Lezione -Aspetti bio-psico-sociali dello stress E. PRATO PREVIDE & S. MARSHALL-PESCINI § 1 STRESS E SALUTE Hans Selye (1980) uno dei pionieri delle ricerche sullo stress ha affermato che “il concetto scientifico di stress ha avuto la fortuna di entrare nell’uso quotidiano, ma anche la sfortuna di essere interpretato molto male”, sottolineando come la parola stress sia oggi assai comune e frequente nel linguaggio quotidiano ma venga utilizzata non sempre in modo corretto per riferirsi a una varietà di eventi e di situazioni che riguardano aspetti diversi della vita di un individuo. Il tema dello stress è di grande interesse per discipline scientifiche diverse, quali ad esempio la biologia o la psicologia, ed essendo strettamente correlato al problema della salute (intesa non solo come “assenza di patologia” ma come uno “stato di benessere fisico, psicologico e sociale”) interessa direttamente anche la medicina e tutti i campi che hanno a che vedere con la salute ed il benessere. Vi sono almeno 3 aspetti importanti che legano il tema dello stress a quello della salute: 1. le condizioni patologiche acute o croniche rappresentano una considerevole fonte di stress, riducendo la qualità della vita ed il benessere sia del paziente che dei suoi familiari. Ad esempio, malattie croniche che limitino gravemente o modifichino pesantemente la vita di una persona possono diventare fonti di disagio ed allerta permanenti; la convivenza con una neoplasia, una patologia degenerativa o gli esiti di un infarto o un ictus può essere fortemente condizionata dall’incertezza riguardo al decorso, dalla eccessiva vigilanza nei confronti di sintomi o disturbi accessori, dalle frustrazioni derivate dalle difficoltà o limitazioni nella vita quotidiana. 2. il contatto sistematico con la sofferenza, la malattia e le emozioni negative che queste inevitabilmente comportano costituiscono una fonte di stress per chi opera nel campo della salute; non a caso le professioni sanitarie, ed alcune in particolar modo, sono tra quelle maggiormente esposte al rischio di un esaurimento emotivo (burnout) 3. in generale l’esposizione dell’individuo a condizioni di stress acuto ma soprattutto cronico può avere ripercussioni anche gravi sulla salute e può favorire l’insorgenza di diversi tipi di patologie stress correlate sia fisiche che mentali. Ad esempio, frustrazioni ripetute o conflitti persistenti possono essere alla base dell'insorgenza di disturbi organici (si pensi all'ulcera gastro-duodenale, ad alcune malattie cutanee, all'ipertensione, a talune alterazioni cardiache); anche in condizioni normali le funzioni affettive influenzano il funzionamento di organi e sistemi (influenza psicosomatica). Pertanto, la conoscenza del fenomeno dello stress, dei fattori in gioco nel determinarlo e nel rendere le persone più o meno vulnerabili agli eventi stressanti è estremamente importante. Per combattere la malattia e migliorare la salute
occorre infatti anche comprendere il modo in cui le persone valutano e fronteggiano le richieste che il mondo pone loro. § 2 CHE COSA È LO STRESS Lo stress è un’aspetto pervasivo ed ineliminabile della vita di un individuo (essere umano o animale) in quanto è strettamente legato all’interazione tra l’individuo e il suo ambiente di vita fisico e sociale. E’ opinione diffusa e piuttosto radicata che lo stress rappresenti necessariamente una condizione nociva e disfunzionale alla quale si dovrebbe sfuggire e dalla quale non si riesce invece a sottrarsi. Tuttavia, sia le ricerche classiche sullo stress (Selye, 1976; Lazarus e Folkman 1984) sia i numerosi studi recenti sul comportamento umano e animale (Sapolsky, 2006) indicano come lo stress, in linea di principio e in condizioni normali, sia una reazione adattiva alle sollecitazioni ambientali indispensabile per la sopravvivenza e l’adattamento dell’individuo. In generale lo stress