Tele-dipendenza

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“One nation under God has turned into one nation under the influence of one drug: Television, the drug of the Nation Breeding ignorance and feeding radiation...” (“Televisione, la droga della nazione, alimenta l'ignoranza e diffonde radiazione...”) Disposable Heroes of Hiphoprisy, “Hipocrisy is the Greatest Luxury”, 1992 DROGHE ELETTRONICHE Droghe pervasive, ultrapotenti, in grado di plasmare le menti senza la necessità di introdurre nel sistema nervoso dell'utente sostanze chimiche. Droghe ad alta tecnologia che instillano nella coscienza una realtà alternativa. La prima di queste nuove droghe elettroniche è stata la televisione. Anche se non invasiva da un punto di vista chimico, la tv dà luogo ad assuefazione e a danni psicologici non meno di una qualsiasi altra droga. L'esperienza televisiva consente di entrare in uno stato mentale piacevole e passivo che rinvia le preoccupazioni e le ansie della realtà così come quando si fa un “viaggio” con le droghe chimiche. L'abitudine alla televisione distorce il senso del tempo, indebolisce i rapporti umani riducendo e talvolta eliminando le occasioni per parlare e comunicare. La televisione è la droga “par excellence” della società del dominio, uno strumento di coercizione, di lavaggio del cervello e di manipolazione poiché induce nel telespettatore uno stato di trance che è il punto di partenza per bombardare l'inconscio dell'utente con tutta una serie di ripetuti messaggi più o meno subliminali. È la realtà da incubo che George Orwell, Marshall McLuhan, Wyndham Lewis e altri avevano previsto: la creazione di un pubblico-zombie, immerso nelle immagini-spazzatura, nei discorsi-spazzatura, nei mediaspazzatura, nella politica cripto-fascista, condannato ad una vita tossica a basso livello di consapevolezza, assuefatto a determinati schemi di comportamento. THE ADDICTION Nel campo degli studi sulla comunicazione di massa, la teoria della dipendenza è stata proposta per la prima volta da S. Ball-Rokeach e M. deFleur nel 1976, in un articolo comparso sulla rivista “Communication Research”. Si tratta di un approccio “a largo spettro” che prende in considerazione il sistema di relazioni che regola i rapporti tra le audiences, i media e il sistema sociale nel senso largo del termine. Il concetto-base della teoria è l'esistenza di un rapporto di dipendenza tra il pubblico e il sistema dei media: più l'audience dipende dai massmedia per l'informazione, più una società si trova in uno stato di crisi e instabilità, e maggiore sarà il potere dei media di influenzare l'opinione pubblica. Il tipo di dipendenza determina il grado di potere dei media in una certa situazione e in rapporto a determinate variabili. Questa relazione di dipendenza varia a seconda del numero e del tipo di informazioni fornite in relazione ai bisogni del pubblico. Se ad esempio per un gruppo o individuo è fondamentale il divertimento e la televisione fornisce soprattutto programmi di informazione politica, la sua dipendenza da essa sarà assai meno consistente. La dipendenza dai media è più alta in presenza di elevati livelli di conflitto e di cambiamento sociale. Vi sono tre tipi di effetti che sono funzione del grado di dipendenza delle audiences dai media: vi sono, anzitutto, cinque tipi di effetti cognitivi - la risoluzione di ambiguità, la formazione degli atteggiamenti, l'agenda setting, l'espansione dei sistemi di credenza, la chiarificazione dei valori; vi sono, poi, effetti affettivi - vale a dire la capacità dei media di influire su stati come la paura, l'ansia, ecc.; infine, gli effetti

