di ARTISTI
IN
RIVISTA
Bocca
Anno IV, N. 15 • Ottobre-Dicembre 2005
Direttore Responsabile: Giorgio Lodetti / Direttore Artistico: Roberto Plevano / Progetto Grafico: Franco Colnaghi Via Molino delle Armi, 5 - 20123 Milano • Tel. 02 58302239 02 58302093 - Fax 0258435413
Maurizio Bottoni
La condanna dell’eretico Vittorio Sgarbi Quello che pubblichiamo di seguito, per gentile concessione di Vittorio Sgarbi, è l’articolo scritto in occasione della mostra personale allo Studio Forni di Milano. Chissà quanto dovremo ancora aspettare per trovare in qualche repertorio, o rivista d’arte contemporanea, il nome di Maurizio Bottoni. Già abbiamo dovuto vedere esclusi non i tardi cicli, piegati a una dolce maniera,
Cristo morto, 2004, olio su tavola incamottata, cm 67 x 80
di Pietro Annigoni, ma anche il ritratto del padre, l’autoritratto, il ritratto di Ferragmo, da tutte le esposizioni sul Novecento. Ma oggi che siamo sulla frontiera di una ricerca che consente ogni esperienza, fra nuovi acquisti della Galleria d’Arte Moderna, a fianco di un video spento sul quale si legge un laconico e funebre avviso:“Opera momentaneamente non in funzione”, mi chiedo perché debba resistere un impenetrabile silenzio rispetto alla lunga e assidua impresa di Maurizio Botto-
ni. Me lo chiedo, senza alcun intendimento polemico, pensando alla solerzia con cui una critica sensibile come Angela Vettese mi raccomanda l’opera di Grazia Toderi.Alcuni artisti trovano riparo solo in ambienti politicamente scorretti (grandi empori come lo Studio Forni, o tenaci trincee come la Galleria Ceribelli), ma non ci sarà spazio per loro alle Biennali del consueto corso come alle Quadriennali del nuovo. Niente. Condannati a restare senza casa, con il conforto della parola eretica e rara che fu un tempo di Roberto Tassi, ed è ancora Giorgio Soavi, nella temerarietà di un occhio e di un pensiero liberi, e, ormai da lungo tempo, dell’irriducibile scrivente, che non intende le ragioni della legittimazione di alcuni e dell’ esclusione di altri, come Maurizio Bottoni. Soprattutto dopo la prova della mostra personale allo Studio Forni, presentata da altri due giovani eretici che non intendono arrendersi: Alberto Agazzani e Flavio Arensi. Si gira nella galleria, ammirando un impegno illimitato che sembrava esaurito con la pittura romantica: interni di boschi, attraversati dalle luci striscianti dell’alba o del tramonto, castelli e ville alla luce del giorno o al chiaro di luna, paesaggi ideali, che annunciano profeticamente le speranza di Marte, come se Caspar David Friedrich e Philipp Otto Runge dipingessero ancora e avessero un compagno di squadra non meno radicale di loro. Già immagino che a queste mie parole, i giovani e i più invasati colleghi, persi dietro i profumi di Vanessa Beecroft, esclameranno:“ Vedi che i tuoi artisti sono di un altro tempo, inattuali?”. Appunto. Come lo furono le considerazioni di Nietzsche. Non di un altro tempo è Maurizio Bottoni che nelle Vanitas, più volte ripetuta, non manca di limitare i confini della sua poetica replicando alla minaccia della morte dell’arte:“l’Hanno data per morta tante volte e lei se la ride. Come queste ossa con un’anima, nervi, muscoli e carne possono rivivere, così ogni volta la pittura. Con tanta buona pace dei tanti becchini”. Oggi Bottoni da una lezione insuperabile, anche nell’insignificanza dei soggetti, esibiti come illustrazione per un libro di scienze naturali, dalla Grande mucca alla Coturnice, fino ai Tulipani e ai Gigli in un bicchiere e alle Zucche dalle più diverse forme. Certo ritornano alla mente Memling,Van Eyck, Zurbaràn, Meléndez, o Van der Hamen. Ma la soddisfazione immensa, davanti alle croste di quei Formaggi o alla pelle di quelle Melegrane fino al trionfo di quel Festone di frutta e di fiori che aspira a confrontarsi con Caravaggio. Piace di Bottoni il rigore, il radicale estremismo della forma, l’ossessione della compiutezza, la ricerca implacabi-
le che non si ferma davanti al soggetto più ingrato e, per se stesso, assoluto: la Corona di spine, davanti alla quale, e solo per amore dell’arte molti dei produttori di “Opere momentaneamente non in funzione” dovrebbero inginocchiarsi, e piangere.
Interno di bosco, 2002 olio su tavola cm 160 x 150
Su invito del Ministero delle Scienze, delle Ricerche e delle Arti della Turingia Maurizio Bottoni esporrà centoventi opere provenienti da collezioni pubbliche e private al Panorama Museum
Maurizio Bottoni “Ecce pictura”
Panorama Museum Bad Frankenhausen - Germania dall’8 ottobre 2005 al 15 gennaio 2006
www.panorama-museum.de Corona di spine, 2002 olio su tavola, cm 33 x 40
Gabriele Buratti
per le Segrete di Bocca in 3a pagina Linguaggio ed energia, certezze forzate
17 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Gianluca Corona
Nature morte giganti Giacomo Lodetti
Grande Limone, 2005 olio su tela cm 110 x 90
Ho visto da Forni, in via Fatebenefratelli a Milano, uno degli ultimi lavori di Gianluca Corona. Giorgio, mio figlio, aveva suggerito con una certa insistenza di non perdere la novità di un quadro che segnava un drastico cambiamento nella tecnica del comune amico. In effetti la sorpresa c’è stata perché rispetto ai quadri che conoscevo e a quelli che possiedo, entrati a far parte della mia collezione nell’arco degli ultimi otto anni, le novità erano almeno due su tre: il formato, la pittura, non il soggetto. Che tra quelli preferiti di Corona ci siano le nature morte è noto ormai a tutti dei suoi numerosi estimatori, ma che un suo cedro arrivasse a raggiungere la dimensione di oltre un metro quadrato, questo è assolutamente nuovo. L’uso poi dell’olio che l’artista fa nel dipinto gli conferisce una matericità sconosciuta in passato. In questa circostanza, il frutto occupa per la prima volta uno spazio a tre dimensioni, le protuberanze della buccia escono dalla tela e sotto l’effetto di una indovinata illuminazione, esaltata da un fondo scuro, assumono le sembianze di un ologramma, mentre la foglia, dipinta nella par-
te che si vede da sotto con le sue nervature, pare essere il capolavoro nel capolavoro. La luce, nella parte destra del dipinto, gioca un azzeccato effetto a corno di luna, mentre sul lato opposto da vita ad un buio mai eccessivo, dal quale si intravedono, grazie a sapienti pennellate di colore, il panno, sui cui poggia il frutto, e parte del picciolo a cui è attaccata la foglia. Se apparentemente può sembrare più difficile dipingere un volto umano, perché l’espressione del soggetto che deve anche dare un’idea del suo carattere e della sua personalità, o è presa o è sbagliata, mentre una zucca resta pur sempre una zucca e i suoi bitorzoli non esprimono sentimento e un gufo anche se differisce da un suo simile, resta ai nostri occhi sempre un gufo, dipingere una natura morta comporta problemi altrettanto difficili da risolvere. Il primo è se il dipinto riesce a dare una sensazione di forza o meno e questo può dipendere dalle dimensioni dell’oggetto rispetto a quelle della tela. Quindi se l’oggetto galleggia nell’aria o posa naturalmente su di un piano, non ultimo se la luce giunge da un punto giusto o meno e quanta parte illumina, rispetto al tutto. Alla fine le domande a cui dare risposta sono:“c’è equilibrio tra tutte le componenti in gioco?” E “che sensazione procura il guardarlo?” Spero che questo quadro sia solo un punto di passaggio per Gianluca, non di arrivo.
Plevano incontra Franco Zanaboni
Senza titolo olio su tela
“Uno specchio di stelle riflette all’orizzonte, una tavola scura ha preso il posto del Mare, una nuvola nera copre il sole, la spiaggia trattiene il respiro. Di nuovo il sole, il vento soffia, la spiaggia torna a respirare, mentre immobile sto a guardare.” Signor Zanaboni, riconosce questi versi? Certo, non solo li riconosco, ma mi ci trovo appieno, li sento parte del mio vissuto, del mio osservare e vivere la natura ma soprattutto del mio osservare e vivere il mare. Il mio modo di intendere il mare, il Mare con la “M” maiuscola, credo che sia molto insolito, almeno non mi è ancora capitato di incontrare qualcuno che lo percepisca così come lo intendo io. Per me il mare è vivo, mi comunica messaggi, mi fa provare sensazioni ed emozioni, mi fa riflettere, mi trasporta nel profondo, mi entra dentro. E’ in riva al mare che scrive le sue poesie? Sì, spesso sulla spiaggia prendo appunti e faccio degli schizzi, ma più per fissare il ricordo delle sensazioni e per imprimere nella memoria la luce e i colori. Già, lei è il pittore del mare, molti dei suoi quadri rappresentano il mare. Come le dicevo, il mare è dentro di me e nel mare leggo e traduco i misteri dell’uomo e dell’universo intero. Tutto è riflesso nel mare. Vuole dire che per lei il mare è come uno specchio? Forse. Lo sento dentro e mi fa nascere pensieri, rivivere emozioni. E allora scrivo oppure dipingo. Dipingo ciò che ho dentro, ciò che sento, faccio rivivere con il colore il frutto di una lunga riflessione, di un tormento che non riesco ad allontanare dalla mente, di un quesito al quale non riesco a trovare soluzione.
In un certo senso, nei suoi quadri non dipinge il mare come paesaggio, ma attraverso il mare vuole suscitare emozioni, è così? Assolutamente sì.Attraverso il mare si possono lanciare infiniti messaggi, e io questi messaggi li vivo prima dentro di me: sono lì, lavorano nel profondo per poi emergere, facendomi sentire la necessità di mettere le mani nei colori e di dipingere. Perché dice “mettere le mani nei colori”? Io non dipingo con i pennelli, ma con le mani. Non mi piace che fra me e il quadro ci siano intermediari.Voglio che la mia pittura susciti emozioni, si faccia in qualche modo “sentire”, ma devo essere io il primo a sentirla con le mani, voglio avere io stesso la sensazione di plasmare l’immagine. Spandendo i colori do forma a luci e ombre, ma soprattutto visualizzo un’emozione, un pensiero. Quali pensieri, per esempio? Il senso della vita,per dirne uno.Rifletto molto sull’enigma dell’esistenza e credo che traspaia anche dai miei quadri. Già, quando nei suoi quadri vedo la figura che cammina sulla spiaggia, anch’io ho la sensazione di cogliere un interrogativo profondo, esistenziale… La figura è l’enigma stesso. Non si sa chi è, non ha volto, non ha sesso, non ha età, non si sa se è ferma o se cammina, però è un grande-piccolo punto di riferimento nell’immenso spazio. Potrebbe rappresentare l’umanità intera oppure esserne il simbolo. Chiunque può identificarsi in quella figura e questo è molto importante ai fini del messaggio pittorico. Ma credo che una profonda sensazione si possa avere anche senza la figura, semplicemente con il colore, basta guardarlo. Basta immaginarlo. “Tutto è calmo, cielo e Mare un unico colore, il bianco dell’onda si fonde nella sabbia. L’immenso.” Forse ha ragione, signor Zanaboni, basta lasciarsi trasportare dal mare, dalla pittura, dalla poesia.
