Lezione - La Psicologia e i suoi metodi E. PRATO PREVIDE & S. MARSHALL-PESCINI § 1 PSICOLOGIA E PROFESSIONI SANITARIE Recentemente le professioni dell’area sanitaria sono andate incontro a importanti trasformazioni che hanno portato da un lato alla ridefinizione di figure professionali già esistenti e dall’altro alla comparsa di nuove figure professionali adatte a rispondere in modo funzionale a nuove esigenze della pratica assistenziale. Oggi praticamente in tutti i campi e i percorsi formativi che hanno a che vedere con la salute ed il benessere umano la psicologia riveste un ruolo importante, ed è ormai generalmente riconosciuto che l’acquisizione di conoscenze e di competenze psicologiche (ad esempio di psicologia generale, sociale e clinica) sono necessarie, pur tenendo conto delle specifiche esigenze professionali, a quanti lavorano nelle professioni di aiuto. Questa rivalutazione delle competenze psicologiche in ambito sanitario è in parte riconducibile al progressivo diffondersi dell’ approccio bio-psico-sociale nei settori della cura, della riabilitazione, della promozione della salute e della ricerca. A differenza del più tradizionale approccio bio-medico, centrato sull’aspetto meramente biologico della malattia, l’approccio bio-psico-sociale pone la sua attenzione sull’individuo e sul ruolo dei fattori sociali e psicologi nel determinare le condizioni di salute e di malattia. Il modello bio-psico-sociale considera la salute e la malattia il risultato di una combinazione di fattori che comprendono le caratteristiche biologiche (predisposizioni genetiche, eventi patologici traumatici, infettivi, degenerativi), fattori comportamentali (stile di vita, stress) e condizioni sociali (influenze culturali e familiari, contesto sociale). Oggi è sempre più evidente che la semplice comprensione degli aspetti biologici dello stato di malattia e di quello di salute, per quanto indispensabile, non è sufficiente: il modo in cui gli individui conducono la propria vita e interagiscono con il mondo ha altrettanta importanza dei processi infettivi o delle alterazioni metaboliche. Oggi, rispetto al passato la morbilità e la mortalità sono profondamente influenzate dal nostro comportamento: ciò che mangiamo, beviamo, quanto esercizio fisico facciamo, il nostro comportamento sessuale, il nostro atteggiamento nei confronti della malattia e della salute e così via. La psicologia della salute, disciplina che si occupa di come i fattori biologici, comportamentali e sociali influenzino lo stato di salute e quello di malattia, rappresenta e coglie bene i punti di incontro tra la psicologia, la medicina e le altre diverse professioni sanitarie di aiuto (Delle Fave e Bassi, 2007; Ripamonti e Clerici, 2008) Chi lavora nel campo della salute si trova spesso in situazioni assistenziali che lo mettono in contatto con la sofferenza ed il disagio fisico e psicologico e che richiedono un intervento di tipo psicologico, per quanto limitato, oltre che specifiche competenze tecniche: cogliere e riconoscere eventuali segnali di disagio emotivo, relazionarsi e comunicare in modo adeguato, tenendo conto dei bisogni dell’altro ma evitando un distacco eccessivo o un coinvolgimento incontrollato. Questo non comporta ovviamente “essere degli psicologi” ma acquisire alcune conoscenze di base della psicologia (ad esempio generale e clinica).
