiae nel quadro della promozione dello sviluppo sostenibile, cfr. DUNOFF, Border Patrol at the World Trade Organization, in BRUNNẾE, HEY (et al.), op. cit., p. 20 e ss. 378 Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 108.

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l’Organo d’appello sottolineò che l’iter interpretativo doveva essere rispettato, in quanto riflettente la struttura logica fondamentale necessaria a definire la corretta applicazione dell’art. XX, dal momento che il test dello chapeau differiva a seconda del tipo di misura in esame379; in secondo luogo, specificò come la funzione della clausola introduttiva dell’art. XX fosse impedire l’abuso delle eccezioni ivi contemplate tramite il controllo del modo in cui vengono concretamente applicate, mentre il panel aveva invertito il processo interpretativo e aveva focalizzato l’attenzione sulla natura della misura stessa e sull’obiettivo che si proponeva380. Inoltre, il panel aveva errato nell’applicazione del disposto dell’art. 3, par. 2, del DSU, che prescrive la conformità alle regole generali di interpretazione dell’attività interpretativa svolta dagli organi giudiziali dell’Organizzazione. L’Organo d’appello passò quindi ad esaminare se la misura statunitense fosse provvisoriamente giustificabile sulla base della lettera g) dell’art. XX381. In tal senso, concluse che essa poteva legittimamente rientrare nel novero delle misure riguardanti la conservazione delle risorse naturali esauribili, dal momento che la nozione di tale tipologia di risorse doveva essere considerata alla luce dell’evoluzione della sensibilità internazionale in merito alle rinnovate esigenze di tutela ambientale insite

379

Ibidem, par. 120: “The task of interpreting the chapeau so as to prevent the abuse or misuse of the specific exemptions provided for in Article XX is rendered very difficult, if indeed it remains possible at all, where the interpreter (like the Panel in this case) has not first identified and examined the specific exception threatened with abuse. (…) When applied in a particular case, the actual contours and contents of these standards will vary as the kind of measure under examination varies. What is appropriately characterizable as "arbitrary discrimination" or "unjustifiable discrimination", or as a "disguised restriction on international trade" in respect of one category of measures, need not be so with respect to another group or type of measures. The standard of "arbitrary discrimination", for example, under the chapeau may be different for a measure that purports to be necessary to protect public morals than for one relating to the products of prison labour.” (corsivo aggiunto) In ragione di una simile argomentazione, appare senz’altro contraddittoria la decisione dell’Organo d’appello di non condurre, per ragioni di economia giurisprudenziale, un esame della normativa americana anche ai sensi dell’art. XX b). Trattandosi di una differente tipologia di misure, il test dello chapeau sarebbe potuto essere diverso e, almeno in linea di principio, avrebbe potuto condurre a risultati differenti. Cfr. TRACHTMAN, Case Note (Shrimps/Turtles), cit, p. 194. 380 Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 115. 381 L’Organo d’appello decise di valutare prima la conformità alla lettera b) soltanto qualora la misura non si fosse mostrata conforme alla lettera g) come esplicitamente richiesto dagli Stati Uniti. Ibidem par. 125.

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nel principio dello sviluppo sostenibile382, che, com’è noto, le parti contraenti avevano deciso di includere nel preambolo dell’Accordo OMC al termine dell’Uruguay Round. Inoltre, numerose convenzioni internazionali riconoscono alle specie viventi la qualifica di risorse naturali, mentre la Convenzione CITES include le tartarughe tra le specie in via di estinzione, fatto che consente il attribuire loro la qualifica di risorse esauribili. Di conseguenza l’Organo d’appello rigettò l’argomentazione avanzata dagli Stati ricorrenti, secondo la quale l’art. XX g) avrebbe dovuto riguardare soltanto le risorse del tutto incapaci di riprodursi come, ad esempio, i minerali e passò a valutare la relazione tra la misura e la conservazione delle risorse. Anche in tale circostanza, richiamò quanto stabilito nel caso Gasoline riguardo alla necessaria sussistenza di una relazione sostanziale, intesa come uno stretto e genuino rapporto tra i mezzi impiegati e i fini che si propone di raggiungere383. Dal momento che gli obiettivi e la struttura generale della Section 609 rispondevano a tale criterio e che i risultati conseguibili tramite la sua applicazione apparivano proporzionati e ragionevolmente correlati agli strumenti impiegati384, l’Organo d’appello procedette a rilevare l’esistenza del requisito di imparzialità rinvenibile nell’applicazione congiunta di misure restrittive della produzione e del consumo nazionali. L’obbligo di utilizzo delle TED imposto ai pescatori 382

Ibidem, parr. 129, 130: “The words of Article XX(g), "exhaustible natural resources", were actually crafted more than 50 years ago. They must be read by a treaty interpreter in the light of contemporary concerns of the community of nations about the protection and conservation of the environment. While Article XX was not modified in the Uruguay Round, the preamble attached to the WTO Agreement shows that the signatories to that Agreement were, in 1994, fully aware of the importance and legitimacy of environmental protection as a goal of national and international policy. The preamble of the WTO Agreement -- which informs not only the GATT 1994, but also the other covered agreements -- explicitly acknowledges "the objective of sustainable development. (…)From the perspective embodied in the preamble of the WTO Agreement, we note that the generic term "natural resources" in Article XX(g) is not "static" in its content or reference but is rather "by definition, evolutionary..” (corsivo originale) A sostegno di tale impostazione, l’Organo d’appello richiama esplicitamente la sentenza resa dalla Corte Internazionale di Giustizia nel caso Namibia, in cui sostiene che i concetti inclusi in un trattato sono, per definizione, in evoluzione e che, pertanto, la loro interpretazione non può non essere influenzata dai successivi sviluppi del diritto internazionale e che, conseguentemente, ogni strumento internazionale deve essere interpretato e applicato conformemente al quadro delineato all’intero sistema giuridico esistente a momento dell’interpretazione. Cfr. Namibia (Legal Consequences) Advisory Opinion, consultabile su I.C.J. Reports, 1971, p. 31 e ss. 383 Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 136. 384 Ibidem, par. 141.

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statunitensi, congiuntamente alla previsione di un adeguato sistema sanzionatorio, condusse a ritenere soddisfatta anche la terza ed ultima condizione. La restrizione all’importazione di gamberetti fondata sul metodo attraverso il quale questi venivano pescati venne, quindi, riconosciuta come legittimamente rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. XX g)385. Pertanto, in linea di principio, l’Organo d’appello mostrò di avere implicitamente ammesso la possibilità che, tra le misure contemplate dalla lettera g) dell’art. XX, possano legittimamente rientrare le misure commerciali unilaterali con effetto extra-giurisdizionale386 relative ai processi e ai metodi di produzione, le c.d. misure PPMs (acronimo di processes and production methods). Come vedremo successivamente, nel campo della protezione ambientale la portata di una simile decisione si dimostra potenzialmente vastissima, in considerazione del fatto che sono proprio i processi produttivi, ancor prima dei prodotti, all’origine dei fenomeni di degrado riguardanti le risorse ambientali globali.

385

Ibidem, par. 121: “It appears to us, however, that conditioning access to a Member's domestic market on whether exporting Members comply with, or adopt, a policy or policies unilaterally prescribed by the importing Member may, to some degree, be a common aspect of measures falling within the scope of one or another of the exceptions (a) to (j) of Article XX. (…) It is not necessary to assume that requiring from exporting countries compliance with, or adoption of, certain policies (although covered in principle by one or another of the exceptions) prescribed by the importing country, renders a measure a priori incapable of justification under Article XX. Such an interpretation renders most, if not all, of the specific exceptions of Article XX inutile, a result abhorrent to the principles of interpretation we are bound to apply.” (corsivo aggiunto) 386 Tale conclusione è desumibile dalla natura e dagli effetti della misura in esame, poiché nel rapporto dell’Organo d’appello la questione dell’ambito di operatività della misura non viene esplicitamente trattata. A riguardo, tra le osservazioni presentate dagli undici Stati partecipanti alla controversia in qualità di Stati terzi, risulta particolarmente interessante quella della Comunità Europea, in cui, rispetto al caso Tuna/Dolphins, viene mostrata una sensibilità decisamente maggiore nei confronti delle misure unilaterali extragiurisdizionali: “ (...) the EC considered that Article XX could, in certain circumstances, be relied upon to justify measures taken to protect global commons (globally shared environmental resources) or resources located outside the territory of a Member, provided, of course, that the other conditions of application of the relevant exception in Article XX, and the introductory clause thereof, were complied with. However, such circumstances should indeed be exceptional. This followed from the fact that Article XX, as an exception to the rules of the General Agreement, should be construed restrictively, and from the fact that, in general international law, states could normally not apply their legislation so as to coerce other states into taking certain actions, including modifying their own domestic standards.” (corsivo aggiunto) Cfr. rapporto del panel, par. 3.55.

170

Ad ogni modo, come abbiamo già detto, la misura statunitense non fu riconosciuta legittima ex art. XX, poiché l’Organo d’appello, al momento di effettuare il bilanciamento sostanziale tra gli interessi in esame contemplato dal test dello chapeau387,

constatò che nel modo in cui essa era stata

applicata fosse rinvenibile una componente discriminatoria arbitraria e ingiustificabile. All’esame concreto dei fatti, quando si trattò di determinare dove passasse la “linea di equilibrio”388 tra diritti e doveri dei membri, che può essere identificata soltanto a seguito di una verifica materiale degli elementi fattuali del caso in specie, l’Organo d’appello concluse che nell’applicazione della Section 609 erano presenti sei vizi essenziali che qualificavano la misura come discriminatoria. Il primo, e probabilmente il più importante, si riferiva all’obbligo, imposto agli Stati che intendessero accedere al mercato statunitense dalla normativa attuativa del Dipartimento di Stato e non dalla Section 609 in quanto tale, di adottare essenzialmente la stessa politica e le stesse misure di enforcement applicate dagli Stati Uniti. Invece, il Dipartimento di Stato avrebbe dovuto richiedere l’attuazione di programmi di protezione delle tartarughe i cui effetti dovessero essere semplicemente comparabili con quelli della Section 609389, in considerazione delle diverse condizioni che possono caratterizzare l’industria della pesca e la peculiare realtà socioeconomica degli altri Stati membri. Inoltre, i gamberetti pescati con metodi analoghi a quelli utilizzati negli Stati Uniti non sarebbero potuti essere importati comunque, fintanto che non fossero stati certificati conformi alla normativa americana. Tale limite condusse a ritenere che l’obiettivo effettivo della Section 609 non fosse la protezione delle tartarughe marine, 387

Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 156: “Turning then to the chapeau of Article XX, we consider that it embodies the recognition on the part of WTO Members of the need to maintain a balance of rights and obligations between the right of a Member to invoke one or another of the exceptions of Article XX, specified in paragraphs (a) to (j), on the one hand, and the substantive rights of the other Members under the GATT 1994, on the other hand.” (corsivo aggiunto) 388 Ibidem, par. 159: “The task of interpreting and applying the chapeau is, hence, essentially the delicate one of locating and marking out a line of equilibrium (…). The location of the line of equilibrium, as expressed in the chapeau, is not fixed and unchanging; the line moves as the kind and the shape of the measures at stake vary and as the facts making up specific cases differ.” (corsivo aggiunto) 389 Ibidem, parr. 161-164.

171

ma piuttosto obbligare gli altri stati membri a conformarsi esattamente ai regolamenti statunitensi390. Il terzo elemento che, come i due precedenti, conduce a ritenere ingiustificata la discriminazione imposta dalla Section 609, pone l’accento sulla vexata qaestio che pospone la possibilità di adottare misure ambientali unilaterali all’effettivo impegno nel tentare di negoziare programmi di protezione fondati sul mutuo consenso. Sfortunatamente, a riguardo, l’Organo d’appello non si spinse fino determinare quali dovessero essere i parametri da considerare per poter giungere a concludere che gli sforzi nella negoziazione di risposte multilaterali ai problemi a ambientali potessero considerarsi sufficienti. Ad ogni modo, nella fattispecie, il fatto che fosse stato possibile concludere con successo i negoziati relativi alla Convenzione inter-americana per la protezione e la conservazione delle tartarughe marine391, condusse l’Organo d’appello a sostenere che gli Stati Uniti avessero la possibilità di intraprendere strade alternative all’adozione unilaterale di strumenti coercitivi392. Il quarto vizio riguardava l’iniziale applicazione della normativa alle sole nazioni caraibiche e dell’Atlantico occidentale, le quali, pertanto, avevano goduto di un periodo di adattamento (phase in) più prolungato, fatto che comportava un ingiustificato vantaggio, avendo potuto usufruire di più tempo per ammortizzare i costi di adattamento e per valutare strategie e mercati alternativi per le loro importazioni393. Il quinto elemento qualificante l’ingiustificabilità della 390

Ibidem, par. 165. Il testo ufficiale della Inter-American Convention for the Protection and the Conservation of Sea Turtles, aperta alla firma a Caracas il 1 dicembre 1996, è consultabile sul sito della Convenzione, www.seaturtles.org (pagina base). 392 Cfr. rapporto dell’Organo d’appello par. 171. L’Organo d’appello sottolinea la funzione dell’art. XV della Convenzione, relativo alle misure commerciali, che consente di determinare correttamente la posizione della “linea di equilibrio” tra i due interessi confliggenti. Riguardo a tale impostazione, va evidenziato il fatto che l’art. XV richiede esplicitamente ai membri che intendano adottare misure commerciali di agire conformemente alle disposizioni degli Accordi Allegati. Decidendo di richiamare l’articolo in questione, l’Organo d’appello circoscrive il margine di apprezzamento degli Stati membri riguardo all’adozione di misure commerciali, cfr. TRACHTMAN, Case Note (Shrimps/Turtles), cit. p. 81: “Thus while on one hand, the Appellate Body seems to open a narrow opportunity for unilateral and coercitive trade measures to be applied for environmental purposes, it appears to signal with the other hand, the WTO’s intention to retain for itself the jurisdiction to arbitrate the compatibility of such measures with trade rules.” 393 Ibidem, par. 173. 391

172

misura, riguardava i differenti sforzi fatti dagli Stati Uniti nel trasferimento della tecnologia TED, prevalentemente orientati ai paesi dell’area caraibica. L’ultimo elemento configurava, invece, un presupposto di discriminazione arbitraria. Secondo l’Organo d’appello, il riferimento dello chapeau a tale ipotesi pone in capo agli Stati membri l’obbligo di predisporre adeguate procedure amministrative, mirate a creare le condizioni necessarie a garantire

agli

Stati

importatori

appropriati

meccanismi

di

tutela

amministrativa e giudiziaria. Il processo di certificazione predisposto dalla normativa americana, invece, non presentava sufficienti garanzie di trasparenza delle procedure né di prevedibilità degli esiti e inoltre non contemplava la possibilità formale di appellarsi di fronte a un rifiuto né, in generale, tutelava il diritto a un giusto processo, che l’art. X indirettamente prescrive agli Stati membri al fine di evitare che gli esportatori possano trovare tutela soltanto attraverso l’azione dei propri governi in seno all’OMC394. Come abbiamo sottolineato in precedenza, l’approccio evolutivo all’interpretazione dell’eccezioni ambientali dell’art. XX costituisce un radicale passo in avanti nel perseguimento dell’obiettivo di operare un equo bilanciamento tra promozione del libero commercio e tutela ambientale. Le implicazioni di una tale impostazione sono potenzialmente vastissime: in primo luogo, il sistema commerciale multilaterale viene ad operare come un sistema aperto, piuttosto che come un regime giuridico self-contained395. Un simile

approccio

suggerisce

come

in

futuro

possa

essere

data

un’interpretazione più flessibile delle norme dell’Accordo OMC ed, in particolar modo, del requisito di necessità ex art. XX b), soprattutto in considerazione dell’irragionevole conseguenza che una simile accezione 394

Ibidem, par. 182. Cfr. BRUNNẾE, HEY, op. cit., p. 5, dove, in riferimento alla similarità e alle analogie tra il ragionamento dell’Organo d’appello nel caso in specie e quello della Corte Internazionale di Giustizia nel caso Gabcicovo-Nagymaros (cfr. ante cap. I), si sottolinea che “ (…) the Appellate Body decision represents a “dramatic departure from consistent prior GATT panel jurisprudence, which viewed the GATT 1947 as a self contained legal regime,” as Frederick Abbot notes in his Year-in-Review report. In a two-year period, we also have witnessed the emergence of a rule that provides that (…) environmental provisions included in treaties whose sole and primary aim is not to further the protection and preservation of the environment must be interpreted in the light of contemporary international environmental law.” 395

173

comporta, nel momento in cui si giunge a configurare un regime più elastico ed efficace per la conservazione delle risorse naturali che per la protezione della salute e della vita. Inoltre, emerge chiaramente la tendenza a considerare legittime le restrizioni commerciali che fossero adottate su base multilaterale, per quanto, com’è noto, una simile eventualità non sia mai venuta in rilievo nel quadro del sistema di risoluzione delle controversie. Analogamente, dovrebbero considerarsi conformi alla normativa GATT anche le sanzioni unilaterali adottate al termine di un serio e ragionevole impegno nella negoziazione che non abbia condotto a risultati, per quanto i contorni di tale ipotesi risultino di gran lunga più sfumati. In ragione di quanto è stato detto fino ad adesso, il caso Shrimps/Turtles, nonostante le conclusioni raggiunte, sembra avere un’anima particolarmente ecologista, soprattutto in rapporto ai due casi precedenti sul tonno e i delfini di cui ribalta in buona parte le conclusioni396. Ci sono, però, alcuni aspetti che non mancano di moderare l’apertura ai valori ambientali che l’Organo d’appello sembra aver voluto incorporare nel sistema commerciale multilaterale. In primis, è stata avanzata l’idea che il test di necessità continui a imporre vincoli particolarmente stringenti anche al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. XX b), invalidando la portata innovativa del caso Gasoline.