può essere considerato come una condizione di attivazione/allerta (più o meno prolungata nel tempo), caratterizzata da una mobilitazione delle risorse psicofisiche (più o meno intensa e persistente), che l’individuo mette in atto per far fronte alle molteplici richieste (reali o percepite) dell’ambiente fisico e sociale. Si verifica quindi di fronte a una grande varietà di sollecitazioni ambientali (sia positive sia negative) che richiedono un qualche tipo di cambiamento o adattamento fisico e/o psicologico. Lo stress è strettamente connesso alle emozioni, in quanto rappresenta l’insieme delle risposte (fisiologiche, cognitive e comportamentali) che l’individuo mette in atto quando si trova a fronteggiare situazioni di emergenza o cambiamento, sia positive che negative: il presentarsi di un pericolo (reale o percepito come tale), il verificarsi di un evento gratificante, l’incontro inatteso con una persona. Sebbene di per sé lo stress non sia quindi né positivo né negativo, il termine stress col tempo ha acquisito nel linguaggio comune, medico e psicologico un’accezione negativa: viene in genere identificato con la condizione di distress, ovvero di stress negativo, disfunzionale, patologico. Tuttavia parlando di stress è possibile distinguere tra eustress e distress: Eustress. L’ eustress è lo stress costruttivo che consente all’individuo di far fronte agli agenti stressanti in modo ottimale; comporta una una risposta fisiologica adattativa di fronte a una situazione e si accompagna a stati cognitivi ed emotivi positivi. Si verifica, ad esempio, quando l’esperienza è voluta e cercata dall’individuo, che ritiene di essere in grado di controllarla e di gestirla adeguatamente (non pericolosità e possibilità di controllo) Distress. Il distress è determinato da tutti gli eventi che l’ individuo percepisce e valuta come negativi; la risposta fisiologica è disadattiva, si accompagna a malessere fisico e psicologico, a emozioni e valutazioni negative e costituisce una concausa di malattia.
Si tratta quindi di una condizione che può insorgere qualora l’individuo si trovi a fronteggiare un eccesso di sollecitazioni ambientali (iperstimolazione) per un lungo periodo, dovendo mobilitare le proprie risorse psicofisiche a fronte di scarse possibilità di recupero, e trovandosi in una situazione di continua incertezza o allarme (la situazione viene valutata come pericolosa e oltre le capacità di adattamento). Ma, come mostrano varie ricerche condotte sia sull’uomo che su altre specie animali il distress non è causato solo da un eccesso di stimolazioni ma anche dalla mancanza di stimolazioni adeguate fisiche e psicosociali (ipostimolazione); ad esempio l’ipoalimentazione, il silenzio, l’isolamento sociale, l’inattività o, nel bambino, la carenza affettiva provocano lo stesso grado di distress dell’iperalimentazione, del rumore assordante, del sovraffollamento, dell’attività frenetica o dell’iperprotezione affettiva. Pertanto, una condizione di distress può derivare sia da un eccesso che da una deficienza di stimolazione, e in entrambi i casi si possono manifestare disturbi psichici (ad esempio depressione, ansia), organici (stanchezza, cefalea, disturbi gastrointestinali, disturbi del sonno ecc.) e comportamentali. Il grado ottimale di stimolazione varia da individuo a individuo (la cosidetta “zona di benessere personale”) ed esistono ampie differenze individuali nella quantità e qualità di esperienze che trasformano una condizione di eustress in una di distress. § 3 RISPOSTE A UNA SITUAZIONE DI STRESS In una situazione di stress l’organismo manifesta risposte fisiologiche (attivazione corporea), risposte psicologiche (cognitive ed emotive) e risposte comportamentali (di adattamento alla situazione/per ristabilire l’equilibrio). Un organismo esposto a un fattore stressante (fisico o psicologico) attiva automaticamente una risposta