Da un lato un atteggiamento adeguato e psicologicamente orientato da parte degli operatori sanitari può contribuire a ridurre le conseguenze negative, sul piano della vita emotiva e dell’adattamento psicosociale, causate da una condizione patologica acuta o cronica favorendo la qualità della vita e il benessere del paziente e dei suoi familiari; dall’altro, può aiutare a ridurre e contenere lo stress degli operatori stessi, legato al contatto costante con il dolore, la sofferenza, la malattia e le emozioni negative che questi inevitabilmente comportano: le professioni sanitarie sono infatti tra quelle maggiormente esposte al rischio di un esaurimento emotivo (burn out) con ricadute sulla salute psicofisica degli operatori, la qualità delle mansioni svolte e il livello di soddisfazione degli utenti. § 2 CHE COSA È LA PSICOLOGIA Per poter meglio comprendere il potenziale apporto della psicologia nelle diverse professionalità è utile darne una definizione generale e descriverne brevemente i principali orientamenti moderni e le modalità di indagine. Per un approfondimento maggiore degli sviluppi storici della psicologia, delle sue attuali prospettive e dei metodi di indagine e di acquisizione delle conoscenze si rimanda ai numerosi testi disponibili (ad esempio Atkinson e Hilgard, 2006; Cornoldi e Tagliabue, 2004, Delle Fave, Massimini, Poli, Prato Previde, 2005) Sebbene le radici della psicologia possano essere identificate nella storia della filosofia e della scienza dell’antica Grecia, la psicologia come scienza autonoma è relativamente giovane; la nascita della psicologia, infatti, si colloca nella seconda metà del XIX secolo e viene generalmente fatta risalire al 1879, quando Wilhem Wundt inaugurò presso l’Università di Lipsia, in Germania, il primo laboratorio dedicato esclusivamente alla ricerca in campo psicologico con un approccio di ricerca rigoroso. E’ importante ricordare che la psicologia odierna, con la sua molteplicità di approcci e teorie poggia sul pensiero e l’opera di moltissimi uomini tra cui, ad esempio, Aristotele, Cartesio e Darwin; la molteplicità delle domande che si pone, i metodi e gli strumenti di ricerca che utilizza, le teorie che ha sviluppato sono il risultato di un processo di evoluzione storica, delle idee e del lavoro di moltissimi studiosi e di un continuo progresso tecnologico. La psicologia oggi può essere definita come la scienza che studia, in una prospettiva bio-psico-sociale, il comportamento e i processi mentali degli individui (soprattutto ma non esclusivamente degli esseri umani) cercando di descriverne e spiegarne le caratteristiche, il funzionamento e i meccanismi. Il comportamento rappresenta l’insieme delle attività direttamente e oggettivamente osservabili compiute da una persona o un animale (individui singoli, gruppi, specie); dipende da vari fattori che interagiscono dinamicamente in modo complesso: fattori genetici, ambientali e culturali, stati interni e processi mentali. I processi mentali o psichici sono tutti quei processi, non direttamente osservabili e legati all’attività del sistema nervoso centrale, che influenzano il comportamento dell’organismo e il suo adattamento all’ambiente. In
generale possiamo dire che il termine mente si riferisce all’insieme di sensazioni, percezioni, ricordi, conoscenze, pensieri, emozioni e motivazioni che caratterizzano un individuo. La psicologia moderna si occupa di una incredibile varietà di argomenti riguardanti il comportamento e la mente, sia per descrivere e spiegare ciò che è comune a tutti gli individui (esseri umani o anche altre specie animali), sia ciò che caratterizza un particolare individuo e che rende conto delle differenze individuali. Nella sua pur breve storia, la ricerca psicologica ha raccolto una grande massa di conoscenze ed ha elaborato teorie importanti per spiegare i meccanismi del pensiero, dell’apprendimento, della memoria, delle emozioni e di numerosi altri aspetti delle nostre funzioni psichiche e del nostro comportamento osservabile. Oltre all’obiettivo conoscitivo di descrivere e spiegare e costruire modelli e teorie del comportamento e del funzionamento psichico, vi è anche un altro aspetto della psicologia, più recente e di particolare rilevanza, quello applicativo: utilizzare le conoscenze acquisite attraverso la ricerca per intervenire in una varietà di campi diversi affrontando problemi concreti (ad esempio il lavoro, l’educazione, la sanità). La psicologia pertanto abbraccia vari ambiti di indagine e di intervento occupandosi di una molteplicità di aspetti relativi al comportamento e alla vita psichica e di relazione dell’ individuo; è possible identificare aree diverse in relazione all’oggetto di studio (ad esempio psicologia della personalità o psicologia sociale), al metodo utilizzato (psicologia sperimentale, psicometria), al tipo di approccio teorico di riferimento (psicologia dinamica, psicologia cognitiva) o alla dimensione di scienza pura o applicata (psicologia generale, psicologia del lavoro, psicologia clinica, Cornoldi e Tagliabue, 2004). La professione di psicologo quindi interessa: 1. la sperimentazione e la ricerca 2. la didattica e la formazione e, 3. l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento per prevenire, diagnosticare intervenire sui problemi comportamentali e psicologici. Probabilmente la psicologia clinica è la specializzazione psicologica più diffusa e anche più conosciuta dalle persone, che spesso identificano la figura dello psicologo con quella dello psicologo clinico e dello psicoterapeuta. Essa rappresenta, sia dal punto di vista storico che delle competenze, la principale area applicativa della psicologia odierna. Oggi il ruolo delle sue conoscenze e competenze nella professionalità medica e nelle diverse professioni sanitarie è sempre più riconosciuto e documentato (Rossi, 2004; Delle Fave e Bassi 2007; Ripamonti e Clerici, 2008).
