Prima E Terza Parte Al 15 Dicembre 2008

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FORUM RIFIUTI CAMPANIA

DOCUMENTO DEL MONDO DELL’ASSOCIAZIONISMO E DEL VOLONTARIATO: SINDACATI DEI LAVORATORI, ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE E CIVICHE, COMITATI TERRITORIALI E DI BASE E CITTADINANZA ATTIVA

SULLA DELIBERA DI GIUNTA REGIONALE N.1563 DEL 15 OTTOBRE 2008 (B.U.R.C. DEL 10 NOVEMBRE 2008) DI PRESA D’ATTO DELLE “LINEE PROGRAMMATICHE 2008 -13 PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI”, PREDISPOSTE DALL’ASSESSORATO ALL’AMBIENTE E “CHE CONTENGONO I CRITERI ATTUATIVI DELLE SOPRAVVENUTE DISPOSIZIONI LEGISLATIVE STATALI IN MATERIA DI GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI E RAPPRESENTANO IL PUNTO DI PARTENZA PER L’AGGIORNAMENTO DEL PIANO REGIONALE DI GESTIONE DEI RIFIUTI”

Legambiente Caserta LIPU Caserta Terra Nostra Comitato Emergenza Rifiuti COASCA Coldiretti Regionale Comitato Mamme Marcianise Comitato San Clemente Comitato Parco Cerasola Comitato acque pubbliche

Caserta, 15 dicembre 2008

INDICE

Premessa PRIMA PARTE LE LINEE PROGRAMMATICHE 2008-2013 PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI APPROVATE DALLA G.R. UNA QUESTIONE DI METODO UNA QUESTIONE DI MERITO LE PROPOSTE DELL’ASSOCIAZIONISMO E DEI MOVIMENTI TRE TEMI PRELIMINARI •

DIFESA DELLA SALUTE



DIFESA DELLE PRODUZIONI AGRICOLE DI QUALITA’



SOSTANZA ORGANICA E DESERTIFICAZIONE SECONDA PARTE

La nostra proposta (vedi schede allegate) PARTE TERZA LE OSSERVAZIONI ALLE LINEE PROGRAMMATICHE PER LA PROVINCIA DI CASERTA Premessa Valorizzazione degli impianti esistenti Valorizzazione della frazione organica e dotazione impiantistica Recupero energetico Fabbisogno e disponibilità di discariche Conclusioni

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Premessa La Regione Campania è attanagliata da decine d’anni (vedi colera del 1973) da una critica ed endemica emergenza ambientale nel settore dei rifiuti, sia liquidi che solidi, aggravata dai rifiuti industriali che a vario titolo, in maniera legale ed illegale, provengono da fuori regione. Il commissariamento della stessa regione (OPCM 11.2.94 e segg.) pur lodevole e, in prima istanza condivisa e condivisibile, non ha prodotto i frutti promessi, a causa delle contromosse messe in atto da potenti lobby politicoamministrative-affaristiche e da scelte impiantistiche (inceneritori) e progettuali (vedi FIBE) infelici e in palese conflitto con la salvaguardia dell’ambiente e, in generale, del territorio, in particolare quello a precisa vocazione agro zootecnico, ortofrutticolo e turistico-paesaggistico. Ben due piani per la gestione del ciclo dei rifiuti sono stati in questi decenni elaborati, uno già all’indomani del colera a cura della Cassa per il Mezzogiorno, il secondo negli anni 80. Nessuno dei due sono stati approvati dal Consiglio regionale. Occorre aspettare il 1997 con il Commissario di governo vedere un primo piano dei rifiuti per la regione Campania, piano che lo stesso governatore Rastrelli nega con l’appalto poi vinto dalla Fibe. E ancora con il Piano Pansa si approda all’ennesimo piano e poi al decreto ’90 poi legge 123 del governo Berlusconi e, infine, alle Linee Programmatiche 2008-2013 per la gestione dei rifiuti urbani approntate dall’assessore Ganapini e approvate dalla G.R. il 15 ottobre scorso con la deliberazione n.1653, base per un futuro Piano Regionale.

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PRIMA PARTE LE LINEE PROGRAMMATICHE 2008-2013 PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI APPROVATE DALLA G.R. Questo documento presenta in estrema sintesi una stima quantitativa dei flussi, una previsione delle loro variazioni nel tempo e una indicazione delle modalità e dell’impiantistica con cui gestirli provincia per provincia, nella vecchia ottica del ciclo dei rifiuti per il sostanziale “recupero di energia” con incenerimento e delle discariche per lo smaltimento del residuo e del prodotto da incenerimento. RIGETTIAMO IL DOCUMENTO NELLA LOGICA, NEI CONTENUTI E NELL’IMPOSTAZIONE METODOLOGICA D’APPROCCIO ALLA QUESTIONE.