Ritorno dal bagno 2, 2005, olio su tavola, cm 80 x 50
Fosco Bertani Rodolfo Balzarotti Apprendimento, o apprendistato, della pittura. E’ la prima espressione che, a mo’ di slogan, ci affiora alla mente nel guardare le recenti tele di Bertani. La sua è infatti, anzitutto, una pittura che apprende se stessa, proprio nel momento in cui con caparbietà crescente l’artista si cimenta e si accanisce, quasi sur le motif, ad esempio sui paesaggi che lo hanno più ispirato in questi ultimi anni. Nonostante vi sia una chiara deriva verso immagini più naturalistiche e di una costruzione plastica più decisa, soprattutto dove la luce mediterranea sembra, come negli ultimi paesaggi calabresi, prosciugare le forme e renderle più nitide e perentorie, resta nondimeno l’impressione che, di fronte all’oggetto, alla cosa, l’artista proceda comunque e sempre per tentativi e scoperte. Di essi egli non sa, o non vuol sapere se non ciò che la pittura gli (ci) può insegnare. La sua è una condizione, per così dire, esistenziale della pittura: questa gli impone sempre una sorta di sospensione, di epochè di fronte a ciò che gli sta di fronte, e che perciò diviene per lui problema: qualcosa che gli si para dinanzi e lo spiazza. Il nitore e il rigore formale di certi esisti non deve trarre in inganno: non c’è nulla di descrittivamente pittoresco, perché in Bertani è proprio la pittura a esorcizzare il pittoresco. Essa infatti, come linguaggio dei pigmenti e dei valori cromatici, traduce quello che del reale rimane sempre in riserva: i movimenti della luce e dell’ombra, il gioco dei caldi e dei freddi, il tessuto delle macchie, l’osmosi tra il fondo e la forma. Si tratta di quel lato interno del vedere che rende possibile il vedere, quella che Merleau-Ponty chiamava la fodera del visibile. Perciò le soluzioni via via trovate dal pittore, specialmente le più felici, non cancellano mai l’azzardo da cui esse sono scaturite, quel tanto di aleatorio che non riesce a integrarsi nella “buona gestalt”, che rimane fluttuante e provvisorio. La messa a fuoco del soggetto comporta sempre, anzi, una certa messa in opera della visione periferica, sfuocata. E questo indipendentemente dal grado di definizione dei contorni. E’ interessante come in queste opere recenti il pittore raggiunga una eccezionale essenzialità di forme, in particolare nella figura solitaria che si staglia sullo sfondo del cielo e del mare. Ma la struttura anatomica in taluni casi tanto nitida nasce dall’accostamento dei toni, non già da una disegno a priori, che rimane come presupposto, un fuori testo (o fuori tela) subito dimenticato. Il reale è sempre ri-costituto a partire dai valori cromatici. E’ una questione di metodo. In Bertani la realtà prende la consistenza di un tessuto, spesso morbido e poroso: egli non ama lo scheletro delle cose, ma ha bisogno di ricoprirle di un panno, di un “panneggio” (vero grande protagonista della pittura moderna, tra Cinquecento e Ottocento), non per nasconderle ma per offrirle al tatto oltre che allo sguardo. La realtà, dunque, qui la si apprende rivestendola - rivestendola dei panni della pittura. Campagna e Resegone viola, 2005, olio su tavola, cm 40 x 50
18 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Gabriele Buratti
Linguaggio ed energia, certezze forzate
Omaggio a James Joyce La rapsodia di un secolo Viola Lilith Russi Antico Caffé San Marco Trieste
Silenziosa viaggiatrice, senza per questo non orchestrare una potente sinfonia concettuale, l’esposizione di arte contemporanea promossa e organizzata dalla Fondazione D’Ars Oscar Signorini Onlus Omaggio a James Joyce a cura di Alberto Mattia Martini, continua il suo itinerario europeo ospite dei “tempi” e degli spazi biografici e artistici del celeberrimo scrittore irlandese
Antico Caffé San Marco Trieste
del secolo scorso. Fu in occasione del centenario dallo sbarco di Joyce a Trieste, infatti, che l’Antico Caffè San Marco inaugurò la mostra lo scorso novembre 2004, in onore dei momenti trascorsi dall’autore stesso ai suoi tavoli in compagnia di altri celebri intellettuali come Italo Svevo, nonché della fertilissima stagione letteraria triestina che lo condusse al compimento della sua personale Odissea letteraria: l’Ulysses. Ed è proprio nel luogo che coraggiosamente diede luce alla prima edizione, tremendamente volgare e sconveniente, a giudi-
Shakespeare & C. Parigi
Shakespeare & C. Parigi
zio dei più, che la mostra è migrata nel gennaio 2005: a Parigi, nella storica libreria Shakespeare and Company. Fu la ventitreenne americana Sylvia Beach, proprietaria della Shakespeare & C. parigina, a voler dare fiducia al testo che avrebbe rivoluzionato la letteratura del ’900, e lo fece in occasione del quarantesimo com-
pleanno di Joyce: il 2 febbraio 1922, data in cui, ottan- coscienza “universalistica” del sé. Ci portiamo in tasca tatré anni dopo, non potevano mancare gli ormai miti- un gomitolo di culture, l’intreccio delle nostre apparteci “tondi d’artista”. A celebrare, divertire e far volare il nenze, che se solo viene srotolato ci sorprende per la pensiero di Joyce sono infatti opere circolari, rotonde, pluriformità delle nostre storie. Ed è da qui che ha leggere e spesso bifronti perché appese ai soffitti di que- anche inizio il polifonico itinerario di un messaggio, di sti storici ritrovi cittadini. Ricordando il senso del molteplice, del “doppio fondo” grazie ai recentissimi contributi della psicanalisi; mostrandoci i modi sottili e dissacranti di un’ epoca che rise della cantata integrità morale ed estetica ottocentesca, i dipinti, le sculture e i disegni degli artisti in mostra si impongono discreti agli occhi dei clienti abituali, viaggiatori, lettori e vagabondi. In un incrocio di sguardi gli ondeggianti “punti di vista” osservano, forse giudicano, in alcuni casi riflettono (essendo alcune opere fatte non a caso di specchi), i volti e i passi dei viandanti. È quello che è accaduto il 16 giugno 2005 fra i luminosi e affascinanti scaffali della Libreria Libreria Bocca - Milano Bocca di Milano. Scivolando dalla cronologia biografica a quella letteraria di Joyce infatti, la una biografia che ci rivela il tessuto del mondo tanto mostra ha regalato ai passanti della Galleria Vittorio connesso quanto sconnesso, a partire dagli innumereEmanuele la possibilità di addentrarsi nel labirinto voli volti in cui potersi ritrovare, sospesi ma presenti. I mentale e cittadino dei personaggi dell’Ulisse, proprio “tondi d’artista”, ci offrono il filo di quel gomitolo, che il giorno in cui tutta la vicenda ha luogo. L’Odissea di si arricchisce di città in città e che continua a far vibraLeopold Bloom e Stephen Dedalus (suo alter ego), nac- re, fra passato e futuro, la rapsodia di un secolo. que e si spense in un’unica giornata, quella del 16 giugno 1904, fra i vicoli di Dublino non meno che fra quelli ben più colorati ed imprevisti dell’emergente stream of consciousness (o flusso di coscienza). Non si sa mai perciò che, come volante monito artistico, le opere sospese, acute osservatrici del fermento cittadino, abbiano trasmesso ai più attenti il dono di un’eroica introspezione, ritraendosi inorridendo e svelandosi nello specchio del proprio alter ego o, semplicemente, quello di una piccola riflessione, come quella che mi ha spinta a definire Joyce il rapsodo di un secolo, e la sua opera, come a mio giudizio la stessa struttura e filosofia della mostra, una musicale rapsodia. Nell’antica Grecia infatti i rapsodi (da __π__= cucire, inventare) erano cantori che girovagando per villaggi, strade, piazze e corti, narravano poemi e leggende “tessendo” storie di varia provenienza in intrecci eroici tramandati dagli anziani. Nella sua Storia sociale dell’arte Arnold Hauser definisce il nuovo romanzo del ventesimo secolo, di cui l’Ulisse è l’emblema, “rapsodico”, ovvero episodico, itinerante e, perché no, epico. Non più una letteratura dai tempi e dagli spazi lineari, progressivi e univoci, bensì l’avvento di una metamorfosi dei linguaggi che rispecchi l’ormai svelata polifonia caotica dell’esistenza. Che rifletta cioè Libreria Bocca - Milano la simultaneità degli eventi, delle sensazioni, dei ricordi; la sgradevole convivenza degli opposti; il così poco pudico e discreto “flusso di coscienza” che ci Artisti fa essere “dissociati ma per associazioni”; il brutale sconvolgimento, insomma, dei tradizionali canoni artiAlberto Allegri, Marilena Annovazzi, Gennaro stici, estetici e psicologici dei personaggi. Al centro di Avano, Celestina Avanzini, Beatrice Bartoluzzi, un’idea sinestetica dell’arte dove tutto è arte, dove ogni Beatrice Bausi Busi, Simone Beck, Silvana Gabriela cosa esiste se collegata al resto del mondo e gli eroi Beju, Massimo Berruti, Roberto Bogo, Pier Giulio sono dissacrati, i banali oggetti della vita quotidiana salBonifacio, Paolo Bosisio, Angela Bucco, Jean Pierre tano alla ribalta e il tutto si svela nel ritrovato tesoro Buscaglia, Carlo Caloro, Carmine Calvanese, Bruno dell’inconscio, la rivoluzionaria scrittura dell’irlandese Chersicla, Pino Chiari, Mariolina Roccella Conti, James Joyce si fa interprete di uno scenario culturale Ezio Cuoghi, Angelo De Boni, Antonio Dell’Isola, che ha un indubbio bisogno di essere “tessuto”, smonAnna Maria Ducaton, Riccardo Giulietti, Isa Di tato e ricucito in una lirica e tautologica cerimonia Battista Gorini, Gruppo Anonima di chi-sì-lu-son, della disgregazione dell’io. La nuova arte nasce dal caos, Gruppo Cast, Gruppo G.T. Mutoid, Tomas Heller, quello più interno, che l’autore squaderna senza remoDomenica Laurenzana, Grazia Lavia, Britta Lenk, re nelle pagine del suo capolavoro. Siamo “doppi”, irraCiano Liziero, Antonio Massari, Massso, Gualtiero zionali, imprevedibili e ogni nostra giornata non è che Mocenni, Marco Mussoni, Laura Olivero, Francesco il riflesso delle mille sfaccettature, dei mille colori che Pezzuco, Lorenzo Petrantoni, Sergio Roni, R.V. da una vita tessono la loro trama sul telaio della nostra Robin Van Arsdol, Anna Maria Russo, Bruno e esistenza: non una, ma infinite esistenze, perché non Giovanna Signorini, Stefania Siragusa, Stefano esiste storia che non si faccia delle parole, delle idee e Soddu, Anna Spagna, Claudio Spolentini, Manrico dei ritagli di vita di altre migliaia di persone. Ecco quelStiffi, Giorgio Tonti, Silvia Varini, Silvia Venuti. lo che Joyce ha cantato e “cucito” per noi: una nuova
20 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Sully Basso Giorgio Salmoiraghi
Eltjon Valle Bracchi italiani, 2003, olio su tavola, cm 30 x 50
In questo microscopico, fluttuante puntino nell’universo governato da leggi che non possiamo comprendere ma vagamente percepiamo, noi viviamo immersi in ciò che definiamo natura, dalla quale tutti riceviamo vita, aria, nutrimento... morte, tutto insomma; e stupefatti, soggiogati da tanta perfezione e grandezza, la identifichiamo con Dio. Non so se la Natura sia Dio o il suo riflesso ma possiamo dedurre che la bontà, la giustizia e la bellezza sono cose divine mentre la loro negazione è cosa quantomeno diabolica e malvagia. Il bello solo invita, suscita stupore e lo splendore delle forme porta con sè creatività. Ars imitatur Natura, diceva Aristotele. La natura è bellezza, dove arriva il bello viene sconfitto il nichilismo. Il bello, a piene mani diffuso nella natura, è presente nelle opere d’arte suscitando ammirazione e stupore. La cultura odierna brama la bellezza. Artista devi ricercare il bello, il bello è nel vero, li sta la tua e la nostra salvezza. Ricorda che il bello s’impone con la sola presenza. Il bello ti porta all’orizzonte dell’essere. Queste brevi considerazioni sono a commento di Sully Basso, artista della quale lodo le delicate opere e, perchè meglio la possiate conoscere, lascerò a Lei la penna per questo piacevole e sincero autoritratto.