Inoltre, ciascuna prospettiva si focalizza su aspetti diversi dello stesso fenomeno, dando un contributo importante ma in grado di fornire solo spiegazioni parziali; i diversi approcci non si escludono a vicenda, anzi dovrebbero essere integrati tra loro il più possibile in quanto lo studio del funzionamento psicologico dell’individuo per la sua enorme complessità richiede un approccio eclettico. Al giorno d’oggi, molti psicologi hanno un’impostazione empirista e mostrano molto interesse per la ricerca scientifica: tuttavia, i modi in cui essi si accostano allo studio del comportamento e dei processi mentali sono estremamente vari. Alcuni psicologi aderiscono rigorosamente a una prospettiva specifica, mentre molti altri sono eclettici, nel senso che combinano caratteristiche di due o più approcci, nella convinzione che non esista una singola prospettiva capace di spiegare completamente tutti gli aspetti dei fenomeni psicologici. Tra i principali approcci della psicologia vi sono oggi: quello biologico, quello comportamentale, quello cognitivo, quello psicodinamico e quello fenomenologico. Approccio biologico L’approccio biologico o prospettiva biologica fa riferimento a concetti sia psicologici che biologici per spiegare il comportamento e i processi mentali. In questa prospettiva, si ritiene che il comportamento e i processi mentali siano in larga misura determinati dai processi biologici; vengono quindi studiati gli effetti psicologici degli ormoni, dei geni, dell’attività del sistema nervoso e soprattutto del cervello. Dato che i fattori biologici agiscono costantemente in concerto con le esperienze passate e con l’ambiente attuale e che i processi mentali si realizzano nel cervello, l’approccio biologico fornisce conoscenze oggi considerate essenziali per la psicologia. L’ipotesi che caratteristiche comportamentali come l’aggressività, l’intelligenza, la personalità, la depressione o la schizofrenia possano essere riconducibili a fattori genetici, a squilibri ormonali oppure ad alterazioni a livello cerebrale riflette le caratteristiche dell’approccio biologico in psicologia. Analogamente i recenti sviluppi delle ricerche nell’ambito delle neuroscienze cognitive creano un affascinante ponte tra processi neurali e processi psichici; le recenti tecniche di “neuroimaging”, ad esempio la risonanza magnetica funzionale (fMRI), permettono oggi di “osservare” i processi mentali in soggetti sani e di identificare le aree cerebrali interessate nello svolgimento di specifiche operazioni cognitive, come prendere una decisione, ricordare, immaginare, pianificare, riconoscere e perfino mentire.
§ 3 LE
PRINCIPALI PROSPETTIVE DELLA PSICOLOGIA CONTEMPORANEA
Approccio comportamentale.
Lo studio del comportamento esplicito e dei processi mentali nell’uomo e negli animali pone lo studioso di fronte ad argomenti estremamente complessi che possono essere affrontati da vari punti di vista e con approcci diversi (ad esempio in una prospettiva biologia o cognitiva); ovviamente ciascuna prospettiva o approccio fornisce contributi diversi al perché gli individui si comportano in un certo modo.
L’approccio comportamentale, nella sua forma più tradizionale definito anche comportamentista, considera il comportamento e i processi mentali come determinati essenzialmente dall’apprendimento e dalle influenze ambientali. In questa prospettiva i fattori genetici e biologici forniscono una sorta di materiale grezzo su cui le ricompense, le punizioni e le altre esperienze agiscono per formare le caratteristiche individuali. Di conseguenza, in
questa prospettiva le caratteristiche comportamentali e psicologiche di ciascun individuo (ad es. aggressività, fiducia in se stessi, abuso di droghe ecc.) possono essere comprese e spiegate in termini della storia degli apprendimenti individuali, in particolare per quanto riguarda i modelli specifici di ricompensa e di punizione di cui ogni singolo individuo ha avuto esperienza. Da queste premesse deriva la convinzione che i comportamenti problematici, dagli eccessi alimentari alla tendenza a comportamenti asociali o criminali, possano essere eliminati disapprendendo le vecchie abitudini disadattive e sviluppandone di nuove. Recentemente, molti psicologi di questa prospettiva si sono allontanati da un comportamentismo tradizionale adottando un’approccio cognitivo-comportamentale che aggiunge alla tradizionale enfasi comportamentista sulle azioni osservabili lo studio dei processi mentali. Questo approccio studia in che modo l’apprendimento influenza lo sviluppo dei pensieri e delle credenze e, reciprocamente, come i modelli cognitivi appresi influenzano il comportamento osservabile.