UNA QUESTIONE DI METODO Vale la pena ricordare innanzitutto che il “FORUM Rifiuti Campania è una struttura di carattere consultivo, nata su iniziativa dell’Assessore all’Ambiente della Regione Campania allo scopo di promuovere il processo di riappropriazione della gestione dei rifiuti da parte del governo del territorio e degli organismi cui esso compete, attraverso la partecipazione della società civile, delle istanze di base e delle rappresentanze istituzionali, secondo i principi della convenzione di Aarhus. (Legge n. 108 del 16 marzo 2001, Ratifica ed esecuzione della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale fatta ad Aarhus il 25 giugno 1998. (G. U. n. 85 dell’11 aprile 2001 - Supplemento Ordinario n. 80). Il FORUM è un organismo autonomo e indipendente, caratterizzato dall’impegno condiviso a mantenere aperto il confronto in modo costruttivo, la cui missione è quella di lavorare alla elaborazione e messa a punto di posizioni e proposte comuni da presentare e far valere presso le Autorità preposte alla gestione dei rifiuti nella Regione”. Così nel testo ufficiale del Forum Rifiuti Campania. Si vuole tralasciare, per il momento, sia la Costituzione, sia la legge 241/90 sia la L.349/86 in ordine alla tutela di diritti legittimi. Ci vogliamo soffermare, invece, sulla Convenzione di Aarhus perché ritenuta, a ragione, assai importante dagli stessi promotori del forum. Questa prevede la garanzia in ordine all’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale. A quali soggetti sono garantiti tali diritti? In primo luogo alle associazioni che rappresentano interessi collettivi e gruppi di cittadini a vario titolo organizzati in ordine alla partecipazione al processo decisionale laddove tali interessi possano venir pregiudicati dalla decisione in questione. La partecipazione al processo decisionale deve essere garantita sin dagli stadi iniziali assicurando che il pubblico interessato sia informato in una fase iniziale della procedura di decisione ambientale ed in maniera adeguata, tempestiva ed efficace affinché: - i richiedenti siano incoraggiati, laddove appropriato, a identificare il pubblico interessato e avviare le discussioni in fase preliminare; - diano al pubblico interessato tutte le informazioni rilevanti disponibili; - sia consentito al pubblico di inviare commenti, informazioni, analisi; 4

- vengano presi in dovuta considerazione i risultati della partecipazione del pubblico; - il pubblico sia prontamente informato della decisione; Nell’ambito poi della legge 150/2000 che disciplina le attività di comunicazione pubblica, ogni amministrazione è tenuta ad espletare - ivi inclusa l'adozione di appositi piani di comunicazione - assicurerà un’adeguata comunicazione e informazione per assicurare il più ampio diritto all’informazione, propedeutica alla partecipazione stessa. L’aver istituito il Forum, che rappresenta un’autentica foglia di fico per la Regione, (sia pure ancora senza alcun atto istitutivo), ma aver volutamente ignorato la sua attività, le sue elaborazioni, gli inviti ad un confronto e poi, la “sorpresa” della presentazione delle Linee programmatiche 2008-2013 per la gestione dei rifiuti, l’aver comunicato, per le vie brevi, l’impossibilità di presentare eventuali emendamenti al testo (altro che base di discussione per la consultazione, ecc…), la modalità attraverso cui si sono organizzati i forum provinciali, hanno avuto l’amaro sapore di una modalità di fare politica vecchia e non più sopportabile; tanto più quando tutto ciò arriva da un rappresentante delle istituzioni che si è accolto e per il quale la società civile si è sentita responsabilizzata nella partecipazione nonostante un contesto difficile da accettare. Tale contraddizione appare, in tutta la sua potenza, quando si entra nel merito delle citate Linee programmatiche, e nella scelta di metodo per le consultazioni tramite Forum Provinciali.

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UNA QUESTIONE DI MERITO LE PROPOSTE DELL’ASSOCIAZIONISMO E DEI MOVIMENTI Riteniamo quale premessa per ogni proposta programmatica di approccio alla nostra regione imprescindibile: 1) La riaffermazione del principio sancito dalla convenzione di Aahurus, che garantisce il diritto alla partecipazione; 2) La riaffermazione dell’art. 32 della costituzione che tutela il diritto alla salute pubblica che ci obbliga ad un’analisi attenta delle condizioni specifiche in cui versa il nostro territorio da decenni teatro di sversamenti e stoccaggi leciti e illeciti di sostanze pericolose e nocive e di gestione fuori norma delle discariche, che hanno devastato il settore agro-alimentare e compromesso le matrici ambientali, con gravissime ripercussioni sulle risorse economiche, sulla salute e sulla qualità stessa della vita. Da questa analisi scaturisce la imprescindibile e improrogabile necessità di salvaguardare, ad ogni costo, il principio di compatibilità ambientale e di minor impatto e sostenere l’approccio al problema territoriale dei rifiuti che privilegi il recupero e la salvaguardia dei beni territoriali, dei beni strumentali, della salute, della bellezza, della felicità e dell’economia anche turistica del territorio.

