Punto Omega 17 - Dialoghi Di Bioetica E Biodiritto 2005

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Remo Andreolli Editoriale

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Introduzione

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LA SALUTE Dialogo di Bioetica e Biodiritto del 4 marzo 2005

Lucia Galvagni 10 La salute: ma cos'è? Lorenzo Chieffi 14 I paradossi della medicina contemporanea

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anno sette numero diciassette

Fabio Cembrani 47 Il diritto alla salute e l'assistenza dei cittadini italiani all'estero Guido Baldessarelli 66 La mobilità sanitaria

Sergio Bernabè 25 La relazione medico-paziente

29 SALUTE E CONFINI: NUOVI FEDERALISMI SANITARI Dialogo di Bioetica e Biodiritto del 1 aprile 2005 Alberto Bondolfi 30 Federalismo sanitario e implicazioni etiche Elena Ioriatti 37 La libera circolazione delle prestazioni sanitarie nella CE

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73 SALUTE E GLOBALIZZAZIONE Dialogo di Bioetica e Biodiritto del 13 maggio 2005 Daniela Bifulco 74 Il diritto alla salute nella prospettiva della mondializzazione Roberto De Vogli 92 Diritto alla salute e disuguaglianze economiche Gianni Tognoni 99 La salute come progetto

“Serrati gli uni contro gli altri dalla crescita del loro numero e dalla moltiplicazione dei collegamenti, accomunati dal risveglio della speranza e dell’angoscia per il futuro, gli uomini di domani lavoreranno per la formazione di una coscienza unica e di una conoscenza condivisa”. Pierre Teilhard de Chardin “Punto Omega”, nel pensiero di Teilhard de Chardin, filosofo e teologo vissuto tra il 1881 e il 1955, è il punto di convergenza naturale dell’umanità, laddove tendono tutte le coscienze, nella ricerca dell’unità che sola può salvare l’Uomo e la Terra. “Punto Omega” è anche il titolo scelto per la rivista quadrimestrale del Servizio sanitario del Trentino ideata nel 1995 da Giovanni Martini, poiché le sue pagine vogliono rappresentare un punto di incontro per tutti coloro che sono interessati ai temi della salute e della qualità della vita.

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L

a bioetica, cioè quella branca dell’eti ca che studia i valori morali all’inter no delle scienze biomediche, si sta evolvendo anche come risposta allo sviluppo e ai progressi della scienza e della tecnologia in campo biologico e medico laddove si propongono in continuazione problemi nuovi, riferi bili non solo alle “zone di frontiera” dell’esistenza umana, come la nasci ta, la morte, le malattie, ma anche alla vita quotidiana di ciascuno. Il tema della salute non è molto pre sente nel dibattito bioetico che soli tamente privilegia le situazioni estre me, come la fecondazione assistita, i trapianti di organi, le condizioni di sopravvivenza terminale, trascuran do il fatto che la salute e la malattia sono per ciascuno di noi elementi di esperienza, di riflessione e anche di scelte di carattere morale.

Editoriale

Mi ha quindi fatto molto piacere che il Comitato Scientifico, che ha programmato i “Dialoghi di Bioetica e Biodiritto” per l’anno 2005, abbia scelto proprio il tema della salute come filo rosso delle 7 giornate che hanno visto la partecipazione di im portanti ed autorevoli relatori. Il fatto di ribadire la centralità della salute e di coinvolgere fra i relatori e i partecipanti a questa serie di “Dialoghi” non solo professionisti della salute, ma anche persone che, a vario titolo, si occupano di salute, costituisce un aspetto di assoluto rilievo in quanto le manifestazioni e le difficoltà della vita sono molteplici e articolate e non si possono esau rire all’interno di una sola scienza, la medicina, o di un solo settore, la sanità. La medicina e le professioni sanitarie infatti non possono essere conside rate come l’unico modo possibile per mantenere, tutelare e miglio-

rare la salute degli individui e delle comunità. Talvolta le informazioni a cui tutti noi siamo esposti tendono ad orientare la domanda di salute in termini di merce da acquistare, lasciando in secondo piano i fattori di salute che dipendono da scelte collettive o personali, che vanno sotto il nome rispettivamente di determinanti socio-economici e di stili di vita. Succede spesso che da parte del cittadino vi sia la delega di parte di sé verso un potere esterno, mentre da parte del medico vi sia l’assunzione di una delega sulla vita altrui sempre più ampia. Questo aspetto va necessariamente riequi librato anche attraverso momenti di discussione, dibattito e formazio ne che consentano ai cittadini e ai professionisti della salute di poter interagire sulla base di una cultura condivisa che comprenda non solo gli aspetti tecnici propri della medi cina, ma anche quella costellazione di valori che sono parte intrinseca di ciascun essere umano e di ciascuna comunità. È proprio per questo che i profes sionisti della salute, ma anche i professionisti in un’accezione più vasta, nonché l’intera popolazione devono avere sempre di più la pos sibilità di dibattere e discutere i temi della bioetica perché questi temi, talvolta nuovi e poco conosciuti, che si legano ai progressi scientifici e all’evoluzione dell’umanità, possono consentire una maggior compren sione reciproca fra professionisti della salute e cittadini per costruire una forma di alleanza terapeutica e relazionale contro la malattia. Tale alleanza deve costituire anche la base per relazioni interpersonali più positive fra professionisti e pazienti nella logica che i servizi sanitari non siano solamente luoghi di competen za tecnica, ma divengano sempre di più luoghi di buona accoglienza.

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Questo è uno degli obiettivi che la Giunta provinciale ed io personalmente ci siamo dati ed è per questo che ho voluto proporre che il 2005 sia, per la sanità, ”anno del cittadi no”, l’anno cioè nel quale tutti gli operatori della sanità, nessuno esclu so, devono mettere in atto buone pratiche e strategie di relazione e di accoglienza orientate a valoriz zare la centralità delle persone che utilizzano i servizi. L’iniziativa dei “Dialoghi di Bioetica e Biodiritto” si è ben inserita in questo progetto e mi auguro che i frutti che ha prodot to facciano sì che la sanità trentina oltre al buon funzionamento che la caratterizza e che le è riconosciuto, possa connotarsi sempre di più in termini di “sanità amica”. dott. Remo Andreolli Assessore alle politiche per la salute

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Introduzione

Il termine “bioetica”, che deriva dall’anglo-americano bioethics, è un neologismo che risale agli inizi degli anni ‘70. Il suo campo di interesse è costituito dall’applicazione dell’eti ca alla vita, nello specifico l’etica in quanto relativa ai fenomeni della vita organica, del corpo, della gene razione, dello sviluppo, maturità e della vecchiaia, della salute, della malattia, e della morte. La bioetica non è una disciplina autonoma e indipendente, ma co stituisce un punto di collegamento e di raccordo interdisciplinare fra Medicina, Giurisprudenza, Biologia, Psichiatria e Filosofia Morale. La bioetica, pur rivendicando la sua novità e la sua dignità all’inter no delle discipline etiche, non può, sicuramente, essere elevata al rango di “scienza”. Infatti, pur attingendo alle novità e agli aggiornamenti, specie quelli più rilevanti sotto il profilo del loro utilizzo tecnologico, delle scienze empiriche, la bioe tica è una disciplina di carattere prescrittivo e normativo, e non

semplicemente descrittivo come le altre scienze sperimentali. In questa logica si colloca lo stretto collegamento con il biodirit to. Ci si sta infatti rendendo sempre più conto che le problematiche che si è soliti ricondurre alla bioetica sono estremamente stimolanti, nel senso che pongono al diritto inter rogativi molto concreti e sempre nuovi, non facilmente inquadrabili nelle categorie giuridiche con cui si è abituati a ragionare. Per fare un esempio, una fase di fine vita altamente medicalizzata spinge ad interrogarsi sulle defini zioni di morte e di vita, sul princi pio di disponibilità o indisponibilità delle stesse, sulla reazione dell’ordi namento nei confronti di imposizio ni contro la volontà individuale. In quest’ottica il biodiritto spinge alla verifica della validità e dell’utilità delle categorie giuridiche tradizio nali, alla luce dei mutamenti sociali e scientifico-tecnologici tipici del nostro tempo. È in questo contesto che è nata l’iniziativa formativa “Dialoghi di Bioetica e Biodiritto”, organizzata dal Dipartimento di Scienze Giu ridiche della Università di Trento, dall’Ordine dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Trento e dall’Assessorato provin ciale alle Politiche per la Salute e progettata da un apposito Comitato Scientifico cui hanno dato il proprio contributo rappresentati dei tre Enti organizzatori 1 . Attraverso tale iniziativa, che nell’anno 2005 è stata realizzata per il terzo anno 5

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Introduzione

consecutivo, gli organizzatori si sono posti l’obiettivo di analizzare, approfondire, discutere e dibattere i principali problemi con cui si devo no confrontare, anche nell’attività quotidiana, le persone che si occu pano dell’assistenza sanitaria. Va opportunamente precisato che una importante caratteristica dei “Dialoghi di Bioetica e Biodiritto” è quella di essere rivolti all’intero ambito, diversificato e complemen tare, delle professioni sanitarie. I Dialoghi sono sempre stati collocati all’interno del programma di Educa zione Continua in Medicina (ECM). I primi quattro incontri del 2005 sono stati proposti anche agli studenti della Facoltà di Giurispru denza dell'Università degli Studi di Trento sotto forma di “laboratorio applicativo”.

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Per quanto riguarda la parte valutativa del programma dei “Dia loghi di Bioetica e Biodiritto” nel contesto dell’Educazione Continua in Medicina, si è ritenuto di pro porre ai partecipanti non tanto la compilazione di un test, bensì la descrizione di esperienze persona li dirette o indirette, contenenti commenti, osservazioni, valutazioni attinenti ai temi trattati. Il materiale raccolto, costituito da ben 414 casi vissuti e raccontati dagli operatori sanitari partecipanti agli incontri, è stato analizzato da un Gruppo di lavoro coordinato dalla dottoressa Greta Sona, laureata in Scienze Giuridiche, e composto da 9 operatori sanitari e da un dotto rando in Giurisprudenza 2. I casi sono stati analizzati e com

mentati sotto il profilo giuridico, etico e deontologico, nel corso di apposite riunioni che si sono svolte parallelamente ai “Dialoghi di bioe tica e biodiritto”. Alcuni casi che sono stati oggetto di discussione vengono riportati nella presente pubblicazione. La pubblicazione successiva che completerà la documentazione dei “Dialoghi di Bioetica e di Biodirit to” dell’anno 2005, oltre ai casi spe cifici relativi ai temi che verranno riportati, conterrà anche la sintesi e il commento dell’attività svolta dal Gruppo di lavoro. Le sette giornate in cui si sono articolati i “Dialoghi di Bioetica e Biodiritto” hanno visto una parte cipazione numerosa sia di profes sionisti della salute sia di studenti. Di seguito è riportato, per ciascun “Dialogo”, il numero dei partecipan ti e i contributi raccolti: 4 marzo 2005 LA SALUTE Al dialogo hanno partecipato 84 persone, che hanno prodotto 57 contributi. 1 aprile 2005 SALUTE E CONFINI: NUOVI FEDERALISMI SANITARI Al dialogo hanno partecipato 124 persone, che hanno prodotto 91 contributi. 13 maggio 2005 SALUTE E GLOBALIZZAZIONE Al dialogo hanno partecipato 105 persone, che hanno prodot to 73 contributi.

3 giugno 2005 SALUTE E CULTURE: LA SOCIETÀ Al dialogo hanno partecipato 86 persone, che hanno prodotto 59 contributi. 16 settembre 2005 SALUTE E CULTURE: LA DONNA Al dialogo hanno partecipato 91 persone, che hanno prodotto 67 contributi. 7 ottobre 2005 SALUTE E INFORMAZIONE Al dialogo hanno partecipato 82 persone, che hanno prodotto 67 contributi.

di Trento), Loreta Rocchetti (Ordine dei Medici). [2] GRUPPO DI LAVORO Michela Berlanda, ostetrica; Roberta Calza, farmacista; Ada Clementi, infermiera; Marco Clerici, medico di medicina generale; Fabio Cembrani, medico legale; Michela Fedrizzi, funzionario presso l’Ordine dei Medici della provincia di Trento; Maria Rosanna Gorza, medico; Federica Merz, infermiera; Simone Penasa, dottorando in Giurisprudenza; Federica Rosa, infermiera.

4 novembre 2005 ANCORA LA SALUTE Tavola rotonda conclusiva, alla quale hanno partecipato 50 persone. A ciascuno dei primi quattro “Dialoghi” hanno partecipato, inoltre, circa 80 studenti della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento. NOTE [1] COMITATO SCIENTIFICO Franca Bellotti (Assessorato alle Politiche per la Salute), Fabio Branz (Ordine dei Medici), Carlo Casonato (Università di Trento), Marco Clerici (Ordine dei Medici), Michela Fedrizzi (Ordine dei Medici), Giovanni Martini (Assessorato alle Politiche per la Salute), Cinzia Piciocchi (Università 7 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

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La salute Dialogo di Bioetica e Biodiritto del 4 marzo 2005

La definizione della salute si con fronta con un concetto assai ampio ed in continua evoluzione: la salute com’era, com’è, come si avvia ad es sere e la salute come può essere allo stato attuale di molti fattori quali ad esempio il fattore ambientale e l’eco-sistema, la disponibilità di risorse e delle conoscenze cliniche, anche e soprattutto in relazione alle percezioni ed alle aspettative del cittadino. Ognuna di queste dimensioni si

scontra con il concetto di limite (il limite delle conoscenze e delle risor se, limiti sociali e giuridici) che più di altri concorre a definire la salute confrontandosi con le aspettative che ogni definizione genera. Il primo incontro dei Dialoghi di bioetica e biodiritto del 2005 era volto all’approfondimento di questo tema, attraverso un excursus dei diversi ambiti e livelli alla luce dei quali la salute può essere definita. (G.S.)

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La salute: ma cos’è? Lucia Galvagni

Il concetto di salute e i fattori che concorrono a definirlo.

Evoluzione del concetto di salute Il tema ed il concetto di salute può essere affrontato a partire da una prospettiva storica. Uno storico contemporaneo della medicina, l’inglese Roy Porter, ha affermato: “Fino a qualche tempo fa, la vita veniva vissuta sotto l’impero della malattia. […] ‘Il mondo è un grande ospedale’ era una frase ricor rente. […] Uomini e donne, i poveri soprattutto, dovevano farsi forti di fronte alla malattia, al dolore, all’invalidità e all’invecchiamento precoce. Un atteggiamento stoico divenne quasi una seconda pelle […]: i nostri antenati tentavano di mantenersi in salute e di curare se stessi e i loro cari in caso di malat tia. Talvolta, coloro che potevano permetterselo, si rivolgevano a guaritori di professione” 1. Nell’orizzonte contemporaneo, il concetto di salute può essere disegnato a partire da alcune defi nizioni che le istituzioni preposte alla sanità a livello mondiale ne hanno fornito. L’Organizzazione Mondiale della 10 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

Sanità, ad esempio, della salute ha formulato, nel 1946, la seguente definizione: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale, sociale”. Circa trent’anni più tardi, nel 1978, alla Conferenza di Alma Ata l’OMS si è posta l’obiettivo della “salute per tutti entro l’anno 2000”: in que sta dichiarazione la salute veniva intesa come assistenza sanitaria primaria. La questione della salute e della sanità in termini mondiali è stata riconsiderata anche in una conferenza organizzata dall’OMS nel 2000: a questa data ci si è resi conto che una delle emergenze principali era, ed è tuttora, la questione dell’equità, cioè della giusta distribuzione delle risorse nell’ambito sanitario. Il Novecento può essere letto anche come il secolo durante il quale si sono andate consolidando la cultura e la pratica dei diritti umani: a partire da essi la salute ha ricevuto una sorta di riconosci mento giurdico. Un valore essenziale, infatti, è stato conferito al cosiddetto diritto alla salute, inteso sia come diritto all’assistenza sanitaria, sia come diritto del singolo a decidere su quanto riguarda la sua salute e la sua malattia. Anche a partire dal riconoscimento dell’esistenza di un diritto di ciascuno alla salute si definiscono le questioni dell’auto determinazione rispetto alle cure e dell’equità della salute, e di qui la questione della giusta distribuzione delle risorse. La dimensione della giustizia non è certo di facile definizione; il

concetto dell’equità tuttavia avvi cina alla possibilità di misurare la giustizia nell’ambito sanitario 2. Salute, sanità Come viene definita la salute? Quali fattori permettono di delimitarne il campo e di tratteggiare il ruolo che il concetto di salute può rivestire? A definire la salute concorrono fattori e discipline diversi. La me dicina, da un lato, svolge il compito di stabilire ad esempio la differenza tra una condizione normale ed una condizione patologica e fornisce così una prima misura di quello che può essere la salute. La società, d’altro lato, dà un proprio contributo fondamentale nel definire cos’è il benessere e che cosa può esser ritenuto e indicato come malattia, che cosa sia meritevole di cura o che cosa sia la normalità. Quando si parla di salute, si indica anche la gestione pubblica della sa lute, ossia la cosiddetta sanità. Se con salute si intende “lo stato di benessere fisico e psichico di un organismo umano che deriva dal buon funzionamento di tutte le componenti e dall’assenza di malattie o disturbi, sia organici sia funzionali” 3, con sanità, o sanità pubblica, si indica “la tutela della salute della collettività e delle con dizioni igieniche, mediche e sociali in genere che servono a garantirla, a ripristinarla e a diffonderla, come compito proprio delle pubbliche autorità” 4. Un’etica della salute? La salute e la malattia si definisco no in maniera reciproca, e spesso

per opposizione: la salute viene infatti considerata come assenza di malattia (“la vita nel silenzio degli organi”) e, viceversa, la malattia come assenza di salute. Nello stesso tempo tuttavia, nonostante sempre si sia cercato di individuare un discrimine tra salute e malattia, ci sono delle situazioni nelle quali è molto difficile provare a distinguerle. Un primo scenario nel quale salu te e malattia si intersecano è quello della salute mentale: nelle forme di disagio psichico è difficile definire quando si entra in pieno in uno stato di malattia. Un secondo possibile scenario è quello delle malattie genetiche: tra queste vi sono alcune malattie che possono essere diagnosticate quando la persona non manifesta ancora la condizione di malattia, con precisi segni e sintomi, attra verso le cosiddette diagnosi presin tomatiche. La persona che si trova predispo sta alla manifestazione di una ma lattia è una persona sana o malata, in questo senso? La risposta non è semplice, e neppure netta. Il concetto di salute porta con sé un importante significato morale, dal momento che si parla di ben-es sere, e di “buona” salute, rimandan do così alla dimensione del vivere bene e della vita buona, concetti, questi, tipicamente morali. Una seconda fondamentale di mensione morale è rappresentata dalla questione dell’equità in ambito sanitario: oggi una giusta, un’equa distribuzione delle risorse rapppre senta un tratto morale essenziale 11

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della pratica medica e sanitaria. La mia salute, la mia malattia C’è sempre, inoltre, una dimensione soggettiva ed esistenziale della sa lute, ossia il modo con cui ciascuno percepisce la propria salute e la propria malattia, e la maniera in cui ciascuno vive queste condizioni.

I CASO

Ragazzo pakistano affetto da tubercolosi che, dopo un primo periodo di cure, sentendosi molto meglio, anzi essendo convinto ormai della sua guarigione, met teva in dubbio la diagnosi. È stato poi difficile fargli capire l’importanza di assumere la te rapia, che secondo il protocollo dura circa un anno, proprio perché lui si sentiva in perfetta salute. [Infermiere]

La salute

II CASO

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Signora ultrasettantenne che, dopo un lungo periodo di ma lesseri causati da un problema cardiaco, finalmente è stata ope rata e riprende la sua attività di casalinga, nonna, baby sitter. Durante l’impegnativo intervento chirurgico, la signora è stata sot toposta a trasfusione di sangue. Dopo alcune settimane, in se guito a dei controlli ematici di routine, il curante scopre che la signora ha contratto un’infezione da virus dell’epatite C. Il medico le ha più volte spiegato con pazienza e semplicità che non si sarebbe dovuta preoccupare più

di tanto perché ci sarebbero volu ti comunque dei decenni perchè questo virus potesse arrivare a danneggiare il suo fegato. Nonostante ciò questa signora sta vivendo molto male la situa zione, peggio di quando aveva il problema cardiaco che poteva esserle fatale; ora infatti si per cepisce di nuovo malata, pur non avendo nessun sintomo, e sa che attualmente non può avere una cura risolutiva. A livello di ipotesi ci si è perfino chiesti, con il medico curante, che effetto positivo potrebbe avere sulla qualità di vita della signora la comunicazione, non veritiera, di una sua guarigione. [Infermiere] Per cogliere appieno i tratti che la salute riveste, non si dovrebbe di menticare che nel concetto di salute sono ricomprese anche la nozione di incompiuto e di “tensione verso”. In questo senso essa si potrebbe disegnare come una costante ten sione verso uno stato di benessere cui si aspira, ma che non si vive mai in una dimensione di stabilità e di definitività: quello tra salute e ma lattia rimarrebbe, per molti aspetti, un equilibrio instabile e quella della salute una costante ricerca. NOTE [1] R. Porter, Breve ma veridica storia della medicina occiden tale, Carocci, Roma 2004, pp. 35-36.

[2] Nel corso del tempo, da parte dell’OMS, da definizioni di carattere generale si è passati all’analisi di questioni più par ticolari, il cui profilo sembra presentare caratteri più mar catamente etici. Parlando di equità si fa riferimento, infat ti, soprattutto alla dimensione della giustizia, di cui l’etica si occupa per definizione. [3] Voce “Salute”, in S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, UTET, Torino 1994, vol. XVII, pp. 456-460, qui p. 458. [4] Voce “Sanità”, ibidem, pp. 519-520, qui p. 519.

Lucia Galvagni è ricercatrice in Bioetica presso l'Istituto Trentino di Cultura 13 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

I paradossi della medicina contemporanea Lorenzo Chieffi

L´attuale sviluppo di nuove conoscenze e di tecnologie avanzate rende necessario un riesame degli obiettivi della medicina.

Il principale obiettivo dell’arte medica consiste nell’assicurare la salute e il benessere dell’individuo. La medicina è preordinata a valorizzare i beni personalistici che costituiscono il nucleo centrale della Costituzione, ed è un’attività intellettuale ben disciplinata dal nostro ordinamento costituzionale agli artt. 9 e 33. Tuttavia si tratta di un’attività che deve essere bilanciata con valori altrettanto precisamente definiti: – l’integrità psico-fisica (art. 32 Cost.); – la dignità umana (art. 3 Cost.); – la riservatezza (art. 21 Cost.). Attraverso questi valori si pongono quindi dei limiti al pensiero ed alle applicazioni della medicina. A questo proposito ritengo importante evidenziare quali siano state le preoccupazioni che hanno indotto il costituente ad inserire l’art. 32 della Costituzione. Aldo Moro, costituente a cui si deve la redazione del Progetto che poi ha portato all’art. 32, ha più volte sottolineato l’esigenza di tute14 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

lare la “dignità umana”, termine che poi però scomparve nella redazione finale. Moro ha affermato infatti che lo Stato non può considerarsi legittimamente democratico se non pone alla base delle sue fondamenta i valori della persona umana, e se non ha come obiettivi primari la dignità, la libertà e l’autonomia dell’individuo. A sostegno dell’inserimento del l’art. 32 vi era dunque la preoccu pazione che l’essere umano potesse diventare oggetto, alla stregua di una cavia, di esperimenti scientifici o pseudo–scientifici a prescindere dal consenso preventivamente e liberamente dato (suscitò enorme preoccupazione e raccapriccio la notizia di pratiche sperimentali di sterilizzazione compiute a fini raz ziali eugenetici durante il secondo conflitto mondiale). È un dibattito tratto dall’assemblea costituente che oggi gli studiosi di ingegneria genetica riprendono per contrastare quella deriva deterministica, ridu zionistica, che, attraverso un uso anomalo delle informazioni geneti che, ipotizza di differenziare l’essere umano in funzione della presenza o meno di determinati geni (si vedano le sperimentazioni avviate da Bush padre, per verificare se il possesso di alcuni geni in certe zone dell’Ame rica, dove è forte la concentrazione di persone di colore, corrisponda ad un’inevitabile propensione a delinquere). Va sempre tenuta in grande con siderazione l’esigenza di operare dei bilanciamenti tra le ragioni della scienza e la protezione dei valori personalistici, bilanciamenti

a cui siamo indotti anche a causa del velocissimo incedere del pro gresso scientifico. Questa rapidità di sviluppo di nuove conoscenze e tecnologie mette in discussione gli obiettivi e i fondamenti stessi della medicina contemporanea. Le straordinarie scoperte rea lizzate dalla medicina inducono quindi, attraverso un processo di relativizzazione dei valori costitu zionali storicizzati nel ‘48, a rinve nire nuove dimensioni della tutela personalistica all’interno del testo costituzionale. La relativizzazione è resa possibi le proprio dalla nostra Costituzione che, contenendo norme programma tiche e concetti valvola, consente di operare interpretazioni di carattere evolutivo. Oggi possiamo infatti trarre dal testo costituzionale nuovi signi ficati determinati dai mutamenti dell’ambiente esterno, un tempo sconosciuti (la procreazione as sistita, l’ingegneria genetica, la trapiantologia, l’ambiente e le bio tecnologie) e finalizzati a tutelare i beni personalistici. I bilanciamenti servono ad indi viduare il giusto punto di equilibrio tra valori che potrebbero essere antinomici (il verbo “potrebbero” sta a significare che nel nostro ordinamento non esistono gerar chie di valori precostituite, ma si possono solo operare bilanciamenti che variano a seconda delle diverse circostanze. In materia di ingegneria genetica, ad esempio, si possono individuare risvolti positivi, come la possibilità di diagnosticare precoce mente alcune malattie per favorire

il benessere dell’individuo, ma nello stesso tempo anche risvolti negati vi, qualora le conoscenze vengano utilizzate in modo pregiudizievole per l’individuo stesso). Quali sono i paradossi della me dicina? 1) L’iper tecnologizzazione/specia lizzazione della medicina che può incidere sul rapporto narrativo medico-paziente. Ciò che viene meno oggi è il dialogo tra medico e paziente. Questa è una delle cause della sfiducia nei confronti della medicina tradizionale e del ricorso alle medicine alternati ve-non convenzionali (ad es. la terapia Di Bella); 2) La medicina avveniristica, che negli ultimi anni ci ha fatto conoscere tecniche impensabili, fantascientifiche fino a vent’anni fa. Si tratta di tecniche che la sciano trasparire luci ed ombre, in funzione dell’utilizzo che se ne può fare. Da qui sorge la necessità di regolamentare la ricerca scien tifica. Nascono preoccupazioni e angosce determinate da un uso della scienza non finalizzato al benessere dell’individuo; 3) L’allocazione delle risorse: la scienza che utilizza tecnologie avanzate è molto costosa (Cal lahan ha definito la medicina come “medicina impossibile“). Non è detto che la medicina debba rincorrere le tecnologie, perchè in tal modo diventerebbe una medicina per pochi. Primo paradosso Il veloce incedere delle tecnologie impedisce al diritto di metabolizzare 15

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La salute

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le nuove conoscenze e di elaborare nuove norme per regolamentare queste materie. Il diritto arriva sempre in ritardo. C’è una difficoltà generalizzata da parte della bioetica e del biodiritto a metabolizzare le novità introdotte dalla scienza, per tradurle in regole morali e giuridiche. Nonostante questo vuoto legislativo nazionale, a livello internazionale e comunitario si sono poste le basi per tutelare i valori personalistici: – la Convenzione di Oviedo; – la Dichiarazione UNESCO sul genoma umano; – la Carta di Nizza (artt. 3 e 21). L’eccessivo tecnicismo nell’approccio terapeutico rischia di tradursi in una progressiva frammentazione dell’esecuzione dell’arte medica. Stefano Rodotà sostiene che l’uomo non viene più inteso nella sua dimensione unitaria ma viene progressivamente suddiviso prima in organi, poi in geni. Così facendo si abbandona l’approccio olistico alla persona in nome di un approccio sempre più frammentato che rischia di determinare un allentamento del rapporto dialogico-narrativo tra medico e paziente. Si approda sempre di più ad una tecnologia settoriale che fa perdere di vista l’uomo nel suo insieme (le teorie deterministico-riduzioniste sono l’esito di questa medicina sempre più specializzata). Da ciò deriva una sempre più diffusa sfiducia da parte del paziente nei confronti della classe medica e la

conseguente rincorsa alle medicine alternative, non convenzionali. Con queste medicine, che privile giano il rapporto comunicativo me dico-paziente, l’uomo si riappropria del suo corpo (ad es. terapia Di Bella vissuta come approccio olistico). La richiesta che viene da più parti è di una medicina più sobria, meno dipendente dalle tecnologie e quindi in grado di ridurre la distanza tra il medico ed il paziente.

III CASO

Era mia intenzione, già da alcuni giorni, scrivere una lettera di riflessione su quanto ho dovuto affrontare come figlia nel ricovero di mio padre; lettera di riflessione valida per me come medico. Poi il dialogo, la relazione del Prof. Chieffi, la vostra domanda e così un’idea è diventata realtà. Tempo fa ho ricoverato in ospe dale mio padre, quasi ottantenne, ma in ottime condizioni psichi che, quindi capace di ascoltare e spiegare. Da quell’ospedale ne è uscito due mesi dopo con risolto, per il meglio, quanto aveva richiesto il ricovero, ma in pessime condizioni psichiche e con compromissione di altri apparati, il tutto causato da incapacità di “ascolto” e da “co modità” richieste da parte di una “medicina” ormai tecnologica e burocratizzata. La diagnosi di dimissione natural mente è completata da “demenza senile”. Mi era stato chiesto dai vari col leghi – visto che naturalmente è

stato ospitato in più reparti, in quanto ormai siamo talmente set toriali che curiamo solo il nostro piccolo organo e degli altri non ci interessiamo assolutamente, quindi poi un altro medico si do vrà prendere cura dei danni da noi creati ad altro organo e così via – di essere figlia e non medico. Io l’ho fatto ed ho avuto il piacere, uno degli ultimi giorni, di sentirmi dire con un bel sorriso: “Stiamo pensando ad una pubblicazione sui danni iatrogeni ad un genito re di una collega”(sic!). Il tutto detto con gentilezza, ma mi ha convinta a non pensare più come figlia ed ecco la riflessione. Perché non ascoltiamo più il paziente? Mio padre si è trovato costretto ad un catetere, che forse mai più si toglierà, perché una notte qualcuno era infastidito nel dover portare più volte un “pappagallo” e prendeva per “de menza” le parole di una persona che diceva: “Abbia pazienza, ma è come mungere, perché ho la prostata un po’ ingrossata quindi impiego di più”. Quella stessa notte, che è diventata per mio padre un incubo anche nei ricor di attuali, alla richiesta cortese di poter “bagnare la bocca” per una necessità respiratoria, non ricevendo risposta, ma anzi parole dure, nel tentativo di liberarsi il braccio da una flebo per adem piere a questa esigenza, è stato bloccato in modo violento e poi naturalmente “sedato” (questi sono i nostri termini) all’arrivo del medico di turno, molto più convinto della descrizione del

l’accaduto da parte del personale paramedico che del paziente. Poi che la “sedazione” abbia creato depressione respiratoria ecc. ecc., questo è nulla. Che quel catetere sia rimasto in situ e nessuno se ne sia più interessato, finchè si è occluso da solo per eccessivo uso… pazienza. La lucidità ri mane e naturalmente il paziente inizia a diventare insofferente ai “soprusi”, contesta lui stesso “i compitini” che sono più impor tanti dell’atto relazionale e così inizia ad essere ascoltato sempre meno e a diventare “persona dif ficile”, a cui non credere. Quindi anche quando con pazienza fa presente che la sua quantità di diuresi è diversa da quella “non registrata” per dimenticanza, non lo si ascolta ed in pochi giorni lo si manda in insufficienza renale acuta per abuso di diuretici e so vradosaggio di un altro farmaco, che non era mai stato usato prima del ricovero. Quello che mi ha sorpreso è che tutti si sono comportati in modo naturale: ho creato un po’ di danni qui, lo trasferisco lì che lo riaggiustano – ma lì hanno aggiustato quello e creato un altro danno – ma che problema c’è, il collega dell’altro reparto sa il fatto suo, non preoccuparti. E così finalmente dopo due mesi siamo usciti: in barella, all’en trata camminavamo insieme; con quell’organo rattoppato, ma altri tre o meglio tutti gli altri malconci e con la diagnosi che conferma l’operato dell’operatore della pri ma notte di “demenza senile”. 17

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Con pazienza stiamo tentando di riportare un po’ di equilibrio in un organismo che ha ancora molta voglia di vivere, ricordandoci che un corpo umano è fatto da un insieme di apparati che devono collaborare tra loro e che in ogni persona hanno raggiunto un pro prio equilibrio, un proprio modo di interagire. In questo mi aiuta una persona di cui noti subito la capacità di ascolto e che nella sua semplicità ha capito che siamo esseri differenti, non robot da poter affidare a delle schede, a dei computer per riaggiustare. Sicuramente la medicina con le nuove tecnologie è riuscita a risolvere molte patologie, ma ri cordiamoci anche il rapporto con il malato: la vecchia anamnesi, il vecchio esame obiettivo, la vecchia clinica. Non fatemi udire la risposta, che ricevetti non più da un anno fa da un collega “Ma perché tu fai ancora delle doman de alle pazienti? Falle spogliare ed intanto, semmai… ascoltale, così perdi meno tempo”. Mi sono sentita vecchia in quel momento, perché “perdo” ancora molto tem po nel colloqui prima della visita, mi fermo a parlare anche di aspet ti della vita che sicuramente a quel collega sembreranno assurdi, ma che a me fanno capire molte cose di quella persona che ho di fronte, servono a darle fiducia e a ricevere fiducia, perché solo così si possono utilizzare in modo appro priato le nuove tecnologie senza fare danni, senza frammentare l’arte medica e senza catalogare ogni sintomo in modo acritico.