istinti e i desideri (per esempio per il cibo, il sesso o l’aggressività) e la necessità di adeguarsi alle restrizioni imposte dalla società. Da questa prospettiva, l’ostilità e l’aggressività riflettono il cedimento delle difese che permettono una regolazione razionale dell’espressione dei bisogni primitivi, mentre l’ansia, la depressione e gli altri disturbi sono i segni espliciti di questi turbamenti interni. L’approccio psicodinamico si riflette in numerose teorie contemporanee che affrontano i disturbi della personalità, i disturbi psicologici e diverse modalità di intervento terapeutico. La prospettiva freudiana ortodossa è oggi molto meno influente di quanto sia stata in passato: la maggior parte degli psicologi che adottano un approccio psicodinamico preferisce una delle varie revisioni delle teorie originarie di Freud, centrando ad esempio l’attenzione su come il rapporto che un individuo ha avuto con i propri genitori durante l’infanzia costituisca un modello per i rapporti intimi nello sviluppo successivo. Approccio fenomenologico
Approccio cognitivo L’approccio cognitivo è probabilmente quello oggi più diffuso in psicologia. L’attuale prospettiva cognitiva si occupa dello studio dei processi mentali (percepire, ricordare, ragionare, decidere ecc.) e delle loro relazioni con il comportamento osservabile degli individui. La prospettiva cognitiva pone quindi l’accento sul modo in cui le persone introiettano, rappresentano mentalmente e archiviano le informazioni, sul modo in cui le percepiscono e le elaborano e sul modo in cui i processi cognitivi sono correlati agli schemi integrati del comportamento osservabile. Gli psicologi con questo tipo di approccio studiano gli eventi mentali - compresi quelli che hanno luogo al di fuori della consapevolezza - che accompagnano il comportamento esplicito; l’obiettivo è quello di scoprire gli elementi fondamentali della cognizione e di determinare in che modo essi producono i comportamenti complessi. Alcuni studiosi combinano l’approccio cognitivo con quello biologico, un campo di ricerca oggi indicato con il termine neuroscienze cognitive; altri, si occupano di cognizione sociale utilizzano modelli cognitivi nell’ambito della psicologia sociale per spiegare come le persone si influenzino a vicenda. Le assunzioni di base dell’approccio cognitivo sono 1. che solo studiando i processi mentali sia possibile capire pienamente come agisce l’organismo, e 2. che sia possible studiare i processi mentali in modo obiettivo, osservando specifici comportamenti e interpretandoli sulla base dei processi mentali ad essi sottesi. Approccio psicodinamico L’approccio psicodinamico offre una prospettiva diversa sul ruolo degli istinti ereditari e delle altre forze biologiche sul comportamento umano, sottolineando il legame tra comprensione del comportamento e processi inconsci (credenze, paure, desideri, conflitti) che lo influenzano. Radicato nella psicoanalisi freudiana, questo approccio sostiene che i comportamenti e i processi mentali riflettono le lotte costanti e per la maggior parte inconsce che hanno luogo all’interno di ogni individuo. Generalmente, queste lotte comportano il conflitto fra l’impulso di soddisfare gli
Secondo l’approccio fenomenologico (definito anche umanistico), che nasce dalla tradizione gestaltistica, il comportamento è determinato principalmente dalle capacità di ogni individuo di scegliere in che modo agire e pensare. Le scelte dell’individuo non sarebbero determinate dagli istinti, da processi biologici, da ricompense o da punizioni, ma dalle percezioni uniche di ciascun individuo. In altri termini il comportamento dipenderebbe dalla nostra percezione del mondo (e non dal mondo così com’ è) e quindi dalle realtà soggettive costruite attivamente dalle persone. Se si percepisce il mondo come un posto amichevole, è probabile che ci si senta felici e sicuri; se invece lo si vede come pericoloso e ostile, con ogni probabilità si sarà ansiosi e sulla difensiva. Secondo questo orientamento, le