Ec-biotech / Analisi Del Rapporto Del Panel

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MASTER DI SECONDO LIVELLO IN DIRITTO AMBIENTALE NORME, ISTITUZIONI, ATTUAZIONE A.A. 2007-2008

Unione Europea, commercio internazionale, precauzione e multilateralismo: il rapporto del panel OMC sul caso European

Communities – Measures Affecting the Approval and Marketing of Biotech Products

Autore: Marina Chiarugi

INDICE

1. Introduzione ..... p. 3 2. Le misure oggetto della controversia .... p. 5

3. Le principali caratteristiche dell'Accordo SPS ..... p. 10 4. L'ambito di applicazione dell'Accordo SPS nel rapporto del panel

..... p. 14

5. Le misure di salvaguardia adottate dagli Stati membri ..... p. 20 6. L'interpretazione del diritto OMC e i Multilateral Environmental Agreements ..... p. 24

7. Conclusioni ..... p. 31

1. Introduzione

Il dibattito attorno alla gestione degli organismi geneticamente modificati (successivamente OGM) solleva da anni innumerevoli questioni intorno ai rischi collegati alla loro diffusione. In primo luogo, le conseguenze alla loro interazione con gli ecosistemi con cui dovessero venire in contatto sono in larga parte ignote. Nonostante siano stati condotti un buon numero di studi in materia, una parte sostanziale della comunità scientifica e molti movimenti ambientalisti ritengono che le conseguenze sull'ambiente rimangano comunque non prevedibili, e per quanto raffinate e restrittive possano essere le norme miranti a regolamentarne la diffusione, esse non saranno mai in grado di misurare in modo esaustivo e di escludere in modo definitivo la presenza di rischi sanitari e ambientali. Tra i vari elementi di rischio vi è la possibilità che le piante geneticamente modificate possano comportarsi come specie invasive, affermandosi nell'ecosistema a danno di altre specie e varietà. Inoltre, sono noti anche possibili effetti nocivi per la salute umana, sia in merito alla potenziale allergenicità e tossicità, sia riguardo al più grave pericolo legato al fatto che, essendovi frequentemente inserito un gene che conferisce la resistenza agli antibiotici, tale resistenza possa essere

trasferita a batteri patogeni. Dal punto di vista socio-economico, un altro elemento di preoccupazione risiede nel fatto che andrebbe a rafforzare un modello di agricoltura intensiva con un elevato uso di prodotti chimici, scarsamente ecocompatibile e di difficile accesso per i paesi in via di sviluppo. In un simile contesto, non stupisce che la società civile invochi quantomeno

un'azione

fortemente

incentrata

sul

principio

di

precauzione, il quale, nell'autorevole formulazione ricevuta dalla Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo, prevede che in caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di assoluta certezza scientifica non debba servire da pretesto per differire l'adozione di misure adeguate dirette a prevenire danni all'ambiente. Sotto il profilo della libertà degli scambi commerciali, tale esigenza necessita di un inevitabile bilanciamento con il principio di non discriminazione, pietra angolare del complesso insieme di regole che disciplina il sistema commerciale internazionale. All'Organizzazione mondiale del commercio (successivamente OMC) e ai suoi organi giudiziari è demandato il difficile compito di ponderare i diritti sovrani degli Stati di importazione e la loro conseguente libertà di adottare le politiche ambientali che ritengono più efficaci, con lo speculare diritto degli Stati esportatori a vedere tutelate le proprie opportunità

competitive. Il rapporto del panel OMC, gruppo di esperti cui compete la relazione di un rapporto sugli elementi di fatto e di diritto della disputa da trasmettere all'Organo di risoluzione delle controversie, si inserisce in questo contesto. Alle pretese di Stati Uniti, Canada e Argentina di poter esportare liberamente i prodotti OGM, si contrappone l'esigenza della Comunità Europea di adottare norme interne che comportino un elevato livello di tutela di fronte a un rischio che potrebbe rivelarsi di portata devastante.

2. Le misure oggetto della controversia

Il rapporto sul caso European Communities – Measures Affecting

the Approval and Marketing of Biotech Products (successivamente Biotech)1, è stato reso pubblico il 29 settembre 2006 dopo quasi tre anni di intensi lavori. Esso costituisce uno dei documenti più corposi prodotti dai panel dell’OMC, constando di più di 1200 pagine, ed è stato adottato dall’Organo di risoluzione delle controversie dell'Organizzazione il 22 1 Cfr. WTO doc. WT/DS291/R, WT/DS292/R, WT/DS293/R, del 29 settembre 2006, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

novembre 2006. Gli

Stati

ricorrenti

contestavano

alla

Comunità

Europea

l’applicazione di determinate misure sull’importazione di OGM, da parte sia della Comunità stessa che degli Stati membri. I provvedimenti oggetto dell’esame del panel sono stati la direttiva 90/220/CE2 e la direttiva 18/2001/CE3 recanti la normativa sull’emissione nell’ambiente di OGM e il regolamento 258/974, relativo ai nuovi prodotti e ingredienti alimentari. La principale finalità delle due direttive consiste nell’intento di evitare i rischi per l’ambiente o per la salute umana che potrebbero sorgere a seguito del rilascio deliberato nell’ambiente di prodotti costituiti da o contenenti OGM5, e, in tal senso, prescrive una serie di procedure amministrative atte a garantire la sussistenza del consenso informato da 2 Direttiva 90/220/CEE del Consiglio, del 23 aprile 1990, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, consultabile sul sito della Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea http://eur-lex.europa.eu/ (pagina base).

3 Direttiva 18/2001/CE del Consiglio e del Parlamento del 12 marzo 2001 sull'emissione

deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, ibidem.

4 Regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 1997 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari, ibidem.