Scusate lo sfogo, ma nel vedere mio padre ed altre persone deboli come lui, che sono i bambini e gli anziani, non rispettati nel loro dire e nelle loro necessità, mi sono vergognata di far parte di un ordine professionale in cui crede vo e per il quale ho sempre sacri ficato altri aspetti della mia vita. Fermiamoci un attimo a riflettere: è più giusto inserire dati al com puter, scrivere grafiche, registrare cartelle infermieristiche, cartelle mediche, prescrivere esami su esami (quelli non mancavano mai: credo che a mio padre siano state fatte più di trenta radiogra fie, senza pensare al disagio, al freddo, all’attesa da solo su un corridoio, che sicuramente hanno creato danni maggiori dei benefici dovuti a questa serie di esami), indagini strumentali sempre più sofisticate... o è meglio ascoltare, guardare, pensare che l’essere che abbiamo di fronte è una persona, con una sua dignità, un suo vissu to e che in quel momento chiede il nostro aiuto? [Medico] Secondo paradosso Il veloce incedere del progresso tecnologico ha messo in crisi alcune categorie, certe per i giuristi fino a pochi anni fa, legate alla tutela soggettiva. Basti pensare all’inizio della vita umana: ci sono pratiche, ad esem pio, che hanno messo in discussione ciò che troviamo nell’art. 1 c.c., secondo cui la capacità giuridica si acquista al momento della nascita.

Ci si chiede infatti se questa tutela possa essere anticipata. Oppure si consideri l’art. 462 (comma secondo) in cui si afferma che il nascituro succede al de cuius a condizione che nasca entro 300 giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta. La fecondazione post mortem mette in discussione questa disposizione. Se c’è congelamento dell’embrione, questo può essere fatto nascere an che molto tempo dopo rispetto alla morte del de cuius stesso. Oppure ancora si pensi alla clo nazione, agli xenotrapianti o alle problematiche relative alla fine della vita. Per non parlare poi dei diritti fondamentali: emblematico è il caso della donna che ingerì dei funghi velenosi e per la quale venne creata una sorta di “macchina esterna al corpo umano” composta di cellule di fegato di maiale, per consentire l’emo-filtrazione. Questa signora, qualora si fosse ripresa, avrebbe dovuto sottostare per 15 anni ad un controllo-monitoraggio, perché non si conosceva l’esito dell’inserimento nella società di una persona che ave va subito un simile trattamento. È evidente che ciò comporta una forte limitazione della libertà umana. O si pensi alla clonazione, oggi accettata sugli animali utilizzati per la produzione di farmaci, ma preoccupante se applicata all’essere umano, perché viene a minacciare l’identità umana e l’interesse di ciascuna persona a mantenere la natura essenzialmente casuale della composizione dei propri geni. L’ingegneria genetica applica

ta sulle cellule germinali desta preoccupazione per le generazioni future. La collettività reagisce a tutto questo demonizzando molte pratiche (si veda l’esempio della pecora Dolly). È necessario quindi avviare un dibattito pubblico su queste tematiche per diffondere un’informazione approfondita sulle ragioni della ricerca scientifica, al fine di garantire maggior consapevolezza e fiducia nelle conquiste della medicina. Terzo paradosso I costi della tecnologia e le problematiche connesse sono propri dei Paesi ricchi, per lo più occidentali. Altri sono i problemi nel Sud del mondo. Non a caso la bioetica è nata nel mondo occidentale, dove uno dei problemi principali è attualmente quello della crisi del Welfare State: la medicina è talmente costosa che gli Stati fanno fatica a garantire a tutti queste tecnologie. Un dato interessante: tra il ‘60 e il ‘90 la spesa sanitaria italiana, sia pubblica che privata, è aumentata dal 3,7 all’8,1 % del PIL. Le cause di fondo dell’enorme aumento della spesa sanitaria e della conseguente necessità di operare scelte difficili sono: – la medicalizzazione di ogni fase della vita; – il costante invecchiamento della popolazione, a fronte di un calo della natalità. Nel nostro Paese nel 2020 il 23% della popolazione avrà più di 65 anni e la speranza di vita alla nasci19

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ta sarà di 78,3 anni per gli uomini e 84,6 per le donne (dati ISTAT). A ciò va aggiunto lo straordinario costo delle nuove tecnologie appli cate alla medicina. Da un indagine condotta nel comparto sanitario dal ‘60 ai nostri giorni, il costo pro capite attribuibile ad esse è aumen tato del 791% a fronte di una spesa dell’assistenza sanitaria, in percen tuale rispetto al prodotto interno lordo, cresciuta appena del 269%. Anomalia che ci porta a meditare. Il paradosso della medicina con temporanea è dato dall’estrema difficoltà di assistere tutti i malati proprio a causa dello straordinario progresso tecnologico, con il perico lo di mettere in discussione principi costituzionali come la solidarietà, la giustizia distributiva, l’eguaglianza di trattamento. L’erogazione di cure è costosissi ma per un ristretto numero di indi vidui e ciò può portare a sacrificare il diritto di ogni individuo a ricevere l’assistenza più appropriata. Tutto ciò mette in discussione la possibilità stessa di un progresso medico illimitato. Anzichè rincorrere ogni “innovazione”, i finanziamenti potrebbero essere utilizzati in altro modo, innanzitutto per la preven zione delle malattie. I diritti costano. Anche il diritto alla salute è un diritto condizionato dalle risorse economiche disponibili. La tutela dei diritti è fondata su una lunga serie di compromessi, in primis quelli di carattere econo mico. Ciò non implica ovviamente che le decisioni in materia di diritti debbano essere prese in termini puramente ragionieristici, ma che

amministratori e cittadini di un or dinamento democratico non possono non tener conto del costo finanziario dei diritti. L’esiguità delle risorse è una ra gione perfettamente legittima per giustificare l’incapacità dello Stato di proteggere in modo assoluto i di ritti. Le scelte problematiche comin ciano già nella Legge finanziaria. Emblematica è la sentenza del ’92 della Corte Costituzionale. In essa si afferma che non si può pensare ad un impiego illimitato di risorse in ambito sanitario, avendo riguardo soltanto ai bisogni quale ne sia la gravità e l’urgenza. Viceversa la spesa va commisurata alle effettive disponibilità finanzia rie, che condizionano la qualità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione del le priorità e compatibilità e tenuto conto delle fondamentali esigenze connesse al diritto alla salute.

IV CASO

Sono in ambulatorio in attesa del la prossima paziente, la signora G., e rifletto sulla iniziativa di screening della osteoporosi pro mossa dalla Ditta X ed attuata nei giorni precedenti: un camper dotato di ecografo predisposto per la lettura della densità ossea al tallone, e con un medico per la refertazione dei risultati. Un grande successo, se la coda di pazienti in attesa viene assunta come criterio di buona riuscita. Non avevo voluto aderire (mi era stato chiesto di sottoscrivere l’invito) per il timore che potesse

innescare una “sindrome post Elisir” e per il fatto che un’ ini ziativa simile pagata dalle case farmaceutiche suona ambigua: a chi servono queste iniziative? alle pazienti, al medico o alle case farmaceutiche? Entra la Signora G. e mi allunga un foglio di referto. “Sono stata al camper”, dice, “e il medico mi ha detto che dovrei fare la MOC (Mineralometria Ossea Compu terizzata)”. Non poteva capitare meglio, perché immediatamente ho percepito come insofferenza ed irritazione erano alla base del mio rifiuto di sottoscrivere l’iniziativa e perché in quel momento mi trovavo a rivivere dal vivo quelle medesime emozioni. Apro il referto e certo, devo rile vare che il grado di densità ossea al tallone risulta in fascia gialla (osteopenia) e non in quella verde (densità normale) e dun que mi si pone immediatamente il dubbio: falso positivo o vero positivo? Rassicurazione o MOC? MOC in grado di dirimere il quesito con una probabilità adeguata? Cosa cambierebbe se non avessi a disposizione la MOC? MOC a carico SSN o della paziente? Se a carico della paziente come dirglielo e che reazione devo aspettarmi? Domande elementari, ma imme diatamente tutte insieme. La signora G., che mi conosce ed in certo qual modo probabilmente sa che i miei silenzi sono rifles sione e spesso opinione diversa subentra: “Io vorrei farla la MOC. Sa, con questa osteoporosi non vorrei

trovarmi in sedia a rotelle tutta rotta!” “Secondo lei in quanti anni?”, chiedo io. “Non lo so, ma non vorrei comun que”, mi risponde accentuando il tono come se si attendesse un diniego non ammissibile. “Sa”, le dico, “fare la MOC in questo momento non cambiereb be assolutamente il mio modo di procedere, perché le probabilità che lei abbia una vera osteo porosi sono irrisorie e dunque i suggerimenti che le darei con la MOC sono i medesimi che le darei senza MOC e cioè attività fisica, sole e dieci mandorle al giorno per il calcio”. “Ma questo lo sto già facendo in certo qual modo”, mi risponde. “Complimenti dunque!”, le ri spondo. “E la MOC?”, chiede lei. “Non la si fa”, rispondo io. “Ma io la voglio fare!”, mi ri sponde con tono deciso e quasi perentorio. “Se lei vuole proprio fare la MOC dovrà pagarla”, le rispondo. “Ah...”, dice, come riflettendo per un attimo, “Ma allora, si parla tanto di prevenzione e poi lei mi rifiuta la MOC”. Siamo al punto previsto, in una certa qual misura. Due concetti differenti di prevenzione, due modi diversi di concepire la salu te, due atteggiamenti differenti nei confronti delle risorse. Non so se provo irritazione o se cresce dentro di me la percezio ne/giudizio che implicitamente mi sono fatto di questa paziente e cioè quella di una che fa turismo 21

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sanitario, espressione con cui ten do ad etichettare i pazienti che vogliono sempre lo specialista, le analisi, la Tac e adesso anche la MOC! Mi sento irritato, dentro. “Insomma”, mi dice, “si direbbe che la MOC debba pagarla lei, e anche se lei dice che le proba bilità che io abbia l’osteoporosi sono minime e che è uno spreco di risorse, io credo che una vita umana non abbia valore e che si debba fare tutto quello che è possibile per evitare una morte, anche se costa”. Siamo oramai completamente immersi in una discussione che indica modi molto diversi di pensare alla salute ed alla vita e mi scappa di dirle: “Ma goda il benessere che ha adesso, senza inquinarlo con il pensiero delle malattie che forse potrà avere... In fondo io penso che non possia mo controllare la nostra vita come vorrebbero farci credere i medici, sta a noi conservare quello che abbiamo!” Vedo che i suoi occhi sono lucidi adesso. “Pensavo a mio padre...”, dice, “a tutti i ricoveri che gli abbiamo fatto fare, per accorgerci alla fine che non era servito a niente perché nonostante tutto non si erano accorti che aveva un tumore...” Mi rendo conto di avere spinto il contraddittorio fino a toccare aspetti dolorosi della storia della paziente a partire da una stupi da MOC. Non sarebbe male se a questo punto volessi o sapessi procedere cambiando livello ed esprimendo più simpatia che

irritazione. Decido che me ne frego dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che mi imporrebbero/suggerireb bero di farle pagare la MOC. Gliela prescrivo SSN, come per farmi perdonare di averla fatta patire. Ma che strano, però... mi sono controllato senza grande fatica. Dieci anni fa sarebbe stato peggio e ne avrei sofferto molto di più. Quando mi porterà la MOC, se mai me la porterà, le chiederò dove la ho spinta, al punto di farle diventare gli occhi lucidi. [Medico] Negli USA si è valutato che si po trebbe eliminare il 30% di interventi superflui e che questo risparmio potrebbe evitare la necessità di razionare le cure efficaci. Questa necessità di allocare le risorse ha portato alcuni stati ad individuare indicatori di qualità ed efficienza che permettano di fare delle scelte in merito alle priorità sanitarie. Nello Stato dell’Oregon, ad esem pio, si è fatta una scelta di natura puramente economica, basata sul rapporto costi/benefici. Si è calcola to che con la stessa spesa necessaria per eseguire nel corso dell’anno 34 trapianti, è possibile estendere l’as sistenza sanitaria gratuita di base a circa 1500 bambini di famiglie con reddito particolarmente basso. L’indicatore utilizzato, “Qualy” (Quality adjusted life years), esprime il guadagno in sopravvivenza otteni bile con un determinato trattamen to, corretto per un coefficiente di

disabilità specifico per la patologia considerata, e tiene quindi conto sia dell’aumento della quantità di vita che della sua qualità residua. In pratica si individuano le patologie rispetto alle quali si evi denzia una priorità e a cui vengono destinate le risorse. Sono state così individuate 743 coppie condizione/ trattamento che sono state succes sivamente ordinate in una scala gerarchica sulla base del rapporto costo/utilità. Questa procedura privilegia, come criterio di giudizio per l’efficacia di un intervento sanitario, il migliora mento di qualità della vita apportato dal trattamento stesso. Tale valuta zione, basata sulla qualità, piuttosto che sulla durata della sopravvivenza, rischia però di discriminare la parte più anziana della popolazione, per la quale qualsiasi trattamento consen te una speranza di vita assai breve e, soprattutto, di qualità certamente non confrontabile con quella di cui possono godere soggetti in giovane età. In pratica si finisce con l’esclu dere gli anziani dall’assistenza. In definitiva, l’interruzione di terapie costose per gli individui anziani avrebbe l’effetto di garantire maggiori risorse a favore della parte della popolazione ancora in grado di inserirsi nelle dinamiche produttive e, perciò, considerata più utile so cialmente. Questo criterio di scelta non potrebbe certo essere applicato nel nostro ordinamento, che tuttavia si pone questo problema, come è stato indicato nella riforma del titolo V della Carta Costituzionale. Ma già la riforma del ’99 aveva definito dei

principi: – l’appropriatezza; – i livelli essenziali delle prestazioni; – l’economicità. Sono oggi d’obbligo delle scelte di allocazione delle risorse. Quali prestazioni sono ammesse al finanziamento da parte delle Regioni che devono garantire i livelli essenziali delle prestazioni? E laddove le Regioni non siano in condizioni di garantire i livelli essenziali, perchè hanno una capacità di prelievo fiscale inadeguata, tali livelli minimi devono essere garantiti in ogni caso dallo Stato (attraverso meccanismi di perequazione, di bilanciamento e di integrazione delle finanze)? Ma qui si evidenzia un altro paradosso: a parte la decisione dei livelli essenziali delle prestazioni, quali sono le patologie ammesse all’assistenza sanitaria? Molte patologie sono escluse dall’erogazione delle risorse proprio perché la sanità non riesce più ad intervenire per tutte, ma solo per alcune. Un’ulteriore contraddizione è data dal rischio di avere più sistemi sanitari regionali: da un lato, c’è l’esigenza avvertita dalla nostra Costituzione di rimettere agli enti territorialmente più vicini alla comunità il compito di garantire il diritto alla salute (principio di sussidiarietà); dall’altro, la presenza di Regioni incapaci di soddisfare adeguatamente quei livelli, l’incapacità di produrre reddito da parte di una Regione (ad es. in Calabria 43% di disoccupazione giovanile), obbliga lo Stato ad intervenire . 23

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Però lo Stato non riesce a rea lizzare un’uguaglianza assoluta tra Regioni; oggi il federalismo non è più uguaglianza assoluta. Si potreb be arrivare all’affermazione di valori quali il federalismo e la sussidiarietà da una parte, e salute, eguaglianza, giustizia, solidarietà dall’altra. Il paradosso è che per realizzare una migliore gestione della sanità, che si avvicini maggiormente alle esigenze all’individuo, si determina un’ulteriore disparità di trattamen to, con il benessere dell’individuo che potrà finire con il dipendere dal luogo di residenza. Il federalismo e la sussidiarietà non sempre vanno di pari passo con l’effettiva garanzia del diritto alla salute.

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Lorenzo Chieffi è professore di Diritto Pubblico presso la Seconda Università di Napoli

La relazione medico-paziente Sergio Bernabè

La difficoltà di comunicazione tra medico e paziente nasce dall´incapacità di ricomprendere l´uomo nella sua totalità.

Vorrei centrare il mio intervento soprattutto sulla relazione medicopaziente, e fornisco innanzitutto alcuni dati: – In Italia vi sono 46.500 medici di medicina generale, che eseguono annualmente 266 milioni di visite cliniche (escludendo i contatti burocratici, le sottoscrizioni per le terapie croniche, i certificati di malattia) a 55.000.000 di italiani; – Un medico con 25 anni di attività professionale ha sostenuto 300.000 colloqui con i propri pazienti. Questo per poter valutare la rilevanza della parola parlata nella relazione medico-paziente (in particolare del medico di Medicina Generale). Eppure qualche tempo fa su Panorama è comparso questo titolo: “Dottore sia paziente, mi ascolti”. Il richiamo al ritorno ad una medicina più umana è frequente, ed è collegato all’assenza della capacità di ricomprendere l’uomo nella sua totalità.

Le malattie al di là della dimen sione organica, sono il precipitato di vissuti esistenziali. C’è differenza tra corpo vissuto ed organismo. Il medico controlla fatti che di per sé non hanno un significato di vita. “I miei polmoni ridotti male sono il significato della mia vita. Perché ho avuto bisogno di fumare? Quanta ansia ho di fronte al mondo?” Il medico vede il male, il paziente sente il dolore, due cose diverse. Il dolore è un vissuto soggettivo che il paziente narra, non coincide col male oggettivo che il medico cerca. Il dolore eccita e contride il cor po e pervade la vita, modificando la qualità delle relazioni, la forma degli affetti, il ritmo delle attività, la considerazione di sé. Uno è sano quando il corpo se lo dimentica. Se mi ammalo non coincido più col mio corpo. Sembra che la percezione del corpo della persona che si ammala o che è in salute sia assolutamen te incomunicabile, inconoscibile, incondivisibile. Sembra quasi che medico e paziente siano, per forza di cose, condannati a non riuscire ad avere un consenso. Nelle accademie di tutto il mon do si stanno istituendo corsi di humanities, per far sì che i medici acquisiscano conoscenze filosofiche, letterarie, cinematografiche, affin ché il linguaggio e la comprensione con i pazienti migliori. Il problema di fondo è la difficoltà per il medico di attribuire al sintomo 25

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narrato il valore di segno osservabile (vuoi, anche, per l’immaterialità della parola parlata).

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Cito il racconto di un paziente: “Stavo facendo un giro in bicicletta. Quel giorno ho cominciato ad avver tire un dolore al centro del petto, a sentire male alla spalla sinistra, un formicolio al braccio sinistro. Mi sono spaventato nel senso che ero da solo, allora mi sono fermato, mi sono seduto e fortunatamente nel giro di un quarto d’ora il dolore è scomparso, per cui sono rimontato in sella e pian pianino sono tornato a casa e non ho detto niente. La domenica dopo sono di nuovo an dato al pomeriggio, nuovamente… Questa volta però il dolore era più persistente nel senso che facevo 100 metri, mi fermavo, poi facevo altri 100 metri e mi fermavo e poi ho fat to una partita a bocce e, insomma, mi dava fastidio tirare su una boccia da terra. Alla sera della domenica, finalmente ho detto a mia moglie e agli amici che non stavo molto bene e allora loro mi hanno con vinto ad andare al pronto soccorso. Siamo tornati in città, sono andato in un P.S. di un grande ospedale bolognese. Lì mi hanno visitato in fretta – erano le nove di sera – mi hanno fatto un esame del sangue e un elettrocardiogramma, sennon ché in quel momento io non avevo male e, sia l’esame del sangue che l’elettrocardiogramma non hanno dato, credo, esiti positivi. Per cui la dottoressa prima di dimettermi mi ha detto: ‘Però lei domani mattina torni qui, vada in laboratorio di cardiologia con gli esami del san

gue che le abbiamo fatto’, e mi ha prescritto un elettrocardiogramma sotto sforzo. Io, il giorno dopo, che poi era un lunedì mattina, alle 10 mi sono presentato nell’ambulatorio di cardiologia e lì c’era un medico che ha letto il referto e ha cominciato a farmi delle domande. Mi fa: ‘Mi racconti cosa si è sentito’, e io ho detto le cose esattamente come le ho raccontate a voi. A questo punto il dottore mi ha detto: ‘Guardi, per noi è molto importante capire se il dolore che lei prova, sotto sforzo aumenta’. E io gli ho detto: ‘Guardi, dottore, non lo so perché quando ho male... in questi due giorni che ho avuto male, smetto di far sforzi, sto fermo’. A questo punto il dottore comunque continuava ad insistere e mi spiegava che il dolore poteva essere anche confuso con un episo dio gastrico. Io continuavo a dire queste cose e mi aspettavo che da un momento all’altro mi dicesse: ‘Bene, allora lì c’è la cyclette, incominciamo’. Però, visto che lui non diceva niente, ad un certo punto ho detto: ‘Senta, dottore, se è così importante ca pire se sotto sforzo sto male, se lei vuole, io faccio un giro di corsa attorno all’ospedale e poi vengo a raccontarglielo’. Sono andato. Ho fatto un giro di corsa, anzi ho fatto un lato di corsa, gli altri lati li ho fatti camminando molto piano e comprimendomi il petto.” In questo caso è accaduta una cosa molto importante. Non si tratta di un errore tecnico, perché le ipo tesi diagnostiche fatte dal medico sono legittime, ragionevoli, logiche,

fondate; peccato che egli concluda il percorso diagnostico proponendo anziché un elettrocardiogramma da sforzo standardizzato e formaliz zato, un elettrocardiogramma da sforzo naif. Perché mai un professionista con anni di formazione alle spalle può compiere un errore di questo genere (che non è un errore di conoscenza scientifica)? Per una ragione sem plicissima: era incredibile il racconto che ha fatto il paziente, perché si trattava di un uomo senza fattori di rischio, alto 1,85, perfettamente asciutto, che non beve, non fuma e fa attività sportiva. Tutti i suoi parametri oggettivi, gli esami og gettivi erano negativi. Il medico trovandosi davanti quest’uomo, ha avuto la sensazione netta che non fosse credibile, tanto da scommet tere, da accettare la sfida lanciata dal paziente (gli ha detto infatti: “Sì, vada a fare una corsa attorno all’ospedale”, avendo lì ad un me tro gli strumenti per fare la stessa cosa). Ha pensato che non fosse ne cessario, ma valesse invece la pena di “punirlo”, dimostrandogli che aveva ragione lui (il medico) circa l’incredibilità dell’ipotesi che potes se avere un problema cardiaco. Questa situazione è l’incubo di tutti i medici, perché sanno che i sintomi, la narrazione del paziente, può essere talmente incredibile, inverosimile, da far prendere delle scorciatoie. È tuttavia una situazione molto comune, in cui il medico dovrebbe attribuire credito e fiducia alla nar razione che gli viene fatta. In realtà il problema è che i

medici hanno una grossa carenza nella loro formazione, soprattutto da quando psichiatria, psicologia, psicoanalisi hanno preso strade diverse. I medici sono stati educati al disprezzo delle scoperte delle psicologia. La medicina generale si confronta in modo forte con queste esperienze, perché è un terreno di frontiera, dove entra in qualsiasi momento chiunque voglia entrare. I ricercatori MG descrivono se stessi come diversi da quelli che esercitano altre professioni, perché hanno la tecnologia della parola. La medicina non ha un modello biologico per risolvere l’antinomia natura/cultura. Linguaggio e cultura irrompono nella medicina. La neurofisiologia della coscienza irrompe nella me dicina. Tra il corpo percepito e quello descritto dalla medicina c’è una notevole distanza.

Sergio Bernabè è medico di Medicina Generale 27

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Salute e confini: nuovi federalismi sanitari Dialogo di Bioetica e Biodiritto del 1 aprile 2005

Il concetto di salute può essere interpretato e definito con riferi mento a diverse dimensioni terri toriali. La libertà di circolazione e di prestazione dei servizi dettano la fisionomia di un panorama carat terizzato dalla mobilità dei citta dini, nel quale il servizio sanitario pubblico è chiamato a confrontarsi con le nuove dimensioni dei confini: territoriali, economiche, giuridiche e sociali.

Questo avviene a livelli diversi: provinciale, regionale, nazionale e naturalmente dell’Unione Europea, ed ognuno di questi livelli si inter seca con gli altri secondo modalità anche molto complesse. L’incontro era volto ad analizzare le problematiche dei servizi sanitari e degli operatori e cittadini utenti coinvolti, verificando, ove emer gano, le possibili “contraddizioni assistenziali della mobilità”. (G.S.)

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Federalismo sanitario e implicazioni etiche Alberto Bondolfi

Gli aspetti morali dei processi legislativi nella regolamentazione della biologia e della medicina.

La Svizzera ha una cultura politica molto particolare. I Cantoni han no il massimo di potere locale. I Cantoni sono degli Stati imperfetti nel senso che non possono bat tere moneta, non possono avere un esercito proprio, non possono dichiarare guerra, ma possono in parte fare politica estera (con al cune limitazioni)... In questo momento storico la Svizzera sta facendo l’esperienza contraria rispetto all’Italia: è in corso un tentativo di centralizza zione, senza il quale l’idea di Stato nazionale non riuscirebbe più a sussistere. Le leggi che riguardano la sanità sono leggi federali, contrariamente al dettato costituzionale che affer ma come la sanità sia di competen za dei Cantoni. L’esperienza che la Svizzera ha fatto di diversificazione per Cantoni delle leggi sui trapianti, sulle tec niche di procreazione, ha portato a concludere che almeno su una serie di pratiche mediche, il potere 30 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

di definizione deve essere affidato allo Stato nazionale. Attualmente quindi siamo in una fase di iperattività legislativa dello Stato nazionale, in quanto il principio della sovranità cantonale non riesce più a reggere (la nuova legge sui trapianti è stata appro vata dai due rami del Parlamento due mesi fa). I professori di etica in Svizzera sono coinvolti nei processi legisla tivi (io sono uno degli autori della legge svizzera sulle cellule stamina li, su cui il popolo si è espresso al cune settimane fa in assoluta calma e tranquillità; il 66% l’ha approvata anche se è una legge piuttosto se vera e anche se ammette in linea di principio la ricerca sulle cellule staminali embrionali). Cercherò di trattare il federa lismo da un punto di vista etico, specificando aspetti moralmente positivi e moralmente negativi dei processi legislativi, nell’ambito del la regolamentazione della biologia e della medicina. C’è un’attesa da parte del legisla tore nei confronti degli specialisti di etica, quasi fossero una nuova forma di magistero morale. In una democrazia diretta come la Sviz zera, ciò determina una reazione: l’unico esperto di etica è il popolo che vota e nessun altro. Anche in merito alla sovranità popolare si è sviluppato un dibatti to molto acceso a carattere filosofi co sui limiti della volontà popolare, del principio di maggioranza. Il dibattito si concentra in particolare

sulla limitazione del potere del popolo rispetto ai tribunali. Attualmente si sta discutendo del diritto o non diritto che hanno le persone espulse dal Paese, per ché non hanno i titoli giuridici per essere considerati rifugiati politici, a ricevere l’aiuto sociale minimo che permetta loro di sopravvivere. Un nostro ministro particolar mente conservatore se la prese con il tribunale federale che aveva sancito che non si può togliere questo diritto neppure ai candidati all’espulsione. Il ministro affermò: “Da noi l’ultima parola non ce l’han no i tribunali, ma il popolo”. Noi eticisti abbiamo in comune con i giuristi il carattere di incer tezza delle nostre affermazioni, che non possono essere messe sullo stesso piano di formule ma tematiche. Si è voluta un’etica more geome trico demonstrata e si pensava di poter riuscire ad avere in etica delle certezze paragonabili alle formule matematiche, ma questa è una mera illusione perché l’etica è diversa dalla matematica, e, in fondo, le stesse verità matematiche non sono poi così certe come si pensa. Quindi il carattere incerto della riflessione etica viene a connettersi con l’incertezza dei processi politici di legiferazione, sottoposti ai mec canismi della decisione collettiva. Questi processi inoltre non sono mai monodirezionali bensì di fatto multidirezionali; anche il federali smo sottende meccanismi accen tratori ed altri decentratori, che

richiedono un attento approfondimento se si vogliono comprendere le connessioni esistenti tra le parti ed il tutto. Se torniamo al caso della salute, ci accorgiamo di quanto abbiamo a che fare con processi di globalizzazione. Assistiamo infatti all’evidenza di un’aumentata mobilità dei pazienti. Essa è determinata: – dalla qualità del servizio: – dalla rarità della patologia; – dalla regolamentazione giuridica relativa alla tecnologia (ad esempio, in Svizzera la diagnosi preimpianto è proibita per legge; quindi alcune fasi della diagnosi vengono espletate in Svizzera e poi le donne vengono mandate all’estero per le procedure diagnostiche non consentite. Per fare un altro esempio: il solo annuncio della nuova legge italiana sulle tecniche di procreazione assistita ha provocato a Locarno un afflusso enorme di coppie italiane). Si registra inoltre un aumento dell’offerta sanitaria. Ci sono strutture ospedaliere che: – offrono servizi regolati in modo differenziato (il caso dei trapianti è il più emblematico. In Europa vi sono legislazioni sui trapianti che prevedono il principio di territorialità, che permettono cioè i trapianti a tutti i malati, indipendentemente dalla loro provenienza, ma richiedono che il paziente sia residente. Vi sono persone che risiedono in Svizzera un giorno all’anno, ma 31

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hanno il ricovero ospedaliero as sicurato); – offrono servizi legali nel loro territorio ma illegali altrove (l’esem pio della diagnosi preimpianto è quello più indicativo).

I CASO

Paziente di circa 55 anni, entrato in dialisi, desiderava entrare in lista di trapianto di rene ed otte nerlo nel minor tempo possibile. Fino a quel momento il Centro di ED di Trento era convenzionato con due Centri Trapianti: quello di Milano e quello di Innsbruck, i quali usavano protocolli differen ti per il reclutamento e la sele zione dei pazienti da sottoporre a trapianto, quali il limite d’età del paziente (che a Milano era più basso), le condizioni gene rali di salute, la percentuale dei pazienti provenienti dal Trentino ammessi nei rispettivi Centri. Comunque era noto che Milano tenesse dei protocolli d’am missione più rigidi rispetto ad Innsbruck. Il paziente in questione venne trapiantato nel giro di pochi anni presso il Centro Trapianti di Mila no, ma a causa di complicazioni vascolari, poco tempo dopo fu necessario l’espianto. Nel frattempo il paziente stava raggiungendo l’età massima richiesta a Milano per l’ammis sione nelle loro liste, ed anche la situazione di salute si era compromessa dopo il primo tra pianto. Perciò il Centro trapianti di Milano estrometteva dalla

propria lista il paziente, il quale rimaneva iscritto solo presso Inn sbruck, che aveva requisiti meno severi, però dava maggiore acces so, dal punto di vista numerico, ai pazienti altoatesini rispetto a quelli della provincia di Trento. Il paziente fece quindi in modo di ottenere la residenza a Bolza no. Così nel giro di poco tempo venne chiamato per il trapianto presso Innsbruck, aggirando gli ostacoli burocratici che gli impedivano di ottenere in tempi ragionevoli l’intervento di cui aveva bisogno. [Infermiere] II CASO

Ragazza giovane, sana, sposata da alcuni anni, senza figli a causa di una ipofertilità del marito. Dopo iter d’indagine secondo la prassi, la coppia decide di tentare la fecondazione assistita a Milano. I coniugi hanno affrontato, con non poche difficoltà psico-emoti ve, tre tentativi tutti infruttuosi. Con la nuova legge sulla pro creazione medicalmente assistita (l.40/04) la donna si vede negare ogni ulteriore tentativo. Nonostante l’impegno fisico da sopportare, la coppia decide di ri volgersi ad una clinica Svizzera. I costi sono elevati per il reddito della coppia, ma ciò non incide su quanto essi considerano per sé stessi una priorità. Il primo tentativo in territorio svizzero va a buon fine. La gioia di questi genitori quando hanno abbracciato il proprio figlio è im possibile da raccontare.