persone costruiscono attivamente la propria realtà soggettiva e tendono a considerare le loro ricostruzioni soggettive della realtà come dati oggettivi; la cultura, la storia personale, lo stato emotivo e motivazionale influenzano la percezione soggettiva delle situazioni. A differenza dagli psicologi di scuola cognitivista, gli psicologi umanistici non cercano leggi generali che governino le percezioni, i giudizi, le decisioni, le azioni delle persone, ma pongono l’accento sulle esperienze individuali immediate. Molti dei sostenitori di questo approccio affermano che il comportamento e i processi mentali possono essere compresi solo se si valutano le percezioni e le sensazioni provate da ciascun singolo individuo. L’approccio fenomenologico ha iniziato ad attirare attenzione negli Stati Uniti negli anni ’40 attraverso gli scritti di Karl Rogers, uno psicologo che era stato formato nella tradizione psicodinamica, che tuttavia aveva poi rifiutato. Questo approccio è stato anche caratterizzato dall’opera di Abraham Maslow e dalla sua importante teoria della motivazione basata sulla gerarchia dei bisogni; tuttavia oggi l’impatto della psicologia fenomenologica è limitato, almeno nell’ambito della ricerca, soprattutto perché molti ritengono che questi concetti e queste predizioni siano troppo vaghi per essere espressi e verificati in maniera scientifica.
§ 4 I METODI DELLA PSICOLOGIA Lo scopo della psicologia è descrivere e spiegare il comportamento e il funzionamento mentale degli organismi, formulare modelli e teorie del comportamento animale e umano e infine utilizzare le informazioni acquisite attraverso la ricerca per predire il comportamento e pianificare degli interventi concreti in ambiti differenti. Per questo motivo il problema della ricerca e dei metodi di raccolta delle informazioni è di importanza centrale. Oggi la psicologia come le altre scienze si avvale del metodo scientifico per studiare il comportamento. Di seguito saranno descritti molto brevemente alcuni concetti di base della ricerca psicologica; per un approfondimento maggiore sul metodo scientifico in psicologia e sulle diverse strategie di ricerca in campo psicologico si rimanda ai diversi testi specialistici oggi disponibili sull’argomento. Con il termine metodo scientifico ci si riferisce sia a un modo di procedere nel porsi le domande e cercare le risposte comune a tutte le scienze (formulazione e verifica delle ipotesi), sia a un’insieme di procedure e di tecniche rigorosamente codificate e comuni alle diverse scienze (ad es. condurre esperimenti). Fare ricerca in psicologica comporta cercare di trovare delle risposte a interrogativi, spesso assai complessi, formulando innanzitutto delle ipotesi e poi raccogliendo e analizzando sistematicamente dei dati osservabili. In genere, dato il suo oggetto di studio, i dati raccolti ed elaborati dalla psicologia sono misure o descrizioni di comportamenti messi in atto da esseri umani o animali. Il comportamento, sia individuale che sociale, è “pubblico” e quindi può essere osservato direttamente e in modo oggettivo da persone diverse; l’oggettività è legata al fatto che persone diverse, nelle stesse condizioni, compiano le medesime osservazioni. I processi psicologici, sebbene diversi da quelli strettamente biologici, possono anch’essi essere oggetto di indagine e analisi scientifica: infatti, sebbene non direttamente osservabili possono essere inferiti attraverso appropriate osservazioni del comportamento. I dati comportamentali e quelli relativi al funzionamento mentale possono appartenere a categorie diverse e assumere valori differenti e quindi rappresentano delle variabili, così come sono delle variabili anche le diverse situazioni/condizioni in cui un individuo può essere posto o viene a trovarsi. Il termine variabile indica in generale qualcosa che può verificarsi con diversi valori e che può essere misurata. Ad esempio, l’età, lo stato di salute, il livello di motivazione o di ansia sono variabili che possono influenzare il