OCCORRE ABBANDONARE LA VECCHIA OTTICA DEL CICLO DEI RIFIUTI E DEL RECUPERO ENERGETICO. E’ NECESSARIO ENTRARE IN UN OTTICA DEL RECUPERO E DELLA FILIERA DEI MATERIALI. In sintesi i punti sui quali dovrebbero articolarsi le linee programmatiche 20082013 per la gestione dei rifiuti urbani in Campania: 3) Recupero e salvaguardia del territorio e di quello agricolo in modo particolare, per un recupero delle pertinenze agro-alimentari, degli standard di salute e vivibilità; 4) Recupero dell’impiantistica esistente sul territorio, compresi gli impianti di compostaggio e i sette impianti ex CDR, questi ultimi già oltre il fabbisogno regionale dei rifiuti prodotti; 5) Recupero della materia. Senza cercare lontano avveniristiche soluzioni che pur ci vengono da altri paesi, attenendoci realisticamente alla dotazione impiantistica esistente, in una revisione, che sia tuttavia, avanguardistica degli impianti, che potrebbero essere portati, con un investimento irrisorio al livello dei migliori standard qualitativi dello stesso settore (vedi, ad esempio, il modello Vedelago).

TRE QUESTIONI PRELIMINARI DIFESA DELLA SALUTE E’ importante chiarire quanto riguarda i cementifici di Caserta in modo particolare. La localizzazione di tali impianti nel centro urbano ne sconsiglia fortemente l’uso come 6

impianti di smaltimento di rifiuti, anche tenendo conto degli enormi problemi che essi hanno già causato in passato, pur come semplici cementifici, in tutta la zona. Inoltre essi devono essere delocalizzati (come peraltro previsto dal Piano Regionale Attività Estrattive che, individuando Caserta quale area Z.A.C. – Zona ad Alta Crisi ambientale - l’attività estrattiva e le connesse attività di produzione di cemento dovranno essere dismesse e gli impianti delocalizzati) e ciò impone che non assumano nuove funzioni. Un responsabile atteggiamento di difesa della salute, inoltre, impone una impostazione diversa all’incenerimento così come esposto nelle linee programmatiche. FERMO RESTANTE LA NOSTA POSIZIONE CONTRARIA ALL’INCENERIMENTO, se esso si ipotizza così come dichiarato nel documento, occorre che il documento stesso lo subordini -

ad un serio screening dei suoli circostanti,

-

del loro grado di inquinamento.

Tutto ciò prima che gli impianti vengano costruiti o comunque siano avviati come forse accadrà per l’inceneritore di Acerra. Occorre chiaramente dichiarare che nulla deve essere intrapreso in tale direzione se non dopo aver effettuato tali operazioni preliminari. Così come, per quanto riguarda gli impianti stessi, è necessario che essi siano predisposti a trasmettere direttamente i dati relativi alle emissioni in tempo reale a tutti i comuni del territorio interessati in modo che i relativi abitanti sappiano giorno per giorno se tutto funziona come previsto. Se ciò non fosse l’impianto in difetto dovrebbe immediatamente essere spento, ricadendone la responsabilità e quanto ne consegue su chi lo ha programmato e costruito.

DIFESA DELLE PRODUZIONI AGRICOLE DI QUALITA’ I problemi che affliggono l’agricoltura e la zootecnia campane e, in particolare, la filiera della mozzarella di bufala, sono riconducibili a tre tematiche principali: • • •

la questione rifiuti, le pratiche scorrette di alcuni attori del panorama caseario l’emergenza brucellosi.

E’ evidente che il problema dell’emergenza rifiuti, risolto pacificamente in tutti gli altri paesi avanzati, è sicuramente imputabile ad un malgoverno locale che suggerisce, alle volte, ipotesi di estrema superficialità nella valutazione della struttura economica e sociale del territorio e delle potenzialità che naturalmente offre. Alle mancanze, ed alle vere e proprie “deficienze” strutturali per quel che riguarda il ciclo integrato dei rifiuti si aggiungono le scelte di dislocazione delle discariche effettuate in spregio a qualsiasi ragionamento razionale ed economico. Il tutto in mancanza di una valida pianificazione strategica territoriale. Le scelte della cosiddetta Emergenza rifiuti hanno violato il decreto legislativo 18/05/2001 n.228 "orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'art.7 della legge 05/03/2001 n. 57" che all'art. 21 dispone "norme per la tutela dei territori con produzioni agricole di particolare qualità e tipicità". 7

