Le Fucine Di Bienno

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Corso di Storia della produzione e conservazione dei metalli

Le fucine di Bienno

Carlo Grassini Unibs A.A. 2007-2008

S OMMARIO Metallurgia e siderurgia in Valle Camonica ........................................................................................................................ 3 Le miniere ....................................................................................................................................................................... 4 Il carbone ........................................................................................................................................................................ 5 I forni............................................................................................................................................................................... 6 Le fucine .......................................................................................................................................................................... 7 Bienno e la “Valle dei Magli” .............................................................................................................................................. 8 Il “Vaso Ré” ..................................................................................................................................................................... 9 La fucina ........................................................................................................................................................................ 11 Il maglio .................................................................................................................................................................... 12 Il focolare .................................................................................................................................................................. 14 Il lavoro nella fucina .................................................................................................................................................. 15 Conclusione ...................................................................................................................................................................... 17 Bibliografia .................................................................................................................................................................... 18

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LE FUCINE DI BIENNO STORIA DI ANTICHI MESTIERI E GENIALI INVENZIONI

M ETALLURGIA E SIDERURGIA IN V ALLE C AMONICA La produzione e la lavorazione dei metalli, e del ferro in particolare, hanno in Valle Camonica radici molto antiche. Già nella Preistoria, come testimoniano alcune incisioni rupestri camune, gli abitanti del luogo fabbricavano armi e utensili in metallo (rame e bronzo prima, e ferro poi), e vari studi anche recenti [1] sembrano dimostrare che anche l’attività di estrazione dei minerali metalliferi dalle montagne della Valle abbia origini altrettanto remote.

F IGURA 1: F UCINA DEL FABBRO , INCISIONE RUPESTRE [2]

Fu però nei secoli successivi all’anno Mille che si formò e si consolidò la tradizione siderurgica della Valle Camonica e, più in generale, di tutte le valli bresciane. La Val Trompia, in particolare, si “specializzò” già dal XIII sec. (ma soprattutto nel Quattrocento) nella produzione di armi e armature di gran pregio, che venivano commissionate dalla Repubblica di Venezia, dal Papa, dall’Imperatore. In Val Camonica, invece, l’orientamento commerciale era più indirizzato verso l’utensileria di uso domestico e gli attrezzi da lavoro: pentolame, secchi e recipienti vari, mestoli, vanghe… Per supportare una produzione così intensa e richiesta, nella valle erano presenti, dislocate nelle diverse zone, tutte le strutture necessarie: a partire dalle miniere, fino ai forni per la preparazione del ferro, e alle fucine per la forgiatura dei manufatti. Questo modello della siderurgia camuna conobbe nella storia momenti di grande fortuna alternati a flessioni più

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o meno marcate [3], ma mantenne la sua grande importanza, economica e sociale, fino almeno ai primi anni del secolo scorso. Poi, gradualmente, l’avvento delle nuove tecnologie come l’acciaieria elettrica, e gli importanti avvenimenti storici ed economici del Novecento hanno modificato la situazione, portando alla scomparsa dell’antica arte della “ferrarezza” in favore di uno sviluppo più prettamente industriale della siderurgia. Le miniere sono state abbandonate nel 1920, gli ultimi forni dismessi negli anni Trenta; le fucine sono ormai quasi tutte scomparse, le poche rimaste in attività hanno prevalentemente interesse storico o folcloristico. Fattore sicuramente determinante per il prosperare dell’arte del ferro nelle valli bresciane fu la contemporanea disponibilità in loco di energia e materie prime: minerali da estrarre per ottenere il ferro, boschi da cui ricavare carbone di legna come combustibile per la riduzione del minerale, e (già dal XII sec. in poi) corsi d’acqua per fornire energia idraulica ai macchinari di trasformazione.

LE

MINIERE

Il primo, fondamentale, passo per la produzione del ferro è l’estrazione del minerale ferrifero. La Val Camonica ne ha da sempre avuto grande disponibilità, grazie alle numerose miniere dislocate lungo la valle, sfruttate nel corso dei secoli. Nelle zone di Cerveno, Paisco Loveno e Malonno si estraeva il ferro con mezzi molto empirici e con disagi notevoli. Le miniere, situate generalmente trai 1800 ed i 2500 metri di altitudine, erano formate da tre parti fondamentali: la zona dello scavo, i cunicoli che mettevano in collegamento l'entrata con il punto di escavazione e l'alloggio del personale, generalmente una baita di montagna. Accanto a questi luoghi indispensabili, vi era una piazza in F IGURA 2: L E MINIERE BRESCIANE

NEL

1888 [3]

cui veniva deposto il minerale.