comportamento e le funzioni mentali di un individuo (ad esempio l’intensità di una sua reazione aggressiva, la sua prestazione in un compito di memoria o di apprendimento). Alcune variabili possono essere manipolate dal ricercatore e tipicamente vengono manipolate negli esperimenti (ad esempio la difficoltà di un compito o le caratteristiche di uno stimolo); altre non possono essere manipolate ma sono presenti naturalmente e possono essere studiate (ad esempio l’età, lo stato di salute di una persona). Ad esempio, se si desidera studiare l’effetto della ridotta stimolazione sulle funzioni cognitive delle persone anziane è possibile confrontare situazioni di vita diverse, come il fatto di vivere in un istituto di ricovero o a casa propria svolgendo
tutte le normali attività quotidiane. Le ricerche psicologiche di questo tipo hanno evidenziato come, a parità di tutto il resto, gli anziani che vivono in case di riposo o in istituti abbiano in genere prestazioni cognitive peggiori rispetto a quelli che vivono nella propria abitazione e svolgono le proprie normali piccole attività quotidiane; inoltre, maggiore è il tempo di permanenza in un istituto per anziani minore è la prestazione nei diversi test cognitivi (correlazione inversa tra le due variabili). Per spiegare un fenomeno e stabilire dei legami tra le variabili che interessano è necessario prima definire le variabili e poi effettuare delle misurazioni. Mentre alcune variabili sono relativamente facili da definire e da misurare, altre sono particolarmente ostiche da definire e difficili da misurare (si pensi solo alla difficoltà di definire l’intelligenza e agli indiscutibili limiti dei test di intelligenza volti a misurarla). Un altro aspetto importante nella ricerca scientifica, e quindi anche di quella psicologica, è il controllo, ovvero la possibilità di controllare/eliminare l’influenza di variabili estranee, diverse da quelle oggetto di studio e di interesse. In psicologia, in particolare nell’ambito della ricerca sperimentale, vi sono diversi metodi volti a ottenere un buon livello di controllo e a stabilire legami di causa-effetto tra le variabili; tuttavia, vi sono anche molti casi in cui non è possibile condurre esperimenti in situazioni controllate e il ricercatore ricorre allora a strategie di ricerca differenti (ad esempio studi descrittivi o correlazionali). Infine un aspetto importante che interessa in modo particolare le ricerche psicologiche è quello degli effetti delle aspettative dell’osservatore; infatti, da un lato le aspettative del ricercatore possono spingerlo a privilegiare inconsapevolmente la propria ipotesi rispetto alle altre possibili; dall’altro quando si studiano soggetti umani, ma anche animali, è possibile che lo sperimentatore, in modo del tutto involontario, trasmetta al soggetto le proprie aspettative e che il soggetto, intenzionalmente o meno, risponda facendo ciò che lo sperimentatore si aspetta. Questo può verificarsi in tutte le situazioni in cui una persona somministra un test a un altro individuo ed è un aspetto che deve essere accuratamente controllato nella ricerca psicologica. Le strategie di ricerca in psicologia Se si analizza la letteratura psicologica è possibile identificare tre diversi tipi di studi psicologici, caratterizzati da un’impostazione fondamentalmente differente: gli studi sperimentali (o esperimenti), gli studi correlazionali e gli studi descrittivi. A seconda del tipo di studio varia il tipo di informazioni e di conclusioni che si possono trarre sulle relazioni tra le variabili considerate dal ricercatore. Inoltre, a seconda del luogo dove viene condotta la ricerca psicologica esistono studi di laboratorio e studi sul campo (o naturalistici). Infine, nelle diverse ricerche (sia di laboratorio che sul campo), lo sperimentatore può raccogliere i dati comportamentali attraverso l’osservazione diretta e la misurazione del comportamento dei soggetti o attraverso l’ osservazione indiretta, vale a dire mediante l’uso di questionari o interviste.