fisiologica di difesa che lo aiuta a fronteggiare l’agente stressante. Si tratta di una risposta biologica, filogeneticamente antica e aspecifica (reazione di stress aspecifica). La risposta fisiologica permette all’organismo sano di fronteggiare minacce immediate avvertite come destabilizzanti del proprio equilibrio psicofisico. In sostanza questa risposta prepara a "combattere o fuggire" di fronte ad un pericolo. Lo stress attiva tutto il nostro corpo, in particolare, mette in moto il sistema endocrino (attivazione dell’asse ipotalamoipofisi-ACTH-corteccia del surrene), il sistema nervoso autonomo e il sistema immunitario. Selye (1978) ha descritto le risposte mostrate dall’organismo in reazione allo stress come una "Sindrome Generale di Adattamento" che prevede tre fasi: 1. la fase di allarme, in cui l’organismo sottoposto ad uno stimolo (stressor) entra in uno stato di allerta (con aumento del battito cardiaco, della circolazione sanguigna, del ritmo respiratorio, della produzione ormonale) per fronteggiare lo stimolo stesso. 2. la fase di resistenza, in cui l’organismo funziona ad un ritmo più elevato per far fronte a un evento stressante che si prolunga nel tempo 3. la fase di esaurimento, che si verifica quando vi è l’impossibilità di fronteggiare/evitare lo stressor; questa fase risulta essere molto nociva per l’organismo in quanto la cronicizzazione delle risposte produce all’organismo danni sia dal punto di vista organico che psicologico e
comportamentale (con conseguente vulnerabilità alle malattie organiche o psichiche). Le situazioni di stress comportano anche delle risposte psicologiche sotto forma di risposte emotive più o meno intense (emozioni positive e/o negative che si accompagnano all’evento) e risposte cognitive (la valutazione della natura e dell’ entità dell’evento stressante e delle risorse disponibili per affrontarlo). E molto importante ricordare che di fronte a un evento stressante il livello di distress che un individuo prova non dipende solo dalla quantità e dalla natura oggettiva dello stressor, ma anche dal significato e dalla coloritura emotiva ad esso attribuita. In altre parole, come sottolineato da Selye, “non è tanto importante quello che ci accade quanto il modo in cui noi lo interpretiamo”. In un suo famoso libro sullo stress il neuroscienziato Robert M. Sapolsky riprende e sviluppa questo tema evidenziando come diverse malattie (ad esempio la depressione, la colite, l'infarto, il diabete e altre malattie croniche) siano così tipiche degli esseri umani (rispetto a una zebra o un babbuino) proprio perché il nostro organismo attiva le medesime risposte fisiologiche di quello animale, senza però essere in grado di disattivarle con rapidità allo stesso modo; infatti, le nostre sofisticate capacità cognitive ci consentono di stressarci non solo in presenza di un evento ma anche rievocando eventi passati o anticipando e rappresentandosi eventi lontani nel futuro (Sapolsky, 2006). Le più comuni risposte emotive a una situazione di stress negativo sono la paura e l’ ansia, la rabbia (a volte accompagnata da aggressività) oppure l’ apatia e la depressione. Sia le persone che gli animali possono reagire con rabbia e comportarsi in modo esageratamente aggressivo in risposta a una varietà di stressor (ad esempio sovraffollamento, stimoli dolorosi, delusione di un’aspettativa); la frustrazione, spesso sfocia in rabbia e comportamenti aggressivi di tipo fisico, verbale, relazionale (sia nei bambini che negli adulti). In alcuni casi, quando non è possibile un attacco diretto alla causa della frustrazione l’aggressività può essere spostata o ridiretta su oggetti o persone. L’esperienza di eventi negativi e incontrollabili, come ad esempio una malattia grave o un lutto, può generare apatia e depressione. Sulla base delle esperienze pregresse e delle proprie conoscenze l’individuo effettua anche