comportamentali - i messaggi dei media possono influire sull'attivazione/disattivazione dei comportamenti o sulla acquisizione di comportamenti nuovi. L'ipotesi della tele-dipendenza, riprendendo il modello degli “uses and gratifications”, mostra come gli individui si servano dei media per raggiungere i loro obiettivi, ma anche come, nel contempo, divengano dipendenti nei loro confronti (M. DeFleur, S. J. Ball-Rokeach, “Teorie delle Comunicazioni di Massa”, Il Mulino, Bologna, 1995). LA TELEDIPENDENZA: DALLE ORIGINI AGLI EFFETTI (a cura della Dott.ssa Monica Monaco) La diffusione della televisione tra gli strumenti di comunicazione di massa ha gradualmente trasformato le abitudini quotidiane di molte persone. E' entrata nelle case occupando inizialmente il tempo libero e ricevendo ben presto una promozione da bene di lusso, in possesso di pochi, a bene di largo consumo e alla portata di tutti. L'utilizzo di questo mass-media si è guadagnato un posto di primo piano tra le attività quotidiane più diffuse, uno spazio che qualche volta finisce per trasformarne l'uso in abuso da parte di chi ne usufruisce per intere giornate, lasciando poco spazio ad un atteggiamento critico di fronte ai contenuti ricevuti. La Tv, sempre più spesso, è additata come responsabile di numerose conseguenze negative sul pubblico e dell'origine di numerosi mali che affliggono la nostra attuale “società dello spettacolo”. Ciò, tuttavia, non può far dimenticare i suoi meriti e le sue capacità informative e, indubbiamente, non si può attribuire ad essa tutta la responsabilità della crescita, negli ultimi anni, del fenomeno della teledipendenza. Come ogni strumento di comunicazione, anche la televisione può essere utilizzata bene o male e può diventare oggetto da cui dipendere quando si ricercano soddisfazioni ai propri bisogni e quando, in una società come quella attuale, si assiste a gravi crisi delle istituzioni che hanno finito per delegare a questo mezzo di comunicazione compiti che non dovrebbe svolgere e per i quali la televisione non è stata progettata adeguatamente. La teledipendenza, come molte altre moderne forme di dipendenza, rappresenta infatti il prodotto dell'incontro tra alcuni moderni fattori psicosociali e determinati fattori comportamentali; i primi predispongono un terreno fertile su cui si possono sviluppare comportamenti errati che possono degenerare in diverse forme di dipendenza che, qualche volta, si ritrovano co-presenti nella stessa persona. Quando sono presenti moderne dipendenze come quella dal mezzo televisivo, infatti, si possono ritrovare anche altre forme di cosiddette “dipendenze senza sostanze” che spesso si associano ad essa, come la dipendenza da Internet o la dipendenza dallo shopping, magari di prodotti pubblicizzati attraverso la stessa Tv (Alonso-Fernandez, “Le Altre Droghe”, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 1999 ), o la dipendenza dal cellulare, dagli sms, o, peggio ancora, la porno-dipendenza, la dipendenza da immagini pornografiche. I principali fattori psico-sociali che hanno alimentato il proliferare dei comportamenti di abuso televisivo riguardano alcune trasformazioni delle funzioni sociali assolte dalla televisione, che è passata dall'essere considerata uno strumento di informazione e di intrattenimento nel tempo libero all'essere trasformata in un vero e proprio educatore di bambini e modello per gli adulti, divenendo uno “strumento umanizzato”, al punto da rappresentare una vera e propria compagnia virtuale, talvolta preferita in parte o in tutto a quella reale. In tal modo, i due propositi tradizionali della televisione, quello di “informare” e di “intrattenere”, sono stati amplificati fino al punto da giungere alla creazione di due atteggiamenti piuttosto diffusi: il primo, secondo il quale quello che è detto in televisione assume il valore di “realtà assoluta, incontestabile e inopinabile”, il secondo, per il quale si è creata un'equazione “tempo libero = uso dei mezzi di comunicazione di massa”, fra i quali la televisione ha sempre un posto in prima fila. Tutto ciò ha comportato, nella sfera individuale di numerose persone, un impoverimento di esperienze dirette di confronto con la realtà, a vantaggio del proliferare delle attività di conoscenza della realtà mediate dai mezzi di comunicazione di massa, un processo che frequentemente tende a generare la confusione tra “realtà virtuale” e “realtà concreta”. La realtà televisiva ha cominciato a produrre dei veri e propri modelli di vita che sono diventati esempi da imitare, non solo per i bambini e per gli adolescenti, sempre più spesso educati e cresciuti dalla TV-genitore, ma anche per gli adulti, sempre più conquistati dai personaggi che

