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Lo Stormo Non volavano in formazione, volteggiavano disordinatamente, incrociando le traiettorie e piroettando come ho spesso visto piroettare, a Cervia, i gabbiani che inseguono i pescherecci per saccheggiarli, e li inseguono, tenaci, fino dentro al porto. Lasciamelo dire: all'alba, dopo notti pescose, Cervia porto diventa un vero inferno: viale Vespucci, le banchine, i vicoli dietro il vecchio arsenale e naturalmente i piazzali della cooperativa ittica sono invasi, oscurati da una nuvola tossica, impazzita, fragorosa: piume, picchiate, puzza, pezzi di pesce... palazzi, piazzali e uomini ricoperti di guano. Guano, escrementi dei gabbiani, che mangiano il nostro pesce, te lo pescano dalle ceste, te lo strappano di mano, senza tanti complimenti, voraci e cagoni, che ad un certo punto sembra ci sia più guano che pesce nelle ceste. Guano al kilo! E tasche vuote. Volteggiavano, piroettavano ma non erano gabbiani quelli che vedevo adesso, non potevano esserlo a quell'altezza! In effetti quello che mi colpì, quando per caso, per puro caso, lo schienale della sdraio si rovesciò orizzontale e mi ritrovai faccia all'insù con lo sguardo verso il cielo a perpendicolo, fu la loro distanza: erano molto alti. Questo si intuiva subito dal rimpicciolimento estremo di quelle sagome -ma che dico sagome?! Erano solo dei piccolissimi puntini, distinguibili a malapena; si vedevano e non si vedevano. È tutta una questione di proporzioni, lo so, avrebbero potuto anche essere soltanto dei passeri e quindi non così in alto, meno in alto che dei gabbiani: ebbi un attimo di dubbio, un ridimensionamento... Poi la vertigine: le nuvole! Il mio sguardo penetrava attraverso uno squarcio, si stava affacciando da un enorme balcone di nuvole -quanto sono alte le nuvole?- e si slanciava, si perdeva, remotissimamente, nel blu profondo della stratosfera! Lo Stormo era lassù, al di sopra, a kilometri e kilometri di altezza, immenso, fatto di chissà quali esseri volanti, giganteschi! Lasciamelo dire questa meraviglia si accompagnò presto ad un inquietudine strana, nauseabonda e ad un senso di colpa sottile, incomprensibile, mentre pian piano il mio intelletto ripigliava fiato e chiariva la verità di quello che stavo vedendo, finché capii e fui certo che il mio era uno sguardo proibito: angeli! Stavo osservando degli angeli in volo!!! E banchettavano. Lo si intuiva dal volteggio disordinato, dagli incroci, dalle piroette di quei puntini che si distinguevano a malapena su nell'alto dei cieli. Come gabbiani famelici, che mangiano il nostro pesce, loro pescano dalle ceste nascoste al di sopra delle nuvole. Che cosa si strappano di mano senza tanti complimenti: le nostre preghiere? O i peccati? O le anime dei beati?! E dove finiscono i loro... in quel preciso istante un tuono tremendo, le nuvole si chiudono e nera pioggia, nera pioggia che cade sommergendomi. In Fede, Carlo T.
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