una valutazione cognitiva dell’evento stressante. Da un lato viene attribuito un significato soggettivo/personale dell’evento (valutazione primaria), che non necessariamente corrisponde alla reale portata dell’evento stesso; dall’altro vengono valutate le risorse personali per affrontare/eliminare il pericolo/problema ed il livello di controllo che si ha sulla situazione (l’impossibilità di individuare le cause di un evento stressante lo pone al di fuori del controllo e genera impotenza). Il livello di stress sarà tanto maggiore, e l’esperienza emotiva tanto più dirompente, se la valutazione porterà a concludere che ciò che sta accadendo mette in pericolo l’integrità fisica/psicologica, non è controllabile e l’individuo non ha le risorse fisiche/psichiche per affrontarlo. Le situazioni di stress molto intenso o prolungato possono anche influire sul funzionamento cognitivo e portare a un deterioramento cognitivo più o meno transitorio: difficoltà di concentrazione, di organizzazione logica del pensiero, di decisione e di problem-solving. Infatti, elevati livelli di eccitazione
emotiva interferiscono con l’elaborazione delle informazioni e i pensieri distraenti relativi all’evento stressante interferiscono con il normale funzionamento cognitivo. Infine in condizioni di stress vi è una tendenza ad aderire rigidamente a particolari schemi di comportamento con incapacità di considerare schemi di risposta alternativi. § 4 LA NATURA MULTIDIMENSIONALE DELLO SRESS Secondo un modello integrato del processo dello stress, cioè fondato sulla “persona nel contesto”, nello stress e nelle sue conseguenze sulla salute sono implicati diversi fattori legati al mondo esterno e legati alla persona che in quel mondo esterno vive ed agisce. Da un lato ci sono indubbiamente le richieste esterne o richieste ambientali in tutte le aree della vita di una persona: ad esempio, per comprendere perché una persona è stressata sul lavoro dobbiamo comprendere l’insieme e la natura delle richieste cui è sottoposta in casa, in famiglia, nella vita sociale ecc. Va notato che gli eventi esterni stressanti o potenzialmente stressanti (definiti anche stressors) sono teoricamente infiniti: in altri termini qualunque evento ambientale è un potenziale agente stressante. Gli agenti stressanti possono essere di natura fisica (freddo, rumore ecc.) oppure psicologica (psico-emotivi, sociali), di breve/lunga durata (acuti/cronici), reali o percepiti come tali dalla persona. Le numerose ricerche volte a valutare la natura degli eventi stressanti hanno evidenziato come tra gli eventi psicologicamente stressanti vi siano sia i cambiamenti importanti nelle circostanze di vita o life events, che richiedono aggiustamenti o adattamenti comportamentali (ad es,. sposarsi, avere figli, divorziare, andare in pensione, perdere il lavoro, ammalarsi), sia gli accadimenti/problemi quotidiani o daily stress (traffico, scortesia, cura della casa, eccesso di lavoro, preoccupazioni per la salute di un parente ecc.) Inoltre è dimostrato che esistono molte differenze individuali nello stress legato ai life events in relazione all’età, alla cultura e anche a fattori di natura cognitiva (come l’evento viene percepito e valutato dalla persona). In generale gli eventi negativi sono più stressanti di quelli positivi e hanno un impatto molto maggiore sulla salute psicologica e fisica; inoltre, la prevedibilità (se e quando) ed il controllo sono fattori importanti nel determinare il livello di stress percepito dall’individuo. Per gli esseri umani e per moltissime altre specie animali gli eventi incontrollabili e imprevedibili sono fonte di stress maggiore rispetto a eventi della stessa portata e intensità, ma prevedibili e in qualche misura controllabili. Il mondo esterno impone delle richieste all’individuo ma contiene anche risorse che rafforzano la capacità di fronteggiare e modulare lo stress. Tra le principali risorse esterne vi sono la presenza di reti sociali adeguate, di sostegno sociale e la disponibilità di potere e controllo. Le relazioni sociali ad esempio forniscono sostegno emotivo (comprensione, amore, fiducia), sostegno strumentale (messa in atto di comportamenti che aiutano direttamente la persona in difficoltà), sostegno informativo (dare informazioni utilizzabili nell’affrontare i problemi), sostegno di valutazione (fornire informazioni utili per valutare sé stessi)