Mi è rimasta impressa una con siderazione fatta dalla madre: “Quante donne e quanti uomini, che per vari motivi si vedono negata tale opportunità, tra scorrono la vita nel tentativo di lenire un dolore aumentato dalla consapevolezza che non lo puoi far sparire senza violare le norme del tuo Paese?” [Infermiere] Tuttavia in Europa non regna il caos. Vi sono delle convergenze importanti che permettono di parlare di globalizzazione giuridica europea. Il momento fondamentale di questo processo è costituito dalla Convenzione di Oviedo del Consiglio d’Europa e dai suoi meccanismi di applicazione nazionale: l’approvazione e la ratifica. I temi eticamente più rilevanti della Convenzione sono: – la dichiarazione del primato del bene della persona sul solo progresso scientifico (il progresso scientifico è anch’esso un bene morale ma qualora il solo progresso fosse anteposto al primato del bene della persona si avrebbe un disequilibrio); – l’affermazione della necessità di un accesso equo alle cure (il che non significa che tutti ricevano la stessa cosa. Si sta diffondendo purtroppo una visione meccanica di giustizia secondo cui essere giusti significa “dare tutto a tutti e nella medesima misura”, quando per “equo”

dovrebbe intendersi “dare a ciascuno il suo”); – la conferma del criterio del consenso libero ed informato alle cure come necessario a legittimare ogni intervento sul paziente (consenso come condizione necessaria e sufficiente per legittimare un intervento o un non-intervento). I temi previsti dai protocolli addizionali (i protocolli non sono condicio sine qua non per poter accedere alla ratifica della convenzione) sono: – la ricerca sugli esseri umani in tutte le sue sfaccettature; – la pratica dei trapianti; – la ricerca sugli embrioni. I problemi etico-sociali sottesi alla ratifica dei protocolli addizionali sono: – dare priorità alla legislazione nazionale e poi emettere eventuali riserve ai protocolli; – ratificare i protocolli e varare una legislazione nazionale che vi corrisponda e li precisi ulteriormente; – risolvere il nodo della democrazia diretta e dello strumento referendario (meccanismi quali la ratifica dei protocolli vengono vissuti dal popolo come una perdita di sovranità). Il caso italiano è assimilabile a quello di una democrazia semidiretta (lo strumento referendario è molto diverso rispetto a quello svizzero in quanto, ad esempio, i tribunali hanno un potere di interpretazione sul referendum). 33

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Consideriamo ora alcuni mecca nismi eticamente rilevanti nel rap porto tra le legislazioni nazionali e gli accordi internazionali In primo luogo si constatano differenze rilevanti nei vari Stati europei, rispetto alle “soglie di tol leranza” di una pluralità di costumi e di atteggiamenti. Il pluralismo dei costumi ed il pluralismo delle dottrine etiche è gestito in modo diverso nei vari Stati europei. Ci sono Stati nati sul l’idea stessa di tolleranza religiosa e morale (Olanda, Svizzera), mentre ci sono Stati con altre storie, dove il principio di tolleranza è meno sentito. Oltre a queste differenze eticoculturali siamo anche in presenza di culture giuridiche diverse: Paesi dove tradizionalmente sono forti le organizzazioni di categoria e Paesi che privilegiano un ruolo primario dei Tribunali (ad esempio, il caso Terry Schiavo sarebbe impensabile in Svizzera perché il Tribunale è da noi ritenuto uno strumento non idoneo a risolvere questioni di questo tipo, e il c.d. “principio di giurisprudenza” è molto debole; la sentenza di un Tribunale è soltanto indicativa e non certo vincolante per i giudici che sono chiamati successivamente a decidere su questioni analoghe). Se guardiamo, sempre a titolo di esempio, alla regolamentazione delle fasi finali della vita in Europa, vi sono Paesi che si son dati delle leggi specifiche (Belgio ed Olanda) e vi sono Paesi che non hanno leggi specifiche ed applicano solo sanzio

ni penali per alcuni comportamenti previsti dal codice penale, quali: – l’aiuto al suicidio, punito in modo specifico da Austria, Italia e Francia. La Germania non ha una norma che preveda pene specifiche per l’aiuto al suicidio ed in questo è uguale alla Svizzera. Però in Germania di fatto l’aiuto al suicidio non viene praticato mentre in Svizzera sì. Questo perché in Germania il potere dei tribunali è più forte che in Svizzera. In Svizzera la maggior parte della popolazione ritiene che l’aiuto al suicidio sia una pratica da evitare, però nessuno penserebbe mai di portare in tribunale una persona che ha aiutato un’altra a suicidarsi. In Svizzera l’aiuto al suicidio non è un reato a patto che non vi siano interessi economici nell’aiutare qualcuno al suicidio. In molti affermano il diritto ad accedere a questa pratica. Perciò, nel momento in cui ad esempio nelle case per anziani viene negato il diritto al suicidio, l’ospite che lo richiede si sente discriminato. Numerosi sono stati i ricorsi ai tribunali al fine di far dichiarare dai giudici che la non possibilità di accesso all’aiuto al suicidio nelle case per anziani costituisce una forma di discriminazione. Ancora però non si hanno sentenze a riguardo. Si è passati quindi dalla non punibilità dell’aiuto al suicidio al pensare che si possa esigere; – l’omicidio su domanda della vittima (in alcuni Paesi si tratta di

un delitto specifico in altri viene assimilato all’assassinio); – l'omissione di soccorso in fase finale. Vi sono Paesi in cui i tribunali decidono su casi singoli e Paesi in cui l’accesso ai tribunali è impensabile perché non fa parte della cultura locale. Se vogliamo discutere di federalismo bioetico e biogiuridico in Europa dobbiamo tener conto di tutte queste variabili: – della lettera della legge; – della competenza locale; – del modo in cui i reati vengono percepiti nell’esegesi popolare di una popolazione. Cosa significa parlare di federalismo in questo contesto? Nei casi di fine vita è difficile trovare un denominatore comune perché la categoria di federalismo richiama il principio di sussidiarietà, che prevede la priorità del diritto nazionale su quello internazionale. Questa visione un po’ meccanica del principio di sussidiarietà (dal particolare al generale) non è all’altezza dei nostri tempi, perché faceva parte di società non affatto dinamiche ma abbastanza chiuse tra loro, che mettevano in comune solo ciò che era necessario. Con una mobilità molto forte quale quella attuale, i contatti tra i livelli locali, nazionali, internazionali diventano sempre più complessi. Si prenda ad esempio il dibattito sulla clonazione in Svizzera: la Svizzera si trova in una situazione molto particolare perché un articolo della

Costituzione proibisce ogni forma di clonazione. Si è quindi affidato ad un illustre giurista il compito di definire cosa si intende per “ogni tipo di clonazione”. In questo con cetto rientrano anche quei tipi di clonazione che il legislatore quando ha ideato quell’articolo non poteva prevedere, come, ad esempio, la clonazione terapeutica? Il giurista ha sostenuto che in questo caso aiuta solo la grammati ca e che “ogni” significa “ogni”. Contemporaneamente però la Svizzera, così restrittiva a livello costituzionale, a New York difende invece il c.d. “doppio pacchetto” cioè la votazione separata sulla clonazione riproduttiva e su quella terapeutica. A seguito di ciò venne ro presentate alcune interrogazioni parlamentari ed il Ministro degli Esteri rispose che “quello che è bene per un Paese non necessariamente è il bene dell’umanità”. È evidente che ciò che uno Stato difende al suo interno non necessariamente viene poi sostenuto in politica estera. Questi esempi dimostrano che oggi si deve passare da una visione meccanica del principio di sussidia rietà ad una più complessa. Faccio un appello allo strabismo, cioè a guardare contemporaneamen te in varie direzioni. Il legislatore ha un compito complesso perché deve tenere presente tempi diversi a livel lo nazionale ed internazionale. Concludo ricordando che i rappor ti tra sfera giuridica e morale rimar ranno sempre instabili e la causa di tale movimento è da cercare nella perennità e nella frammentarietà 35

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della ricerca del bene e del giusto. Tale ricerca, di cui si occupa lo specialista di etica, diventa sempre più complessa e alla fine perviene ad un nodo che può ricevere una risposta unicamente di carattere teologico. Se guardiamo con atten zione a tutti questi meccanismi ci rendiamo conto che sta nascendo in noi l’esigenza di una responsabilità illimitata. È un’idea insopportabile da vari punti di vista. Ritengo che anche chi è credente non pensi che Dio ci possa dare dei doveri infiniti. Abbiamo solo doveri finiti ed in questo senso siamo tutti delle società a responsabilità morale limitata. Se si riuscisse a demitizzare il ruolo del diritto, considerandolo uno strumento frammentario ed imper fetto, forse molti problemi risulte rebbero alquanto ridimensionati.

Alberto Bondolfi è professore di Etica presso l'Università di Losanna.

La libera circolazione delle prestazioni sanitarie nella CE Elena Ioriatti

Normativa e giurisprudenza della mobilità dei pazienti all´interno dell´Unione Europea.

“Libera circolazione dei malati”: introduzione alla problematica La mobilità dei malati all’interno dell’Unione Europea, ossia di cit tadini-pazienti disponibili a recarsi all’estero per ottenere assistenza sanitaria, costituisce un fenomeno in netto incremento negli ultimi anni. Si tratta di una realtà “stretta mente connessa all’organizzazione dei sistemi sanitari nazionali, stante la possibilità che gli enti nazionali competenti riconoscano la copertura delle spese sostenute per fruire delle cure mediche. La mobi lità dei pazienti è inoltre collegata con la libertà di stabilimento e di erogazione dei servizi del mercato interno” (cfr. A. Santuari, Il Terma lismo terapeutico e i servizi sanitari nazionali: un’analisi comparata delle legislazioni nei Paesi membri dell’Unione Europea, contributo redatto in occasione del Convegno None giornate mondiali del terma lismo: Attualità e prospettive del termalismo e della sua legislazione in Europa e nelle diverse aree geo

grafiche, Levico Terme – Trento – 15 e 16 ottobre 2005, p. 4). Essa va naturalmente collocata nell’ambito delle politiche comunitarie, sotto la voce “sanità pubblica”. È necessario premettere come quello della sanità sia un settore ove lo sviluppo di vere e proprie azioni comuni tra gli Stati membri, dirette a costituire forme di coordinamento e strumenti di controllo reciproci, non esistono affatto, se non a livel lo di proposta (F. Maino, “La politica sanitaria nell’Unione Europea: verso un coordinamento leggero?” in N. Falcitelli, M. Trabucchi, F. Vanara, Rapporto Sanità 2003, Il Mulino, 2003, p. 27 e segg.; per una breve panoramica delle proposte emerse a livello comunitario nell’area della sanità si rinvia al quarto paragrafo del presente lavoro). Lo stesso quadro normativo comunitario è praticamente ine sistente: allo stato è stata infatti emanata un’unica disciplina ad hoc, costituita dal Regolamento 1408/71 riguardante il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri (Regolamento CEE n. 1408/71 del Consiglio del 14 giu gno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro fa miliari che si spostano all’interno della Comunità; G.U. n. L 149 del 05/07/1971 p. 0002-0050). Ai sensi del Trattato di Amster dam l’organizzazione dei servizi e degli interventi sanitari è infatti di competenza degli Stati e quindi dei singoli governi nazionali. Gli Stati membri, liberi quindi di determinare ogni condizione a cui subordinare 37

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il diritto a prestazioni fruibili al l’estero, in linea generale tendono ad intervenire con normative che subordinano il rimborso delle spese sanitarie all’ottenimento da parte del paziente di un’autorizzazione preventiva emanata del proprio ente di assicurazione sanitaria. In questo quadro il regolamento 1408/71 introduce il principio della c.d. “esportabilità della prestazione sanitaria”, diretta a consentire al malato il diritto ad ottenere una prestazione sanitaria in un Pae se membro diverso da quello di residenza e quindi all’esterno del proprio sistema previdenziale di iscrizione. Il campo di applicazione del re golamento, sancito all’art. 2 è però caratterizzato da una portata molto limitata, essendo le sue disposizioni applicabili solamente ad una ristret ta categoria di persone: lavoratori e loro familiari o superstiti, impiegati pubblici e personale a questi assi milabile. A ciò deve essere aggiunto che, quale requisito imprescindibile per fruire delle cure in un diverso Stato membro, il regolamento ri chiedeva esplicitamente al soggetto richiedente il preventivo rilascio della sopramenzionata autorizza zione da parte del proprio ente di assicurazione sanitaria (obbligo che è stato successivamente abolito dal Regolamento CE 1247/92 per le sole prestazioni in denaro e mantenuto per le prestazioni in natura). L’azione della Corte di Giustizia della Comunità Europea I limiti sopra evidenziati, costituiti dalla mancanza di una normativa ad

hoc, applicabile indistintamente a tutti i cittadini comunitari e dalla subordinazione del rimborso delle spese sanitarie all’autorizzazione preventiva - la quale ha de facto limitato la concreta possibilità dei pazienti di ottenere le prestazioni all’estero (Santuari, op.cit., p.28) - hanno, con tutta probabilità, dato impulso all’azione della Corte di Giustizia della Comunità Europea. Nella storia del sistema giuridico comunitario la Corte di Giustizia ha più volte contribuito a creare diritti in capo ai cittadini. Come vedremo fra breve, su ricorso dei Tribunali nazionali la Corte di Giustizia della Comunità Europea è inizialmente giunta ad affermare l’esistenza di un diritto in capo ad ogni cittadino comunitario ad ottenere l’erogazione di prestazioni sanitarie in un Paese diverso da quello di residenza, con contestuale rimborso della spese sostenute, an che a prescindere dall’ottenimento di una autorizzazione preventiva da parte delle autorità sanitarie nazionali competenti. Nonostante nelle successive decisioni la Corte abbia limitato la portata di tale principio, nei termini e nei modi che saranno esposti nel paragrafo seguente (lett. b e c), il merito della creazione di un “abbozzo” di sistema comunitario di libera circolazione dei malati va attribuito a quest’organo comunitario. La Corte di Giustizia è intervenuta in forza del noto rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato istitutivo della CE. Trattasi di un meccanismo in forza del quale il giudice nazionale, investito di

un caso nel quale assume rilevanza una normativa comunitaria, può, sospendere il processo e richiedere alla Corte di Giustizia di pronunciar si, ad esempio, sulla compatibilità tra una normativa nazionale ed una disposizione del Trattato CE. Per semplificare con un esem pio, il caso tipico che ha dato impulso all’intervento della Corte di Giustizia nel settore di nostro interesse, è costituito dal cittadino comunitario che, avendo fruito di una prestazione sanitaria sommi nistrata in uno Stato diverso da quello di residenza, si vede rifiutare dal proprio ente previdenziale il rimborso delle corrispondenti spese sanitarie sostenute. Il paziente si rivolge così all’organo giudiziario competente del proprio Stato, ci tando l’ente previdenziale, al fine di ottenere una sentenza che ob blighi quest’ultimo a provvedere al rimborso. Come vedremo fra breve, in più occasioni i giudici nazionali hanno investito la Corte di Giustizia di problematiche di questo tenore, al fine di permettere alla Corte stes sa di verificare la compatibilità tra la normativa nazionale, sancente l’obbligo di autorizzazione preven tiva e alcuni principi del diritto comunitario previsti dal Trattato CE: in particolare la libera circola zione delle merci (art. 28 e 30) e dei servizi (art. 49 e 50). Il regime della libera circolazione delle merci e dei servizi (accanto alla libera circolazione delle persone e dei capitali) costituisce infatti uno dei maggiori strumenti a dispo sizione della CE per la creazione di un libero mercato, il quale si deve

basare sul maggior numero di scam bi possibili. La libera circolazione delle merci e dei servizi costitui scono quindi principi fondamentali dell’ordinamento comunitario che gli Stati membri sono obbligati a rispettare, nel senso che a livello statale non possono essere emanate normative che ostacolino tale libera circolazione. La Corte di Giustizia si è quindi pronunciata in più occasioni sulla compatibilità delle normative na zionali che subordinano il rimborso delle spese sanitarie fruite dal cit tadino in un diverso Stato membro con la preventiva autorizzazione ed i principi fondamentali della libera circolazione delle merci e dei servizi. Prima di passare ad analizzare le sentenze più significative che han no dato corso all’azione della Corte di Giustizia è necessario premettere che, ad oggi, la giurisprudenza della Corte in materia di libera circola zione dei servizi sanitari appare nutrita, tanto sotto l’aspetto del numero delle pronunce, quanto per l’ambito delle problematiche trat tate. Com’è ovvio, in questa sede si farà quindi riferimento alle deci sioni ed alle problematiche che, ai fini del presente lavoro, consentono di delineare le linee portanti del l’azione della Corte, omettendo di analizzare tutti i complessi aspetti tecnici contenuti nelle motivazioni delle sentenze (per i quali si rinvia al commento di N. Coggiola, “Le prestazioni sanitarie: sul principio di libera circolazione e salvaguardia dell’equilibrio finanziario”, in Ragiu san, 2004, p. 268 e segg.). 39

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Le sentenze della Corte di Giusti zia CE in tema di libera circolazio ne dei servizi sanitari a) Le sentenze Kohll e Decker Le prime decisioni che danno corso all’azione della Corte di Giustizia in tema di libertà di accesso alle prestazioni sanitarie nello spazio co munitario risalgono all’anno 1998. Si tratta di due ricorsi intentati avanti la Corte di Cassazione del Lus semburgo da parte di due cittadini di questo Stato; in particolare, il signor Kohll (Raimond Kohll c. Union des caisses de maladie, C-155/96 del 28 aprile 1998, Racc. 1998) agiva contro il rifiuto da parte della Union des caisses de maladie di concedere l’autorizzazione ad ottenere un trattamento ortodontico all’estero a favore della propria figlia; il sig. Decker (Nicolas Decker c. Caisse de maladie des employés privés, C. Cau sa C-120/95 1998) contro il rifiuto da parte della propria cassa malattia di rimborsare l’acquisto di un paio di occhiali effettuato in Belgio. In entrambi i casi, semplice e chiara è stata la decisione della Corte di Giustizia, investita ex art. 234 Trattato CE dai giudici lussemburghe si avanti i quali pendevano i casi. In relazione al caso Decker, ri chiamando le disposizioni del Trat tato in tema di libera circolazione delle merci e dei servizi, la Corte ha infatti statuito che una normativa nazionale che preveda l’obbligo di richiesta di autorizzazione per l’ac quisto di prodotto sanitari all’estero è da considerarsi contraria alla libera circolazione delle merci poiché i prodotti sanitari sono da conside

rarsi delle vere e proprie merci e sottostanno quindi alle medesime regole di mercato. L’imposizione dell’autorizzazione preventiva si sostanzia quindi in un disincentivo all’acquisto, considerato che il ma lato sarà spinto a procurasi tali pro dotti sanitari all’interno del proprio Stato, con conseguente limitazione alla libera circolazione delle merci nello spazio comunitario. Analogamente, in relazione al caso Kohll, una normativa che su bordina all’autorizzazione preventiva il rimborso delle spese dentistiche costituisce una restrizione alla libe ra prestazione dei servizi, poiché di sincentiva il paziente dal rivolgersi ad un professionista estero. Letta in termini tecnico-giuridici, la posizione della Corte di Giusti zia ha così l’effetto di dichiarare illegittime, in quanto contrarie al diritto comunitario, le normative europee che subordinano il rimborso delle spese sostenute per fruire di una prestazione sanitaria all’estero, all’ottenimento dell’autorizzazio ne preventiva da parte dell’ente previdenziale di riferimento del paziente. b) Le sentenze Smits e Peerbooms Nell’anno 2001 la Corte di Giustizia ha nuovamente modo di pronunciar si in materia di libera circolazione dei servizi sanitari. Le note sentenze Smits e Peerbooms (B.S.M. Smits co niugata Geraets c. Stiching Ziekenfon ds VGZ e H:T.M. Peerbooms c. Stiching CZ Groep Zorverzekeringen,C-157/99 del 21 luglio 2001, Racc. 2001) riguardano i casi di due cittadini olandesi le cui assicurazioni avevano

respinto la richiesta di rimborso di spese sanitarie per prestazioni re lative, l’uno, alla cura del morbo di Parkinson fruite presso una clinica specializzata in Germania, l’altro di cure neurologiche somministrate presso un ospedale francese. La Corte ribadisce i principi già espressi nelle precedenti decisioni Kohll e Decker – ossia confermando il contrasto tra normative nazio nali che impongono la preventiva autorizzazione e principio di libera circolazione delle merci e dei servizi – ma, nel contempo, ne restringe in parte la portata. La Corte di Giustizia non con sidera più la problematica della libera circolazione dei malati solo dal punto di vista della libera pre stazione dei servizi e delle merci, ma comincia a contemperare questo principio comunitario col principio di equilibrio del sistema finanziario nazionale. In occasione delle cause precedenti Kholl e Decker, alcuni governi nazionali (fra i quali anche il governo italiano), prendendo parte ai giudizi pendenti davanti alla Corte di Giustizia, avevano in fatti presentato alcune osservazioni dirette a chiarire come l’autorizza zione preventiva abbia, in realtà, una sua precisa ed imprescindibile ragion d’essere, la quale consiste nel permettere all’ente previden ziale nazionale di dare corso ad una propria programmazione finanziaria interna. Infatti, solo se l’ente è a conoscenza dell’entità delle spese sanitarie delle quali sarà gravato sarà in grado di organizzarsi e di mantenere funzionante la propria struttura finanziaria. Diversamente,

un’entità elevata di spese non pre viste, dovute a richieste di rimborso non programmate, rischia di com promettere seriamente l’equilibrio finanziario dell’ente. Facendo pro prie tali cause di giustificazione, la Corte afferma in Smits e Peerbooms “che la necessità di mantenere l’equilibrio finanziario dei sistemi sanitari nazionali può comportare alcune restrizioni alla libera cir colazione delle merci e dei servizi, quale, appunto l’imposizione del l’autorizzazione preventiva, la quale consente all’ente previdenziale di programmare con un certo grado di certezza le spese future”. È inoltre interessante notare come in quest’occasione la Corte chiarisce anche alcuni parametri, o condizio ni, in base ai quali l’autorizzazione debba essere necessariamente con cessa ed altresì quando possa essere rifiutata da parte degli organi pre videnziali nazionali. In particolare, l’autorizzazione dovrebbe essere concessa quando il trattamento è da considerasi “normale” secondo gli standard professionali internazionali e deve essere prescritto sulla base delle condizioni di salute del richie dente. L’autorizzazione può essere, diversamente, rifiutata, solo quando sia possibile ottenere la stessa cura, ossia una prestazione caratterizzata dalla stessa efficacia, senza ecces sivo ritardo presso una struttura convenzionata con il fondo sanitario di appartenenza dell’assistito. c) Le sentenze Müller-Fauré, van Riet e Iinizan Nel 2003 con le sentenze MüllerFaurè e van Riet (V.G. Müller-Fauré. 41

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Onderlinge Waarborgmaatschappij OZ Zorgverzekeringen UA e E.E.M. van Riet c. Onderlinge Waarborgmaat schappij ZAO, del 13 maggio 2003, C-385/99, Racc. 2003) e Inizan (Inizan c. Caisse Primarie d’assu rance maladie des Hauts-de-Seine, del 23 ottobre 2003, C-56/01 Racc. 2003) la Corte ribadisce la propria posizione, assunta con le sentenze precedenti, riaffermandone i me desimi principi, ma introducendo, nel contempo un’ulteriore nuovo elemento, derivante dalla distin zione tra prestazioni ospedaliere e prestazioni non ospedaliere. La fattispecie della prima senten za riguardava la possibilità da parte di una cittadina dei Paesi Bassi, e negata dal fondo sanitario olandese, di ottenere il rimborso delle spese relative ad un trattamento odontoia trico fruito in Germania durante un periodo di vacanze ed al di fuori di qualsiasi struttura ospedaliera. Il secondo caso, si riferiva alla richie sta, ugualmente effettuata da una cittadina dei Paesi Bassi, di otte nere il rimborso di una prestazione di artroscopia in Belgio, rifiutata dalla cassa malattia in quanto tale intervento, si legge nelle lettere di diniego (d.d. 24 giugno e 5 luglio 1993) “poteva essere effettuato anche nei Paesi Bassi”. Nella terza sentenza, la Corte si è pronunciata a seguito di rinvio ex art. 234 Trattato CE da parte di una corte francese, adita da un’assicurata del fondo sa nitario francese alla quale era stata respinta la richiesta di rimborso per spese mediche ospedaliere da fruirsi in Germania. Semplificando le motivazioni

svolte dalla Corte di Giustizia nei suddetti procedimenti, la Corte di stingue, per la prima volta, tra pre stazioni ospedaliere e non ospeda liere, intendo queste ultime, quelle prestazioni che, anche se erogate in ambito ospedaliero, possono essere altresì essere fornite in ambulatori e centri medici privati. A parere della Corte, le normative nazionali che prevedono un’auto rizzazione come presupposto per il rimborso di tali prestazioni non ospedaliere sono da considerarsi illegittime in quanto contrarie al diritto comunitario, ossia alla libera prestazione dei servizi: afferma in fatti la Corte che il consentire agli ammalati di recarsi in uno Stato membro diverso per ottenere tali prestazioni ha, nel concreto, un impatto finanziario molto limitato sul sistema previdenziale nazionale, dato il ristretto ricorso a tali spo stamenti transfrontalieri. Per quanto riguarda le prestazioni ospedaliere, la Corte di Giustizia ribadisce la propria posizione prece dente ai sensi della quale i sistemi di previa autorizzazione previsti dalle normative nazionali sono da considerarsi pienamente conformi al diritto comunitario vigente, previo rispetto dei presupposti che legittimano tale restrizione che vengono ridefiniti in questa sede. In particolare, il procedimento di autorizzazione deve essere fondato su criteri oggettivi ed imparziali noti in anticipo; inoltre, l’autorizzazione deve essere rilasciata qualora l’ero gazione della prestazione sanitaria da parte di una struttura sanitaria nazionale non possa essere dispen

sata con lo stesso grado di efficienza e tempestività della diversa struttura estera. Tale valutazione di efficace e tempestività deve essere condotta avendo riguardo al caso concreto. Proposte di riforma a livello co munitario Nonostante il progressivo “ritiro” della Corte dalla propria prima ra dicale posizione, è stato segnalato in dottrina come l’intervento della Corte di Giustizia abbia avuto il me rito di evidenziare definitivamente l’insufficienza del Regolamento 1408/71 nell’offrire una risposta alle esigenze di mobilità interna dei cittadini della CE (cfr.: Santuari, op. cit., p. 39). Tale insufficienza è stata sotto lineata in più occasioni a livello comunitario. Nel Report “The In ternal Market and Health Service”, pubblicato il 17 dicembre 2001 a cura della Direzione Generale Sanità Pubblica della Commissione Europea si legge come le disposizioni del Trattato relative alla libera circo lazione dei servizi e delle merci appaiono “misure piuttosto inde bolite nella tutela della salute, non essendo la sanità un mercato e non trovando quindi adeguata tutela nelle regolamentazioni del mercato interno, generalmente orientate a liberalizzare il mercato allo scopo di ottenere i benefici economici legati alla libera circolazione ed alla riduzione delle barriere commerciali” (Report, pp. 7 e 8). Il Report, pur prendendo atto della competenza degli Stati nell’organizzazione dei sistemi sanitari ex art. 152 del Trattato e in forza del principio di

sussidiarietà, auspica “lo sviluppo di una politica sanitaria più attiva, ampia e coordinata quale priorità nell’immediato futuro” (Report, p. 22), nel quale l’assistenza sanitaria dovrebbe essere integrata in una strategia comunitaria complessiva (p. 24 e segg.). Successivamente, in una lettera d.d. 12 luglio 2002, la Direzione Generale Mercato Interno della Commissione, preso atto della giu risprudenza della Corte di Giustizia in tema di libera circolazione delle prestazioni sanitarie e valutandone l’impatto negli Stati membri, con clude affermando come “Il Mercato Interno nei servizi sanitari non funziona in modo soddisfacente e i cittadini europei incontrano ostacoli ingiustificati ovvero sproporzionati quando si trovano nelle condizioni di richiedere il rimborso delle spese sanitarie non ospedaliere per cure all’estero oppure quando devono richiedere l’autorizzazione per sot toporsi ad un trattamento in una struttura ospedaliera in un altro Stato membro”. La Commissione si impegna a far sì che tutti i cittadi ni europei possano beneficiare del rimborso delle spese sanitarie e, a tale scopo, intende valutare altri strumenti di intervento. Il 9 dicembre 2002 la Direzione Health and Consumer Protection del la Commissione Europea ha inoltre pubblicato i risultati del “Lavoro di riflessione ad alto livello in tema di mobilità dei pazienti e sviluppi dei sistemi sanitari nazionali in Europa” (European Commission – Health & Consumer Protection Directorate – General, High Level Process of Re 43

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flection on Patient Mobility and Hea tlhcare development in the European Union, Reference HLPR/2003/16). Il documento, dopo aver sottolineato l’opportunità che gli Stati membri organizzino i sistemi sanitari na zionali in conformità alla normativa ed alla giurisprudenza comunitaria, propone una serie di possibili inter venti diretti a definire con maggior precisione e certezza giuridica l’applicazione della normativa co munitaria al settore sanitario; fra questi, la modifica del Trattato CE e l’utilizzo di legislazione seconda ria (ad. es. regolamento, direttiva comunitaria). La Commissione Europea ha successivamente emanato la Co municazione “Seguito del processo di riflessione ad alto livello sulla mobilità dei pazienti e sugli sviluppi dell’assistenza sanitaria nell’Unione Europea” del 20 aprile 2004 [COM (2004) 301 def.]; il documento, che costituisce una risposta ai ri sultati evidenziati con il sopracitato “Lavoro di riflessione”, auspica la necessità di dare corso ad una stra tegia europea diretta a permettere ai cittadini europei di esercitare il diritto a ottenere cure in altri Stati membri ed a favorire la cooperazione dei sistemi sanitari. Di particolare rilevanza, la proposta di intervento della Commissione, la quale si sostanzia in due iniziative principali: l’emanazione di una proposta di direttiva sui servizi nel Mercato Interno e una serie di proposte di rette a modificare, semplificandolo ed aggiornandolo, il Regolamento 1408/71. La proposta di direttiva, in particolare, risale al 13 gennaio

2004 (Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato inter no [SEC(2003) 21] COM/2004/0002 def. - COD 2004/0001) e persegue l’obiettivo di creare un quadro giuridico diretto ad eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimen to dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri che possa garantire a prestatori e destinatari dei servizi la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del Trattato” (Comunicazione, p. 4). I principi che costituiscono l’intelaiatura della proposta sono, ad esempio, il principio del Paese d’origine, in base al quale il pre statore è sottoposto unicamente alla legislazione del Paese in cui è stabilito e gli Stati membri non devono imporre restrizioni ai servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, e il diritto dei destinatari di utilizzare servizi di altri Stati membri senza che questo venga impedito da misure restrittive del loro Paese o da comportamenti discriminatori di autorità pubbliche o di operatori privati. Per i pazienti la proposta chiarisce i casi in cui uno Stato membro può sottoporre ad autorizzazione il rimborso delle cure sanitarie prestate in un altro Stato membro. In particolare, l’art. 23, riprendendo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, statuisce quanto segue: Articolo 23: Assunzione degli one ri finanziari delle cure sanitarie 1. Gli Stati membri non possono subordinare al rilascio di un’au

torizzazione l’assunzione degli oneri finanziari delle cure non ospedaliere fornite in un altro Stato membro se gli oneri relativi a tali cure, qualora quest’ultime fossero state dispensate sul loro territorio, sarebbero stati assunti dal loro sistema di sicurezza sociale; 2. Le condizioni e le formalità a cui gli Stati membri sottopongono sul loro territorio la concessione di cure non ospedaliere, quali in particolare l’obbligo di consultare un medico generico prima di uno specialista o le modalità di copertura di determinate cure dentistiche, possono essere opposte al paziente, al quale le cure non ospedaliere sono state fornite in un altro Stato membro. 3. Gli Stati membri provvedono affinché l’autorizzazione per l’assunzione da parte del loro sistema di sicurezza sociale degli oneri finanziari delle cure ospedaliere fornite in un altro Stato membro non sia negata qualora tali cure figurino fra le prestazioni previste dalla legislazione dello Stato membro di affiliazione e non possano essere dispensate al paziente entro un termine accettabile, dal punto di vista medico, tenuto conto del suo attuale stato di salute e del probabile decorso della malattia. 4. Gli Stati membri provvedono affinché l’assunzione da parte del loro sistema di sicurezza sociale degli oneri finanziari delle cure sanitarie fornite in un altro Stato membro non sia inferiore a quella

prevista dal loro sistema di sicurezza sociale per cure analoghe fornite sul territorio nazionale. 5. Gli Stati membri provvedono affinché i propri regimi di autorizzazione per l’assunzione degli oneri finanziari delle cure fornite in un altro Stato membro siano conformi agli articoli 9, 10, 11 e 13. Considerazioni conclusive All’epoca nella quale la Corte di Giustizia muoveva i suoi primi passi nel settore della libera circolazione delle prestazioni sanitarie, le sue prime decisioni Kohll e Decker sono state accolte con cautela dalla comunità scientifica. Le decisioni, risalenti all’anno 1998, sono state considerate infatti più casi eccezionali, dovuti alla specificità delle fattispecie (acquisto di occhiali, fruizione di cure dentistiche) e quindi destinati a rimanere isolati, più che vere e proprie enunciazioni di principi rivolti ai legislatori nazionali. I “fermenti” e le proposte elaborate a livello comunitario, alle quali si è fatto riferimento poco sopra, dimostrano diversamente come, ad oggi, l’azione della Corte di Giustizia meriti una lettura diversa. In tutta probabilità, fin dalle prime pronunce la Corte ha inteso inviare un messaggio al legislatore comunitario, affinché le necessità di una disciplina armonizzata a livello europeo capace di assicurare tutela e, nel contempo, garantire il funzionamento dei sistemi sanitari nazionali, venisse inserita nell’agenda delle politiche comunitarie in materia di sanità. 45

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Del resto, tale ultimo aspetto era stato già evidenziato nelle conclusioni dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia, espresse in occasione delle prime pronunce della Corte; suggeriva l’Avvocato Generale come sarebbero necessarie normative dirette a chiarire le ipo tesi nelle quali l’autorizzazione non possa essere negata, come peraltro è gia previsto nel regolamento CE (ad esempio nei casi nei quali, te nuto conto dello stato di salute del malato, nello Stato di residenza non possano essere fornite determinate cure entro il periodo di tempo nor malmente necessario per ottenere un risultato efficace). Facendosi carico di problematiche di carattere non solo tecnico-economiche, ma entrando nel vivo dei criteri propri della scienza medica, la Corte ha infatti disegnato l’intelaiatura della disciplina che, come si è visto, è stata interamente ripresa dal legi slatore comunitario nella proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno del 2004. Proseguendo su questa strada, la Corte di Giustizia ha peraltro recen temente esteso il diritto ad ottenere il rimborso delle spese sanitarie anche nel caso le stesse siano fruite in un Paese terzo; con la decisione Eredi di Annette Keller c. Istituto Nacional de la Seguridad Social, del 12 aprile 2003 (C-145/03, Raccolta 2003), la Corte ha stabilito come lo Stato che ha autorizzato un paziente a ricevere cure mediche in un altro Stato membro è obbligato a rim borsare tali spese sostenute anche qualora tali prestazioni vengano erogate per ragioni di opportunità

e a seguito di decisione dei medici curanti in uno Stato non facente parte della CE. Nonostante con l’emanazione della proposta di direttiva le pro blematiche relative alla libera circo lazione dei servizi sanitari abbiano ormai raggiunto il “cuore normativo” delle istituzioni comunitarie, non si arresta così l’azione della Corte di Giustizia a tutela del cittadino bisognoso di cure fruibili fuori dal territorio nazionale. (Il testo integrale della sentenza è pubblicato in Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, maggio/giugno 2005, p. 54 e segg. Per un commento alla sentenza: A. Corrado, “Sì ai trasfe rimenti fuori dell’Unione se c’è una situazione di estrema gravità”, in Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, mag gio/giugno 2005, p. 64 e segg.)

