International Treaty On Plant Genetic Resources

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MASTER DI SECONDO LIVELLO IN DIRITTO AMBIENTALE NORME, ISTITUZIONI, ATTUAZIONE A.A. 2007-2008

Il Trattato internazionale sulle risorse genetiche vegetali per l'alimentazione e l'agricoltura: stato dell'attuazione

autore: Marina Chiarugi

1. La genesi del Trattato internazionale sulle risorse genetiche vegetali per l'alimentazione e l'agricoltura Le risorse genetiche vegetali per l'alimentazione e l'agricoltura presentano delle specificità del tutto peculiari rispetto alle altre categorie di risorse genetiche, grazie a una serie di fattori che le caratterizzano. In primo luogo, deve essere considerato il ruolo determinate svolto dall'intervento umano nell'ambito delle attività di conservazione, creazione, mantenimento e miglioramento delle diverse colture. Inoltre, tali risorse sono per definizione sparse in tutto il mondo e pertanto, in ragione dell'importanza che rivestono nel garantire un obiettivo di assoluta priorità quale la sicurezza alimentare, l'interdipendenza tra i membri della comunità internazionale risulta oltremodo elevata. Conseguentemente, gli scambi internazionali di materiale fitogenetico sono sempre stati particolarmente numerosi, al fine di garantire produzione, selezione e ricerca. Tale circostanza rende particolarmente difficile, e in certi casi addirittura impossibile, l'identificazione del paese di origine, a differenza delle specie selvatiche endemiche, evolutesi senza l'intervento umano e non soggette a transazioni internazionali. Inoltre, non è possibile prescindere dalla considerazione dei rischi che, risorse genetiche a tal punto essenziali, corrono in conseguenza umane, quali le attività di c.d. biopirateria, l'introduzione di sistemi agricoli incentrati sulle monocolture intensive, nonché a causa degli effetti del surriscaldamento climatico indotto dalle emissioni antropogeniche di gas serra. Il Trattato internazionale sulle risorse genetiche vegetali per l'alimentazione e l'agricoltura (successivamente, il Trattato) è stato adottato il 3 novembre 2001, al termine della trentunesima sessione della Conferenza della FAO (Food and Agricolture Organization), al fine di garantire un approccio integrato e fondato su uno strumento giuridico di natura vincolate alla gestione di risorse a tal punto essenziali. L'adozione del Trattato è avvenuta per consensus, nonostante le significative astensioni di Stati Uniti e Giappone. Il processo negoziale che ne ha preceduto l'adozione, durato sette anni e portato avanti in seno alla Commissione sulle risorse genetiche vegetali della FAO, è stato innescato dalla risoluzione 7/93, che richiamava l'attenzione degli Stati membri di fronte alla necessità di revisione dell'Intesa internazionale sulle risorse genetiche vegetali del 1983, in conformità al nuovo modello di gestione delle risorse genetiche contenuto nella Convenzione sulla diversità biologica (CDB). Il Trattato ha visto la sua entrata in vigore il 29 giugno 2004, novantesimo giorno successivo al deposito del quarantesimo strumento di ratifica (condizione aggiuntiva per l'entrata in vigore era che almeno la metà delle quaranta ratifiche provenisse da Stati membri della FAO) e ad oggi conta 116 parti contraenti (115 Stati e la Comunità Europea). Stati Uniti e Giappone risultano a tutt'oggi estranei al sistema del Trattato, tuttavia gli Stati Uniti lo hanno firmato nel 2002. Gli obiettivi generali sono del tutto affini a quelli della CDB, ovvero la conservazione delle risorse genetiche, il loro utilizzo sostenibile e la condivisione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione, ma l'ambito di applicazione ratione materiae risulta notevolmente circoscritto rispetto alla Convenzione. In esso rientrano esclusivamente le risorse genetiche di origine vegetale per l'alimentazione e l'agricoltura conservate sia in situ che ex situ, dovendosi pertanto escludere ogni ipotesi di applicabilità delle disposizioni del Trattato all'utilizzo di dette risorse in campo chimico, farmaceutico e nell'industria non alimentare, in coerenza con le finalità ultime del Trattato, ossia la promozione di un'agricoltura sostenibile e della sicurezza alimentare. Inoltre, soltanto le risorse fitogenetiche per usi agricoli o alimentari elencate nell'Allegato I rientrano nell'ambito di applicazione dei meccanismi contemplati dalla Parte IV, posti a fulcro del trattato e volti a facilitare l'accesso alle risorse e l'equa divisione dei benefici da esse derivanti. L'allegato elenca sessantaquattro specie vegetali per impieghi sia alimentari che foraggieri e comprendenti quasi tutte le principali varietà di cereali e legumi, scelte in base a criteri di sicurezza alimentare e di interdipendenza. L'inclusione di ventinove varietà di foraggi estende notevolmente la portata del Trattato, offrendo all'agricoltore garanzie sia sotto il profilo meramente agricolo che riguardo all'allevamento. Ciò nonostante, sono state tenute fuori dal sistema alcune specie economicamente importanti: la soia, certe varietà di foraggi, la canna da zucchero, la palma, il pomodoro, etc. Com'è naturale, tale risultato è frutto di un compromesso fra i vari interessi degli Stati. Alcuni paesi in via di sviluppo, in particolare, hanno ritenuto che, in riferimento a tali specie, la libertà di ricorrere agli accordi bilaterali fondati