E’ ormai ampiamente dimostrato che il sostegno sociale fornisce alla persona un cuscinetto protettivo contro lo stress della vita, agendo positivamente sulla salute fisica e mentale e riducendo l’effetto negativo di livelli di stress elevati (effetto tampone). Una funzione del sostegno sociale più spesso implicita che esplicita sta proprio nel suo conferire potere agli individui (empowerment): essere parte di una rete sociale aiuta a sentirsi meno soli e con un maggiore controllo sugli eventi. Il potere inteso, come controllo e autonomia, è centrale in molte delle spiegazioni psicologiche della salute e della malattia e gioca un ruolo anche nello stress. Infatti la percezione di controllo (un senso di maggiore potere) è un importantissimo fattore psicologico nella modulazione dello stress. Il senso di potere è riconducibile all’accesso alle informazioni appropriate e alla partecipazione ai processi decisionali. L’ambiente sociale e una comunicazione interpersonale efficace (che comporta anche dare informazioni) possono conferire potere alle persone e di conseguenza ridurne lo stress. Un esempio del ruolo della comunicazione nel conferire potere alle persone e nel ridurre lo stress si può vedere nella relazione tra medico e paziente (Ley, 1988). Se a definire lo stress e le sue conseguenze bastassero le caratteristiche obiettive della situazione (in termini di richieste ambientali e risorse ambientali) sarebbe possibile predire il manifestarsi dello stress con grande precisione. Tuttavia l’esperienza quotidiana e le ricerche scientifiche indicano che esistono considerevoli differenze individuali nelle risposte alle sfide ambientali: in particolare alcune persone più di altre sembrano essere vulnerabili allo stress. Il punto è che nessun evento ambientale può essere considerato un agente stressante indipendentemente dalle caratteristiche della persona che lo sperimenta (Lazarus e Folkman, 1984). In altri termini nello stress hanno un ruolo centrale anche le risorse interne, vale a dire le variabili psicologiche personali, la valutazione cognitiva e le modalità di coping. Le differenze individuali nella risposta alle situazioni di stress sono state ricondotte tradizionalmente a caratteristiche di personalità (o tratti di personalità stabili nel tempo e al variare delle situazioni) o a stili cognitivi (organizzazione cognitiva in termini di credenze personali, processi interpretativi, attribuzioni di significato, ecc.; Cassidy, 2002) Esiste oggi un’incredibile mole di dati che dimostrano come le persone giochino un ruolo di primo piano nel fenomeno dello stress e nella relazione tra stress salute e malattia e come diverse variabili psicologiche modulino il fenomeno dello stress (ad esempio la reattività emozionale, il controllo e il sostegno sociale percepito, lo stile attribuzionale e di problem solving, l’ottimismo/ pessimismo). § 5 STRESS E COPING Le emozioni e l’attivazione fisiologica create dalle situazioni stressanti sono fortemente spiacevoli e gli individui tendono a fare qualcosa per alleviare il disagio. Le persone affrontano le situazioni di stress con diverse modalità o strategie di coping (“cope with”, Lazarus e Folkman, 1984). In generale è possibile definire il coping come l’insieme delle strategie (cognitive e comportamentali) utilizzate dall’individuo per affrontare le situazioni ritenute stressanti.