5 Ai sensi della direttiva 90/220/CE, per OGM si intende un ente biologico il cui genoma sia stato modificato in modo diverso da quanto si verifica in natura con l'accoppiamento e/o la

ricombinazione genetica naturale e che sia capace di riprodursi o di trasferire tale materiale genetico (art. 2, par.1)

parte dello Stato membro che per primo ne effettua l’importazione. L'iter per l'approvazione prevede l'invio di una notifica all'autorità competente dello Stato di importazione da parte del soggetto che intenda introdurre i prodotti GM sul mercato comunitario. Com'è noto, a seguito del rilascio dell'autorizzazione, gli altri Stati non hanno la facoltà di impedirne la libera circolazione anche nel loro territorio. A tale principio fanno eccezione alcune clausole di salvaguardia contemplate dall'art. 16 della direttiva 90/220, in virtù delle quali se uno Stato membro ha un motivo valido di ritenere che un prodotto che è stato opportunamente autorizzato costituisca un rischio per la salute umana o per l'ambiente, può limitarne o proibirne provvisoriamente l'uso e/o la vendita sul proprio territorio. Analogamente, l'art. 23 della direttiva 18/2001 prevede una facoltà similare per lo Stato che, sulla base di nuove conoscenze scientifiche relative ai rischi ambientali, ritenga necessario sospenderne o limitarne la circolazione. Tuttavia, le clausole di salvaguardia cui possono ricorrere i singoli Stati hanno natura provvisoria e devono essere seguite da un'ulteriore valutazione dei rischi ambientali e sanitari da parte della Commissione, la quale, entro sessanta giorni, decide se modificare o revocare l'autorizzazione al prodotto GM o far cessare le misure di salvaguardia.

Il regolamento 258/97 riguarda l'introduzione sul mercato di prodotti da utilizzare come nuovi alimenti o come nuovi ingredienti alimentari, al fine di assicurare che tali prodotti non costituiscano un rischio per i consumatori o non ne fuorvino le intenzioni, sia dal punto di vista informativo che nutrizionale. In tal senso, il regolamento istituisce delle procedure amministrative di controllo del tutto simili a quanto contemplato dalle summenzionate direttive, anche in relazione alla possibilità di ricorrere a misure di salvaguardia da parte degli Stati membri. L'oggetto della contestazione delle parti ricorrenti non riguardava la disciplina comunitaria sulle biotecnologie in quanto tale, ma si riferiva all'applicazione che di questa era stata data in sede di attuazione. Nei fatti, tra l'ottobre del 1998 e l'agosto del 2003 nessuna autorizzazione all'immissione sul mercato era stata concessa. Nell'opinione del panel tale circostanza era da ricondursi all'ostruzionismo esercitato da alcuni Stati membri nel corso dei lavori della Commissione, i quali, adducendo motivazioni legate all'etichettatura e alla tracciabilità dei prodotti biotecnologici, avrebbero fatto quanto in loro potere per bloccare l'iter di approvazione di nuovi prodotti. Conseguentemente, il panel ritenne di dover riconoscere la sussistenza di una moratoria sulle importazioni di

OGM che, pur non potendo essere ricondotta a nessun documento ufficiale, aveva de facto costituito una restrizione delle importazioni, violando pertanto l'art. XI dell'Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (General Agreement on Tarifs and Trade, successivamente GATT)6, che prescrive l'abolizione generale delle restrizioni quantitative. Analoghe considerazioni sono state raggiunte in merito al ricorso sulle misure inerenti specifici prodotti e sull'adozione delle misure di salvaguardia da parte di sei Stati membri7. Constatata la violazione del GATT, il panel ha proceduto a verificare se le misure in esame potessero trovare giustificazione nelle eccezioni contemplate dall'art. XX dell'Accordo contenente la disciplina delle eccezioni generali all'Accordo e, conseguentemente, se potessero trovare fondamento in due degli Accordi allegati che ne dettagliano i contenuti, ossia l'Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi (Technical Barriers to

Trade Agreement, successivamente TBT) e l'Accordo sulle misure sanitarie e

fitosanitarie

Sanitary

and Phitosanitary Measures Agreement,

(successivamente SPS). L'analisi del panel prende avvio proprio da quest'ultimo, in ragione della sua maggiore specificità. 6 Cfr. rapporto del panel, WTO doc. WT/DS291/R, par. 7.1273 7 Austria, Italia, Francia, Germania, Grecia e Lussemburgo.

3. Principali caratteristiche dell'Accordo SPS

L’ Accordo SPS opera un’integrazione e offre una disciplina di dettaglio al disposto della lettera b) dell’art. XX del GATT, che consente agli Stati di adottare misure necessarie alla protezione della salute e della vita di persone, animali e piante, purché queste non siano applicate in maniera da costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o ingiustificata tra Stati in cui vigono le medesime condizioni, né da essere una restrizione dissimulata agli scambi internazionali. Dall'analisi delle disposizioni del par. 1 dell’Allegato A8, emerge una definizione di misura sanitaria o fitosanitarie che è stata ritenuta per molto tempo estremamente rigorosa. Di fatto, si riteneva vi rientrassero 8 Una misura SPS viene definita come: “any measure applied: (a) to protect animal or plant life or health within the territory of the Member from risks arising from the entry, establishment or

spread of pests, diseases, disease-carrying organisms or disease-causing organisms; (b) to protect human or animal life or health within the territory of the Member from risks arising

from additives, contaminants, toxins or disease-causing organisms in foods, beverages or feedstuffs; (c) to protect human life or health within the territory of the Member from risks arising from diseases carried by animals, plants or products thereof, or from the entry,

establishment or spread of pests; or(d) to prevent or limit other damage within the territory of the Member from the entry, establishment or spread of pests.