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sull'art. 15 della CDB permettesse loro di trarre benefici economici maggiori. 2. Il mutamento del regime di accesso alle risorse fitogenetiche tra l'Intesa del 1983 e il Trattato del 2001 Il Trattato sulle risorse fitogenetiche offre un esempio dei tentativi di contemperare il modello di patrimonio comune dell'umanità proposto dell'Intesa della FAO con il principio di sovranità contemplato dalla CBD. Il periodo storico che separa i due strumenti normativi ha assistito ad un mutamento radicale del paradigma concettuale alla base del modello di gestione delle risorse genetiche. Seppure priva di portata vincolante, l'Intesa proclamava il divieto di porre restrizioni all'accesso alle risorse fitogenetiche in quanto heritage of mankind. Tale approccio è stato reso inoperativo dalla quasi totale assenza di meccanismi di gestione internazionale e di ripartizione dei benefici, nonché dalla convergenza di interessi sia dei paesi in via di sviluppo che dei paesi industrializzati. Se, da un lato, ai primi premeva garantirsi la massima discrezionalità riguardo la gestione delle proprie risorse (sia per potersi opporre a future azioni di biopirateria, sia per poter massimizzare i benefici derivanti dal loro sfruttamento economico), i secondi non potevano prescindere dal pretendere garanzie efficaci circa la protezione degli interessi commerciali inerenti lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale. La ratio che ha condotto all'adozione del più evanescente concetto di interesse comune dell'umanità (common concern of humankind) presente nel preambolo della CBD, è stata anticipata da due risoluzioni miranti alla revisione dell'Intesa, in cui veniva proposto il compromesso marcatamente ossimorico secondo il quale “il concetto di patrimonio comune dell'umanità, come applicato nell'Intesa (...), è soggetto alla sovranità degli Stati sulle loro risorse fitogenetiche”. Naturalmente, pur discostandosi nettamente dalla nozione di patrimonio comune dell'umanità, la prospettiva offerta dall'interesse comune risulta attenuata rispetto al sistema contenuto nella nota risoluzione 1803 del '62 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla sovranità permanente dei popoli sulle risorse naturali. Difatti, in relazione a quest'ultima, è stato definito da parte della dottrina “regime moderno di sovranità permanente”, poiché la sovranità dello Stato territoriale deve essere adattata all'interesse generale della comunità internazionale nel garantire l'accesso a tali risorse, evitando restrizioni irragionevoli che collidano con la riconosciuta necessità di un approccio olistico e cooperativo alla gestione e conservazione delle stesse. L'art. 15 della CBD esemplifica efficacemente il nuovo approccio, riconoscendo agli Stati la facoltà di disciplinare autonomamente l'accesso alle proprie risorse, dovendo soltanto evitare restrizioni contrarie allo spirito della Convenzione. L'art. 16, definendo i termini per il trasferimento tecnologico, avrebbe dovuto assicurare ai paesi in via di sviluppo l'adeguata contropartita per la concessione dell'accesso alle risorse genetiche, garantendo ad essi facilitazioni similari in materia di accesso alla tecnologia. La formulazione delle norme ivi contenute rappresenta, al contrario, una vittoria dei paesi economicamente sviluppati, in cui la tutela della proprietà intellettuale sembra porre in subordine le condizioni eque e favorevoli a cui tale trasferimento dovrebbe avvenire. In sostanza, la Convenzione enuncia principi e linee di condotta lasciando agli Stati e ai singoli operatori economici il compito di concretizzarne i contenuti, secondo una prassi che ha molti punti in comune con le precedenti tipologie di contratti di bioprospezione, definiti esclusivamente sulla base dei rapporti di forza delle parti contraenti, e che ha trovato una parziale attenuazione soltanto nei sistemi di gestione regionale come quello posto in essere nel 1996 dagli Stati del Patto Andino. Il Trattato della FAO sulle risorse fitogenetiche mira a temperare tale ritorno alla sovranità, fornendo dei meccanismi per facilitare l'accesso alle risorse genetiche che abbiano rilevanza in campo agricolo e alimentare, in conseguenza del ragionevole timore che il regime della CDB avrebbe potuto mettere seriamente a rischio un obiettivo assolutamente prioritario come la sicurezza alimentare. Il Trattato, ribadendo la nozione di interesse comune dell'umanità in relazione a tale categoria di risorse fitogenetiche, istituisce un sistema strutturato che garantisce, da un lato, l'accesso facilitato a dette risorse e, dall'altro, la ripartizione equa dei benefici derivanti dal loro utilizzo attraverso quattro tipologie di strumenti, istituzionalizzando la contropartita che i paesi in via di sviluppo avevano visto sfumare durante i negoziati della CDB.