spiccano nelle telenovele, nei film d'azione e nei varietà. La mancanza di modelli reali ha lasciato spazio al consumo di modelli televisivi, con cui identificarsi e di cui studiare approfonditamente, per ore ed ore, gli schemi comportamentali da interiorizzare e da riprodurre (Popper K., Condry J., “Cattiva Maestra Televisione”, Reset, Milano, 1994). La presenza di persone che si possono vedere, ascoltare, di cui si conosce una storia (vera o pseudo-reale non importa) ha comportato “l'umanizzazione della televisione” ed ha assegnato ad essa un ruolo sociale di compagnia spesso molto importante, come nella terza età, ed altre volte abusato in fasce di età in cui sarebbe più facile e naturale lasciare spazio alle compagnie reali di amici e conoscenti. Pertanto, se la televisione conquista sempre più spazio nella vita delle persone è perché contemporaneamente la famiglia, la scuola e le agenzie di socializzazione sono spesso entrate in crisi o hanno accolto con troppa disponibilità le potenzialità di un mezzo che, rappresentando la realtà in modo così completo, sembra possa sostituirla, aiutando a trovare i pezzi che mancano per rispondere continuamente al bisogno di costruire e ri-costruire l'Identità. A questo si aggiunge l'aumento sempre crescente della complessità dell'organizzazione sociale, di fronte alla quale la dimensione virtuale diventa uno spazio dove è facile rifugiarsi alla ricerca di nuovi modi per adattarsi, di “modelli alla moda”, che consentano di stare al passo con i tempi per mantenere alte le possibilità di successo (La Barbera D., “Dipendenze Tecnologiche e Abusi Mediatici: Psicopatologia e Psicodinamica”, in “Psichiatria e Mass Media”, CIC, Roma, 2002). Le importanti ricadute di questi fattori sociali hanno trasformato le abitudini quotidiane di molte persone, facendo leva anche su alcuni fattori comportamentali che predispongono alla dipendenza. Tra questi ultimi, assumono grande rilevanza nello sviluppo della teledipendenza due atteggiamenti comportamentali: il “teleabuso” e la “telefissazione”. Si intende fare riferimento ad una contemplazione quantitativamente eccessiva della televisione, che viene esercitata in modo regolare, sistematico e quotidiano. A questo proposito, occorre sottolineare quanto l'ingresso tra le abitudini quotidiane di tutti dell'uso della televisione abbia reso difficile tracciare la linea di confine tra utilizzo normale della televisione e suo abuso, che può predisporre alla teledipendenza. È un'altra fonte comportamentale di propensione alla teledipendenza e coincide generalmente con una tendenza alla contemplazione anomala della televisione, in stanze semibuie, con un atteggiamento silenzioso e immobile, da soli o ignorando le persone presenti. Il comportamento descritto è estremamente determinante nell'etiologia della teledipendenza, in quanto comporta una propensione a lasciarsi catturare completamente dal messaggio televisivo, che può diventa facilmente “ipnotico”. Il potere conferito allo strumento di comunicazione televisivo, attraverso questo “atteggiamento passivo di fissazione”, raddoppia le potenzialità naturalmente ipnotiche della televisione, che possiede l'intrinseca capacità di saturare tutti i nostri canali sensoriali, creando una situazione di sovraccarico che è un'ottima base per ottenere facilmente una, più o meno lieve, alterazione dello stato di coscienza (Gamberoni G., “Ipnosi”, Demetra, Firenze, 2002). Quest'ultima non deve essere considerata né una violenza televisiva, né uno stato negativo, ma può diventarlo se abitualmente diviene una condizione psicologica che media i messaggi televisivi che, in questo stato, non vengono controllati e selezionati attivamente. Il linguaggio televisivo comprende infatti immagini, suoni e sensazioni che possono