Sebbene vi sia molta variabità nel modo in cui gli individui affrontano le situazioni stressanti, e ogni persona risponda diversamente in relazione al contesto situazionale in cui si verifica l’evento stressante, sono stati evidenziati stili cognitivi individuali ricorrenti, anche se meno stabili e rigidi rispetto ai tratti di personalità. In particolare sono state evidenziate strategie prevalentemente orientate all’azione e al controllo, oppure all’emozione o all’evitamento (Cassidy, 2002). Ad esempio l’individuo può focalizzarsi sullo specifico problema o situazione cercando di trovare un modo per cambiarlo o evitarlo in futuro (coping centrato sul problema). In questo caso l’individuo deve innanzitutto definire il problema, poi generare possibili soluzioni alternative, valutare i costi e i benefici delle diverse opzioni e infine scegliere un’alternativa e attuarla. Le strategie centrate sul problema possono essere dirette anche all’interno: è ad esempio possibile modificare gli obiettivi, trovare fonti alternative di gratificazione, apprendere nuove abilità ecc. Viceversa un individuo può impegnarsi ad alleviare le emozioni associate alla situazione stressante per fare sì che le emozioni negative non prendano il sopravvento impedendogli di risolvere il problema o quando la situazione non è modificabile (coping centrato sulle emozioni, Lazarus e Folkman, 1984). Ci sono molti modi differenti per gestire le emozioni negative: ad esempio, si può impegnarsi in attività fisiche, fare uso di alcol o altre droghe/ tranquillanti, sfogare la rabbia o cercare sostegno emotivo dagli amici (strategie comportamentali); è anche possibile ricorrere a strategie cognitive, ad esempio escludendo temporaneamente i pensieri riguardanti il problema o cambiando il significato della situazione (reinterpretazione positiva della situazione). Alcune delle strategie comportamentali e cognitive sono maggiormente adattive mentre altre possono essere solo fonte di maggiore stress. Alcune persone utilizzano strategie disadattive di coping negando di provare emozioni negative in situazioni stressanti e relegandole fuori dalla consapevolezza (coping di rimozione). Questa modalità di coping si associa a una maggiore attività del sistema nervoso autonomo e a una maggiore vulnerabilità alle malattie. Infatti, diversi studi indicano che parlare delle emozioni negative e delle questioni importanti della propria vita ha effetti positivi a livello fisico e psicologico; trovare un significato e comprendere riduce le emozioni negative scatenate dagli eventi stressanti. Un’altra modalità che risulta disadattiva consiste nel rimuginare sull’evento stressante (coping rimuginativo). In questo caso l’individuo tende a isolarsi a pensare alla situazione, al proprio stato emotivo, alle conseguenze dell’evento stressante, o a parlare continuamente della situazione senza però fare nulla per modificarla. Le persone più isolate socialmente o che vivono relazioni sociali più conflittuali hanno maggiore probabilità di rimuginare; inoltre, coloro che tendono ad adottare una strategia rimuginativa hanno minori probabilità di intraprendere un problem-solving attivo dopo un evento stressante. § 6 STRESS E PROFESSIONI D’AIUTO: IL “BURNOUT” L’ambito lavorativo è oggi considerato quello che più frequentemente concorre alla comparsa di disturbi organici e
psicologici derivati da condizioni di stress. Lo stress lavorativo può dipendere da svariati fattori tra cui le caratteristiche delle attività da svolgere, la qualità delle relazioni interpersonali e l’organizzazione della struttura lavorativa (Beehr, 1991). Alcuni contesti lavorativi, ad esempio, sottopongono l’individuo a continue sollecitazioni alla competitività e alla produttività; altri invece richiedono alle persone di gestire frequenti situazioni di emergenza o incertezza (come spesso accade in alcune professioni mediche e sanitarie) a volte in assenza di risorse e riconoscimenti adeguati. In generale curare e aiutare gli altri è estremamente gratificante ma allo stesso tempo potenzialmente molto stressante in quanto pone l’individuo a stretto contatto con la sofferenza, la malattia e le emozioni negative che queste inevitabilmente comportano. Il burnout (in italiano definito come condizione di “usura” o di “cortocircuito”) è un fenomeno complesso e multidimensionale, una condizione patologica da stress che è stata osservata frequentemente tra gli operatori delle professioni sanitarie; è caratterizzato da sintomi rilevanti e sostanzialmente invalidanti sia a livello fisico (stanchezza