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3. La Parte IV del Trattato: il sistema multilaterale di accesso e di ripartizione dei vantaggi Come precedentemente accennato, prima dell’entrata in vigore del Trattato, l’accesso alle risorse genetiche veniva subordinato al previo consenso informato dello Stato fornitore e regolato da singoli accordi tra le parti interessate al prelievo della risorsa, conformemente alle disposizioni della CDB. Tuttavia, l’approccio bilaterale si è rivelato poco idoneo a soddisfare le esigenze del settore agricolo, in ragione dei costi elevati delle transazioni. L'obbligo di negoziare l’accesso alle risorse caso per caso ha inevitabilmente penalizzato i paesi in via di sviluppo, nonché la rapida circolazione delle risorse. In tal senso, la creazione di un sistema di accesso e di scambio di benefici su base multilaterale ha consentito di mettere in relazione le banche di germoplasma dislocate in ogni parte del mondo, pubbliche e private, assicurando un modello di contrattazione standard che regolamenta l’accesso alle risorse, distribuendo i benefici in modo equo tra le tutti i soggetti interessati, anche attraverso il trasferimento delle tecnologie e le attività di capacity building. Il sistema multilaterale previsto dal Trattato costituisce lo strumento per l'esercizio dei propri diritti sovrani, espressamente riconosciuti agli Stati dall'art. 10 e garantiti della condivisione dei benefici. Gli Stati, divenendo parte del Trattato, acconsentono ad una compressione della loro sovranità sulle risorse fitogenetiche, prestando automaticamente il consenso informato su base multilaterale, obbligandosi ad agevolare l’accesso alle risorse e accettando i termini si scambio. La portata del sistema è stata volutamente circoscritta alla lista di coltivazioni contenuta nell’Allegato I. L’esclusione di alcune varietà dal sistema multilaterale rappresenta il compromesso inevitabile nel bilanciamento degli interessi delle parti contraenti e rivela una maggiore cautela da parte degli Stati nell’assunzione di obbligazioni che in un sistema più ampio sarebbero state più impegnative. Il concetto di food security, considerato tanto a livello globale quanto nazionale, regionale ed individuale, rappresenta il criterio di ripartizione che ha giustificato un approccio qualitativo piuttosto che quantitativo. Difatti, l’allegato I comprende anche alcune varietà minori che però costituiscono un elemento basilare nell’alimentazione di diverse popolazioni locali. Tali criteri finiscono per condizionare l’inclusione di altre varietà in futuro, fornendo un'indicazione della direzione in cui la lista potrà essere emendata. L’Organo di Governo ha il compito di riesaminare la lista entro due anni dall’entrata in vigore del Trattato, per quanto tale ipotesi non abbia ancora trovato riscontro. Affinché una specie vegetale rientri nel sistema, non è sufficiente che sia inclusa nell’allegato I, ma dovrà trovarsi anche sotto la gestione e il controllo diretto di uno Stato parte nonché in pubblico domino. Le banche di germoplasma che custodiscono queste risorse possono far capo ad enti non governativi, università, istituti di ricerca, oltre che a soggetti privati. Conseguentemente, il materiale che non si trovi nella disponibilità diretta degli Stati potrà essere incluso nel sistema multilaterale dal detentore su base volontaria. Spetta alle autorità nazionali adottare misure interne per incentivare la condivisione di tali risorse, con l’obiettivo di massimizzare la copertura del sistema. Un'importante funzione dell’ Organo di governo riguarda la facoltà, ad esso attribuita dal par. 4 dell'art. 11, di prevedere restrizioni all’accesso al sistema multilaterale per quei soggetti che si siano rifiutati di rendere disponibile il materiale in loro possesso. E’ un potere tanto singolare quanto incisivo, una clausola che permette all’organo istituzionale di un trattato di sanzionare soggetti diversi dagli Stati, qualora venga meno la condizione di reciprocità nell’accesso. Tale prerogativa, del tutto inconsueta nel contesto di un trattato internazionale, viene ridimensionata dal meccanismo decisionale dell'Organo. Dovendo adottare le proprie decisioni del consensus, appare poco probabile che uno Stato parte possa effettivamente decidere di adottare sanzioni contro i propri cittadini e le proprie imprese per indurli a rinunciare ai propri diritti di proprietà intellettuale. Com’è noto, lo scopo del trattato è quello di rendere quanto più agevole possibile l’accesso alle varietà fitogenetiche incluse nel sistema multilaterale, facilitarlo in modo che esso divenga rapido, economico, aperto anche ai soggetti con minore disponibilità finanziarie e ai paesi che dispongono di un livello di tecnologia meno avanzato. Un ulteriore aspetto di particolare rilevanza riguarda la condizione che l’accesso venga effettuato soltanto per gli scopi previsti dal trattato, ovvero per finalità connesse all’agricoltura, tra cui anche l'utilizzo e la conservazione per ricerca, innesti e sperimentazioni. Qualora la fruizione delle risorse attenga all’impiego nell’industria chimica o farmaceutica il prelievo delle risorse sarà oggetto di specifica transazione e non verranno posti in essere i meccanismi perequativi del sistema multilaterale. In caso di potenziale utilizzo multiplo, il criterio determinante per la concessione

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del materiale deve essere individuato nell’importanza della risorsa genetica per la sicurezza alimentare, ma la decisione di fornire o meno il campione è rimessa alla parte contraente. Le modalità dell’accesso sono volte a creare ad un sistema snello, che consenta una certa rapidità dei trasferimenti. L’accesso deve essere gratuito o quantomeno soggetto ad una tariffa che copra solo i costi amministrativi della transazione. La mancata predisposizione della registrazione degli accessi è un elemento apparentemente incompatibile con la previsione dei contratti per il trasferimento del materiale, i quali costituiscono pur sempre una forma di monitoraggio dei dati, ma che deve essere considerato nell’ottica di un adempimento richiesto per il primo accesso e non per i successivi. Al trasferimento della risorsa è infatti collegata la pubblicità dai dati identificativi attinenti la catalogazione, il numero di accesso e altri dati tecnici. La disciplina della divulgazione dei dati confidenziali oltre che delle informazioni coperte da copyright e dal segreto industriale è rimessa alle disposizioni della legislazione nazionale. La tutela della proprietà intellettuale costituisce l’aspetto più controverso in materia di genetica vegetale, ed è piuttosto agevole rilevare come l’intera disciplina del sistema multilaterale sia finalizzata ad evitare che la concessione di brevetti possa ostacolare la libera disponibilità delle risorse fitogenetiche, in aperto contrasto con gli obiettivi di sicurezza alimentare alla base del Trattato. Tale divieto riguarda in modo particolare la brevettabilità di una sequenza genetica isolata nella sua forma originaria e non si estende a nuove varietà derivate dalla manipolazione del materiale genetico ottenuto tramite il sistema multilaterale. La possibilità di ottenere un brevetto su una varietà vegetale è pacificamente ammessa in molti paesi industrializzati, oltre ad essere riconosciuta nell’accordo TRIPs (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, siglato nel 1994 e rientrante tra gli accordi allegati dell'Organizzazione mondiale del Commercio) a condizione che sussistano due presupposti: l’elemento dell'innovazione e la possibilità di utilizzo industriale. Senza addentrarsi nei profili interpretativi legati alla qualificazione del momento in cui il materiale genetico possa ritenersi effettivamente modificato, è sufficiente considerare che brevettare la risorsa “nella forma ricevuta dal sistema multilaterale”, ovvero così come si trova in natura, avrebbe importanti conseguenze su qualsiasi ulteriore modifica delle risorse genetiche, poiché, in questo caso, il miglioramento e la creazione di nuove varietà costituirebbero un violazione del brevetto. D’altronde, sarebbe una palese incongruenza garantire l’accesso facilitato alle risorse e allo stesso tempo consentire la possibilità di impedire o limitare l’accesso rivendicando diritti di proprietà intellettuale sulle medesime risorse, ottenute peraltro in regime di favore. Ad ogni modo, il trattato riconosce la possibilità che alcune risorse possano essere coperte da diritti di proprietà intellettuale e quindi incluse nel sistema volontariamente dai detentori di tali diritti, prevedendo che l’accesso debba essere coerente con gli accordi internazionali e le leggi nazionali in materia. Il limite di questa disposizione è evidente, in quanto resta irrisolta la contraddizione tra esercizio del diritto e necessità di controllare l’accesso e l’uso del materiale, specialmente se si considera che la disciplina dei brevetti presenta caratteristiche tutt’altro che univoche tra i vari ordinamenti nazionali e solitamente la sua applicabilità è limitata all’ambito della giurisdizione in cui opera. Al detentore dei diritti di proprietà intellettuale viene altresì concesso di fissare una tariffa per l’accesso, seppure limitata ai costi amministrativi della transazione. Nel caso in cui le risorse genetiche siano conservate in situ l'accesso ad esse dipenderà naturalmente dalle autorità nazionali, mentre, qualora siano protette da brevetti o diritti di altra natura, l'accesso sarà subordinato al rispetto di questi ultimi. Al contrario, l’accesso al germoplasma conservato ex situ e rientrante nella lista dell'Allegato I è regolato da un modello contrattuale standard adottato dall’Organo di governo durante la sua prima sessione, che contiene le condizioni e i termini del trasferimento ai quali dovrà essere effettuata la transazione. Il ricorso a tali accordi, noti come Material Transfer Agreements (MTAs), assicura una disciplina uniforme delle transazioni alle condizioni dettate dall’art. 12 relativo all'accesso facilitato, evitando che il termini dell’accordo siano oggetto di negoziazione su base bilaterale. Sono previste due tipologie di accordi, lo Standard MTA (SMTA) e l'MTA per le risorse in regime amministrazione fiduciaria non contemplate dall'allegato I. Quest’ultimo si risolve in una serie di indicazioni sui trasferimenti di materiale genetico non incluso nel sistema multilaterale, ma detenuto dai centri di raccolta del germoplasma prima dell’entrata in vigore del Trattato, lasciando alle parti contraenti ampia autonomia nel determinare gli aspetti formali del contratto. Malgrado l’assenza di