Ciò

sembrerebbe

essere

conseguenza

della

mancata

specificazione, nel corso del test dello chapeau, dei criteri cui attenersi al fine di poter concludere che gli forzi in campo negoziale possano ritenersi sufficienti, configurando nuovamente una sorta di prova diabolica faticosamente sormontabile, considerato che, in linea di principio, la strada che porta ad una soluzione consensuale rimane praticamente sempre aperta, anche di fronte allo Stato più recalcitrante. A riguardo, una parziale attenuazione di una simile preoccupazione può essere dedotta, come

396

Va notato che l’Organo d’appello giunge a conclusioni opposte in merito a questioni di sostanziale rilevanza, ma, nel corso del rapporto, evita accuratamente di fare riferimento ai due casi Tuna/Dolphins, facendo anzi presente in più punti come le conclusioni e le considerazioni effettuate nel caso in specie debbano considerarsi relative soltanto a quest’ultimo.

174

vedremo, dalle indicazioni emerse nel corso del ricorso ex art. 21, par. 5, del DSU. In secondo luogo, suscitano perplessità ancora maggiori le motivazioni addotte in merito all’ingiustificabilità della discriminazione derivante dall’attribuzione di diversi periodi di phase-in agli Stati esportatori di gamberetti. Come abbiamo visto, gli Stati caraibici e dell’Atlantico occidentale avevano goduto di un periodo di adattamento più lungo e, pertanto, avevano avuto una notevole facilitazione per coprire i costi di assestamento e per cercare mercati alternativi dove dirigere le esportazione in contrasto con la Section 609397. Quest’ultima ipotesi sottintende evidentemente una ratio del tutto inconciliabile con ogni pretesa di protezione dell’ambiente globale e nella fattispecie con il proposito di conservare le tartarughe marine in qualità di specie in via di estinzione e di componente effettivo della diversità biologica, che, come abbiamo visto, è stata riconosciuta come interesse comune dell’umanità dalla Convenzione di Rio sulla biodiversità. Sembra, invece, che la tutela accordata alle tartarughe trovi giustificazione soltanto nella loro natura di “global commons” e nel “sufficient nexus” che l’Organo d’appello ha ritenuto di poter individuare tra le esigenze di conservazione degli Stati Uniti e la natura di specie migratoria delle tartarughe marine. Al di fuori delle specifiche esigenze fatte proprie da uno degli Stati membri, le tartarughe marine tornano ad essere una risorsa naturale di cui uno Stato può usufruire a proprio piacimento, fino al punto di poter decidere di fondare il proprio vantaggio comparato sul loro sfruttamento incondizionato anche in caso di rischio di estinzione. Tale prospettiva si dimostra in aperto contrasto con ogni proposito di garantire la sostenibilità ambientale dello sviluppo economico, mentre si trova in perfetta coerenza con l’impostazione del preambolo del GATT 1947, il quale, a fronte del riconoscimento del principio dello sviluppo sostenibile, 397

Cfr. il rapporto dell’Organo d’appello, par. 173: “The length of the "phase-in" period is not inconsequential for exporting countries desiring certification. That period relates directly to the onerousness of the burdens of complying with the requisites of certification and the practical feasibility of locating and developing alternative export markets for shrimp. The shorter that period, the heavier the burdens of compliance, particularly where an applicant has a large number of trawler vessels, and the greater the difficulties of reorienting the harvesting country's shrimp exports.” (corsivo aggiunto)

175

poneva il pieno utilizzo delle risorse mondiali tra gli obiettivi del sistema commerciale internazionale398. Un ultimo aspetto controverso, che non ha ricevuto particolare attenzione né da parte dell’Organo d’appello né nel corso del dibattito su commercio e ambiente399, ma che merita di essere sottolineato nel momento in cui si afferma che l’obiettivo di fondo non è la protezione ambientale in quanto tale, ma la sua integrazione nelle esigenze di sviluppo economico, riguarda gli aspetti redistributivi e i problemi di reciprocità del danno, due questioni quanto mai rilevanti nel momento in cui, come in questo caso, la controversia coinvolga Stati in via di sviluppo e Stati industrializzati. Il problema tende a porsi in termini tipicamente “coaesiani”400, per cui uno Stato industrializzato che intenda imporre determinati standard ambientali a un paese in via di sviluppo dovrebbe essere tenuto a sostenere i costi di tale adeguamento,

compensando

economicamente

gi

sforzi

in

campo

ambientale, coerentemente con il principio delle responsabilità comuni ma differenziate.

2.3. (segue) Il ricorso della Malaysia ex art. 21, par. 5, del DSU 398

Su questi ultimi due aspetti del rapporto dell’Organo d’appello cfr. MANN, Of Revolution and Results: Trade-and-Environment Law in the Afterglow of the Shrimp-Turtle Case, in BRUNNẾE, HEY, op. cit., p. 32 e ss.. “The challenge that lies ahead for the WTO can be phrased in its own terminology: to ensure that the integrative language of the Appellate Body and the desirability of promoting a multilateral process for integrating environment and sustainable development principles into trade law do not themselves become disguised barriers to achieving this goal.” Ibidem, p. 35 399 Cfr. ATIK, Two Hopeful Readings of Shrimp-Turtle, in BRUNNẾE, HEY, op. cit., p. 6 e ss. In tal senso, anche la conclusione raggiunta dall’Organo d’appello circa l’illegittimità del blocco delle importazioni, assume una diversa connotazione: “Shrimp-Turtle should not be understood as abandoning the turtles to their fates. Ruling in favour of market access in this case (recognizing market access as a quasi-property right) simply challenger the United States to pay for what it hopes to achieve. The United States is free to pick p the costs of installing and operating turtle excluding devices for India et al. shrimping fleets. Indeed, such an offer might induce regulatory harmonization. For me, at least, this decision squares with redistributive justice: a rich country that wishes to impose a production standard on a poor one should be asked to pay for it.” Ibidem, p. 9. 400 Sul teorema di Coase, che collega l’ottimizzazione dell’allocazione delle risorse ambientali al conferimento di diritti di proprietà, cfr. TUNER, PEARCE, BATEMAN, op. cit. p. 199 e ss.

176

Nel novembre del 1999 gli Stati Uniti presentarono al DSB un rapporto401 in cui venivano mostrati i cambiamenti apportati alla normativa attuativa della Section 609 in base di quanto disposto dall’Organo d’Appello. Parallelamente all’adozione delle nuove linee guida402, gli Stati Uniti avevano dato inizio ai negoziati per un accordo sulla conservazione delle tartarughe con gli Stati del Sud-Est Asiatico403. Dei quattro Stati ricorrenti, soltanto la Malaysia decise di presentare ricorso ai sensi dell’art. 21, par. 5, del DSU, riguardo all’adeguatezza delle misure in questione. Il panel originario si pronunciò circa la legittimità della misura statunitense404 e, pertanto, la Malaysia decise di presentare appello anche contro quest’ultimo rapporto. L’Organo d’appello giunse a conclusioni analoghe riguardo alle nuove linee guida, non mancando di specificare, come aveva fatto il panel, che la violazione dell’art. XI sarebbe stata legittimata dall’art. XX fintanto che gli Stati Uniti avessero continuato a dare prova di portare avanti in buona fede una seria attività negoziale405. I due rapporti svilupparono ampiamente quest’ultimo aspetto, al fine di tentare di determinare criteri più circoscritti ed oggettivi in base ai quali condurre l’esame di una eventuale misura unilaterale, posto che richiedere che le negoziazioni conducano obbligatoriamente a buon fine, equivarrebbe a conferire un diritto di veto ad ogni singolo Stato, escludendo a priori ogni ipotesi di azione unilaterale406. In merito, il rapporto del panel risulta molto più circostanziato, per quanto incapace di fornire effettivamente concreti 401

Cfr. il rapporto degli Stati Uniti del 15 luglio 1999, WTO doc. WT/DS58/15, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base) 402 Cfr. Revised Guidelines for the Implementation of Section 609 of Public Law 101-162 Relating to the Protection of Sea Turtles in Shrimp Trawl Fishing Operations, consultabili sul sito dell’EPA, www.epa.org (pagina base) 403 Cfr. Memorandum of Understanding on the Conservation and Management of Marine Sea Turtles and Their Habitat of the Indian Ocean and South-East Asia, l’accordo, di cui oggi sono parti ventiquattro Stati tra cui Thailandia e Pakistan, è stato firmato il 14 luglio del 2000 ed è entrato in vigore il 1 settembre del 2001. Il testo ufficiale è consultabile sul sito dell’accordo, www.seaturtles.org (pagina base). 404 Cfr. rapporto del panel, Shrimps/Turtles – Recourse to Article 21.5 by Malaysia, WTO doc. WT/DS58/RW, del 15 giugno del 2001, par. 6.1. 405 Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, Shrimps/Turtles – Recourse to Article 21.5 by Malaysia, WTO doc. WT/DS58/AB/RW, del 22 ottobre 2001, par. 153, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 406 Ibidem, par. 123.

177

parametri di riferimento. In generale, in capo agli Stati che intendano adottare una misura unilaterale viene posto un obbligo di diligenza consistente nel dover portare avanti in buona fede seri sforzi nella negoziazione in maniera continuativa e con tutti gli Stati potenzialmente interessati, prendendo l’iniziativa prima di adottare la restrizione commerciale e continuando con analogo impegno anche mentre questa è in vigore407. Appare consequenziale che le misure unilaterali legittimate da un simile approccio debbano avere una natura provvisoria, qualificandosi come misure emergenziali408, e suscita stupore il fatto che l’Organo d’appello abbia deciso di non analizzare questo aspetto cruciale nel proprio rapporto. Ad ogni modo, sembra che la giurisprudenza del DSB abbia obiettivamente imboccato la strada che porta all’integrazione del diritto commerciale internazionale con i principi del diritto internazionale generale e ambientale, evitando di chiudersi nella “clinical isolation” che rischia di avere ripercussioni notevolmente negative nei confronti di esigenze imperative della comunità internazionale. L’approccio seguito nel corso della valutazione dell’adeguatezza delle misure adottate dagli Stati Uniti a seguito della condanna dei criteri attuativi del 1996, consolida l’orientamento seguito sin dal caso Gasoline e consente di affermare che l’adozione di misure commerciali unilaterali fondate sui processi produttivi per proteggere l’ambiente e conservare le risorse naturali costituisce, entro i limiti specificati, una pratica consentita dalle eccezioni dell’art. XX409. 407

Cfr. rapporto del panel, par. 5.66. Ibidem par. 5.88: “Finally, the Panel would like to clarify that, in a context such as this one where a multilateral agreement is clearly to be preferred and where measures such as that taken by the United States in this case may only be accepted under Article XX if they were allowed under an international agreement, or if they were taken further to the completion of serious good faith efforts to reach a multilateral agreement, the possibility to impose a unilateral measure to protect sea turtles under Section 609 is more to be seen, for the purposes of Article XX, as the possibility to adopt a provisional measure allowed for emergency reasons than as a definitive "right" to take a permanent measure. The extent to which serious good faith efforts continue to be made may be reassessed at any time. For instance, steps which constituted good faith efforts at the beginning of a negotiation may fail to meet that test at a later stage.” (corsivo originale) 409 Cfr. LA FAYETTE, op. cit. p. 692: “It now seems clear that any impediment to using trade restrictive measures to protect the environment or to conserve natural resources stems not from any defect or deficiency in the law, but from political factors and policies preferences of WTO members that have acted if Article XX and the provisions of international environmental law did not exist.” 408

178

2.4. Il caso della carne agli ormoni Il caso European Communities – Measures Concerning Meat and Meat Products (successivamente Hormones)410 rappresenta la prima occasione in cui le disposizioni dell’Accordo SPS sono state sottoposte all’esame degli organi di risoluzione delle controversie. Le origini della disputa risalgono ad un a serie di direttive europee, adottate nei primi anni ’80, relative al divieto di somministrare ormoni per stimolare la crescita degli animali destinati alla macellazione e al conseguente divieto di commercializzazione delle carni degli animali allevati in tal modo411. Gli Stati Uniti e il Canada presentarono due ricorsi paralleli412 al DSB, richiedendo la costituzione di un panel per valutare la liceità della normativa comunitaria sulla base degli artt. 2, 3 e 5 dell’Accordo SPS413. Il panel ritenne che le direttive comunitarie dovessero considerarsi contrarie ai parr. 1 e 3 dell’art. 3, relativi all’ipotesi di adozione di standard 410

Sul caso Hormones cfr. DORDI, Il caso ormoni: la ricerca di un equilibrio tra tutela della salute e del libero commercio, in VENTURINI, op. cit. p. 226; GRADONI, La protezione del consumatore nel diritto internazionale del commercio, in ROSSI (a cura di), op. cit. p. 148 e ss.; HURST, Case Note, in EJIL, 1999, consultabile su www.ejil.org (pagina base); MONTINI, La necessità, cit. p. 302 e ss.; WIRTH, Case Note, in AJIL, 1998, p. 755 e ss.; WYNTER, The Agreement on Sanitary and Phitosanitary Measures in the Light of the WTO Decision on EC Measures Concerning Meat and Meat Products, in MENGOZZI, International Trade Law in the 50th Anniversary of the Multilateral Trade System, Milano, 1999, p. 471 e ss. 411 In particolare, la controversia riguardava le seguenti direttive: 81/602 del 31 luglio 1981, che vieta l’utilizzo di sostanze ormonali ad azione tireostatica, androgenica, estrogenica e gestagenica, ad eccezione di due ormoni sintetici e di tre ormoni naturali; 88/146 del 10 marzo 1988, che vieta l’utilizzo anche delle cinque sostanze indicate; 88/299 del 17 maggio del 1988. le tre direttive sono state poi sostituite dalla direttiva 96/22 del 29 aprile 1996 che rafforza notevolmente il divieto di somministrazione non soltanto a scopi alimentari ma anche terapeutici e zootecnici e amplia gli obblighi di controllo ed esame. I testi delle suddette direttive sono consultabili sul sito dell’Unione Europea, www.europa.eu.org (pagina base). 412 I ricorsi vertevano su considerazioni del tutto analoghe e i due panel giunsero a identiche conclusioni, cfr WTO doc. WT/DS26/R/USA (successivamente rapporto del panel USA) e WTO doc. WT/DS48/R/CAN (successivamente rapporto del panel Canada), consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). Inoltre, i panel avevano la medesima composizione e decisero di tenere incontri congiunti con gli esperti tecnici convocati in base all’art. 11, par. 2, dell’Accordo SPS e all’art. 13 del DSU e di permettere alle due parti l’accesso a tutte le informazioni fornite nel corso dei procedimenti. 413 Nella richiesta di costituzione del panel (cfr. WTO doc. WT/DS26/6, ibidem), gli Stati Uniti lamentarono anche la violazione degli artt. III e XI del GATT, dell’art. 2 dell’Accordo TBT e dell’art. 4 dell’Accordo sull’Agricoltura. Per quanto riguarda l’Accordo TBT il panel si pronunciò circa la sua inapplicabilità, sulla base dell’art. 1, par. 5, del medesimo. Riguardo al GATT, il panel rilevò che il contenuto normativo dei due accordi è autonomo e il fatto che vi sia una violazione del GATT che possa essere