Sanitary or phytosanitary measures include all relevant laws, decrees, regulations,

requirements and procedures including, inter alia, end product criteria; processes and production methods; testing, inspection, certification and approval procedures; quarantine treatments including relevant requirements associated with the transport of animals or plants,

or with the materials necessary for their survival during transport; provisions on relevant

statistical methods, sampling procedures and methods of risk assessment; and packaging and labelling requirements directly related to food safety.”

soltanto quelle misure immediatamente ricollegabili alla tutela della salute umana, animale o vegetale, dovendosi invece escludere la loro adozione per altri scopi, anche se successivamente riconducibili alla medesima finalità, come nel caso di misure volte a preservare l’habitat naturale di determinate specie9. L’art. 2, ai parr. 2 e 3, prevede che gli Stati membri debbano soddisfare quattro condizioni prima di adottare una misura SPS: andranno applicate soltanto nella misura necessaria a tutelare la vita e la salute, non dovranno costituire discriminazioni arbitrarie o ingiustificate né larvate restrizioni al commercio e, soprattutto, dovranno essere basate su adeguate prove scientifiche10. L’obbligo di valutazione scientifica costituisce uno dei capisaldi dell’Accordo, unitamente alle disposizioni dell’art. 3 in materia di armonizzazione, ma la sua applicazione nella prassi è stata piuttosto problematica e controversa. Infatti, la lettera degli 9 Picone Ligustro p. 212 e ss.; PEEL, "A Gmo by Any Other Name . . . Might Be an Sps Risk!:

Implications of Expanding the Scope of the Wto Sanitary and Phytosanitary Measures Agreement" in European Journal of International Law, 2007, Vol. 17, pp. 1009 e ss. 10 Nel caso Japan – Measures Affecting Agricultural Products (noto come caso Varietals) il requisito delle “prove scientifiche sufficienti” è stato interpretato nel senso che possa ritenersi sufficiente l’esistenza di una relazione logica e obiettiva tra le misure SPS e le prove scientifiche. Inoltre non si richiede che la valutazione dei rischi sia stata fatta necessariamente dallo Stato che adotta le misure, né che sia suffragata dalla maggioranza della comunità scientifica, potendosi anche basare su opinioni di minoranza, fermo restando il successivo controllo, in sede OMC, dell’effettiva applicazione di metodi e procedure scientifiche. Cfr. il rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS76/AB/R, del 22 febbraio 1999, par. 84, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base)

articoli sembra riconoscere la piena competenza degli Stati a determinare autonomamente il livello di protezione che ritengono maggiormente adeguato, potendo anche optare per un livello di rischio pari a zero, ma, nelle controversie che hanno avuto ad oggetto misure SPS 11, è emersa un’interpretazione particolarmente restrittiva dell’obbligo di valutazione scientifica, nel senso di richiedere la prova non dell’esistenza di un rischio,

ma

della

sicura

nocività

delle

conseguenze

legate

all’importazione di un determinato prodotto. Una simile impostazione ribalta completamente la ratio del principio precauzionale, noto cardine del diritto ambientale che, in caso di dubbio, prescrive di dare priorità alle esigenze di tutela della salute piuttosto che agli interessi legati alla libera circolazione delle merci. Per ovviare a tale grave lacuna normativa l’art. 5, par. 712, accoglie il principio, seppure formulato in termini piuttosto deboli. In tal senso, le misure SPS possono essere comunque adottate in assenza di sufficienti prove scientifiche, ma soltanto in via provvisoria e sulla base delle informazioni scientifiche disponibili. Inoltre, 11 Si tratta della già citata controversia sul caso Varietals, del caso Australia – Measures

Affecting the Importation of Salmon e del caso European Communities – Measures Concerning Meat and Meat Products (noto come caso Hormones) 12 “In cases where relevant scientific evidence is insufficient, a Member may provisionally adopt sanitary or phytosanitary measures on the basis of available pertinent information, including that from the relevant international organizations as well as from sanitary or phytosanitary measures applied by other Members. In such circumstances, Members shall seek to obtain the additional information necessary for a more objective assessment of risk and review the sanitary or phytosanitary measure accordingly within a reasonable period of time.”

lo Stato che intenda adottarle ha l’obbligo di continuare la ricerca per ottenere le prove scientifiche definitive della necessità delle misure in questione, le quali dovranno essere sottoposte a un riesame entro un periodo di tempo ragionevole. Infine, in sede giudiziale è stato chiarito che i requisiti menzionati devono essere considerati cumulativamente e che l’onere di provare che siano stati rispettati incombe sullo Stato che intenda adottare la misura SPS, procedura solitamente piuttosto onerosa dal punto di vista finanziario, soprattutto per i paesi in via di sviluppo. A ciò va aggiunto che, a differenza di quanto previsto dall’art. XX, le misure SPS necessitano di una giustificazione a prescindere da ogni eventuale violazione della normativa OMC. Invece, nel caso in cui uno Stato adotti una misura SPS sulla base degli standard formulati dalle organizzazioni internazionali competenti13, l’art. 3 par. 2, prevede che debbano ritenersi necessarie e compatibili con l’Accordo SPS, senza bisogno di verifica successiva. 13 Si tratta della Commissione del Codex Alimentarius, organo consultivo con sede a Roma creato su iniziativa della FAO e dell’OMS e competente su questioni di sicurezza alimentare,

dell’Ufficio internazionale delle epizoozie (Office International des épizooties, OIE) con sede a

Parigi, che svolge le stesse funzioni relativamente alla salute degli animali e alle zoonosi, cioè le

malattie degli animali trasmissibili all’uomo, della Commissione ad interim sulle misure fitosanitarie (Interim Commission for Phytosanitary Measures, ICPM) della Convenzione

internazionale per la difesa dei vegetali (International Protection Plants Convention, IPPC), nonché ogni altra organizzazione internazionale con competenze in questi settori individuata dal Comitato SPS dell’OMC. I resoconti delle attività delle organizzazioni e relativi standard

normativi approvati possono essere consultati sui siti ufficiali delle organizzazioni, rispettivamente, www.codexalimentarius.net, www.oie.int, www.ippc.int, (pagine base).