Tipi di studi psicologici Luoghi della ricerca psicologica Gli studi sperimentali consentono di verificare l’esistenza di una relazione di causa-effetto tra le variabili in quanto consentono al ricercatore di avere un elevato livello di controllo sulle variabili. Gli esperimenti sono il modo migliore per cercare di stabilire dei legami di causa-effetto tra una o più variabili indipendenti (le “cause” ipotizzate dallo sperimentatore che ne controlla e manipola le variazioni) e una o più variabili dipendenti (gli “effetti” che si ipotizza dipendano dal valore della variabile indipendente). Il punto di forza degli esperimenti è la possibilità di controllare le altre variabili in modo da stabilire con chiarezza l’esistenza di un legame causale tra variabili indipendenti e dipendenti di interesse. Ad esempio se vogliamo sapere se la memoria peggiora con l’età possiamo realizzare un esperimento in cui confrontiamo le prestazioni di gruppi di soggetti adulti, giovani e anziani in vari compiti volti a valutare le diverse componenti della memoria. In questo caso la variabile indipendente è l’età dei soggetti, mentre la variabile dipendente è il comportamento dei soggetti nei test; tuttavia, per poter realmente concludere che il passare degli anni causa una diminuzione della memoria è necessario controllare le altre variabili che possono influenzarla, come il livello di scolarizzazione, lo stato di salute o la minore fiducia in se stesso da parte dell’anziano. Un ricercatore fermamente convinto dell'esattezza della propria ipotesi può però involontariamente creare delle condizioni che portano alla sua conferma, dando ad esempio dei segnali subliminali ai soggetti. Per questo motivo, è spesso opportuno effettuare degli esperimenti in "doppio cieco": in questa procedura, sino al termine dell'esperimento, neppure lo sperimentatore sa quali soggetti ricevono un particolare trattamento. Non tutti gli argomenti di interesse possono essere però indagati con il metodo sperimentale e soprattutto nelle ricerche sull’uomo, spesso non è possibile effettuare esperimenti. Negli studi correlazionali lo sperimentatore non manipola le variabili ma sceglie e misura delle variabili esistenti per valutare se tra di esse esiste una relazione di qualche tipo. Gli studi correlazionali, a differenza di quelli sperimentali, non consentono di concludere che una data variabile è la causa del cambiamento dell’altra, ma consentono comunque di formulare previsioni in quanto evidenziano l’esistenza di relazioni regolari tra variabili (le correlazioni). Ad esempio, è stata evidenziata nei bambini una correlazione positiva tra l’assistere a spettacoli televisivi violenti e il comportamento violento/aggressivo; questo tuttavia non dimostra inequivocabilmente che i programmi contenenti scene violente inducono comportamenti aggressivi; è infatti anche possibile che il fatto di essere aggressivi porti a scegliere con più frequenza dei programmi televisivi con scene violente. Gli studi descrittivi sono studi il cui obiettivo è essenzialmente descrivere il comportamento di uno più soggetti senza cercare di analizzare sistematicamente le relazioni tra particolari variabili. La descrizione delle caratteristiche di un fenomeno comportamentale o psicologico rappresenta spesso il punto di partenza per la formulazione delle ipotesi e l’identificazione delle variabili rilevanti per la sua comprensione; pertanto, la descrizione è spesso un presupposto fondamentale della ricerca sperimentale o correlazionale.
Le ricerche psicologiche sul comportamento degli individui e i processi che lo determinano possono essere condotte in laboratorio o in condizioni naturalistiche. E’ importante all’inizio di uno studio valutare attentamente quali sono i vantaggi e gli svantaggi di lavorare in laboratorio o sul campo, sia per quanto concerne l’interrogativo che ci si pone sia per il tipo di conclusioni che si desidera trarre dal proprio studio (scoprire le cause, stabilire delle correlazioni o descrivere). Nelle ricerche di laboratorio l’ambiente è appositamente progettato per raccogliere le informazioni e i dati, e vi è quindi sempre un maggior livello di controllo delle variabili ambientali; questo ha degli indiscutibili vantaggi in termini di rigore metodologico, ma anche degli ovvi limiti legati all’artificiosità della situazione. Le ricerche di laboratorio, ad esempio, sono particolarmente utili nello studio delle singole funzioni psichiche, quali la sensazione, la percezione, la memoria e l’apprendimento. La ricerca sul campo affronta in genere temi che riguardano l’individuo nella sua totalità e lo studiano nel suo ambiente di vita quotidiano. Questo permette di cogliere meglio la complessità del fenomeno ma rende più difficile il controllo sulle diverse variabili presenti. Oggi in psicologia vi è una crescente tendenza a riconoscere l’importanza di una integrazione tra studi di laboratorio e ricerche sul