e malessere generalizzati, disturbi gastrointestinali, frequenti mal di testa, cambiamenti di peso, disturbi del sonno) che di natura psicologica La sindrome del burnout è stata descritta come una “ritirata psicologica” dal proprio lavoro in più fasi (Cherniss, 1983) in cui l’operatore: 1. avverte uno squilibrio tra le richieste ambientali e le sue risorse personali 2. inizia a sperimentare tensione emotiva, ansia, irritabilità oppure al contrario noia, disinteresse e apatia e, 3. presenta una caduta di motivazione, interesse e senso di responsabilità e inizia a lavorare in maniera estremamente rigida. Per molti aspetti il burnout rappresenta una strategia difensiva altamente disfunzionale. Maslach (1982) evidenzia tre principali caratteristiche psicologiche della sindrome da burnout: 1. esaurimento emotivo, causato da un eccessivo carico emotivo e psicologico che porta l’individuo a sentirsi svuotato e depauperato di risorse interiori e senza più nulla da offrire a livello psicologico 2. depersonalizzazione, cioè la tendenza ad interagire con gli altri e considerarne le condizioni con eccessivo distacco, in alcuni casi addirittura con cinismo e ostilità. 3. ridotta realizzazione personale: la percezione della propria inadeguatezza al lavoro con caduta della sima di sé e del desiderio di successo. Tale percezione, benché non sempre realistica, con il protrarsi del tempo si associa ad un’effettivo peggioramento delle prestazioni. L’insorgenza del burnout è legata alle caratteristiche individuali (alcuni tratti di personalità, gli stili cognitivi, le motivazioni e le aspettative nel lavoro, le modalità di coping), ambientali o situazionali (il sovraccarico lavorativo, le ambiguità di ruolo, i conflitti di ruolo, la mancanza di controllo, la mancanza di feedback positivo da parte dei pazienti) ed alla loro complessa interazione. Ad esempio la motivazione al lavoro e le aspettative personali possono essere molto alte, o addirittura idealizzanti e irrealistiche, spingendo la persona a lavorare troppo in termini di tempo e di impegno senza poter ottenere i risultati attesi. Oppure le strategie messe in atto dall’individuo per affrontare le situazioni di stress possono essere poco efficaci: ad esempio, si è visto che le strategie di evitamento e
autocolpevolizzazione o attribuzione di colpe ad altri predispongono l’individuo al burnout. Inoltre, un carico di lavoro eccessivo per un lungo periodo, turni faticosi e insufficienza di personale nell’équipe, sono situazioni che facilmente richiedono all’individuo risorse psicofisiche superiori alle effettive possibilità. Anche la mancanza di controllo da parte dell’individuo sulla gestione dell’attività lavorativa (èquipe fortemente strutturate e disciplinate da regole che impongono ruoli rigidi e una stratificazione gerarchica delle competenze e della decisionalità, scarsa compliance da parte dei pazienti), e le insufficienti gratificazioni materiali e/o sociali (scarso riconoscimento della professionalità da parte dei colleghi e/o dei pazienti), o la retribuzione inadeguata rispetto alle competenze e la professionalità sono condizioni che possono favorire l’insorgenza del burnout (Delle Fave, Massimini, Poli, Prato Previde, 2005; Rossi, 2004). _________________________________________________ Atkinson W.W, Hilgard E.R., 2006. Introduzione alla Psicologia, Piccin Nuova Libraria, S.p.A., Padova. Beehr T.A., 1991. Stress in the workplace. An overview. In Jones J.W., Steffy B.D., Bray D.W., (Eds), Applying psychology in business.The handbook for managers and human resource professionals (58-67), Lexington Press, Lexington, MA Cassidy T., 2002. Stress e salute, Il Mulino, Bologna Cherniss, 1983. La sindrome del burnout. Centro Scientifico Torinese, Torino Delle Fave A., Massimini F., Poli M., Prato Previde E. 2005. Psicologia generale, Monduzzi, Bologna. Lazarus R.S., e Folkman S.,1984. Stress, appraisal and coping, Springer, New York Ley P., 1988. Communicating with patients, Croom Helm, London Maslach C., 1982. Burnout. The cost of caring, Prentice Hall, New York ; trad.it. La sindrome del burnout. Il prezzo dell’aiuto agli altri, Cittadella, Assisi, 1992. Rossi N., 2004. Psicologia clinica per le professioni sanitarie, Il Mulino, Bologna Sapolsky R.M., 2006. Perché alle zebre non viene l’ulcera. Orme Editori, Milano Selye H., 1976. The stress of life, McGraw-Hill, New York Selye H., 1978. Stress in health and diaease, Butterworths – Reading, MA. Selye H., 1980. Evolution historique du concept de stress, in: Bensabat S., Stress, Hachette – Paris.