Elena Ioriatti è ricercatrice in Diritto Privato Comparato presso l'Università di Trento

Il diritto alla salute e l'assistenza dei cittadini italiani all'estero Fabio Cembrani

Il delicato rapporto tra l´interesse e le esigenze della collettività e il diritto alla salute come diritto fondamentale dell´individuo.

Premessa L’assistenza sanitaria dei cittadini italiani all’estero è un tema margi nalmente indagato nella prospettiva medico-legale, nonostante la com plessa regolamentazione giuridica ed i crescenti livelli di contenzioso tra il cittadino e le Organizzazio ni sanitarie, perché, di norma, le relative procedure autorizzative non rientrano tra le attività e le prestazioni erogate dai Servizi di Medicina Legale delle Aziende sa nitarie locali. Ne fa eccezione la Provincia autonoma di Trento dove, per una serie di coincidenze fortuite ed a fronte di una disciplina -del tutto innovativa rispetto a quella stata le- definita con l’atto deliberativo n. 6021, approvato dalla Giunta provinciale di Trento il 16 maggio 1996, recante “Nuovi indirizzi per l’erogazione dell’assistenza sanitaria in forma indiretta per prestazioni di alta specializzazione in strutture non convenzionate”, i compiti autorizza tivi per la fruizione delle prestazioni sanitarie all’estero sono in capo

ad un organo tecnico-sanitario, denominato “Centro provinciale di Riferimento per gli interventi di alta specializzazione”, a composizione pluri-specialistica, presieduto da uno specialista in medicina legale. L’esperienza professionale ma turata in quest’ambito e le forti sollecitazioni che ne sono derivate in un arco di tempo pluri-decen nale, scaturite dalla oggettiva difficoltà di coordinare e di rendere compatibile un’idea di salute che oscilla tra due poli opposti (quello che la considera come un diritto assoluto, perfetto e non coercibile dell’individuo e quello che, invece, la ritiene un diritto modulato e modulabile dalle diverse esigenze della collettività), orientano a formulare alcune considerazioni di carattere generale, nel tentativo di comprendere quale sia, oggi, l’idea di salute e quali siano gli scenari che caratterizzano i rapporti tra le Organizzazioni sanitarie ed i cit tadini (e tra i professionisti della salute ed i pazienti), anche al fine di provare a ri-definire lo statuto ontologico della medicina 1. Il sistema “autorizzativo” come condizione per la fruizione del l’assistenza sanitaria dei cittadini italiani all’estero Con la legge n. 833 del 1978 il Legislatore ha assegnato alla com petenza statale le funzioni ammi nistrative in materia di assistenza sanitaria all’estero dei cittadini italiani (art. 6), avvalendosi dei presidi sanitari pubblici. Coerentemente a ciò ed in virtù di quanto è stato successivamente sta 47

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bilito con la legge n. 595 del 1985 (art. 3, comma quinto), il decreto del Ministero della Sanità approvato il 3 novembre del 1989 ha stabilito i criteri, unici ed omogenei, per la fruizione delle prestazioni sanitarie fruite in Centri ospedalieri esteri di altissima specializzazione in assi stenza indiretta. Il medesimo de creto ha inoltre individuato i diversi soggetti istituzionali (le Regione e/o le Province autonome, le Unità sanitarie locali, i Centri Regionali di Riferimento e la Commissione Centrale prevista dall’art. 8 del de creto ministeriale 3 novembre 1989 istituita presso il Ministero della Sa nità) incaricati, secondo i rispettivi ruoli, delle procedure autorizzative, di rimborso, di formulare proposte in materia e di assicurare omoge neità (equità) di comportamento su tutto il territorio nazionale. Sulla base di ciò spetta alle Re gioni e/o alle Province autonome individuare concretamente i presidi ospedalieri, i policlinici universitari o le eventuali Commissioni mediche cui attribuire la qualifica di Centro di Riferimento mentre spetta a quest’ultimo il ruolo di vagliare, sul piano tecnico, tutte le do mande finalizzate al trasferimento all’estero per cure, per la relativa autorizzazione. Il centro di Riferimento è, dun que, nel sistema delineato dal diritto positivo, il soggetto isti tuzionale al quale afferiscono le procedure autorizzative in materia di trasferimento all’estero per cure dei cittadini italiani ed assume in tale ambito – come esplicitamente stabilito dalla Circolare del Mini

stero della Sanità n. 1000/Comp. 3/1934 del 25 luglio 1995 – il ruolo di “dominus”. Il presupposto che legittima la concessione dell’autorizzazione al trasferimento all’estero per cure è quella stabilita dalla legge n. 595/1985 (art. 3, comma quinto) e dal decreto del Ministero della Sanità 3 novembre 1989 (art. 2): le “prestazioni di diagnosi, di cura e di riabilitazione che richiedono specifiche professionalità del perso nale, non comuni procedure tecniche o curative o attrezzature ad elevata tecnologia e che non sono ottenibili tempestivamente od adeguatamente presso i presidi ed i servizi di alta specialità italiani di cui all’art. 5 della legge 23 ottobre 1985, n. 595 nonché, limitatamente alle presta zioni che non rientrano tra quelle di competenza dei predetti presidi e servizi di alta specialità, presso gli altri presidi e servizi pubblici o con venzionati con il Servizio sanitario nazionale”. “Adeguatezza” e “tempestività”, dunque, delle prestazioni; sono questi i due requisiti che devono essere valutati dai Centri provinciali di riferimento preliminarmente al trasferimento all’estero per cure dei cittadini italiani che, secon do il diritto vigente, può essere autorizzato nel solo caso in cui i presidi ed i servizi di alta specia lità italiani non siano in grado di rispondere, tempestivamente ed adeguatamente, a specifiche e ben individuate esigenze di diagnosi, di cura e di riabilitazione, come esplicitato dall’art. 2 (commi 3 e 4) del decreto del Ministero della

Sanità 3 novembre 1989. Il citato decreto considera infatti “prestazione non ottenibile tempe stivamente in Italia” la prestazione per la cui erogazione le strutture pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale “[…] richiedono un tempo d’attesa incom patibile con l’esigenza di assicurare con immediatezza la prestazione stessa, ossia quando il periodo di at tesa comprometterebbe gravemente lo stato di salute dell’assistito ovvero precluderebbe la possibilità dell’inter vento o delle cure”; la prestazione non ottenibile in forma adeguata alla particolarità del caso clinico è considerata, invece, quella “[…] che richiede specifiche professionalità ovvero procedure tecniche o curative non praticate ovvero attrezzature non presenti nelle strutture italiane pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale”. Lo stesso decreto, peraltro, rin via al Ministro della Sanità l’indi viduazione, almeno annuale, delle prestazioni erogabili in regime di altissima specializzazione e fissa, all’art. 6, la misura del concorso nelle spese, stabilita nell’80% per quelle di natura strettamente sani taria, ri-comprendendovi le spese di viaggio e di soggiorno estese anche ad un eventuale accompagnatore. Cosa che puntualmente il Mini stero ha fatto, con decreto appro vato il 24 gennaio 1990 (“Identi ficazione delle classi di patologie e delle prestazioni fruibili presso centri di altissima specializzazione all’este ro”), nel quale sono elencate una serie di patologie e di prestazioni fruibili all’estero nei centri di al

tissima specializzazione ed i tempi massimi di attesa trascorsi i quali la prestazione è da considerarsi non attenibile tempestivamente nel nostro Paese. Quest’elenco è circoscritto ad una serie definita di situazioni patologi che che, oggi come allora, suscita ampie perplessità, come peraltro avviene in tutte le situazioni nelle quali si cerca di astrarre da un ven taglio di ipotesi quelle meritevoli di attenzione e di considerazione, senza aver pre-determinato la me todologia di lavoro. In tale elenco risultano certamente comprese prestazioni che, ora come allora, possono definirsi di “altissima spe cializzazione” (si pensi, ad esempio, al trattamento chirurgico dell’epi lessia o, ancora, al trattamento del melanoma della coroide) risultando circoscritte a pochi Centri in tutta Europa ma anche prestazioni del tutto routinarie, come ad esempio la tomografia assiale computerizzata (la TAC) che è oggi una metodica dia gnostica standard ampiamente dif fusa in tutti gli ospedali italiani. Riguardo ai tempi massimi di at tesa, superati i quali la prestazione è da considerarsi non ottenibile tempestivamente in Italia, lo stesso decreto, all’art. 2, considerava la possibilità di derogarvi: al Centro di Riferimento è, infatti, consen tito di autorizzare il trasferimento all’estero per cure dei cittadini italiani in deroga a tali limiti nel caso di “gravi e particolari situazioni cliniche”, richiedendosi allo stesso la motivazione “del prevalere del giudizio clinico sui limiti temporali di riferimento”. 49

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Le peculiarità del sistema auto rizzativo nella Provincia autonoma di Trento Nella Provincia autonoma di Trento il sistema autorizzativo per il trasfe rimento all’estero per cure è stato profondamente innovato, rispetto a quello statale, in epoca recente, con la deliberazione n. 6021 approvata dalla Giunta provinciale di Trento il 16 maggio del 1996. Tale deliberazione, nel prendere atto delle intervenute modifiche di finanziamento del Servizio sanitario provinciale (introdotte con legge 23 dicembre 1994, n. 724) ed, in particolare, della “[…] completa e totale autonomia e responsabilità sul versante dell’acquisizione delle risorse finanziarie”, rileva che a ciò “[…] deve corrispondere una ana loga autonomia nella utilizzazione delle risorse stesse e quindi, in par ticolare, la possibilità di disciplinare e regolamentare l’erogazione dell’as sistenza sanitaria fermo restando peraltro l’obbligo di assicurare i livelli minimi di assistenza stabiliti dalla normativa statale”. Sulla base del mutato contesto finanziario, la Giunta provinciale della Provincia autonoma di Trento ha, dunque, inteso corrispondere “in modo più ampio” alle reali esi genze della popolazione trentina, stabilendo i principi e gli indirizzi fondamentali ai quali deve confor marsi l’Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento. Fermo restando il ruolo del Centro di Riferimento, la deliberazione n. 6021/1996 approvata dalla Giunta provinciale di Trento ha introdotto un campo di intervento più ampio

rispetto a quello stabilito dalla normativa statale, superando i pa rametri ed i vincoli dell’“altissima specializzazione” introdotti dai de creti ministeriali poc’anzi ricordati (individuazione delle patologie e delle prestazioni di “altissima spe cializzazione” e dei tempi massimi di attesa) e riconducendola, in buona sostanza, a quanto stabilito dalla legge provinciale 13 agosto 1979, n. 5. L’art. 18 di tale norma dispone che a favore degli assistiti residenti nel territorio provinciale che si ri coverino in istituti di cura, situati nel territorio nazionale o in uno stato estero, con i quali non esista no convenzioni, per essere sottopo sti ad interventi e/o a prestazioni di alta specializzazione che non possono essere adeguatamente e tempestivamente effettuati presso strutture pubbliche o private con venzionate, la Giunta provinciale può deliberare interventi in misura superiore a quanto stabilito in via ordinaria, anche mediante anticipa zioni, previa certificazione sanitaria in ordine alla sussistenza delle con dizioni morbose che richiedono tali interventi e/o prestazioni. Sulla base di ciò la Giunta pro vinciale di Trento ha riconosciuto la rimborsabilità (nella misura dell’80%) della spesa sanitaria documentata e sostenuta per pre stazioni e/o interventi di alta spe cializzazione non tempestivamente e/o adeguatamente erogabili presso strutture sanitarie pubbliche o con venzionate con il Servizio sanitario nazionali, specificando (deliberazio

ne n. 184 approvata dalla Giunta provinciale di Trento il 28 giugno 2002) che: a) la prestazione non ottenibile in forma adeguata rispetto alla particolarità del caso clinico è quella prestazione “[…] che gli ospedali pubblici o privati convenzionati non possono erogare per carenza di uno o più dei predetti elementi che qualificano l’alta specializzazione (specifiche professionalità del personale, non comuni procedure tecniche o curative, attrezzatura ad elevata tecnologia)”; b) la prestazione non ottenibile tempestivamente è quella prestazione “[…] per la cui erogazione le strutture pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale richiedono un periodo di attesa incompatibile con l’esigenza di assicurare con immediatezza la prestazione stessa, ossia quando il periodo di attesa comprometterebbe lo stato di salute dell’assistito ovvero precluderebbe la possibilità dell’intervento o delle cure”. Peraltro le disposizioni emanate dalla Giunta provinciale di Trento hanno esteso il regime dell’assistenza indiretta anche: 1. ai casi nei quali il trasferimento all’estero per cure non sia stato preventivamente autorizzato dal Centro di Riferimento, “[…] nei casi in cui per ragioni di urgenza e gravità non sia stato possibile acquisire il parere in via preventiva”; 2. ai casi di ricovero ospedaliero

per interventi di alta specializza zione fruiti all’estro da cittadini che già vi si trovino per altre ragioni (turismo, lavoro, ecc.). Alcuni casi giunti all’osserva zione del Centro provinciale di Riferimento per gli interventi di alta specializzazione di Trento Nonostante la maggior apertura che la Provincia autonoma di Trento ha inteso dare alla disciplina del trasferimento all’estero per cure, questo campo di intervento è ancor oggi foriero di ampie criticità e di crescenti livelli di conflittualità tra il cittadino e le istituzioni che emergono ogni qual volta il Centro provinciale di Riferimento, nel rispetto delle indicazioni regola mentari, formula, motivatamente, un parere negativo. Anche se questa posizione con tinua ad essere vissuta ed interpre tata in ambito mediatico come una restrizione del diritto alla libertà di cura costituzionalmente garantito, lo scenario che identifica le aree di criticità e la conflittualità entro le quali il Centro provinciale di Riferimento si trova ad operare è certamente mutato nel corso del l’ultimo decennio. Mentre, precedentemente al 1996, la fonte del contenzioso risultava circoscritta alla mancata preventiva autorizzazione al trasferimento al l’estero per cure, fornita dal Centro provinciale di Riferimento e/o al fatto che la patologia o la relativa prestazione non fosse compresa tra quelle elencate dai decreti mini steriali sopra citati, la situazione attuale è profondamente modificata. 51

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Tuttavia il crocevia resta sempre rap presentato dalla difficoltà di rendere compatibile il diritto del singolo ad una salute incondizionata e non coercibile con l’idea di salute intesa, nell’interesse collettivo, come bene e diritto sociale. Alcuni casi giunti, del tutto recentemente, all’osservazione del Centro provinciale di Riferimento per gli interventi di alta specializzazione di Trento identificano tali criticità, ben rappresentando le condizioni ed i limiti che oggi modulano, nel cam po del trasferimento all’estero per cure, la tutela della salute nel nostro Paese e, quindi, il diritto alla salute costituzionalmente garantito. Il primo caso riguarda un assistito trentino che, il 27 aprile del 2004, ha presentato una specifica istanza finalizzata ad ottenere l’autorizza zione preventiva al trasferimento al l’estero per cure (nel Cabrini Medical Center di New York) per effettuare un particolare trattamento radiote rapico (radioterapia stereotassica) in quanto affetto da una neoplasia polmonare metastatica, diagnosti cata qualche mese prima, ritenuta in-operabile dai medici italiani e trattata, per tale motivo, con sola chemioterapia palliativa. Tale richieste venne respinta dal Centro provinciale di Riferimento per gli interventi di alta specializ zazione di Trento sulla scorta della dimostrazione che il trattamento radioterapico stereotassico poteva essere effettuato nelle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale ed in particolare in una Casa di cura privata convenzionata

di Firenze, con tempi d’attesa del tutto compatibili con le esigenze cliniche della persona. Avverso tale decisione, l’assistito ha presentato il seguente ricorso amministrativo al Direttore Generale dell’Azienda provinciale per i Servizi Sanitari di Trento: “[…] Questa ri chiesta viene fatta in maniera serena ma decisa, visto comunque il fatto che prima di andare negli Stati Uniti sono state tentate svariate soluzioni in Italia; il tutto a nostre spese. Sin da subito il tumore, scoperto a Ro vereto, risultava in operabile, questo a detta del primario Dr. X. Il parere degli oncologi Dr. Y. e Dr.ssa Z. era quello di escludere qualsiasi forma di cura. Sono stati dunque proposti ed in seguito eseguiti dei cicli di chemioterapia al solo scopo pallia tivo. In pratica, la sentenza, perché in pratica di sentenza si è trattato, era che ‘non c’era più nulla da fare’. Così abbiamo cominciato a guardarci attorno andando nell’ordine: a Mila no, sia la S. Raffaele che al Centro Europeo per i tumori, a Pavia, a Vi cenza, a Verona e infine al S. Camillo di Roma. In ognuno di questi Centri è stato confermato quanto sopra. Nessuno dei medici interpellati ha parlato del Centro da Voi proposto a Firenze dove potessero eseguire la radio-chirurgia stereotassica. Anche perché alla fine i punti da trattare sarebbero stati cinque: al polmone appunto, alle ossa del bacino e della spalla, al fegato e a parte del cervello. Altro non restava che affrontare il viaggio per New York perché una speranza vi era e non si accettava il fatto di aspettare inermi la fine. I disagi furono parecchi e

le cure sarebbero state affrontate più volentieri qui in Italia. Qui però tutto è stato negato non dando possibilità alcuna. Le cure a New York sono servite sia per fermare lo stato di avanzamento del male che per migliorare il livello di qualità della vita, soprattutto sotto l’aspetto morale. Ho conoscenti, in maniera diretta, che hanno sostenuto le stesse cure dallo stesso specialista ed hanno ottenuto il rimborso; non vedo il motivo per il quale questo ci è stato negato! Per finire credo che con queste premesse ci siano le condizioni per avere il diritto ad un rimborso per le cure apportate in altra sede, in quanto ripeto in Italia ci sono state negate”. Si è voluto presentare per esteso il ricorso presentato dall’assistito (omettendo, per evidenti ragioni di riservatezza, solo i dati identificativi dei soggetti) perché dalla sua lettura traspaiono alcuni elementi di criticità che, comunemente, si presentano nei casi che afferiscono al Centro provinciale di Riferimento e che riguardano pazienti neoplastici in-curabili che richiedono il trasferimento all’estero per cure. Ci si riferisce, in particolare: – al complesso percorso assistenziale che caratterizza l’iter clinico di questi pazienti che, di norma, ricorrono a diversi Centri ospedalieri, nel tentativo di trovare una soluzione al problema di salute ritenuto non risolvibile da altri professionisti; – alla non accettazione dei limiti della medicina associata ad un vissuto per il quale questi limiti equivalgono all’essere lasciati

soli, abbandonati al proprio destino, in attesa della fine; – al ruolo esercitato dalle terapie per le quali è stato attivato il trasferimento all’estero per cure nel sostegno morale e, dunque, sulla qualità di vita della persona; – all’omessa informazione riguardo all’esistenza di opzioni terapeutiche analoghe nel nostro Paese; – all’assoluta non comprensione delle ragioni per le quali il Centro di Riferimento limita il diritto alla cura, anche a fronte del richiamo a casi analoghi che avrebbero ricevuto, da altri Centri, l’autorizzazione ad essere curati dagli stessi specialisti. Il ricorso presentato dall’assistito è stato respinto con atto deliberativo approvato dal Direttore Generale dell’Azienda provinciale per i Servizi Sanitari di Trento il 21 luglio del 2004 e non risulta, almeno al momento attuale, che contro tale decisione sia stato presentato ricorso in sede giurisdizionale. Gli altri due casi sono tra loro abbastanza simili, pur riferendosi a pazienti affetti da patologie del tutto diverse, per il problema di fondo che sembra caratterizzarli (per entrambi si discute dell’efficacia delle terapie) e per l’epilogo: contro le decisioni assunte dal Centro provinciale di riferimento e dal Direttore Generale dell’Azienda provinciale per i Servizi Sanitari di Trento è stato infatti proposto, in entrambi i casi, ricorso giurisdizionale al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativo di Trento. Il primo di essi riguarda un as53

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sistito trentino 53enne affetto da una gravissima patologia oculare (nella specie, da degenerazione tappeto-retinico, tipo retinite pig mentosa): è questa una malattia ad etio-patogenesi non ancora completamente conosciuta e per la quale, al momento attuale, non esiste purtroppo nessuna terapia, né medica né chirurgica, in grado di contrastarne l’evoluzione graduale verso la cecità. L’assistito ha, nel corso degli anni, ripetutamente presentato al Centro provinciale di Riferimento per gli interventi di alta specializzazione di Trento una specifica istanza fina lizzata ad ottenere l’autorizzazione preventiva al trasferimento all’este ro per cure (nell’Hospital “Camilo Cienfuegos” di L’Avana), ottenendo, sempre, risposte negative, motivate sulla inesistenza di evidenze scienti fiche che dimostrino l’efficacia delle terapie effettuate, in tale struttura, dai sanitari del “Centro internaziona le delle retinite pigmentosa”. Alle diverse istanze – l’ultima delle quali è stata presentata, in ordine temporale, il 29 aprile del 2003 – l’assistito, oltre ad un cer tificato medico redatto da uno spe cialista oculista, su carta intestata dell’Azienda sanitaria locale della Provincia di Sondrio, il 16.10.2002 (“Il paziente è affetto da retinite pigmentosa in entrambi gli occhi; necessita di accertamenti diagnostici e trattamento consigliabile presso il Centro Internazionale della retinite pigmentosa di L’Avana (Repubblica di Cuba) adeguata al caso clinico del paziente”), ha allegato una detta gliata documentazione, dall’esame

della quale si evinceva: a) come, in relazione a tale patolo gia, il paziente sia stato ricono sciuto, ancora nel 1989, invalido civile nella misura del 75%; b) come, nell’Ospedale cubano, lo stesso sia stato sottoposto, nel luglio del 1998, ad intervento chirurgico di ri-vascolarizzazione retinica (con tecnica chirurgica secondo Pelaèz) tramite la forma zione di un’ampia tasca sclerale nel settore temporale di ambe due gli occhi, nel posizionamen to nello spazio sovra-coroidale di un peduncolo vascolarizzato di tessuto grasso orbitario, nella successiva sutura della tasca ed a trattamento con ozono, magneto ed elettro-stimolazione; c) come, per quanto certificato da un Collega specialista in Clinica Oculistica di Messina, in ragione dell’intervento operatorio si sia determinato un miglioramento del campo visivo dimostrato dal confronto tra l’esame pre-opera torio (21 maggio 1998) e post operatorio (3 dicembre 1998); d) come l’Azienda Sanitaria di Ri mini, di Ravenna, di Roma e di Messina abbiano autorizzato, nel corso del 1998 e del 1999, il trasferimento all’estero nell’Ospedale cubano di pazienti affetti da retinite pigmentosa, per effettuare la stessa terapia negata a Trento; e) come il Giudice del Lavoro di Messina, con ordinanza emessa l’1.12.1999, abbia accolto il ricorso presentato, ex art. 700 del Codice di procedura civile, dai genitori di un minore af

fetto da retinite pigmentosa ed autorizzato il suo trasferimento all’estero per cure. Nell’istruire le diverse istanze presentate dall’assistito il Centro provinciale per gli interventi di alta specializzazione di Trento ha rite nuto di acquisire sul caso il parere del Direttore della Clinica Oculistica dell’Università degli Studi di Verona e di Udine e di vagliare la lettera tura internazionale indicizzata su Medline per verificare l’efficacia delle terapie praticate dai sanitari di L’Avana. Le ricerche effettuate e gli au torevoli pareri espressi sul caso clinico hanno fornito risultati del tutto convergenti: l’ozonoterapia e le elettrostimolazioni della retina praticate nel Centro sanitario cu bano risultano essere terapie non scientificamente validate nel trat tamento della retinite pigmentosa e tutti gli Autori indicizzati da PubMed (11 voci bibliografiche pubblicate su Riviste internazionali nel periodo compreso tra il 1992 ed il 1997) sono concordi nel ritenere che tali terapie non hanno purtroppo alcun effetto positivo sui pazienti trattati nel Centro internazionale per la reti nite pigmentosa di L’Avana. Contro la decisione assunta dal Centro provinciale di Riferimento, confermata dal Direttore Generale dell’Azienda provinciale per i Servizi Sanitari di Trento, l’assistito ha pro posto ricorso al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento attraverso due legali di Trento che ritengono: 1. la violazione e la falsa applica zione della norma da parte del

Centro provinciale di Riferimento che, stante “la mancanza o l’inadeguatezza in Italia della struttura pubblica o privata tesa a garantire la salute del paziente”, avrebbe dovuto autorizzarne il trasferimento all’estero per cure; 2. l’eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti, stante l’“[…] evidente compressione del diritto alla salute” esercitata dal Centro provinciale di Riferimento“ e quindi “[…] del diritto all’assistenza ed alle prestazioni necessarie per la sua preservazione […] non condizionabile né derogabile dalle Amministrazioni Sanitarie, come si evince dalla giurisprudenza di legittimità (per tutte Cass. S.U. 16.11.1999, n. 782)”; 3. la disparità di trattamento, stante il riscontro che “[…] altre AUSL, in fattispecie del tutto analoghe, abbiano autorizzato in regime di assistenza indiretta il ricovero presso il centro cubano” e che “[…] in fattispecie analoghe, altri Tribunali italiani abbiano accolto ricorsi simili a quello in esame: Tribunale di Messina 20.01.2001; 21.07.1999; 20.12.1999, poi confermata in sede di reclamo; 8.11.2002; 6.02.2003; Tribunale di Patti 28.08.2000; nonché TAR del Lazio n. 837/2000)”. La vicenda giudiziaria è ancora in corso ed è in fase di espletamento la Consulenza Tecnica d’Ufficio affidata al Direttore della Clinica Oculistica dell’Università degli Studi di Padova. L’altra vicenda, per molti versi del 55