Nelle gallerie, si utilizzavano semplici lampade ad olio per rischiarare l’ambiente: l’estrazione avveniva praticando nella parete fori o scanalature nei quali venivano infilati dei cunei di legno o calcina: questi, bagnati convenientemente, si gonfiavano causando il distacco della roccia, che poi veniva ulteriormente frantumata con l’utilizzo di picconi, martelli e simili utensili, non senza grande fatica fisica. Solo dal XVII secolo si iniziò ad introdurre gradualmente la polvere da sparo.

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Il minerale estratto veniva portato in superficie con apposite gerle (zarlì) da ragazzini che potessero muoversi attraverso gli stretti cunicoli; all’esterno, veniva separato a seconda del tipo (vena morella, vena ladina, vena bianca) e privato delle scorie più grossolane (soprattutto dello zolfo) mediante una prima sommaria cottura in piccoli forni (reglane), e infine, trasportato a valle verso il forno fusorio. Il lavoro in miniera si svolgeva, generalmente nel periodo invernale. Quando, al disgelo, i cunicoli si riempivano d’acqua, diventando pericolosi ed impraticabili, la maggior parte degli uomini scendeva al paese per dedicarsi alla stentata agricoltura dei luoghi, mentre in prossimità delle miniere restavano, per un mese ancora, gli addetti alla prima fusione.

IL

CARBONE

Sia per le preliminari operazioni di arrostitura del minerale, effettuate nei pressi della miniera al fine di privarlo della maggior parte della ganga, che per l’operazione di riduzione vera e propria che aveva luogo nei forni, il combustibile utilizzato era carbone di legna. Questo veniva prodotto grazie all’abbondante legname dei numerosi boschi della Valle, con un procedimento detto del poiàt, termine di etimologia ignota che sta ad indicare un cumulo semisferico di legna, dotato di sfiatatoio alla sommità (Figura 3). Questo veniva costruito con abilità dai “carbonari”, quindi ricoperto di terra umida e

F IGURA 3: P REPARAZIONE PROCEDIMENTO DEL "P OIÀT "

DEL CARB ONE DI LEGNA CON IL

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frasche per isolare dall’aria; successivamente la legna all’interno veniva accesa per portare la temperatura agli oltre 400°C richiesti. Era assolutamente necessario che la combustione avvenisse senza sviluppo di fiamma: allo scopo i carbonari sorvegliavano giorno e notte il poiàt, per gli 8-10 giorni consecutivi che l’intero processo richiedeva. A ciclo concluso, il carbone preventivamente raffreddato veniva messo nei sacchi, i quali venivano trasportati a valle a dorso d’asino o a spalla d’uomo, e successivamente su carretti, o su zattere sfruttando i corsi d’acqua. Le quantità necessarie, in rapporto al ferro lavorato, erano molto grandi: si è infatti calcolato che, in epoca antica, per realizzare la prima trasformazione del minerale e per la successiva fucinatura, con l’impiego di 1 quintale di carbone di legna si ottenessero 23 chilogrammi di ferro lavorato. Tant’è vero che la crescita della produzione siderurgica determinò un disboscamento incontrollato, sino ad indurre le autorità a drastiche restrizioni sul taglio dei boschi, come dimostrano documenti del 1812 e 1813 [4]. I carbonari lavoravano nelle cosiddette aiali, piccoli spiazzi circolari di pochi metri quadrati, che essi stessi preparavano per collocarvi il poiàt. Ancora oggi, in molte località di montagna camune, è possibile rinvenire le aiai carbunére, con il loro strato di terra nera, su cui cresce solo erba.

I

FORNI

Documenti relativi ai forni fusori nella valle risalgono almeno al XIII secolo. Il più antico finora conosciuto è quello di Cerveno. Esso è frutto della decisione del comune di costruire una struttura che raccogliesse i minerali delle miniere circostanti. Per il periodo precedente non esistono finora testimonianze di edifici, per cui è pensabile che esistessero strutture più semplici e rozze. Posteriori furono senz'altro quelli di Paisco, Loveno, Grumello e Pisogne. Questi forni erano gestiti direttamente dal consiglio di “vicinia” (adunanza in assemblea di tutti gli abitanti originari del villaggio con i propri territori, per discutere e decidere su questioni comuni), che provvedeva alla nomina degli amministratori, del personale e stabiliva il funzionamento del forno stesso. L'opera richiedeva una ampia manutenzione anch'essa stabilita dal consiglio.