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espliciti obblighi di contribuzione, i destinatari di dette risorse possono scegliere di condividere volontariamente i benefici derivanti dall’uso del germoplasma ricevuto secondo i meccanismi previsti dall’art. 13 riguardo la condivisione dei benefici, avvalendosi, ad esempio, dei programmi di ricerca e sviluppo promossi dallo stesso centro che le ha fornite. L’SMTA si applica alle varietà rientranti nella lista di cui all’Allegato I. L'Organo di governo ha elaborato un modello contrattuale piuttosto dettagliato, con specifici richiami ai diritti e agli obblighi delle parti, tra i quali il più significativo è senz’altro il meccanismo di contribuzione, che dispone il versamento al conto fiduciario creato dal trattato di una parte delle royalties derivanti dalla commercializzazione dei prodotti che contengano il materiale fitogenetico ottenuto tramite il sistema multilaterale. Ai sensi dell'Allegato II dello SMTA, qualora il prodotto sia tutelato da un brevetto, il destinatario è tenuto al pagamento di una percentuale fissa sul ricavato delle vendite che ammonta all’ 1,1% del ricavato, detratto del 30% in ragione dei costi di tali transazioni. La contribuzione è soltanto facoltativa nel caso in cui il prodotto sia disponibile senza restrizioni per successive ricerche. Inoltre, l’allegato III contiene una disciplina transitoria che prevede un regime di favore che consente ai beneficiari di dover devolvere soltanto lo 0,5% dei proventi delle vendite, con esclusivo riguardo ai trasferimenti di risorse fitogenetiche ancora in fase sperimentale o alla vendita di più prodotti che derivino dalla medesima coltura. Un risultato importante contenuto nello SMTA riguarda una nuova e più semplice definizione del termine “prodotto”, ossia qualsiasi varietà di pianta che contenga materiale proveniente dal sistema multilaterale. Questa definizione rende più facile l’interpretazione dell’accordo, soprattutto in relazione alla portata dell’art. 12, par. 3 d), in cui si vieta la rivendicazione di diritti di proprietà intellettuale sul materiale ricevuto dal sistema multilaterale o anche su parti o singoli geni. All'Organo di governo è attribuita la facoltà di riesaminare le tariffe, valutare la modifica dei criteri di pagamento e decidere eventuali esenzioni per gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo nell’ottica di una condivisione giusta ed equa dei benefici. Per quanto riguarda gli obblighi di informazione, i destinatari delle risorse dovranno inoltrare all’Organo di governo un consuntivo annuale delle vendite e i pagamenti effettuati, e in ogni caso non saranno richiesti pagamenti cumulativi per futuri accessi relativi alla stessa risorsa. La composizione di eventuali controversie potrà essere avviata, oltre che dalle parti dell'accordo, anche da un terzo organismo, agente a tutela degli interessi del sistema multilaterale, che dovrà essere nominato dall'Organo di governo e sarà considerato un beneficiario super partes qualora dovessero verificarsi casi di uso scorretto di materiale che proviene dal sistema multilaterale, questo organismo avrà il potere di portare avanti azioni legali per conto dell'Organo di governo e nell'interesse delle parti contraenti. Per quanto l'Organo di governo non abbia ancora provveduto a designare l'organismo in questione, la creazione di un soggetto posto a tutela degli interessi generali nella corretta attuazione del sistema multilaterale rappresenta un elemento particolarmente innovativo dell'accordo standard. Gli SMTA rappresentano senz'altro il principale strumento del meccanismo di benefit sharing, ma la condivisione di parte dei proventi economici ottenuti dalla commercializzazione delle risorse non è l’unico sistema attraverso il quale il Trattato persegue i suoi obiettivi di giustizia sociale. Atteso che l’accesso facilitato costituisce di per sé un beneficio, non mancano ulteriori strumenti di condivisione dei benefici. Il primo di questi è lo scambio di informazioni relative alla individuazione, catalogazione, caratterizzazione e ricerca. I dati tecnici saranno resi noti compatibilmente con le previsioni dell’art.12, par. 3 in materia di brevetti e informazioni riservate, e divulgati con l’ausilio del Global Information System, una rete di informazioni per monitoraggio del sistema che prevede l’immediata notifica alle parti di eventuali pericoli che rappresentino una minaccia per la biodiversità vegetale. In secondo luogo, gli Stati devono consentire l’accesso alle tecnologie e il loro trasferimento. Non viene specificato con quali mezzi, ma dal tenore della disposizione si evince la più ampia autonomia delle parti contraenti nella scelta degli strumenti con cui conseguire questi obiettivi, siano essi interventi legislativi strutturali o altre forme di supporto. La possibilità di scegliere gli obblighi da assumere se da un lato tradisce una certa elasticità della norma, si rivela funzionale ad un approccio diversificato a seconda dello scopo da perseguire. In ogni caso, analogamente al compromesso raggiunto in merito all'art. 16 della CDB, il trasferimento tecnologico incoraggiato a beneficio dei paesi meno avanzati e in transizione a condizioni preferenziali e di favore, resta subordinato al rispetto dei diritti di proprietà