4. L'ambito di applicazione dell'Accordo SPS nel rapporto del panel

L'interpretazione del par. 1 dell'Allegato A e, specificamente, del termine “measures” ivi utilizzato, ha ampliato notevolmente l'ambito di applicazione dell'Accordo SPS. Com'è noto, le condizioni poste dall'Accordo allo Stato che intenda adottare le misure da esso contemplate sono di gran lunga più rigorose14 di quanto richiesto dall'Accordo TBT o dall'art XX del GATT, in ragione dei fondati timori circa i rischi di protezionismo agricolo sorti durante i negoziati. Conseguentemente, l'ampliamento della portata delle prescrizioni in esso contenute operato dal panel è suscettibile di avere conseguenze particolarmente rilevanti soprattutto in materia di gestione del rischio ambientale. La difesa della Comunità Europea aveva escluso che le direttive in esame potessero essere considerate misure SPS, dal momento che un OGM non può essere considerato una vera e propria “desease” come previsto dall'Allegato A, poiché a riguardo si richiede l'esistenza di un concreto effetto patogeno e non una mera possibile interazione negativa con l'ecosistema circostante. Inoltre, a differenza dell'Accordo TBT, l'Accordo SPS non contempla tra le proprie finalità la protezione 14 Si consideri che nella quattro controversie che hanno avuto in esame misure SPS, Varietals,

Australian Salmon, Hormones e Biotech, la normativa dell'Accordo è sempre stata considerata violata, sia dai rispettivi panel che durante il successivo giudizio d'appello.

dell'ambiente in quanto tale, noto cardine della normativa comunitaria in esame. Il panel ha rigettato entrambe le argomentazioni della Comunità, sostenendo che le direttive rientravano tra le finalità dell'Accordo, almeno nella misura in cui intendessero tutelare la vita e la salute di animali o piante come parte del loro proposito generale di proteggere l'ambiente15. Riguardo al disposto dell'Allegato A, il panel ha rinvenuto la possibilità di considerare le disposizioni sugli OGM come misure SPS ai sensi di tutte e quattro le lettere del par. 1. Specificamente, ha interpretato il termine “pest” di cui alla lettera a) in senso particolarmente estensivo, considerando che l'introduzione di un prodotto biotecnologico può aiutare la diffusione di parassiti anche indirettamente e che niente nell'Accordo SPS prescrive che il prodotto oggetto della misura debba essere esso stesso il parassita che dà origine al rischio che si intende limitare16. In relazione alla lettera b), i termini “feedstuff” è stato considerato un fattore inclusivo delle misure comunitarie in quanto contemplato dall'Allegato A, poiché, ad esempio, un seme geneticamente modificato potrebbe divenire accidentalmente mangime per la fauna selvatica. Similarmente, le misure comunitarie rientrano nel caso 15 Cfr. rapporto del panel, par. 7.203. In conseguenza di tale osservazione, dei provvedimenti normativi potrebbero ricadere nell'ambito di applicazione di più di un Accordo, risultando conformi soltanto a uno di questi. Dal rapporto del panel non emerge quale debba essere la condotta da seguire in caso di sovrapposizione. 16 Ibidem, par. 7.268.

contemplato dalla lettera c) in ragione del potenziale effetto allergenico degli OGM; inoltre, tali organismi sono sicuramente in grado di procurare gli “other damages” derivanti dalla diffusione di parassiti di cui alla lettera d), con particolare riferimento ai danni all'ambiente che esulano da quelli arrecati alla vita o alla salute di animali o piante. Tuttavia, a riguardo, il panel ha ritenuto necessario esplicitare che il danno alla biodiversità rientra nelle ipotesi delle lettere a) e b)17. In relazione al regolamento 258/97 è stato notato come debbano essere caratterizzate come misure SPS soltanto quelle miranti a prevenire un danno al consumatore, potendosi invece escludere le misure adottare a fini meramente informativi18. Le violazioni contestate dalle parti ricorrenti riguardavano i parr. 2 e 3 dell'art. 2, i parr. 1, 5 e 6 dell'art. 5, l'art. 7 e l'Allegato B relativi agli obblighi di trasparenza, il par. 1 dell'art. 10 che prevede un trattamento preferenziale per i paesi in via di sviluppo e, infine, l'articolo 8 e il relativo allegato C contenente obblighi di natura procedurale miranti a garantire che le eventuali procedure di autorizzazione vengano completate “without undue delay”. In considerazione del fatto che la moratoria della Comunità traeva origine esclusivamente dall'applicazione

17 Ibidem, par. 7.365. 18 Ibidem, par. 7.408.

concreta delle misure autorizzative, senza essere rinvenibile in alcun modo nella lettera della normativa comunitaria, il panel ha dovuto escludere a priori la violazione degli obblighi sostanziali dell'Accordo, riconoscendo soltanto la violazione delle ipotesi contemplate dell'art. 8 e dall'Allegato C, poiché la definizione di misura SPS si riferisce soltanto a “requirements and procedures”, categorie cui non può essere ricondotta una mera prassi applicativa19. In conseguenza, la conformità della disciplina comunitaria non è stata valutata e varie questioni, in particolare relative all'obbligo di valutazione scientifica dei rischi, non sono state prese in esame dal panel. Al contrario, riguardo alla nozione di “undue delay” sono state sviluppate interessanti considerazioni. Sulla base del significato ordinario dei

termini,

il

panel

ha

ritenuto

che

un

ritardo

eccessivo

nell'espletamento delle procedure dovesse intendersi come un periodo di tempo perso a causa di inattività o di incapacità di procedere, che vada al di là di quanto predeterminato e che sia privo di giustificazione. Nell'operare la valutazione della sussistenza di tale ingiustificabile perdita di tempo, sia le ragioni che l'hanno determinata che la sua effettiva durata devono, caso per caso, essere presi in considerazione, al fine di verificare il rispetto dell'obbligo di cooperazione in buona fede. 19 Ibidem, par. 7.1328.