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tutto simile alla precedente, riguar da una bambina di 5 anni, affetta da una paralisi cerebrale infantile e da una grave forma di epilessia farmaco-resistente, per la quale, con domanda presentata il 15 ottobre 2004, è stata attivata la mobilità all’estero per cure (nello specifico nel “Rehabilitation Centre – New Medical Technologies” di Praga). A tale domanda è stato allegato il seguente certificato medico redatto da un medico pediatra il 14.10 pre cedente: “Da aprile ho in carico tra i miei pazienti la piccola X. affetta da paralisi cerebrale infantile per asfis sia neonatale. La bambina è seguita dalla Neuropsichiatria Infantile di Trento con la consulenza del Servizio di NPI di Verona […] e dal Centro riabilitativo infantile “Il paese di Oz”. X. presenta tetraparesi spastica complicata da una grave forma di epilessia farmaco-resistente […]. Da qualche tempo la madre della piccola è in contatto con il Centro Primavera Medica di Torino che promuove una terapia metabolica a base di prepara ti aminoacidi nella cura delle malat tie neurologiche di varia eziologia. Le cure sono state messe a punto nella clinica moscovita dal prof. Kholhov, un esperto di fisica molecolare, che ha eseguito numerose pubblicazioni sulle basi molecolari del danno cere brale. Le terapie praticate dalle varie cliniche che sono seguite alla prima si basano sulla somministrazione per os di aminoacidi, di fatto veri integratori alimentari, il cui delicato equilibrio modula l’attività dei me diatori dell’attività neuronale. Sono già attive delle pratiche che porte ranno anche in Italia la possibilità di

eseguire queste cure che prevedono 2-3 cicli l’anno di alcune settimane di trattamento. Per il momento i pazienti devono recarsi in una delle varie cliniche estere. A tal fine la madre della paziente ha contattato la clinica Y. di Praga dove la bimba sarà sottoposta a cure specifiche per le quali i familiari chiedono il rimborso. I risultati che sono stati ot tenuti sono soprattutto a livello della plasticità neuronale, con migliora mento del tono muscolare, riduzione delle contratture e dell’ipertono, dei tremori, con conseguente beneficio sulla qualità di vita dei pazienti e dei familiari. Sappiamo infatti che solo un equipe di medici di varie specia lizzazioni, come pure fisioterapista, assistente sociale, educatore e psi cologo forniscono importanti contri buti al trattamento del bambino con problemi neurologici […]. Sappiamo anche, d’altro canto, come sia difficile nella pratica realizzare nell’ambito dell’Azienda Sanitaria una sintonia tra le varie figure professionali. Poi ché questa terapia metabolica si pone tra gli obiettivi il miglioramento del tono muscolare, propongo di consi derare questo percorso nell’ambito di un piano pluridisciplinare nella cura dei problemi neurologici della piccola X.”. Anche in questo caso il Centro provinciale di Riferimento di Trento ha provveduto ad effettuare la rela tiva istruttoria acquisendo i pareri di alcuni Colleghi neuro-psichiatri in fantili e vagliando la letteratura in ternazionale indicizzata su Medline per verificare l’efficacia delle terapie praticate dai sanitari di Praga. Le ricerche effettuate e gli auto

revoli pareri espressi sul caso clinico hanno fornito risultati del tutto convergenti: le terapie metaboliche (somministrazione di aminoacidi) praticate dal “Centro Primavera Me dica” di Mosca risultano essere tera pie non scientificamente validate nel trattamento della paralisi cerebrale infantile e tutti gli Autori indicizzati da PubMed sono concordi nel ritene re che tali terapie, al di la dei casi anedottici, non hanno purtroppo alcun effetto positivo sui pazienti trattati (M. Goldstein, The Journal of Pediatrics, 2004, 2, 42-46). Per contro, ricerche effettuate utilizzando i soliti motori di ricerca (“Google”, nello specifico) hanno permesso di reperire, nel sito di una ONLUS non lucrativa di utilità socia le (“Associazione Vita”), informazio ni sull’utilizzo degli amminoacidi nel trattamento di bambini con lesioni del sistema nervoso centrale, il re lativo programma terapeutico (da 4 a 10 cicli di cura) ed i relativi costi (2.500 dollari ogni ciclo, nel costo risultando compreso il trattamento completo di 6 settimane e le relative visite specialistiche con interprete) ed i risultati di uno studio osserva zionale effettuato su 84 bambini affetti da paralisi cerebrale infan tile: risultati che evidenzierebbero, a distanza di due anni dall’utilizzo degli amminoacidi, nell’86,7% dei pazienti trattati “[…] uno specifico cambiamento positivo della dinami ca neurologica” già a partire dalla prima settimana di trattamento, con “[…] una certa diminuzione del tono muscolare unita ad una conseguente aumento della forza e dell’ampiezza dei movimenti nel giro

di 3-4 settimane”. Contro la decisione di non ammettere a rimborso il caso assunta dal Centro provinciale di Riferimento, confermata dal Direttore Generale dell’Azienda provinciale per i Servizi Sanitari di Trento con atto deliberativo , l’assistita, tramite gli esercenti la potestà genitoriale, ha proposto ricorso al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento attraverso un legale di Trento che ritiene: 1. la violazione e la falsa applicazione della norma da parte del Centro provinciale di Riferimento che avrebbe dovuto limitarsi a verificare, tramite un’idonea istruttoria, “[…] la sussistenza o meno di entrambi i presupposti e porli alla base del provvedimento di diniego“ (l’adeguatezza e la tempestività), senza introdurre “[…] un ulteriore presupposto di cui non v’è traccia nella normativa di riferimento”; 2. l’eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti, stante l’“[…] evidente compressione del diritto alla salute” esercitata dal Centro provinciale di Riferimento“ e quindi “[…] del diritto all’assistenza ed alle prestazioni necessarie per la sua preservazione […] non condizionabile né derogabile dalle Amministrazioni Sanitarie, come si evince dalla giurisprudenza di legittimità (per tutte Cass. S.U. 16.11.1999, n. 782)”; 3. la disparità di trattamento, stante il riscontro che “[…] altre AUSL, in fattispecie del tutto analoghe, abbiano autorizzato 57

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in regime di assistenza indiretta il ricovero presso il centro cuba no” e che “[…] in fattispecie analoghe, altri Tribunali italiani abbiano accolto ricorsi simili a quello in esame: Tribunale di Mes sina 20.01.2001; 21.07.1999; 20.12.1999, poi confermata in sede di reclamo; 8.11.2002; 6.02.2003; Tribunale di Patti 28.08.2000; nonché TAR del Lazio n. 837/2000)”. La vicenda giudiziaria è appena iniziata e l’auspicio è quello che il tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento provveda, come nel caso precedente, alla nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio per verificare se il diritto alla salute debba essere condi zionato dalla dimostrata efficacia delle terapie indicate alla paziente e praticate dai sanitari russi nella Repubblica Ceca, a Praga o, in al ternativa, se lo stesso possa essere comunque esercitato senza limiti e coercizioni alcune. Il diritto alla salute: diritto “sog gettivo” incoercibile o diritto “sociale” modulato da esigenze di bilancio? Non è certo questa la sede per esa minare, sul piano della legittimità costituzionale, le diverse norme emanate nel nostro Paese che, a partire dalla legge istitutiva del Ser vizio Sanitario Nazionale (la legge n. 833 del 1978 2), hanno discipli nato l’assistenza sanitaria all’estero dei cittadini italiani 3: questo esula dalla prospettiva medico-legale che, più opportunamente, vuole riflette re sull’idea di salute, nel tentativo

di cogliere quali sono le variabili – antropologiche, culturali e giu ridiche – che oggi caratterizzano, nella nostra società, il diritto alla salute ed alle prestazioni sanitarie ad essa connesse. Nel nostro ordinamento giuridico la salute è un diritto “fondamenta le” (art. 32 della Costituzione) che, come tale, è insito tra i diritti che non possono non predicarsi della persona umana in quanto nell’idea stessa di persona sono iscritti e di quella idea ne costituiscono connotati imprescindibili 4; come tale la tutela costituzionale della salute si collega da un lato con la tutela generale della personalità (art. 2) e con i diritti fondamentali di eguaglianza e dignità (art. 3) nonchè di libertà (art. 13), dall’altro con le norme che garantiscono le espressioni sociali della persona, in particolare nella famiglia, nel lavoro e nella società in genere 5. La nostra Carta costituzionale non definisce, tuttavia, la salute nei relativi connotati costitutivi, anche se i collegamenti tra personalità, li bertà e salute trovano la loro radice nell’art. 32 della Costituzione che la qualifica come diritto “fondamenta le” della persona. I tentativi di definirla sono stati peraltro molteplici anche se, quan do si affronta questo argomento, è consuetudine ormai stereotipata dei diversi Commentatori riferirsi alle indicazioni fornite, nel 1948, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dimenticando che l’idea di salute e di malattia non sono idee a-storiche essendo state modulate, nel corso dei secoli e della storia

millenaria dell’umanità, dai diversi contesti storico-culturali che hanno agito selettivamente sul pensiero medico 6. Pur senza volerle riper correre tutte e rinviando al breve ma esaustivo saggio di Gilberto Corbellini 7, che ha esaminato le dinamiche antropologico-culturali entro le quali si sono via via concet tualizzate l’idea di salute e quella di malattia, si deve evidenziare come su quest’ultima idea (la malattia) gli sforzi definitori della scienza medica si siano prevalentemente focalizzati a partire dal modello magico-teurgico in ragione del quale la malattia, nell’età omerica, era un’entità estranea, prodotta dalla collera o dalla malevolenza degli dei, che si impossessava del corpo umano per una trasgressione e che solo una purificazione poteva cancellare, fino ai tentativi (iniziati a partire dal ‘700) di caratterizzare i quadri clinici che stanno dietro la varietà dei segni e dei sintomi, finalizzandoli allo sviluppo di una classificazione (tassonomia) del tutto necessaria a mettere ordine all’esperienza del medico: sforzi che hanno dimostrato l’impossibilità di pervenire ad una classificazione sistematica delle malattie in quanto le diverse entità nosologiche (più di 20.000 mila) sono definite a diffe renti livelli di concettualizzazione con una significativa confusione tra lesione, sintomo e segno e che ha portato, più recentemente, a sviluppare sistemi di classifica zione internazionale (si pensi, ad esempio, alla Classificazione stati stica internazionale delle malattie e dei problemi connessi alla salute,

ampiamente conosciuta con l’acro nimo di ICD-10) del tutto artificiali, concepiti come strumenti utili per la statistica medico-sanitaria e non già sul piano definitorio. Tuttavia, pur a fronte degli sforzi gradualmente compiuti dalla scien za medica per definire la malattia e, dunque, la deviazione da quello standard che poteva rappresentare in astratto la salute, già nel pen siero platonico si possono reperire i primi elementi fondativi di una con cettualizzazione moderna dell’idea di salute che, superando il classico approccio bio-medico, considera anche gli aspetti mentali, sociali e spirituali, nel tentativo di dare euritmia – utilizzando l’espressione più volte usata dalla Corte di Cas sazione – alle diverse componenti che la caratterizzano. Nel Fedro (420-410 a.C.), Socrate discute con il suo giovane amico, amante dell’arte dei discorsi, entu siasta della vita ed alla ricerca del meglio 8, dell’arte oratoria e la pone a confronto con la medicina: il me todo di procedere dell’arte medica, dice Socrate, “[…] è lo stesso di quello dell’arte oratoria” poiché in entrambe è necessario comprendere la natura, nell’una la natura del l’anima, nell’altra quella del corpo, se si intende agire non solo in base all’abitudine ed all’esperienza ma in virtù del sapere autentico. Come bisogna conoscere quali medicine e quali alimenti vadano forniti al corpo per produrre salute e forza, così si deve sapere con quale discorso e corretto indirizzo di vita si debba alimentare l’anima, 59

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affinché essa raggiunga la retta persuasione e la virtù (aretè). Ed è qui che Socrate chiede a Fedro: “E ritieni che sia possibile co noscere la natura dell’anima in modo degno di menzione, senza conoscere la natura dell’intero?” Al che, Fedro risponde: “Se si deve credere a Ippocrate, che è stir pe degli Asclepiadi, non è possibile capire nemmeno la natura del corpo, se non si segue questo metodo” 9. Questo passo, assai discusso e ben commentato da Hans-Georg Gadamer 10 , diventa di semplice comprensione se si considera che per Ippocrate, contemporaneo di Platone, vissuto a cavallo tra il IV e il V secolo a.C., la persona umana deve essere vista dal medico in fun zione di tutte le coordinate entro le quali la stessa si inserisce, in quanto la malattia è un fenomeno naturale (non più magico-teurgi co), immanente all’organismo, che dipende dal modo di reagire degli elementi che garantiscono il fun zionamento normale del corpo. La natura del tutto (e/o dell’intero) cui si richiama Socrate nel Fedro vieta, dunque, di considerare i sintomi in maniera isolata, in maniera avulsa dalla situazione di vita del paziente, e proprio per questo esige un vero metodo scientifico; la malattia non si rifà pertanto ad un puro fatto medico-biologico, ma anche, e soprattutto, ad un avvenimento biografico e sociale che impegna il medico a guardare oltre l’oggetto specifico del suo sapere e della sua capacità pratica per cogliere il vissuto e la soggettività, dunque, della persona.

Quest’idea di tutto e/o di unità, ben evidenziata da Platone nel Fedro, rappresenta, a ben vedere, il nucleo fondante di quell’idea di salute espressa, nel 1948, a livello internazionale: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità”. Per quanto indicato dall’Orga nizzazione Mondiale della Sanità, nel suo atto costitutivo, la salute non consiste, dunque, nella sola assenza di malattia, ma rappresenta uno “stato” di benessere nel quale rilevano, in buona sostanza, la com pletezza e l’equilibrio tra i diversi fattori (fisici, mentali e sociali) che la costituiscono, percepiti tali non in astratto ma dalla soggettività della persona. Quest’idea di salute, che ha superato il tradizionale approccio bio-medico e che si è ben collocata nel dibattito epistemologico della cultura medica nella seconda meta del XX secolo, è ampia, complessa e volutamente estesa al punto che qualcuno l’ha ritenuta un’utopia irraggiungibile e, quindi, all’atto pratico, tale da non suscitare parti colari fervori nell’impegno collettivo a realizzarlo. L’idea si è ben radicata nella giurisprudenza ma non è stata an cora completamente recepita dalla cultura medica, come scrive Paolo Zatti quando osserva che la “defini zione dell’OMS è spesso considerata con sufficienza e con fastidio in ambiente medico” 4. Al punto che tale definizione non è stata com

pletamente recepita nel Codice di deontologia medica del 1998 che, all’art. 3 (Doveri del medico), inten de “la salute […] nell’eccezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona”. La deontologia medica, dunque, ha recepito solo parzialmente le indicazioni dell’Organizzazione Mon diale della Sanità ed intende l’idea di salute in maniera sì ampia (come una condizione in cui rileva il benes sere fisico e psichico della persona), ma rinunciando al contempo, sotto il profilo almeno definitorio, ad indivi duarne, tra gli elementi costitutivi, anche gli aspetti di natura “sociale” ed all’aggettivo “completo” che qualifica il benessere e l’euritmia percepita tale dalla persona. Per la verità le critiche che posso no essere mosse a tale scelta, pro babilmente più realistica dell’utopia con cui, spesso, si qualifica la definizione dell’idea di salute data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, devono essere modulate da altre previsioni della deontolo gia medica che colmano le lacune evidenziate. È sufficiente citare, ad esempio, l’art. 37 del Codice di deontologia medica (“Assistenza al malato inguaribile”) che vincola il medico a “[…] limitare la sua opera all’assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità della vita”, nel caso di malattie a prognosi si curamente infausta o pervenute alla fase terminale. L’assistenza morale del paziente e l’esplicito richiamo

alla qualità della vita forniscono il richiamo ad un’idea di salute ampia e del tutto speculare a quella for nita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: un’idea volutamente forte che inserisce nella dimensio ne della salute un valore aggiunto che riguarda gli aspetti interiori della vita, vissuti e percepiti tali dalla persona, che vanno ben al di là degli standard, pre-definiti ed osservabili, dalla scienza medica su base statistico-epidemiologica, ma che possono essere valorizzati solo mediante la comunicazione e la relazione. Il che apre nuovi orizzonti e scenari nel rapporto tra le orga nizzazioni sanitarie ed i cittadini nonché tra i professionisti sanitari ed i pazienti. Nel campo di un’idea di salute in tesa in maniera uniforme ed ogget tiva, come deviazione dallo standard (disease), la stessa risulta definibile in base a criteri di scienza medica e la comparazione si affida a variabili (osservabili e riproducibili) il cui ac certamento è in capo al medico che, attraverso un procedimento logico di tipo prevalentemente induttivo, seleziona le variabili, ordina i segni ed i sintomi, qualificandoli come rilevanti o irrilevanti per risolvere il problema di salute che, di volta in volta, si presenta, ferma restando l’auto-derminazione del paziente nella fase terapeutica. Se invece il concetto di salute si apre alla percezione soggettiva del malessere ovvero all’esperienza concreta di quella specifica perso na (alla illness), l’impostazione del rapporto tra medico e paziente è 61

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completamente sovvertita: la valu tazione del problema è, in questo caso, necessariamente dialettica e la conclusione è possibile solo come sintesi tra l’auto-percezione della persona e la coscienza del medico. Conclusioni L’idea di salute che oggi legittima, nella nostra società, il diritto alla salute ed alle prestazioni sanitarie ad essa connesse è, dunque, un’idea ampia, che trascende i determinanti di stretta pertinenza biologica, aperta agli aspetti interiori della vita percepiti e vissuti tali dal soggetto che non appartengono, in astratto, alla sfera del misurabile e dell’osservabile. E ciò rileva conseguenze estre mamente forti ed impegnative, da ambo i lati, nel rapporto tra le isti tuzioni sanitarie ed il cittadino ed apre nuovi scenari in tutti i campi dell’agire medico, ivi compreso an che il campo del diritto di accesso alle prestazioni sanitarie ed al tra sferimento all’estero per cure. In tale campo, come si è visto, esiste spesso un rapporto dicoto mico, del tutto conflittuale, tra il cittadino ed i soggetti istituzionali incaricati delle relative procedure autorizzative, innescato dall’ogget tiva difficoltà di rendere compatibi le il diritto del singolo ad una salute incondizionata e non coercibile con l’idea di salute intesa, nell’interesse collettivo, come bene e diritto so ciale, del tutto limitato in quanto tale sulla base delle risorse econo miche disponibili. Sono difficoltà concrete che non si esauriscono nel solo rispetto formale delle regole del

diritto positivo che disciplinano la materia e che sottendono, ancora una volta, i delicati rapporti tra il diritto fondamentale dell’individuo e l’interesse della collettività di cui al l’art. 32 della nostra Costituzione. Tali rapporti sono stati, spesso, esaminati in un’ottica del tutto limitata: da una parte il diritto della persona alla libertà di autorealizzarsi e di auto-determinarsi nel campo della salute, dall’altro il diritto della collettività (dello Stato) a bilanciare la libertà perso nale con esigenze di natura sociale (oggi, prevalentemente, di finanza pubblica) che finisce, spesso, con il limitare la prima. Eppure, in tema di salute, gli aspetti individuali non possono non essere connessi con quelli sociali; perché ciascuno abbia la salute è necessario che vi sia un coinvol gimento attivo non tanto (e non solo) sotto il profilo economicoorganizzativo quanto soprattutto sotto quello della partecipazione attiva di tutti ad un interesse co mune. Il richiamo, evidentemente, và all’art. 2 della Costituzione che afferma il principio di solidarietà, politica, economica e sociale, per garantire i diritti fondamentali di ogni persona: se non è garantita la solidarietà non possono essere nem meno garantiti i diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, per ché è sulla solidarietà, appunto, che si gioca la realizzazione compiuta di un diritto fondamentale quale quella della salute. La rilettura dell’art. 32 della Co stituzione in questo senso ci pare essere la soluzione a molti dei pro

blemi precedentemente segnalati. L’autorizzare (e, per contro, an che il limitare) l’accesso alle cure non può essere risolto esaminando meramente i rapporti tra gli interes si in gioco – diversi, in relazione al punto di osservazione – ma ricorren do al principio di solidarietà di cui all’art. 2 della Carta Costituzionale che richiede di realizzare un diritto con il contributo, partecipato, di tutti i cittadini, anche di quelli che rappresentano le istituzioni. Ci si chiede, dunque, come la partecipazione dei soggetti isti tuzionali incaricati delle proce dure autorizzative nel campo del trasferimento all’estero per cure possa risultare meglio declinata all’interno di un rapporto che, ancorché rispettoso delle regole del diritto positivo, deve essere assolto in termini solidali e farsi carico di tutti i problemi espressi dalla persona. È probabile che, per rispondere allo scopo, l’attuale sistema orga nizzativo debba essere rivisto e semplificato, privilegiando, soprat tutto, l’effettiva presa in carico della persona. Nella situazione attuale il con tatto tra la persona che attiva la mobilità all’estero per cure e gli organi tecnico-sanitari (che sono chiamati ad autorizzarla o meno) è un contatto che avviene su base unicamente documentale: la persona interessata presenta una domanda ad uno sportello dedicato, la stessa viene correlata con una documentazione medica spesso poco esaustiva e chiara, tutta la documentazione viene successiva

mente inviata alla segreteria del Centro provinciale di Riferimento per gli interventi di alta specializ zazione di Trento, la domanda viene istruita nel rispetto delle procedure stabilite dalla Giunta provinciale di Trento, i casi sono periodicamente vagliati dal Centro provinciale stes so che esprime, per ciascuno degli stessi, un parere tecnico che viene poi inviato alla persona tramite posta, con una lettera nella quale si informa la persona medesima della possibilità di presentare eventuale ricorso amministrativo al Direttore Generale dell’Azienda provinciale per i Servizi Sanitari di Trento. Ancorché rispettoso delle regole stabilite, il tutto rileva, dalla parte del cittadino, una strutturazione burocratica che solleva, costante mente, ampie dissinergie e conflitti nel momento in cui si esprime una limitazione del diritto alle cure. Il percorso organizzativo merita di essere ridisegnato: se la salute è un’idea che non può essere costret ta in regole astratte predefinite, ri sultandone parte costitutiva anche gli aspetti interiori vissuti dalla persona, si pone la necessità di strutturare, anche in questo campo, momenti di relazione che siano in grado di favorire la comunicazione, l’interpretazione e l’empatia, in un approccio di tipo solidaristico che, con l’effettiva presa in carico della persona, può e deve rendere compatibili le istanze individuali e quelle sociali. Certo solidarietà non significa gestione anarchica dei problemi, il non rispetto delle regole e l’as 63

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sunzione di un ruolo irresponsabile da parte degli organi istituzionali che sono tenuti ad autorizzare il trasferimento all’estro per cure. Il richiamo è a due dei tre casi tratti dall’esperienza personale ed all’eccesso di potere in cui sarebbe incorso il Centro provinciale di Riferimento di Trento nel negare il trasferimento all’estero di una gio vane paziente verso Praga, essendo stato il provvedimento negativo motivato sulla non dimostrata ef ficacia della terapia con aminoacidi e fosfolipidi nel trattamento della paralisi cerebrale infantile. Per quanto in precedenza ri cordato il ricorso giurisdizionale presentato al Tribunale Regionale di Giustizia amministrativo di Trento si basa su un assunto del tutto originale: il parere del Centro provinciale di Riferimento sarebbe da annullare in quanto nell’aspetto motivazionale ci si sarebbe spinti ben al di là di quanto le regole fissate dalla Giunta provinciale di Trento imponevano, circoscritte alla necessità di verificare se le prestazioni potevano essere effet tuate – adeguatamente e tempesti vamente – nelle strutture sanitarie pubbliche del Servizio sanitario nazionale. La critica è stata espressa in maniera forte, se si vuole origi nale, ma è una critica che deve essere respinta, non solo sulla base delle previsioni della deontologia medica, ma anche sulla scorta del principio solidaristico di cui all’art. 2 della Carta Costituzionale. La solidarietà, nel rendere com patibili le legittime istanza del sin

golo e quelle della collettività, non può essere interpretata su un piano di anarchia sociale e di diritti che devono essere sempre e comunque garantiti. Essere solidali significa saper esprimere un vicendevole e reciproco aiuto e non avvalorare comunque qual siasi r ichiesta, ancorché orientata al diritto alla salute, significa – dunque – farsi promotori di giustizia e non di carità sociale. Coerentemente a ciò si esprime anche il Codice di deontologia me dica del 1998 che, all’art. 12, fissa i limiti professionali ed etici del me dico nel campo della prescrizione e del trattamento medico: “[…] La prescrizione e i trattamenti devono essere ispirati ad aggiornate e spe rimentate acquisizioni scientifiche anche al fine dell’uso appropriato delle risorse, sempre perseguendo il beneficio del paziente. […]. Sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non sup portati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di terapie segrete […]”. In tal senso, ben oltre le pre visioni della regolamentazione specifica, gli organi istituzionali sui quali grava la legittimazione del di ritto al trasferimento all’estero per cure sono tenuti, in forza del prin cipio di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione e del dettato deontologico, a non diffondere terapie o presidi diagnostici non comprovati sul piano scientifico e/o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione tecnico-scientifica.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Il presente contributo è stato pubblicato in versione integrale su Ragiusan (2005), 251-252, p. 458-467 [1] I. Cavicchi, Salute e federalismo, Bollati Boringhieri, Torino, 2001 [2] L’ art. 6 della legge n. 833 del 1978 ha attribuito alla competenza dello Stato le funzioni amministrative concernenti l’assistenza sanitaria dei cittadini italiani all’estero e l’art. 37 della medesima contiene una delega al Governo e criteri direttivi che prevedono debba essere assicurata la tutela della salute attraverso forme di assistenza, diretta o indiretta, dei lavoratori e dei loro familiari, dei dipendenti dello Stato e di Enti pubblici e dei loro familiari, nonché dei contrattisti stranieri che prestino la loro opera presso rappresentanze diplomatiche, uffici consolari, istituzioni scolastiche e culturali ovvero in delegazioni o uffici di Enti pubblici oppure in servizio di assistenza tecnica. [3] Sulla materia la Corte Costituzionale è più volte intervenuta: si veda, a tale riguardo, la sentenza n. 308 del 16 luglio 1999, la sentenza n. 6267 del 7 luglio 1998 e la sentenza n. 3094 del 15 luglio 1994.

[4] P. Zatti, “Il diritto a scegliere la propria salute (In margine al caso S. Raffaele)”, in Nuova giurisprudenza civile, 2000, II, 12 [5] F. Modugno, I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 1995 [6] M. D. Grmek, (a cura di), Storia del pensiero medico occidentale. 1. Antichità e medioevo, Laterza, Roma-Bari, 1993 [7] G. Corbellini, Breve storia delle idee di salute e malattia, Carocci, Roma, 2004 [8] G. Reale, “Presentazione al Fedro”, in Platone, Tutti gli scritti, Bompiani, Milano, 2000 [9] Platone, Tutti gli scritti, Bompiani, Milano, 2000 [10] H. G. Gadamer, Dove si nasconde la salute, Raffaello Cortina, Milano, 1994

Fabio Cembrani è direttore dell‘Unità Operativa di Medicina Legale dell‘Azien da provinciale per i Servizi Sanitari di Trento 65

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La mobilità sanitaria Guido Baldessarelli

Gli aspetti normativi e statistici della mobilità sanitaria e i problemi organizzativi ed economici ad essa legati.

La mobilità sanitaria interregionale ed internazionale si divide in: – attiva: persone non residenti in Provincia di Trento che arrivano in Trentino e beneficiano di prestazioni sanitarie da parte del servizio sanitario della Provincia; – passiva: trentini si rivolgono ai servizi sanitari di altre Regioni o di Stati esteri. I principali fondamenti normativi della mobilità sono: – l’art. 19 l. 833/78 per la mobilità interregionale; – l’art. 37 l. 833/78 per la mobilità internazionale. Questa legge sancisce il principio di libera scelta del luogo in cui ricevere le cure sanitarie. Alcuni dati di contesto Il Servizio sanitario trentino utilizza una Azienda sanitaria unica con circa 6.800 dipendenti. Tra questi abbiamo 900 medici di cui 450 medici di Medicina generale e pediatri di libera scelta. 66 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

Annualmente si erogano circa 90.000 ricoveri. Per la salute, il Trentino spende il 10% più della media nazionale. Siamo virtuosi in qualche settore come l’assistenza farmaceutica, dove non abbiamo applicato il ticket. Abbiamo una dotazione notevole di posti letto nelle residenze sanitarie assistite ( 8.200 posti letto) e comunque scontiamo una mobilità di montagna (il contesto orograficamente difficile comporta una spesa superiore). Anche sul fronte del costo del personale abbiamo uno standard più alto rispetto a quello nazionale perché viene utilizzata la possibilità della contrattazione autonoma. La Provincia di Trento è esclusa dai finanziamenti dello Stato, perciò non partecipa al riparto del fondo sanitario nazionale (è in autofinanziamento). Compartecipa ai gettiti erariali delle imposte che sono di competenza del territorio. Dal punto di vista normativo, la Provincia ha una potestà legislativa concorrente in materia di sanità. È per questo che la Provincia di Trento non è stata granchè toccata dalla riforma costituzionale del Titolo V (l. 3/2001). Mobilità interregionale Devolution in sanità e sua percezione Secondo dati CENSIS oggi il federalismo sanitario sarebbe visto favorevolmente dai cittadini perché: – consente di creare una sanità più vicina alle esigenze della

Nella stessa ricerca risulta però che il 30% degli intervistati è preoccupato delle disparità territoriali (più si differenzieranno i servizi sanitari delle Regioni, più ci sarà mobilità sanitaria). L’entità dei costi dovuti alla mobilità sanitaria passa dai 1.600 milioni di euro del ’95 ai 3.000 milioni di euro del 2003.

ne fatta in Trentino e in Veneto no, o viceversa). Alcune soluzioni a riforma costituzionale in atto: – interpretazione del Titolo V che cerca di verticalizzare nuovamente le competenze, in favore dello Stato che si fa garante anche dei rapporti internazionali; – le Regioni stanno blindando questo processo di reintegro di prestazioni o comunque di differenziazione, affermando che le prestazioni extra LEA non potranno mai essere erogate a carico dei Servizi sanitari che quelle prestazioni non hanno inserito.

Alcune problematiche legate alla mobilità: – contenzioso di fronte alla Corte Costituzionale in applicazione del Titolo V della Costituzione; – congelamento del federalismo fiscale imposto da dlgs 56/00 (il federalismo fiscale non è oggi applicato perchè si aspetta una nuova riforma costituzionale); – processo dei LEA. Lo Stato si è riservato la competenza di definire i Livelli Essenziali di Assistenza. Una volta definiti i LEA con il decreto ministeriale del novembre 2001, in tutti i servizi sanitari regionali è partita la rincorsa a trovare gli aspetti specifici della loro realtà, tanto da creare l’imbarazzo di trovarsi sempre più di fronte a 21 sistemi sanitari diversi (si comincia a non capire perché una prestazione importante vie-

Perché la mobilità sanitaria interregionale è argomento caldo per quanto riguarda la programmazione dell’economia? Da un lato, perché la programmazione ha il compito di affrontare gli squilibri dell’offerta sanitaria, in particolare dovuti alla mancanza di servizi che non trovano giustificazione, ad esempio in termini di bacino minimo di utenza. D’altro lato, l’economia sanitaria è attenta alla mobilità sanitaria perché tutte le regioni ricevono le risorse attraverso un riparto che viene fatto per quota pro-capite ponderata, ma questo valore di importi spettanti alle regioni viene poi decurtato o incrementato con riferimento agli importi che derivano dalla mobilità sanitaria. Perciò se un trentino va a Verona per un’appendicectomia, sceglie liberamente il luogo di cura, ma Verona emetterà una nota d’addebi-

popolazione; – rende più responsabili i soggetti che hanno il compito di gestire la sanità; – è in sintonia con ciò che storicamente è già avvenuto in sanità.

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to che verrà raccolta dalla Regione Veneto e inviata alla Provincia di Trento. Ogni prestazione quindi è onero sa, ma ciò spesso non viene preso in considerazione dai cittadini.

III CASO

In un reparto di un ospedale di Trento, a mio suocero fu dia gnosticato un tumore primario del fegato ancora abbastanza localizzato. Con molta gentilezza il medico che lo aveva in cura mi consigliò subito di portare il paziente all’ospedale Borgo Roma di Verona dove avrei trovato un medico che, all’epoca, praticava un tipo di chemioterapia mirata: utilizzando i vasi epatici sarebbe stata particolarmente selettiva nell’area colpita. Il medico che aveva in cura mio suocero ag giunse che questa tecnica non era ancora stata adottata nell’ospedale di Trento. Fin qui tutto secondo prassi: seguimmo tutte le procedure in regime di convenzione tra Regioni in vigore all’epoca e la chemioterapia fu eseguita con successo a Verona. Il problema venne successivamen te quando, alcuni giorni dopo, l’iter post-chemioterapia non andò secondo le previsioni. Consultato, lo specialista di Borgo Roma ci disse che non era necessario ripor tare mio suocero a Verona, poteva essere seguito direttamente dal reparto dell’ospedale di Trento, con continui contatti fra i sanitari delle due strutture.

Non capisco ancora bene il mo tivo, ma questi contatti furono molto difficoltosi e, pur di non rispostare il paziente , tenevo io i contatti con lo specialista di Bor go Roma e riferivo poi ai medici di Trento. La situazione divenne però insostenibile e alla fine fui costretta a riportare mio suocero, in gravi condizioni, a Verona, dove morì poco dopo. Con il senno di poi avrei sicu ramente potuto agire in modo diverso: avrei potuto risparmiare a tutta la mia famiglia i disagi e il nonno sarebbe morto forse in modo più sereno; avrei potuto far risparmiare alla ASL i soldi della trasferta, ma nelle decisioni da prendere fummo lasciati soli. [Farmacista] Quali sono le prestazioni che entrano in mobilità sanitaria? Oggi in mobilità sanitaria entrano – i ricoveri; – la specialistica; – le terme; – i trasporti sanitari; – la medicina di base; – la farmaceutica. Per tutte queste categorie di prestazioni si hanno 3 milioni di euro di controvalore. Ogni anno si muovono circa un milione di persone solo per i ricoveri. Il fenomeno della mobilità sanitaria, che abbiamo cominciato ad affrontare seriamente dal ’95, mette in evidenza alcuni aspetti: – circa metà delle Regioni italiane sono storicamente e cronica-









mente debitrici; questa loro posizione va consolidandosi: chi è debitore lo è ogni anno di più. E la stessa cosa vale per le Regioni creditrici: Regioni come la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Veneto sono sempre in attivo. Le Regioni centro- meridionali sono sempre in passivo; noi ci rivolgiamo principalmente alla Lombardia, al Veneto e a Bolzano (mobilità di corta gittata); la mobilità passiva per il Trentino riguarda principalmente i ricoveri (rispetto a Veneto e Bolzano); si esce per ortopedia, per oculistica ed altre cure. Siamo invece attivi per interventi di cardiochirurgia.