E’ un dato storico che le terre del basso Volturno (Mazzoni) sono le più fertili d’Italia e qualsiasi valutazione economica ed imprenditoriale non può prescindere dalla vocazione agro-zootecnica del territorio. Risulta del tutto privo di senso localizzare in queste zone attività eco-incompatibili (Discariche, attività industriali ad alto rischio, centrali a biomasse, ecc.) con quelle preesistenti, e si viola spesso e volentieri il principio di precauzione, sancito dall’art.174 del Trattato CE che testualmente recita “In caso di pericoli anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente deve essere assicurato un alto livello di protezione”. La regione Campania con il Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013, ha suddiviso il territorio, in base alle predisposizioni economiche ed ambientali, in aree contraddistinte da precise caratteristiche fisiche, sociali ed economiche. Le zone di tipologia B “Aree ad agricoltura intensiva e con filiere produttive integrate” ricadenti in parte in provincia di Salerno (Sele) ed in parte nel basso Volturno in provincia di Caserta, sono da considerarsi di altissimo pregio agronomico e, come tali, non solo da preservare ma anche da valorizzare. Risulta assurdo consentire a province e comuni di derogare a quanto previsto dalla Regione prevedendo aree di sviluppo industriale in zone ad elezione agro-zootecnica. Non deve sorprendere, in un simile quadro, che si possa assistere alla contaminazione ambientale da parte di sostanze dannose quali Diossine, PCB e furani che , a maggior danno, entrano nella catena alimentare. L’allevamento bufalino, che è precipuo della Campania e di poche altre zone del SudItalia, trova una scarsa rispondenza nelle norme emanate dal Parlamento Europeo che scaturiscono dall’applicazione di metodologie e procedimenti più vicini a realtà nord europee (allevamento intensivo stabulato), molto differenti dalle pratiche diffuse nei nostri territori (allevamento semi-brado). Ciò dimostra che in fase di formazione e recepimento di regolamenti e normative europee, l’attuale establishment (ignaro e indifferente alle esigenze delle realtà locali) non riesce ad adattare la normativa alle caratteristiche tipiche ed alle predisposizioni del territorio. Le deficienze normative sono molteplici anche sotto altri aspetti. L’attribuzione del DOP alla “mozzarella di bufala campana” riconosce uno strettissimo legame fra il prodotto finale e il territorio da cui trae origine. Questo legame riguarda tutti gli elementi compositivi della filiera. La difesa del prodotto non può prescindere dalla difesa anche della componente allevatoriale, e quindi dell’ambiente quale parte integrante del sistema produttivo.

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La sistematica violazione a precise norme1, quali, ad esempio, il D.gls 18/05/2001 n.228 già citato sta, invece, compromettendo l’intera filiera agro-industriale di Terra di Lavoro caratterizzata da migliaia di aziende e da prodotti di qualità certificata. In definitiva l’allocazione di qualunque impianto, nella valutazione preliminare, non può prescindere dalla realtà produttiva in cui essa si verrebbe a trovare. Le conseguenze sono quelle in essere: la sistematica distruzione del settore agroindustriale di Terra di Lavoro, come nell’esempio riportato.

SOSTANZA ORGANICA E DESERTIFICAZIONE “In Campania, in particolare, fenomeni di degradazione e desertificazione hanno cominciato a manifestarsi nei territori montano-collinari e nelle fasce dunari costiere, interessando circa 300.000 ettari”2, il 22,06 circa del territorio regionale che ha una superficie di 1.359.354 ettari. “Tuttavia anche in comprensori di consolidata tradizione agricola, quali le piane fluviali, si evidenziano gravi fenomeni di degrado” 3. Causa principale di tale fenomeno in Campania è dato da un’intrinseca vulnerabilità dei suoli e dall’attività dell’uomo caratterizzata principalmente da un uso improprio, dall’abbandono del territorio e dalle attività illecite. La situazione preoccupante del basso livello di sostanza organica (s.o.) presente nei terreni agricoli campani4, impone con urgenza la definizione di un programma e di una strategia che abbia come obiettivo l’innalzamento progressivo della s.o. dei terreni campani. In un terreno in equilibrio il contenuto di sostanza organica resta costante, cioè la quantità distrutta annualmente eguaglia quella apportata. Questo equilibrio umico si mantiene fin tanto che il ritmo degli apporti e/o delle perdite non è modificato. L’evoluzione dell’humus nel terreno è estremamente lento. Secondo Barbier5 per portare dal 2% al 2,2% la sostanza organica in un terreno, bisogna forzare le concimazioni organiche per 10 e forse per 20 anni. Si considera che da 4 t di matrice iniziale di sostanza putrescibile recuperata dai R.U. (Rifiuti Urbani) è possibile ottenere 1 t circa di compost. Se si volessero frenare i processi di degradazione dei suoli campani utilizzando il compost dalla frazione putrescibile dei rifiuti e aumentare la sostanza organica della S.A.U. (Superficie Agraria Utilizzata), pari a 588.200,77 ha ad esempio di appena lo 0,1 % è necessario un apporto di almeno 400 q.li di s.o. per anno e per ettaro, per un periodo di almeno 10 anni. La frazione organica dei rifiuti in Campania rappresenta circa il 30% dei 2.806.000 tonnellate di rifiuti prodotti mediamente ogni anno e quindi circa 841.800 t; 1

vedasi a Ferrandelle, Parco Saurino, Maruzzela, Casone, Esogest nei comuni di San Tammaro, Santa Maria La Fossa, Pastorano, dove, nonostante il D.gls 18/05/2001 n.228 art.7 della L.5/03/2001 n.57 art.21 che fa espresso divieto di allocare impianti di rifiuti o industrie insalubri in aree a produzioni agricole di qualità – dop, doc, igp, ecc. sono stati allocati eco balle per milioni di tonnellate, discariche, industrie per la lavorazione di rifiuti industriali provenienti da altre regioni, impianti per la lavorazione del percolato, ecc. Occorre rispettare tale norma e porre un freno al tentativo di destrutturazione e desertificazione del territorio agricolo della Provincia di Caserta, ritenuto il più fertile al mondo, dove è concentrato l’87% circa della popolazione bufalina nazionale, la mela Annurca igp, ecc. 2