179

sanitari più elevati di quelli predisposti dalla Commissione del Codex Alimentarius, poiché tali standard erano stati predisposti in violazione dell’art. 5, ossia senza rispettare i parametri per una corretta valutazione e gestione del rischio. A tal fine, veniva richiesto il rispetto di alcune condizioni procedurali e sostanziali: da un lato, la Comunità doveva dimostrare di aver preso in considerazione la valutazione scientifica del rischio nel momento in cui predisponeva le proprie misure; dall’altro, le conclusioni scientifiche implicite in tali misure dovevano essere conformi a quelle raggiunte in sede di valutazione. La Comunità venne giudicata responsabile di un illecito in entrambi i casi414. Le argomentazioni addotte dalla Comunità a giustificazione di tale violazione delle procedure di valutazione del rischio si ricollegano allo status di norma di diritto internazionale generale che dovrebbe essere attribuita al principio precauzionale. Nell’opinione della Comunità, la precauzione avrebbe dovuto delineare l’approccio interpretativo alle norme di valutazione del rischio contenute nei parr. 1 e 2 dell’art. 5, consentendo, quindi, l’adozione di misure analoghe e quelle contenute nelle direttive comunitarie. Appare evidente

come

difficilmente

potesse

essere

ritenuta

accettabile

un’interpretazione dello status del principio precauzionale che esuli completamente dalla specifica formulazione del principio che viene esplicitata all’art. 5, par. 7, considerato, inoltre, che la Comunità decise di specificare apertamente che, nel caso in specie, non intendeva invocare tale disposizione415. giustificata sulla base dell’art. XX b) non costituisce una condizione per l’applicabilità dell’Accordo SPS in sede contenziosa, il quale riguarda semplicemente le misure sanitarie e fitosanitarie, aggravando il contenuto degli obblighi dell’art. XX b) in relazione a quest’ultime. Di conseguenza, coerentemente con il principio dell’economia giudiziaria, il panel procedette prima a valutare il rispetto delle norme SPS, poiché in caso di accertata compatibilità della normativa europea in base all’art. XX b) sarebbe stato comunque necessario procedere ad operare un’analoga valutazione riguardo all’Accordo SPS. 414 Infatti, da una parte, i preamboli delle direttive non facevano alcun riferimento agli studi scientifici che la Comunità sosteneva essere a fondamento dei propri provvedimenti, ma unicamente a rapporti non scientifici e a pareri del Parlamento Europeo; dall’altra, sia gli studi presentati a titolo di prova sia i pareri degli esperti consultatati, concordano nel ritenere che non sussiste alcun rischio per la salute dell’uomo se le sostanze ormonali in questione sono somministrate seguendo regole di buona pratica veterinaria, mentre le misure comunitarie ne escludono completamente l’utilizzo, ritenendo implicitamente che esse possano produrre in ogni caso effetti nocivi.

180

L’Organo d’appello condannò ugualmente le direttive comunitarie, ma soltanto per la violazione dell’art. 5., par. 1, e quindi dell’art. 3, par. 3, non ritenendo che essa fosse tenuta anche a rispettare gli standard internazionali esistenti. Infatti, modificò le conclusioni del panel riguardo al significato da attribuire ai termini “based on” e “conform to”, utilizzati rispettivamente nei parr. 1 e 2 dell’art. 3. Secondo il panel, a tali termini doveva essere dato un significato tendenzialmente analogo, configurando, quindi, una sorta di obbligo giuridico di armonizzazione. Invece, l’Organo d’appello ha ritenuto che le misure fondate sugli standard internazionali di cui al par. 1, debbano limitarsi a prendere in considerazione gli elementi costitutivi di tali standard, i quali, conseguentemente, sono da intendersi come mere raccomandazioni, potendo eventualmente configurare, ex par. 2, una presunzione

di

conformità

alle

disposizioni

dell’Accordo416.

Successivamente, fu contestata anche la distinzione, operata dal panel, tra valutazione e gestione del rischio, la prima fondata su considerazioni oggettive di natura scientifica ed economica, la seconda finalizzata a incorporare nelle politiche sanitarie i peculiari valori sociali di ogni singolo Stato membro. Infatti, la valutazione del rischio in quanto tale non può essere considerata un processo che tiene conto unicamente di considerazioni di carattere quantitativo, ma deve essere condotta tenendo presenti anche fattori di ordine sociale417.

415

Cfr. rapporto del panel USA, par. 8.157 e rapporto del panel Canada, par. 8.160: “The European Communities also invokes the precautionary principle in support of its claim that its measures in dispute are based on a risk assessment. To the extent that this principle could be considered as part of customary international law and be used to interpret Articles 5.1 and 5.2 on the assessment of risks as a customary rule of interpretation of public international law (as that phrase is used in Article 3.2 of the DSU),we consider that this principle would not override the explicit wording of Articles 5.1 and 5.2 outlined above, in particular since the precautionary principle has been incorporated and given a specific meaning in Article 5.7 of the SPS Agreement. We note, however, that the European Communities has explicitly stated in this case that it is not invoking Article 5.7.” (corsivo aggiunto) 416 Ibidem, par. 165. 417 Ibidem, par. 187: “It is essential to bear in mind that the risk that is to be evaluated in a risk assessment under Article 5.1 is not only risk ascertainable in a science laboratory operating under strictly controlled conditions, but also risk in human societies as they actually exist, in other words, the actual potential for adverse effects on human health in the real world where people live and work and die.”

181

Riguardo al ruolo da attribuire al principio precauzionale, anche nel rapporto dell’Organo d’appello le argomentazioni della Comunità Europea non vennero accolte418, ma comunque venne riconosciuto che al principio potesse essere attribuito un ruolo anche al di fuori della specifica formulazione dell’art. 5., par. 7. In merito, l’Organo d’appello osservò che sia il preambolo dell’Accordo SPS che l’art. 3, par. 3, riconoscono ai membri il diritto di adottare standard che comportino un maggiore livello di protezione sanitaria, ossia più “cauti”, e che, in generale, i governi tendono a porsi su posizioni prudenti e caute in caso di rischio di danno irreversibile alla salute umana, circostanza che dovrebbe indurre ad attribuire un’accezione similare anche alla nozione di “prove scientifiche sufficienti” contenuta nell’art. 2, par. 2419. Ad ogni modo, in mancanza di un’esplicita indicazione in tal senso, gli organi giudiziari non possono esimersi dall’applicare i principi consuetudinari di interpretazione nell’applicazione delle disposizioni dell’Accordo SPS, e pertanto il principio precauzionale non può prevalere sull’art. 5, parr. 1 e 2 e, in tal senso, deve essere invocato esclusivamente

nella

formulazione

restrittiva

prevista

dal

par.

7

dell’articolo, ossia in via provvisoria e con l’obbligo di cercare di ottenere le informazioni addizionali al fine di riesaminare la misura entro un periodo di tempo ragionevole420. Un’importante precisazione che merita di essere rilevata, riguarda la possibilità che le opinioni scientifiche sottostanti la valutazione del rischio, non siano espresse dalla maggioranza della

418

Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS26/AB/R e WT/DS48/AB/R, del 16 gennaio 1998, par. 123: “We consider, however, that it is unnecessary, and probably imprudent, for the Appellate Body in this appeal to take a position on this important, but abstract, question. We note that the Panel itself did not make any definitive finding with regard to the status of the precautionary principle in international law and that the precautionary principle, at least outside the field of international environmental law, still awaits authoritative formulation.” 419 Ibidem, par. 124. 420 Nel caso Japan – Measures Affecting Agricolturals Products, WTO doc. WT/DS76/AB/R, del 22 febbraio 1999, l’Organo d’appello specificò che ai quattro requisiti posti dall’Art 5, par. 7, dovesse essere attribuita un’importanza analoga e che dovessero essere considerati cumulativamente. Inoltre, nella stessa sede venne data un’interpretazione piuttosto flessibile della nozione di ragionevolezza, stabilendo che l’ampiezza del termine oltre il quale la misura non può più ritenersi lecita è direttamente proporzionale alla difficoltà di procurarsi informazioni addizionali. Cfr., rispettivamente, i parr. 89 e 93.

182

comunità scientifica, circostanza da cui può essere dedotto il c.d. principio della minoranza qualificata421. Nonostante la pronuncia dell’Organo d’appello sia considerata carente riguardo all’applicazione concreta di quest’ultima prospettiva422, si può ragionevolmente concludere che il principio di precauzione stia trovando il suo spazio nell’interpretazione delle regole del WTO, grazie anche alla funzione “maieutica” della Comunità Europea, che, com’è noto, ha sempre mostrato una notevole sensibilità verso la tematica in questione, come dimostrato dai successivi sviluppi della recente controversia, non ancora giunta alla pubblicazione del rapporto di primo grado, sulla moratoria europea verso i prodotti contenenti organismi geneticamente modificati423. 2.5. Il caso dell’amianto La prima e, fino ad oggi, l’unica controversia risolta dal DSB in senso favorevole alla conformità di una misura restrittiva all’eccezione dell’art. XX b), riguarda le vicende del caso European Communities – Measures 421

Cfr. GRADONI, op. cit. p. 151 e ss. In ogni caso, l’opinione minoritaria su cui si basa l’adozione di una misura restrittiva deve essere dotata di autorevolezza, per certificare la quale si dovrebbe ricorrere al c.d. peer review, procedura che di regola precede la pubblicazione dei risultati di una ricerca. Tuttavia, nei fatti, sono i periti incaricati dagli organi dell’OMC a svolgere, a fin esclusivamente processuali, la funzione dei “pari” nell’attestazione della correttezza metodologica dei nuovi contributi scientifici legittimanti la misura restrittiva. 422 Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, parr. 132 e ss., in cui i giudici si rifiutano di contestare le affermazioni del panel che palesemente contrastavano con la regola della minoranza qualificata, sostenendo la dubbia argomentazione che soltanto errori deliberati e manifesti nell’apprezzamento delle prove scientifiche comportino un vizio della decisione di primo grado. 423 Il caso European Communities – Measures Affecting the Approval and Marketing of Biotech Products , sul quale il panel dovrebbe pronunciarsi entro il mese di marzo del 2006, origina dalla sospensione, da parte della Comunità Europea, dei meccanismi e delle procedure necessari all’approvazione degli OGM e dalla conseguente moratoria de facto dell’importazione dei suddetti prodotti. Stati Uniti, Canada e Argentina ravvisarono in tale pratica un intento protezionistico e avviarono le procedure di risoluzione delle controversie. Cfr. per tutti, la richiesta di avviare le consultazioni e la richiesta per la costituzione del panel da parte degli Stati Uniti, rispettivamente WTO doc. WT/DS291/1, del 20 maggio 2003 e WTO doc. WT/DS291/23, dell’8 agosto 2003, consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). Per un’accurata analisi delle ipotesi attualmente all’esame del panel e dei possibili esiti della controversia, soprattutto qualora fosse identificato un rapporto di similarità tra prodotti tradizionali e geneticamente modificati, cfr. BOISSONS DE CHAZOURNES, MBENGUE, GMOs and Trade : Issues at Stake in the EC Biotech Dispute, in RECIEL, 2004, p. 289 e ss.; per una visione d’insieme delle diverse posizioni negoziali dei gruppi di Stati interessati alla questione, cfr. GRADONI, op. cit. p. 157 e ss.

183

Affecting Asbestos and Asbestos-Containing Products (successivamente Asbestos)424. La disputa nacque da un decreto francese425 mirato a tutelare lavoratori e consumatori dai rischi sanitari connessi all’esalazione di fibre di amianto, ponendo un divieto generale alla lavorazione, produzione, importazione e vendita di amianto e prodotti contenenti fibre di amianto, con la limitata eccezione di determinati prodotti contenenti fibre di crisotile, uno dei principali componenti dell’amianto, per cui non fossero disponibili alternative implicanti un minore livello di rischio. Il Canada sollevò di fronte al DSB la questione della compatibilità della normativa francese con l’art. 2 dell’Accordo TBT e con gli artt. III e XI del GATT. Il panel non ritenne di poter attribuire alla misura la qualifica di normativa tecnica426 e, pertanto, procedette a valutarne la compatibilità con l’art. III, par. 4. Di conseguenza, la questione fondamentale divenne determinare se tra i prodotti di amianto e contenenti amianto e i prodotti sostitutivi, quali polivinile, cellulosa e fibre di vetro (le c.d. fibre PCG, acronimo di polyvinyl, cellulose, glass) sussistesse un rapporto di similarità. A tal fine, si rivelava necessario accertare se tra le due categorie di prodotti si potessero riscontrare delle differenze riguardo alla classificazione tariffaria, all’utilizzo finale, alle preferenze e al comportamento dei consumatori dello Stato di importazione e alle proprietà, la natura e le qualità del prodotto427. 424

Sul caso Asbestos, cfr. MONTINI, La necessità, cit. p. 322 e ss.; PALMER, WERKSMAN, Case Note (Panel Report), in RECIEL, 2001, p. 125 e ss.; TRACHTMAN, Case Note, in EJIL, 2001, consultabile su www.ejil.org (pagina base); WIRTH, Case Note, in AJIL, 2002, p. 435 e ss. 425 Cfr. il decreto n. 1133/96 del 24 dicembre 1996, Décret relatif à l'interdiction de l'amiante, pris en application du code du travail et du code de la consommation, consultabile sul sito www.legifrance.gouv.fr (pagina base). 426 Secondo il panel, al fine di determinare se una misura appartenga o meno alla categoria delle normative tecniche, devono sussistere tre condizioni: deve essere indirizzata a uno o più prodotti ben definiti; deve specificare le caratteristiche tecniche che il prodotto deve avere per essere immesso in commercio; deve avere valore vincolante. In tal senso, soltanto la parte relativa elle eccezioni poteva essere qualificata come normativa tecnica, ma poiché il Canada non aveva espressamente richiesto al DSB che fosse valutata la compatibilità con l’Accordo TBT di tale parte del decreto, il panel concluse che il decreto francese dovesse essere esaminato soltanto sulla base del GATT. Cfr. i parr. 8.57 e 8.58 del rapporto del panel, WTO doc. WT/DS135/R, del 18 settembre 2000, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 427 Tale interpretazione risale ad un documento del 1970 redatto di un gruppo di lavoro sulle misure fiscali applicate al confine, cfr. Working party Report on Border Tax Adjustment, del 2 dicembre 1970, consultabile su www.worldtradelaw.net (pagina base), par. 18: “With regard to the interpretation of the term "... like or similar products ...", (…) The Working

184

In considerazione del fatto che l’uso finale delle due tipologie di prodotti era da ritenersi praticamente identico e che esse avevano anche analoghe caratteristiche dal punto di vista funzionale e delle prestazioni, il panel decise che non fosse necessario procedere nella valutazione, stabilendo, quindi, che tali prodotti erano similari e che, pertanto, si sarebbe dovuti passare a controllare se la violazione dell’art. III, par. 4, potesse essere giustificata sulla base dell’art. XX b). Significativamente, il panel decise di escludere la valutazione del rischio dal novero dei parametri da considerare per determinare la similarità di due prodotti, poiché, in tale eventualità, sarebbe venuta meno la principale funzione dell’art. XX b) e, inoltre, la protezione della salute e della vita sarebbe stata sottratta al test di necessità e alla verifica delle condizioni dello chapeau428. Successivamente, il panel accertò che la misura francese rientrava legittimamente tra obiettivi contemplati dall’art. XX b) e, in secondo luogo, passò a verificare se essa potesse essere considerata necessaria al perseguimento di tali finalità. A tal proposito, ritenne che il test dovesse suddividersi in due passaggi fondamentali: primo, doveva essere accertata l’ampiezza degli obiettivi di tutela della Francia, mentre, in un secondo momento, andava considerata l’esistenza di misure alternative conformi, o meno contrarie, al GATT capaci di perseguire i medesimi obiettivi429, purché,

naturalmente,

fossero

ragionevolmente

disponibili.