impegnare tutti i nostri sensi e, soprattutto in soggetti predisposti e in condizioni ambientali adeguate come la penombra e il silenzio che inducono naturalmente uno stato crepuscolare, possono attivare una “confusione sensoriale” che attiva la parte emotiva del nostro cervello (l'emisfero destro), lasciando meno spazio alle aree del pensiero razionale. Per le stesse ragioni esposte, un comportamento altrettanto errato è quello della “fissazione anomala”, ossia quello costituito dall'abitudine di guardare la televisione mentre si svolgono altre attività intellettuali, non tanto perché si possono limitare queste ultime, bensì per il rischio di mantenere troppo impegnato l'emisfero cerebrale sinistro, deputato alla logica e alla critica e molto utile nel filtrare i messaggi ricevuti dalla TV. Le differenze individuali nella suggestionabilità televisiva, la frequente presenza di televisione anche nei locali pubblici frequentati ed il suo utilizzo quotidiano per diverse ore, rendono sempre molto difficile comprendere quando si stia abusando della tv e quando si sia soggetti inconsapevolmente alla telefissazione. La difficoltà maggiore nell'individuare i comportamenti di vera e propria teledipendenza sta poi nella iniziale tendenza a negare il problema da parte di chi vi è soggetto in prima persona. Esistono degli indicatori qualitativi e quantitativi importanti per comprendere se il consumo del mezzo di comunicazione televisivo è eccessivo, di cattiva qualità e se, rispondendo ad alcuni bisogni psicologici, rischia di sfociare persino in una vera e propria dipendenza. L'abuso e la telefissazione, infatti, non coincidono direttamente con la teledipendenza, che si manifesta con una serie di comportamenti simili ad una vera e propria dipendenza da una sostanza e con la presenza persino di crisi di astinenza in assenza del suo consumo.

Di seguito vengono descritti alcuni comportamenti che devono far sospettare di essere in presenza di teledipendenza. Principali segni di teledipendenza: abuso televisivo, con contemplazione della TV superiore alle 2-3 ore quotidiane; telefissazione o fissazione anomala; euforia o esaltazione nella contemplazione delle immagini televisive dei programmi preferiti; riduzione delle attività di svago alternative alla visione televisiva; rarefazione dei rapporti sociali, con apatia di fronte ad inviti allettanti e sostituzione della comunicazione con i presenti con consumo di programmi televisivi, sui quali non si tollera l'interferenza e il commento; appiattimento delle capacità critiche e passività mentale di fronte ai contenuti mediati dalla tv; confusione tra realtà e descrizione televisiva della realtà, con accettazione di quanto detto in televisione come realtà assoluta e superiore alle altre (ricorrenti affermazioni di certezze, durante le conversazioni, testimoniate da frasi come “l'hanno detto in televisione!”); crisi di astinenza con nervosismo, irritabilità e agitazione ansiosa, nel momento in cui il soggetto non ha disponibile una televisione o tenta di resistere all'impulso di accenderla; desiderio di acquistare prodotti pubblicizzati attraverso il mezzo televisivo; preoccupazione abnorme e ricorrente associata a notizie apprese in televisione. La teledipendenza non è un fenomeno “tutto-o-nulla”, che o è presente o non lo è. Spesso esistono manifestazioni intermedie, legate alle caratteristiche di personalità di un individuo, in cui l'astinenza si manifesta in modo più contenuto e più come sofferenza interiore. In altri casi, il problema può manifestarsi con comportamenti eclatanti e irrazionali come l'affitto di un televisore o la richiesta di un “prestito televisivo” ad un amico, nei casi di guasto al proprio apparecchio televisivo, o anche il consumo contemporaneo di più programmi con diversi apparecchi televisivi. Inoltre, non tutti i teledipendenti sono uguali perché, sebbene i fattori comportamentali che predispongono alla teledipendenza siano sempre presenti, esistono delle differenze individuali legate ai motivi psico-sociali che hanno