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intellettuale, privando pertanto lo strumento in questione di buona parte della sua efficacia. Nell’impegnarsi a rendere il più agevole possibile l’accesso al materiale genetico contenuto in nuove varietà sviluppate sulla base di risorse ottenute tramite il sistema multilaterale, gli Stati dovranno occuparsi di armonizzare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale con le finalità del trattato. Strettamente legate al trasferimento di tecnologie (sia in senso materiale che in termini di knowhow) le attività di capacity building consistono nel rafforzamento delle infrastrutture, delle risorse con programmi scientifici di ricerca, attrezzature per la conservazione del germoplasma, specialmente nei centri di origine di biodiversità del Sud del mondo, dove queste esigenze sono maggiori. 4. I diritti dell’agricoltore Il riconoscimento dei diritti degli agricoltori in un accordo internazionale vincolante rappresenta un elemento di primaria importanza per poter porre un freno alle attività di biopirateria da parte delle multinazionali biotecnologiche nei paesi in via di sviluppo, ossia l'appropriazione delle risorse genetiche e delle tradizioni indigene senza il consenso delle popolazioni interessate, senza condividere parte dei benefici e giungendo talvolta fino a impedirne la libera fruizione. Al contrario, gli agricoltori hanno da sempre avuto un ruolo insostituibile nella conservazione e valorizzazione delle varietà vegetali che costituiscono il patrimonio del pianeta, anche attraverso la loro attività di selezione delle specie vegetali. L’articolo 9 del Trattato riconosce “l’enorme contributo che gli enti locali, le comunità indigene e gli agricoltori di tutte le regioni del mondo, in particolare quelle dei centri di origine, hanno apportato e continueranno ad apportare per la conservazione e lo sviluppo delle risorse fitogenetiche che costituiscono la basa della produzione alimentare e agricola di tutto il mondo”. Tuttavia, il Trattato non fornisce né la definizione né il contenuto di tali diritti, la tutela dei quali spetta ai governi nazionali in funzione delle loro esigenze e necessità. A titolo esemplificativo, il par. 2 dell'art. 9 specifica che la realizzazione dei diritti degli agricoltori dovrà essere orientata in una triplice direzione. In primo luogo, dovrà essere offerta adeguata protezione alle conoscenze tradizionali, secondariamente dovrà essere garantito il diritto a partecipare equamente alla ripartizione dei vantaggi e, infine, dovranno essere predisposti meccanismi per garantire la partecipazione degli agricoltori ai processi decisionali nazionali riguardanti la gestione delle risorse. Durante la sua seconda sessione, l'Organo di governo ha sollecitato gli Stati parte a presentare rapporti sullo stato dell'attuazione dei diritti degli agricoltori nei rispettivi territori e ha adottato una risoluzione in cui manifesta apprezzamento per la presenza delle associazioni di agricoltori in qualità di osservatori e invita il Segretariato a prendere atto dei rapporti e delle esperienze nazionali per formulare un documento da presentare all'Organo durante la sua terza sessione, che si terrà in Tunisia all'inizio del 2009. 5. Gli strumenti di supporto all’attuazione del Trattato: La Parte V del Trattato richiede la promozione di quattro strumenti ai quali, per quanto posti al di fuori dell'apparato istituzionale dello stesso, sono affidate funzioni essenziali riguardo all'attuazione degli obiettivi di conservazione e uso sostenibile delle risorse genetiche, di cooperazione internazionale e di assistenza tecnica previsti dalla Parte II. Il primo di questi strumenti fa riferimento all'implementazione del Piano d’azione globale per la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura, un accordo di soft law adottato a Lipsia nel 1996 e richiamato più volte anche dal preambolo del Trattato, nel quale si definiscono le priorità d'azione a livello nazionale e internazionale. Il secondo strumento riconosce il ruolo sostanziale delle raccolte ex situ custodite dai Centri internazionali di ricerca agronomica (CIRA) del Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale (GCRAI) e da altre istituzioni internazionali. Il terzo e il quarto riguardano, rispettivamente, a creazione di reti internazionali per la cooperazione in materia e l'istituzione di un sistema mondiale per lo scambio di informazioni che veda l'integrazione dei vari centri nazionali nonché una stretta cooperazione con il Clearing House Mechanism previsto dalla CBD.