Filosofo, 2004, grafite su carta
Amo l’incanto, lo stupore, le forme e la luce su di esse; violenta oppure fioca, a creare una trama di colori ed ombre, riflessi e “particolari” da scoprire... Quando guardo una persona contemplo quello che la natura ha fatto; vedo cioè trasparenze e contrasti di colore, tratti che esprimono carattere, segni, morbidezze... Intuisco la vita che c’è dietro. L’innocenza senza confini nello sguardo di un bambino, la pungente insistenza colma di vissuto in quello di un anziano.Il carattere di certi volti ritenuti non belli... Uno spettacolo invece, affascinante e poetico. E’ questo che cerco di catturare e trasmettere.
Tiziana Priori
Sara Fontana Valle, già conosciuto e apprezzato per i suoi cicli di dipinti, presenta ora per la prima volta le sue fotografie. Una breve selezione estratta dai moltissimi scatti ispirati da un suo recente soggiorno in Albania e stampati senza alcuna manipolazione digitale. E’ il petrolio l’elemento unificante e coagulante la sua pittura e la sua fotografia. Per Eltjon è una sorta di grumo attaccato alla memoria e al ricordo della sua terra d’origine con i suoi sogni autarchici. Il viaggio e le fotografie rappresentano quindi un recupero del passato e svelano, oltre a un attaccamento ossessivo, l’esistenza di un percorso di distacco critico e a volte ironico. Del petrolio all’artista interessano gli straordinari effetti materici, la versatilità di un miscuglio che può passare da uno stadio liquido a uno più denso e viscoso, quasi plastico. Le questioni da lui affrontate nella fotografia sono le stesse che informano la pittura: la messa a fuoco di una forma che lo affascina, lo studio dei fenomeni della materia (inizialmente provocati dall’artista, poi affidati al caso), la ricerca di un particolare riflesso, l’ambiguità della rappresentazione. Eltjon opera sul crinale fra astrazione e figurazione, sfruttando gli effetti delle colature del petrolio oppure, nelle fotografie, quelli generati dalla mescolanza del petrolio con acqua e terra. All’atmosfera cupa dei dipinti, fa riscontro quella chiara e luminosa, ricca di riflessi e trasparenze, ma talora infuocata, delle immagini fotografiche. In queste c’è nei loro segreti codici esistenziali. Ma in fondo tracce che già per se stesse significano. La meditazione la porta ad un “ascolto” sempre più profondo di vibrazioni geologiche, cromatiche, emotive: nelle opere più recenti, l’artista ha spinto avanti il suo cercare il punto in cui la vibrazione si fa suono, musica, parola, mantra. L’energia che ricava dal contatto con le forze dell’universo viene incanalata nelle “sculture musicali”, fondate sulla proporzione matematica. Ma anche in questo caso sono conoscenze che affiorano, un sapere non acquisito da studi musicali, ma scaturito dalla costante ricerca di armonia. L’uno e il tutto, la spiritualità orientale, ma non solo, come mezzo di trasporto che la conduce in un viaggio senza inizio né fine, poiché le dimensioni raggiunte non conoscono né spazio, né tempo.
Emersioni dal profondo Cristina Trevellin Nella splendida cornice di Venezia, in concomitanza della 51° Biennale d’Arte, si è conclusa la Mostra “RIFLESSI” presso il Londra Palace (riva degli Schiavoni 4171). Tiziana Priori non rappresenta qualcosa, la sua arte non è simbolica ma essenziale: come se sulla superficie “emergesse” l’essenza della pittura, dove tutto ribolle, un istante prima del big-bang, della diversificazione delle forme, della presa di coscienza che comunque segna lo stacco dall’unità originaria. I colori sono colori dell’oriente, della vita, del sole. Sono i colori dell’interiorità e della spiritualità. Raggiunti, o meglio, ritrovati attraverso quella necessità interiore che Kandinsky chiama nuova bellezza. Emersione anche di forme archetipiche che ci collegano al più importante patrimonio dell’umanità cioè la memoria collettiva. Osservando alcuni dipinti di Tiziana affiorano ricordi di incisioni rupestri, di pitture parietali pompeiane; quei colori, quei grumi di energia rappresa. Scavando dentro se stessa, nel suo percorso interiore, l’artista ritrova, quindi fa emergere, tutta una serie di evocazioni ricollegandosi nel profondo, al concatenarsi di memorie umane. Solo tracce, da inseguire, da decifrare
Salita, 2002, acrilico su carta nepalese e ferro cm 51 x 227 x 22
inoltre una sorta di confessione, un diario intimo dell’artista costruito attraverso alcuni oggetti legati alla memoria dell’infanzia e al trascorrere del tempo, mentre i quadri hanno temi attuali, quasi alla moda. E anche quando l’immagine appare più lontana dalla rappresentazione, è facile intravedere l’autoritratto o il riflesso di Eltjon stesso. Alcune fra le fotografie più astratte richiamano suggestioni organiche o pitture spaziali e nucleari; altre sembrano foto da satellite; tutte colgono la perenne trasformazione della materia. Come suggeriva Argan scrivendo dell’informale, “non è la pittura a fingere la realtà, ma la realtà a fingere la pittura”. Valle tiene molto a un’identità di pittore che ormai coltiva professionalmente da diversi anni:“Io sono solo un pittore che negli ultimi tempi ha usato la fotografia”, ma ammette che un desiderio di completezza lo ha spinto di recente ad esplorare anche altri mezzi quali la fotografia, il video e l’installazione. E’ inutile dire che anche in questi casi il petrolio è sempre in questione, sul piano tematico e concettuale, su quello tecnico e perfino a livello sonoro. Ma tale cammino, appena iniziato, è ancora carico di incognite e di aspettative.
Senza titolo, 2005 Petrolio su tela cm 70 x 50
SpazioBoccainGalleria dal 05/10 al 19/10 2005
Galleria Movimento Cso Magenta, 96 - Milano
dal 26/10 al 18/11 2005
Foto digitali
Al Caffè degli Artisti Giacomo Lodetti
Continua la fortunata serie di artisti al Biffi, coi loro quadri appesi alla parete del ristorante, che ha visto la partecipazione di Filippo De Gasperi, da giugno a luglio, di Giorgio Milani, da luglio ad agosto e di Aldo Pancheri, da settembre a ottobre. Pittura e cucina sono universalmente accettate come forme d’arte, capaci di allietare il genere umano da sempre, due facce della sua anima che lo contraddistinguono da ogni altra forma di vita. Sulla scia di questa considerazione ho dato vita al sodalizio tra due storiche aziende della Galleria Vittorio Emanuele II: il Caffè Ristorante Biffi e la Libreria d’Arte Bocca. Un programma di proposte artistiche che ha per obiettivo: avvicinare il grande pubblico della Galleria alla produzione dei nostri più rinomati artisti. L’idea ha riscosso e sta riscuotendo un crescente consenso di pubblico. Nel periodo aprile-maggio è stata esposta un’opera di Claudio Rotta Loria “Vortice” che gli avventori del locale hanno potuto godere accompagnando la visione con le gustose ed esclusive offerte culinarie del Biffi. Per chi non le avesse ancora gustate suggeriamo il famoso ossobuco con risotto alla milanese, la cotoletta alla milanese, il salame d’oca, gli spaghetti alla Biffi, il nodino alla crema di funghi porcini e il branzino alle olive. L’inaugurazione del ciclo di esposizioni denominato “Al Caffè degli Artisti”è avvenuta nel settembre del 2004 con opere di Max Kuatty. Il ciclo è proseguito con opere di Giovanni Sesia, Francesco Chieppa,Walter Valentini, Giancarlo Ossola, Filippo De Gasperi, Claudio Rotta Loria, Giorgio Milani e Aldo Pancheri. L’artista Adalberto Borioli sta preparando una grande tela,sui toni del grigio,studiata ad hoc per l’iniziativa,opera che verrà esposta a dicembre.
21 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Filippo De Gasperi
Giorgio Milani
Giancarlo Cerri
La pittura dipinta Rossana Bossaglia […] La mostra attuale è una ricapitolazione sistematica dell’ultimo periodo della sua attività, che il catalogo arricchisce testimoniando anche il periodo precedente. Cerri ha avuto una fase figurativa, non di tipo intimista bensì connessa con la realtà storico-ambientale della campagna lombarda: fase di una assai apprezzabile intensità. Ma l’immagine di sé che oggi ci offre, e nella quale particolarmente si riconosce, è quella tradotta in un linguaggio astratto, che a poco a poco, senza soluzione di continuità, è passato da una pennellata pastosa, di concreto spessore, cui potremmo applicare la definizione di informale, a una stesura più asciutta, liscia nella struttura disegnata: qui, se volessimo attenerci a riferimenti storici, potremmo riconoscere l’impronta della scuola comasca; anche se di geometrismo, nel senso preciso del termine, per l’opera di Cerri non si può parlare mai. Questa semplificazione espressiva e stilistica, a essere precisi, è il dato più straordinario che individuiamo nei suoi dipinti (parliamo sempre ormai di oli su tela) a partire dall’inizio degli anni Novanta. La formula disegnativa si è fatta essenziale, procede, di solito, su una struttura verticale; e assistiamo a un privilegio per il colore nero che in questa produzione costituisce il fondamento compositivo, cui si appoggiano
stesure dai toni limpidi e brillanti. L’effetto che le ultime opere producono è di presentarsi con emozionante varietà, pur nelle affinità di struttura: in genere due piani, verticali, di cui uno nero, interrotti come stacco da una lingua di colore chiaro; sono quelle che Cerri ha definito “sequenze verticali”; ma lo stupore riguardante nasce dal fatto che, improntate allo stesso principio e allo stesso schema, non c’è n’è una identica all’altra. Il nero, poi, è una sorta di base, o sfondo, che si tratti del buio notturno o di una pesante parete. È su questo modulo espressivo che a poco a poco, giunti che si sia al Duemila, il disegno diventa più mosso e articolato, come a dire più sensitivo, nel momento in cui l’artista trascura ogni effetto suggestivo per giungere a una sorta di misteriosa purezza. Così potremmo interpretare le opere che commentano il drammatico evento dell’11 settembre: qui nessun elemento è descrittivo e tuttavia lo schematismo astratto assume quasi una fisionomia iconografica, mentre il nero e il rosso, colori potenti, possono essere letti come espliciti simboli rappresentativi.
Giancarlo Cerri La pittura dipinta
Civica Galleria d’Arte Moderna Gallarate - Via Milano, 21 dal 2 ottobre al 20 novembre Grande Sequenza, 2001, olio su tela, cm 180 x 140
Senza titolo, particolare
Giancarlo Cerri Emma Zanella […] Il nero ha preso possesso dello spazio, trascorrendo da motivo unificatore degli altri colori a motivo generatore di forme, di rapporti, di unioni e tensioni. D’altra parte anche la materia cromatica è radicalmente mutata: da densa e vibrante è diventata uniforme, stesa a campiture omogenee, vibrata sì ma con delicatezza di tono e di segno. La pittura di Cerri diventa così pittura pura, puro colore, unita a un preciso rigore compositivo e a una materia trattenuta dalla scansione spaziale; pittura pura anche quando a motivare le opere sono suggerimenti tratti dal reale, vuoi il ricordo di un paesaggio, Per amore del paesaggio, o di un drammatico momento storico, Grande sequenza, 2001. Anche in questi casi il motivo generatore viene sublimato dalla composizione formale, dall’alternanza di luci e di ombre, dalla potenza della scelta cromatica. La quale si muove ormai quasi sempre in una struttura a dittico, orizzontale e verticale, nella quale il nero è controcanto di una luce ampia e tesissima e lo spazio è articolato con precisione ma anche, vale la pena sottolinearlo, con la capacità di lasciare campo alle improvvisazioni, alle deviazioni, agli slab-
bramenti di un segno o di una forma. In questo senso l’Astrattismo di Cerri è il più concreto che ci sia, perché sempre guidato da una ricerca contemporaneamente spaziale, cromatica e lucidamente compositiva. Tanto che per Cerri il disegno è la struttura portante di ogni opera.“Prima la carta, poi la tela, così è iniziata la mia vicenda artistica — ammette Cerri — c’è modo e modo di intendere il disegno; a volte può considerarsi come appunto, mentre, quando viene elaborato in chiave chiaroscurale, può assumere l’aspetto di pittura in bianco e nero, rivelandosi molto utile quale studio definito per opere che, successivamente, vedranno il loro compimento sulle tele con l’ausilio del colore. Al di là di queste considerazioni, io prediligo il disegno realizzato con pochi, puliti, rapidi tratti: questo, a parer mio, è il vero disegno”.