A.Buondonno, E.Coppola, Desertificazione in ambiente mediterraneo. Problematiche e prospettive di recupero in Campania: un caso studio nel territorio casertano. Cfr Atti sul Seminario internazionale di studio su desertificazione e incendi, Regione Campania, 2001 3 A.Buondonno, E. Coppola, op.cit. 4 Cfr il capitolo sulla desertificazione 5 Cfr F.Bonciarelli. Agronomia, Edagricole, Bologna 1983

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da tale frazione si otterrebbero circa 210.000 t/anno di compost (841.800 t : 4), sufficiente appena a soddisfare il 0,87 % dei terreni interessati l’anno6. Per quanto esposto è di tutta evidenza che occorre implementare al massimo la produzione di compost e utilizzare le eventuali biomasse da produzione no food per la loro trasformazione in compost. Questo significa, in altri termini, che l’indicatore “desertificazione”, nella pianificazione in un qualunque settore, dovrà costituire un parametro fondamentale anche nella scelta delle tecnologie. In Campania, dunque, dove è forte e urgente l’esigenza di innalzare il livello di sostanza organica dei terreni e quindi della fertilità per garantire il futuro, è necessario che, ad esempio, il piano rifiuti vada nella direzione di privilegiare impianti che recuperino la frazione organica per trasformarla in ammendante o fertilizzante; escludendo altre alternative che, pur mostrandosi compatibili sul piano ambientale (ad esempio gli impianti per la produzione di energia con biomasse) di fatto contribuirebbero ad accelerare i fenomeni di degradazione e desertificazione. Se si volessero migliorare le condizioni dei terreni della sola provincia di Caserta, per conservare l’attuale livello di sostanze organiche, pur trasformando in compost (ammendanti e fertilizzanti) l’intera frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata si potrebbe soddisfare solo un 10 % della S.A.U. (pari ad Ha 107.402,16)7. Tutto ciò, se si ha un minimo di preoccupazione per il futuro, escluderebbe a priori sia l’incenerimento con i cosiddetti termovalorizzatori, sia gli impianti a biomasse.

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Si ipotizza un apporto minimo di 400 q.li di compost per anno e per ettaro di terreno. Si avrebbe che, a fronte di un fabbisogno annuo di sostanza organica pari t 23.528.000 circa (Ha 588.200,77 x 40 t/anno) l’apporto del compost, qualora fosse tutto recuperato e recuperabile, potrebbe soddisfare la concimazione di appena 5250 ha, appena il 0,87 % dell’intera S.A.U. Il fabbisogno di sostanza organica, nella fase attuale, per tentare di recuperare gli oltre 200.000 ettari di terreni interessati dai fenomeni di degradazione e desertificazione in Campania è di 5000.000 t/anno di compost e non certo dei 210.000 t/anno disponibili (meno del 5 %); peraltro in linea teorica! 7 Si consideri, infatti, la produzione annua di compost regionale pari a 210.000 t e un’esigenza, per la provincia di Caserta, di t 25 X Ha 107.402,16 = t/a 2.685.054 rappresentando in percentuale appena il 7,8 %

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PARTE TERZA LE OSSERVAZIONI ALLE LINEE PROGRAMMATICHE PER LA PROVINCIA DI CASERTA

Premessa Volendo approfondire l’analisi delle Linee programmatiche 2008-2013 per la gestione dei rifiuti urbani, approvate dalla Giunta Regionale campana, con riferimento all’ambito territoriale della provincia di Caserta, oltre a quanto già detto nella prima parte del presente documento, non si può non osservare come esse prevedano la realizzazione di una dotazione impiantistica a servizio del ciclo di gestione che oltre a risultare del tutto sproporzionata rispetto alle esigenze provinciali, nell’ottica della riaffermata e mai realizzata provincializzazione della gestione, se applicate determinerebbero un impatto ambientale enorme sul territorio già più devastato di tutta la regione a causa dello sversamento ormai ventennale di rifiuti speciali da parte delle ecomafie e dell’assenza di una seppur minima opera di bonifica del territorio. A fronte di una produzione di rifiuti (stimata al 2008 come risulta dal bilancio di massa di cui a pag. 14 delle linee) pari a 344.509,5 tonnellate/annue (pari a circa 944 tonnellate/giorno di rifiuti) e pur ipotizzando un trend di crescita di 2,5 punti percentuali (secondo lo scenario peggiore delineato dalle linee programmatiche) che porterebbe la produzione annua di rifiuti in provincia a 399,525,40 tonnellate annue nel 2013 ci troviamo di fronte ad una previsione relativa alla dotazione impiantistica che, già più che sufficiente per quanto riguarda gli impianti di selezione (ex CDR di Santa Maria Capua Vetere) si concentra in particolare sugli impianti destinati all’incenerimento (dedicati e non) in aperta violazione della gerarchia europea in materia di gestione dei rifiuti. In ordine all’allocazione degli impianti si rinvia alla parte prima del presente documento circa la violazione del decreto legislativo 18/05/2001 n.228 "orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'art.7 della legge 05/03/2001 n. 57" che all'art. 21 dispone "norme per la tutela dei territori con produzioni agricole di particolare qualità e tipicità". Vale la pena ricordare che l’agricoltura casertana si contraddistingue per oltre 40.000 aziende in107 mila ettari; 17 vini (di cui 3 DOC e 1 IGT); mozzarella (s.t.g.); mozzarella di bufala campana (D.O.P.); mela Annurca campana (I.G.T.); la castagna del vulcano di Roccamonfina; il formaggio “Caso Peruto” (esiste da oltre 2000 anni, il più antico d’Italia); il formaggio “conciato romano” di origine sannita; n.2 oli extravergine di oliva con marchio I.G.T.; tre marchi famosi a livello mondiale per la produzione di acque minerali fra i primi in Italia per la produzione di ciliegie, fragole, nettarine. In provincia di Caserta esiste l’87% del patrimonio bufalino nazionale, oltre 200.000 capi, centinaia di caseifici una rete commerciale e mercatale che contribuisce, come intero settore alla ricchezza provinciale con una P.L.V. (Produzione Lorda Vendibile) per oltre 2 miliardi di euro coprendo oltre il 20% dell’occupazione totale. Il settore agroalimentare costituisce, di fatto, l’asse portante dell’economia di Terra di Lavoro e contribuisce alla formazione del valore aggiunto regionale in misura di oltre il 14%. Gran parte di tale produzione si realizza in un’area geografica caratterizzata dai terreni 1 1