Circa

quest’ultimo aspetto, il panel specificò che la ragionevolezza di un’ipotetica misura alternativa, ossia la proporzionalità degli oneri che comporta rispetto i fini che intende perseguire, deve essere valutata alla luce della realtà economica e amministrativa dello Stato membro, ma tenendo in considerazione il fatto che uno Stato deve tendenzialmente provvedere a Party concluded that problems arising from the interpretation of the term should be examined on a case-by-case basis. This would allow a fair assessment in each case of the different elements that constitute a "similar" product. Some criteria were suggested for determining, on a case-by-case basis, whether a product is "similar": the product's end-uses in a given market; consumers' tastes and habits, which change from country to country; the product's properties, nature and quality.” Come sottolineato dal panel, la stessa linea interpretativa è stata adottata anche dall’Organo d’appello nel caso Japan – Taxes on Alcoholic Beverages, WTO doc. WT/DS8/AB/R, WT/DS10/AB/R, WT/DS11/AB/R, del 4 ottobre 1996, par. 20. 428 Cfr. rapporto del panel, par. 8.130. 429 Ibidem, par. 8.199.

185

reperire i mezzi necessari ad adempiere alle proprie politiche430. Sulla base di tale impostazione, il panel concluse che l’ipotesi di uso controllato dell’amianto non consentiva di raggiungere il livello di rischio ritenuto necessario dalla Francia, ossia l’eliminazione totale di ogni potenziale pericolo connesso all’esalazione delle fibre di amianto conseguente al divieto totale di importazione. Coerentemente, la misura risultava provvisoriamente giustificata ex art. XX b) e si poteva, pertanto, procedere all’analisi dei requisiti posti dalla clausola introduttiva dell’articolo. A tal proposito, il panel rilevò che il decreto francese non mostrava alcun effetto protezionistico o discriminatorio e che, inoltre, il Canada non era stato in grado di dimostrare che l’applicazione

concreta della normativa

comportasse un trattamento meno favorevole all’amianto e ai prodotti contenenti amianto di importazione piuttosto che a quelli di origine nazionale. Pertanto, la normativa francese implicante il blocco delle importazioni di tali prodotti poteva considerarsi pienamente legittimata dall’eccezione contemplata dall’art. XX b)431. A questo punto, sia il Canada che la Comunità Europea, in nome della Francia, decisero di presentare appello contro la decisione del panel, il primo nei confronti dell’interpretazione dell’Accordo TBT e dell’art. XX del GATT, la seconda verso l’applicazione dell’art. III, par 4. Per quanto concerne l’Accordo TBT, l’Organo d’appello specificò che la normativa andava analizzata nella sua interezza e che, dal momento che il documento definiva le caratteristiche del prodotto e aveva natura vincolante, dovesse essere considerata una normativa tecnica. Nonostante ciò, l’analisi degli elementi di fatto operata dal panel non consentiva di procedere alla corretta interpretazione dei requisiti aggiuntivi che l’accordo TBT, ai parr. 1, 2, 4 e 8 dell’art. 2, impone alle normative tecniche rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. III, par. 4432. 430

Ibidem, par. 8.207. Ibidem, parr. 8.224-8.241. 432 Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS135/AB/R, del 12 marzo 2001, par. 83. Merita di essere sottolineato che, secondo l’Organo d’appello, non tutte le normative tecniche ex art. III, par 4, ricadono nell’ambito di applicazione dell’Accordo TBT. Pertanto, la qualificazione di una misura dovrà essere operata caso per caso, tramite una specifica analisi ad hoc degli elementi della controversia. Ibidem, par. 77. 431

186

Relativamente al quesito basilare della similarità tra prodotti contenenti o non contenenti amianto, l’Organo d’appello approvò l’uso del test di similarità operato dal panel fondato sulla valutazione della funzione, sulle preferenze dei consumatori, sulla classificazione tariffaria e sulle caratteristiche

del

prodotto,

ma

specificò

che

l’analisi

doveva

necessariamente riguardare tutti gli elementi in questione, ponendo un’attenzione particolare alle caratteristiche fisiche capaci di influenzare la concorrenza tra i prodotti. In merito, all’effetto tossico e cancerogeno delle fibre di amianto non poté non essere riconosciuto un ruolo di primo piano nel definire le caratteristiche fisiche del prodotto. L’inclusione di considerazioni relative alla valutazione del rischio sanitario tra i criteri determinanti un rapporto di similarità, pur riducendo la probabilità di ricorso all’eccezione dell’art. XX b), non la priva in alcun modo del sua efficacia e della sua utilità433. Analogamente, la percezione di un rischio per la salute a tal punto elevato, tende ad influenzare considerevolmente anche le preferenze, le abitudini e l’atteggiamento dei consumatori nei confronti del suo utilizzo, aspetto da considerarsi sostanziale nel corso del test di similarità434. Riguardo all’utilizzo finale dei due tipi di prodotti, l’Organo d’appello riconobbe che potessero esservi alcune sovrapposizioni, ma permangono comunque delle ipotesi in cui la sostituzione non può ritenersi possibile. Infine, anche la classificazione tariffaria risultava completamente differente. Considerato, quindi, che l’unico elemento a sostegno dell’esistenza di un rapporto di similarità risultava essere un ristretto numero di analoghi utilizzi finali, l’Organo d’appello concluse che i prodotti di amianto e contenenti amianto non potevano ritenersi similari a quelli in fibre PCG e, pertanto, nella misura francese non poteva essere riscontrata alcuna violazione dell’art. III, par. 4435. 433

Ibidem, parr. 114 e 115. Ibidem, par. 121: “(…) in a case such as this, where the fibres are physically very different, a panel cannot conclude that they are "like products" if it does not examine evidence relating to consumers' tastes and habits. In such a situation, if there is no inquiry into this aspect of the nature and extent of the competitive relationship between the products, there is no basis for overcoming the inference, drawn from the different physical properties of the products, that the products are not "like". (corsivo originale) 435 Ibidem, parr. 125 e 126. Inoltre, l’Organo d’appello specificò che anche qualora i due prodotti fossero stati riconosciuti come similari, per accertare la violazione dell’art. III, par. 434

187

Merita di essere menzionata anche la dichiarazione individuale di uno dei membri dell’Organo d’appello, in cui venne contestata un’impostazione che, nel test di similarità, vede preponderare i fattori economici, quali la funzione finale e le preferenze dei consumatori, rispetto alla mera esistenza di un rischio sanitario di tale portata. Pertanto, pur circoscrivendo la propria interpretazione all’ipotesi di rischi estremamente gravi e scientificamente evidenti come nel caso in specie, il membro in questione ritenne necessario specificare che la sola esistenza di un rischio per la salute dovrebbe rappresentare una condizione sufficiente per escludere a priori la similarità436. Pur avendo accertato la legittimità del decreto francese, l’Organo d’appello passò comunque ad analizzare la domanda presentata dal Canada circa la corretta applicazione dell’eccezione dell’art. XX b) da parte del panel. In primo luogo, negò che il rischio sanitario dovesse essere quantitativamente determinato, poiché l’art. XX b) non contiene alcun riferimento a tale obbligo. Al contrario, nella determinazione del rischio devono venire in rilievo fattori sia di ordine quantitativo che qualitativo437. In secondo luogo, ai membri venne riconosciuta la piena libertà di determinare il livello di rischio che ritengono maggiormente adeguato alla propria realtà politico-sociale, compreso quindi un livello pari a zero 438. Inoltre, l’Organo d’appello specificò, significativamente, che nel valutare 4, si sarebbe comunque dovuta valutare la concreta esistenza di un trattamento sfavorevole. Ibidem, par. 163. 436 Ibidem, par 153: “That definitive characterization (…) may and should be made even in the absence of evidence concerning the other two Border Tax Adjustments criteria (categories of "potentially shared characteristics") of end-uses and consumers' tastes and habits. It is difficult for me to imagine what evidence relating to economic competitive relationships as reflected in end-uses and consumers' tastes and habits could outweigh and set at naught the undisputed deadly nature of chrysotile asbestos fibres, compared with PCG fibres, when inhaled by humans, and thereby compel a characterization of "likeness" of chrysotile asbestos and PCG fibres.” (corsivo originale) 437 Ibidem, par. 167. 438 Ibidem, par, 168: “ (…) we note that it is undisputed that WTO Members have the right to determine the level of protection of health that they consider appropriate in a given situation. France has determined, and the Panel accepted , that the chosen level of health protection by France is a "halt" to the spread of asbestos-related health risks. (…) Accordingly, it seems to us perfectly legitimate for a Member to seek to halt the spread of a highly risky product while allowing the use of a less risky product in its place.” (corsivo aggiunto). La legittimità della scelta di un livello di rischio nullo era già stata esplicitata dall’Organo d’appello nel caso Australia – Measures Affecting the Importation of Salmon, WTO doc. WT/DS18/AB/R, del 20 ottobre 1998, par. 125.

188

l’esistenza di possibili alternative meno contrarie al GATT ragionevolmente disponibili, si dovesse considerare, oltre ai costi, anche la capacità di quest’ultime di contribuire efficacemente al perseguimento dell’obiettivo di protezione sanitaria439. La ragionevolezza della disponibilità delle misure alternative acquista, pertanto, un carattere maggiormente soggettivo e interno allo Stato membro che intenda tutelare un determinato obiettivo di politica pubblica. Inoltre, la discrezionalità di cui può godere nel giudicare irragionevoli determinate alternative meno contrarie al GATT, deve essere direttamente proporzionale alla rilevanza del suddetto obiettivo. In tal senso, sembra innegabile che il limite massimo di una simile scala di valori debba essere rappresentato, come nel caso in specie, dalla tutela della vita e della salute umana. La valutazione del rischio viene, pertanto, ad assumere un duplice ruolo: da un lato, svolge un’importante funzione nella determinazione della similarità; dall’altro, offre un utile criterio per verificare l’effettiva necessità di una misura restrittiva rispetto alle possibili alternative, consentendo di creare un più stretto legame tra le iniziative di protezione ambientale e sanitaria e la specifica realtà sociale di ogni Stato membro. Un ultimo aspetto del rapporto dell’Organo d’appello che deve essere ricordato concerne un’inversione di tendenza rispetto all’apertura mostrata nel caso Shrimps/Turtles verso la partecipazione di soggetti terzi a titolo di amici curiae. Sulla base delle indicazione emerse durante una riunione del Consiglio generale svoltasi pochi mesi prima440, miranti a circoscrivere la capacità di influenzare gli esiti della controversia da parte di soggetti non statuali, raccomandando particolare cautela nell’autorizzare la presentazione delle amicus curiae brief, l’Organo d’appello redasse delle specifiche 439

Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 172, dove l’Organo d’appello sottolinea, rifacendosi alla sua precedente pronuncia nel caso Korea – Measures Affecting Imports of Fresh, Chilled and Frozen Beef, WTO doc. WT/DS161/AB/R, WT/DS169/AB/R, del 10 gennaio 2001, parr. 163, 163 e 166: “We indicated in Korea – Beef that one aspect of the "weighing and balancing process … comprehended in the determination of whether a WTO-consistent alternative measure" is reasonably available is the extent to which the alternative measure "contributes to the realization of the end pursued". In addition, we observed, in that case, that "[t]he more vital or important [the] common interests or values" pursued, the easier it would be to accept as "necessary" measures designed to achieve those ends.” 440 Cfr. il verbale dell’incontro del 20 novembre 2000, WTO doc. WT/GC/M/60, par. 120.

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procedure addizionali441, che, seppure limitate alla fattispecie, condussero a negare a tutti i diciassette soggetti interessati l’autorizzazione a presentare memorie scritte442.

3. Le misure restrittive fondate su processi e metodi produttivi Nel quadro del coordinamento tra protezione ambientale e libertà degli scambi, le misure PPMs443 rivestono un ruolo di assoluto rilievo. Infatti, è in relazione a tale questione, parallelamente ad un’altra ipotesi, ad essa strettamente collegata, ossia la rilevanza da attribuire alle disposizioni dei MEA nel sistema OMC, che si è sviluppato il confronto tra i sostenitori di una prospettiva ecologista o di stampo maggiormente liberista. Chi vede nelle misure PPMs una minaccia per il sistema commerciale multilaterale, tende principalmente ad addurre motivazioni inerenti all’inviolabilità del dominio riservato degli altri Stati membri e alla conseguente illegittimità di un atteggiamento mirato a subordinare l’accesso al proprio mercato all’adozione di determinate politiche ambientali, in ragione del fatto che tendenzialmente un metodo di produzione non segue il prodotto nel paese di importazione. In una simile prospettiva si collocano principalmente i paesi in via di sviluppo, i quali, alle preoccupazioni relative ad eventuali tentazioni di “imperialismo ecologico”, aggiungono anche che ipotizzare 441

Cfr, rapporto dell’Organo d’appello, par. 52. Sulla questione cfr., ampiamente, BARATTA, op. cit. p. 555 e ss.; WIRTH, op. cit. p. 438 e ss. 443 Sul dibattito relativo all’ammissibilità delle misure PPMs nel sistema OMC, cfr. BARONCINI, L’articolo XX del GATT e i metodi di produzione non collegati a prodotti, in ROSSI (a cura di), op. cit. p. 51 e ss.; BARONCINI, Processi produttivi: l’approccio della Comunità Europea, in ROSSI (a cura di), op. cit. p. 271 e ss.; BODANSKY, What's So Bad about Unilateral Action to Protect the Environment?, in EJIL, 2000, p. 339 e ss.; BOISSONS DE CHAZOURNES, Unilateralism and Environmental Protection: Issues of Perception and Reality of Issues, in EJIL, 2000, p. 315 e ss.; CHARNOVITZ, The Law of Environmental “PPMs” in the WTO: Debunking the Myth of Illegality, in YJIL, 2002, p. 59 e ss.; COSBEY, The WTO and PPMs: Time to Drop a Taboo, in AA.VV., Bridges between Trade and Sustainable Development, 2001, p. 11 e ss., consultabile su www.ictsd.org (pagina base); FRANCIONI, op. cit., in FRANCIONI (a cura di), op. cit., p. 15 e ss.; HOWSE, REGAN, The Product/Process Distinction-An Illusory Basis for Disciplining `Unilateralism' in Trade Policy, in EJIL, 2000, p. 249 e ss ; JACKSON, Comments on Shrimp/Turtle and the Product/Process Distinction, in EJIL, 2000, p. 303 e ss.; SANDS, Values, and International Law, in EJIL, 2000, p. 291 e ss. 442

190

l’ammissibilità di tali misure aprirebbe la strada ad un vasto insieme di misure potenzialmente protezionistiche444. Dall’altro lato, si tende invece a privilegiare considerazioni relative ai possibili effetti di inquinamento transfrontaliero e globale o all’esaurimento di risorse naturali non rinnovabili e condivise, considerando che sono soprattutto i processi produttivi, e non i prodotti in quanto tali, a generare i più allarmanti fenomeni di degrado ambientale. Inoltre, le misure PPMs presentano numerosi vantaggi, quali la possibilità di sopperire alla mancanza di un’adeguata disciplina della responsabilità internazionale per danno ambientale o fornire uno strumento deterrente alle tentazioni di free-riding rispetto ai MEA e vengono, pertanto, riconosciute e promosse anche da altre organizzazioni

internazionali445.