Giancarlo Cerri Disegni
SpazioBoccainGalleria dall’11 al 31 gennaio 2006 Per amore del paesaggio, 2000, olio su tela, cm 130 x 150
22 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Luca Zampetti
Miami Crime Antonio Di Gaspero
La fine di Robert quel mattino del 4 luglio, 2005, grafite ed encausto su tavola, cm 110 x 90
E intanto lei si allenava a colpirlo, 2005 grafite ed encausto su tavola, cm 70 x 80
La gallerista Rossella Izzo, puntuale nel “sorprendere” i visitatori, ha presentato la Personale MIAMI CRIME di Luca Zampetti, affermato artista marchigiano, presente quest’anno alla 51esima Biennale di Venezia. Una serie di dodici opere, lavorate con grafite e pittura ad encausto, racconta una storia intrigante,“una rapina” a Miami: artistici fotogrammi “cinematografici” che in ordinata sequenza, illustrano l’immaginaria storia di un “giallo” dai tratti lievemente “noir”, ideale sceneggiatura visiva per un corto d’autore. Le opere di Zampetti, regalano realistiche immagini di personaggi diversi, scenograficamente inclusi in ambientazioni metropolitane, nello specifico in una Miami dai tratti indistinti. Il bianco-nero, anzi il bianco-grigio della grafite, enfatizza la durezza del “vivere quotidiano” dei suoi “attori” e delle sue “comparse”, rapportabile al sopravvivere degli abitanti di una qualsiasi grande città. A spezzare l’inquietudine dettata dai tratti nervosi dei suoi protagonisti, ogni opera ha una porzione di campo intrisa di unico colore, geometrica macchia, che suggerisce precisi indizi per una più attenta lettura della situazione raffigurata, una vera scannerizzazione dei personaggi, dando con il cromatismo usato, spessore alla già grande “forza” delle immagini, un’ulteriore specificazione del carattere degli stessi, una profonda corrispondenza con le loro “Anime”. Come non notare il rosso-sangue di “La fine di Robert quel mattino del 4 luglio” o il viola-presagio di “E intanto lei si allenava a colpirlo”. Un’unica opera “Per l’F.B.I. erano loro i sospettati”, non ha l’ausilio monocromo e raffigura quattro ritratti ancor più decisi degli altri, visi che parlano di strade, miserie, solitudini, violenza, fin troppo palesi nel rappresentare Anime senza colore. Il thriller è ben spiegato, in catalogo, da un delizioso testo cri-
tico di Maurizio Sciaccaluga, per l’occasione nei panni dell’Investigatore Shak, catalogo, che sin dalla sua copertina, ispirata alle “famose” dei Gialli Mondadori, introduce alla raffinata “ludicità” della mostra di Zampetti. In questa storia, che si conclude senza vere vittime e con una “fuga di libertà”, il colpevole è, come in ogni “giallo” che si rispetti, il più insospettabile! Dopo una personale indagine, posso senza ombra di dubbio asserire che l’Omicida è lo stesso autore Luca Zampetti, nel suo caso, reo di aver ucciso la “banalità”, imperante dilagante padrona, di quasi tutta l’Arte Contemporanea.
Ritratto, Pastello su carta, 2004
Chiara Cerati Mario Donizetti Le prime fotografie erano chiamate “impressioni” e alcuni artisti credettero di utilizzare le impressioni sostituendole al disegno e si vollero chiamare impressionisti. Da allora la fotografia è entrata a far parte del mondo dell’arte. Questo aspetto del modernismo, secondario ai contenuti, è stato, per la critica, di importanza primaria. La realtà doveva essere il più possibile ridotta all’istante temporale e in questo la fotografia è insuperabile.Tutto sta a vedere se è vero che la realtà si riduce all’istante dello scatto fotografico. In ogni modo utilizzando l’impressione, Chiara Cerati traduce la realtà in valore atemporale e non solo istantaneo. La qualità pittorica, inoltre, è di primo livello. Complimenti e auguri.
Gianmaria Giannetti
Copertina catalogo Bocca
Arte dell’estremo Jacqueline Quehen Lo specchio si è rotto nel mio numero 1, 2005 olio e carta su tela cm 150 x 200
Mondogiraintornoame 2005 tecnica mista su tela cm 150 x 160
Gianmaria Giannetti non ama la mediocrità. La sua opera è l’opera dell’eccesso. Formati immensi e lavori piccoli costellavono la mostra che gli ha dedicato la Camera di Commercio Italiana di Nizza, conclusasi del mese di maggio del 2005. “Un cerchio c’era una volta” ecco il titolo e la tematica della mostra: “Quando avrò compiuto un cerchio perfetto, dice l’artista ironicamente, passerò a fare qualche altra cosa”, inscrivendosi nella linea di un Giotto o di un Vedova, che ha destrutturato il concetto di cerchio. L’artista sembra privilegiare l’arte sacra e Jean-Michel Basquiat, ambizione che si articola su una ricerca di purezza, di messa in luce di una verità, quella dell’artista. Opera magnetizzante quella di Gianmaria Giannetti, punto d’equilibrio nell’eccesso, nel contrasto dei colori e dei materiali. Legno, plastica, lavori in rilievo che invitano a essere toccati, assemblaggi inaspettati che dicono una volontà più o meno assunta di un ritorno a una armonia essenziale. Poeta, l’artista è autore di, Escatologia di una piuma, di cui la sua opera plastica è intrisa. Gianmaria Giannetti combina un’ispirazione vicina all’Art Brut, una vitalità giovanile come una radiografia dell’inconscio con una tecnica molto elaborata derivata da influssi di alcuni artisti e riposante su una riflessione filosofica complessa. Nell’infinito del suo “cerchio” l’artista si muove con una gran libertà offrendo un’opera forte, sorprendente ed émouvante. In particolare con i Pink Memory, lavori realizzati su scritti o su libri del nonno. Da scoprire.
Luca Vernizzi
Nude Giacomo Lodetti
trare nel foglio e chiedere di far parte di quell’angolo di paradiso. Calando, poi, lo sguardo lungo il collo, fino ai seni, grandi e pieni, larghi e sodi, delineati da un accenno di collana di perle, e giù, solo un poco più giù, lungo il morbido ventre, fino all’incrocio delle gambe, spalancate e inguainate da calze rette da un reggicalze merlettato, in tono con la collana, avverti una vibrazione che mette contemporaneamente in relazione cervello e stomaco. Nonostante gran parte dell’opinione corrente ritenga non necessaria la capacità di saper disegnare, per essere artista, è mia convinzione che senza disegno, un ottimo disegno, l’opera sia come una costruzione in cemento armato, senza l’anima di ferro, destinata col tempo a sgretolarsi e perda quindi la peculiarità di resistere alla critica che muta come il tempo e con il tempo. Questa mostra, seconda di un ciclo che conta nuove adesioni, ciclo sempre e solo dedicato al tema da me preferito, quello del corpo femminile, a parte un disegno acquistato da Anna Ludovica Modena e un acquerello ritirato da Franco Colnaghi, per il suo pregevole contributo alla resa delle immagini del catalogo, non ha sortito alcun effetto, se non quello di riservare al sottoscritto il piacere di accogliere nella propria collezione tutte le opere invendute.
La quarta di copertina del catalogo della mostra “Nude”, 38 opere, tra disegni ed acquerelli, di Luca Vernizzi, testo di Carlo Ghielmetti, tenutasi alla Bocca dal 26 giugno al 13 luglio del 2004, è la dimostrazione di come con pochi segni di matita e qualche tocco di acquerello, un Artista con la A maiuscola, dotato di naturale abilità nel disegno, possa rappresentare e comunicare, ad un tempo, le vibrazioni che suscitano un erotismo raffinato e una lirica sensualità. L’opera di cui parlo, Doppio nudo femminile. Studio per l’8° pannello, una grafite, matite colorate, acquerello e pastelli a cera, del 1996, che qui riproduco, è il trionfo dell’essenza: una donna, nuda giustappunto, accennata nella sua interezza, sdraiata su di un accenno di letto, s’intuisce un cuscino, alla sua destra un’altra figura femminile, in secondo piano, come in dissolvenza, anch’ella nuda, le sta coricata al fianco, nell’atto di volerla accarezzare. Il volto della figura principale, appena accennato, in parte coperto da un accenno di capigliatura nera è in estasi. Del volto s’intravedono un accenno di occhio e uno di bocca, sensuale, labbra carnose, rosse, potevano essere di diverso colore? E l’insieme dei particolari, l’angolo di visione dei corpi femminili, i toni e le luci dell’acquerello, sussurrano una invitante disponibilità della coppia.Vorresti en-
24 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Doppio nudo femminile, 1996 tecnica mista su carta
Sul filo dell’arte
via Scoglio di Quarto, 4 - MI tel. 0258317556 - 3485630381
[email protected]
arte contemporanea V. le Col di Lana, 8 - MI 0258317556 - 3485630381
a cura di Stefano Soddu
Amore… Arte… le priorità del mio essere persona. Aria come libertà. Amore come appartenenza. Arte come pensiero. Arte prioritaria è: frammenti di immagini in parole. (Marina Falco, artista) “Arte Prioritaria” è un’idea di Gabriella Brembati. Il logo è stato realizzato da Danilo Premoli
Arte Prioritaria, ovvero priorità dell’arte, è un’idea forte a supporto della libertà di pensiero atta a incidere nella coscienza e conoscenza collettiva. È un concetto che va rafforzato con la partecipazione attiva degli artisti e di chi tenga a cuore le sorti dell’arte. Per tale ragione chiediamo soprattutto a questi di esprimere un proprio pensiero sull’argomento. Desideriamo che sorga un movimento di idee che, raccolte, formino un documento in progress. E-mail:
[email protected]
I poeti sono sogni / che si infrangono. Armato di cemento / a che pensi / mentre immobili stelle / ti fissano? (Ruggero Maggi, artista)
Arte come fenomeno di costume o come scelta di valori? Io mi nutro d’arte, respiro l’arte, tocco l’arte. Essa è per me la sintesi della percezione più fine della sensibilità umana rispetto allo stesso oggetto: la vita. (Paola Grappiolo, gallerista) Mistero Ricerca Senso. (Paolo Barlusconi, artista)
Il lavoro è importante per la mia vita, l’arte ne dà il senso. (Adriano Pasquali, artista) Prima di tutto. Oltre il resto. Desiderio senza destinatario e francobollo. (Gabriella Kuruvilla, artista)
... segue dal numero precedente
Minime finestre per la mente si affacciano nel mare dell’arte, certe di aprirsi all’infinito orizzonte della conoscenza. (Antonio Pizzolante, artista)
L’arte prioritaria è una ovvietà. L’Arte è prioritaria nell’animo, esprime i sentimenti e le sensazioni di tutti noi. È una priorità per tutti. Bravi ad averlo esplicitato. Grazie. (Renato Manhaimer, ricercatore di opinioni)
Priority Art? No at all,Art’s priority! (Nicoletta Frigerio, artista)
strada + street + avenida + rua + strasse = villaggio globale. (Giovanni Gurioli, artista) Certe volte, in spazi angusti e tempi limitati, mi concedo un lungo riposo.Vagabondando fra i sogni, un “emisfero lucido” mi ricorda che l’arte è prioritaria. (Antonezio Frau, artista) Vivere l’arte è prioritaria risposta a chi ne parla. (Claudio Nicolini, artista)
Amore primordiale, l’arte prioritaria. (Luis Sessa, artista) Ti invio ciò che ho visto… arriveranno… tutte le stelle del mio cielo… (Carla Crosio, artista) Nell’urgenza dei nostri tempi l’Arte può ritornare, deve ritornare, ad essere l’istanza più nobile del comunicare dell’uomo. L’occhio attento è più profondo sulla storia e il futuro dell’umano divenire. La priorità è la sua qualificazione. (Matteo Galbiati, critico d’arte) Arte prioritaria è forma d’espressione urgente; un pensiero che deve necessariamente uscire allo scoperto e tradursi in immagine. Sia esso rivolto agli altri, o riflessione sul proprio mondo poetico, questo messaggio sarà un frammento di vita depositato nelle mani e negli occhi di chi vorrà accoglierlo. (Giovanni Cerri, artista) Con l’arte non si mangia, ma ci nutre. (Bruna Aprea, artista) In arte non è importante cosa produci, crei o inventi. Pochi capiranno cosa stai facendo. È importante invece non prendere in giro se stessi e chi crede in quello che fai. (Marrani, artista)
domanda surreale
Può l’arte lenire il dolore?