F IGURA 4: A LTIFORNI BRESCIANI N EL 1807 [3]

La figura centrale, da un punto di vista tecnico, era il mastro del forno. Egli, in vista della colata, apprestava una serie di operazioni che coinvolgevano un numero considerevole di persone.

In primo luogo si radunava il minerale sufficiente. Esso, una volta trasportato, era collocato in appositi depositi chiamati scottari. La quantità di minerale usato veniva registrata con

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precisione; inoltre si raccoglieva il carbone sufficiente per produrre la colata, preso dalle aiali e deposto accanto al forno. Il sistema di raffreddamento era indispensabile e quindi si controllavano i canali che conducevano l'acqua dai torrenti vicini. La colata durava un periodo prolungato, in cui era necessario mantenere un controllo diretto. Il prodotto era venduto immediatamente, se le condizioni del mercato erano favorevoli, oppure custodito in magazzini chiamati fondachi o canevali. La posizione dei forni, soprattutto in alta montagna, li esponeva a rischi di diverso genere: valanghe, alluvioni, danneggiamenti da parte del cielo e della neve.

LE

FUCINE

La fucina era l'ultimo anello della trasformazione del ferro e il suo lavoro presupponeva una grande abilità artigianale. A differenza dei forni fusori, le fucine furono sempre di tipo privato, data la particolarità del lavoro che vi veniva svolto. Tra il 1400 ed il 1500 se ne parla in vari documenti. Le fucine richiedevano la presenza dell'acqua corrente per azionare i magli. Esse quindi si trovavano lungo i torrenti alpini ed erano anche esposte a inondazioni e distruzioni dovute all'impetuosità delle acque. Le lavorazioni attestate nelle fucine erano generalmente divise secondo l'impegno che esse esigevano. La fucina F IGURA 5: P RODOTTI TIPICI DI UN A FUCINA " CAVADORA " vera e propria lavorava pezzi grandi, mentre la chioderia produceva chiodi e la sitiladora oggetti piccoli. Nei documenti dell'Ottocento, si trovano due definizioni ben distinte riferite alla produzione delle fucine: fucina scartadora, vale a dire concepita per produrre oggetti dotati di una certa profondità (mestoli, padelle e secchi) e fucina cavadora, concentrata più che altro sulla produzione di oggetti piatti, vale a dire zappe e badili. Da qui probabilmente derivano i termini usati ancora oggi "hcartà", (battere, appiattire, abbozzare, per produrre vanghe, badili e zappe) e "caà" (incavare, dare profondità, per produrre secchi e simili). Ciò lascia supporre una tradizionale diversificazione e specializzazione delle fucine, alcune delle quali producevano attrezzature agricole, altre oggetti d'uso domestico, come secchi, mestoli, padelle e pentole. Sembra inoltre che, sin dal 1300, la produzione di utensili per l'agricoltura e per la casa fosse parallela a quella di armi (sebbene in questo settore fosse la vicina Val Trompia a dominare il mercato). Famoso divenne il mercato degli schioppi di varia grandezza prodotti a Bienno, nella Valle dei Magli, dove è rimasta ancora una fucina in cui si lavora impiegando la ruota idraulica. Per approfondire la struttura delle fucine e il funzionamento degli impianti che in esse venivano utilizzati, si rimanda al capitolo successivo.

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B IENNO E LA “V ALLE DEI M AGLI ” Nell’ambito della Valle Camonica, una zona di primaria importanza per la lavorazione del ferro nella storia è costituita dalla Val Grigna, detta, proprio per l’abbondanza di fucine che la contraddistingueva, “Valle dei Magli”. Qui, nel Seicento, erano ben una quindicina i magli funzionanti, oltre a sei forge “per farranze”, tre mulini e una segheria; nel 1870 le fucine erano aumentate a 24 e producevano strumenti da cucina e da lavoro venduti non solo in Italia. Tuttora è attiva una fucina idraulica per la produzione di utensili artigianali, mentre un’altra è stata trasformata in museo etnografico didattico per la dimostrazione dei metodi di lavorazione tradizionale. La valle prende il suo nome dal torrente che l'attraversa, la Grigna. Il suo imbocco si colloca presso il comune di Esine, nella media Valle Camonica, e prosegue lungo i territori di Berzo, Bienno e Prestine. Si conclude in testata al Passo di Croce Domini (1892 m).