più fertili al mondo e dalla più alta concentrazione di impianti per trattamento o stoccaggio rifiuti probabilmente d’Italia. Le due cose non possono coesistere. A questo punto occorre analizzare i punti più critici relativi al contesto territoriale casertano

Valorizzazione degli impianti esistenti L’impianto di selezione di Santa Maria Capua Vetere (ex CDR ora STIR), che l’Assessore Ganapini sostiene essere stato praticamente “sabotato”, è dotato di una capacità (1.200 t/g) già ampiamente eccedente (127%) l’intera produzione di rifiuti della provincia. Con una raccolta differenziata appena al 20% (obiettivo minimo fissato dalle linee per il 2008) tale eccedenza raggiungerebbe ben il 137%. Ciò significa che a fronte di una produzione di 944t/giorno avremmo una riserva di circa 256 t/giorno. In quest’ottica assolutamente non condivisibile è limitare la scelta al semplice recupero di funzionalità degli impianti, (peraltro praticabile in pochi giorni con una semplice manutenzione straordinaria) nella misura in cui con un investimento di poco più consistente sarebbe possibile trasformarli in autentici impianti TMB (Trattamento Meccanico Biologico) con funzione di “recupero della materia” secondo quell’impostazione più avanzata di gestione dei materiali di cui il modello Vedelago è un esempio concreto. Tale recupero si porrebbe in un’ottica di minimizzazione del ricorso a discarica e di riduzione della frazione secca da avviare a recupero energetico nel pieno rispetto della gerarchia europea cui le linee guida sostengono di volersi ispirare.

Valorizzazione impiantistica

della

frazione

organica

e

dotazione

Le linee programmatiche prevedono il recupero (sarebbe meglio l’attivazione!) dell’Impianto di compostaggio di San Tammaro, che ha una capacità circa 30.000 t/anno pari a circa 100 t/giorno e che risulta attualmente occupato dalle ecoballe stoccate al suo interno. Le stesse linee prevedono la realizzazione di ulteriori impianti di compostaggio e/o di digestione anaerobica finanziati con fondi europei attraverso la delibera di giunta regionale 1169 del 2008 che ha stanziato 100 milioni di Euro. Tale dotazione risulterebbe di sicuro eccedente rispetto al fabbisogno della provincia (pari secondo le linee a 49.813 t/a, circa 136 t/g) nella misura in cui la stessa dispone già di: - Impianto di compostaggio di Santa Maria Capua Vetere, (questo sì da recuperare) allo stato fermo e diventato un autoparco. Capacità 300 t/giorno pari ad almeno altre 80.000 t/a; - n. 10 vagli mobili a tamburo rotante che separa la frazione umida da quella secca e che consentirebbe di avere un compost ancora più raffinato. Impianto inutilizzato e posteggiato in buona parte a Santa Maria La Fossa - Parco Saurino.

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In ogni caso, se venisse liberato dai rifiuti imbustati (ecoballe) ed entrasse in funzione, basterebbe il solo impianto di S. Tammaro a coprire il fabbisogno di compostaggio della frazione umida di tutta la provincia per l’ immediato. Il fabbisogno residuo non coperto di circa 19.000 t/a potrebbe essere soddisfatto con gli impianti già previsti dal Piano Pansa: • •

Piano di Monteverna Maddaloni

12.000 t/a 12.000 t/a

e mettendo a norma gli impianti di Marzano Appio, Succivo, S. Pietro Infine per una capacità complessiva di 18.000 t/a. Eppure a tutt’oggi la frazione umida da compostare viene portata in Sicilia!