L’opzione

privilegiata

deve

essere

ovviamente ricercata nella cooperazione multilaterale, successivamente nelle misure restrittive adottate su base multilaterale446, mentre le misure unilaterali devono inevitabilmente rappresentare un’ipotesi residuale. Tuttavia, frequentemente la loro adozione costituisce l’unica alternativa di fronte all’inazione e alla mancanza di un efficace sistema di governance internazionale447 ed, inoltre, deve essere riconosciuta loro un’importante 444

La posizione assunta dal Segretariato dell’Organizzazione presenta dei caratteri singolari, poiché, dopo un’iniziale apertura all’inizio degli anni ‘70, quando il problema cominciò ad essere delineato all’interno del GATT, si è spostato su posizioni decisamente contrarie, nonostante le pronunce del DSB. Pur non avendo alcun ruolo nel processo interpretativo, la posizione del Segretariato ha contribuito a formare nell’opinione pubblica la percezione che l’OMC rappresenti una minaccia per le esigenze ambientaliste contemporanee. Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 78 e ss. 445 Cfr. il documento approvato dal Comitato per la pesca della FAO il 23 giugno 2001, International Plan of Action to Prevent, Deter and Eliminate Illegal, Unreported and Unregulated Fishing, , consultable sul sito della FAO, www.fao.org (pagina base), par. 66 “States should take all steps necessary, consistent with international law, to prevent fish caught by vessels identified by the relevant regional fisheries management organization to have been engaged in IUU fishing being traded or imported into their territories. (…) Unilateral trade-related measures should be avoided” 446 Il concetto di misura multilaterale viene spesso usato in maniera impropria, poiché soltanto i trattati che effettivamente impongano agli Stati membri un obbligo di adottare sanzioni commerciali in determinate circostanze possono essere considerati come implicanti vere e proprie misure multilaterali, non qualora si limitino semplicemente ad autorizzarne l’utilizzo, eventualità in cui permane un elemento unilaterale. Il Protocollo di Montreal rappresenta uno dei pochissimi esempi di trattati che contemplano misure commerciali multilaterali, ma anche in questo caso, qualora siano dirette verso Stati terzi, viene meno la componente consensuale e il problema dell’unilateralità si ripresenta pressoché inalterato. Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 105. 447 Sulla necessità di ricorrere a iniziative unilaterali, cfr., ampiamente, BODANSKY, op. cit., p. 339 e ss.; per un’analisi della delle misure unilaterali in relazione all’istituto dello

191

funzione di stimolo e di orientamento verso una più efficace cooperazione multilaterale. Le misure PPMs possono essere inizialmente distinte sulla base della loro relazione con il prodotto finito. Infatti, la normativa OMC prevede esplicitamente

alcune

misure

restrittive

indirizzate

a

disciplinare

l’importazione di prodotti il cui metodo produttivo influenzi le caratteristiche finali del prodotto, come nel caso della “related processing technology” di cui all’art. 2, par. 2 dell’Accordo TBT e dell’Accordo SPS, il quale, pure prevedendo, all’art. 5, par. 2, di considerare i processi produttivi nel corso della valutazione del rischio, circoscrive tale possibilità alla prevenzioni degli effetti sul proprio territorio. Tale tipologia di misure, un esempio delle quali può essere dato dalle vicende delle controversia sulla carne agli ormoni, non presenta particolari problemi. Qualora, invece, un processo produttivo non abbia alcun effetto sul prodotto finito, diviene possibile parlare di vere e proprie misure PPMs dotate di portata extragiurisdizionale, come nel caso dei restrizioni alle importazioni di tonno o di gamberetti. Tra quest’ultime, si può ulteriormente distinguere tra misure che impongono il rispetto di specifici standard produttivi allo Stato di esportazione (le c.d. country-based measures), e le misure che pongono il rispetto di tali standard in capo ai soggetti privati che intendano esportare un prodotto, attraverso la disciplina dei requisiti del medesimo(e c.d. processbased measures)448. Appare evidente come le seconde abbiano un impatto decisamente ridotto sui flussi commerciali, dal momento che, anche qualora uno Stato non potesse certificare la propria osservanza degli standard in questione, parte dei suoi produttori potrebbero comunque effettuare le esportazioni. stato di necessità come circostanza che esclude l’illecito, cfr. BOISSONS DE CHAZOURNES, op. cit., p. 332 e ss. 448 In dottrina è stata avanzata l’ipotesi di una terza categoria, le c.d. producercharacteristics measures, ossia le misure che identificano determinate caratteristiche del produttore. Un esempio di tali misure può essere la normativa della Gasoline Rule, ma nel corso della controversia non fu mai avanzata l’ipotesi che potesse trattasi di una misura PPMs. Inoltre, non tutti concordano nel ritenere che gli standard sul produttore possano essere una categoria a sé stante di PPMs, considerato che possono essere ricondotte a una delle due categorie precedenti a seconda del modo in cui vengono applicate. Per un’analisi di tale prospettiva tripartita, cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 67 e ss.

192

Il contrasto sull’ammissibilità delle misure PPMs si colloca su due livelli distinti, il primo relativo alla portata dell’obbligo di trattamento nazionale ex art. III e il secondo relativo alla portata delle eccezioni dell’art. XX. Dal primo punto di vista, risulta essenziale definire l’esatto significato della nozione di similarità. Una parte della dottrina è giunta ad ipotizzare che un bene prodotto in maniera ecologicamente sostenibile e uno prodotto tramite processi inquinanti non debbano considerarsi similari. Questo perché nel testo del GATT non vi sarebbe alcun riferimento testuale e, quindi, la formulazione dell’art. III si riferirebbe ai prodotti soltanto perché l’Accordo generale riguarda il commercio dei beni, opinione suffragata dall’analisi delle argomentazioni addotte nel corso dei procedimenti contenziosi449. Ad ogni modo, la maggioranza della dottrina ha contestato tale impostazione ritenendola eccessivamente ottimistica450, in ragione del fatto che le conclusioni raggiunte in sede contenziosa non hanno mai dato adito a dubbi, giungendo in tutti i casi a ravvisare una violazione dell’art. III e escludendo la similarità solo nel caso Asbestos, dove il bando francese non poteva in alcun modo essere ricondotto al tipo di misure in esame. In tal senso, si può quindi concludere che, nel caso dei processi produttivi non collegati ai prodotti, il sistema OMC contempli una pluralità di mercati e che, pertanto, ogni misura che colpisca un prodotto in base alle modalità di produzione deve essere giustificata tramite il ricorso all’art. XX451. È interessante notare che il ricorso alla nozione di diversità normativa sia stata utilizzato in dottrina anche in relazione all’aspetto opposto, ossia la libertà di cui godono gli Stati di disciplinare autonomamente l’importazione dei prodotti tramite misure che richiedono l’adozione di determinate politiche da parte di altri Stati452. Per quanto non vi sia nessun conflitto tra le due accezioni del termine, poiché in quest’ultimo contesto la nozione viene usata in relazione alle possibilità offerte dall’art XX, porre l’accento sull’autonomia della 449

Cfr. HOWSE, REGAN, op. cit., p. 253 e ss. Va specificato che, nell’opinione dei due autori, soltanto le product-base measures non violerebbero l’art. III, mentre per giustificare le country-based measures di dovrebbe comunque ricorrere all’art. XX. 450 Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 92. 451 Cfr. BARONCINI, L’art. XX del GATT, cit., p. 55. 452 Cfr. MAVROIDIS, op. cit., p. 74 e ss.

193

regolamentazione interna consente di evidenziare una certa incongruenza nell’utilizzo del concetto di unilateralismo. Infatti, se da un lato si usa focalizzare l’attenzione sul tentativo di imporre unilateralmente il rispetto di determinati standard produttivi, dall’altro si può evidenziare la propensione di un altro Stato a sfruttare, altrettanto unilateralmente, una risorsa condivisa. Pertanto, in determinate circostanze, piuttosto che riferirsi dell’ammissibilità di misure unilaterali sarebbe più corretto discutere dell’opportunità

di privilegiare una prospettiva unilaterale rispetto

all’altra453. Ad ogni modo, anche se viene contestata l’eventualità che i panel, in futuro, possano ritenersi liberi di negare la similarità tra due prodotti sulla base delle modalità produttive, permane la possibilità di legittimare le misure PPMs tramite il ricorso alle eccezioni dell’art. XX. I fautori dell’ammissibilità di tali misure sottolineano che non soltanto il GATT non le vieta in alcun modo, ma che le autorizza esplicitamente in conseguenza di pratiche di concorrenza sleale, come nel caso dell’art. XX e) sui prodotti fabbricati nelle prigioni, dei dazi compensativi e dei dazi anti-dumping ed, inoltre, il sistema OMC ne contempla l’utilizzo anche nel quadro della normativa TRIPS454. Ma naturalmente, l’indicazione più importante in tal senso deriva dalle considerazioni svolte nel caso Shrimps-Turtles e soprattutto nel c.d. follow-up del medesimo, a seguito del ricorso della Malaysia ex art. 21, par. 5 del DSU. Dopo avere incorporato le raccomandazioni emerse ne giudizio di primo e secondo grado nelle Revisited Guidelines rendendole maggiormente flessibili e dopo aver dato prova di seri sforzi negoziali, le misure statunitensi, pur violando gli artt. III e XI, risultarono pienamente giustificate dall’art. XX g)455. 453

Cfr. HOWSE, REGAN, op. cit., p. 251: “(…) in the absence of negotiated rules or norms, leaving the country of production to make this determination on its own, unconstrained by stipulations imposed by its trading partners who are importing the product, would itself be countenancing “unilateralism”, in this case the unilateral determination by the country of production of matters that affect the global commons. Thus, in choosing a rule that constrained the “unilateralism” of importing states, the panel was not favouring a multilateral solution over a unilateral one, rather it was simply preferring the “unilateralism” of the producing state to that of the importing state.” 454 Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 77 e ss. 455 La sovrapposizione tra la portata materiale delle due eccezioni ambientali dell’art. XX è un argomento non molto discusso in dottrina, ma risulta evidente che l’interpretazione

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Riguardo quest’ultimo atto della controversia, deve essere messo in evidenza che la nuova normativa eliminava il bando incondizionato delle importazioni, consentendo di introdurre nel territorio statunitense i gamberetti pescati dalle navi che di fatto utilizzassero dei dispositivi per l’esclusione delle tartarughe la cui efficacia fosse comparabile a quella dei TED inizialmente previsti dalla normativa degli Stati Uniti. Pertanto, nonostante formalmente il rispetto degli standard continuasse ad essere imposto agli Stati esportatori, la misura divenne di fatto una product-based measure, che, come abbiamo detto, comporta un minor grado di discriminazione. Ciò non dovrebbe comunque condurre a circoscrivere la facoltà di adottare misure PPMs a tale tipologia, considerato, inoltre, che simili osservazioni sulla natura della misura in esame non vennero messe in rilievo né durante i due gradi di giudizio, né durante il follow-up della controversia. In ogni caso, una misura product-based dovrebbe richiedere un grado di scrutinio meno complesso, poiché identifica una relazione tra mezzi e fini molto più chiara e lineare. L’elemento sostanziale per legittimare l’adozione di una misura che comporti un effetto all’interno della giurisdizione di un altro Stato deve, invece, essere ricercato nell’esistenza

e

nella

portata

del

“sufficient

nexus”

che

deve

necessariamente collegare uno Stato all’obiettivo che si propone di tutelare456. In base a quanto detto, le problematiche sollevate dalle misure PPMs devono ricondursi non più all’esigenza di determinare se queste possano evolutiva che ne è stata data abbia enormemente ampliato la portata di un’eccezione inizialmente concepita per tutelare principalmente le riserve di combustibili fossili come l’art. XX g). Una completa sovrapposizione farebbe cadere in desuetudine l’eccezione dell’art. XX b), configurando un risultato contrario alle regole di interpretazione effettiva. Piuttosto, in attesa di una specifica presa di posizione da parte del DSB, sembrerebbe più opportuno identificare l’art XX g) come lex specialis dell’art. XX b), potendosi quindi procedere prima a verificare la giustificabilità ai sensi della prima eccezione e successivamente della seconda. Cfr. MAVROIDIS, op. cit., p. 83 e ss. 456 In relazione a questo aspetto è stato evidenziato che altri tipi di misure PPMs, non di natura ambientale, quali quelle fondate su considerazioni di natura etica e sociale. Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 102 e ss. Ad ogni modo, in mancanza di una pronuncia degli organi dell’OMC, l’analisi condotta in dottrina si pone su posizioni ottimistiche, potendosi ricondurre tali misure PPMs all’ambito di applicazione dell’art. XX a), relativo alla tutela della moralità pubblica, ad un’interpretazione evolutiva della lettera e) e in virtù del riconoscimento della struttura tripartita del principio dello sviluppo sostenibile. Cfr. BARONCINI, L’art. XX del GATT, cit., p. 59 e ss.; FRANCIONI, op. cit., in FRANCIONI (a cura di), op. cit., p. 17 e ss.

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essere adottate o meno, quanto all’obiettivo di stabilire delle modalità concrete che ne disciplinino l’applicazione al fine di evitarne l’eventuale abuso. A riguardo, la funzione maggiormente rilevante viene demandata alla rigorosa applicazione delle disposizioni dello chapeau dell’art. XX, opportuni parametri di riferimento per valutare i concreti propositi di una misura che volesse dissimulare obiettivi protezionistici. Del resto, il rischio che tramite le misure PPMs si possa presentare un ampio ventaglio di possibilità funzionali a offuscare l’intento di avvantaggiare la produzione nazionale, costituisce una delle principali argomentazioni di chi contesta tali tipi di misure, ma si tratta di un rischio che si manifesta in termini più o meno analoghi anche riguardo alle misure che limitano l’accesso al mercato soltanto sulla base delle caratteristiche del prodotto in quanto tale. In tali circostanze, l’applicazione dello chapeau impedisce l’adozione di pratiche ingiustificatamente o arbitrariamente discriminatorie e pertanto risulta palese che possa svolgere la medesima funzione anche riguardo alle misure PPMs457, consentendo, quindi, di operare l’imprescindibile bilanciamento delle esigenze in esame da effettuarsi caso per caso. Va aggiunto che dovrebbero essere offerte alternative maggiormente efficienti rispetto al ricorso all’art. XX in sede contenziosa. Oltre all’ipotesi dell’etichettatura (il c.d. ecolabelling), prospettiva evidentemente molto più coerente con la libera circolazione delle merci, ma che rimette la valutazione degli obiettivi di tutela ambientale alla discrezionalità del consumatore458, 457

Cfr. COSBEY, op. cit. supra, p. 11 e ss. Oltre alla questione del protezionismo larvato, l’autore confuta anche altre tre critiche rivolte alle misure PPMs, ossia l’eventuale violazione della sovranità di altri Stati membri, in relazione alla quale sottolinea, analogamente al caso precedente, che il problema si presenta in termini molto simili anche per gli altri tipi di misure restrittive; la difficoltà pratica di garantire e certificare l’effettiva attuazione degli standard, arginabile tramite il ricorso ai test e alle certificazioni condotte da organismi terzi, come ad esempio l’attribuzione degli standard tecnici della serie ISO 14000; il mancato rispetto delle esigenze dei paesi in via di sviluppo, riguardo al quale basta sottolineare che l’obiettivo di fondo non è in nessun caso la protezione ambientale in quanto tale, ma la promozione dello sviluppo economico secondo criteri di sostenibilità ambientale e sociale. 458 È il caso delle iniziative intraprese dalla Comunità Europea, la quale tende ad circoscrivere la questione dei metodi di produzione non collegati ai prodotti presentandolo in termini di diritto all’informazione del consumatore. Come abbiamo visto, l’Accordo TBT non contempla l’ipotesi di etichette relative ai metodi di produzione non collegati ai prodotti, ma vi è chi ritiene che l’informazione del consumatore possa rientrare tra gli obiettivi legittimi di cui all’art. 2, par 2, dell’Accordo. L’approccio comunitario è invece orientato a giustificarne l’ammissibilità tramite il ricorso all’art. XX d), relativo, inter alia,

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sono state suggerite altre due opportunità più adeguate a bilanciare gli interessi in questione in maniera più equa e prevedibile. In primo luogo, potrebbe essere adottata un’intesa sull’applicazione dell’art. XX analoga a quelle negoziate nel corso dell’Uruguay Round459, in secondo luogo, potrebbe essere istituito un organo consultivo sulle questioni ambientali, il quale potrebbe offrire una via più breve alla composizione dei conflitti ambientali rispetto al ricorso al DSB, garantendo, al contempo, la possibilità di valutare le ipotesi di conflitto secondo procedure maggiormente flessibili e

potendo

avvalersi

dell’esperienza

tecnico-scientifica

dei

suoi

componenti460. Quest’ultima possibilità consentirebbe anche di accentuare la rilevanza degli aspetti redistributivi dei conflitti tra commercio e ambiente, come delle necessità di assistenza tecnica e finanziaria e del trasferimento di tecnologie. Naturalmente un’alternativa non esclude l’altra, al contrario, è probabile che un efficace coordinamento tra entrambe le opzioni garantirebbe i risultati più rapidi ed efficienti. Ad ogni modo, ciò che emerge con chiarezza è la necessità di provvedere a determinare delle linee guida e dei criteri oggettivi, improntati ad uno spirito cooperativo, che consentano un approccio più dinamico alle problematiche ambientali a livello nazionale, garantendo una maggiore certezza e prevedibilità del sistema commerciale multilaterale.