alimentato questo tipo di comportamento, intrecciandosi alla storia individuale della persona che ne è vittima. Infatti, mentre alcune persone non tollerano alcun tipo di interferenza nel corso di programmi televisivi che rappresentano fonte di modelli da apprendere o strumenti per soddisfare virtualmente i propri bisogni frustrati, altri utilizzano la teledipendenza per vincere la solitudine e sono meno interessati ai contenuti veri e propri, ponendo maggiore attenzione alla compagnia virtuale nella quale consentono con piacere le interferenze di amici reali. I comportamenti descritti come sintomi della dipendenza televisiva lasciano chiaramente intendere come siano naturalmente predisposte alla teledipendenza le persone che hanno una storia personale connotata da una rete sociale reale ridotta o di cui fruiscono poco. Questo spiega perché le “categorie maggiormente a rischio” siano gli anziani, le persone con insicurezze relazionali o che per particolari ragioni (stanchezza lavorativa, esigenze emotive o personali di stare soli per un periodo…) riducono i contatti relazionali con il mondo esterno. Inoltre, esistono due rischi importanti che la teledipendenza, come l'abuso televisivo, porta con sé: la predisposizione ad altre moderne dipendenze nei confronti delle quali la televisione può svolgere un'azione induttiva (es. dagli acquisti o dal sesso) e la vulnerabilità alle notizie catastrofiche, con conseguente propensione a lasciarsi coinvolgere nelle psicosi collettive, come la paura del contagio di alcune malattie o il terrore di guerre e catastrofi imminenti (Ricciardi M., “La Paura della SARS” in “La protezione civile italiana”, 2003). TELE-INDIPENDENZA A questo punto si possono tracciare alcune regole che possono aiutare a stabilire un rapporto equilibrato nella fruizione della televisione, al fine di prevenire o ridurre la teledipendenza, soprattutto se si ritiene di rientrare nelle “categorie a rischio”, anche temporaneamente. Le stesse regole sono utili per migliorare il consumo televisivo nell'infanzia, affinché la tv non diventi quello che è stato più volte chiamato provocatoriamente “il terzo genitore”, nonché per limitare gli effetti negativi che si associano all'abuso televisivo, tra i quali i più noti sono la passività mentale, il pensiero sintetico, l'obesità, la propensione ad imitare modelli inadeguati e le fobie di eventi catastrofici (D'Amato M., “Bambini e Tv”, Il Saggiatore, Milano, 1997). Regole per prevenire o ridurre gli effetti della teledipendenza: limitare la dose massima di esposizione giornaliera televisiva a due-tre ore; per i bambini è importante la mediazione degli adulti nella codifica dei messaggi televisivi; evitare ogni forma di telefissazione o di fissazione anomala della tv, guardare la televisione con una idonea postura e luminosità, senza svolgere contemporaneamente lavori intellettuali; coltivare altri hobbies e lasciare spazio ad attività creative e attive nel corso della settimana; mantenere attivi i contatti sociali; confrontare le notizie televisive con quelle provenienti da altre fonti, mantenendo un atteggiamento logico-critico e una visione globale dei fenomeni (fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, ndr). Quanto detto fino a questo momento consente di comprendere come la teledipendenza possa rappresentare un fenomeno temporaneo o semplicemente il risultato di abitudini sbagliate e di modalità compensatorie con

cui si affrontano alcuni bisogni personali. In alcuni casi è possibile regolare le proprie abitudini autonomamente per far scomparire il fenomeno nel giro di poco tempo, lasciando spazio anche ad altre attività più creative. In altri casi, soprattutto quando questa dipendenza si associa ad altre, diventa necessario un trattamento specifico che può richiedere anche un cambiamento globale delle proprie abitudini di vita. (Pubblicato su Ecplanet 02-01-2006) THE FUTUROLOGICAL CONGRESS Nel 1971, l'autore polacco Stanlislaw Lem pubblica un racconto breve dal titolo "Il Congresso Futurologico". Il protagonista, Ijon