Mobilità internazionale La legge 833 non riconosce un diritto incondizionato alla copertura sanitaria a favore dei cittadini che si recano all’estero per motivi di svago, di lavoro o di famiglia. Perciò prima di andare all’estero bisogna richiedere se nel Paese prescelto esiste qualche forma di assistenza sanitaria. In caso negativo è consigliabile farsi una copertura assicurativa. Uno dei quattro pilastri UE è la libera circolazione delle persone, perciò i Regolamenti 1408/71 e il 574/72 sono norme di coordinamento e incidono sulla legislazione nazionale quando questa produce effetti contrari alla libera possibilità di circolazione nell’Unione Europea.

Gli Stati non appartenenti alla UE si servono invece di accordi e convenzioni internazionali. L’art. 95 della nuova Costituzione comunque sancisce il diritto alla tutela della salute e addirittura prefigura disposizioni che tendono a portare nell’UE livelli più elevati di protezione rispetto ai livelli essenziali garantiti dai rispettivi Stati nazionali. C’è da aspettarsi una forte ingerenza dell’UE negli Stati membri, accompagnata dalla conseguente necessità di alzare i livelli essenziali statali. Inoltre esiste una proposta di direttiva (direttiva Bolkestein: mar zo 2004) che recepisce i contenuti delle sentenze della Corte di Giu stizia Europea (si veda l’intervento della dott.ssa Ioriatti) a cui l’Italia (Ministero della Salute) ha opposto la necessità di armonizzazione dei sistemi sanitari e la verifica dell’impatto economico (lo Stato nazionale cerca di investire denaro per dotarsi di proprie strutture di erogazione, pensando di avere un bacino di utenza a cui erogare tali prestazioni e poi i cittadini, forti del loro diritto, attraversano il confine, ricevono le prestazioni alle stesse condizioni garantite dallo Stato di provenienza, cosicché lo Stato nazionale si trova a pagare sia una struttura che è costata e non produce, sia gli addebiti da parte di Stati esteri). Fino a qualche tempo fa le ASL emettevano modelli; con queste car te i cittadini andavano al l’estero, ricevevano le prestazioni consegnando questo modulario, le 69

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strutture estere compilavano altri modulari e addebitavano allo Sta to italiano, che poi provvedeva al pagamento dell’addebito. Oggi sono state introdotte delle novità: 1) innanzitutto, l’allargamento dell’Unione Europea ha portato i suoi membri da 15 a 25, acco gliendo Stati con un reddito pro capite sensibilmente inferiore a quello dei 15 precedenti e, quindi, con un sistema sanita rio più debole. L’allargamento a 25 Stati membri costituisce di per sé un nodo intricato per chi sta propugnando un sistema sanitario senza più confini per i pazienti europei, anche per le prestazioni programmabili ed a prescindere dall’alta specialità delle stesse. 2) In secondo luogo una persona che circola nell’UE ha diritto a beneficiare delle prestazioni me dicalmente necessarie (direttiva 641/04). Prima del 2004 solo la persona che richiedeva una pre stazione valutata come urgente poteva usufruire gratuitamente delle strutture sanitarie dello Stato estero UE. Oggi invece è possibile usufruire di tutte le prestazioni sanitarie (non solo quelle urgenti) gratuitamente. Restano escluse solo le presta zioni programmabili (per le quali vale ancora l’autorizzazione preventiva); 3) L’altra novità riguarda la sop pressione di una serie di modelli di autorizzazione. Il modulario in Italia era nominato “Carnet della salute”, oggi abolito in

attuazione dell’articolo 50 della legge 326/2003 (come applicato dal decreto 18 maggio 2004 del Ministero dell’Economia e Finanze, di concerto con il Ministero della Salute) di in troduzione del nuovo ricettario del servizio sanitario nazionale che può essere utilizzato per “le prescrizioni delle prestazioni sanitarie agli assicurati, cittadini italiani o stranieri, residenti o in temporaneo soggiorno in Italia, il cui onere è a carico di istituzioni estere in base alle norme comu nitarie o altri accordi bilaterali di sicurezza sociale”. Dal 1 novembre 2004 i modelli sono stati sostituiti da una tessera (TEAM: Tessera Europea di Assistenza alla Malattia). La TEAM è una tessera (plastificata) già distribuita in molte Regioni. Con la TEAM una persona che va all’estero accede direttamente al servizio senza pagare nulla. La mobilità che derivava dalle prestazioni urgenti autorizzate dai modelli soppressi ha comportato per lo Stato italiano una spesa annua intorno ai 35 milioni di euro (valore sottostimato perché le stesse aziende sanitarie nazionali non sono mai state molto attente a curare tali aspetti). Dal 1995 al 2000 erano attive su questo fron te solo la Provincia di Trento e la Provincia di Bolzano. Ciò va imputato non solo alla ca pacità di attrazione turistica che ha determinato e determina un flusso notevole di persone nelle stagioni estive ed invernali, ma anche alla

grande attenzione che la Provincia e l’Azienda provinciale per i servizi sanitari hanno riservato a questo tema, sviluppando un buon sistema informativo in grado: a) di raccogliere tutti i dati utili alle fatturazioni delle presta zioni attive; b) di sviluppare un contenzioso tecnicamente valido rispetto alle fatturazioni degli altri Stati, pervenute attraverso il Ministero della Salute. Conclusioni e chiarimenti Quando si è detto che le Regioni stanno consolidando il proprio dato negativo di mobilità interregionale, non significa che i servizi sanitari di queste regioni siano disastrosi. Ci sono altri aspetti che influi scono sulla decisione del paziente di spostarsi. È necessario quindi analizzare i dati per capire più a fondo il problema. Per quanto riguarda la mobilità internazionale, stanno maturando convincimenti all’apertura del di ritto alla salute attraverso la mo bilità. Bisogna però fare attenzione all’impatto economico che avrà quest’apertura.

Guido Baldessarelli è responsabile del Servizio Economia e programmazione sanitaria, Assessorato delle politiche per la salute della Provincia Autonoma di Trento 71 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

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Salute e globalizzazione Dialogo di Bioetica e Biodiritto del 13 maggio 2005

In relazione ai “dintorni territoria li” il concetto di salute può essere definito anche in una prospettiva globale, che considera come in al cune aree del mondo la vita stessa degli individui sia giornalmente messa a rischio da patologie ormai debellate o sotto controllo nei Paesi più ricchi. Il concetto di salute, di pa tologia, e la stessa garanzia del diritto alla salute si modificano fortemente secondo l’area geo grafica in cui si risiede. Il recente

caso sudafr icano dei brevet ti relativi ai farmaci impiegati nella cura dell’AIDS ha posto in luce il problema della forte iniquità che si ripresenta anche con riferimento a patologie diffuse quali la TBC e la malaria. L’incontro era volto ad eviden ziare i principali fattori che impe discono la prevenzione e la cura di patologie simili, evidenziando l’attuale impossibilità di una salute realmente globalizzata. (G.S.)

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Il diritto alla salute nella prospettiva della mondializzazione Daniela Bifulco

I processi legislativi intesi a governare la globalizzazione non dovrebbero dimenticarsi di riflettere sull´inalienabilità e sull´universalità dei diritti umani.

La natura mista (strutturale e sovrastrutturale) della mondia lizzazione Il titolo prestato a questi spunti di riflessione asseconda, si dirà, un’irritante attitudine piuttosto in voga, che spinge il giurista a corteggiare un tema – la mondia lizzazione 1 – che meglio si presta ai ferri del mestiere dell’economista e del sociologo. Conviene pertanto tentare di dar conto, in prima battuta, del perché del tema indicato, il quale riposa, al tempo stesso, su una certezza e su un dubbio. La certezza è che la mondia lizzazione incide sulla tutela dei diritti sociali (sia di quelli c.d. di prestazione, sia dei diritti sociali dei lavoratori) nei modi e per i motivi a cui si accennerà. Il dubbio riguarda invece l’an nosa questione del chi sia nato prima, se l’uovo o la gallina. Fuor di metafora, è la mondializzazione, in quanto fenomeno strutturale, a condizionare ineluttabilmente le evoluzioni del diritto (e dei diritti 74 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

sociali fondamentali) oppure le opzioni di questo o di quell’ordina mento giuridico possono giocare un ruolo nel determinare, a loro volta, il corso della mondializzazione, dando man forte alla sua deriva liberista o, al contrario, cercando di correggerne gli effetti più deleteri sui diritti sociali ? Nell’anticipare la risposta – che tenteremo di argomentare qui di seguito – diremo, forse peccando di ottimismo, che l’una ipotesi non esclude l’altra; in altri termini, la mondializzazione ha “natura mista, perché da un lato, la fortissima dipendenza dai meccanismi di in terazione economica è sicuramente strutturale, ma, d’altro lato, nella misura in cui riguarda le istituzioni e le fonti di regolazione, può pre sentarsi anche sotto forma giuridica sovrastrutturale” 2. Quanti affermano, al contrario, la natura eminentemente strutturale della mondializzazione, tendono a sottolinearne anche, e nel contem po, la sua irreversibilità; tale tesi è affermata non solo da sostenitori dell’economia globalizzata, ma – come notato di recente 3 – anche dai suoi oppositori, o comunque da autori che hanno rivolto uno sguardo molto critico alle dinami che e conseguenze della stessa: nell’incipit del loro Impero Negri e Hardt scrivono, ad esempio, di un “irresistibile e irreversibile globa lizzazione degli scambi economici e culturali” 4. In una prospettiva siffatta, il diritto (e, segnatamente, quelle branche del diritto più sensibili all’istanza di garanzia dei diritti

sociali, quali il diritto del lavoro internazionale e interno, e il diritto costituzionale) sta sulla difensiva, escogita rimedi, giocando però, inevitabilmente solo in difesa. Secondo la prima prospettiva indicata, tesa a evidenziare la na tura mista della mondializzazione, quest’ultima non è affatto desti nata a procedere in linea retta, come dimostrerebbero le analogie storiche 5: esistono, infatti, forze economiche e politiche suscettibili di contrastarne l’irreversibilità. Se le cose stanno così, la mon dializzazione può essere regolata giocando anche d’attacco: regole giuridiche “globali” possono cioè orientare in modo più incisivo le sue evoluzioni. Come dire che la mondializzazione giuridica può orientare, almeno in parte, quella economica. Applicando questa ipotesi al nostro tema, al rapporto cioè tra diritti sociali e mondializzazione, diremo che una tutela di quei diritti a livello globale (attraverso scelte giuridiche “forti”) potrà orientare le scelte economiche. Certo, la strada in tal senso è dis seminata di insidie; sappiamo bene che il ricorso alla “regola” giuridica si è rivelato, negli ultimi decenni di economia globalizzata, sempre più impervio 6 , come descritto efficacemente da chi ha guardato alla globalizzazione come ad “un processo di passaggio di consegne di sempre maggiori poteri dagli Stati ai mercati” 7. E, tuttavia, chi ragiona di dirit to ha il dovere di non limitarsi a descrivere i fatti: i quali, del resto,

dicono delle enormi difficoltà con cui la tutela dei diritti fondamentali si scontra nel contesto della mondializzazione. Basti pensare al fatto che le scelte fondamentali in tema, per esempio, di diritto alla salute sono adottate dal WTO, che, allo stato, è dunque l’istituzione che ha il maggior impatto su quel diritto: appare invero paradossale che un organismo creato per la liberalizzazione del commercio adotti le scelte essenziali in tema di salute 8. Egualmente sintomatica, in tal senso, appare la progressiva estromissione delle Nazioni Unite – che dovrebbero essere, invece, l’unico ambito globale deputato a rappresentare i popoli del mondo 9 – dall’ambito della tutela dei diritti sociali. Se provassimo a ragionare sulla natura anche sovrastrutturale della mondializzazione, a recuperare dunque, quanto meno a livello teorico, la sua aderenza rispetto alle istituzioni del diritto e alle fonti di regolazione giuridiche, potremmo giungere alla conclusione che non siamo affatto dinnanzi a un processo irreversibile, destinato a sfuggire perennemente alle maglie del diritto. Va seriamente rimeditata, come si diceva, l’eventualità che, ad un certo punto, nei processi di integrazione economica, intervengano forze sociali e politiche in grado di far subire a quei processi significative battute di arresto 10. Di recente, una suggestione in tal senso è venuta da un economista “liberale”, il quale parte 75

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Salute e globalizzazione

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da una semplice constatazione: l’integrazione dei mercati a livello globale si verifica allorché il costo della distanza (geografica) si riveli inferiore al differenziale dei costi di produzione 11; il che è avvenuto a partire dagli anni ’50 del XX secolo, quando il progresso tecnologico ha portato a rapidissime riduzioni dei costi di distanza 12. Questa dinamica si complica, rendendo più ardua la dinamica di integrazione economica, ove si consideri che i costi di produzione dipendono almeno da due fattori: il costo del lavoro e il capitale all’interno dei singoli Stati, fattori “politici” in quanto dipendenti dal l’azione politica dei governi 13. Un esempio sarà utile per vi sualizzare meglio quanto appena affermato. Il riferimento è al feno meno dell'outward processing trade, espressione tipica e iniqua dell’eco nomia globalizzata, per cui Paesi ricchi esportano proprie materie prime in Paesi poveri, o comunque in cui il costo del lavoro è basso, per ottenerne la lavorazione a bas so costo, e per reimportarle a fine lavorazione 14. Tale fenomeno è causa diretta del c.d. social dumping su scala mondiale, ovvero quella tendenza per cui gli operatori economici tendono a dislocarsi laddove sia possibile avvantaggiarsi di costi sociali inferiori 15. Tale fenomeno costituisce uno dei principali fat tori di condizionamento dei diritti sociali su scala mondiale. È evidente che se il costo del lavoro in un dato Paese X è adegua tamente alto, non vi sarà nessuna

convenienza per un altro Paese Y a delocalizzare temporaneamente le proprie attività produttive in quel Paese X per poi reimportarle alla fine della lavorazione. Ciò significa che, manipolando il costo del lavoro, gli effetti più negativi della globalizzazione eco nomica possono essere regolati, limitati, re-innalzando barriere all’integrazione dei mercati e difese per i diritti sociali (dei lavoratori, in tal caso). Se limitiamo il campo visuale all’Europa, tali rilievi mostreranno la loro utilità, con riferimento, in particolare, al processo di allar gamento dell’Unione verso i Paesi dell’Europa centro-orientale e alla dinamica virtuosa che esso potrà favorire in vista della tutela dei diritti sociali: l’estensione delle medesime garanzie sociali ai lavo ratori migranti provenienti dall’Est avrà come conseguenza che nes suno di essi potrà più ricevere un trattamento lavorativo (in senso ampio: retribuzione, condizioni di lavoro, regime previdenziale, ecc.) inferiore rispetto ad un cittadino appartenente al “nucleo forte” dell’UE e vorrà dire anche riduzione del rischio che il social dumping si sposti verso Est, come accaduto finora. L’estensione verso Est delle me desime garanzie previste per i lavoratori dell’Unione Europea “dei 15” è un esempio di come la regola giuridica (leggi: il diritto sociale comunitario) può salvaguardare i di ritti sociali (dei lavoratori dell’Est), tamponando o, addirittura, correg gendo le conseguenze peggiori deri

vanti dall’integrazione economica e garantendo una più generale istanza di equità sociale 16. La manipolazione del “costo della distanza” attraverso una rego lamentazione mirata può assumere ancora altre forme: i divieti all’im portazione di prodotti ottenuti con lavoro minorile o penitenziario si traducono in un aumento del costo della distanza 17. In tale direzione sembrano pro cedere le cd. clausole sociali, che, inserite nei trattati di commercio internazionale, hanno ad oggetto i diritti sociali internazionalmente riconosciuti, il cui rispetto diviene condizione per godere dei benefici indotti dalla liberalizzazione del commercio e per evitare di incorrere in sanzioni economiche 18. Al di là delle buone intenzioni, tuttavia, le clausole sociale pongo no non pochi problemi, tra i quali figura quello dell’individuazione delle clausole stesse nel conte sto delle relazioni commerciali internazionali: si è osservato, di recente, come nel GATT-WTO manchi un’esplicita clausola sociale, “fatta eccezione per il blando art. XX”, relativo, però, al “caso eclatante dell’esclusione dal libero scambio delle merci realizzate con lavoro carcerario” 19. Sembra inoltre molto significativo che i tentativi volti a corredare il nascente WTO (verso la metà degli anni Novanta) con clausole sociali siano falliti per opposizione, in primo luogo, dei Paesi in via di sviluppo, i quali hanno visto, in dette clausole, il tentativo dei Paesi più ricchi di proteggere i propri settori maturi

dalla concorrenza dai prodotti a basso costo provenienti da altri mercati 20. Questo timore sarebbe confermato dal fatto che gli stessi Paesi che si fanno promotori di tali clausole, insistono per dare elevata priorità ad alcune di esse (è il caso del lavoro minorile), e tendono a eludere altri diritti sociali dei lavo ratori (come, ad esempio, i diritti sindacali) 21. La triste realtà ci parla inoltre degli effetti controproducenti del le clausole sociali: nel caso della Costa d’Avorio, le politiche di ag giustamento strutturale, perseguite da FMI e Banca mondiale, hanno sì favorito il rispetto del divieto minorile nella raccolta di cacao e caffè, spingendo però i minori nelle braccia dell’industria del sesso 22. L’esempio offerto dalle clausole sociali – al di là degli indubbi pro blemi pratici posti da escamotages giuridici siffatti – ci sembra comun que importante, in quanto sintomo di una tendenza ben precisa, vale a dire il tentativo di rendere meno inevitabile il “condizionamento” dei diritti sociali nell’era della mondializzazione 23. Atri due esempi chiariranno ulteriormente come elementi non direttamente legati al processo produttivo, ma con una forte com ponente giuridico-politica, possono incidere sulle dinamiche dei costi, dimostrando, ancora una volta, come le dinamiche proprie della mondializzazione siano influenzate da fattori quanto mai eterogenei, non solo strutturali: 1) la scadenza di un brevetto (o il suo superamento) può ridurre 77

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sensibilmente il costo di produ zione del bene che ne è oggetto a vantaggio di un produttore locale, e allora si assiste a una de-globalizzazione della produ zione. Tale de-globalizzazione si potrebbe verificare ad es. per la produzione di farmaci antiAIDS da parte dei Paesi poveri 24 (infra, § 2); si pensi alla legge indiana (Indian Patent Act, del 1972, voluto da Indira Gandhi) che riconosceva sì il diritto di proprietà intellettuale, ma solo sui procedimenti produttivi, non già sui prodotti; da quel momento le aziende indiane furono libere di copiare un far maco, scegliere il processo più efficiente per fabbricarlo, dargli un nome di fantasia, che lo distinguesse da quello coperto da brevetto e rivenderlo a meno della metà del prezzo rispetto a quello fissato dal detentore del brevetto 25. 2) La produzione illegale di libri, CD, o altro fa sorgere mercati secondari o irregolari; in tal caso, in luogo della scadenza di un brevetto, si è in presenza di un suo obiettivo superamento mediante il mancato rispetto delle leggi, che si traduce in una riduzione dei costi per i pro duttori locali e in una speciale forma di de-globalizzazione 26. In definitiva, non può escludersi che un mutamento nelle dinamiche tecnologiche, con nuovi metodi produttivi e variazioni nei prezzi delle materie prime, possa abbatte re i costi di produzione ricostituen do la barriera della distanza 27.

Fattori di condizionamento dei diritti sociali di prestazione: il caso del diritto alla salute La premessa da cui abbiamo preso le mosse reca in sé anche un’indi cazione circa i rimedi al male indi cato: se esistono, come crediamo, fattori di natura non strettamente economica, suscettibili di influen zare le dinamiche della mondializ zazione, appare evidente che è su quegli stessi elementi che occorrerà far leva per dar voce all’istanza di una più efficace tutela dei diritti sociali. I quali restano tuttavia, nella communis opinio, diritti “con dizionati”, a livello globale, così come a livello interno, nonostante la natura di diritti fondamentali che, pure, è loro attribuita. Occorre allora far cenno ai prin cipali tra tali elementi “condizio nanti”, tentando, al tempo stesso, di interpretare questi ultimi al di là di vulgate ideologiche ormai cristallizzate. A tal proposito, va detto il fat tore che più condiziona – a livello teorico – l’approccio ai diritti socia li è proprio di natura ideologica. Prendendo le mosse dai diritti sociali di prestazione e, segna tamente, dal diritto alla salute – uno dei principali diritti sociali, per il bene essenziale che ha ad oggetto – possiamo accennare a un documento emblematico per l’ideologia liberista che vi è sotte sa, tesa a ribaltare il rapporto di causa-effetto che lega la povertà alla malattia. Il riferimento è al c.d. Rapporto Sachs, elaborato nel 2001 dall’omonimo economista di fama mondiale (che ha presieduto

la Commissione macroeconomia e salute, su mandato OMS); la tesichiave del citato rapporto è che la cattiva salute è causa di povertà. Sarebbe la malattia, cioè, ad essere causa diretta della povertà e non il contrario. La ricetta proposta da Sachs è un attacco frontale al carico di malattia (burden of desease) nei Paesi poveri, che si tradurrebbe in un ritorno economico. La salute, da diritto fondamen tale, diviene, in tale prospettiva, volano dell’economia; da diritto fondamentale, essa degrada a bene monetizzabile 28. Il corollario più pericoloso che si può trarre da una siffatta imposta zione è che la salute viene tutelata solo laddove convenga, laddove ci sia un ritorno economico. Per tacere, poi, di ulteriori e ancora meno nobili implicazioni ideologiche sottese a teorie sif fatte: è stato notato, ad esempio, come il Rapporto Sachs abbia ri calcato senza eccessiva originalità vecchie idee proprie della Fonda zione Rockfeller della prima metà del XX secolo sul nesso malattiasottosviluppo, quale, ad esempio, l’ossessione della liberazione dalla malattia come liberazione di ener gie lavorative compresse (retaggio, forse, di un inconscio protestante che equipara la malattia al peccato) e relative favole edificanti come la rimozione, negli Stati Uniti del sud, di una malattia (anemia cro nica da infestazione parassitaria: ancylostoma duodenale), che fu ribattezzata come lazy desease. Tale malattia era vista come causa

centrale di pigrizia e, quindi, di bassa produttività 29. Insomma, il refrain è antico e rinvia alla metafora invariata della malattia come “colpa”, agli inquie tanti immaginari che le società hanno allestito, di volta in volta, intorno alla malattia 30 e alla stra tegia “bio-politica” di controllo che, come ha insegnato Foucault, passa anche attraverso la medicalizzazione della vita umana 31. Ugualmente ideologico appare l’argomento della “scarsità delle risorse”, in cui si ravvisa, comu nemente, il principale fattore di condizionamento dei diritti sociali. In tema di condizionamento di diritti sociali, il problema evidente mente non è quello del totale delle risorse a disposizione: “soprattutto per Paesi che si vantano di essere al V o al VI posto (questo dipende dalla nota querelle tra Italia e Gran Bretagna) nelle classifiche mondiali, il totale delle risorse interessa fino ad un certo punto. La questione, allora, non è se vi siano o meno le risorse per soddisfare adeguatamen te il diritto alla salute, ma se vi sia o meno la volontà politica di de stinare a questo impiego le somme necessarie, distogliendole da altre utilizzazioni” 32. L’utilizzazione distorta della for mula “scarsità delle risorse” è stata ben evidenziata, da chi, riflettendo sulla valenza universale di diritti sociali, ha ravvisato in quella for mula un argomento di “carattere capzioso, [finalizzato] a fornire una giustificazione al potere poli tico, il quale per diversi motivi, ma nella sostanza soprattutto per non 79

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mettere in discussione le differenze sociali, politiche ed economiche consolidate, non mostra interesse a tutelare determinati diritti” 33. Questa critica si può translitte rare, riferendola alla dimensione globale: anche a livello mondiale il problema non è quello della scarsità delle risorse da destinare alla salute, ma quello (di natura squisitamente politica) di come allocare le risorse a disposizione.

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I CASO

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Ripenso spesso ad un caso, non è un caso clinico, e non è avvenuto nell’ambito del mio lavoro ospe daliero, è piuttosto un fatto che talvolta mi torna alla mente. Si è verificato anni fa a Lourdes, dove io accompagno, con un’asso ciazione di volontariato, ammalati e portatori di handicap. È un luogo dove, oltre alle persone del nostro pellegrinaggio, c’è l’occasione di incontrare tanti altri, provenienti da Paesi diversi, sani ed ammalati, sereni e disperati. Una mattina, davanti all’ambiente che ospita i nostri ammalati, arriva un pullman, vecchio, scassato, sembra prossimo a perdere i pezzi per strada, carico di persone che scendono stanchissime e provate: arrivano dalla Polonia, hanno fatto il viaggio senza soste, con due autisti che si davano il cam bio, mangiando panini portati da casa e dormendo in qualche modo seduti su sedili scomodi e stretti. Fra gli altri scende T., un giovane che cammina con le stampelle: non i nostri bastoni canadesi,

lucidi, leggeri, su misura, co munque una pena per chi vi è costretto per tutta la vita, ma stampelle di legno, quelle “di una volta”, con il supporto sotto le ascelle con un’imbottitura ri vestita da una vecchia stoffa. Si ferma a chiacchierare con noi, che con qualcuno dei nostri ammalati stiamo “facendo salotto” in corti le in attesa che gli altri vengano preparati e ci raggiungano. T. ci racconta la sua storia, la grande gioia di poter finalmente fare quel viaggio, ma soprattutto, a noi medici e infermieri, le sue vicende sanitarie: paura! Costretto ad usare le stampelle, in continente, con ricorrenti infezioni delle vie urinarie, è evidente la difficoltà ad accedere alle cure, la mancanza di farmaci, di presidi. Nei giorni successivi stiamo spesso assieme, e gli diamo tutto ciò che si può togliere dalla nostra farmacia attrezzatissima e sempre sovradimensionata (pessimismo? vogliamo sempre essere preparati a qualsiasi problema possano avere gli ammalati e i pellegrini che accompagniamo!): gli diamo antibiotici, disinfettanti, garze sterili, siringhe, guanti monouso, ma soprattutto… Urocontrol! Li accetta con comprensibile ritegno, ma con vero sollievo, sono per lui un grande problema, costano troppo! Alle porte di casa nostra, un paziente incontinente non può permettersi gli Urocontrol! Alcuni dei nostri volontari hanno tenuto i rapporti con T., sono riusciti a farlo venire in Italia per qualche breve soggiorno, è

tornato con noi a Lourdes, con il nostro treno attrezzato, con la possibilità di sdraiarsi, con tutta l’assistenza necessaria che per noi è “normale” e per lui un sogno. Ha cambiato stampelle, ora sono più moderne, gli Urocontrol non sono più un problema, per lui le cose sono migliorate, ma quanti nel mondo non hanno accesso neanche ad una minima frazione di quello che per noi è “normale”? Cos'è che è “dovuto”? Cos'è che è “diritto”? Le risorse non sono distribuite equamente, è evidente, è lampan te: quale la nostra responsabilità, la responsabilità del singolo? Quali azioni possiamo, dobbia mo intraprendere per far sì che i “decisori” politici, economici, cambino strada? [Medico] II CASO

È il 4 gennaio. Rientro dalle va canze. A metà mattina si affaccia allo Studio medici la nostra in fermiera: “Dottoressa, si ricorda di quell’appello sul giornale del l’Associazione Bambini Rumeni? È arrivato proprio adesso M., accompagnato da due donne”. Qualche mese prima ero stata contattata da R., che insieme al marito P. fa parte dell’Associazio ne Bambini Rumeni; mi chiedeva se ci fosse qualche possibilità di reperire farmaci antiemofilici da inviare in Romania, dato che avevano avuto segnalazione di un bimbo di circa tre anni con emofilia B grave, che aveva solo occasionalmente la possibilità di

reperire farmaci per correggere i numerosi episodi emorragici registrati. Le avevo spiegato che l’unica possibilità era di rivolgersi alle ditte produttrici, per vedere se avessero eccedenze di fattore, ma che come struttura pubblica non eravamo nelle condizioni di spedire farmaci, mentre la legge italiana ci consente di prestare cure a cittadini stranieri, sia regolari che irregolari. Dopo qualche giorno, l’appello su un quotidiano locale alla ricerca di fondi per l’acquisto di concentrati di fattore IX della coagulazione. M. ha appena tre anni, è accom pagnato da R. e dalla madre A. Per entrare in Italia il bambino è stato affidato a P. e R., mentre la madre lo ha seguito con un per messo di soggiorno per turisti, che già dall’inizio ci angoscia perché sarebbe scaduto dopo tre mesi. Madre e figlio hanno un rapporto interdipendente come spesso si osserva anche in famiglie italiane: A. lo ha allattato fino a pochi mesi prima, dormono sempre insieme. Per venire in Italia con M. ha lasciato il marito, un’altra figlia adolescente e la suocera che convive con la famiglia. Vivono nella provincia rumena e il ma rito presta servizio nell’esercito. Insomma una famiglia normale. Ma i farmaci non si trovano. M. ha episodi di emartro almeno settimanali, ha ricevuto cure solo occasionali e a posologia insufficiente, quando, solo sal tuariamente, l’unico Centro Emo 81

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filia esistente in Romania riceve quantitativi di fattore in scadenza dalle ditte produttrici. L’appello fatto in Italia ha per messo l’acquisto di solo 750 UI di fattore IX, quando la sua dose varia da 500 a 1.000 UI, a se conda della gravità degli episodi. Piange disperato: ha un grosso emartro del ginocchio destro, che si presenta tumefatto, caldo, do lente, in lieve flessione. Il tempo di valutare la documentazione e prepariamo la terapia. Subito rimaniamo esterrefatti. Appena seduto in poltrona, si asciuga le lacrime, tende il braccio e si lascia pungere senza protestare: ha capito che quella è la cura, che fra poco non sentirà più dolore! M. ha solo tre anni e quella è solo la prima di molte lezioni di maturità che ci ha impartito nei mesi successivi. La sua situazio ne articolare è già compromessa dalla recidiva di emartri, il gomito destro non presenta addirittura una flessione completa, per cui decido di iniziare un regime di profilassi antiemorragica. Il pensiero va ai “nostri” bambini emofilici, che coccoliamo quando fanno i “capricci” e che sono da sempre curati con i migliori pro dotti in commercio nel mondo. Nelle settimane successive la diffidenza di M., che è un vero “maschio” e non ama le effusioni e i baci, si allenta: gioca con noi, lo sguardo severo si apre in sorrisi sempre più spesso, non ha mai pianto al momento dell’infusione, neppure quando incidentalmente è stato necessario cercare un se

condo accesso venoso. In questi giorni non si sono ripetuti emartri e anche l’aspetto evidenzia che non è più sofferente. Alla scadenza del permesso turisti co della madre, tutte le ipotesi e le strategie ipotizzate per poterlo trattenere in Italia falliscono; capiamo che A., che intanto ha potuto farsi una cultura sulla malattia di suo figlio e trovare anche molti elementi di speranza per un futuro “normale”, sente la pressione della famiglia: pare che il padre abbia avuto garanzia di continuità di cura in Romania, per cui partono, accompagnati dall’in certezza del futuro e dalla scorta di farmaco che ci è consentito fornire loro per il fabbisogno di un breve periodo, da mille raccomandazio ni e dalla garanzia che la nostra porta resterà aperta... Abbiamo saputo poi che nei primi giorni a casa c’era già stata una recidiva di emartri... L’80 % degli emofilici del mondo non riceve una terapia adeguata o, più spesso, nessuna terapia. In un contesto in cui si contano a milioni le morti per “sottopeso” parlare dei pazienti affetti da malattie rare suona quasi come un atteggiamento eccentrico, così questi bambini, queste persone sono i più poveri fra i poveri. La loro cura è infatti sostitutiva, mediante farmaci emoderivati o ricombinanti estremamente costosi, che non sono solo dei salvavita, ma cambiano il destino di queste persone da predestinati ad una vita da disabili, con anchi losi articolari ed atrofia muscolare

indotte dalle recidive di emorra gie intraarticolari e muscolari, incapaci dunque di affrontare una vita lavorativa normale, a cittadini con piene potenzialità se adeguatamente trattati. È frequente ricevere richieste di aiuto da emofilici dei Paesi poveri del mondo, cui ovviamente non possiamo dare istituzionalmente risposte positive. In questi casi i vincoli normativi non permettono infatti la forni tura del farmaco, che è l’unica cosa che serve a M., che proviene da una famiglia senza particolari problemi economici e sociali nel suo contesto vitale. Mi domando se realtà anche pic cole come la nostra, non possano farsi carico di qualche paziente emofilico, nell’ambito di un pro getto di solidarietà e di aiuti per garantirgli una vita e un futuro normale e se, a conti fatti, questo non sia meno oneroso per tutti: per i pazienti e le loro famiglie, che non sarebbero costretti ad emigra re in cerca di cure, sottoponendosi a distacchi laceranti, ma anche per il Paese che offre aiuto, che si troverebbe ad intervenire alla copertura delle vere esigenze senza farsi carico di tutte le problemati che e degli oneri legati alla figura dell’immigrato. Nella nostra Provincia, come nel resto dell’Italia e del mondo occi dentale, gli ultimi anni sono stati caratterizzati dalla introduzione dei farmaci ricombinanti al po sto degli emoderivati. Per contro siamo produttori di plasma, che, nell’ambito di un consorzio di

regioni, viene ceduto all’industria in cambio di emoderivati in con to lavorazione, con accumulo di semilavorato di fattore VIII e di fattore IX. Sarebbe auspicabile studiare un sistema di cessione di questi prodotti per esempio per coprire o ridurre il fabbisogno di un Paese povero, in cui la popo lazione emofilica non riceve una terapia adeguata. [Medico] Occorre dunque, in primis, rica librare attentamente, di volta in volta, i termini del bilanciamento più corretti dal punto di vista costi tuzionale, lasciando da parte formu le che di giuridico non hanno nulla (scarsità di risorse) e che sono solo concettualizzazioni (pretestuose e ideologiche) volte a giustificare lo status quo. Al di là della retorica di cui sono viziati gli argomenti suddetti, proveremo dunque a enucleare i principali ed effettivi fattori di con dizionamento, a livello mondiale, di uno dei più importanti diritti sociali di prestazione, quale il diritto alla salute. Tra tali fattori va segnalata la partecipazione delle grandi multina zionali all’indirizzo e alla gestione della salute pubblica, secondo il modello delle partnership globali pubblico-privato: si tratta di una tendenza funzionale al “progetto di spostare la salute dalla sfera dei diritti a quella dei beni di consumo”, progetto che rischia, nel contempo, di alimentare la crescente delegit timazione del sistema delle Nazioni 83

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Unite, che pure dovrebbe essere, come già rilevato, l’unico ambito globale deputato a rappresentare i popoli del mondo 34.