campo e sempre più ricercatori scelgono di abbinare i due tipi di studi per raggiungere una migliore comprensione dei fenomeni studiati e una maggiore affidabilità delle conclusioni. Osservazione diretta e indiretta I dati sul comportamento possono essere raccolti con due modalità differenti: l’osservazione diretta del comportamento o l’autodescrizione. Nell’osservazione diretta il ricercatore osserva e registra in prima persona i comportamenti manifestati dai soggetti. Se l’osservazione è di tipo naturalistico, si cerca di non interferire con il comportamento spontaneo del soggetto (osservazione naturalistica o etologica); ad esempio in molti studi basati sull’osservazione condotti sugli adulti, sui bambini, o sugli animali lo sperimentatore, per ridurre al minimo la propria influenza sul comportamento, osserva i soggetti nascosto dietro un falso specchio o su un monitor posizionato in una stanza diversa. In altri tipi di ricerche, come ad esempio quelle sulla percezione, sulla memoria o sull’apprendimento, lo sperimentatore sottopone deliberatamente i soggetti a un qualche tipo di test e ne rileva il comportamento; in questi casi, vi può anche essere una diretta interazione tra sperimentatore e soggetto. Vi sono casi in cui per diverse ragioni non è possibile osservare o rilevare direttamente il comportamento dei soggetti e si utilizzano metodi di autodescrizione (questionari o interviste): sono i soggetti stessi a fornire una descrizione o una valutazione del proprio comportamento rispondendo a domande poste dallo sperimentatore. Un esempio tipico e noto a tutti di questa procedura è il questionario, un insieme organizzato di domande a cui l’individuo deve rispondere. Anche l’intervista è uno strumento di uso comune nelle ricerche psicosociali e le sue caratteristiche variano molto in relazione al suo livello di
strutturazione. In alcuni casi le interviste possono essere altamente strutturate e l’intervistatore rivolge domande precise al soggetto; altre volte, come spesso succede nei colloqui clinici, il colloquio ha più gradi di libertà con possibilità di inserire nuove domande in relazione al tipo di risposte fornite dal soggetto. I questionari e le inchieste vengono spesso utilizzati per studiare e conoscere l’opinione o gli atteggiamenti di gruppi di persone in relazione ad argomenti o a problemi diversi. Ad esempio se desideriamo sapere qual è l’opinione delle persone sull’impiego di organismi geneticamente modificati in campo alimentare il modo migliore è quello di intervistarle o somministrare loro un questionario. L’uso dei questionari e delle interviste nella ricerca psicologica offre degli indiscutibili vantaggi (raccogliere informazioni inaccessibili all’osservazione, raccogliere molti dati in tempi relativamente brevi), ma presenta anche dei chiari limiti; la veridicità delle autodescrizioni, infatti, è strettamente legata al fatto che il soggetto riconosca e ricordi i propri comportamenti o stati d’animo e li riporti onestamente senza distorcerli per far piacere allo sperimentatore o per dare un’immagine migliore di sé. Va infine ricordato che vi sono situazioni in cui l’interesse dello studioso è quello di effettuare una descrizione molto accurata del comportamento o della prestazione di un singolo soggetto sia attraverso l’osservazione e la rilevazione del suo comportamento, sia attraverso l’impiego di appropriate interviste volte a individuare i processi mentali e psicologici che lo portano a scegliere certi percorsi (studio di casi singoli). Focalizzarsi su un singolo individuo e sulle sue caratteristiche è proprio anche della ricerca in ambito clinico; la psicologia clinica, infatti, si occupa di studiare individui che si discostano per vari aspetti dall’individuo medio studiato dagli psicologi generali e che presentano deficit, disabilità o stati di disagio psicologico più o meno intensi. Lo psicologo clinico può trovarsi a dover effettuare una diagnosi sulle caratteristiche psicologiche di un paziente, sulle sue funzioni mentali o sulla presenza di tratti patologici su richiesta sia di medici che di strutture pubbliche o private e per fare ciò deve studiare il soggetto sia entrando in relazione con esso, sia utilizzando strumenti appropriati, che vanno dal colloquio all’osservazione, all’uso di test specifici volti a valutarne le funzioni di base, le attitudini o la personalità (metodo clinico).
Atkinson W.W, Hilgard E.R., 2006. Introduzione alla Psicologia, Piccin Nuova Libraria, S.p.A., Padova. Cornoldi C., Tagliabue M., 2004. Incontro con la psicologia, Il Mulino, Bologna, Delle Fave A., Massimini F., Poli M., Prato Previde E. 2005. Psicologia generale, Monduzzi, Bologna. Delle Fave A., Bassi M., 2007. Psicologia e Salute, l’esperienza di utenti e operatori, UTET Università, Torino. Ripamonti C.A., Clerici C.A., 2008. Psicologia e salute. Introduzione alla psicologia clinica in ambiente sanitario, Il Mulino Bologna.