Tichy, si sveglia, da una animazione sospesa, in un futuro allucinante dove il consumo di droghe "psico-chimiche", che inducono stati di sogno lucido, ha ormai sostituito la fruizione di spettacoli televisivi. Tichy scopre che questo mondo di esperienze artificiali ha generato nella maggior parte della gente una grave perdita del senso di realtà. Ai suoi occhi, tutti sembrano vaneggiare, in preda a fantasie malate, di atti di tortura, omicidi e morbose pulsioni sessuali. Il racconto cerca di seguire l'esperienza di Tichy nel suo lento adattamento a questa strana nuova esistenza. I suoi sconcerti, i suoi dubbi, il suo panico crescente, fino a quando realizza di essere intrappolato in un mondo innaturale di realtà simulata. Alla fine, in una visione degna di Swift, Tichy impara che niente in questo mondo è quello che sembra essere in apparenza. Alla base di tutto vi è una dittatura psico-farmacologica impegnata a mantenere la popolazione in uno stato di allucinazione collettiva. Come risultato, gli individui vivono in una falsa utopia di lussuria ad alta tecnologia, mentre in realtà l'economia, l'ambiente e l'integrità psico-fisica delle persone si trovano in uno stato di collasso. "Noi manteniamo questa civiltà narcotizzata in modo da consentirne la sopravvivenza. Per questo il suo sonno non deve essere disturbato", è quanto rivela a Tichy, Symington, lo psico-dittatore. LA MONOFORMA "La televisione ha imposto alla società strutture narrative totalitarie senza che nessuno abbia avuto il tempo di reagire, a causa della sua rapidità, della sua arroganza e del suo lato misterioso. E' questa la monoforma: un torrente di immagini e di suoni, messi assieme e montati in modo rapido e denso, una struttura frammentata ma che dà l'impressione di essere liscia". Il termine "monoforma" è stato coniato dal cineasta impegnato e controcorrente Peter Watkins, autore di film culto come "War Game" (1965), "Privilège" (1967) unico film distribuito in Italia - "The Gladiators" (1969), "Punishment Park" (1970), "La Commune" (1999). Watkins lo ha utilizzato per descrivere i modelli del linguaggio e delle strutture narrative principali del cinema e della televisione, la loro standardizzazione e la loro maniera frammentata di diffondere messaggi sotto false apparenze lisce e fluide. La monoforma è questo blob fluido e nauseante, che si trova dappertutto, nelle soap-opera come nei serial polizieschi o nei telegiornali. "Nonostante le apparenze, la monoforma è rigida e controllata. Essa ignora le possibilità immense e sconfinate del pubblico, considerato un immaturo".

Tutti i film di Peter Watkins cercano di dimostrarlo: la monoforma è il controllo sociale e l'egemonia del potere. "I professionisti dei media hanno un ruolo chiave nella sopravvivenza dei sistemi autoritari e nella spirale delle violenze fisiche, sessuali e morali". La televisione avrebbe potuto essere un'altra cosa, un vero strumento democratico di comunicazione e di interazione, "ma è in mano a un'élite di potenti intermediari, di magnati, di quadri, di responsabili di programmi e di produttori che dispongono di un potere colossale e impongono ovunque la propria ideologia mondialista e commerciale, crudele e cinica, e, ben inteso, rifiutano di condividere questo potere. Vogliono starsene in pace per manipolare le menti. Ormai incontriamo ovunque le stesse immagini, lo stesso rifiuto di sviluppare una responsabilità, una relazione intelligente con la comunità". Per accompagnare il pensiero unico si sarebbe così creata l'immagine unica: la monoforma. Un'immagine intollerante e anti-democratica, che si adopera affinché il pubblico sia percepito "non come un insieme di individui complessi, ma come un megablocco di umanità, bersaglio perfetto dei pubblicitari e dei programmatori ossessionati dall'audience, target perfetto per il capitalismo e l'economia di mercato". Un'immagine e una cultura cosiddette "popolari", ma che, in realtà, sono artificiali e non hanno nulla in comune con il popolo, trattato come un fantasma. Chi è