Nell'analizzare le ragioni della moratoria, il panel rileva che i reiterati appelli di alcuni Stati membri alla sospensione delle autorizzazioni, in attesa almeno dell'adozione di regole definite in materia di etichettatura e tracciabilità degli OGM e sulla base di un approccio precauzionale, sono stati l'elemento che ha de facto impedito alla Commissione di adottare una decisione sulle richieste di autorizzazione. Il panel è passato quindi a valutare sia se l'eventuale inadeguatezza della normativa interna che un approccio precauzionale dovuto alla repentina evoluzione delle conoscenza scientifiche in materia, potessero costituire giustificazioni adeguate del ritardo delle procedura di autorizzazione. Riguardo la prima questione, la facoltà della Comunità di ricorrere a strumenti alternativi, quali, ad esempio l'inclusione di ulteriori requisiti circa etichettatura e tracciabilità nelle procedure per l'introduzione nel mercato, ha fatto venire meno la possibilità di invocare tale circostanza come elemento giustificativo. Analogamente è stata esclusa la possibilità di procrastinare la concessione di autorizzazioni sulla base delle incertezze dovute all'assenza di certezze scientifiche. Di fatto, il par. 1 dell'Allegato C non preclude la possibilità di procedere cautamente alla valutazione, ma tale cautela deve necessariamente trovare un limite, a rischio di bloccare indefinitamente lo scambio commerciale di OGM. Tale limite deve essere rinvenuto nell'obbligo di

addivenire a una decisione, quale che sia la natura di quest'ultima. Difatti, qualora le conoscenze scientifiche attuali non presentino una grado di protezione adeguato a quanto deciso dallo Stato di importazione, permane la possibilità di fare ricorso ai meccanismi offerti dal par. 7 dell'art. 5, negando, seppur temporaneamente e con l'obbligo di provvedere ad un adeguata revisione della valutazione del rischio, l'autorizzazione all'immissione sul territorio. Merita rilevare che il panel ha previsto la possibilità che in determinati casi l'evoluzione delle conoscenze possa giustificare un ritardo delle procedure, ma ha circoscritto tale eventualità al caso in cui vengano alla luce nuove conoscenze scientifiche in aperto conflitto con le conoscenze attuali e che siano direttamente rilevanti ai fini del processo di autorizzazione20.

5. Le misure di salvaguardia adottate dai singoli Stati membri Nonostante le parti ricorrenti avessero contestato la conformità di di tutte le misure oggetto della controversia con gli obblighi di valutazione scientifica ex artt. 2, par. 2 e 5, par.1, soltanto le misure di salvaguardia adottate dai singoli Stai membri sono state valutate alle luce di tali 20 Ibidem, par. 7.1525.

disposizioni. Le considerazioni sviluppate dal panel in questa sede rivestono un particolare rilievo sul ruolo che scienza e precauzionalità svolgono all'interno dell'Accordo SPS. Le misure di salvaguardia sono state ritenute non conformi al combinato disposto degli artt. 2, par. 2 e 5, par.1, senza che potessero essere invocate le circostanze di cui all'art. 5, par.7 e pertanto sono state dichiarate illegittime. Alla valutazione del rischio operata in sede comunitaria non era seguito un analogo procedimento interno su cui fondare le misure nazionali e, di conseguenza, nessuna delle misure poteva essere considerata basata su una valutazione del rischio. Inoltre, poiché una valutazione del rischio era stata comunque condotta, le misure non potevano considerarsi rientranti nell'ambito di applicazione del par. 7 dell'art.5, il quale, nell'opinione del panel, deve essere circoscritto ai casi in cui non esistono prove sufficienti per operare tale valutazione. La valutazione prescritta dal par. 1 dell'art. 5 deve essere condotta “as appropriate to the circumstances”. Secondo la Comunità, le misure di salvaguardia erano fondate su una valutazione del rischio adeguata alle circostanze, che rispecchiavano l'insufficienza di prove scientifiche. Al contrario, il panel ha limitato l'applicabilità della locuzione alla misura in cui vengono soddisfatti gli elementi previsti dalla definizione di

valutazione del rischio contenuta nel par. 4 dell'Allegato A21. Inoltre, non considerando la questione dell'assenza di prove scientifiche, viene anche tralasciata la rilevanza del principio di precauzione nel determinare la portata della valutazione del rischio. Verso una limitazione del ruolo della precauzione nel determinare il contenuto dell'art. 5, par.1, vanno anche le considerazioni effettuate dal panel riguardo al fatto che il principio può influenzare soltanto le misure adottate per raggiungere il livello di protezione adeguato, ma non la relazione logica che lega la misura alla valutazione del rischio22. Importanti valutazioni sono state fatte anche con specifico riguardo alla portata del par. 7 dell'art. 5 e all'estensione del diritto ad adottare misure precauzionali ivi contenuto. La Comunità Europea aveva argomentato che il contenuto del par. 7 doveva essere considerato come un diritto a sé stante, autonomo e non subordinato alle prescrizioni del par. 1, contrariamente a quanto era emerso in alcuni casi precedenti, dai quali era stata desunta la definizione di “eccezione qualificata” al principio di non mantenere misure SPS in assenza di certezza scientifica. Il panel ha 21 “The evaluation of the likelihood of entry, establishment or spread of a pest or disease within

the territory of an importing Member according to the sanitary or phytosanitary measures which might be applied, and of the associated potential biological and economic consequences;

or the evaluation of the potential for adverse effects on human or animal health arising from the presence of additives, contaminants, toxins or disease-causing organisms in food, beverages or feedstuffs.”