F IGURA 6: V ISTA SATELLITARE 3D DELLA V AL G RIGNA

Gli antichi autori concordano nell' affermare l'importanza di Bienno come uno dei centri principali della siderurgia e che doveva a ciò la propria ricchezza. Nella letteratura scientifico-naturalistica tuttavia non sono menzionate miniere nel territorio di Bienno in senso stretto, ma nelle sue vicinanze, come il giacimento cuprifero di Campolungo o la miniera di ferro di Piazzalunga [1]. Viene quindi spontaneo chiedersi perché una zona priva di miniere sia diventata un importante centro siderurgico: certamente non fu solo l' abbondanza d'acqua a determinare la presenza di un così grande numero di fucine, ma la ricchezza del suo

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patrimonio boschivo, che forniva in quantità il carbone necessario per gli impianti siderurgici. Lo sviluppo della “ferrarezza” biennese sembra tuttavia limitato alla presenza di fucine: infatti non sono documentati nella storiografia locale forni fusori a Bienno. Da dove veniva dunque il ferro che veniva lavorato nelle fucine biennesi? Sappiamo che esisteva un forno fusorio a Berzo, già diroccato nel secolo scorso, oltre che numerosi altri impianti in tutta la valle. Inoltre si hanno notizie che testimoniano che in gran parte il ferro veniva importato dalla vicina Val di Scalve [1].

I L “V ASO R É ” Fin dall'antichità l’acqua è stata usata per azionare ruote idrauliche e impianti di insufflazione necessari alla produzione siderurgica. Perciò un tempo fucine, mulini, segherie, forni fusori erano situati direttamente lungo la Grigna. In seguito, probabilmente per le continue piene ed alluvioni di cui parlano vari documenti, che ne rendevano precaria la stabilità, si è pensato alla costruzione del “Vaso Ré”. Si tratta di un canale artificiale, derivato in epoca antichissima (era già operativo tra il 950 e il 1050 d.C. [7]) dal torrente Grigna, che ha costituito per secoli l'asse portante per l'economia dell'intera valle: esso infatti viene prelevato nel territorio del comune di Prestine, attraversa i comuni di Bienno, Berzo inferiore ed Esine per poi confluire nel fiume Oglio. L'acqua trasportata produce forza motrice tramite cascate artificiali comunemente chiamate “salti d'acqua” che, cadendo dalla condotta aerea su una ruota sospesa sul canale di scarico sottostante, la mettono in moto, coinvolgendo un complesso meccanismo che aziona magli e macine e, un tempo, anche segherie. Il nome “Vaso Ré” è una espressione da leggersi: “Vaso del Ré”. Il secondo termine è molto antico e F IGURA 7: I L TRATTO AEREO DEL V ASO R É CON LO SDOPPIAMENTO PER DUE DIFFERENTI UTENZE PR ODUTTIVE [7] pare derivi da una radice indoeuropea, *reo, che significa “scorrere”, riferita a un corso d'acqua di una certa portata, generalmente perenne. E' interessante notare che, nella media Valle Camonica, tutti i torrenti naturali o canali artificiali le cui acque azionavano o azionano ancora ruote idrauliche, si chiamano Ré. Il canale anticamente era costruito in legno di larice o castagno (a causa della proprietà di questo legno di diventare molto resistente a contatto con l’acqua) e posto su pali di sostegno, mentre nella sua versione “moderna” è in cemento armato. L'unico tratto rimasto di questa più antica canalizzazione si trova nel centro abitato di Bienno.

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Le cascate artificiali usate per le fucine vengono convogliate in tubi di ferro, le trombe, lungo le quali l'acqua precipita sui coppi (cop) delle ruote sottostanti, con forza incrementata sia dalla costrizione del flusso entro la "tromba", sia dalla soluzione di far cadere l'acqua in modo che le ruote girino in senso contrario alla direzione del flusso della condotta aerea (Figura 8).