Recupero energetico Altro punto criticabile è quello relativo alla previsione degli impianti per il recupero energetico della frazione secca in uscita dagli impianti di selezione. Quello che nella gerarchia europea rappresenta l’ultimo anello di un ciclo incentrato principalmente su riduzione e recupero, si trasforma in uno dei perni attorno al quale costruire il sistema di gestione. Con la scelta di aggiungere agli impianti previsti dalla legge 123/2008 (Inceneritore di Santa Maria la Fossa) il gassificatore per lo smaltimento delle ecoballe a Villa Literno e le cosidette utenze terze non dedicate (cementerie e centrali termoelettriche) si aumenta oltre ogni limite plausibile la potenzialità impiantistica. La provincia di Caserta si troverebbe così ad ospitare: -

Inceneritore di Santa Maria la Fossa (capacità di progetto 450.000 t/a)

-

Gassificatore di Villa Literno (destinato a trattare le oltre 6.000.000 di tonnellate ecoballe stoccate su territorio Regionale)

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Cementerie di Caserta e Maddaloni (almeno 200.000 t/a)

Senza considerare le centrali termoelettriche (di cui non è nota la capacità) e l’impianto d’incenerimento di Acerra (450.000 t/a), al confine con il territorio casertano e per il quale il raggio di incidenza degli inquinanti emessi interesserebbe diversi comuni della parte meridionale della provincia. Tutto ciò a fronte di una produzione di residuo secco (CDR?) dall’impianto di selezione di Santa Maria Capua Vetere che, nell’ipotesi esagerata delle linee programmatiche (66%) ammonterebbe, per la provincia di Caserta a circa 189.000 t/a. Ammontare che sarebbe già drasticamente ridotto nella più plausibile ipotesi di un residuo secco al 50% (143.000 t/a) e che addirittura potrebbe ridursi a meno del 10% nell’ipotesi, da noi prospettata, di una ristrutturazione degli impianti in vero e proprio TMB. D’altro canto la presenza di una potenzialità di incenerimento così elevata comporterebbe l’ulteriore problema della necessità di disporre di una discarica per rifiuti speciali da incenerimento (che in Campania, caso unico in Italia, possono essere smaltiti “legalmente” anche nelle discariche per RU!). Le linee programmatiche stimano la produzione di tale tipologia di rifiuti per la sola provincia di Caserta in 26.872 t/a in caso di raccolta differenziata al 35% mentre per l’intera regione ammonterebbero a ben 199.301 t/a. Non si comprende come si sia operato tale 1 3

calcolo se si considera che la maggior parte della capacità di incenerimento della Regione sarebbe concentrata nella provincia di Caserta. Per quanto riguarda, poi, in particolare il conferimento a utenze terze (cementifici, centrali termoelettriche, gassificatori) del CDR (combustibile derivato dai rifiuti) sul quale addirittura si fa riferimento a una richiesta di conferimento ufficiale avanzata dalle tre cementerie campane (di cui due insistenti nell’area urbana della città di Caserta) si prevede una combustione di 300.000 t/a. Tale scelta oltre a non porsi in alternativa all’incenerimento in impianti dedicati, la cui realizzazione è addebitata interamente alle scelte governative, risulta, alla luce della stessa recente normativa in materia di rifiuti, del tutto illegittima. Infatti il decreto legge 23 maggio 2008, n. 90 convertito in legge con modificazioni il 14 luglio 2008, n. 123, al comma 2 dell’art. 6 prevede la possibilità della cocombustione nei cementifici e nelle centrali termoelettriche di solo CDR-Q (combustibile da rifiuti di qualità) previa conversione degli impianti CDR in “impianti di compostaggio di qualità e per le attività connesse alla raccolta differenziata ed al recupero, per la trasferenza dei rifiuti urbani, nonché per la produzione di combustibile da rifiuti di qualità (CDR-Q) da utilizzarsi in co-combustione nei cementifici e nelle centrali termoelettriche. E che il prodotto in uscita dagli impianti campani non sia CDR, e meno che mai CDR-Q, non lo diciamo noi oggi, ma già nel 2004 la CTU della dottoressa Maura Sanna depositata presso la Procura della Repubblica di Napoli che dimostrava inequivocabilmente come il prodotto degli impianti campani non rispettava i requisiti previsti dal decreto ministeriale del 5 febbraio 1998. Ed è per questo che a seguito dell’ordinanza commissariale n. 3479 del 2005 che aveva accertato, previe verifiche, che lo stato di conservazione e manutenzione degli impianti di CDR della Campania non era tale da garantire il mantenimento delle autorizzazioni a suo tempo concesse per la realizzazione degli impianti e per il loro esercizio che venne emanato l’OPCM n. 3481 del 30 Novembre 2005 con il quale si autorizzava l’esercizio degli impianti solo per la produzione di tritovagliato, declassando la frazione prodotta dagli impianti campani da CDR (CER 191210) a frazione secca (CER 191212) e la FOS (CER 190503) a frazione umida (CER 190501). Ancora più grave è l’aver ipotizzato di utilizzare i cementifici attualmente presenti nella nei comuni di Caserta e Maddaloni. L’art. 74 del decreto legislativo n. 112/98 al comma 2 attribuisce alle Regioni, sentiti gli enti locali, infatti, il compito di individuare le aree caratterizzate da gravi alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi idrici, nell’atmosfera e nel suolo che comportano rischio per l’ambiente e la popolazione. Il 30 giugno 2006 è entrato in vigore il Piano Regionale delle Attività Estrattive (P.R.A.E.) che all’ art. 27 e 28 ha dichiarato aree di crisi e zone altamente critiche (Z.A.C.) le aree in cui ricadono le attività estrattive di Caserta e Maddaloni e in cui insistono i due cementifici, di cui è stata prevista la consequenziale delocalizzazione a seguito della dismissione obbligatoria dell’attività estrattiva ai sensi delle n.d.a del PRAE e/o ai sensi della recente legge regionale approvata il 22 ottobre 2008. Le attività dei cementifici risultanti industrie insalubri di prima classe per emissioni delle polveri sospese respirabili PM10 sono sottoposte alla disciplina del decreto n. 203 del 24 maggio 2008 e del decreto n.351 del 4 agosto 1999. Cosicché la delibera di giunta n. 1653 che approva le linee programmatiche in materia di gestione dei rifiuti urbani e quindi anche l’incenerimento nei cementifici di Caserta e Maddaloni, è da considerarsi illegittima. 1 4