4. I rapporti tra l’OMC e il diritto internazionale convenzionale

alla prevenzione delle pratiche ingannevoli. Ad ogni modo, per ovviare ad eventuali contrasti in materia, in determinate circostanze, si è preferito ricorrere alle pratiche di etichettatura e certificazione volontaria e ai codici di condotta come strumenti immediatamente operativi (è il caso dell’etichetta volontaria Dolphin-Safe adottata dagli Stati Uniti e che ha obiettivamente creato alcune difficoltà alle esportazioni di tonno messicane). Cfr., ampiamente, BARONCINI, Processi produttivi, cit., in ROSSI (a cura di), op. cit., p. 271 e ss.; MONTANARI, Sviluppo sostenibile, certificazione e etichettatura: il ruolo della Comunità europea, in ROSSI (a cura di), op. cit., p. 189 e ss. 459 Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 108. 460 Cfr. MARCEAU, A Call for Coherence in International Law. Praises for the Prohibition Against “Clinical Isolation” in WTO Dispute Settlement, in JWT, 1999, p. 148 e ss.

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I vari problemi sollevati dai tentativi di coordinamento tra commercio internazionale e tutela dell’ambiente, potrebbero trovare soluzione nella definizione chiara e decisiva dei rapporti che intercorrono tra il sistema OMC e le altre convenzioni ambientali multilaterali461. Nessuna misura multilaterale è mai venuta in rilievo nell’ambito del procedimento di risoluzione delle controversie e gli organi contenziosi hanno avuto modo di pronunciarsi sul rapporto tra MEA e OMC soltanto in via indiretta, principalmente in riferimento alla portata extragiurisdizionale delle legislazioni nazionali e comunque al fine di interpretare le disposizioni degli Accordi Allegati. Sulla legittimità dell’utilizzo delle disposizioni dei MEA nel quadro dell’attività interpretativa, coerentemente con il disposto dell’art. 31, par. 3 c) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, riconosciuta regola generale di interpretazione cui rinvia l’art. 3, par. 2 del DSU, e coerentemente con il riconoscimento dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile come elemento determinate il contesto nel quale un trattato deve essere interpretato ex art. 31, par. 2 della stessa Convenzione, vi è una sostanziale unità di vedute. Tale tendenza di fonda sulla chiara presa di posizione dell’Organo d’Appello nel caso Shrimps-Turtles, che ha rafforzato quanto già affermato nel caso Gasoline, ossia che il diritto OMC non deve essere interpretato in “clinical isolation” dal diritto internazionale pubblico. Una simile previsione deve essere tenuta presente in ogni circostanza in cui vengano in rilievo normative ambientali, a prescindere dalla possibilità di poter ricondurre le fattispecie in esame alle disposizioni di accordi contrastanti. Valga l’esempio della decisione dell’Organo d’appello di riconoscere le tartarughe come risorse naturali esauribili alla luce delle disposizioni delle convenzioni CITES e UNCLOS. 461

Sul rapporto tra OMC e MEAs, cfr. FRANCIONI, La tutela dell’ambiente, cit., p. 147 e ss.; FRANCIONI, op. cit., in FRANCIONI (a cura di), op. cit., p. 5 e ss; MACMILLAN, op. cit., p. 42 e ss.; MANZINI, op. cit., in MENGOZZI, op. cit., p. 811 e ss.; MAVROIDIS, op. cit. p. 77 e ss.; MARCEAU, A Call for Coherence, cit., p. 87 e ss.; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 623 e ss.; RUTGEERTS, Trade and Environment. Reconciling the Montreal Protocol and the GATT, in JWT, 1999, p. 61 e ss.; TRACHTMAN, The Domain of WTO Dispute Resolution, in HILJ, 1999, p. 333 e ss.

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Riguardo, invece, all’eventuale contrasto tra obblighi confliggenti derivanti dai due sistemi di diritto, sono state avanzate varie ipotesi, in direzione della prevalenza dell’uno o dell’altro, per quanto l’orientamento maggioritario privilegi un’impostazione prevalentemente ambientalista. Inoltre, si sono distinte due principali scuole di pensiero che mirano a comporre gli eventuali contrasti ponendosi su due differenti prospettive, che potremmo chiamare prospettiva “interpretativa” e prospettiva “applicativa”. La prima prospettiva deve essere ricondotta alla possibilità di utilizzare le disposizioni dei MEA come filtro interpretativo al fine di condizionare l’applicazione del diritto OMC all’esigenze di tutela ambientale fondate sul consenso multilaterale. La base giuridica è del tutto assimilabile a quanto riconosciuto nel caso Shrimps-Turtles circa la legittimità di un’interpretazione delle disposizioni dell’OMC anche alla luce di fonti normative esterne. In sostanza, tale prospettiva consente di ricondurre in blocco la soluzione di ogni possibile conflitto al riferimento a “ogni altra regola pertinente di diritto internazionale applicabile tra le parti” contenuto nell’art. 31, par. 3 c) della Convenzione di Vienna e introdotto nel sistema OMC tramite l’art. 3, par 2, del DSU462. In base a tale impostazione, possono essere distinte sei ipotesi di conflitto, a seconda che gli Stati parte alla controversia siano anche membri dell’accordo ambientale o meno, e che le misure oggetto di contestazione siano rese obbligatorie dal trattato ambientale, siano semplicemente consentite o siano adottate al di fuori di ogni disposizione dello stesso, ma comunque al fine di garantirne l’adempimento. In ognuno di questi casi alla semplice esistenza di un MEA, caratterizzato quindi da un’ampia membership e aperto all’adesione di tutti i membri dell’OMC, vengono associate delle conseguenze sistemiche che si riflettono nell’interpretazione dell’art. XX. Qualora entrambi gli Stati parte alla controversia fossero anche parti del MEA, la misura commerciale dovrebbe presumersi conforme alle prescrizioni dell’art. XX, sulla base della presunzione contraria all’esistenza 462

Per un’analisi dettagliata della prospettiva interpretativa, cfr., ampiamente, MARCEAU, A Call for Coherence, cit., p. 128 e ss.

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di un conflitto tra obblighi contratti dagli stessi Stati463. Conclusioni analoghe possono essere raggiunte anche nel caso in cui il trattato ambientale autorizzi semplicemente una misura commerciale, conferendo quindi un diritto in tal senso. In questo caso, il fondamento della conformità presunta all’art. XX deve essere ricercato nel principio di interpretazione effettiva, che assicura che nessuna delle disposizioni di un trattato venga resa nulla dalla mancata attribuzione di una forma di efficacia464. Perciò una restrizione commerciale esplicitamente consentita deve ritenersi prima facie giustificata dalle eccezioni dell’art. XX. Diverso è, invece, il caso in cui la misura sia stata adottata per favorire l’attuazione di un accordo ambientale senza che questo vi faccia riferimento, come nel caso Shrimps-Turtles, ma ciò non esclude che un panel dovrebbe tenerne conto comunque durante la valutazione dell’ammissibilità ex art. XX in qualità di norma pertinente applicabile tra le parti. Le eventualità in cui gli Stati parte alla controversia non siano tutti membri del MEA in questione, presentano delle caratteristiche più complesse. Se la misura è richiesta dall’accordo ambientale, pur non potendosi considerare le disposizioni dell’accordo come regole pertinenti applicabili nei rapporti tra le parti in senso stretto, l’esistenza del MEA deve comunque essere presa in considerazione, assistendo l’interprete nello svolgimento della propria funzione, in qualità di indicatore della direzione in cui si muove il consenso internazionale sulla questione in esame. Valutazioni pressoché analoghe devono essere fatte anche nel caso in cui le misure commerciali non siano rese obbligatorie dall’accordo ambientale o siano adottate per favorirne gli obiettivi. Del resto, considerato che la lettera dell’art. XX consente in linea di principio un’azione unilaterale a prescindere dall’esistenza di qualsivoglia strumento internazionale, sarebbe manifestamente assurdo porre uno Stato in una condizione peggiore rispetto al caso in cui agisse nella totale assenza di un accordo. Nonostante quest’ultimo non vincoli anche l’altro Stato parte, resta il fatto che sulla 463

Il principio è venuto in rilievo, inter alia, nel caso Canada – Certain Measures Concerning Periodicals, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS35/AB/R, del 30 luglio 1997, pp. 19-22, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). 464 Cfr. Gasoline, rapporto dell’Organo d’appello, p. 18.

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problematica in questione è andato formandosi un consenso diffuso e difficilmente ciò potrebbe non essere tenuto in considerazione nel momento in cui si dovesse valutare se una misura debba dirsi necessaria alla tutela della vita e della salute o relativa alla conservazione delle risorse465. In sostanza, in presenza di in accordo ambientale multilaterale i due test imposti dall’art. XX devono diventare di più semplice attuazione, sia per quanto concerne la definizione dei requisiti di necessità e di diretta connessione, che per quel che riguarda la verifica delle condizioni dello chapeau. La facilità con cui si rende possibile giustificare la violazione delle norme del GATT comportata da misure adottate ai sensi dei MEA, deve, quindi, considerasi in senso direttamente proporzionale al livello di discrezionalità di cui gode lo Stato che impone la restrizione e alla natura del legame che lega i due Stati all’accordo ambientale in questione466. Alcuni autori ritengono che, qualora si verifichi un conflitto sostanziale, ovvero quando i due obblighi contrastanti si pongano su posizioni di vera e propria incompatibilità, il ricorso ad un approccio meramente interpretativo non possa considerarsi sufficiente, dovendosi invece provvedere alla disapplicazione di uno dei due accordi, analogamente a quanto si verificherebbe nel caso vi fosse una violazione di norme di ius cogens. A sostegno di tale impostazione viene sottolineato che, nella Convenzione di Vienna, i casi di conflitto tra accordi successivi vengono

regolati

nella

sezione

dedicata

all’applicazione,

e

non

all’interpretazione, dei trattati467. Naturalmente, una simile prospettiva, acquista significato soltanto in caso di vere e proprie misure multilaterali, ossia nel momento in cui un accordo esterne imponga l’obbligo di adottare 465

Cfr. MARCEAU, A Call for Coherence, cit., p. 133: “ (…) the existence and the content of such a relevant MEA could always be used as factual elements for helping the Panel and the Appellate Body assessing whether the measure at issue and its application complied with the prescription of Article XX.” 466 Alla luce di quanto detto, in dottrina sono stati suggeriti quattro principi che dovrebbero guidare i panel nella loro opera interpretativa: il principio della presunzione di conformità con i trattati ambientali precedenti; il principio dell’interpretazione evolutiva in applicazione dell’art. 31, par. 3 c) della Convenzione di Vienna; il principio della necessità delle misure restrittive conformi agli standard internazionali; il principio di proporzionalità, per quanto in via addizionale e sussidiaria. Cfr. FRANCIONI, op. cit., in FRANCIONI (a cura di), op. cit., p. 22 e ss. 467 Su quest’ultima prospettiva, cfr., MAVROIDIS, op. cit. p. 77 e ss.; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 646 e ss.; RUTGEERTS, op. cit., p. 65 e ss.

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un determinata misura468. In questa circostanza, si presentano quattro possibili alternative, dipendenti sia dal rapporto di successione temporale tra l’Accordo OMC e l’accordo esterno confliggente, sia, come nel caso precedente, dalla appartenenza o meno a detto accordo di tutti gli Stati parte alla controversia. La prima ipotesi riguarda l’eventualità di un trattato stipulato dalle medesime parti e entrato in vigore anteriormente all’Accordo OMC. Sono state avanzate varie argomentazioni a sostegno della prevalenza dell’accordo ambientale anteriore, in ragione, anche in questo caso, della presunzione di conformità469, del principio di buona fede nella stipulazione di un trattato, nonché della possibilità che di un accordo confliggente anteriore possa essere tenuto conto come di un accordo intervenuto tra le parti di una controversia e quindi come causa di estinzione della stessa. Inoltre, il trattato ambientale anteriore potrebbe prevalere anche in virtù della sua natura di lex specialis470. Naturalmente, un accordo successivo all’Accordo OMC si mostra in grado di derogare agli obblighi ivi contenuti in maniera formalmente migliore, e pertanto, in una simile situazione, devono valere a fortiori le considerazioni effettuate riguardo agli accordi anteriori. Nel caso in cui l’accordo ambientale riguardasse soltanto una delle parti alle controversia, la circostanza che sia stato stipulato prima o dopo 468

L’alto grado di istituzionalizzazione dell’intero sistema OMC, ed in maniera particolare la circostanza che tale organizzazione sia dotata di un sistema contenzioso capace di garantire un doppio grado di giudizio, ha indotto parte della dottrina a propendere per la prevalenza dello stesso, poiché i firmatari di un MEA non intendono sottoporsi al giudizio di un terzo mentre continuano a considerasi sottoposti alla disciplina del DSU. Cfr. TRACHTMAN, The Domain, cit. p. 351 e ss. tale argomentazione è stata contestata in virtù dell’impossibilità di configurare l’OMC come un vero e proprio regime self-contained. Cfr. MAVROIDIS, op. cit. p. 78. 469 Cfr. FRANCIONI, La tutela dell’ambiente, cit., p. 170: “ (...) dal momento che non risulta che siano state avanzate riserve o contestazioni circa la compatibilità del GATT/OMC con i trattati ambientali precedenti (...) ci sembra di dover concludere che in linea di principio i membri dell’OMC hanno ritenuto di poter contemperare gli obblighi posti da questo Accordo con gli obblighi assunti precedentemente con i trattati in materia ambientale.” 470 È il caso del Protocollo di Montreal, in merito al quale cfr. RUTGEERTS, op. cit., p. 67: “ It is clear that the parties to the Montreal protocol did not have the intention to terminate their obligation under the said Protocol when signing the 1994 GATT. It thus seems the common intention of the parties to apply the GATT and the Montreal Protocol jointly, whereby Article XI of the GATT applies to the extent that the Montreal Protocol does not derogate from it. This also follows from the principle that, between the same parties, a special rule prevails over a general rule (…).”