F IGURA 8: S CHEMA DI FUNZIONAMENTO DEL MAGLIO AZIONATO DAL V ASO R É

Armonizzati fra loro, tutti questi accorgimenti riescono a far battere in senso verticale magli del peso di due quintali. Prima di entrare nella tromba l'acqua viene filtrata da una griglia, una sorta di cancelletto, detto rèhstèlét che, bloccandoli, impedirà ai corpi estranei più grossi di arrecar danno ai coppi. La cascata che fa funzionare il mulino impiega una quantità d'acqua molto inferiore a quella di una fucina, essendo più limitata l'energia di cui ha bisogno la rotazione delle macine. Convogliata in un canale aperto ed obliquo di legno (gora), l'acqua cade nello stesso senso del flusso del Vaso sulle pale della ruota sottostante, più ampia, ma meno massiccia di quella della fucina. Quando, fino a non molto tempo fa, le fucine attive erano numerose e ricorrevano periodi di secca estiva, i fabbri s'accordavano per lavorare a turno, una settimana di giorno ed una di notte, per sfruttare il più possibile la scarseggiante risorsa idrica. Fino al 1950 circa, in assenza degli odierni impianti sanitari pubblici, l'acqua del Re veniva impiegata per regolari operazioni di pulizia delle strade e degli scoli; anche il bucato, prima dell'avvento delle lavatrici, veniva fatto con l'acqua del Vaso Ré negli appositi lavatoi, dislocati lungo il suo corso, alcuni dei quali tuttora esistenti. Da sempre campi e orti sono stati irrigati con l'acqua del Ré quando le fucine, ormai a riposo, non la richiedevano di sera, e anche questa funzione, com'è comprensibile, era scrupolosamente regolata da orari e norme studiati apposta per soddisfare tutta la comunità. Dal 1901 al 1976 il Vaso ha prodotto anche energia elettrica per la comunità di Bienno.

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LA

FUCINA

La tipica fucina biennese è un locale quadrangolare molto alto e buio, annerito dal fumo, situato sempre fra il Vaso Ré e la strada, parzialmente interrato per attutire vibrazioni e rumori del maglio. Non ha vere e proprie finestre, ma aperture disposte disordinatamente sulle pareti e, in particolare, i cosiddetti finehtrai, che si aprono sul tetto per dare un po' di luce all'ambiente, ma, soprattutto, per far uscire il fumo. Il pavimento è in semplice terra battuta, nera di caligine e mista a scaglie ferrose. Quando al calore del forno si assomma quello dell'estate, il pavimento viene sovente irrorato con acqua del Ré, per rinfrescarlo ed abbassare così la temperatura dell'ambiente.

F IGURA 9: I NTERNO DI UNA TIPICA FUCINA : IN EVIDENZA (A) METALLO , (B) IL MAGLIO E (C) LA RUOTA IDRAULICA A PALE [6]

IL FORNO PER IL RISCALDAMENTO DEL

Nel pavimento sono infissi tutti i macchinari usati dai fabbri. L'impianto del grande maglio è sempre realizzato vicino ad una porta (úh del mai), o, comunque, ad una apertura, attraverso la quale è possibile controllare visivamente il canale e la ruota che aziona l'érbor (l'albero orizzontale di trasmissione al maglio del movimento della ruota); appena a lato del maglio, il forno consente un rapido passaggio dei pezzi incandescenti dal fuoco alla battitura.

F IGURA 10: I NTERNO DELLA F UCINA M USEO DI B IENNO

In un'unica fucina possono coesistere più magli; ci sono inoltre i cosiddetti “maglioli”, magli più piccoli utilizzati per le operazioni di finitura, e le cesoie per la rimozione della lamiera in eccesso; anche questi erano azionati da una ruota idraulica, più piccola

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rispetto a quella del maglio principale. Nelle ultime fucine attive, i maglioli non sono più utilizzati, e anche le cesoie non sono sempre presenti, dato che vengono impiegate le macchine più moderne per la rifinitura dei prodotti. Indispensabile è l'incudine, con il suo corredo di mazzette e martelli per i colpi più leggeri. Appese alle pareti si trovano innumerevoli tenaglie di varie misure, utilizzate nella manipolazione del ferro. La fucina non ha magazzino, poiché il lavoro dei fabbri non è mai stato tale da richiederne uno. Prodotti semilavorati e finiti si accatastano, di volta in volta, presso la porta, insieme alle materie prime. Solo la legna godeva di un proprio deposito, seminterrato od in soppalco, al pari della creta impiegata per la costruzione e la riparazione del forno. Quest’ultima era conservata in una piccola cantina (caniì) interamente scavata nel terreno, priva di finestre, con un'unica porticina sul cui architrave è facile trovare incisa la data di costruzione della fucina.