22 Ibidem, par. 7.3050.

accolto l'interpretazione comunitaria, la quale implica importanti conseguenze in materia di inversione dell'onere probatorio, ma ha rigettato la parte in cui l'autonomia del principio di precauzione veniva invocata al fine di escludere la necessità di un previo esame delle misure alla luce del par. 1. Dal raffronto operato dal panel, tra le due disposizione emerge un'interpretazione che restringe notevolmente la portata della facoltà di adottare misure precauzionali, poiché si rileva che le prove scientifiche possano essere ritenute insufficienti solo qualora non rendano concretamente possibile la valutazione del rischio ex par. 4 dell'Allegato A23. Le conseguenze di una simile constatazione limitano fortemente

la

discrezionalità

dello

Stato

che

intenda

definire

autonomamente l'adeguatezza del livello di rischio da considerarsi accettabile sul proprio territorio. In altre parole, la valutazione dell'adeguatezza viene ad assumere una caratterizzazione meramente quantitativa, fondata esclusivamente sulla presa in esame delle attuali conoscenze scientifiche, senza la possibilità di attribuire un ruolo alla valutazione qualitativa di dette conoscenze da parte degli Stati. In tal senso, la Comunità suggeriva che la nozione di adeguatezza avrebbe dovuto provvedere a definire il contenuto del concetto di insufficienza delle prove scientifiche alla base del par. 7. Il panel ha accolto una 23 Ibidem, par. 7.2986

prospettiva diametralmente opposta, definendo adeguata soltanto la valutazione del rischio che risponda ai criteri del par. 4 dell'Allegato A24. le conseguenze di una simile impostazione riducono sensibilmente le aperture della precedente giurisprudenza, che contemplava la possibilità che uno Stato potesse optare anche per l'eliminazione radicale del rischio. Al contrario, qualora le prove scientifiche siano state sufficienti a condurre una valutazione del rischio, ogni misura adottata dovrà essere basata su quest'ultima e avere natura permanente, anche qualora il livello di protezione offerto non incontri gli standard di adeguatezza propri della Stato di importazione. Nel quadro delle attività comunitarie, tale inversione di prospettiva si concretizza nell'impossibilità, da parte degli Stati membri, di adottare misure di salvaguardia che prevedano una protezione più elevata di quanto disposto nella valutazione operata a livello comunitario fondate sul par. 7. A meno che tale valutazione non contenga un'opinione divergente o gli Stati membri non procedano ad un'autonoma e ulteriore valutazione che soddisfi i requisiti del par. 1, è fatto divieto di adottare le misure che l'art. 23 della direttiva 18/2001 autorizza “sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell'autorizzazione e che riguardino la valutazione di rischi ambientali o una nuova valutazione delle 24 Ibidem, par. 7.3226.

informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche”.

6. L'interpretazione della diritto dell'OMC e i Multilateral Environmental

Agreements

Sulla legittimità dell’utilizzo delle disposizioni dei Multilateral

Environmental

Agreements

(succesivamente

MEAs)

nel

quadro

dell’attività interpretativa, coerentemente con il disposto dell’art. 31, par. 3 c) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati25, riconosciuta regola generale di interpretazione cui rinvia l’art. 3, par. 2 del Accordo 25 Le regole generali di interpretazione dei trattati codificate dalla Convenzione di Vienna prevedono che:

“1. A treaty shall be interpreted in good faith in accordance with the ordinary meaning

to be given to the terms of the treaty in their context and in the light of its object and purpose.

2. The context for the purpose of the interpretation of a treaty shall comprise, in

addition to the text, including its preamble and annexes:

(a) any agreement relating to the treaty which was made between all the parties in

connection with the conclusion of the treaty;

(b) any instrument which was made by one or more parties in connection with the

conclusion of the treaty and accepted by the other parties as an instrument related to the treaty. 3. There shall be taken into account, together with the context:

(a) any subsequent agreement between the parties regarding the interpretation of the treaty or the application of its provisions;

(b) any subsequent practice in the application of the treaty which establishes the

agreement of the parties regarding its interpretation;

(c) any relevant rules of international law applicable in the relations between the

parties.” (corsivo aggiunto)

sulla risoluzione delle controversie dell'OMC, e coerentemente con il riconoscimento nel preambolo dell'Accordo istitutivo dell'Organizzazione dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile come elemento determinate il contesto nel quale un trattato deve essere interpretato, ex art. 31, par. 2 della stessa Convenzione, pareva che si fosse affermata una sostanziale unità di vedute. Tale tendenza si fondava sulla chiara presa di posizione dell’Organo d’Appello nel caso United States – Import Prohibition of

Certain Shrimp and Shrimp Products (successivamente Shrimps/Turtles), che aveva rafforzato quanto già affermato nel caso United States –

Standards for Reformulated and Conventional Gasoline (successivamente Gasoline), ossia che il diritto OMC non deve essere interpretato in “isolamento clinico”26 dal diritto internazionale pubblico. Una simile previsione deve essere tenuta presente in ogni circostanza in cui vengano in rilievo normative ambientali, a prescindere dalla possibilità di poter ricondurre le fattispecie in esame alle disposizioni di accordi contrastanti. Valga l’esempio della decisione dell’Organo d’appello di riconoscere le tartarughe come risorse naturali esauribili alla luce delle disposizioni della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione e della Convenzione di 26 Cfr. il rapporto dell’Organo d’appello nel caso Gasoline, WTO doc. WT/DS2/AB/R, p. 16: “(...)

