Verso un nuovo centro di gravità mondiale di Maurizio Mazziero - Analista finanziario Abstract L’articolo prende spunto dal meeting di Brasile, Russia, India e Cina svoltosi lunedì 16 giugno a Ekaterinburg per esaminare il possibile spostamento degli equilibri geopolitici da Usa ed Europa all’Asia. Vengono, inoltre, prese in esame le soluzioni ipotizzate per contrastare la perdita da parte del dollaro della funzione di riserva mondiale, esplicitando nel contempo le loro criticità. Lunghezza articolo: 5.387 caratteri spazi inclusi, 15 paragrafi, 69 righe.
Lunedì 16 giugno si è svolto a Ekaterinburg, in Russia, il secondo meeting BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) un incontro di portata mondiale, per le implicazioni, che la stampa italiana ha quasi ignorato. Per il Financial Times il centro di gravità mondiale si sta spostando da Usa ed Europa all’Asia; i BRIC rappresentano il 15% dell’economia mondiale e il 40% della popolazione. India e Cina sono economicamente sia in competizione che alleati, la Russia è un grande produttore di materie prime, mentre la Cina è un insaziabile importatore di materie di base; il Brasile rappresenta il competitor meno feroce ma è in grado di condizionare le politiche degli altri sia a livello alimentare che energetico, grazie anche alla produzione di bioetanolo. Il breve articolo de Il sole 24 Ore riporta: “I capi di stato di Brasile, Russia, India e Cina, riuniti oggi a Ekaterinburg (Russia) per il loro primo summit, hanno chiesto un sistema monetario internazionale «più diversificato», e quindi meno ancorato al dollaro.” Seguono altre brevi righe di commento. Il fatto è di non poco conto e secondo il GlobalEurope Anticipation Bulletin di giugno del Labratoire européen d'Anticipation Politique (LEAP) costituisce l’ultimo tentativo di riconciliazione prima del divorzio. Analizziamo meglio le implicazioni generali sebbene lo scenario risulti molto più complesso. Dall’abbandono nel 1971 del Gold Standard, cioè la piena convertibilità del dollaro in oro stabilita con gli accordi di Bretton Woods nel 1944, il dollaro è diventata, di fatto, la moneta di riserva mondiale. Non solo la maggior parte degli scambi commerciali si basano su questa moneta, ma essa costituisce anche la moneta di riserva per le banche centrali. Oggi, con la crisi economica partita dagli Stati Uniti, il dollaro non costituisce più una garanzia di solidità; alcuni stati come la California si trovano sull’orlo del collasso finanziario, mentre l’emissione di titoli di stato Usa viaggia a un ritmo di oltre 100 miliardi di dollari al mese, con un tendenziale per il 2009 di 2.600 miliardi di dollari, che poi vengono in parte riacquistati dalla Fed (stampando materialmente moneta non coperta da riserve) per sostenerne i prezzi. I Paesi produttori di materie prime e di beni di consumo, come Cina e Russia, si sono ritrovati nelle loro riserve miliardi di dollari impiegati in titoli di stato Usa. È comprensibile come questo aspetto rappresenti per loro un rischio sempre più rilevante, in particolar modo se si dovesse assistere a una plausibile svalutazione del dollaro. La Cina ha già avviato un programma di vendita dei titoli di media e lunga durata con quelli a tre-sei mesi, un passo intermedio prima di dire addio a questo tipo di investimenti. Nel contempo ha ampliato le sue riserve in oro e ha avviato massicci acquisti di materie prime, pagate generalmente in dollari, che contribuiscono ad ampliare le scorte nazionali.
Ma se il dollaro non riuscirà più a fungere da moneta di riserva, chi sarà il suo sostituto? L’euro forse? Assai poco probabile e meno ancora auspicabile. La moneta di riserva globale si accolla anche l’onere di costituire da piattaforma degli scambi commerciali mondiali e così facendo perde margini di manovra per garantire la propria stabilità. Per dirla semplicemente si trova in balia di scambi commerciali di paesi terzi che utilizzano la valuta per i pagamenti; è il caso ad esempio di un Paese A che compra euro per pagare il Paese B che gli fornisce il petrolio. Il risultato finale vedrà una continua oscillazione valutaria tra l’eurozona e i Paesi A e B, con conseguenti difficoltà di interventi di riequilibrio. Questo aspetto diventa ancora più acuto per il fatto che la politica monetaria dell’euro è stabilita dalla BCE, ma a fronte di politiche economiche non unificate fra i vari paesi dell’eurozona. Tornare a pagamenti in oro sarebbe men che meno auspicabile dato che si tratta di un metallo prezioso sempre più costoso da estrarre e, il solo annuncio di una nuova primavera per il metallo giallo, lo porterebbe in un soffio a superare di slancio la quota dei 1.000 dollari l’oncia per portarsi verso prezzi inimmaginabili. Non resta quindi che la soluzione indicata dal Presidente russo Medvedev: “la creazione di nuove valute di riserva, e forse, in ultima analisi, la creazione di divise sovra-nazionali, abbinate a nuovi mezzi di pagamento e metodi di calcolo.” Soluzione che avrebbe dovuto essere adottata già nell’ultimo G20, ma che resta inattuata e che con assoluta irresponsabilità dei governi occidentali verrà molto probabilmente glissata anche nel prossimo G8. A questo si aggiunge che oggi l’economia occidentale affronta una delle più gravi crisi degli ultimi 150 anni, mentre nel contempo vi sono altre economie che mantengono una crescita positiva; la Cina ad esempio che, dopo un rallentamento, sta riagganciando un aumento del PIL del 9% annuo. La Cina, inoltre, incrementerà sicuramente il consumo interno ma ha bisogno anche di nuovi sbocchi per le sue merci e le economie con maggiore prospettiva di crescita sono proprio Brasile, Russia e India. Se i membri del G8 non sapranno fare professione umiltà nel comprendere che è ora di fare un passo indietro e accettare le istanze delle nuove potenze del pianeta, potrebbe nascere un altro organismo capace di fronteggiare il G8 e di dettare le sorti dell’economia mondiale: un G4 in formato BRIC.
Maurizio Mazziero © 2009 – Tutti i diritti riservati