Lapo Bechelli
03/07/2009
IRAN. QUANDO LE LUCI SI SPENGONO
Le prove di dialogo tra paesi occidentali e Iran, che ottimisticamente si profilavano fino a qualche settimana fa, hanno visto un brusco rallentamento dopo l’esito del voto iraniano. Il regime di Teheran fondato sul profondo legame tra autorità religiose, governative e di sicurezza, è stato scosso dal desiderio di chiarezza del popolo iraniano, che a milioni si è riversato nelle strade delle città iraniane, dopo i legittimi dubbi di regolarità del voto che li aveva visti protagonisti in massa, con un’affluenza mai registrata prima. Le riserve sulla correttezza del voto sono state rafforzate dal comportamento ambiguo e contraddittorio del regime, il quale ha inizialmente proclamato il regolare svolgimento del voto, con la benedizione dell’ayatollah Khamenei, salvo poi, di fronte alle innumerevoli proteste, scegliere di ricontare soltanto il 10% delle schede e affermare che in effetti vi erano 3 milioni di schede falsate, ma erano di poco conto. Il regime iraniano non cadrà subito dopo queste proteste, ma come ha osservato il giornalista Fareed Zakaria “stiamo assistendo al fallimento dell’ideologia sulla quale si basa il governo iraniano… L’attuale Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, dichiarando che l’elezione di Mahmoud Ahmadinejad è ‘voluta da Dio’, ha usato l’arma della ratifica divina. Milioni di iraniani non ci hanno creduto, convinti che il loro voto fosse stato tradito…E’ ormai chiaro che oggi in Iran la legittimità non discende dall’autorità divina, ma dalla volontà popolare”. In effetti è la prima volta che assistiamo ad un leader politico iraniano criticare così fortemente la Guida Suprema, ed essere sostenuto da milioni di persone in questo. Ma sarà difficile che il regime cada a breve, come ha affermato il professor Stephen M. Walt, esperto di relazioni internazionali alla Harvard University “la letteratura sulle insurrezioni rivoluzionarie insegna che i governi non cascano fintanto che la leadership rimane risoluta e le forze di sicurezza e l’esercito restano fedeli”. Quindi nel prossimo futuro l’interlocutore iraniano sarà comunque Ahmadinejad, e con lui dovrà essere mantenuto il dialogo per risolvere la questione nucleare con mezzi diplomatici, poiché la politica di scontro del presidente Bush ha prodotto pochi risultati, se non addirittura peggiorato il clima. Il desiderio del presidente Obama di dare energia nucleare a tutti e armi nucleari a nessuno, espresso a Praga nello scorso aprile, era un chiaro messaggio al regime iraniano: “I paesi con armi nucleari si muoveranno verso il disarmo, i paesi senza armi nucleari non le otterranno, e tutti i paesi possono accedere pacificamente all’energia nucleare… e dovremo costruire una nuova struttura per la cooperazione civile internazionale”. Una mano tesa verso l’Iran, ma il pugno del regime non ha dato segnali concreti di apertura, piuttosto il contrario, e sta mettendo in difficoltà i paesi occidentali, stretti tra la difesa dei valori di libertà e giustizia alla base dei loro ordinamenti e la necessità di un dialogo con chiunque si trovi a governare l’Iran. Un altro problema per i paesi europei è che molti di essi sono partner commerciali dell’Iran. Come rilevato dalla rivista di geopolitica Limes: “Roma, Berlino e Parigi hanno, nel complesso, un interscambio commerciale con l’Iran che, in barba alle sanzioni internazionali, è di 15 miliardi di euro, circa il 60% di tutti i rapporti commerciali dell’Iran con l’Unione Europea…L’Italia si trova dunque di fronte a tutte le contraddizioni della propria politica estera. I forti interessi economici che ci legano all’Iran (con 6 miliardi di euro di interscambio commerciale, Roma è il primo partner europei di Teheran) fanno sì che il governo, nonostante qualche dichiarazione del ministro degli Esteri contro le violenze del regime, non agisca con decisione nei confronti di Ahmadinejad”. Se la comunità internazionale aspira a trovare una soluzione per la stabilizzazione di un’area geografica che comprende Afghanistan, Iraq e il tragicamente interminabile conflitto israelopalestinese, e se vuole garantire la sicurezza internazionale dalla minaccia di un paese che si
aggiunge alla lista dei detentori di armi nucleari in un’area così delicata del mondo, un confronto con l’Iran è indispensabile. Oltre a questo vi è il problema che un sostegno troppo deciso da parte delle grandi potenze alla richiesta legittima di chiarezza e giustizia del popolo iraniano potrebbe dare un alibi in più al regime che accusa i paesi occidentali d’ingerenza e poter così affermare che Moussavi è legato alle potenze straniere, rendendo la vita ancor più difficile al leader delle proteste in Iran. Il prossimo G8 che si terrà all’Aquila dovrà stabilire anche quale linea adottare nei confronti dell’Iran. Probabilmente verrà espresso tutto il disappunto possibile per le violenze e gli arresti nelle strade di Teheran, ma la porta del dialogo resterà comunque aperta, o perlomeno non chiusa a chiave. Nel frattempo le istituzioni fiorentine e della Toscana hanno dedicato la loro attenzione alla crisi iraniana, esponendo un drappo verde sulla facciata di Palazzo Medici Riccardi e Palazzo Vecchio, e con l’invito fatto dal Consiglio Regionale della Toscana a Shirin Ebadi, dimostrano il loro sostegno al popolo iraniano che chiede pacificamente chiarezza e giustizia. In particolare ora che le luci dei media si stanno lentamente spegnendo e la mano repressiva del regime si farà più sentire, diventa necessario tenere gli occhi aperti e restare aggiornati su ciò che accade nelle strade di Teheran.