Article 3.2 of the DSU (...) reflects a measure of recognition that the General Agreement is not to be read in clinical isolation from public international law.” (corsivo originale)

Montego Bay sul diritto del mare, nonostante non tutte le parti della controversia fossero vincolate al tali convenzioni. Recentemente, anche la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite ha enfatizzato la natura sistemica del diritto internazionale, in virtù della quale il noto problema della frammentazione normativa deve essere risolto in via interpretativa27. La Comunità Europea ha accolto pienamente tale impostazione e, rievocando la ratio del caso Shrimps/Turtles, ha sostenuto che il panel avrebbe dovuto tenere in considerazione i rilevanti strumenti di diritto internazionale nell'interpretazione del diritto OMC. In tal senso, ha ritenuto necessario richiamare esplicitamente la Convenzione sulla diversità biologica e il rispettivo Protocollo sulla biosicurezza28 (si noti che, analogamente al caso Shrimps/Turtles, non tutte le parti alla 27 Cfr. il rapporto del gruppo di studio della Commissione, “Fragmentation of International

Law: Difficulties Arising from the Diversification and Expansion of International Law” citato in McMAHON, YOUNG, The WTO'S Use of Relevant Rules of International Law: An Analysis of the Biotech Case, in International and Comparative Law Quarterly, 2007, p. 907. 28 Obiettivi della Convenzione sulla diversità biologica sono la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile delle sue componenti, l’equa ripartizione dei benefici derivanti dalla sua utilizzazione. Ad essa ha fatto seguito un protocollo attuativo finalizzato alla prevenzione dei danni alla biodiversità nel caso di esportazione di organismi viventi geneticamente modificati. L'elemento centrale del protocollo è la procedura di accordo preliminare, la quale assicura al Paese importatore l'accesso a tutte le informazioni necessarie alla valutazione dei rischi ambientali e il diritto di prendere una decisione prima dell'importazione, secondo il principio del previo consenso informato. Il Protocollo rappresenta una prima applicazione, a livello internazionale e all’interno di un documento di natura vincolante, del principio precauzionale, a cui ogni paese può appellarsi per giustificare le decisioni prese riguardo all'importazione.

controversia ero anche parti di tali trattati) nonché il principio di precauzione in qualità di principio generale29. Il panel, interpretando la frase “applicable in the relations between

the parties”, ha sostenuto che nell'art. 31, par. 3, c) si intende fare riferimento a ogni regola di diritto internazionale rilevate nelle relazioni tra tutte le parti al trattato che si vuole interpretare, rigettando, pertanto, la richiesta di tenere in considerazione la Convenzione e il Protocollo. Singolarmente, il panel non ha voluto considerare l'eventualità in cui le regole di diritto internazionale non siano applicabili a tutti i membri dell'OMC, ma a tutte le parti della controversia. Riguardo al ruolo del principio di precauzione, la Comunità Europea ha sostenuto che la gestione degli OGM presenta dei rischi particolarmente elevati sia per la salute umana che per l'ambiente nel suo complesso e che, pertanto, è necessario procedere attraverso un approccio caso per caso fondato sul rispetto di tale principio. Citando una lunga serie di strumenti internazionali che incorporano il principio, la Comunità ha asserito che oggi esso può essere considerato a pieno titolo un principio generale di diritto internazionale. Il panel, sostenendo che l'interpretazione comunitaria non chiariva efficacemente cosa si dovesse intendere con principio generale di diritto internazionale, ha sottolineato 29 Cfr. il rapporto del panel, par. 7.78

che tale nozione può comprendere sia le norme consuetudinarie, sia i principi generali riconosciuti dagli Stati, sia entrambi, e che il principio andava analizzato sotto ciascuno dei suddetti profili. Nell'espletare tale compito, il panel ha replicato la logica seguita dall'Organo d'appello nel caso Hormones, in cui la Comunità Europea aveva sollevato la medesima questione. Non risultando chiaro se gli Stati membri avessero o meno accettato il principio come norma consuetudinaria, l'Organo d'appello aveva deciso di non prendere una posizione in merito, visione pertanto accolta anche dal rapporto sul caso Biotech30. Infine il panel ha esaminato se dovessero essere prese in considerazione regole di diritto internazionale che non siano applicabili tra tutte le parti alla controversia e perciò al di fuori di quanto contemplato dall'art. 31, par. 3 c). Partendo dalle considerazioni dell'Organo d'appello nel caso Shrimps/Turtles, il panel ha concluso che tali regole possono essere considerate nella misura in cui hanno un valore “informativo”, ossia rappresentano un meccanismo ausiliario rispetto al mero uso del dizionario per definire il significato ordinario delle parole che il par. 1 dell'art. 31 identifica come primo fondamento dell'attività interpretativa31.

30 Ibidem, par. 7.87. 31 Ibidem, par. 7.92

Di conseguenza, a seguito dell'approvazione del rapporto del panel da parte dell'Organo di soluzione delle controversie, la prospettiva accolta nel caso

Shrimps/Turtles, che sembrava avere aperto la strada alla

“mutual supportiveness” tra commercio e ambiente autorevolmente invocata dalla Conferenza ministeriale di Doha32, ha subito un inversione alquanto radicale, negando la possibilità che strumenti internazionali che non siano stati ratificati da tutti i membri dell'OMC possano avere concreta rilevanza in sede giudiziale, al di fuori dell'ipotesi in cui possano contribuire a chiarire il significato di un termine e senza comunque creare alcun obbligo in tal senso. I limiti di un'impostazione così fortemente statocentrica dei rapporti tra strumenti internazionali non può non creare forti perplessità nei settori disciplinati dai MEAs, frequentemente qualificati come questioni di interesse

comune

dell'umanità.