responsabile di tutto questo? Peter Watkins non ha dubbi: è la televisione. "Se la televisione avesse preso un'altra direzione negli anni Sessanta e Settanta, la società oggi sarebbe molto più umana e giusta, io non ho dubbi. Gli effetti dei mass-media audiovisivi sono enormi, spesso devastanti, tanto più che non abbiamo voluto tenerne conto e che i sistemi educativi non hanno adempiuto alla loro funzione. La cultura di massa che ci è stata imposta, volgare, limitata e brutale, fatta di semplificazioni e di voyeurismi, stracolma di stereotipi sessisti e sciovinisti, votata al culto del Dio denaro, questa cultura deve essere ritenuta responsabile di molti disastri. L'impatto sociale della monoforma è stato devastante". La forma del linguaggio autoritario, manipolatore, arrogante ed opaco della televisione nelle mani di manovratori avidi di potere, è assai poco dibattuta nella nostra società. Questa situazione, che impedisce l'interazione umana e l'impegno collettivo, è accettata senza riserve dalla società dei consumi e dal sistema educativo. L'industria del cinema, senza che questo susciti il minimo dibattito pubblico, investe in film violenti e semplicistici, che favoriscono l'egemonia di Hollywood, invece di lavorare per il miglioramento dei sistema educativo, della sanità e dell'assistenza sociale. Altrettanto succede nelle produzioni televisive: non solo non esiste alcun dialogo con gli spettatori, ma la sottocultura popolare audiovisiva non costituisce una credibile fonte di informazione, per non parlare della comunicazione interattiva. Le numerose manifestazioni della monoforma, telefilm, polizieschi, film hollywoodiani, talk-shows, realityshow, MTV... sono basati su un metodo universale di strutturazione del tempo e dello spazio nella dinamica del montaggio. Questa può essere rappresentata come segue: /-/-/ -- -/-/ -- -/-/-/-/-/ -- / (dove le linee verticali rappresentano un taglio e quelle orizzontali una piccolissima unità di tempo). I tagli (più o meno tutti di tre secondi) mantengono la suspence e impediscono lo sviluppo di spazi di riflessione. Questa standardizzazione ripetuta contribuisce a confondere le frontiere fra pubblicità e informazione, fra la violenza reale e la sua messa in scena. I mass-media presumono che il pubblico abbia bisogno di forme di rappresentazione prevedibili per poter essere "implicato" (cioè manipolato). Per questo, malgrado l'influenza decisiva che la monoforma ha sulla nostra capacità di assorbire l'informazione, questa struttura dominante non è dibattuta o rimessa in discussione né dai professionisti né tantomeno dal pubblico zombie.

È vitale che emergano nuove forme di insegnamento critico dei media, che includano un percorso di presa di coscienza di tale crisi, l'insegnamento di nuove tecniche di "decodifica" delle forme di linguaggio manipolatrici, l'incoraggiamento della nascita di un dibattito pubblico e la creazione di nuove forme che possano opporsi all'egemonia della monoforma. Al momento non esistono forme di produzione creativa capaci di mettere a confronto in maniera credibile tecniche repressive, conformismo e accumulazione monopolizzante del potere. Se esistono, sono relegate nell'underground. Nonostante esistano infinite possibilità di processi mediatici alternativi, è stato del tutto abbandonato ogni tentativo di rendere la televisione un media democratico a causa del rifiuto espresso dai sistemi politici e dalla maggior parte dei professionisti verso tutti i tentativi di nuove misure sociali, economiche o creative. Watkins è convinto che noi oggi ci troveremmo in un mondo più umano, più giusto, più evoluto, se, negli anni Sessanta e Settanta la televisione (aprendo le sue strutture di potere) si fosse posta in una posizione di collaborazione e ascolto nei confronti delle differenti categorie sociali che compongono l'opinione pubblica, e se avesse adottato delle forme di espressione più aperte e complesse. L'insegnamento odierno relativo ai mezzi di comunicazione di massa, chiamato "scienza della comunicazione e dei