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Tra gli strumenti di supporto, l'attività svolta dai centri del GCRAI si è dimostrata particolarmente efficace per promuovere l'attuazione del Trattato. Il GCRAI è un'organizzazione informale costituitasi nel 1971 e avente sede a Washington presso la Banca Mondiale, composta da Stati, organizzazioni internazionali, istituzioni di organizzazioni e fondazioni private. Ad esso compete l'amministrazione della più vasta collezione ex situ esistente al mondo, consistente in circa 650.000 campioni di semi. Oltre al materiale detenuto dai centri, rientrano nel sistema anche i campioni custoditi dalla “Mutant Germplasm Repository” del programma congiunto FAO/IAEA (International Atomic Energy Agency) sulle tecniche nucleari applicate all’alimentazione e all’agricoltura e altre collezioni minori. Durante la prima sessione dell'Organo di governo è stato stipulato un accordo con undici centri di ricerca del GCRAI, in virtù del quale, a partire dal 1°gennaio 2007, tutti i trasferimenti di materiale riguardanti le specie vegetali elencate nell'allegato I avverranno secondo i termini del Trattato e degli SMTAs, ponendo un limite alla brevettabilità delle risorse e redistribuendone i benefici. Tale circostanza assume un valore particolare se si considera che il GCRAI detiene le risorse in qualita di trustee, in un regime di amministrazione fiduciaria, dove i fiducianti sono gli Stati fornitori e i beneficiari le generazioni presenti e future e la comunità internazionale nel suo complesso. In assenza di uno strumento come gli SMTAs, l'accesso alle risorse era del tutto libero e aveva dato luogo a numerosi episodi di appropriazione delle risorse da parte delle multinazionali del settore che frequentemente sono stati riconosciuti come atti di vera e propria biopirateria. Tra i centri affiliati al GCRAI, Bioversity International (precedentemente noto come Istituto internazionale sulle risorse genetiche vegetali) svolge un ruolo particolarmente rilevante in merito al coordinamento e alla promozione delle finalità del Trattato, nonché alla messa a disposizione delle informazioni sugli sviluppi delle attività anche in termini divulgativi, in modo da poter stimolare la partecipazione degli stakeholders e della società civile. Durante la seconda sessione dell'Organo di governo, il GCRAI ha presentato un rapporto sull'attuazione degli SMTAs. Nel periodo tra il 1° gennaio e il 1° agosto 2007, sono stati trasferiti quasi 100.000 campioni di semi. Soltanto tre compagnie, tutte di origine statunitense, hanno rifiutato di sottoscrivere lo SMTA. In particolare, il Gruppo consultivo raccomanda di definire espressamente una soglia oltre la quale si inneschino i pagamenti obbligatori e un termine per gli stessi e per i meccanismi di benefit sharing in generale, nonché di snellire le pratiche burocratiche per l'accesso. 6. Le disposizioni finanziarie Un altro elemento di fondamentale rilevanza per quanto riguarda l'attuazione degli obiettivi del Trattato è contemplato dalla Parte VI, in cui si prevede che le parti contraenti dovranno predisporre una strategia finanziaria volta a “rafforzare la disponibilità, la trasparenza, l’efficienza e l’efficacia della fornitura di risorse finanziarie per lo svolgimento delle attività previste dal presente Trattato” (art. 18, par. 1). Gli obiettivi e le priorità di finanziamento verranno periodicamente definiti dall'Organo di governo tenendo in considerazione di quanto indicato nel Piano di azione globale. Le risorse finanziarie dovranno essere reperite attraverso cinque canali di finanziamento: i sistemi bilaterali, regionali e multilaterali posti in essere dalle parti contraenti, le risorse stanziate a livello nazionale, altri fondi finanziari internazionali, i contributi volontari da parte di privati e organizzazioni non governative e i proventi derivanti dalla commercializzazione delle risorse. Soltanto quest'ultimo sistema di finanziamento presenta carattere obbligatorio (per quanto tale obbligo incomba sui beneficiari e non sugli Stati parte), ma, ai sensi del par. 4 b) dell'art. 18, “la misura in cui le Parti contraenti che sono paesi in via di sviluppo e paesi in transizione adempiono ai propri obblighi (...) dipende dallo stanziamento effettivo, soprattutto ad opera delle Parti contraenti che sono paesi sviluppati, delle risorse cui si fa riferimento”. Tale disposizione, oltre a rafforzare l'equità del trattato, sottolinea e rafforza l'importanza che la strategia finanziaria assume ai fini dell'attuazione del medesimo. Durante la sua prima sessione, l'Organo di governo ha provveduto a stipulare un accordo con il Global Crop Diversity Trust, un fondo indipendente istituito nell'ottobre del 2004 in seno alla FAO, finalizzato a fornire stabilmente risorse economiche per la diversità delle colture agricole attraverso progetti di conservazione, divenendo il principale strumento di attuazione della strategia finanziaria.

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Recentemente, di concerto con il governo norvegese ha provveduto a finanziare la costruzione della Svalbart Global Seed Vault, un'enorme banca genetica contenente 4.5 milioni di campioni di semi, posta nel permafrost di un'isola norvegese, in modo da poter garantire la conservazione dei semi anche in mancanza di energia. Durante la seconda sessione dell'Organo di governo, il Segretariato del Trattato ha presentato un rapporto sull'attuazione della strategia, consigliando di supportare le Parti contraenti nell'utilizzo degli altri canali di finanziamento, quali la Banca Mondiale o la Global Environmental Facility, nella promozione della contribuzione volontaria e della trasparenza e la diffusione di informazioni riguardo i meccanismi di accesso ai fondi. 7. Le istituzioni del Trattato Ai sensi dell’articolo 19 viene istituito un Organo di governo composto da tutte le parti contraenti, il cui obiettivo primario è la promozione della piena realizzazione del Trattato. In tal senso, come abbiamo visto, tra i principali compiti dell’Organo di governo vi è quello di stabilire il contenuto degli SMTAs e in particolare di determinare l’importo, la forma e le modalità del pagamento relativo alla commercializzazione del prodotto, esso può anche decidere di esonerare da tali pagamenti i piccoli agricoltori dei paesi in via di sviluppo e dei paesi in transizione. L’Organo di governo può anche rivedere l’importo del pagamento per garantire una ripartizione giusta ed equa dei vantaggi e inoltre, entro cinque anni dall'entrata in vigore del trattato, può valutare la possibilità di applicare le disposizioni che prevedono un pagamento obbligatorio anche ai casi in cui i prodotti siano, senza restrizioni, a disposizione di altri beneficiari a fini di ricerca e selezione. I poteri penetranti della principale istituzione del Trattato trovano la loro massima espressione nella possibilità di escludere dal regime di libero accesso le persone fisiche o giuridiche che, detentori dei diritti di proprietà intellettuale su determinate varietà vegetali, non raccolgono l'invito a mettere tali risorse a disposizione del sistema multilaterale. Tuttavia, tale opzione, come abbiamo detto, risulta di difficile applicazione, in ragione dell'unanimità richiesta per l'adozione delle decisioni dell'Organo. Inoltre, l'Organo detiene il potere di controllo generale sull'attuazione del Trattato, la facoltà di fornire indicazioni e orientamenti generali, di definire programmi e piani d'azione, di nominare organi ausiliari funzionali alle necessità del Trattato, di adottare eventuali emendamenti e strategie finalizzate alla promozione dei contributi volontari. Le sessioni ordinarie dell'Organo devono tenersi almeno una volta ogni due anni. Ad oggi sono state svolte due sessioni: la prima si è tenuta a Madrid dal 16 al 22 giugno 2006, la seconda ha avuto luogo a Roma dal 29 novembre al 2 dicembre 2007. L'altro organo istituito dal Trattato è il Segretariato nominato dal Direttore generale della FAO con l’approvazione dell’Organo di governo. Ai sensi dell'art. 20, al Segretariato sono affidati compiti organizzativi, di rappresentanza e di coordinamento e, in particolare, coadiuva l’Organo di governo nello svolgimento delle sue funzioni e assolve tutti i compiti specifici che tale organo intende affidargli, primo tra tutti il potere di controllare e monitorare l'attuazione concreta del Trattato, con particolare riferimento ai meccanismi di benefit sharing del sistema multilaterale. 8. La conservazione delle risorse genetiche nella Comunità Europea La conservazione delle risorse naturali, quali risorse disponibili in quantità limitata, rientra tra gli obiettivi della politica ambientale comunitaria fin dal primo programma quadro per l’ambiente (1973-1976), ma la prima concreta strategia comunitaria è rappresentata dalla Comunicazione della Commissione n. 42 del 1998, la quale si articola attorno a quattro temi principali, che riprendono gli obblighi assunti dalla Comunità in virtù della Convenzione sulla diversità biologica, e stabilisce gli obiettivi da raggiungere per rispettare tali obblighi. I temi sono: conservazione e utilizzazione sostenibile della diversità biologica; ripartizione dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche; ricerca, determinazione, controllo e scambio di informazioni; istruzione, formazione e sensibilizzazione. Con la decisione n. 869 del 24 febbraio 2004, il Consiglio dell'Unione Europea ha approvato il Trattato. L'entrata in vigore del Trattato è potuta avvenire proprio grazie al deposito dell'approvazione