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III CASO

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Una associazione caritatevole di Trento mi segnala una don na pakistana con un bambino di tre mesi di vita, perché si è rivolta presso la loro sede per la richiesta di latte artificiale (in seguito L.A.) per l’alimentazione del proprio figlio. Da qualche anno è avviato un lavoro inte grato anche con servizi esterni all’Azienda Sanitaria, lo prevede anche la legge che disciplina il servizio di Consultorio. Questo lavoro interdisciplinare è frutto di un’analisi di qualche anno fa che aveva evidenziato con preoc cupazione il ricorso frequente all'uso, da parte delle famiglie straniere, di L.A. per lattanti. C’è un accordo con questi servizi che prevede che ogni qualvolta pervenga loro una richiesta di L.A. si esamini attraverso il nostro servizio (ostetriche del Consultorio) la necessità reale di questo bisogno. Tornando al caso specifico sap piamo che tra gli stranieri nel nostro Paese le donne pakistane sono tra coloro che difficilmente parlano italiano, servendosi spesso dei familiari qualora se ne presenti la necessità. Quindi contatto al telefono il marito e mi accordo per un intervento domiciliare assicurandomi di tro vare qualcuno a casa che possa

farmi da interprete; a volte è necessario organizzarsi in orari inconsueti perché possa coinci dere con gli orari dei familiari. Il giorno stabilito mi presento a casa, dove trovo oltre alla mam ma anche il marito, il quale mi dice che hanno bisogno del L.A. perché il figlio ha tre mesi di vita, e la famiglia non è in grado di acquistarlo. Quindi chiedo loro il motivo per cui la mamma non continui ad allattare al seno il loro figlio. Il marito mi risponde che ormai egli ha tre mesi e che non necessita più del latte della mamma. Io provo a spiegare che il latte della mamma è ancora un otti mo alimento per il piccolo, che viene raccomandato di allattare al seno almeno un anno e chiedo loro il perché di quella scelta... Il marito si confronta con la moglie e mi risponde che in Pakistan le donne allattano i loro bambini fino a tre mesi di vita e che suc cessivamente ricorrono al L.A. Nel frattempo il marito continua a consultarsi con la moglie e mi sembra di capire che la signora non intenda sentir ragione. Dal confronto non sembra esistano margini perché la mamma con tinui ad allattare. Come operatore mi trovo ad un bivio, una scelta mi invita a raccomandare la prosecuzione dell’allattamento al seno, l’altra invece di cedere alle richieste acconsentendo la consegna di L.A. La scelta fu sofferta ma optai per la seconda condizione, perché il rischio che sommini

strassero latte fresco o, peggio ancora, a lunga conservazione era molto alto, negando loro il L.A. Questo dovuto al fatto che spesso la condizione economica di queste famiglie è precaria; un solo reddito perlopiù basso, affitto e famiglie numerose. In questo caso a carico della fami glia c’erano altri tre figli e si può comprendere bene lo stato eco nomico senza che ti presentino la denuncia dei redditi. In termini generali, che inte ressano tutti i Paesi in via di sviluppo, sono arrabbiata nel co statare quanto le multinazionali del L.A. influiscano fortemente nel modificare culture radicate, che in passato erano sicuramente favorevoli all’allattamento ma terno. Le raccomandazioni in merito dell’OMS e dell’UNICEF non pe sano sufficientemente nel fre nare il mercato del L.A. a livello mondiale. Le campagne di boi cottaggio sono molto ostacolate, proprio dalle regole economiche che influenzano i mercati, gli interessi delle case produttici di L.A. non sono certo orientati dalla convenienza in termini di salute. Mi viene da dire che gli ordinamenti mondiali non ven gono dalle nazioni ma dai poteri del mercato economico, che si insinuano nelle scelte di politica sanitaria internazionali. L’APSS di Trento con il 2005 ha avviato una collaborazione con le associazioni di mediatori cul turali; il futuro sarà la loro for mazione anche su questo terreno

perché possano contribuire nella promozione dell’allattamento materno. [Ostetrica] In secondo luogo, l’informazione, che, se non adeguatamente tutela ta, può rivelare tutto il suo impatto sul diritto alla salute: uno dei casi più eclatanti e recenti di come una cattiva informazione si sia rivelata un boomerang per la tutela della salute è quello della Sars, il cui “record più strabiliante è stato il suo impatto economico: il panico da Sars, la paura di viaggiare han no decapitato per mesi il turismo e il commercio” 35. È mancato un atteggiamento responsabile da parte dei governi che, attraverso i media, avrebbero dovuto lanciare una mas siccia campagna di informazione che desse conto della possibilità bassissima di venire a contatto con il virus. Così come se è vero che il virus è nato, come si è affermato, forse a causa delle macellazioni incontrollate, è anche vero che si è espanso grazie alle bocche cucite dei funzionari addetti ai controlli 36. In ultima analisi, il diritto glo bale della proprietà intellettuale. Le intese globali sulla proprietà intel lettuale sembrano porsi sempre più come regola generale che informa le politiche sanitarie, configurando il diritto alla salute – cui invece spet terebbe il ruolo di regola e principio di diritto davvero universale e ina lienabile – quale eccezione rispetto al diritto dei brevetti 37. La legislazione sui brevetti, quale sancita negli accordi Trips (Trade 85

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Related Aspects of Intellectual Pro perty Rights) del WTO, è certo uno dei fattori che più incisivamente condiziona la tutela della salute a livello globale 38, dal momento che consente all’industria detentrice di imporre prezzi molto elevati, e ciò per un periodo di tempo molto lun go, 20 anni. Decorsi i 20 anni, alla scadenza del brevetto, il farmaco diventa generico: solo allora decade il regime di monopolio e il farmaco potrà essere prodotto anche da altre aziende. Tale trend si è imposto soprattut to nel corso dell’ultimo decennio, offuscando del tutto il principio secondo cui la brevettazione di farmaci essenziali si pone contro l’interesse pubblico. Va ricordato che quando, nel 1986, fu lanciato l’Uruguay Round per i negoziati commerciali, più di 50 Paesi esclu sero la brevettabilità di farmaci es senziali. Due anni dopo, un dossier sui diritti di proprietà intellettuale fu presentato, non a caso, dall’As sociazione imprese transnazionali di Giappone, Stati Uniti e Europa, sempre nel contesto dell’Uruguay Round. Il risultato è che oggi le nazioni industrializzate detengono il 97% di tutti i brevetti esistenti a livello mondiale e più dell’80% dei brevetti concessi ai Paesi poveri appartengono ai cittadini dei Paesi industrializzati 39. Ad aggiungere ulteriori difficoltà, gli accordi WTO del 1994 impedisco no di fatto ai Paesi in via di sviluppo di percorrere lo stesso cammino già compiuto dai Paesi industrializzati: gli accordi Trips vietano infatti a molti Paesi del sud del mondo di

ricorrere alla c.d. ingegneria inver sa, vale a dire quel metodo (cui si è fatto cenno in riferimento al caso indiano) che consente di riprodurre non già il farmaco, ma il procedi mento di produzione dello stesso. Per far fronte alle emergenze dei Paesi più poveri, nella conferenza di Doha del WTO del novembre 2001, sono state previste alcune eccezioni volte a consentire la produzione, in casi di emergenza, di medicine indispensabili ancora sotto brevetto senza pagamento di diritti alle case farmaceutiche 40 (c.d. regime delle importazioni parallele). Da tale conferenza è nata la “Dichiarazione di Doha su Trips e salute pubblica”, che, a dispetto dell’enfasi che essa pone sull’accesso alle cure per tut ti, non mette certo in discussione l’ispirazione complessiva degli accordi WTO sulla proprietà intel lettuale. Di fatto invita gli Stati membri del WTO a un’interpreta zione più flessibile degli accordi stessi e prevede uno slittamento di 10 anni (fino al 2016) affinché i Paesi meno ricchi si adeguino alle clausole degli accordi 41. Per quanto detto, appare evidente la necessità di ristrutturare il diritto dei brevetti; a tal scopo potrebbe rivelarsi di grande utilità ermeneu tica rimeditare le critiche mosse dal post-strutturalsmo all’idea moderna di proprietà intellettuale, basate su un’istanza forte di dissociazione tra il soggetto/autore e la sua opera. Quel che ai nostri fini appare più utile recuperare di quel filone di pensiero non è tanto la sua voca zione di impresa epistemica, quanto quella di liberazione politica ad esso

sotteso: “da Foucault a Lyotard, da Derrida a Baudrillard, la scomparsa della firma, se non dello stesso scrittore, non risponde solamente al progetto della realizzazione di una ‘decostruzione’ radicale dell’au toriferimento […]. Esso costruisce altresì un programma, a rigore anzi una nuova politica. L’utopia post-moderna è quella dell’anoni mato. Essa consegna […] l’opera in retaggio, per la condivisione (en partage). Antiumanista, essa mostra che non vi è niente dietro l’apposizione di una firma, se non degli imperativi regolanti gli scambi commerciali” 42. Ancora una volta sarà utile chia mare in causa Foucault : “I testi, i libri, i discorsi hanno cominciato ad avere realmente degli autori nella misura in cui i discorsi potevano essere trasgressivi” 43. La creazione di un circuito di proprietà in cui inquadrare la creazione intellettuale è nata, tra la fine del XVIII e inizio XIX secolo, anche allo scopo di com battere la diffusione di pamphlet anonimi, ostili al regime. L’anonimato, ricordava dunque Foucault 44, fa impazzire i potenti e i diritti d’autore nascono proprio per scongiurare il primo. Forse è il tempo di far impazzire di nuovo i potenti (leggi: le multinazionali farmaceutiche), tornando all’anoni mato (leggi: alla rivisitazione della legislazione dei brevetti su farmaci essenziali). In conclusione, vorremmo solo aggiungere che, per fronteggia re gli aspetti più deleteri della mondializzazione, sarà necessaria un’ammissione di responsabilità

verso la dimensione internazionale dei diritti sociali che muova, innanzitutto, dalle costituzioni nazionali stesse 45. Per quanto detto, e se è vero che la globalizzazione può essere governata dal linguaggio del diritto e dei diritti (come l’esperienza comunitaria, seppure per vie traverse, ha insegnato), occorrerebbe non prendere congedo dalla riflessione circa gli elementi fondativi dei diritti umani, dall’idea di un quid minimo, un nucleo duro, indisponibile e dall’idea della loro universalizzazione. Tale istanza appare tanto più impellente con riferimento ai diritti sociali, la cui tutela non può più ritenersi confinata nei soli ranghi di una logica statocentrica e autoreferenziale 46. Appare in tal senso non secondaria la previsione di cui all’art. 35 della Carta di Nizza, che, estendendo la titolarità del diritto alla salute agli individui (e non più solo ai cittadini degli Stati membri) 47, comporta, almeno in teoria, una significativa torsione del concetto tradizionale di cittadinanza. NOTE Il presente contributo costituisce parte di un articolo dal titolo “I diritti sociali nella prospettiva della mondializzazione”, di prossima pubblicazione in Democrazia e diritto (n. 4/2004) [1] La variante linguistica preferita 87

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in questa sede – rispetto al corrispettivo anglosassone di globalizzazione – rimanda al concetto di mondializzazione, quale si desume dalle analisi di F. Braudel, Capitalismo e civiltà materiale, Einaudi, Torino, 1977; La dinamica del capitalismo, il Mulino, Bologna, 1981. Per la nostra prospettiva – tesa a evidenziare la possibilità e, insieme, la necessità di intervenire sui meccanismi di interdipendenza economica globale – il pensiero del citato Autore si rivela particolarmente fecondo, laddove muove dal rifiuto di guardare all’economia di mercato nei termini di fattore “assoluto, esclusivo”, essendo il mercato espressione di “un legame soltanto imperfetto tra produzione e consumo” (p. 51 op. ult. cit.); così come il capitalismo, benché forma di un livello sofisticato dell’economia di mercato, si mostra, nella riflessione dell’ A., inadeguato a “coinvolgere l’insieme della vita economica” (ivi, p. 47) D’altro canto, quella di Braudel è un’analisi più attenta ai nodi lasciati irrisolti dal pensiero liberale del XIX secolo e, segnatamente, i problemi della disuguaglianza che taluni Paesi scontano all’interno di un’area economica integrata: come notato da M. Deaglio, Postglobal, Laterza, 2004, p. 39, “nella versione francese la mondializzazione dell’economia è letta alla luce di una maggiore ricchezza di

implicazioni politiche, carenti, o forse solo sottese nella versione anglosassone” (cfr., ad esempio, le osservazioni di Braudel circa la rigida gerarchizzazione che accompagna le evoluzioni dell’economia di mercato: F. Braudel, op. ult. cit, pp. 61 ss.) [2] P. Tosi, F. Lunardon, Introduzione al diritto del lavoro (vol. 1, L’ordinamento italiano), Laterza, 2004, p. 191 [3] M. Deaglio, cit., p. 44 [4] M. Hardt, A. Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano, 2001, p. 13 [5] M. Deaglio, cit., p. 25 ss [6] S. Rodotà, “Diritto, diritti, globalizzazione”, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 4/2000, p. 771 e 777 [7] M. R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzione, il Mulino, Bologna, 2000, p. 15 [8] A. Stefanini, “Liberalizzazione del commercio e salute umana”, in Rapporto 2004. Salute e globalizzazione, a cura di E. Missoni, Feltrinelli, Milano, 2004, p 149 [9] E. Missoni, Un occhio italiano sulla salute nel mondo, in www. tempomedico.it. [10] Sul punto cfr. anche I. Clark,

Globalizzazione e frammentazione. Le relazioni internazionali del XX secolo, il Mulino, 2001 [11] “Se – per fare un esempio – nel Paese A il costo di produzione è pari a 100 e nel Paese B è pari a 85, mentre il costo della distanza è pari a 20, i mercati rimangono separati perché ai produttori del Paese B non conviene cercare di vendere nel Paese A. Il loro prodotto non potrebbe essere infatti posto stabilmente in vendita a meno di 105 e l’operazione si chiuderebbe in perdita”, M. Deaglio, cit., p. 26

[17] M. Deaglio, cit., p. 27 [18] A. Perulli, cit., p. 942 e id., Diritto del lavoro e globalizzazione, Cedam, Padova [19] L. Zoppoli, “Strumenti di tutela del lavoro nel mercato globale: le clausole sociali”, in Democrazia e diritto, 3/2004, p. 136-137 [20] Ibidem [21] F. Bonaglia, A. Goldstein, Globalizzazione e sviluppo, il Mulino, Bologna, 2003, p. 46 [22] L. Zoppoli, cit., p. 138

[12] Ibidem [13] Ivi, p. 27 [14] A. Perulli, “Diritti sociali e mercato globale”, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 4/2000, p. 941 [15] F. Carinci, A. Pizzoferrato, “Costituzione europea e diritti sociali fondamentali”, in Lavoro e diritto, 2/2000, p. 299 [16] Sull’assenza di una predisposizione alla solidarietà e alla redistribuzione del reddito, che caratterizza un – perciò inesistente – “popolo” europeo v. D. Grimm, “Una Costituzione per l’Europa?”, in Il futuro della Costituzione, a cura di J. Luther, P. P. Portinaro, G. Zagrebelsky, Einaudi, Torino, 1996, p. 364

[23] Per quest’orientamento v. A. Perulli, cit., p. 942, secondo cui la clausola sociale può divenire un “criterio di condizionalità sociale nell’ambito del governo dei processi economici internazionali” [24] M. Deaglio, cit., p. 30 [25] Sulle evoluzioni della legislazione indiana – di segno non incoraggiante per la tutela del diritto alla salute – successive all’Indian Patent Act, v. S. Romani, “Stop ai farmaci dei poveri”, La Repubblica, 30 aprile 2005 (supplemento). [26] M. Deaglio, cit., p. 31. Il passaggio dalla società disciplinare a quella controllo, o, in alti termini, la trasformazione del potere disciplinare in bio89

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potere, reca in sé un fruttuoso paradosso: il biopotere, fagocitando ogni elemento del sociale, diviene immanente, svelando “un nuovo contesto, un nuovo ambiente costituito dalla massima pluralità”, dalla molteplicità, dalla moltitudine; e quest’immanenza si traduce in un’arma rivoluzionaria: “le resistenze non sono più marginali, ma agiscono al centro della società che si distende nelle reti”. M. Hardt, A. Negri, cit., p. 40

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[27] M. Deaglio, cit., p. 30

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[28] R. Scuccato, “Macroeconomia e sanità nel rapporto Sachs/OMS: la salute come diritto o leva per un’economia di mercato?”, in Rapporto, cit., 2004, p. 139 ss. [29] Ivi, p. 145 [30] Sulle metafore – e relative implicazioni ideologiche – legate alla malattia rinviamo al bellissimo saggio di S. Sontag, Malattia come metafora. Aids e cancro, Einaudi, 1992 (Illness as metaphore, New York, 1977) [31] M. Foucault, “La naissance de la médicine sociale”, in Dits et écrits (1954-1988), t. III, Gallimard, Paris, p. 210 [32] M. Luciani, “Brevi note sul diritto alla salute nella più recente giurisprudenza costituzionale”, in Il diritto alla salute alle soglie del

terzo millennio. Profili di ordine etico, giuridico ed economico, a cura di L. Chieffi, Giappichelli, Torino, 2003, p. 64 [33] S. Della Valle, “Oltre la cittadinanza. Considerazioni sulla dimensione universale dei diritti umani e sui presupposti normativi della loro attuazione”, in Teoria politica, 1/2000, p. 55 [34] E. Missoni, “Un occhio italiano sulla salute nel mondo”, in www.tempomedico.it. [35] S. Calvani, “La Sars: una nuova epidemia che sfida i teoremi globali”, in Rapporto 2004, cit., p. 79 [36] Ivi, pp. 79-80 [37] N. Dentico, “Globalizzazione e accesso alle cure: un’insolente storia di apartheid sanitario”, in Rapporto 2004, cit., pp. 175-76 [38] A. Stefanini, cit., p. 153 [39] N. Dentico, cit., p. 170 [40] M. Deaglio, cit., p. 30p. [41] N. Dentico, cit., p. 173 [42] G. Larochelle, “Da Kant a Foucault: che cosa resta del diritto d’autore?”, in http://bfp. sp.unipi.it/art./roch.htm [43] M. Foucault, “Che cos’è un autore?”, in Scritti letterari,

(trad. it.), Feltrinelli, Milano 1984, pp. 9-10 [44] F. Carlini, “Ma il Web è discriminato”, in Il Manifesto, 5 maggio 2005, p. 5

[47] A. Lucarelli, “Commento al l’art. 35”, in L’Europa dei diritti, a cura di R. Bifulco, M. Cartabia e A. Celotto, il Muli no, Bologna, 2001, p. 245

[45] Sul riconoscimento di una responsabilità sociale internazionale (“Solidarität und Offenheit gegenüber der Welt”) nella Costituzione svizzera si veda F. Haldemann, Verantwortung als Verfassungsprinzip: die schweizerische Verfassungsordnung im Spannungsfeld der Verantwortungsethik, Schultess, Zurigo, 2003, p. 163. Sulla responsabilità decisionale dei singoli Stati nel contesto della mondializzazione, che non deve venir meno, ma solo ricalibrarsi in vista dei modi ”con cui partecipano all’elaborazione, prima, e alla gestione, dopo, degli accordi e delle istituzioni da essi fondati”, U. Allegretti, Diritti e Stato nella mondializzazione, Città aperta, Troina, 2002, p. 225 [46] S. Della Valle, cit., p. 55, B. Pezzini, La decisione sui diritti sociali, Giuffrè, Milano, 2001, p. 164; e, sulla necessità di coniugare l’aspetto sociale e quello politico della tutela dei diritti, ai fini della stessa coerenza concettuale della categoria “diritti umani”, v. G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 1995, pp. 148-49

Daniela Bifulco è professore di Diritto Costituzionale presso la Seconda Uni versità di Napoli 91

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Diritto alla salute e disuguaglianze economiche Roberto De Vogli

Gli effetti della globalizzazione e le conseguenze delle disuguaglianze economiche sulla salute.

Questa relazione si propone di: 1) analizzare l’evidenza scienti fica riguardante le disuguaglianze economiche e la salute nel mon do; 2) discutere degli effetti della globalizzazione economica su tali fattori; 3) capire quali possano essere alcuni suggerimenti politici per affrontare questi problemi. Analisi dell’evidenza scientifica riguardante le disuguaglianze eco nomiche e la salute nel mondo Innanzitutto dobbiamo riconoscere che analizzare l’evidenza scientifica sul rapporto tra diversità econo miche e salute è piuttosto arduo, perché vi è una grande incertezza negli indicatori, sia a livello econo mico che di salute. Ad esempio per misurare lo stato di salute di una popolazione possia mo utilizzare molti indicatori; forse il più utilizzato è l’aspettativa di vita, ma ha dei limiti, perché non prende in considerazione ad esem pio la qualità di vita. 92 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

Altri indicatori talvolta utilizzati sono: – la salute percepita; – la mortalità per tutte le cause; – la mortalità infantile (utilizzata specialmente nei Paesi in via di sviluppo); – alcune specifiche cause di morte; – i tassi di morbilità; – gli anni di vita perduti da una persona. Innanzitutto va fatta una considerazione: l’aspettativa di vita ai tempi dell’Impero romano era di 28 anni circa. Nel 1541 in Inghilterra e in Galles si viveva fino a 35 anni. Questo trend è rimasto pressoché invariato fino al 1800-1900; successivamente c’è stato un aumento drastico. Oggi l’aspettativa di vita globale è di 65 anni, anche se c’è una grande differenza tra vari Paesi (in Sierra Leone si arriva ai 35 anni, in Giappone si superano gli 80). Dal 1900 al 1997 c’è stato un decremento di mortalità infantile considerevole. Viviamo in un momento di grande benessere dove lo sviluppo economico, associato a vari altri fattori ci ha portato ad un buon grado di salute. Tuttavia non possiamo dirci tutti pienamente soddisfatti perché c’è una grande disparità tra lo stato di salute dei Paesi poveri e dei Paesi ricchi, oltre che tra ricchi e poveri in uno stesso Stato. Da un grafico dell’OMS emergono i principali fattori di rischio che spiegano la mortalità e la disabilità nel mondo. L’indicatore di rischio a cui è attribuibile quasi il 10% della

mortalità e disabilità è l’underweight, che è sinonimo di fame. Poi ci sono i comportamenti sessuali. In alcuni villaggi una persona su 2 muore di AIDS. Poi ci sono altri fattori di rischio più legati agli stili di vita occidentali e allo stress. Il terzo fattore di rischio è l’alta pressione sanguigna. Infine ci sono alcol e tabacco. I fattori di rischio sono diversi, in funzione dello stato socio-economico del Paese che consideriamo. Alcuni autori sostengono che l’AIDS sia una malattia della povertà. Su 40.000.000 di malati di AIDS, 28.000.000 vivono nell’Africa sub-sahariana e 6.000.000 in Asia, quindi nei due continenti più poveri del mondo. Dobbiamo chiederci dunque quali siano i fattori che incidono di più sulla salute di una popolazione, tra i tanti possibili, quali: – la nutrizione; – la crescita economica; – la tecnologia della sanità pubblica; – l’igiene e la disponibilità di acqua potabile; – l’educazione e l’autonomia delle donne; – gli stili di vita; – l’assistenza medica; – la genetica. Qui discuterò dell’ipotesi che le disuguaglianze economiche siano uno dei fattori più importanti che incidono sulla salute di una popolazione. Innanzitutto dobbiamo verificare

se lo stato socio economico sia as sociato alla salute anche all’interno di una determinata popolazione. Dall’analisi dei dati ci accorgiamo subito che la mortalità di chi ha un reddito più alto è nettamente inferiore rispetto a quella di chi ha un reddito basso. Ogni gradino di reddito porta ad un incremento di salute e ad un decremento di mortalità. Un dato che fa riflettere è il rapporto tra la crescita economica del PIL e l’aspettativa di vita. Fino a 10.000 dollari di PIL la correlazione tra benessere economico e salute è chiara: più alto è il prodotto in terno lordo più alta è l’aspettativa di vita. Superati i 10.000/15.000 dollari di PIL la relazione tra reddito e salute diventa molto più debole. Poi c’è da considerare che ci sono un paio di Paesi come Cuba e Costa Rica che riescono ad avere un’aspettativa di vita o una salute migliore degli USA e vicina a quella del Giappone, nonostante abbiano un reddito più vicino a quello del Sierra Leone che a quello degli USA. Perciò è necessario interrogarsi sulla molteplicità di fattori che incidono sulla salute, e non solo sulla crescita economica. Infatti sopra i 10.000 dollari di reddito, la correlazione tra crescita economica e salute è abbastanza debole. Se osserviamo le regioni italiane, c’è una correlazione significativa tra crescita del PIL e aspettativa di vita, però è interessante notare come la Basilicata, che ha un red dito pari alla metà di quello della 93

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Lombardia, abbia un’aspettativa di vita più alta di quella della Lombar dia. Perché? Abbiamo pubblicato un articolo sul Journal of Epidemiology and Public Health dove analizziamo il rapporto tra disuguaglianze eco nomiche e salute nelle regioni italiane. Emerge chiaramente che le regioni italiane che hanno una disuguaglianza economica inferiore hanno un’aspettativa di vita più alta (Marche, Umbria, Toscana…). Richard Wilkinson nel ’92 ha por tato avanti questa teoria: minori sono le disuguaglianze economiche, migliore è la salute. I governi dei Paesi ricchi dovrebbero cercare di ridurre le disuguaglianze economi che e di creare i presupposti per una vita migliore. Questa teoria della correlazione tra disuguaglianze economiche e salute è stata fortemente critica ta anche in sede accademica. Nel 2001 alcuni colleghi dell’Università del Michigan e di Bristol hanno di mostrato che non c’è correlazione tra la disuguaglianza economica e la salute nei Paesi industrializzati. I risultati di Wilkinson erano do vuti ad una selezione particolare di Paesi. Recentemente abbiamo riesami nato la relazione con alcuni colle ghi americani e italiani e abbiamo dimostrato che questa correlazione invece c’è, ed è forte. Abbiamo il Giappone e gli USA agli antipodi: pensiamo ai due tipi di società. I Giapponesi vivono sopra gli 81 anni, in America non raggiungiamo i 77. Per il gruppo di lavoro di cui fac

cio parte la disuguaglianza econo mica è un fattore molto importante. Anche negli USA c’è questa corre lazione. Negli Stati americani dove le disuguaglianze economiche sono più alte la mortalità è più alta. La critica più forte a questa tesi è che la relazione tra disuguaglian ze economiche e salute è dovuta ad un artefatto statistico. In pratica si dice che nelle società dove ci sono più disuguaglianze economi che vive anche un maggior numero di poveri e quindi la relazione tra disuguaglianze economiche e salu te non ha molto senso. In base a questa critica, poiché nelle società dove ci sono più disuguaglianze ci sono anche più poveri, il problema non è la ridu zione delle disuguaglianze ma solo l’incremento del reddito. Tenendo conto di ciò, gli economisti della Banca Mondiale e del FMI dicono che coloro che hanno formulato la teoria della disuguaglianza eco nomica e salute si sono sbagliati. Bisogna continuare ad incremen tare reddito e PIL perché questa è la via maestra che ci condurrà al benessere nel mondo. In realtà io non credo all’artefat to statistico. Ci sono abbastanza evidenze, non di tipo metodologi co, ma teorico, per capire che una società dove ci sono grandi disu guaglianze economiche certamente ha un numero di poveri maggiore, ma ha anche una aggregazione sociale minore. Per spiegare la relazione, disu guaglianze economiche e salute usiamo la povertà e la coesione

sociale come fattori che spiegano perché le disuguaglianze econo miche sono importanti per una società. Ad esempio vediamo che nelle regioni italiane è vero che le disu guaglianze economiche sono corre late con la povertà: dove ci sono più disuguaglianze economiche c’è più povertà. Però questo non è un artefatto statistico, ma l’effetto di politiche precise. Inoltre vediamo che dove ci sono grandi disuguaglianze ci sono meno volontari per abitante. Devo complimentarmi con il Trentino che ha un numero di volontari per abitante spavento samente alto rispetto alle altre regioni italiane. Perché il fatto di avere più vo lontari in una regione è un impor tante fattore per la salute? Perchè in una regione più coesa c’è meno stress e le relazioni sociali sono qualitativamente migliori. Quindi oltre alla povertà come fattore che spiega la correlazio ne disuguaglianze economiche e salute c’è l’effetto psico-sociale, cioè lo stress, l’ostilità, i compor tamenti anti-sociali, la violenza. Pensiamo ad esempio agli USA che hanno una disuguaglianza economica impressionante e hanno anche tassi di violenza piuttosto alti; molte persone muoiono per armi da fuoco. Più che dire che la relazione tra disuguaglianze economiche e salute sia un artefatto statistico, direi che la povertà e la coesione sociale sono effetti che spiegano la relazione tra i due fattori.