202

l’entrata in vigore dell’Accordo OMC assume scarso rilievo, poiché l’incompatibilità non può trovare soluzione e la violazione del GATT al fine di attuare i propositi dell’accordo ambientale si dimostrerebbe del tutto insanabile. Infatti, in un contesto del genere, lo Stato parte ad entrambi gli accordi avrebbe assunto impegni pienamente incompatibili e, pertanto si troverebbe a dover scegliere in relazione a quale obbligo venire meno e, conseguentemente, far sorgere la propria responsabilità internazionale 471. Tuttavia,

deve

un’attenuazione

essere in

sottolineato

relazione

alla

che

tale

particolare

regola

può

natura

trovare

dell’obbligo

confliggente472, ossia, oltre all’ipotesi in cui si tratti di una norma imperativa di diritto internazionale, qualora il MEA sia divenuto parte del diritto consuetudinario, come nel caso della Convenzione sul diritto del mare, qualora riguardi un interesse comune dell’umanità come il clima o strato di ozono, quando imponga un regime valido erga omnes473, o più semplicemente, qualora la disciplina ambientale sia divenuta oggetto di uno specifico waiver ai sensi dell’art. IX, par. 3 dell’Accordo OMC. Posto che le due prospettive esaminate non devono porsi su piani incompatibili, ma, al contrario, devono essere considerate in termini complementari, ciò che si mostra realmente necessario, è una chiara presa di posizione degli organi dell’OMC. Ciò potrebbe tradursi in una concreta pronuncia in sede contenziosa, nel caso in cui il rapporto tra il sistema OMC e i sistemi multilaterali ambientali venisse finalmente sottoposto all’attenzione del DSB. Tuttavia, sarebbe maggiormente auspicabile una soluzione a livello politico, identificando una volta per tutte gli strumenti giuridici volti ad eliminare i presupposti su cui possa sorgere un’eventuale controversia. In tal senso, i suggerimenti avanzati dalla dottrina rimandano prevalentemente all’adozione di emendamenti formali al GATT , a un’interpretazione autentica dello stesso da parte della Conferenza 471

Anche in questo caso un esempio viene offerto dal protocollo di Montreal, laddove richiede agli Stati parte di adottare sanzioni commerciali proprio verso gli Stati terzi, in modo da porre in essere un efficace strumento deterrente verso le tentazioni di free-riding e di dumping ecologico. Ibidem, p. 69 e ss. Una simile funzione deterrente, volta a favorire l’ampliamento della membership del trattato, potrebbe comunque trovare giustificazione nell’art. XX. 472 Cfr. FRANCIONI, La tutela dell’ambiente, cit., p. 172 e ss. 473 Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 628 e ss.

203

ministeriale o del Consiglio generale, o, ancora, alla stipulazione di un vero e proprio accordo sulle questioni ambientali, cui demandare in via definitiva il controverso bilanciamento dei rapporti tra commercio e ambiente474.

474

In merito, cfr. il rapporto del CTE presentato alla Conferenza ministeriale di Singapore, WTO doc. WT/CTE/W/40, del 12 novembre 1996, parr. 5-23, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base)

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CONCLUSIONI

Il presente lavoro di tesi ha avuto come oggetto l’esame delle connessioni, dei conflitti e delle reciproche interferenze tra due sistemi di norme internazionali che si propongono di disciplinare, da un lato, le relazioni tra stati finalizzate allo scambio di beni e servizi e, dall’altro, le conseguenze dannose che derivano per l’ambiente naturale da tali scambi, così come da ogni altro tipo di attività umana orientata alla produzione o al consumo. Dall’analisi svolta nei capitoli precedenti è emerso come lo spirito che pervade la comunità internazionale sia profondamente mutato nel corso degli anni che separano i tentativi post-bellici di fondare un nuovo ordine economico internazionale dai negoziati dell’Uruguay Round. Si è difatti giunti a riconoscere che né la libera circolazione delle merci, né la protezione ambientale abbiano ragione di essere considerate obiettivi meritevoli di tutela in quanto tali, ma soltanto nella misura in cui contribuiscono al benessere dell’umanità. È andata diffondendosi largamente, almeno sul piano dei principi, la convinzione della nocività e dell’irrimediabilità della maggioranza dei fenomeni di degrado ambientale, parallelamente alla condivisione di valori morali che rifiutano l’imponente sperequazione nella distribuzione del reddito tra la popolazione delle varie parti del pianeta. Durante la prima parte degli anni novanta, tale rinnovato paradigma etico ha ricevuto consacrazione nell’affermazione del principio dello sviluppo sostenibile, che mira a promuovere una struttura delle relazioni internazionali fondata sull’obiettivo di provvedere equamente a soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di provvedere ai propri.

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Pertanto, è andata affermandosi un’impostazione che da rilievo alla promozione della sostenibilità dello sviluppo economico e sistema in subordine gli elementi costitutivi dello stesso, attribuendo loro carattere meramente strumentale. Questo è quanto emerso alla conferenza internazionale

di

Rio,

ribadito

a

Johannesburg,

riconosciuto

autorevolmente dalla Corte Internazionale di Giustizia e, infine, specificato nello stesso Accordo OMC, tramite la nuova formulazione del preambolo, che consente di utilizzare il principio dello sviluppo sostenibile come filtro interpretativo della normativa prevista dagli Accordi allegati. In tale prospettiva, la promozione del libero commercio e la protezione dell’ambiente devono essere qualificati come semplici mezzi per il conseguimento di un fine ultimo, rinvenibile nel tenore e nella qualità della vita della persona umana, e come tali devono essere valutati, disciplinati ed integrati tra di loro. La ratio sottesa ad un simile ordine di considerazioni si è parzialmente riflessa anche nella formulazione della nuova normativa commerciale multilaterale. Il nuovo preambolo

dell’Accordo

OMC,

l’introduzione

del

principio

precauzionale nell’Accordo SPS, le nuove procedure per gli organi di soluzione delle controversie, hanno avuto e potranno avere degli effetti rilevanti nello sviluppo di una prassi strumentale al conseguimento dello sviluppo sostenibile. Le difficoltà presentate dalla realizzazione di tale obiettivo devono essere in parte attribuite alla differente struttura dei due sistemi di diritto. Il diritto internazionale dell’ambiente è caratterizzato da un’elevatissima frammentazione: esso prevede una grande quantità di strumenti internazionali e tiene in considerazione anche l’ampio ventaglio di priorità che ogni singolo Stato intende perseguire al proprio interno in assoluta autonomia. Di fronte ad una simile varietà di ipotesi si pone, invece, il sistema del commercio multilaterale, un sistema a tal punto integrato, strutturato e istituzionalizzato da aver dato luogo persino ad un dibattito circa la sua eventuale natura di regime self-contained.

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Come abbiamo avuto modo di vedere, la “giurisprudenza” dei panel del GATT 1947 si è mossa in senso unidirezionale, privilegiando la dimensione commerciale in termini spesso acritici. Verso la fine degli anni ottanta si è consolidata la tendenza a interpretare in senso straordinariamente restrittivo le disposizioni dell’art. XX e le sue potenzialità di applicazione extragiurisdizionale. È a tale fase che risalgono le accezioni di least trade restrictive measure e di primarly aimed measure da attribuire alle nozioni di misura necessaria alla protezione della salute e della vita e di misura relativa alla conservazione delle risorse. Similmente, è stata negata con risolutezza l’ipotesi che misure commerciali potessero legittimamente richiedere un qualsivoglia cambiamento delle politiche ambientali dello Stato di esportazione. In seguito alla nascita dell’OMC nel 1995, l’attività degli organi incaricati della soluzione delle controversie e dell’Organo d’appello in particolare, a prescindere dal giudizio di merito che può essere formulato sui risultati della stessa, ha tendenzialmente tentato invece di temperare l’impostazione irragionevolmente liberista del periodo precedente. I risultati del cammino intrapreso hanno condotto ad un’evoluzione del sistema normativo, nel tentativo di offrire una risposta a cinque quesiti fondamentali: a) quale interpretazione dell’art. XX debba essere data al fine di garantirne l’efficacia; b) quali limiti incontri la facoltà di adottare misure ambientali su base precauzionale; c) su quali requisiti debba essere fondato il rapporto di similarità tra due prodotti; d) quali criteri debbano disciplinare il ricorso a misure ambientali che riguardino i processi e i metodi produttivi; e) quali rapporti debbano intercorrere tra il sistema OMC e il vasto panorama delle convenzioni ambientali multilaterali. a) Per quanto riguarda l’articolo XX, i principali progressi si sono registrati sul fronte dell’ambito di applicazione dell’eccezione della lettera g), esteso alla protezione delle risorse viventi situate anche al di fuori della propria giurisdizione territoriale sulla base della mera esistenza di un nesso sufficiente tra gli interessi dello Stato e

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l’utilizzazione della risorsa. Inoltre, l’unico limite alla facoltà di invocare l’eccezione deve essere ricercato nella sussistenza di una relazione sostanziale tra la misura restrittiva e il proposito di conservazione, senza l’obbligo che quest’ultimo ne costituisca la finalità primaria. Anche in merito alla lettera b) la restrittività dell’interpretazione originale è andata attenuandosi, sebbene permanga l’obbligo di garantire che il provvedimento sia il meno restrittivo tra quelli ragionevolmente disponibili. In seguito alla risoluzione della

controversia nel caso

Asbestos, agli Stati è consentito un margine di apprezzamento di gran lunga superiore in relazione a due elementi del test di necessità. In primo luogo, lo Stato si trova libero di valutare autonomamente quale debba essere l’ampiezza dei propri obiettivi di tutela della salute e della vita, potendo quindi optare anche per la massimizzazione di tali obiettivi e per l’eliminazione di ogni rischio. In secondo luogo, anche la valutazione della ragionevolezza della disponibilità di eventuali misure alternative può essere condotta su basi soggettive. Naturalmente, in entrambi i casi, il grado di discrezionalità di cui gode lo Stato che intenda adottare una misura ambientale deve essere considerato proporzionalmente all’entità del pericolo che si propone di contrastare. Inoltre, la possibilità di produrre effetti nel dominio riservato dello Stato di esportazione è stata riconosciuta come caratteristica comune a tutte le eccezioni dell’art. XX, e pertanto anche la lettera b) può essere legittimamente invocata al fine di condizionare l’accesso al mercato all’adozione di politiche prescritte unilateralmente dallo Stato importatore. Se, da una parte, i requisiti necessari ad usufruire delle prerogative offerte dalle eccezioni dell’art. XX sono stati attenuati dall’attività interpretativa degli organi di soluzione delle controversie, dall’altra, gli stessi organi hanno provveduto a rendere più rigoroso il triplice test previsto del preambolo dello stesso articolo. Seguendo una tendenza che è andata affermandosi a partire dal caso Gasoline, e quindi sino dalla nascita dell’Organizzazione, l’equilibrio dei diritti e dei doveri degli Stati membri è stato individuato nella corretta applicazione dello

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chapeau, la quale deve essere improntata a criteri di flessibilità in considerazione del fatto che l’analisi deve essere svolta caso per caso, alla luce dei peculiari elementi fattuali che caratterizzano una specifica controversia. Solo in tal modo sembra realmente possibile evitare concretamente l’uso illegittimo delle eccezioni, impedendo che l’apparente tutela di un obiettivo di politica pubblica possa mascherare il proposito di attribuirsi un vantaggio competitivo immeritato. Purtroppo delle tre nozioni fondamentali dello chapeau è stata data un’interpretazione piuttosto vaga e poco circostanziata. Tale carenza acquista un valore particolarmente incisivo per quel che riguarda la definizione della liceità dell’elemento discriminatorio, ossia di quel quid di discriminazione commerciale che è consentito ritenere giustificabile e non arbitraria. Dal rapporto dell’Organo d’appello nel caso Gasoline emerge

che

essa

debba

mostrarsi

tendenzialmente

inevitabile,

involontaria e imprevedibile. Come abbiamo visto, la dottrina economica insegna che le c.d. TREMs possono, e in determinate circostanze devono, comportare un certo tasso di discriminazione. Si tratta di forme di “protezionismo verde” che rappresentano la risposta più efficace a vere e proprie pratiche di concorrenza sleale che legittimano il ricorso a forme di discriminazione interna in risposta a pratiche di dumping ecologico e di discriminazione esterna nel caso del free-riding. Il crinale che separa le pratiche oggettivamente protezionistiche da quelle di tutela delle opportunità competitive al fine di opporsi concretamente ai principali ostacoli all’attuazione di efficaci politiche ambientali, non è di facile individuazione. A riguardo si mostra particolarmente assennata l’idea di provvedere ad una applicazione flessibile delle disposizioni dello chapeau, ma il requisito dell’imprevedibilità della discriminazione sembrerebbe circoscrivere quest’ultima alle ipotesi residuali derivanti da difficoltà di ordine amministrativo. Al contrario, una presa di posizione anche in relazione alla tutela della competitività dei produttori nazionali avrebbe potuto svolgere un’importante funzione chiarificatrice, posto che nel primo caso Tuna/Dolphins tale circostanza era stata oggetto di

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specifica disapprovazione, mentre le conclusioni raggiunte nel caso Shrimps/Turtles di fatto aprono la strada anche ad una simile lettura delle misure ambientali. b) L’adozione dell’Accordo SPS ha portato ad un aggravamento delle condizioni imposte dall’art. XX, b) allo Stato che intenda porre in essere misure sanitarie e fitosanitarie, introducendo in particolare l’obbligo di valutazione scientifica del rischio, ma parallelamente ha consentito l’integrazione del principio precauzionale nell’ordinamento commerciale internazionale. L’enunciazione ivi contenuta presenta una versione del principio di gran lunga meno incisiva di quella proposta dal principio 15 della Dichiarazione di Rio. Ogni misura adottata in assenza di certezza scientifica deve avere natura provvisoria e, congiuntamente, viene fatto obbligo di cercare di ottenere informazioni addizionali in modo da poter procedere al riesame della misura entro un periodo di tempo ragionevole. Ma di fronte alla persistente opposizione di una parte consistente della comunità internazionale riguardo all’inclusione della precauzione tra le norme di diritto consuetudinario, la formulazione restrittiva dell’Accordo SPS rappresenta comunque un importante progresso. Inoltre, l’Organo d’appello ha esplicitamente riconosciuto, seppure in termini piuttosto vaghi, che al principio possa essere attribuito un ruolo anche al di fuori dell’art. 5, par. 7, in ragione della naturale propensione dei governanti ad agire con cautela in caso di rischio di danni irreversibili, riconosciuta dallo stesso Accordo SPS nel momento in cui legittima l’adozione di standard più elevati di quelli proposti dalle competenti organizzazioni internazionali. Pertanto, si può ritenere che l’Organo d’appello abbia voluto evitare di prendere una posizione definitiva circa lo status del principio, lasciando aperta la strada a possibili sviluppi futuri. Dal rapporto d’appello si possono desumere altri due elementi che si prestano ad una lettura in senso ecologista: la possibilità di tenere conto di fattori di natura sociale nel corso della valutazione del rischio e, fatto particolarmente rilevante, la possibilità