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della Comunità e delle successive ratifiche da parte degli Stati membri. Come molti dei suoi Stati membri, la Comunità ha ritenuto di dover allegare una dichiarazione interpretativa in cui viene sottolineato che l'interpretazione che essa intende attribuire al disposto dell'art. 12, par. 3 d) vada in direzione del riconoscimento dei diritti di proprietà intellettuale sulle risorse fitogenetiche qualora queste presentino caratteri di innovatività e siano conformi ai criteri di base relativi a tali diritti. Sul piano interno non si registrano particolari sviluppi in merito all'attuazione e in particolare alla ripartizione dei vantaggi o alla promozione dei diritti degli agricoltori. Le principali attività comunitarie in materia sono orientate quasi esclusivamente in direzione alla conservazione e alla tutela delle risorse e la ratio di tale propensione deve essere ricercata negli obiettivi della politica agricola comunitaria, piuttosto che nell'effettiva volontà di dare concretezza alle disposizioni del Trattato. Il Regolamento (CE) n. 870/2004 del Consiglio, del 24 aprile 2004, richiamandosi alle priorità enucleate dal Piano d’azione globale, istituisce un programma comunitario concernente la conservazione, la caratterizzazione, la raccolta e l'utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura. I vari considerando sottolineano che le diversità biologiche e genetiche in agricoltura costituiscono un fattore insostituibile per lo sviluppo sostenibile della produzione agricola e delle zone rurali e che le attività intraprese nel settore della conservazione, della caratterizzazione, della raccolta e dell’utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura contribuiscono a mantenere la biodiversità, migliorano la qualità dei prodotti agricoli e soprattutto incentivano una produzione agricola sostenibile. A tal fine, si promuove la conservazione in situ ed ex situ, nonché l'istituzione di inventari europei. In seno al GCRAI è presente il Programma cooperativo europeo sulle risorse genetiche vegetali, istituito da FAO e UNDP (United Nations Development Programme) e nel cui quadro vengono promosse parte delle attività di conservazione europee, compresa l'instituzione di una sistema integrato di banche genetiche. 9. L’attuazione del Trattato a livello nazionale e regionale Con la legge 6 aprile 2004 n. 101 è stata data autorizzazione alla ratifica del Trattato. La legge in esame si compone di cinque articoli. Gli articoli 1 e 2 recano rispettivamente, come di consueto, l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione del Trattato. Tale circostanza suscita alcune perplessità, poiché appare non del tutto pacifica l'immediata applicabilità delle disposizioni del Trattato, rendendo probabilmente più opportuno il ricorso al procedimento ordinario di adattamento. Il primo comma dell'articolo 3, rimette alle Regioni la competenza ad attuare le parti del Trattato in materia di agricoltura, ambito rientrante nelle competenze esclusive delle stesse, ai sensi del quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione. Con riferimento al terzo ed ultimo comma dell'articolo 3 è previsto per le Regioni e le Province autonome l'obbligo di comunicare entro il 30 giugno di ogni anno al Ministero delle politiche agricole e forestali e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, le misure adottate o che intendano adottare in attuazione delle disposizioni contenute in alcuni articoli del trattato. L'articolo 4 quantifica la copertura finanziaria in 2 milioni 329 mila 550 euro annui a decorrere dal 2004. L'articolo 5 dispone, infine, l'entrata in vigore della legge il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. A livello regionale, la Regione Emilia Romagna ha dato esecuzione al Trattato, con la legge regionale n. 1 del 29 gennaio 2008. La Regione “ nell’ambito delle politiche di sviluppo, promozione e salvaguardia degli agroecosistemi locali e delle produzioni di qualità, favorisce e promuove la tutela delle varietà e razze locali di interesse agrario, al fine di garantire la conservazione e la valorizzazione delle risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura caratteristiche del proprio territorio, con particolare riguardo per quelle a rischio di erosione”. Per consentire la tutela delle risorse genetiche indigene, tra le misure realizzate vi è la costituzione dei Repertori per ogni area geografica, contenenti le relative varietà autoctone di particolare interesse. I requisiti che sono alla basa del riconoscimento sono chiaramente indicati nell’apposita legge regionale. L’iscrizione al Repertorio avviene d’ufficio oppure su proposta della Giunta regionale, di Enti scientifici, di Enti pubblici o organizzazioni private in basa ad una documentazione tecnico-scientifica. La legge promuove e tutela anche i diritti degli agricoltori, i c.d. agricoltori custodi, responsabili della conservazione in situ (o on farm). Tali agricoltori dovranno essere iscritti in un apposito registro pubblico, i criteri per accedere al quale dovranno essere definiti