Il nutrimento che deriva dall’arte, serve a non perdere il contatto con la natura. Osservazione e Meditazione è ciò che chiarifica la nostra conoscenza e arricchisce la nostra coscienza. Dare spazio all’intuizione per comprenderne la poesia. (Cristiano Plicato, artista) L’artista per sua natura intreccia il passato — inteso come conoscenza storica; quindi connessione con tutte le culture per avviare nuovi itinerari — genera il presente, e medita visioni avveniristiche. La priorità nell’ arte ? quella spirituale è cosa necessaria, è come una percezione che prende forma, ed ogni osservazione personale è un modo di essere. (Sergio Sansevrino, artista) Essenziale VITA - Essenziale MORTE Essenziale PACE - Essenziale FAME Prioritaria ARTE. (Pino Lia, artista) Coscienza, Conoscenza e Consapevolezza sono l’essenza portante e trainante dell’Arte, unica testimone reale, in qualsivoglia forma di manifesti, del Tempo in cui si vive. (Angelo de Boni, artista) Con la priorità, diretta arriverà?! Un mittente? Un destinatario? Ogni opera ha il suo orario! Urgente, necessaria! È arte prioritaria? Se arriva con l’espresso, chiedo a me, la prendo col caffè?! (Oreste Sabadin, artista)
Arte è un linguaggio universale. (Petrit Kossilaj, artista) Arte che pensa RAPIDA-MENTE. (Laura Pitcheider, artista) L’arte è come “u letto se non dormi te reposi”. (Emily Joe, artista)
risponde
Arte prioritaria sì, ma con calma. (Maria Mesch, artista)
Fare pane è arte, mangiarlo politica. (Malek Pansera, artista)
Evelina Schatz
Le tre A Aria… Amore… Arte… le priorità del mio essere persona. Aria come libertà. Amore come appartenenza. Arte come pensiero. (topylabrys, artista)
È arte se è parte di noi, partecipe di sensazioni. Oggi e sempre solo arte. (Margherita Fortuna, artista)
Segni e colori affiorano emozionati per vivere nel silenzio. (Adalberto Borioli, artista) Dentro il mio corpo oscuro asimmetriche emozioni vanno e vengono tracciando armoniose risonanze colorate. (Roberto Origgi, artista) ARTE PRIORITARIA, La velocità che inventa Amo l’arte / quando ferisce / dolcemente. Amo l’arte / da succhiare / nei posti più nascosti Dove i sogni Si incontrano / con il destino. (Alberto Casiraghy, poeta, artista, editore) Per far diventare l’arte prioritaria, occorrerebbe caricarla di valore morale che essa invece non ha e non può avere essendo, per definizione, volta a creare valore estetico, quindi amorale. L’arte può favorire priorità solo se utilizzata come mezzo, come strumento per scopi di altro valore, non ultimo: di valore morale. “Priorità dell’Arte. (Lucio Perna, artista) Arte Prioritaria. Divertimento. (Paolo Barrile, artista)
Dedicata a Stefano Soddu per l’edizione “Arte Prioritaria”
Arte prioritaria, priorità della mente, del pensiero, dell’idea. Intuizione. (Gabriella Brembati, gallerista)
Ahh..la vita, che bel sogno. (Simona Severo, artista) L’unica differenza tra l’uomo e l’animale non è l’intelligenza, è l’arte. (Roberto Caramman) Arte è sperimentazione eclettica dei materiali e delle tecniche, come evoluzione del concetto di essere figli del proprio tempo. (Giuliana Galli, critico d’arte) Sembra il massimo del superfluo. Si dice: senza arte si può vivere, senza lavoro e senza cibo no. Eppure l’arte è il cibo dell’anima e senza di essa la vita non avrebbe senso. (Mimma Pasqua, critico d’arte) Segue sul prossimo numero
Collana “ARTE PRIORITARIA” Anno 2005 Ed. Bazart&Scoglio di Quarto - Edizioni numerate B. Aprea - P. Barrile - A. Borioli - A. Casiraghy - G. Cerri F. Colnaghi - C. Crosio - M. De Maria - M. Falco - R. Forino G. Fra - N. Frigerio - G. Gurioli - G. Kuruvilla - A. Lambardi M. Marra - E. Moschetti - O. Alvaro - R. Origgi - A. Pasquali G. Pavanello - L. Pescador - L. Pitscheider - A. Pizzolante C. Plicato - D. Premoli - A. Prota Giurleo - G. Rubino S. Sansevrino - L. Sessa - S. Soddu - A. Spinelli - A. Verdirame E. Zanon
25 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Matteo Nannini
Humana Fragilitas Sofia Biscaccianti Matteo Nannini non giudica! L’ho capito quando, davanti ad un nutrito gruppo di suoi ritratti, ho provato una sensazione strana: volti con inquadrature strette, mezzi busti, figure intere; persone comuni intente alle proprie occupazioni, preoccupate dei propri pensieri; donne e uomini solitari, raramente in gruppi e tuttavia il sentimento che ne scaturiva era sempre, comunque solitudine. Per qualche attimo, mi sono sentita, davanti a tanta umanità, non umana! M’è parso d’esser divenuta un “angelo”, non un Cherubino d’alte gerarchie Roberto, 2004, olio su tela celesti, ma uno di quei silenziosi custodi che in alcuni cm 120 x 100 momenti della vita si ha la sensazione d’aver dietro la schiena a guardare il nostro cammino, a sorreggere le spalle, a raddrizzare la via. Davanti a una tale palpitante umanità dipinta, invece di riuscire a farne parte ne sono stata esclusa, straniata come commossa spettatrice, invidiosa di tanta vita nel bene e nel male. Esseri umani, con tutte le loro debolezze, le malinconie, le sconfitte, i dolori. I volti di alcuni erano arresi, altri perduti in chissà quali pensieri, alcuni affaccendati; chi sembrava guardarsi dentro, chi fuori dalla tela, lontano, ma nessuno incrociava il mio sguardo, nessuno guardava “fuori” verso il “pubblico” e se succedeva, comunque non si vedeva. Il quadro… limite invalicabile del loro mondo, così straordinariamente terreno, senza dialogo con la mia
dimensione; non potevo parlar loro, né loro a me eppure palpitavo della loro vita. Come ha saputo fare questo, Matteo Nannini, non so! Credo dipenda dalla sua tracotante umanità di venticinquenne di corpo e almeno cinquantenne di mente. Nannini sembra essere un bambino/anziano o un anziano/bambino, d’una spiritualità latente, non del tutto consapevole, ma certamente intuita in attesa paziente della sua epifania. Matteo gode di un talento raro, affinato da una dedizione al mestiere della pittura costante, da una volontà di apprendimento e crescita mai pago. La sua ricerca tecnica, attraverso il confronto costruttivo e personalissimo con i maestri dell’arte, ha fatto sì che in lui il tempo dell’apprendistato divenisse veloce, vorace, febbrile. Lui ha bruciato molte tappe, capace di condensare in tempi relativamente brevi e mai pazienti un sapere tecnico che avrebbe richiesto molti più anni. Ribera, Rembrandt e il ’600 tutto sono fin qui i paradigmi della sua concezione pittorica, tuttavia “rimasticata” e “digerita” dalla sensibilità di un giovane artista che vive a pieno il suo tempo. Il suo tempo è l’oggi, come d’oggi la sua sintesi grafica, i soggetti e il modus operandi. Le inquadrature ammiccano, da un lato, alla fotografia, dall’altro alla tradizione e non disdegnano tagli spaziali volutamente sbilanciati come fermi-immagine di un film girato all’insaputa degli attori.Attori “assoldati” tra la gente del vivere quotidiano, descritti con pastose cromie; il colore è denso, sicuro il tratto; il fondo sempre cupo, terroso su cui si accendono, a forte contrasto campiture luminose e poche lumeggiature per descrivere fisionomie che paiono staccarsi dal buio diffuso come carnosi bassorilievi. Ridottissima la tavolozza: dieci/dodici colori e niente più, sporcati, per effetto atmosferico, da velature e sfregazzi, talvolta “schizzi” o dripping che offuscano il dettaglio; …e di nuovo le “paste”, strato su strato, di tale corposa presenza da potersi leggere con i polpastrelli. Tuttavia la realtà di Matteo non è mai realistica, ma soggettivissima e sempre filtrata da un orizzonte poetico costruito sulla storia dell’arte. Cura personalmente l’intelaiatura e l’imprimitura alla maniera antica, con materiali, però, che la
Elena, 2005, olio su tela cm 100 x 120
moderna tecnologia mette a disposizione, creando così una particolarissima “ricetta” sospesa fra la tradizione e il mondo attuale. Questa promiscuità credo sia la chiave di volta del suo lavoro: lo è nella tecnica, lo è nella poetica, laddove sceglie il dipingere. Nannini, vive la pittura con totale partecipazione: dipinge per respirare, respira per dipingere ed è capace con simultaneo paradosso di deporre i pennelli a tempo indeterminato, come se più non gli importasse, per aderire a quella vita che costantemente descrive, per camminare nelle scarpe dei suoi soggetti così terreni, così umani, così densi di carne. Matteo vive con loro un’identità, fiero delle sue/nostre debolezze, della sua carne, con tutti i limiti a noi uomini assegnati o, se volete, Fernanda, 2004, olio su tela da noi stessi scelti. applicata su tavola, cm 35 x 40
Marcus Parisini
Dagli occhi all’anima del lupo Roberto Tabozzi
Lupo nella neve, 2003 Penna a sfera acquerello e guazzo
Galli forcelli, 2005 matite colorate
Piemonte. Animali selvatici popolano i disegni di Marcus Parisini, giovane e già affermato pittore capace di coglierne gli stati d’animo dal loro sguardo. Ti guarda con i suoi occhi chiari, vivi, mentre parla di natura, di animali, di vita nei boschi, di religione, di pittura, di letteratura. A 38 anni, Marcus Parisini può dirsi, con una brutta parola, realizzato. Possiede una casa costruita con le sue mani a 1.300 metri di altezza in una valle del Cuneese, ha una famiglia (moglie, tre figli), i suoi disegni naturalistici hanno successo, ha appena pubblicato un libro “Creature di Dio”, in cui a racchiuso il suo credo di uomo moderno, che vive da indipendente e fa quello che gli piace. È riuscito nella difficile equazione di far coincidere le ambizioni con i risultati. Non è stato per niente facile. È nato a Genova, madre tedesca padre italiano, idee chiare fin da piccolo. Liceo artistico, un anno e mezzo a studiare architettura a Firenze, un anno a Brera a Milano. L’accademia non gli bastava, perdeva il suo tempo, sapeva già disegnare, in genere animali, vendeva anche i suoi quadretti in piazza del Duomo, ma voleva respirare un’altra aria. Ha lasciato tutto e in autostop ha girato la Toscana, il Piemonte, la Liguria alla ricerca del luogo ideale in cui vivere. L’ha trovato nell’88 in Val Grana, una trentina di chilometri da Cuneo. C’era un rustico semidiroccato e un cartello “in vendita”. “Sembrava che mi aspettasse”, dice ridendo e, grazie all’eredità del nonno, l’ha comprato. Per cinque anni ha vissuto da eremita, senza elettricità, l’acqua da prendere alla fonte. Ha fatto il muratore, il pastore, il tempo libero lo passava nella natura a disegnare. Ora la strada asfaltata arriva fino a lì, ha anche il telefono. “Quando disegno parto
dagli occhi”, dice. Siano di un’aquila, di un lupo, di uno stambecco, di una volpe. Gli occhi, per lui, nutrono i sentimenti e la mente, gli fanno capire la bellezza di un campo di fieno, l’armonia di un bosco di faggi nella nebbia autunnale, l’anima degli animali. Lui, pittore naturalista (ha lavorato per Airone e per Bell’Italia), sa che gli animali non posano, non fingono, sono e basta. Cerca allora di esprimere, se così si può dire, il loro stato d’animo. Stranamente questa sensazione di verità si prova anche guardando i suoi disegni, fatti in genere con la biro:“Così sono obbligato a non sbagliare”. Chi cerca l’anima negli animali la cerca anche in se stesso. Parisini legge di tutto, da Gandhi a Hermann Hesse, da Tolstoj a Konrad Lorenz, in pittura mette al disopra di tutti Michelangelo, poi Schiele, Vespignani, Friedrich. Nella vita quotidiana il suo maestro è stato Pierin, un valligiano settantenne che sa fare di tutto. La sua anima la coltiva con André, un buddista che vive lì vicino, e con Maria Luisa, una monaca cattolica di grande spiritualità. Uno strano cocktail di persone, di idee, di arte, di fede. Una favola? No, una realtà.