IL

M A GLI O

Il macchinario più imponente presente nella fucina, nonché il più importante per la sua funzione, è senza dubbio il maglio (mài).

F IGURA 11: M AGLIO PRINCIPALE DELLA F UCINA M USEO DI B IENNO

Esso è sostanzialmente un grosso martello, del peso di oltre due quintali, azionato da un meccanismo a camme che lo fa battere ciclicamente su di un grosso incudine fisso, piantato nel terreno sopra materiale isolante come segatura e stracci, per evitare le vibrazioni dovute ai colpi.

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Lo scopo del maglio è di fornire la forza necessaria per la deformazione plastica del ferro riscaldato preventivamente nel focolare. Analizziamo nel dettaglio il funzionamento di questo ingegnoso meccanismo. All’esterno della fucina, l’acqua del Vaso Ré incanalata nella tromba va a impattare violentemente contro la ruota idraulica, mettendola in rotazione. Questa è calettata su un grosso albero (érbor), che ha alle sue estremità, una posta all’esterno e l’altra all’interno dell’edificio, due perni in ferro vincolati a delle ganasce che ne consentono la rotazione (Figura 12). L’érbor è in legno, sagomato ottagonalmente per assorbire gli sforzi della rotazione, tipicamente di castagno a causa della proprietà di questo legno di diventare molto duro e resistente quando impregnato di acqua: infatti, l’érbor è costantemente mantenuto bagnato lungo tutta la sua superficie con degli appositi canaletti che “sgocciolano” su di esso. F IGURA

12:

A LBERO

DELLA

RUOTA

A

PALE

E

INGRANDIMENTO DI UNA SUA ESTREMITÀ .

I N EVIDENZA : (D) A LBERO DI TRASMISSION E , (E) P ERNI , (I) G ANASCE , (H) S UPPORTO [6]

L’albero trapassa la parete in muratura della fucina attraverso un apposito foro; nella sua parte interna, esso è rinforzato con numerosi cerchi di ferro trasversali, che impediscono la formazione di cricche longitudinali e fratture nel legno.

F IGURA 13: V ISIONE COMPLESSIVA DELLA STRUTTURA DI UN MAGLIO . I N EVIDENZA : (F) F ORO DELLA MURATURA , (G) C ERCHI DI RINFORZO , (H) S UPPORTO , (L) G ARGIÒT , (M) C AMME O PALMOLE , (N) C ULATTA , (O) M ANICO DEL MAGLIO , (P) T ESTA DEL MAGLIO , (S) S ÒC IN GRANITO [6]

Nella parte terminale, l’albero presenta un anello più grosso, il gargiòt, con regolari sporgenze metalliche, le camme o palmole. Queste sono gli attuatori del movimento del maglio: perseguono il loro scopo entrando ciclicamente in contatto con la parte terminale di esso (culatta).

Il maglio vero e proprio (Figura 13) consiste in un grande martello, formato da un manico,lungo da 2 a 5 metri, in legno di noce o di faggio (più di recente anche in meno costoso frassino) per la caratteristica elasticità, e da una mazza battente detta testa del maglio (cò del mai), pesante da alcune decine di chilogrammi a due-tre quintali; questa veniva chiamata, per una vaga rassomiglianza, testa d’asino.

F IGURA 14: V ISIONE FRONTALE DEL MAGLIO . I N EVIDENZA : (P) L A " TESTA D ' ASINO ", (Q) Z EPPA , (R) B ÒGA , (T) B ÒCA , (U) B OCCA DELL ' INCUDINE , (V) I NCUDINE , (Z) M ASSA IMMERSA

Il maglio è essenzialmente una leva, il cui fulcro è posto a circa due terzi della sua lunghezza, più vicino alle camme che alla testa, per massimizzare la forza di questa. Tale fulcro è costituito da un anello molto resistente, detto bòga, che circonda il manico stesso, sorreggendolo (Figura 14). Dalla bòga si dipartono due perni, o corni, che si inseriscono in due