Inoltre,

assume

un

significato

particolarmente eloquente anche il fatto che sia l'Accordo SPS che l'Accordo TBT riconoscano un ruolo sostanziale agli standard elaborati delle organizzazioni internazionali pertinenti, i quali, pur non avendo carattere vincolante e pur non avendo ricevuto la previa approvazione di tutti gli Stati membri dell'OMC, consentono, una volta adottati, di presumere la conformità della misura con la normativa degli accordi. 32 Cfr. Dichiarazione di Doha, par. 31, consultabile sul sito www.wto.org (pagina base).

Avendo quindi, un ruolo determinante nel definire gli obblighi di uno Stato, a maggior ragione ad essi viene attribuita una funzione rilevante nell'interpretazione del diritto OMC, nonostante non tutti gli Stati abbiano manifestato il proprio consenso alla loro adozione. Alla luce di quanto esposto, le esortazioni contenute nella Dichiarazione di Doha circa la necessità di definire esplicitamente e definitivamente le relazioni tra il diritto OMC e le disposizioni dei MEAs che abbiano conseguenze in campo commerciale, unitamente a procedure dettagliate che consentano lo scambio di informazioni tra i segretariati degli accordi multilaterali e il Comitato su commercio e ambiente

dell'Organizzazione,

appaiono

quantomai

opportune

e

lungimiranti.

7. Conclusioni

Buona parte della stampa internazionale ha presentato le conclusioni raggiunte dal panel come una netta vittoria delle parti ricorrenti. Come abbiamo visto, la realtà dei fatti è ben lontana da quanto è stato sostenuto in tali sedi. Sia la moratoria de facto che le misure relative ai singoli prodotti non sono state considerate contrarie ai requisiti

sostanziali dell'Accordo SPS e la violazione dell'art. 8 riscontrata in merito all'applicazione concreta delle stesse non compromette in alcun modo la loro legittimità. Alcuni aspetti del rapporto del panel

risultano

particolarmente preoccupanti, come le conclusioni circa il rapporto con i MEAs o la definizione restrittiva di valutazione del rischio, ma in esso non viene mai messa in dubbio la facoltà degli stati membri dell'OMC di regolare il commercio di OGM anche attraverso l'utilizzo di blocchi alle importazioni e di moratorie sulla loro approvazione, qualora il ritardo da esse comportato non risulti eccessivo. Anche le misure di salvaguardia adottate dai singoli Stati, pur giudicate contrarie agli artt. 2, par. 2 e 5, par. 1 senza trovare giustificazione nell'art. 5, par. 7, potrebbero entro certi limiti risultare legittime qualora gli Stati conducessero un'ulteriore valutazione del rischio e, in ogni caso, la mancata conformità delle misure attuali non richiede alcuna modifica della disciplina comunitaria. Tuttavia, l'interpretazione estremamente restrittiva della nozione di valutazione del rischio suscita seri dubbi circa la facoltà degli Stati membri di adottare misure fondate sul principio di precauzione e nello stesso senso vanno le perplessità determinate dalla mancata pronuncia circa lo status del principio nel quadro del diritto internazionale generale. Analogamente, molte questione inerenti il commercio degli OGM

non sono state oggetto dell'esame del panel, nonostante ampie componenti della comunità internazionale e della società civile fossero altamente interessate a una definizione di tali quesiti. Ci si riferisce, in primo luogo, alla necessità di indagare se il rischio insito nei prodotti OGM possa far venire meno il rapporto di similarità tra questi e i prodotti non geneticamente modificati. In tal caso, come è avvenuto in relazione ai prodotti contenenti amianto nel caso European

Communities – Measures Affecting Asbestos and Asbestos-Containing Products, non si riscontrerebbe alcuna violazione della normativa sostanziale del GATT e in particolare dell'art III relativo all'obbligo di trattamento nazionale, e pertanto verrebbe meno la necessità di verificare la conformità delle misure con il regime delle eccezioni. Secondariamente, non è stata valutata la conformità di una normativa che imponga l'approvazione di un prodotto biotecnologico prima della commercializzazione, né delle onerose procedure da essa contemplate, fondate su un esame caso per caso. Tuttavia, il principale elemento di delusione e di preoccupazione deve essere ricercato nella valutazione operata dal panel circa il rapporto tra il diritto OMC e i MEAs. I trattati multilaterali in esame non sono stati ritenuti utili ai fini dell'interpretazione degli elementi delle controversia, senza soffermarsi a indagare a fondo le ragioni sottostanti. Negare ogni

rilevanza all'unico trattato multilaterale sugli OGM stupisce e preoccupa, minando seriamente le fondamenta del mutuo supporto che dovrebbe contraddistinguere il rapporto tra commercio e ambiente e la condivisa tendenza ad affrontare su basi multilaterali le problematiche ambientali. In tal senso, la decisione delle parti della controversia di non presentare richiesta di appello entro 60 giorni dal deposito del rapporto del panel, fatto assolutamente inusuale nella quadro dell'attività giudiziale dell'OMC, a causa della cessazione delle misure comunitarie, lascia serie perplessità e incontestabile delusione. Difatti, in quasi tutti i casi che hanno avuto per oggetto misure di tutela ambientale,

le

successive pronunce dell'Organo di appello si sono mostrate di gran lunga più accurate e attente a trovare un bilanciamento tra opposte esigenze che non ponesse la protezione dell'ambiente in palese subordine rispetto alla libera circolazione di merci e servizi.

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