Leo-Nilde Carabba Sara Verderi Il ristorante NAMELESS, alta cucina creativa, diretto da Cristina, inaugura con Leo-Nilde Carabba una serie di mostre in collaborazione con la Libreria Bocca. “Questa mostra a prima vista appare molto poliedrica!” Si, in effetti è una celebrazione dell’intensità dell’anno trascorso. Presento due, Città Magiche, della serie che ho fatto per Costa Magica, l’ultima ammiraglia di Costa Crociere. Mi avevano ordinato ventisei quadri ed io, presa dall’entusiasmo,ne ho realizzati due in più,che,quindi,possono essere esposti in questa mostra.Ci sono,inoltre,alcuni pezzi,stellari, provenienti dalla personale di Schönecken, in cui il filo conduttore proposto dal Ministero per le attività culturali tedesco era l’arte e la scienza. Presentavo tele “cosmiche” a simbolo del ponte universale tra uomo e universo,tra la scoperta di nuovi mondi astronomici e,parallelamente,l’avvicinarsi di ogni persona alla propria interiorità. “E il riferimento alle mappe di mare e di terra cosa significa?” Il nome Nameless mi ha fatto subito pensare ad Ulisse e quindi espongo un pezzo del 1984, periodo in cui vivevo ed operavo in California, che s’intitola, L’inferno del piacere o Ulisse tentato dalle Sirene, ed, inoltre, sempre ispirandomi ai viaggi dell’eroe mitologico, ho proposto delle vere e proprie mappe di mare e di terra. Nel mio percorso artistico, in realtà, ho spesso lavorato con le mappe, non solo quelle che conducono in mondi topografici, ma anche quelle che conducono nei mondi del mito e del sogno. L’arte di Leo-Nilde Carabba spazia tra cielo, terra, mare e cosmo, a simbolo di una libertà intrinseca allo spirito umano, esplorata sì da personaggi mitici,ma anche dalla capacità di ogni singolo uomo. La sua pittorica, fondata su oltre quarant’anni d’incessante lavoro e creatività, oscilla magistralmente tra emozione e consapevolezza, ordine e caos,macrocosmo e microcosmo,vividi colori e bianco e nero, in uno spartito eclettico e poliedrico che fa vivere di vita propria una tecnica già trascesa. Ristorante Nameless Martedì 04 ottobre dalle ore 18,00 alle 19,30 fino al 31 ottobre 2005 Trattamento speciale per la cena - prenotare al 02.4814677 Via Monte Bianco, 2/A - Milano
26 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Patrizia Masserini Giovanni Serafini che sofferenza questo mondo anche quando fioriscono i fiori e nonostante i fiori haïku Il senso di sgomento che proviamo per questa umanità col suo brulicante carico di giulivi morti viventi ci fa oscillare tra rabbia e pietà. La visione del mondo dell’interessante pittrice bergamasca Patrizia Masserini propende piuttosto per la seconda. Nudi maschili con mani serrate dietro la nuca, nella tensione di Calvario, arrancano in fila, a dispetto o forse a sfida della giovinezza e della vigoria dei corpi, verso un inevitabile Golgota, sacrificali lottatori predestinati nell’impari gara con la morte. In, Vai, olio giocato su cupe tonalità bluastre in cui balena l’oro sinistro di una falce, si palesa un senso di divina aberrante istigazione al mietitore di vite a procedere nel suo cieco sterminio. Nell’impressionante, Crocifissione, del 2001, in cui Patrizia Masserini ottiene un culmine di pathos nella precipite postura di un Cristo cadavere, spoglia esangue e rattratta come appesa a un gancio di macello, aleggia il livido sconforto della vittoria del male. Cioran chiederebbe nella tua anima c’era un canto: chi lo ha ucciso? Il canto di Patrizia Masserini è stato interrotto da mani d’ombra che le hanno rapito un affetto inerme ed immenso. Una sensazione di abbandono, di essere dimenticati da un dio distratto e malevolo, l’ha forse sfiorata. Ma convinzioni tenaci, la risorsa di un lavoro creativo ed intenso e vicinanza di affetti l’hanno riconquistata all’arte e quindi alla vita. L’assillo della corporeità, così fragile e fugace, è divenuto tuttavia cardinale nella sua significante pittura che si è dedicata a tre prevalenti tematiche: figura, paesaggi silvani, racconti metropolitani. I suoi corpi,
di sontuosa nudità, specialmente femminili (Esilio,Tensione) e di colta impostazione anatomica, vengono sovente investiti da sgorbiature, straziati da negazioni segniche veementi a sottolinearne la precarietà e l’inutile bellezza, mentre i volti vengono sfumati od elusi per occultarne il presagio di decomposizione. Ancora pervicacia del male e inutile rabbia ne, Le donne lungo la Valassina, le mani contorte, scottate dalla vampa amara e ostile dei copertoni bruciati – esca notturna e rozza difesa dal gelo – con riverberi di fuoco sui corpi già arsi dentro dal brutale sopruso degli uomini. C’è forse uno scatto, una ripresa di coscienza della potenza del femminino, capace di generare, di regalare illusioni di eternità al genere umano, in Volare. Con braccia spalancate nel buio, nero uccello femmineo dalle ampie ali spiegate, irrompe imponente un nudo di donna in un’orgia di rossi e turgore di seni, il ventre prominente perfetto con l’incavo stregato dell’ombelico e la concupiscente pennellata scura del pube, travolgente dea pronta a rapirci in un volo d’amore. Ma nelle allucinatorie sequenze di, Tutti in fila, e, Lista d’attesa, ove la reiterata titolazione già manifesta il pressante richiamo alla condanna, ritorna il memento mori che indifferente e maligno ci sospinge in colonna al mattatoio incombente, con l’enigma di un breve e fosco futuro. Altri lavori,Senza fine,Sempre uguale, Moduli continui, ci riconducono all’ossessivo pulsare del tempo ed alla follia di una specie raziocinante che si riproduce con monotona ottusità, quasi inconsapevole del ben noto destino. Se tutti pensassimo prima....Avvenenti figure in primo piano si sdoppiano in molteplici copie come riflesse in contrapposizione di specchi, scorrendo sull’impassibile scena del mondo per dissolversi poco lontano in un polverio sbiadito che si perde nel nulla del tempo. L’ampia gamma cromatica è originale, provocatrice a volte insolente con mistificanti gialli, verdi sfacciati, sepolcrali violetti, tonalità di lilla e di malva, il ventaglio dei rossi, azzurri guizzanti e deliranti oltremare, determinando stranianti impressioni di vuoto e silenzio, eleganti pienezze di corpi, bagliori in fuga, deflagranti tramonti, inserendo invenzioni di effetto con segmenti roventi, graffi di luce, tracce di lucciole, scìe di lapilli e impazzite faville. Curiose e adescanti le rarefazioni boreali, Verso sera, su tappeti di neve e licheni con strani aggressivi lucori che rimbalzano contro il nero degli alberi investendoci in pieno o che improvvisamente quietati riverberano allarmanti riflessi su immobili acque rosate. E luminosità apocalittiche e vette abbacinanti che appena dissimulano la vertigine dei precipizi, Nascosto nell’immenso. Più recenti le crepuscolari vedute metropolitane, con cieli bassi soffocati da raggi furibondi di squallore e di caos in cui si annida lo smarrimento di una solitudine
Andrea Cereda
La materia Uomo Simona Bartolena Anche Muhammad Alì, prima di diventare il pugile che tutti conoscono, era una persona qualunque, in lotta con la difficoltà del quotidiano, come, Mario, perduto nel suo dubbio, o tutte le altre, ordinary people, che popolano le tele di Andrea Cereda, un artista sensibile e attento alla realtà che lo circonda, fine osservatore dell’animo umano, nei suoi molteplici aspetti. Già le opere su tela degli esordi, per lo più ritratti e nudi, tradiscono le due grandi passioni di Cereda: la figura umana e la sperimentazione tecnica. Due questioni, queste, che fanno da filo conduttore ad una produzione eterogenea eppure assai coerente, che non ha paura a rimettersi in discussione, cercando nuove strade. Il passaggio dalle prime opere su tela alla creazione di oggetti tridimensionali avviene con la serie delle, Convivenze: pezzi di legno di differente natura e provenienza assemblati con l’ausilio di chiodi, corde, cuciture, quasi “costretti” a stare insieme, a fondere le proprie individualità. Pur abbandonando il figurativo, Cereda resta coerente alla propria ricerca sia dal punto di vista formale - nella materia colorata troviamo un’eco di quelle larghe campi-
ture di colore che già giocavano un ruolo da protagonista nelle sue tele - che da quello concettuale. Come non leggere in queste composizioni astratte il racconto di esistenze diverse, un’indagine sulla difficoltà del vivere (e del convivere), del faticoso tentativo che ciascuno di noi compie, giorno per giorno, nel relazionarsi con il prossimo, nell’affrontare più o meno felici e solide relazioni? Dall’unione, seppur faticosa e talvolta innaturale, delle Convivenze si passa alla chiusura in se stessi delle Erosioni, traduzione in metallo della serie precedente. Ancora una volta la materia si fa interprete dei comportamenti umani e di emozioni che, partendo dall’esperienza personale dell’artista, possono riguardare tutti: attaccato da agenti esterni, percependo il pericolo, il metallo (come l’uomo) reagisce, si ribella, combatte. Le superfici saldate, spaccate, brunite a fiamma, corrose dall’acido (che tra l’altro continua la sua azione modificando progressivamente lo stato della materia rendendola viva) sembrano contorcersi dolorosamente, cambiando la propria forma per sopravvivere, espandendosi nello spazio come magma in ebolizione. Cereda impiega il metallo corroso anche nella serie di opere che fa seguito alle Erosioni: una galleria di ritratti
nuova. Con l’asfissia di un’edilizia volgare e l’ansia confusa della fretta di andare, addensate in tonalità aranciobrune di tramonti spossati e di sporchi riflessi di un sole ossidato. La nostra passione si concentra tuttavia sulle figure e si fissa sulla rigida tricromia giallo-verde-nero in cui è immerso supino e torto in splendido rilassamento prospettico il nudo di donna de, Il corpo, la cui femminilità carnale irrorata di cromie stralunate riaccende l’entusiasmo per la bellezza. Non meno radicato negli occhi della memoria, Nudo disteso, altra opera di forte emozione di Patrizia Masserini, che espone una giovane donna ignuda adagiata su un tavolo operatorio. O su un gelido marmo di obitorio. Le gambe divaricate in abbandono. Il sesso indifeso, oscuro come il mistero della vita che da quella magica tenebra erompe in un fiore di sangue, perentorio nella sua magnifica oscenità che intimorisce l’uomo e, irresistibile, lo attira per ingoiarlo. O corpo reso inutile nell’irrealtà della morte, sangue annerito che si è fermato, indecifrabile dramma nella quiete di un indaco violetto che invade l’aria come un veleno, vincendo residui sfinimenti di azzurro, precipitandoci alfine annientati nel più inestricabile arcano dell’anima. La profonda pittura di Patrizia Masserini porge l’amaro miele del vivere alla riflessione di un’umanità tormentata, abbarbicata a una roteante astronave bianca di nuvole, scagliata tra spopolate galassie ove grida, implorazioni, risa, lamenti si perdono riconfondendosi in questo interminabile gioco di acqua di terra e di sangue. che racconta di un’umanità ai margini, di esistenze che sembrano uscite da una pellicola cinematografica e che di un film conservano quel vago sapore romantico che lascia sperare, fino in fondo, nel lieto fine. Cereda è un abile narratore, che sa come catturare l’attenzione dello spettatore e come mostrargli, senza pietismi o facili sentimentalismi, le speranze, le paure, la voglia di riscatto di chi tutti i giorni lotta per sopravvivere. Simbolo di questa realtà è il pugile: l’uomo dei bassifondi che si afferma grazie alla propria forza, ma anche alla propria costanza e determinazione. Ed ecco Muhammad Alì, la cui possente figura si staglia orgogliosa sul proprio nome scritto a caratteri cubitali, come in un manifesto pubblicitario, a dimostrarci che si può vincere, che qualcuno “ce la fa”. Lo accompagna un’umanità varia, pescata dalla strada, ritratta, con la consueta sensibilità ma al contempo con un realismo impietoso, da Cereda nel suo nuovo lavoro, dal titolo assai significativo, Ordinary people, nel quale, ancora una volta, egli gioca con la materia, sperimentando una nuova tecnica, semplice ma d’effetto. Convivenze, Erosioni, opere su tela altro non sono, dunque, che le molteplici facce di un’unica realtà, di una sola personalissima ricerca, che Andrea Cereda prosegue, da anni, con disinvoltura e con coerenza.