Fabbisogno e disponibilità di discariche Anche sul fronte delle discariche le previsioni di piano sono estremamente penalizzanti per il territorio provinciale e sopradimensionate rispetto alle stesse previsioni esposte nelle Linee programmatiche approvate dalla Regione con il citato atto di giunta. Il solo impianto di Parco Saurino (peraltro già attrezzato dal 2003 e mai utilizzato) ha una potenzialità di circa 400.000 mc (circa 600.000 tonnellate, secondo le stesse indicazioni presenti nelle Linee). Ciò consentirebbe in presenza del peggior scenario di raccolta differenziata delineato (con una percentuale di appena il 20% e quindi con un fabbisogno di discarica di circa 90.089 tonnellate annue) di utilizzare l’invaso per la sola provincia di Caserta per almeno 6 anni e 8 mesi, ossia fino alla metà del 2015. Se poi si ipotizza, di raggiungere almeno il 35% di RD a partire dall’anno 2009 tale invaso sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno di tutta la provincia almeno fino alla metà del 2016. L’altra ipotesi di una discarica a San Tammaro/Maruzzella (che dovrebbe avere una capienza di circa 1.600.000 di tonnellate) pertanto costituisce una scelta assolutamente non accettabile in quanto: -

inutile al fabbisogno della provincia di Caserta; disastrosa sul piano l’impatto ambientale nella misura in cui va ad aggravare ulteriormente la situazione di un area di pochi chilometri quadrati, rientrante nell’area DOP della mozzarella di bufala, già devastata dalla presenza di almeno 10.000.000 di mc di rifiuti (Discarica di Casone, Discarica di Parco Saurino 1 e 2; Maruzzella, Sito di Stoccaggio di Ferrandelle).

Conclusioni Esaminando le suddette Linee Programmatiche e incrociando le informazioni in esso contenute con la dotazione impiantistica già esistente come risulta dal Piano Pansa e dalle "scoperte" di Ganapini, per la provincia di Caserta si ha la seguente dotazione di impianti per far fronte ad un fabbisogno giornaliero di 944 t/giorno di rifiuti urbani (di cui 317 di frazione umida): -

l’impianto di selezione (ex CDR Ora STIR) di Santa Maria Capua Vetere (1200 t/g)

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l’Impianto di compostaggio di San Tammaro (100 t/g)

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l’impianto di compostaggio di Santa Maria Capua Vetere (300 t/g)

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i 10 vagli mobili a tamburo rotante

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la discarica di Parco Saurino (1644 t/g)

Se ipotizzassimo che tutti gli impianti non lavorassero per circa 100 giorni perché qualcuno li avesse sabotati o perché mancasse qualche pezzo di ricambio, o perché da noi (che siamo del Sud, non si dice così?) per la manutenzione occorrerebbe il 300% del tempo necessario in una situazione normale (cioè al Nord. Non si dice così?) avremmo comunque un’autonomia di almeno due anni per una discarica che, comunque servirebbe assai poco.

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A tutto questo si aggiunge che la camorra, così come dichiarato dal collaboratore di giustizia reo confesso Vassalli, ha deciso di allocare a Santa Maria La Fossa l’inceneritore già destinato a Battipaglia. La motivazione della delocalizzazione a Caserta? La difesa della mozzarella di bufala del salernitano! Occorre a questo punto che i decisori politici archivino le linee programmatiche proposte dalla Giunta Regionale in quanto non adatte, dannose e senza prospettive di successo, mettano attorno ad un tavolo pubblici poteri (la Provincia) e industriali per definire come utilizzare questa massa enorme di patrimonio in un quadro di apparato industriale adeguato per un paese normale e responsabile a partire dalla necessità e urgenza di entrare in un’ottica del recupero e della filiera dei materiali.

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