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solidi supporti, solitamente grosse pietre di granito profondamente infisse nel terreno, dette sòc. In posizione di quiete, il maglio ha la testa appoggiata contro l’incudine: l’azione delle camme contro la culatta causa l’innalzamento ciclico del maglio, che ricadendo colpisce l’oggetto posto sotto di essa con una notevole forza. La testa d’asino presenta nella sua parte bassa una scanalatura, fatta per alloggiare un utensile di acciaio detto bòca o bocchetta, la cui forma varia a seconda del tipo di lavorazione che deve essere eseguita. La bocchetta, nei ripetuti colpi del maglio, batte contro il pezzo da lavorare che viene appoggiato su un’altra bocchetta corrispondente, inserita nell’incudine. Quest’ultima è infissa in un’ampia massa di metallo, in buona parte sprofondata nel terreno, che deve sopportare la continua pressione del maglio. A seconda del momento di lavorazione serve una cadenza dei colpi più o meno veloce: tale risultato si ottiene per mezzo di una leva di ferro denominata stanga. Questa è collegata con una paratia posta nel canale: muovendola si aumenta o diminuisce la quantità di acqua che cade sulla ruota, di conseguenza la velocità di rotazione dell’albero e quindi la frequenza dei colpi.

IL

FO CO L AR E

In altra parte della fucina, solitamente lateralmente alla testa del maglio, o comunque nei suoi pressi, si trova il forno o focolare. Per tutta la giornata F IGURA 15: F OCOLARE DELLA F UCINA MUSEO DI B IENNO . lavorativa, nel forno arde il fuoco necessario per riscaldare il ferro da forgiare. La brace necessaria per portare il ferro ad incandescenza è stata per secoli prodotta con il carbone di legna, che ha la proprietà di non generare fiamma anche arrivando ad alte temperature. Dopo la seconda guerra mondiale con l'apertura delle frontiere, si cominciò ad usare carbone fossile, come da tempo avveniva in altri stati. Gli anni più recenti, infine, hanno visto un'ulteriore sostituzione dei combustibili nei forni: nafta, metano ed energia elettrica hanno soppiantato per sempre il tradizionale carbone. Per favorire la combustione, anticamente si utilizzavano dei mantici a doppio effetto, azionati idraulicamente. Successivamente, a partire dal XVII o dal XVIII secolo (la questione

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è dibattuta), si introdusse e si diffuse un nuovo, straordinario metodo per aerare il fuoco: la tromba idroeolica, in bresciano detta tina de l’ora. Si trattava di un geniale sistema che utilizzava l'acqua per ricavarne un flusso d'aria costante. Dal Vaso Ré veniva fatta derivare dell'acqua, convogliata poi in una tubazione verticale (tromba) ricca di piccole fessure perimetrali destinate a richiamare aria. Al suo imbocco, l'acqua era scompigliata dal taia aiva, legno a forma triangolare, che frantumava il getto prima di farlo cadere nella tina, contenitore di capacità inferiore al metro cubo, un tempo costruito in legno cerchiato. Un masso di granito, posto sul fondo della tina, assolveva al compito di impedire che la caduta dell'acqua scavasse nel terreno e di favorire, nel contempo, la polverizzazione dell'acqua già "tagliata" e la produzione di una buona quantità d'aria, prima di lasciarla fluire nel canale di scarico attraverso il sifone. L'aria così prodotta, per effetto della pressione che si determinava nella "tina" ne usciva lungo un tubo metallico (canalòt de l'ora), che, dopo varie curve e gomiti nel locale della fucina, la convogliava nella parte inferiore del forno, ravvivando continuamente la combustione.

F IGURA 16: S CHEMA DI FUNZIONAMENTO DELLA " TINA DE L ' ORA " [7]

IL

L AV O R O N E L L A F U CI N A

In una fucina è possibile trovare uno o più magli di peso diverso, per produrre manufatti differenti. Essi sono sempre collocati a poca distanza dal forno in modo che il brahchì, il lavorante più giovane e meno esperto, con pochi movimenti delle braccia possa servire il

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maìhster, il mastro che svolge il lavoro di battitura e che è, solitamente, il lavoratore più anziano. Quando questi assesta gli ultimi colpi sul pezzo in lavorazione, il brahchì con lunghe tenaglie gli porge un altro pezzo rovente, appena tolto dal forno. Il pezzo di ferro incandescente è trattenuto, per mezzo di lunghe tenaglie, dal lavorante che lo sposta in continuazione: l’abilità del maìhster consiste proprio in questi movimenti. Nel minor numero di colpi possibile, per evitare che il ferro si raffreddi troppo nel frattempo, il pezzo di metallo deve essere colpito più volte in vari punti; schiacciandolo progressivamente assumerà la forma dell’oggetto desiderato: vanga o pala, zappa o martello, scure o falce. Esiste anche un'incudine su cui vengono lavorati con martelli e mazzette di varie forme i pezzi più piccoli. È un lavoro sincronizzato, oggi facilitato dal fatto che il fuoco non richiede più l'intervento diretto dell'uomo, il che ha risolto molti problemi rispetto al tempo in cui veniva acceso a legna, alimentato dal carbone e ravvivato continuamente da un apposito soffio d'aria.