Quali sono gli effetti della globalizzazione sulle disuguaglianze economiche e sulla salute nel mondo? La definizione di globalizzazione si riferisce alla crescente integrazione economica e alla interdipendenza politica tra Paesi del mondo. In termini concreti, la globalizzazione si riferisce a precise politiche. Per esempio alcune politiche che sono prototipiche della globalizzazione, sono le politiche di aggiustamento strutturale del FMI e della Banca Mondiale nei Paesi in via di sviluppo. Che cosa promuovono queste politiche? – la liberalizzazione del commercio; – la liberalizzazione dei mercati finanziari; – la privatizzazione; – la riduzione della spesa pubblica; – l'incremento o l'introduzione delle tasse scolastiche e sanitarie. Le opinioni sono divise. Società civile e università da un lato, pensano che le politiche di aggiustamento strutturale abbiano avuto un effetto negativo sulla salute. Banca Mondiale (che si autovaluta i progetti) e FMI dall’altro, affermano che le politiche di aggiustamento strutturali sono state importanti per la salute e quando non hanno funzionato è stata colpa dei governi dei Paesi in via di sviluppo, che non le hanno implementate come i fondamentalisti del mercato hanno prescritto. Fino al 1940 ci sono state grandi 95

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disuguaglianze economiche, che si sono stabilizzate tra il ’40 e il ’70, per aumentare un po’ prima del 1980, nonostante ci sia stata una riduzione della mortalità. Questo effetto è avvenuto in quasi tutti i Paesi ricchi. Dal 1980 in poi, cioè dal momento in cui le politiche economiche della globalizzazione hanno cominciato ad essere realiz zate, si è verificato un incremento sostanziale delle disuguaglianze economiche. Se le disuguaglianze economiche non creassero così tanti effetti ne gativi sulla povertà e sulla coesione sociale, tutto sommato potrebbero esistere. Tuttavia le disuguaglianze economiche vanno ad incidere su salute, coesione sociale, incremen tano lo stress e la povertà, perciò sono un problema. Una persona nella scala sociale più bassa in Galles e in Inghilterra ha 3 volte la probabilità di morire di una persona nell’alta scala sociale. La globalizzazione ha rallentato l’incremento dell’aspettativa di vita, più che causato una riduzione. Però questo decremento non è stato omogeneo. La nostra salute è conti nuata a migliorare mentre in Africa e negli Stati della ex Unione Sovie tica la situazione è peggiorata, c’è stato un incremento spaventoso di mortalità. Un altro effetto devastante delle politiche socio-economiche, ben documentato da Joseph Stiglitz (economista che ha vinto il Nobel da poco, autore di “La globalizzazio ne e i suoi oppositori”), è relativo al fatto che da quando il FMI e i suoi

fondamentalisti hanno cominciato a spiegare agli economisti russi come attuare la transizione economica, l’aspettativa di vita dei russi è drasticamente diminuita (da 52 a 44 anni di vita). Parliamo delle tasse scolastiche e di quelle per i servizi sanitari. Pensiamo di far pagare alle fami glie di Africa o India dei tickets di un dollaro. Se vivono con meno di un dollaro al giorno come fanno a mandare i bambini a scuola? In Kenya quando sono state introdotte le tasse sanitarie, i li velli di mortalità sono aumentati notevolmente. Stiglitz ha scritto che se molti Paesi si rifiutano di adottare il no stro modello di sviluppo dovremmo chiederci il perché. Non è soltanto per quello che si è fatto nel passato, come i trattati commerciali iniqui o la colonizzazione, ma per quello che si sta facendo ora. Si parla di liberalizzazione del commercio in un momento in cui Europa e USA fanno protezionismo e in Italia si propongono i dazi per le industrie cinesi. Quando c’è da guadagnare, liberalizziamo tutto, quando perdia mo cominciamo ad erigere le bar riere doganali. Ecco perché questa liberalizzazione è iniqua. Scambiare merci, comprare e ven dere è una libertà che deve essere preservata, ma quando le regole del gioco vengono stabilite solo da alcuni gruppi e vengono cambiate quando sfavoriscono il proprio gioco, si creano necessariamente condizioni di disparità che non favoriscono di certo la costruzione di una società migliore.

“I Paesi poveri guardano non solo a quello che diciamo, ma anche a quello che facciamo e non sempre quello che facciamo è uno spetta colo edificante” (Stiglitz). Quali sono le implicazioni politi che per lo sviluppo e l’equità? L’OMS qualche anno fa ha spiegato che ci sono una serie di azioni da compiere per migliorare lo stato di salute dei Paesi ricchi. Quali sono i problemi principali dei Paesi ricchi? Innanzitutto c’è ancora molta povertà. Il grafico analizzato mo strava che ad ogni incremento di reddito corrisponde un decremento di salute. Se ne deduce che molto probabilmente lo stato socio-eco nomico è correlato allo stress. Il fatto di avere grandi disuguaglianze economiche ci mette in difficile relazione con l’altra persona. Co minciamo a provare ostilità, invidia, a non essere più coesi da un punto di vista sociale. Un’altra idea interessante per le società occidentali è quella di sconfiggere questa sindrome da status, che si ricollega ai dati mo strati prima. Per i Paesi in via di sviluppo le cose sono ben diverse, devono ancora crescere da un punto di vista economico e sconfiggere la povertà. Lo Stato del Kerala, però, che ha un PIL nettamente inferiore rispet to a quello degli USA, ha tuttavia un’aspettativa di vita che è uguale a quella degli USA. Paesi che hanno lo stesso PIL hanno anche mortalità molto diver

sa. In Costa d’Avorio 175 bambini muoiono ogni 1.000, in Tagikistan che ha lo stesso PIL solo 72. A parità di reddito in Bulgaria molti bambini si salvano nel primo anno di vita. C’è l’evidenza che Paesi come Cuba, Costa Rica, Kerala, Bulgaria, Tagikistan, che hanno avuto regimi di tipo comunista, sono riusciti ad assumere alcuni assetti che Paesi che hanno adottato politiche neoliberiste non sono riusciti ad avere. Cosa fare dunque a livello globale? Cito le raccomandazioni di Stiglitz: – cancellazione del debito ed incremento degli aiuti internazionali; – riforma del FMI, della Banca Mondiale, del WTO attraverso un’ampia partecipazione alle decisioni; – investimenti in istruzione, sanità e stato sociale. Cosa fare a livello locale? Alcuni economisti dicono: “Power concedes nothing without a demand”; in altre parole, se non richiediamo a coloro che ci governano un cambiamento, una modificazione dello stato delle cose, non succederà mai nulla. “The basic source of health is powerful citizens’ and vigorous association”, cioè a livello locale dobbiamo chiedere con forza un cambiamento. Lo sviluppo economico sta per: – eliminazione di forme estreme di sofferenza; – libertà ed autonomia; – felicità; 97

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– libertà, equità e fraternità. Sviluppo è anche soprattutto dignità. Potrei declinare il concetto di dignità in tre filoni: – rispetto per se stessi; – rispetto per gli altri; – tensione ideale.

Salute e globalizzazione

Una società che rispetta i poveri è una società che non tollera le disuguaglianze economiche di cui abbiamo parlato. Il rispetto per gli altri è anche una garanzia per ridurre lo stress e migliorare le relazioni sociali.

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Roberto De Vogli è Senior Research Fellow presso il Dept. Epidemiology and Public Health dell'University College, Londra

La salute come progetto Gianni Tognoni

Nel panorama di una globalizzazione governata da un diritto internazionale dettato dagli Stati dominanti, la salute è diventata un´operazione di immagine?

Vorrei partire da una prospettiva giuridica anche se non sono affatto un esperto di diritto. Sono un ricercatore medico. Ho avuto occasione di assistere alle trasformazioni del diritto e della salute nel corso degli ultimi 30 35 anni. Farò dunque riferimento anche a questi aspetti storici del rapporto salute-diritto. Anch’io ritengo che il problema non sia lo sviluppo economico, ma che sia la disuguaglianza nello sviluppo eco nomico la causa di molte violazioni di diritti, compreso il diritto alla salute. Il diritto dei popoli nel tema di oggi è una categoria molto affa scinante, ma inesistente. I popoli sono i protagonisti e l’orizzonte della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, ma rimangono nel preambolo di questa dichiarazione. Prima della fine della seconda guerra mondiale sono stati sti pulati gli accordi economici che stabilivano la formazione di due

organismi, la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale che formalmente dovevano essere strumenti del nuovo diritto, ma che fin da allora rappresentavano gli interessi specifici degli Stati vincitori. Che cosa vuol dire avere il diritto dei popoli come orizzonte? L’oriz zonte può essere dichiarato ma poi dimenticato; l’orizzonte può essere invece interpretato come ciò che viene posto in avanti e che dà la misura della distanza, del cammino che c’è ancora da compiere. Se il diritto alla salute nella glo balizzazione è una dichiarazione di principio, se la salute è un indica tore di vita, ovviamente la salute stessa deve essere considerata un diritto fondamentale. Il diritto alla salute è sostan zialmente un’espressione del dirit to alla vita e come tale è un diritto fondamentale. L’Agenzia delle Nazioni Unite che per prima viene creata è l’OMS, che dà della salute una definizione che echeggia molto quella del pream bolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La salute non è assenza di malattia ma fruizione del benessere. L’OMS nasce come agenzia priori taria che dovrebbe garantire che i diritti generali possano essere tra dotti in diritti quotidiani, fruibili dalle persone concrete. La salute non è altro che questa modalità del diritto fondamentale alla vita di abitare nel quotidiano, mettendo al servizio di questo quotidiano gli strumenti dello sviluppo, della 99

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tecnologia e dell’economia in un ruolo che in qualche modo è se condario.

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Il diritto dei popoli è rimasto tuttavia un diritto virtuale. È stato fondato il Tribunale Permanente dei Popoli. Ci siamo riuniti ad Al geri immediatamente dopo la fine del periodo della decolonizzazione, nel ’76, quando ancora c’erano dei popoli non allineati e, all’indomani della fine della guerra del Vietnam da una parte e della liberazione dell’Algeria dall’altra, abbiamo ela borato una Dichiarazione Universa le dei Diritti dei Popoli indicando una carenza in quel mondo che, almeno sulla carta, stava diventan do uguale (tutti avevano accesso, in quanto Stati, ad un posto e ad un voto nell’ambito delle Nazioni Unite). La Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli è stata elaborata nel ’76. Ci sono delle coincidenze più o meno casuali (ma non troppo) con la sanità: è del ’76 la prima formulazione da parte dell’OMS della lista dei farmaci essenziali. Nel momento in cui il mercato diventa protagonista della salute che sta trasformandosi in sanità, in sistema di servizi e prestazioni più che in progetto, nel momento in cui l’economia sta occupando fi sicamente la sanità, l’OMS formula una proposta che cerca di definire che cosa significhi storicamente la traduzione dei diritti, attraverso lo strumento dell’indicatore dei farmaci, che di tutte le prestazioni sanitarie è quella che più quotidia

namente arriva alle persone. Contestualmente si formula il primo abbozzo di quella che sarà due anni dopo la Dichiarazione di Alma Ata sulle cure primarie. Tale dichiarazione af ferma so stanzialmente che l’indirizzo che sta prendendo la sanità è quello di dimenticarsi sempre di più di essere progetto di salute, di demo crazia e di benessere fruibile, e di qualificarsi invece come un insieme organizzato di grosse strutture tec nologiche (l’ospedale che diventa simbolo per tutti di che cos’è la salute, quando invece per defini zione l’ospedale è il simbolo della malattia, non della salute). Queste due dichiarazioni coinci dono, per quello che riguarda l’Ita lia, con la legge 833 del Servizio Sanitario Nazionale. L’art. 32 della Costituzione di venta in qualche modo fruibile da parte delle persone attraverso un Sistema Sanitario Nazionale. Il Sistema Sanitario Nazionale arriva dopo un lungo travaglio, ma arriva come un prodotto che da un punto di vista tecnico ha poco significato. Il SSN di fatto è il prodotto culturale e politico di battaglie per i diritti non sanitari e che però sono diritti di vita per le persone che più erano a rischio di violazione del diritto alla vita. Le grandi battaglie erano state quelle dell’interruzione volontaria di gravidanza, che non è un pro blema medico ma è un problema di civiltà, di riconoscimento di parità di diritti; seguono lo Statuto dei lavoratori e la grande stagione

della medicina del lavoro, che ha fatto scuola nel mondo. Ma arriva soprattutto, qualche mese dopo, la legge 180, che ri corda come la vera questione non sia la sanità intesa come apparato medico-diagnostico, ma sia l’isti tuzione globale che deve essere negata, perché il problema dei ma lati “psichiatrici” non è altro che l’iceberg di tutte le marginalità di cui deve farsi carico un Paese che si basa su una Costituzione. Mi sembra importante riflettere su un punto, cioè se sia necessario porsi delle domande sull’analisi dei fenomeni – globalizzazione, mondializzazione, disuguaglianze, indicatori economici, affidabilità dei dati, manipolazione o par zialità dei dati, cure primarie o meno – oppure se oggi ci troviamo a rispondere ad una domanda di fondo, che è la seguente: ha senso una discussione su globalizzazione e salute se non ci chiediamo se oggi siamo in grado di avere un progetto? Mi chiedo dunque se ci sono oggi le condizioni storiche per formulare un progetto oppure se dobbiamo trovare altre modalità di lavoro. Rispetto a questo voglio soltan to riprendere alcuni punti delle relazioni precedenti. È stato detto giustamente che l’aspettativa di vita è un indicatore di salute; in ogni caso è la misura proposta per il confronto tra la resa dei vari sistemi sanitari o più in generale dei vari sistemi di società. Il Costa Rica che “non può vedere i cubani”

è molto simile a Cuba. Cuba negli anni ’60 ha fatto un’operazione di interpretazione molto rigorosa dei bisogni essenziali di educazione sanitaria. Il Costa Rica, per tutte altre ragioni, ha dichiarato negli anni ’50 l’abolizione delle spese di guerra a favore di un sistema sanitario. Rispetto agli indicatori noi tutti viviamo dell’immaginario culturale ed estetico prodotto nei tempi in cui la nostra aspettativa di vita era di 40 anni. La nostra cultura, dalla filosofia al diritto, è nata tutta da lì. È bene ricordarlo per sapere poi quali siano le capacità che ha una vita prolungata in maniera sempre crescente. C’è un altro problema da conside rare in relazione alla sanità italiana o meglio alla salute italiana, visto che adesso il Ministro si chiama “della Salute”. Ed è esemplare la situazione, perché più la salute scompare e più ne viene sostituito il nome. Si pensi al fatto che dal ’95 i Piani sanitari non esistono più e fanno parte della finanziaria! È più importante l’art. 32 o l’art. 3 della Costituzione? L’art. 3 è un progetto complessivo, l’art. 32 è un’applicazione. Il logo dell’OMS non è più “Salu te per tutti” (logo proibito, non si può citare nei documenti), il suo logo è “Global burden of disease” cioè “carico complessivo delle malattie”. Le malattie rispetto ad Alma Ata divengono le protagoni ste. Ma questo non è soltanto un logo ma è un immaginario. L’OMS è diventata un ministero della sanità 101

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quando la sanità è stata svuotata del suo progetto (tra il ’90-’93-’96 i rapporti della Banca Mondiale hanno dichiarato il passaggio del la sanità tra le competenze della Banca Mondiale, esattamente come per noi nella finanziaria).

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Per capire l’importanza dei pas saggi culturali è utile riflettere sulle principali cause di morte e sul ruolo giocato dal linguaggio. Ufficialmente la fame non è più pronunciabile, bisogna trasfor marla in sottopeso (underweight). Questa trasformazione linguistica si traduce nella progressiva can cellazione delle persone. Tutto quello che è “sesso insi curo” (ricordiamoci che è la condi zione economica di sopravvivenza, con la prostituzione e la migrazio ne dai Paesi africani espulsi dal mercato) è una manipolazione pro grammata e voluta che nasconde i dati. È un’operazione di apartheid programmato e di violazione for male dei diritti fondamentali delle persone ad avere un habeas corpus, diritto fondamentale che viene prima di ogni altra cosa. Non sono più persone parti di collettività condannate ad un destino econo mico, ma sono milioni di individui condannati a questo perché tutto sommato non possono far altro nell’ambito del continente perduto che non entra nei programmi di sviluppo e che è oggetto di guerre e di traffico d’armi. Un punto interessante è l’iper tensione come una delle cause priopritarie di mortalità. L’iper

tensione arteriosa sicuramente non è causa di mortalità nei Paesi dell’Africa e dell’America Latina dove nemmeno viene misurata o, se viene misurata, non ci sono i farmaci per curarla. E quando si misura da noi, si misura in persone che sono già quindici anni al di là della vita media di tutti i Paesi africani. Stiamo parlando di una causa di mortalità estrapolata da quali dati? Dalle statistiche sani tarie dei Paesi africani? Abbiamo da poco concluso un lavoro in Ecuador dove si muore di ipertensione perché c’è una popo lazione particolarmente a rischio; dopo aver convinto le persone di varie comunità a misurarsi la pres sione arteriosa, non si è potuto dar loro i farmaci perché non ci sono, bisogna regalarli per solidarietà. L’ipertensione è la causa di morte più importante ancor più se la definizione di ipertensione cambia ogni 5 anni, abbassando il livello della soglia diagnostica per au mentare il numero degli ipertesi da trattare e incrementare il mercato dei farmaci...

IV CASO

La lezione è stata particolar mente interessante, in quanto ha chiarito alcune perplessità che già da tempo circolavano nell’ambiente sanitario in merito alle linee guida inerenti varie patologie, tipo la depressione e l’ipertensione, sancite dal l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Cito il caso di un signore 35enne

che, alquanto allarmato per la sua pressione diastolica, si era recato presso la farmacia ove esercito per avere dei consigli. Di conseguenza, ho misurato i valori della PAO e i dati erano 128/85, così proseguendo ad altre misurazioni nel corso della giornata, su insistenza del me desimo, potevo constatare una variazione dei valori suddetti di +/- 2mmHg. Il signore era parti colarmente preoccupato perché aveva letto su un inserto di una rivista che secondo le nuove ri cerche mediche avere 130/85 di PAO significava essere ipertesi, il tutto naturalmente in normale condizione di riposo. Effettivamente f ino a pochi anni fa si considerava iperteso, secondo le linee guida OMS, il soggetto che aveva una PAO diastolica maggiore a 90 e una sistolica superiore a 150. In tali ipotesi consigliavo di rivolgersi al medico di medicina generale per effettuare i controlli in merito. Da un po’ di tempo a questa parte effettivamente le linee guida sono cambiate ed è vero che i valori pressori rilevati allo stesso portavano ad indicare il paziente come iperteso. Il buon senso mi dice che con simili valori una persona può tranquillamente dire di essere in buono stato di salute ed ho pertanto insistito sul fatto che si recasse dal medico di medicina generale per essere tranquillizzato in merito. La lezione magistrale mi ha chiarito successivamente questo fatto: l’OMS sembra abbia volu

tamente abbassato i valori pres sori onde far sì che la richiesta di salute e quindi di farmaci in questo tipo di patologia aumenti notevolmente a scapito natural mente delle risorse economiche del nostro sistema sanitario na zionale. L’importante è quindi il consumo, anche non necessario, di farmaci antiipertensivi. La riflessione che mi pongo è di conseguenza la seguente: se così succede con questo tipo di pato logia, cosa può mai avvenire con le altre linee guida riguardanti una moltitudine di patologie oggi esistenti? Aggiungo che la globalizzazio ne tende a far sì che vi siano un’uguaglianza soggettiva ed oggettiva nel trattamento delle varie malattie. Tutto ciò favo risce la crescita delle multina zionali farmaceutiche che ormai sono quasi tutte americane. È dunque necessario chiarire che non sono le ratificazioni mondiali di linee guida a tutelare la salute dei popoli, ma è il buon senso e l’impiego delle risorse che, seppur limitate, sarebbero comunque sufficienti a garantire a tutti il diritto alla salute, sancito come diritto inviolabile dalla nostra Costituzione. [Farmacista] Siamo di fronte ad un’opera zione molto ar ticolata, molto programmata di cambiamento di linguaggi. Il problema vero è quello di avere coscienza di par tecipare a tale operazione. Queste 103

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manipolazioni infatti, se vengono accettate, impediscono qualsiasi cambiamento.

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Voglio rapidamente toccare i due punti del titolo: Da un lato il problema della globalizzazione. – La globalizzazione è un’operazione di realtà o è strettamente ideologica? – Dal punto di vista della metodologia scientifica, la globalizzazione è una manipolazione formale dei dati? La globalizzazione è una riproduzione, in tempi storici diversi, dell’operaz ione, stret tamente ideologica, ma molto di successo, che ha avuto dei risvolti sanitari piuttosto pesanti per le vittime, della conquista dell’America o meglio della scoperta dell’America. L’operazione della scoperta dell’America (dichiarata scoperta, un prodotto della nostra civiltà che ha inventato un nuovo pezzo di mondo; solo nel ’92 l’abbiamo chiamata conquista) non è consistita solo nella distruzione dei popoli autoctoni, ma nella fondazione del diritto internazionale. In occasione della conquista dell’America è nato il diritto internazionale. I grandi teologi, d’accordo con i giuristi, hanno dichiarato che c’era il grande diritto dell’evangelizzazione, strumento imprescindibile ed incontestabile per garantire il libero commercio. L’evangelizzazione, grande teologia, era lo strumento per la realizzazione del commercio libero; chi si opponeva al commercio libero andava contro

l’evangelizzazione. Tant’è vero che gli autoctoni andavano battezzati e se non si battezzavano voleva dire che erano abitati dal maligno, perché non capivano la grande civiltà della libertà, della comu nicazione e del linguaggio. Da allora il diritto internazio nale non è cambiato molto: c’è un gruppo di Stati dominanti, i vinci tori, e ci sono gli altri che seguono. La globalizzazione è stata un’ope razione strettamente linguistica che non corrisponde a nessuna realtà; con il ruolo dominante della Banca Mondiale e del FMI negli anni ’80, gli Stati vincitori hanno dichiarato in maniera sistematica i programmi di aggiustamento strutturale. Negli anni ’80 il FMI ha proposto agli Stati le ricette su come svilupparsi. L’America Latina venne utilizzata come un grande laboratorio, in cui si provò a vedere cosa succedeva quando sanità ed educazione venivano considerate come un optional. Gli Stati erano punibili se in vestivano in spese sociali perché non avevano le risorse sufficienti; erano invece assolti se violava no i diritti umani (le dittature dell’America Latina ne sono un esempio). Dopo questo decennio di aggiustamento strutturale si è det to che il tempo era maturo per fare un’altra operazione importante. Se tutti erano d’accordo su questo – e quelli che non lo erano non potevano certo esprimersi – era tempo di rendere cogenti quelli che erano stati degli accordi informali, nella WTO, formulata come l’unica

vera istituzione internazionale con potere di diritto da esercitare. La WTO è l’unica organizzazione internazionale che nasce conte stualmente ad un potere d’inter vento di diritto. È interessante notare come alla fine di questo processo l’unica istanza di diritto internazionale sia quella del libe ro commercio, la stessa che c’era stata dopo la scoperta/conquista dell’America. Abbiamo un trattato di libero commercio con un Tribu nale operativo dotato di potere giudicante. Qualche anno dopo a Roma viene stabilita la Corte Penale Interna zionale, competente sui crimini contro l’umanità. La Corte Penale Internazionale nasce come un’ope razione assolutamente magistrale dal punto di vista dell’immagine e della funzionalità. Essa nasce dichiarandosi non competente su tutti i crimini economici, ma solo sui crimini tradizionali. Se torniamo indietro agli anni ’70, contestualmente alla legge 180, ricordiamo un libro di Basaglia che parlava dei crimini di pace. Quando comincia a diventare evidente che i popoli sono uccisi per pianifica zione economica, non è sufficiente punire i crimini tradizionali. Se io programmo la pianifica zione economica e tolgo tutte le risorse pubbliche all’Argentina e in Argentina in 3 anni si produce un numero di morti-bambini pari a quello di tutti i desaparecidos della dittatura (e questi bambini sono morti programmati perché tutti

sapevano cosa sarebbe successo a seguito della pianificazione eco nomica) come faccio a dire che si tratta solo di economia? La Corte Penale Internazionale nasce per punire ciò che avviene in tempo di guerra, ma la guerra viene riabilitata perchè chiamata “umanitaria”. Il diritto internazionale dà im mediatamente alla globalizzazione economica la categoria dell’immu nità e dell’impunità. Le Agenzie internazionali sulla sanità moltiplicano tutti i dati sul la mortalità, togliendo la categoria sanitaria della evitabilità, che esprime quante vite potrebbero essere salvate semplicemente con una piccola modifica del debito, con una piccola applicazione per sino degli statuti della stessa WTO, che prevede una clausola secondo cui non c’è un brevetto che vale di fronte ad un bisogno di sanità pubblica. La salute è diventata un’opera zione di immagine. Noi potremmo dire: la salute è per noi un problema di diritti fondamentali. In Italia siamo riusciti, dopo aver dichiarato che la salute è un’azienda (operazione unica al mondo), a dichiarare i livelli es senziali di assistenza. I LEA (Li velli Essenziali di Assistenza) non sono altro che una manipolazione incredibile visto che nessuno sa quali siano esattamente e per di più costituiscono il modello della disuguaglianza formale. Ma, so prattutto, con i LEA si formalizza 105

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il concetto che è essenziale ciò che è imprescindibile per la vita delle maggioranze (è il livello minimo per non avere la rivolta popolare). Nessuno ne sa qualcosa. Non ci sono dati epidemiologici. Si trat ta di un’entità non sanitaria che però viene presa come strumento di misure di programmazione da tutte le agenzie sanitarie quando non sanno cosa dire. Penso che nessuno possa negare che il problema della disuguaglian za sia il problema principale. Si tratta di capire come sottrarre il diritto costituzionale, traduzione locale del diritto universale, a questo processo di manipolazione del linguaggio.

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Alcune cose non vanno dimen ticate: innanzitutto il termine “globalizzazione” sostituisce il ter mine “universale”; con la globaliz zazione è proibito parlare di diritti universali. In una commissione dell’OMS su salute e migrazione è stato proibito di usare il termine “diritti umani”. Che i migranti sia no un popolo che al di là di non avere una patria precisa diventi effettivamente il rappresentante dell’universalità della razza umana, è stato escluso. Si diffondono sempre più artifizi per evitare che la salute venga perseguita come un progetto. I diritti degli altri non hanno tempo. Si stabiliscono obiettivi a lungo termine, sapendo bene che termini così lunghi non apparten gono nemmeno all’immaginario di queste popolazioni. Il diritto viene trasformato in una pseudo

solidarietà. Concluderei con alcuni sugge rimenti. Innanzitutto la raccolta di casi di cui si ricordava prima potrebbe essere estremamente interessante, originale; potrebbe costituire la mappa della percezione del rap porto tra diritto e salute, in una collettività che dal punto di vista delle risorse sta bene. In secondo luogo sarebbe impor tante dare la possibilità ai giuristi di acquisire maggiori conoscenze di medicina e agli operatori sanitari di acquisire maggiori conoscenze di diritto. Utile sarebbe mettere a disposizione delle biblioteche trentine una bibliografia mista su salute e diritto. Inoltre sarebbero necessari corsi misti di medicina e diritto, in grado di fornire a tutti gli strumenti per leggere il linguaggio e i dati e per sottrarsi alle numerose manipolazioni. Infine il Trentino potrebbe pro durre una prima epidemiologia della marginalità.

V CASO

Nel febbraio 2005 una professo ressa della scuola media, da me conosciuta, mi telefona per chie dermi di vedere con urgenza N., ragazzo marocchino di 14 anni, frequentante la terza media,’ per la certificazione scolastica ai sen si della 104. Mi spiega che sicco me questo ragazzo presenta delle difficoltà di linguaggio e scolasti che, essendo già iscritto ad una Scuola Professionale, necessita

della certificazione per inserirlo nel Corso Formazione-Lavoro, ossia in un gruppo differenziato che segue un programma più pratico, insieme ad altri ragazzi portatori di varie difficoltà. La madre e i figli hanno raggiunto in Italia il padre nell’estate 2001 e a quest’epoca N. è stato inserito in quinta elementare nella scuola dove va tuttora. Fin da subito N. ha presentato problemi cognitivi ed in generale la scuola ha attivato degli aiuti scolastici informali e limitati. Solo ora l’istituzione scolastica invia il minore al Servizio NPI per una diagnosi specialistica. Di fatto l’invio al Servizio spe cialistico è in ritardo riguardo ai concordati tra le due istituzioni. Inoltre dopo alcuni giorni dalla suddetta telefonata la stessa professoressa mi richiama per dirmi che sarebbe utile vedere, sempre con urgenza, anche la sorella, che frequenta la prima media, perché anche lei presenta problemi scolastici (cognitivi). Questa seconda telefonata mi fa arrabbiare e chiedo dove sono stati finora questi due minori. La professoressa mi chiede di chiamare il padre e mi fornisce il numero di cellulare. Chiamo il padre che mi esprime le sue difficoltà pratiche a venire nel mio studio. Riesco tuttavia a fissare un appuntamento nel tardo pomeriggio per parlare sia con il padre che con il minore (la madre è impossibilitata a venire per problemi fisici). L’anamnesi dura meno di 20

minuti perché il padre è molto sbrigativo e nega ogni problema di sviluppo. Alla valutazione delle funzioni intellettive, al test WISC-R, si è riscontrato: QI verbale 58, QI di performance 69, QI totale 60. Questo risultato evidenzia la serietà delle diffi coltà cognitive del minore, oltre a quelle inerenti la funzione lin guistica. Ci si può chiedere come mai l’accesso ai Servizi sanitari sia avvenuto così tardivamente. Sicuramente questa famiglia è gravata da tanti problemi (svan taggi socio-culturali, probabile malattia psichiatrica della ma dre) però quando è stata inviata in modo deciso dalla scuola ha collaborato. Infatti il padre ha portato anche la figlia, purtrop po anche lei portatrice di deficit intellettivo, seppur più lieve di quello del fratello. Tra l’altro ho saputo dalla scuola che è pro babile che i genitori dei ragazzi siano consanguinei. Questi minori provenienti da un Paese povero, di fatto, nella nuova realtà sociale italiana, non hanno usufruito dei benefici de gli aiuti, delle cure sanitarie che il contesto poteva offrire loro. La povertà economica genera cattiva salute ed esclusione dal le risorse presenti nei contesti sociali di vita. Nessun bambino trentino, con lo stesso deficit intellettivo, sarebbe arrivato al servizio specialistico proprio alla fine del percorso d’apprendimen to di base. Su questo tardivo invio ho sentito la scuola. Gli insegnanti avevano 107

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imputato tutte le difficoltà del minore allo svantaggio sociale a al bilinguismo. Perché c’è stata questa superficialità nel guardare la situazione complessa di questi minori e perché non è stata atti vata prima la collaborazione con altri servizi sociali e sanitari? Quale sarà l’inserimento di que sto ragazzo nel mondo del lavoro e della vita sociale? Che immagine avrà N. di se stesso e come sarà visto dai suoi fami liari, parenti, connazionali? Come farsi capire e avere un dialogo su aspetti psicologici con persone che comprendono poco i nostri linguaggi e significati? La carenza di strumenti culturali e comunicativi tende a creare un circolo vizioso in cui svantaggio e disadattamento rischiano di di ventare cronici e di trasformarsi in fattori costitutivi e non più ambientali nelle vicende umane delle persone. [Medico] VI CASO

Veniamo chiamati in pronto soc corso per una bimba di 2 anni con evidente difficoltà respiratoria. A una prima rapida anamnesi, resa difficile dalla scarsa conoscenza della lingua italiana da parte dei genitori, di nazionalità maroc china, si rileva che la bimba ha vomitato ed in seguito a ciò ha manifestato dispnea ingravescen te. Le ipotesi dunque sono: ina lazione del contenuto gastrico o presenza di corpo estraneo nelle alte vie aeree. Portiamo la bimba in sala operatoria poiché, data

l’età, la situazione risulta non essere gestibile senza anestesia generale. Ad una prima indagine otorino laringoiatrica non si rileva alcun corpo estraneo nelle alte vie respiratorie. La radiografia del torace appare invece significa tiva per infezione polmonare. Si procede con esofagogastroscopia, che risulta anch’essa negativa. Nel frattempo arrivano i referti degli esami ematochimici ed urinari inviati in laboratorio dal pronto soccorso: proteine totali ampiamente sotto i limiti infe riori, stato di anemia, presenza di corpi chetonici, grave ipergli cemia. Conclusione: diabete mai diagno sticato, iponutrizione, infezione polmonare da probabile deficit di difese immunitarie. La disuguaglianza economica è un fattore di differenze sulla salute? Il caso descritto depone assolutamente per il si. Difficil mente un bambino proveniente da una famiglia media italiana sarebbe arrivato in pronto soc corso in condizioni come quelle riportate. Nonostante il fatto che la bimba sia nata sul suolo italiano, è inse rita in un contesto domestico che ancora la isola dalla comunità. Se la disfunzione si fosse manifesta ta più avanti, ad esempio all’asi lo, probabilmente le maestre se ne sarebbero accorte e sarebbero potute intervenire. Si nota spesso che le differenze culturali comportano notevoli differenze in termini di salute,

malattia e prevenzione. Ma anche le differenze economi che comportano che chi ha più disponibilità è più attento alla prevenzione e alla cura. [Infermiere] Un’ultima considerazione: sareb be bello che le organizzazioni di volontariato che lavorano nei Paesi in via di sviluppo facessero una mappa del mondo sui diritti violati e su quelli rispettati, a partire da un osservatorio del volontariato, per dare l’idea che anche tutte queste frammentazioni di solida rietà sono espressioni di un unico progetto di diritto.

Gianni Tognoni è segretario del Tribunale Permanente per i Diritti dei Popoli 109 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 17

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