Nudo disteso, 2002 olio su tela cm 100 x 100
Luci, 1999 olio su tela cm 70 x 100
Muhammad Alì, 2004 Tecnica mista su tela cm 150 x 100
Convivenze, 2003 legno e ferro h. cm 50
SpazioBoccainGalleria Mercoledì 26 ottobre ore 18,30 fino al 6 novembre 2005
27 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Il dubbio di Mario, 2004 tecnica mista su tela cm 100 x 135
Antonio Deodato Giacomo Lodetti L’urlo di Giorgia, 2002 decollage, cm 70 x 100
Al vento, 2004 olio e smalto, cm 80 x 100
Mi occupo di artisti, spesso poco conosciuti, da più di quindici anni e la lista dei personaggi che, col passare del tempo, si sono affermati, grazie soprattutto alle loro doti che avvertivo prima degli altri, è affollata. Quasi ogni giorno, certamente almeno due volte alla settimana, me ne presentano uno nuovo, ma la soddisfazione, la passione per il mio lavoro e la gratitudine che mi viene restituita con la fedeltà della loro amicizia, fa di questa mia occupazione, una droga, leggera certamente, ma dalla quale non riesco e non voglio sottrarmi. La new entry, presentatami dall’amico Fabrizio Novati, é Antonio Deodato e appena ho visto i suoi quadri, l’ho invitato e sol-
Luca Guaitamacchi Lorenzo Clerici
Notturni, 2005 olio su tela
Luca Guaitamacchi è un pittore che ha scelto la città e gli elementi che la compongono come oggetto della sua ricerca artistica.Vissuto e cresciuto in una famiglia di artisti, padre e fratelli pittori, madre scultrice, da vent’anni dipinge con i ritmi e i tempi di un pittore di una volta. La ripresa dal vero, le dimensioni dei suoi
lecitato a lavorare, per preparare una mostra alla Bocca. Imbattermi in un problema, stimolato dalla sfida di risolverlo, affascinato dall’idea di affrontarlo, dedicandogli tutto il mio tempo, fino a trasformarlo in una felice soluzione, sta diventando la chiave di lettura della mia seconda giovinezza. Ma azzerare un problema comporta il nascerne di altri, in qualche modo collegati al primo, e così “tiremm innanz”. Questo mi è successo da libraio, questo mi succede da scopritore di talenti artistici. Di Deodato ho subito focalizzato la sua dote naturale, quella di cui neanche lui se ne rende conto: la sintesi felice tra luce, segno e materia. Guardando i suoi primi lavori, lo si poteva immaginare un “Alighiero Noschese” dei pittori, vedevi un suo dipinto e ti sembrava un Pollock, un altro era un Rotella, invece quelli di adesso, sui quali ho insistito perché marcasse sempre più la sua cifra artistica, sono indiscutibilmente dei Deodato, riconoscibili tra mille altri e a grandi distanze. Qual è l’originalità di questo calabrese trapiantato in Brianza? L’ho visto lavorare, armato di bastone, secchi di vernice, cartoni e cutter in un seminterrato, alla periferia di Milano, illuminato da tre finestre contigue aperte su un’unica parete. la sua tecnica pittorica non tiene in nessun conto la tradizione rinascimentale del nostro paese, Antonio non ha mai letto Cennino Cennini, però quando deve fare un verde o un blu, non lo batte nessuno, e benché non fissi le formule sulla carta, saprà sempre rifare lo stesso verde e lo stesso blu, come se dentro di lui agisse, inconsciamente, un regolo infallibile. quadri, la cura del dettaglio e la maniacale attenzione alla luce, comportano tempi di esecuzione delle opere che gli impediscono produzioni da “mercato dell’arte”, e così la sua fama e la sua produzione sono destinati e limitati a una stretta cerchia di privati estimatori e rari collezionisti che si contendono le sue tele. I suoi quadri ci raccontano la città e rivelano scorci inconsueti dove porti, stazioni, palazzi e monumenti sono i protagonisti. Vedendo tutta la sua produzione artistica, verrebbe da pensare che se non fosse pittore sarebbe architetto. Come tale ha grande dimestichezza nel passare da una “scala” di intervento all’altra; dalle spetacolari ampie vedute “a volo d’uccello”di Milano, ai porti industriali di Marghera e Genova, dai palazzi e dai monumenti che svettano tra i tetti, alle banchine tra gigantesche prue di navi mercantili. Recentemente la sua attenzione si è rivolta a due nuovi punti di vista sulla città, ambientazioni notturne e visioni “aerofotogrammetriche”. Da questi due nuovi ambiti e dai primi risultati si conferma la grande capacità di Guaitamacchi di saper giocare tra prospettive e profondità di campo, luci ed atmosfere. Un uso esperto dei trucchi della prospettiva: “La mia è un’altra visione rispetto alla fotografia anche se a prima vista le assomiglia”, induce lo spettatore al movimento. Di fronte ai suoi quadri al primo colpo d’occhio si percepisce il grande impianto compositivo, la curiosità ci porta poi ad avvicinarci, poi ad allontanarci e poi a spostarci per cercare di cogliere tutti i dettagli che ogni volta offrono emozioni diverse.Tecnicamente colpisce la grande abilità esecutiva nel “dipingere a mano” le immagini realistiche che riempiono i
La Libreria Bocca e Giancarlo Ianuario Solaris hanno il piacere di invitarVi presso
DALLA CITTÀ
P.le Abbiategrasso
La Città dell’Arte Domenica 9 ottobre 2005 dalle 10,30 alle 18,30 per una Performance artistica
Raku e Ragù - Panni al Sole di
Giancarlo Ianuario in arte Solaris Durante la giornata l’Artista napoletano dipingerà panni (asciugamani, lenzuola, pantaloni, tovaglie...) di colore bianco appesi a corde, che verranno omaggiati ai partecipanti, a fine serata. Saranno esposte opere in ceramica di Solaris Rinfresco a base di specialità napoletane
Da P.le Abbiategrasso (MM2) prendere Viale Missaglia (tram 15) scendere alla fermata successiva del Capolinea Gratosoglio prendere di fronte via F. Maggi e svoltare alla prima a destra via Trebbia, proseguire dritto fino a Via Olona 16.
Chi vuole fare, si mette subito in moto, partendo da qualsiasi cosa, è indifferente da dove inizia, è come si sviluppa, che qualifica il suo fare. Lo riprendo al lavoro, come se stessi tenendo tra le mani una cinepresa: intinge il bastone in un secchio, rimesta per un po’ il colore grasso e pastoso, quindi lo estrae e lo fa gocciolare sul cartone steso sul pavimento, poi lo intinge in un altro secchio con un altro colore e ripete la stessa cerimonia. Qualche volta imprime al bastone gesti semicircolari, altre, lo usa a mo’ di aspersorio, così, strato su strato, tutto il cartone viene ricoperto di colore. Lascia asciugare, quindi col cutter lo smembra in mille tessere, di formato diverso, per ricomporlo successivamente con misure non prestabilite, come un mosaico nel quale entra in gioco la sua capacità naturale di accostare forme e colori. Qualunque siano i sentimenti personali dell’artista, finito il quadro, ha subìto l’influenza di altri, ma da adesso, lui influenzerà gli altri, questo credo e penso di Antonio Deodato.
SpazioBoccainGalleria Mercoledì 14 settembre ore 18,30 fino al 28 settembre 2005
suoi quadri, come la ruggine delle fiancate delle navi o le marezzature dei muri degli edifici, tecnica sempre sapientemente dosata con sfumature e velature a vantaggio dell’equilibrio compositivo e dell’impianto prospettico. Che poi sia un pittore realista o iperrealista non importa, penso che sia entrambe le cose a seconda del significato che si vuol dare ai termini; si percepisce un forte realismo nel rapporto che instaura con la città e nel modo in cui la descrive, spingendosi quando vuole oltre fino a mostrare la “conoscenza più esatta possibile dell’oggetto e la restituzione più fedele di questa conoscenza”. Questo passaggio fondamentale fra l’osservazione, la conoscenza e la rappresentazione della realtà è il momento in cui si forma la visione dell’artista, l’intuizione del suo senso profondo e simbolico.