media", è diventato un enorme business, con scuole dotate del non plus ultra della tecnologia, che preparano gli studenti a lavorare all'interno della macchina industriale di Hollywood e dei suoi cloni europei e asiatici. L'analisi di orientamento marxista degli anni Sessanta sottolineava la forza dei legami fra interessi economici e media. Eppure, i programmi convenzionali di studio della comunicazione sono divenuti sempre più chiusi, fino ad essere assimilati del tutto e controllati dal sistema, senza alcun dibattito pubblico. Il post-modernismo è divenuto una sorta di cultura obbligatoria: bisogna essere connessi, positivi e tecnicamente attrezzati. Quasi tutti gli studi rifiutano di presentare delle forme critiche alternative nel quadro istituzionale ed inculcano invece la monoforma. L'accesso ad una pedagogia critica, a forme alternative e più democratiche di insegnamento dei media dovrebbero invece essere garantiti come diritti umani, e rese costituzionali, tutelati dalla legge. Il diffondersi della società dei consumi orchestrato tramite la doppia azione dei mass-media e del sistema educativo è sostenuto dalla logica assolutista dell'economia di mercato. L'abilissima propaganda al servizio della società dei consumi ha sviluppato una falsa percezione dei nostri stessi bisogni. Il risultato è un circolo vizioso di dipendenza e di manipolazione che non fa che rinforzare questo sistema gerarchico. Un ciclo senza fine trasmette questa ideologia alla generazione successiva di professionisti, ivi compresi gli insegnanti, e, più in là, al pubblico. Il disprezzo del pubblico è diventato ideologia ufficiale. La relazione immutabile con il pubblico si è stabilita con chiarezza come un flusso a senso unico da quelli a quest'ultimo, attraverso un processo gerarchico che non permette alcuna reale interazione. I GUARDIANI DEL TEMPIO Watkins ha provato a chiedere più scelta per il telespettatore, scelta di forma, di linguaggio, di temi, di stile, di ideologia. Ha parlato di "guardiani del tempio", riferendosi al modo in cui ogni materiale mediatico è filtrato prima di essere presentato come "informazione". Questa forma di manipolazione è difesa dall'insieme dei media e dei sistemi educativi, ammantata di "obiettività". L'industria del divertimento riflette la crisi morale ed etica della società contemporanea. Senza voler stabilire un qualsiasi legame diretto fra la violenza mediatica e gli orrori del genocidio, ciò che vediamo nella monoforma è l'amministrazione organizzata della violenza, quello che, nel contesto dell'Olocausto, Hannah

Arendt descriveva come la "banalizzazione del male". Facendo passare l'idea che il cinema e la televisione siano dovuti come "puro divertimento", i mass-media fingono di ignorare la loro responsabilità diretta nella banalizzazione della violenza nella nostra vita quotidiana, ad un punto tale che il sistema educativo non permette ai giovani di prenderne coscienza. Nell'era dello spettacolo, che predomina nella società di comunicazione e informazione di massa, gli universitari dei media cercano ancora di trasmettere l'antico mito di una televisione di informazione e educazione. In realtà, il loro ruolo è quello di condurre un pubblico/cliente agli esperti di marketing e alle corporazioni multinazionali. Oggi, l'interdizione e la marginalizzazione delle produzioni mediatiche alternative sono "normali", ed il pubblico rimane in silenzio. Proprio come il sistema educativo. Non c'è ormai più nessun dibattito. Questo fatto minaccia il cuore stesso della democrazia. Ci troviamo sull'orlo della voragine di un fascismo mediatico totale, orwelliano. Peter Watkins termina con una domanda: "Che prezzo deve pagare il pubblico per poter beneficiare di un sistema di comunicazione che trasmetta parole veritiere e che permetta di dibattere dei soggetti reali e non di questioni insulse e discussioni sterili, controllate e messe in scena dai mass-media?". LINKS

Television addiction - Wikipedia Peter Watkins - Wikipedia

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