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che le considerazioni portate a giustificazione delle proprie misure possa essere espressa anche da una parte minoritaria della comunità scientifica. c) La portata innovativa delle pronunce dell’Organo d’appello si è mostrata nel caso Asbestos anche relativamente al riconoscimento della funzione sostanziale che la valutazione del rischio svolge nella determinazione del rapporto di similarità tra due prodotti. Un rischio serio per la salute umana è stato individuato come un elemento determinante in merito alle considerazioni da effettuare riguardo a tutti e quattro gli elementi costitutivi del test di similarità: la natura e le qualità del prodotto, la funzione finale, il comportamento dei consumatori e la classificazione tariffaria. Ciò consente di evitare la violazione dell’art. III del GATT e pertanto di sottrarsi alle pesanti procedure contemplate dalle eccezioni generali qualora si mostri necessario bloccare le importazioni di prodotti che contengano sostanze gravemente dannose per la salute. d) Un’analoga impostazione non può però essere applicata alle misure che riguardino la nocività sanitaria e ambientale dei processi produttivi, per quanto parte della dottrina si sia spinta fino ad ipotizzarne l’opportunità e la legittimità. Ad ogni modo, la pronuncia dell’Organo d’appello nel caso Shrimps/Turtles e successivamente nel follow-up della controversia, apre un’ampia serie di possibilità agli Stati realmente intenzionati a proteggere le proprie risorse e l’ambiente globale attraverso strumenti che abbiano una concreta incidenza nei rapporti economici che ne determinano il deterioramento. Allo Stato che intenda adottare una misura PPMs viene richiesto, attraverso il test dello chapeau, l’osservanza di alcune condizioni che potremmo riassumere nell’obbligo di prevedere standard dotati di una certa flessibilità, di offrire un trattamento analogo a Stati in cui vigano le medesime

condizioni,

di

garantire

procedure

amministrative

e

giudiziarie appropriate e trasparenti e, soprattutto, di adottare le misure restrittive in via provvisoria soltanto dopo aver dato prova sia di aver portato avanti in buona fede seri tentativi di negoziare con tutti gli Stati

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potenzialmente interessati una soluzione fondata sul mutuo consenso, sia di continuare nella medesima direzione con impegno analogo anche dopo l’adozione del provvedimento. L’onerosità di quest’ultima condizione mitiga soltanto in parte la portata straordinariamente innovativa del riconoscimento della liceità delle misure PPMs, considerato, peraltro, che frequentemente sono i paesi industrializzati a mostrare l’intenzione di porre in essere questo tipo di misure. Tale circostanza consente di introdurre una delle principali critiche che possono essere mosse all’operato degli organi dell’OMC, quella di non aver prestato sufficiente attenzione agli aspetti redistributivi connessi alle pratiche di protezione ambientale. Un simile ordine di problemi non riguarda soltanto le misure relative ai mezzi di produzione, ma si riferisce alla definizione strutturale dei rapporti tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo e, pertanto, può creare difficoltà consistenti anche in relazione a provvedimenti che limitino le importazioni in base alle caratteristiche del prodotto. Innegabilmente, però, l’ingerenza esterna nel dominio riservato di uno Stato assume caratteri maggiormente incisivi nel momento in cui si propone di porre dei vincoli ai sistemi di produzione, piuttosto che alle caratteristiche del prodotto in ragione degli effetti che queste possono produrre nel territorio dello Stato di importazione. Se le misure in questione hanno quindi una più elevata capacità di porre un limite alle prospettive di sviluppo di un paese, maggiori dovrebbero essere anche le responsabilità verso l’attuazione di forme di sostegno concrete da parte dello Stato che adotti un simile provvedimento. Senz’altro evidenziare la necessità di prestare attenzione alle esigenze di crescita economica dei paesi in via di sviluppo consentirebbe di superare parte delle resistenze di tali paesi verso l’adozione di standard ambientali efficaci, resistenze ampiamente legittimate dal fatto che essi non hanno contribuito a produrre il degrado che si intende combattere, né hanno avuto modo di godere dei benefici economici da

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esso derivanti. Pertanto, se lo sviluppo sostenibile viene presentato come uno degli obiettivi di fondo del processo di integrazione commerciale multilaterale, se si riconosce la possibilità di interpretare la normativa OMC anche alla luce di quanto disposto dai grandi trattati ambientali, attribuire un significato concreto agli impegni di assistenza tecnica e finanziaria e riconoscerne la complementarietà rispetto ai propositi di protezione ambientale, assume un’importanza decisiva. Il principio delle responsabilità comuni ma differenziate è stato incorporato, più o meno esplicitamente, in quasi tutti i MEA e costituisce un’appendice logica e necessaria della sostenibilità ambientale dello sviluppo economico. Nel caso dei gamberetti e delle tartarughe, agli Stati Uniti è stato riconosciuto il diritto di adottare provvedimenti che disciplinassero indirettamente i sistemi di pesca di alcuni paesi del Sud Est asiatico sulla base del nesso sufficiente che lega gli interessi statunitensi all’esaurimento di una componente essenziale della diversità biologica rappresentata dalle tartarughe marine. Ad esso si sarebbe potuta accompagnare un’analoga constatazione del diritto dei paesi esportatori a beneficiare di concrete forme di assistenza, come il trasferimento della tecnologia TED o di risorse finanziarie sufficienti ad adempiere ai nuovi standard. L’attuale prosperità dei paesi industrializzati si fonda anche sul depauperamento del patrimonio ambientale globale avvenuto in passato, e conseguentemente, tra gli interessi dei paesi in via di sviluppo e le risorse economiche dei paesi sviluppati potrebbe essere ravvisato un nesso pressoché identico a quello che lega gli Stati Uniti alla protezione delle tartarughe. Gli sforzi tenaci dei paesi del Sud del mondo verso l’attenuazione delle pretese di equità intergenerazionale dei paesi sviluppati ottengono un giudizio molto meno severo se vengono considerati alla luce delle resistenze

di

quest’ultimi

a

rispettare

le

esigenze

di

equità

intragenerazionale, che presentano un pari grado di dignità e merito nello

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sviluppo di un nuovo ordine internazionale adatto a garantire la sostenibilità ambientale e sociale della crescita economica. e) L’ultimo aspetto da considerare, nel tentativo di operare un bilancio dell’attività dell’Organizzazione in campo ambientale, riguarda la rilevanza da attribuire alle disposizioni dei principali strumenti di diritto internazionale dell’ambiente. Le prospettive di riconciliazione hanno subito un’importante evoluzione nel corso degli anni, giungendo a configurare, almeno in linea di principio, l’ipotesi di una stretta complementarietà tra i due sistemi di diritto. Naturalmente appare evidente che un simile processo integrativo si trovi ancora ad uno stadio poco più che embrionale, ma non può non essere vista in termini ottimistici la tendenza a riconoscere i rapporti di funzionalità reciproca tra commercio e ambiente, che, dall’assoluta indifferenza del primo caso Tuna/Dolphins, hanno condotto gli organi di soluzione delle controversie a riconoscere dapprima le necessità di evitare l’isolamento del diritto OMC dal resto del diritto internazionale pubblico e successivamente a fare un uso concreto di tale prerogativa nel caso Shrimps/Turtles. Del resto, dopo l’istituzione dell’OMC e conseguentemente, dopo l’adozione del DSU, difficilmente l’orientamento interpretativo dei panel avrebbe potuto proseguire sulla strada dell’insensibilità verso i fenomeni di degrado ambientale ritenuti prioritari dalla comunità internazionale e pertanto oggetto dei grandi trattati multilaterali. In tal senso, le indicazioni contenute nel par. 2 dell’art. 3 del DSU non lasciano adito a dubbi: agli organi di soluzione delle controversie dell’OMC è fatto obbligo di utilizzare ogni altra regola pertinente di diritto internazionale applicabile tra le parti nel corso dell’attività di interpretazione e applicazione del diritto, come previsto dall’art 31, par. 3 c) della Convenzione di Vienna. Allo stato attuale delle cose, ossia in assenza di una presa di posizione chiara ed univoca a livello politico da parte degli Stati membri, il preambolo dell’Accordo OMC e il disposto dell’art. 3, par. 2, del DSU costituiscono gli unici due strumenti tramite i quali il rispetto

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degli standard ambientali e la libera circolazione delle merci possono essere conciliati, dando contenuto concreto alle disposizioni dell’art. XX e aprendo ampie prospettive all’interpretazione evolutiva della normativa OMC nel suo complesso. Occorre riconoscere gli sforzi fatti in questo senso e prendere atto delle innovazioni introdotte nel sistema dal DSB, attraverso l’operato degli organi tecnici di risoluzione delle controversie. Tuttavia, allo stesso tempo, si sente ancora fortemente la mancanza di indicazioni univoche e definitive riguardo alla condotta che gli Stati possono considerare lecita nel momento in cui si propongono di definire le proprie priorità di politica ambientale, impedendo loro di attuare i propri propositi di tutela in termini maggiormente dinamici ed efficaci. Garantire la certezza e la prevedibilità dei meccanismi e delle disposizioni cui si deve osservanza costituisce un obiettivo essenziale di ogni sistema di diritto e da questo punto di vista deve essere espresso un giudizio prevalentemente negativo. Dapprima nei confronti della Conferenza ministeriale e del Consiglio generale, nonché verso gli organi sussidiari ad essi sottoposti, primo fra tutti il CTE, e, in seconda battuta, verso gli stessi organi di soluzione delle controversie, i quali, pur avendo innegabilmente contribuito all’evoluzione del sistema, avrebbero senz’altro potuto pronunciarsi in termini più concreti riguardo al contenuto degli obblighi che gli Stati sono chiamati ad assolvere per poter legittimamente proteggere sia le proprie risorse che quelle condivise. Ad ogni modo, limitare lo sviluppo progressivo del diritto commerciale internazionale alle prospettive di interpretazione evolutiva offerte dagli organi di soluzione delle controversie rappresenta una sconfitta del sistema OMC, mentre le principali sfide che si presentano all’Organizzazione devono essere ricercate nella definizione chiara, univoca e definitiva dei rapporti che intercorrono tra le regole del sistema commerciale e le regole che disciplinano altri aspetti che la comunità internazionale ha ritenuto parimenti meritevoli di tutela, quali

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le preoccupazioni di ordine ambientale e sociale. Si tratta, in altre parole, di riuscire a determinare appropriatamente regole capaci di indirizzare il processo di globalizzazione economica verso prospettive di maggiore giustizia, equità e sostenibilità ambientale, che vadano quindi incontro alle legittime esigenze manifestate, anche se talora con eccessiva veemenza, dai movimenti di protesta “anti-globalizzazione” e condivise da larga parte della comunità scientifica e della società civile.

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Venturini Gabriella, Recenti sviluppi in tema di liberalizzazione degli scambi di servizi, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 133 e ss. Wallach Lori, Sforza Michelle, WTO. Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale, Feltrinelli, Milano,1999. Werksman Jacob, Case Note (Shrimps/Turtles), in RECIEL, 1999, p. 78 e ss. Wirth David A., Some Reflections on Turtles, Tuna, Dolphins and Shrimp, in BRUNNẾE, HEY, Symposium: The United States – Import Prohibition on Certain Shrimp and Shrimp Products Case, in YEIL, 1998, p. 4 e ss. Wirth David A., Case Note (Hormones), in AJIL, 1998, p. 755 e ss. Wirth David A., Case Note (Asbestos), in AJIL, 2002, p. 435 e ss. Wolff Alan Wm., What Did Doha Do? An Initial Assessment, in JIEL, 2002, p. 202 e ss. Wynter Marie, The Agreement on Sanitary and Phitosanitary Measures in the Light of the WTO Decision on EC Measures Concerning Meat and Meat Products, in MENGOZZI, International Trade Law in the 50th Anniversary of the Multilateral Trade System, Milano, 1999, p. 471 e ss. Zilioli Chiara, Il caso Bhopal e il controllo sulle attività pericolose svolte dalle società multinazionali, in RGA, 1987, p. 199 e ss.

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INDICE DELLA GIURISPRUDENZA CITATA

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229

European Communities-Regime for the Importation, Sale and Distribution of Bananas, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS27/AB/R, del 9 settembre 1997, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). Canada – Certain Measures Concernin Periodicals (Periodicals) rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS31/AB/R, del 14 marzo 1997, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). Brazil – Export Financing Programme for Aircraft, rapporto del panel, WTO doc. WT/DS46/R, del 14 aprile 1999, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). United States – Import Prohibition of Certain Shrimp and Shrimp Products (Shrimps/Turtles), rapporto del panel, WTO doc. WT/DS58/R, del 15 maggio 1998, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS58/AB/R, del 12 ottobre 1998, decisione arbitrale WTO doc. WT/DS58/RW, del 15 giugno 2001, consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). Japan – Measures Affecting Agricultural Products (Varietals), rapporto del panel WTO doc. WT/DS76/R, del 27 ottobre 1998, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS76/AB/R, del 22 febbraio 1999, consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). Australia – Measures Affecting the Importation of Salmon, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS18/AB/R, del 20 ottobre 1998, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). European Communities – Measures Affecting the Prohibition of Asbestos and Asbestos Products, rapporto del panel WTO doc. WT/DS135/R, del 18 settembre 2000, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS135/AB/R, del 28 maggio 2000, consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). United States – Section 301-310 of the Trade Act of 1974, rapporto del panel, WTO doc. WT/DS152/R, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). Korea – Measures Affecting Imports of Fresh, Chilled and Frozen Beef, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS161/AB/R, WTO doc. WT/DS169/AB/R, del 10 gennaio 2001, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). United States – Import Measures on Certain Products from the European Communities, rapporto del panel, WTO doc. WT/DS165/R, del 17 luglio 2000, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS165/AB/R, dell’11 dicembre 2000, consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

230

CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA Corfù Channel Case, 9 aprile 1949, in ICJ Report, 1949, p. 4 e ss North Sea Continental Shelf, 20 febbraio 1969, in ICJ Reports, 1969, p. 48 e ss. Advisory Opinion on the Legal Consequences for States of the Continued Presence of South Africa in Namibia Notwithstanding Security Council resolution 276 (1970), 21 giugno 1971, in I.C.J. Reports, 1971, p. 31 e ss. Case Concerning United States Diplomatic and Consular Staff in Teheran, 24 maggio 1980, in ICJ Reports, 1980, p. 1 e ss. Advisory Opinion on the Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, 8 luglio 1996, in ILM, vol. XXXV, 1997, p. 809 e ss. Gabcikovo-Nagimaros Project, 25 settembre 1997, consultabile sul sito della Corte, www.icj-cij.org (pagina base).

ALTRO Trail Smelter, sentenza della commissione arbitrale mista USA – Canada, 1941, consultabile su UNRIAA, vol. III, p. 1965 e ss. Lake Lanoux, sentenza della commissione arbitrale mista Francia – Spagna, 1956, consultabile su UNRIAA, vol. XII, p. 281 e ss. Minor Oposa V. Secretery of Department of Environment and Natural Resources, sentenza della Corte Suprema delle Filippine, in ILM, vol. 32, 1994, p. 173 e ss. Deutche Grammophon c. Metro, sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, dell’8 giugno 1971, in Raccolta della giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado delle Comunità europee, 1971, p. 487 e ss. Terrapin c. Terranova, sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, del 22 giugno 1976, in Raccolta della giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado delle Comunità europee, 1976, p. 1039 e ss.

231

RISORSE INTERNET (pagine base)

www.admin.ch www.admiraltylawguide.com www.agenda21.org www.ambientediritto.it www.attac.org www.asil.org www.austlii.edu.au www.basel.int www.biodiv.org www.cites.org www.climateimc.org www.codexalimentarius.net www.epa.gov www.equilibri.net www.europa.eu.int www.fao.org www.field.org.uk www.gefweb.org www.gets.org www.greepeace.it www.iaea.org www.icj-cij.org www.ictsd.org www.imf.org www.ippc.int www.iso.org www.ittig.cnr.it www.legifrance.gouv.fr www.johannesburgsummit.org www.minambiente.it www.nmfs.noaa.gov www.oceanlaw.net www.oie.int www.oosa.unvienna.org www.pewclimate.org www.pic.int www.seaturtles.org www.state.gov www.un.org www.undp.org www.unece.org www.unep.org www.unesco.org 232

www.unfccc.int www.who.int www.wipo.int www.worldtradelaw.net www.worldwatch.org www.wto.org www.wwf.it

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