La Libreria Bocca Vi invita a visitare
La città dell’Arte in un solo giorno 6000 libri d’Arte da 3,00 a 100,00 Euro
2° Domenica del Mese
Via Olona
Maggio-Giugno-Luglio-Settembre-Ottobre dalle 10,30 alle 18,30
La città dell’Arte Via Olona, 16 - Quinto Stampi - Rozzano (MI) Via Olona
DALLA TANGENZIALE OVEST
Uscita 7 Ticinese, girare subito a destra, seguire indicazioni Ipermercato Fiordaliso, prima del cavalcavia a sinistra in via Curiel seguire fino al semaforo tra i due benzinai girare a sinistra in Via F. Maggi (poi come sopra) per informazioni
3382966557 - 3332869128 - 3384952540
350 Artisti con oltre 2000 Opere Via Olona, 16 - 20089 Quinto Stampi - Rozzano (MI) Nei pressi della
Fondazione Arnaldo Pomodoro
28 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
Vaso giallo, 2002 pastelli ad olio su pagine cm 131 x 61
Lucia Pescador
Cinema Roma Leonardo Gallina* Le opere di Lucia Pescador hanno girato il mondo con successo e ora tornano a Voghera dove la pittrice è nata. Il suo percorso artistico parte da Brera dove ha studiato decorazione e inizia a lavorare muovendo i suoi primi passi. Le sue tecniche preferite sono il disegno e l’acquerello che usa con grande disinvoltura su soggetti colti da tematiche molto diverse ed eterogenee. Le sue opere spaziano, durante la sua evoluzione artistica, dalla natura rappresentata in alcune sue manifestazioni, come il cielo, il colore dello spazio, il volo degli uccelli… a soggetti che nascono dall’attrazione per l’esotico, per le culture lontane, fino a cercare di catalogare, raccogliere tutto lo scibile
umano… Il Mondo intero visto da lei. Inizia così la sua ricerca non di fotografare il mondo come molti artisti approssimativi fanno, ma di rendere visibili quelle cose che solo il vero artista sa cogliere, rivelandole con generosità a chi guarda ma non vede la realtà che ci circonda nella sua totale essenza. Così nasce, agli inizi degli anni ’90, il suo inventario di fine secolo, in cui lavorando con la sua mano più espressiva, la mano sinistra, l’artista si confronta con il secolo appena trascorso e inizia a raccogliere e a interpretare quanto del secolo scorso val la pena di tener vivo nella nostra memoria. Il tentativo dell’artista di appropriarsi della realtà viene completato da un utilizzo di supporti inusuali come le pagine di registri contabili, gli spartiti musicali, le fatture, le pagine di registri d’albergo su cui, quasi magicamente, vengono inseriti disegni che fondono il loro silenzio mistico con il rumore della vita che scorre vorticosa con i suoi ritmi angoscianti. In Cinema Roma l’artista, ricordando un cinema storico della sua città ormai
Angela Sassu
I meravigliosi meandri della figura Antonio D’Amico
In silenzio, 2003 olio su tavola cm 60 x 40
Sognare, 2004 olio su tavola cm 60 x 120
Apri la mente a quel ch’io ti paleso e fermalvi entro; ché non fa scïenza, sanza lo ritenere, avere inteso. Così Beatrice conduce Dante lungo i sentieri della ‘verità’. Le arti figurative portano alla vera essenza della vita e solo chi si ferma dentro questo meraviglioso mondo intenderà la profonda scïenza. Sono segni a volte comprensibili e altre meno, così come lo sono gli avvenimenti quotidiani.Turbolenze ansimanti che dormono nel profondo di ogni uomo. Sono i moti dell’animo i protagonisti di meandri figurativi composti dalla sola sostanza del colore usato come strumento portante dell’intera scena, che la giovane pittrice ci propone. I quadri di Angela Sassu sono il risultato di uno studio sull’uomo e la sua essenza, sui gesti e il risvolto creativo che ogni individuo porta in nuce nella sua anima. La debolezza nelle scelte e la capacità di adeguarsi divengono caratteristiche morfologiche che si respirano tra le pieghe materiche che compongono le sue figure. Sono sostanze inanimate anelanti a risposte, con la paura di soluzioni avventate per il desiderio, forse anche vano, di detenere tutto sotto controllo. Ogni parvenza è densa di una struttura generata da getti nervosi e decisi. La materia forma corpi che si muovono in uno spazio anonimo che chiede di vivere nella dimensione di ogni spettatore attratto dai sentimenti che trapelano da quei volti in attesa di una vera identità. Sono donne consce della loro sovranità, traspi-
SAVE Cristina Muccioli
M. T. Illuminato Tessuto SAVE
L’arte si fa. Si usa talvolta, come nel caso del design. Quando invece la si racconta, la si dice la si spiega, spesso la si nega.Anzi la si annega, in un brodo scipito di parole sbagliate. Questa volta è diverso. Il timore delle parole che tendono a dominarci è esorcizzato. Perché attraverso le ultime opere di Maria Teresa Illuminato, la cui rilevanza estetica è talmente prensile da non abbisognare commenti, ma sguardi e carezze, ho visto annidato e pronto all’eruzione un nucleo di idee, che con la loro forza cambieranno la storia. La storia della moda, del design, dell’arte. Questo magma concettuale nasce da una consapevolezza, anch’essa storica, del nostro mondo che sta cambiando per colpa nostra e per merito nostro. Perché parte della smisurata e accresciuta quantità di popolazione, che ogni giorno ne devasta le risorse accumulando un mondo di rifiuti,è decisa a salvarne la qualità.Partendo proprio dai rifiuti, che da ostacolo diventano ricchezza. Siamo sommersi dai rifiuti. Siamo inquinati addirittura dalle scorie prodotte dagli inceneritori dei rifiuti. Siamo salvati dal loro recupero, dalle loro più sorprendenti riutilizzazioni. Una di queste, pensata e sperimentata da Illuminato, si chiama appunto SAVE. Per rendere questo recupero, questa palinge-
ranti ruoli densi della sensualità vissuta. Sono uomini ricurvi nei pensieri e nei sentimenti fatti di rigida comprensione del ‘pathos’. Caos e ordine, buio e luce, trasparenze e stratificazione del colore fino a creare una forma che acquista una densità simbolica e che conduce agli albori di un ‘eros’ tutto da scoprire. La pittura di Angela Sassu ci riporta al caldo mistero di un’atmosfera notturna.Visi pensierosi che introducono mille solitudini, grandi mani che si toccano cercando protezione. Sono azzurri, sinonimo del raziocinante sentiero mascolino vissuto con sospetto da un passionale rosso che pervade le figure femminili. Il sodalizio fra gli opposti avviene nei grandi abbracci che consolano e ritornano a isolarsi in una individualità vissuta con timore di perdere la propria aurea di fascino. Il colore dei corpi diventa una tavolozza intensa e infuocata, un sovrano equilibrio di magia cromatica. La pittura di Angela ci riporta a un mondo fatto di sentimenti, di grandi passioni e innumerevoli attese, le stesse della vita!
nesi della materia, il più possibile docile all’estro e alla creatività dell’artista, la ricerca — perché di faticatissima ricerca si tratta — si avvale della tecnologia, invece di fuggire da essa verso l’utopia fumosa di un mondo puro e incontaminato fuori dal mondo.Arte, scienza e tecnologia svelgono i paletti dei propri rigorosi domini e si incontrano, si interrogano e si rispondono, iniziano un dialogo affascinante e inedito destinato a durare. Illuminato usa frullatori, individua sostanze ancora sconosciute per compattare frammenti di materia, interpella tecnici e scienziati del Centro Nazionale di Ricerca di Biella per trovare gli ingredienti per la realizzazione delle sue idee. Accanto a loro, nei laboratori del Centro, continua l’esplorazione di quel fervido dinamismo vitale che solo lo scienziato e l’artista sanno scoprire dietro l’apparenza inerte, la “natura morta” delle sostanze.Al centro c’è sempre lei, la materia. Il perno di tutto il percorso creativo di Illuminato.Affascinata ma non arresa al potere del colore, l’artista lo ha sperimentato e declinato nella carta riciclata, nella buccia di una cipolla, nella terra vulcanica, nella ruggine, nelle plastiche e proprio ultimamente nella stoffa.Destrutturata,sminuzzata, ricreata. Indumenti usati e vissuti sono davvero passati a miglior vita.Adesso sono veri e propri affreschi di lana,seta, acrilico, microfibra e altro, altro ancora. Così il colore in un baluginio di sfumature e contrasti è ora ruvido, ora serico, filamentoso, filigranato, poroso, peloso, morbidissimo o frusciante. Il colore è materico. Non si guarda soltanto. Si tocca. La mescolanza, oltre alla materia, è il nucleo cellulare inquieto, palpitante, di questa sublime metamorfosi tessi-
chiuso da tempo, esprime al meglio l’astrattismo lirico che la contraddistingue e che spazia tra il rigore geometrico e la sensibilità di Malevich e la poesia di Klee con le sue reminiscenze ludiche ed i suoi ricordi infantili. Le opere sono disposte secondo una sequenza quasi cinematografica in cui convergono da tutte le parti le voci, i suoni dell’Oriente, dell’Arte, delle Mode, di tutto quanto l’artista ha creato per questa manifestazione. La mostra quindi rappresenta un momento importante dell’artista che, sensibile al contatto con la sua città, esprime in un momento evocativo della sua infanzia le sue grandi capacità espressive utilizzando materiali molto vari. La mostra, organizzata dalla Associazione culturale Progetto Voghera, si tiene a Voghera alla Sala Luisa Pagano Piazza Cesare Battisti dal 1 al 16 Ottobre 2005. Ingresso libero catalogo in mostra. *Presidente Associazione Progetto Voghera
Franco Tarantino Raffaele Nigro ... Il tutto ha come scenario un luogo azzurro o al più striato di rosa e ciclamino. Sono i colori del surreale e della trasparenza. Sono i colori dell’aria e dell’acqua. Dunque mi pare di capire che c’è un terzo elemento che colpisce la riflessione di Tarantino ed è l’infinito dell’ambiente nel quale siamo calati, mare acqua aria cielo. Siamo creature di ossa e carne, stavo per dire di piombo, e dunque legate alla terra, attratte da una forza centripeta, ma viviamo in un ambiente immateriale qual è l’aria o l’acqua e siamo mossi da una forza che ci trascina, ci sbatacchia, ci impedisce la quiete e la serenità direbbe Foscolo. Una forza centrifuga. Nella ricostruzione metaforica della tela Verso il 2000 una schiera di cavalieri sprona le proprie cavalcature, costringendole a volare verso il nuovo millennio. I cavalli sono quelli tesi allo spasimo di Guernica e la velocità è la stessa dei pionieri al galoppo alla conquista del nuovo mondo. Picasso e John Ford. I corpi dei cavalieri alla maniera dei cartoni animati si staccano dalle selle e quasi volano nell’aria, restando legati solo per le mani che si aggrappano alle criniere. Ma vuoi vedere, mi sono detto, che questa forza che ci affatica non è solo una qualche energia esterna a noi? Che questa forza è anche dentro di noi e ci impedisce di vivere sereni, quieti, appagati? Che c’è dentro l’individuo una pulsione? L’aspirazione a un tempo diverso, a una patria diversa, a una città ideale della quale abbiamo nella nostra mente un’icona? Sarà proprio così. E corriamo alla ricerca di quel luogo. Sarà Itaca o sarà Laputa o sarà Utopia o la Città del Sole. Cioè l’isola della memoria o della scienza o della perfezione e dell’armonia. Comunque un fatto è certo, siamo in corsa.
le. Il citoplasma è la mescola umana, siamo tutti noi. Noi con le nostre identità affidate certo in parte anche all’espressività dei nostri capi d’abbigliamento. SAVE fende fulminea la provenienza sociale, l’età, la sobrietà e la preziosità dei tessuti. Li isola in virtù di un codice estetico-percettivo racchiuso in ciascuno, e li rimescola secondo canoni artistici ed alchemici da macchiaioli. Illuminato tesse così la trama e l’ordito di una nuova società, rigenerata, in cui ognuno di noi può indossare il bello dell’altro, offrendogli, condividendo, il bello di sé. Sono le premesse di una nuova estetica morale. La felice contaminazione assurta a metodo tra arte e scienza e l’essenza materica di SAVE occuperanno un posto di rilievo nel dibattito attuale sull’ecologia, in particolare su quella della mente. Essa saprà liberarsi dall’insostenibile peso della purezza, monolitica e intollerante, discriminatoria e fondamentalista.Non esiste una sola verità né un suo unico depositario. Non un solo colore né un solo sapere. Sarebbe “puramente” riduttivo. Le promesse e gli sviluppi ipotizzabili di questa creazione convergono con forza verso l’universo della moda e quello del design, dove, ancora in fase sperimentale, l’audacia delle tecniche più innovative si è coniugata alla severa accuratezza del più antico imprinting artigianale. È stato un vate dei nostri tempi, Gillo Dorfles, a battezzare, con tutta la sua ieratica autorevolezza, la tecnica della pizia dell’arte del futuro: l’ha definita “cromatologia tessile”, tenendo tra le mani pezzi di non-stoffa pittorica,senza reprimere la stupefazione di sentirsi in salvo.Lunga vita alle idee.
30 Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557
NOVELLO FINOTTI
Anubi II Marmo nero del Belgio
PER L’ARTE
www.mirexspa.it email:
[email protected]