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dalla Giunta. Inoltre, ex art. 11, la Regione istituisce e coordina la Rete di conservazione, tutela e salvaguardia, cui appartengono tali agricoltori, enti pubblici e enti di ricerca. Agli aderenti alla Rete che intendano presentare domanda di privativa varietale o di brevetto su una varietà iscritta nel Repertorio, è richiesto di presentare domanda di autorizzazione preventiva alla Regione. Tuttavia, anche altre Regioni si sono attivate con l’emanazione di leggi regionali volte alla tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, zootecnico e forestale. In particolare deve essere menzionata la legge della Regione Toscana n. 64 del 2004 finalizzata a tutelare e valorizzazione il patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario, zootecnico e forestale, conservate presso orti botanici, allevamenti o centri di ricerca. Le leggi regionali in esame individuano nella tutela del proprio patrimonio di risorse genetiche autoctone di interesse agrario-zootecnico e forestale una delle azioni più importanti ai fini della salvaguardia dell’ambiente della biodiversità dello sviluppo rurale e di un agricoltura sostenibile sul proprio territorio. Esse definiscono con precisione le risorse genetiche oggetto di tutela, le cosiddette varietà e razze locali, intese come le specie, razze, varietà, popolazioni ecotipi e cloni originari del territorio regionale, oppure di origine esterna, purché introdotte da almeno 50 anni ed integrati tradizionalmente nella sua agricoltura e allevamento, inoltre sono oggetto di tutela le varietà e razze locali scomparse dal territorio regionale, ma conservate presso orti botanici allevamenti o centri di ricerca. Per quanto siano State adottate prima dell'entrata in vigore del Trattato, anche in Umbria e nelle Marche sono presenti strumenti normativi che tutelano la conservazione delle risorse fitogenetiche connesse anche all'agricoltura, nonché la memoria storica e le tradizioni ad esse legate. Si tratta, rispettivamente, della legge regionale n. 25 del 2001 inerente la tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario e della legge regionale n. 12 del 2003 sulla tutela delle risorse animali e vegetali. Ad ogni modo, le suddette leggi regionali sono formulate sullo spirito del Trattato e mirano a creare banche dei semi, a tutelare le tradizioni agricole e i connessi diritti degli agricoltori. 10. Conclusioni Il sistema introdotto dal Trattato appare particolarmente innovativo, avanzato e strutturato e offre un esempio di particolare rilievo di come la comunità internazionale possa affrontare in maniera integrata questioni che riguardano problemi universalmente riconosciuti come prioritari. In linea di principio, il Trattato rappresenta un passo avanti importante rispetto ai regimi precedenti, istituendo, all'interno di un gruppo di Stati e potenzialmente a livello universale, oltre un sistema di contributi volontari, un conto fiduciario gestito in nome della comunità internazionale e finanziato anche dai privati che hanno beneficiato economicamente dell’accesso facilitato alle risorse fitogenetiche del Sistema multilaterale. Il diritto di proprietà intellettuale avanzato da chi abbia potuto sviluppare nuovi prodotti biotecnologici a partire dalle risorse del sistema, viene finalmente bilanciato col diritto alla redistribuzione dei benefici di chi ha attivamente provveduto alla conservazione e all’evoluzione del patrimonio genetico vegetale. Bisogna altresì considerare che, in base alla lettera del Trattato, talune perplessità vengono sollevate dalle prescrizioni sul trasferimento tecnologico, che, analogamente alla CDB, operano un bilanciamento alquanto incerto tra la tutela della proprietà intellettuale e il diritto ad accedere e tecnologie più avanzate, come da quanto previsto in caso di risorse non pubbliche e già coperte da diritti di proprietà intellettuale, circostanza in cui agli Stati è semplicemente richiesto di invitare i detentori a mettere le risorse a disposizione del sistema. Inoltre, la redistribuzione dei una percentuale delle royalties pari, in pratica, allo 0,77% non sembra un progresso di notevole entità se la si confronta con le percentuali di gran lunga più elevate riportate da alcuni contratti di bioprospezione con paesi del Nord. Alcuni autori particolarmente attivi nel campo della protezione della biodiversità hanno definitivo il rapporto dei termini di scambio paragonabile al valore dei ninnoli distribuiti da Colombo alle popolazioni delle Americhe. Analogamente, sul piano dell’attuazione concreta, necessita rilevare come il Trattato sembri non essere riuscito a incontrare le aspettative di chi avrebbe dovuto trarre beneficio dalla sua entrata in vigore. Al termine della seconda sessione dell’Organo di governo, la maggioranza delle associazioni di agricoltori presenti in qualità di osservatori ha sottoscritto una dichiarazione in cui si giunge a chiedere

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la sospensione dell’accesso facilitato alle risorse contemplato dal Trattato. Nell’opinione di tali associazioni, la seconda sessione dell’Organo di governo si è risolta in un completo fallimento a causa dell’impossibilità di reperire tra i 116 Stati parte, i fondi (4,9 milioni di dollari) necessari a sostenere i costi di start up del sistema multilaterale e per rendere operativi i meccanismi di monitoraggio da parte del Segretariato che dovrebbero assicurare la condivisione equitativa nei vantaggi. Facilitare l’accesso alle risorse non garantendo la corrispettiva redistribuzione dei vantaggi, corre concretamente il rischio di diventare quello che un leader delle associazioni ha definito “il caso più grave di biopirateria istituzionalizzata mai visto”. I negoziatori del Trattato hanno consegnato gli strumenti necessari a porre in essere un sistema avanzato e radicato sui principi di giustizia e equità, ma un sistema di diritto internazionale, soprattutto qualora presenti i caratteri di innovatività del Trattato in esame, ha necessariamente bisogno della volontà politica delle parti di realizzare interamente i meccanismi e gli obiettivi che propone. In assenza di tale volontà, la conseguenza più ovvia è il ritorno a un regime di libertà privo di ogni garanzia per chi, attraverso secoli di lavoro e selezione, abbia acquisito il diritto a vantare un titolo sulle risorse fitogenetiche. In conclusione, possiamo rilevare che le possibilità di successo del Trattato possono essere considerate equiparabili ai rischi che corre di fronte all’ostruzionismo di certi Stati. Il Trattato è entrato in vigore da meno di quattro anni e le principali decisioni necessarie a renderlo operativo sono state adottate nel giugno del 2006. Conseguentemente, è necessario attendere che meccanismi fondamentali come il sistema multilaterale e la strategia finanziaria vengano messi concretamente in opera e testati sul piano dei risultati. Come sottolineato dal Segretario nel suo ultimo rapporto all’Organo di governo, “il Trattato si trova in un make-or-break stage. In questo momento cruciale, si trova nelle mani delle parti contraenti dell’Organo di governo, affinché prendano le misure necessarie ad assicurare in suo successo nel lungo periodo”.

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