F IGURA 17: U N MAIHTER AL LAVORO AL MAGLIO .

Gli ultimi brahchì degli anni Cinquanta, raggiungevano a malapena l'età di quattordici quindici anni. Anticamente, il brahchì era un bambino nel senso letterale del termine, appartenente per lo più alle famiglie meno abbienti. Alle quattro del mattino, a volte anche prima, zoccolando nella notte e rincuorandosi con una canzone, si recava nella fucina con il compito di preparare ben acceso e vivo il fuoco, perché alle cinque, all'arrivo dei fabbri si potessero subito portare ad incandescenza i pezzi da lavorare. Un tempo, grande era il suo daffare anche per l'insufflazione, attuata a mano con un soffietto, sino all'avvento provvidenziale della tina dè l'ora.

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C ONCLUSIONE La breve panoramica che abbiamo presentato sulla storia della siderurgia camuna e sulla lavorazione del ferro nelle fucine di Bienno non può certo dirsi esaustiva di un argomento tanto vasto e che tanta importanza ha per la storia, economica e sociale, del territorio bresciano intero, e non solo della Valle Camonica. Tuttavia, lo scopo non era certo quello di fare una approfondita ricerca storica e archeometallurgica, quanto quello di raccontare delle “vecchie storie” per fornire degli spunti di riflessione su un mondo oramai quasi scomparso, fatto di duro lavoro, di geniali espedienti e di onesta laboriosità, dal quale tanto, anche oggi, in uno scenario pure così mutato, possiamo imparare. È difficile, infatti, non provare profondo rispetto e ammirazione davanti all’ingegnosità di macchinari come il maglio idraulico o la tina de l’ora, davanti alla grandiosità di opere civili come il Vaso Ré, all’operosità e all’abilità nel mestiere dei maihster delle fucine, ai sacrifici e alla fatica dei minatori, dei boscaioli, di tutti i lavoratori che, in tempi così duri, hanno reso possibile una realtà florida come la “ferrarezza” camuna. La situazione odierna, come si può facilmente intuire, è profondamente diversa da quanto era fino a alcuni decenni fa: vista la continua scomparsa degli artigiani del ferro, la “ferrarezza” così come l’abbiamo raccontata e descritta non ha grandi prospettive economiche future. Tuttavia, dato che è stato fonte di benessere e di orgoglio per i biennesi e per tutti i bresciani per molti secoli, recuperare le storie e le testimonianze di un passato così importante (cosa che i biennesi e i camuni in generale sanno fare con grande intelligenza e lungimiranza, come testimoniano le numerose lodevoli iniziative in proposito) è per noi utile e proficuo. Perché il lavoro e l’intelligenza dei nostri antenati, che pur privi delle conquiste della scienza del XX secolo hanno saputo creare, inventare, produrre, raggiungendo alte vette qualitative e conquistando una posizione di rilievo nella siderurgia europea, non siano dimenticati. Per imparare qualcosa da loro. E, magari, per ringraziarli.

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B IBLIOGRAFIA 1. Costanza Cucini Tizzoni, Marco Tizzoni (a cura di) – La miniera perduta (Comune di Bienno, 1999) a 2. Benia Panteghini – Bienno – il ferro, l’acqua, il fuoco (2 edizione) (Comune di Bienno) 3. Andrea Bellicini – La siderurgia bresciana – storia, aspetti geografici, problemi economici (Astra, Milano, 1987) 4. Franco Bontempi – Economia del ferro – Miniere forni e fucine in Valcamonica dal XV al XIX secolo (Circolo Culturale Ghislandi) 5. Manlio Calegari, Carlo Simoni - Boschi, miniere, forni – Cultura del lavoro nelle valli bergamasche e bresciane (Grafo edizioni, Brescia, 1994) 6. Progetto Techne – Culture e strumenti del lavoro: la ruota idraulica – Il maglio (Ed. La Scuola, Brescia, 1989) 7. Ivana Passamani Bonomi, Lucia Morandini Ruggeri – Alla scoperta del Vaso Ré lungo il racconto disegnato dall’acqua (Comune di Bienno)

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