Ottobre Faceva freddo. Il sole del mattino era scomparso tra le nuvole prima di toccare il cortile del cimitero. Il ragazzo con gli occhi chiari mise mano alla pala, e cominciò a scavare. Ci avvicinammo. "E' arrivato il momento" pensai. Tremavo. Forse era il freddo, o forse l'emozione. Guardavamo in silenzio la buca. Altra gente ci passava accanto, nello stretto viottolo. La pala urtò qualcosa. "Ecco la cassetta" disse il ragazzo. Si inginocchiò per scavare con le mani. Erano passati quattro anni e mezzo. Non sapevamo cosa aspettarci. Qualche fila più in là una donna in lacrime teneva tra le mani qualche ossicino appena disseppellito: i resti di una gravidanza andata male. Gli ultimi avanzi di una persona mai esistita. Una persona attesa. Attesa e poi perduta. Il ragazzo ruppe il coperchio e cominciò a prendere dall'interno piccole manciate di terra miste a qualcosa. Sembravano piccole pagliuzze. Erano i suoi ossicini. Pochi, diafani, sparsi. Monica ne prese un pezzo tra due dita. "E' un frammento della testa.." C'era stata anche l'autopsia, l'avevo dimenticato. Il pensiero di mia figlia dissezionata. Un vago senso di offesa si fece strada nelle mie viscere. Temevo le lacrime, ma andò bene. Il tempo aveva fatto il suo lavoro. Eravamo tristi, ma non disperati. Non potevamo saperlo prima. Eravamo venuti per assistere, per esserci, per non lasciarla sola in quest'ultimo avvilente passo verso l'oblìo. Non è stato il momento per le lacrime. Insieme, le abbiamo potuto dire addio.