Il paradiso delle galline (Capitolo II) - Dan Lungu (Mitu, operaio in pensione, racconta ai suoi amici di bevute l'incontro con Ceauşescu al Comitato Centrale.) […] E una mattina, mentre andavo in fabbrica in tram, ho pensato che dovevo andare a parlare con Ceauşescu. Così non sono più arrivato alla zona industriale, sono sceso alla stazione e sono saltato su un treno. Non ho neanche preso il biglietto, non avevo mica tanti soldi con me. Quando, prima della seconda fermata, è arrivato il controllore a chiedermi come me la passo, gli ho detto che non avevo nessun titolo di viaggio, e che mi lasciasse in pace. “Ma dove stai andando?" “Da Ceauşescu”, gli ho detto. Stavo fumando. Il controllore mi ha guardato a luuungo, dalla testa ai piedi, e ha continuato il suo giro senza dire niente. Mi sono sentito come in un film americano: qualunque cosa dicesse poteva essere usata contro di lui. Ha gironzolato un po’ tra i vagoni, a me però non ha detto nemmeno “Spostati”, per farlo passare. Quando ho finito il pacchetto di sigarette, proprio nel momento esatto in cui ho fatto l'ultimo tiro, il treno è entrato alla Stazione Nord, come se aspettasse proprio questo per arrivare, che io finissi le sigarette. Questo è un segno, mi sono detto. Certo, se rimanevo lì in un angolo a dormicchiare, invece di fumare guardando dal finestrino, arrivavamo al giorno del poi. Sono sceso mezzo tonto dopo tutti quegli scossoni e sono andato dritto dritto al Comitato Centrale. Busso alla porta…ma non finisco di bussare che mi arriva un omone di ufficiale, con il berretto girato all’indietro, tutto sudato, credo che avesse caldo, poveretto, e mi apostrofa : “Oh, cosa cerchi tu, moldavo?” Non saprei dire come sapesse che ero moldavo, non avevo spiccicato parola, forse mi ero infilato in un guaio. Questo mi ha fatto venire i sudori freddi, molto più della cicatrice che aveva sulla guancia, che bastava da sola a metterti paura, l’omaccione non aveva nemmeno bisogno della pistola. All’inizio ho pensato che era uno di quelli che ti leggono nel pensiero, perchè mi aveva inquadrato da subito, ma poi mi sono reso conto che, anche se poteva leggere nel pensiero, lo stesso non avrebbe potuto scoprire che ero moldavo, in quel momento non stavo pensando che ero moldavo, e i pensieri, di solito, non hanno accento moldavo. “Vorrei parlare con il compagno Nicolae Ceauşescu, Segretario Generale del Partito Comunista Romeno, Presidente della Repubblica Socialista di Romania", dico io svelto e sicuro di me, come sulla prima pagina dei libri di scuola, perché stavo defecando dalla paura, per così dire. “Sul serio, tu, moldavo? Mi sa che a scuola hai preso il primo premio, dì la verità!” “Sul serio, signore! Non ho preso il primo premio a scuola, signore!”, rispondo io da soldato, rapido e secco, intimidito dalla divisa. “Ma del Comandante Supremo delle Forze Armate non hai mai sentito, tu? A terra!” “Sì, ho sentito, signore!", grido io a mezz'aria, perché all’ordine “a terra” mi ci sono anche buttato a terra. Oh, mi dovete credere, mi ha fatto fare un addestramento, come da regolamento di partito, ho buttato fuori tutto il tabacco che avevo fumato in treno. Sarà stato questo il segno. Dopo avermi fatto sudare sette camice, ha preso uno sgabello e mi ha invitato a sedermi, mi ha offerto un bicchiere di acqua di rubinetto, a modo suo era un brav’uomo. Per lui, invece, ha aperto una lattina di birra, e all'inizio ho pensato che fosse una granata, non avevo mai visto una cosa del genere in vita mia. "E cosa dovresti fare da zio Nicu?", mi indaga lui. Io non dico niente, che, sono matto!? Se gli rispondevo, era come se fossi stato d’accordo nel chiamarlo “zio Nicu”, e, se ero d’accordo, era come se lo avessi chiamato così io stesso; il tipo aspettava solo che ci cascassi. "Va bene, vedo che non me lo vuoi dire, sarà un segreto, dice lui, furbo. Aspetta qui, vedo se è in casa." Fa due passi, poi si gira e mi chiede: “Di chi devo dire?” Ero paralizzato! Chi ero io? Che diavolo potevo inventarmi? “Un lavoratore!” ho detto pieno d’orgoglio, ma morto di paura. “Un operaio attrezzista”, ho aggiunto poi; mi sembrava che suonasse più interessante, come una specie di carica. “Cavoli, moldavo, sei un attrezzista!", ha mugugnato l’omaccione, impressionato; credo che ora gli dispiaceva di avermi fatto faticare così tanto. E’ entrato nella sua cabina e ha parlato sottovoce con qualcuno al
telefono. Quando è uscito, mi ha detto: “Sei fortunato, si sta preparando per andare in Zimbabwe, ma ti riceve, non può dire di no a un operaio attrezzista. Seguimi." Tira fuori un fazzoletto dalla tasca e me lo lega intorno agli occhi. Diamine, mi fa andare a sinistra, poi a destra, non so quante volte, roba che se dopo mi lasciava solo, sarei morto di fame prima di trovare l’uscita. Quando mi ha tolto il fazzoletto, ero in uno studio con medici in camice bianco, che portavano stetoscopi al collo e bevevano caffè. Posano i caffè, e uno mi obbliga a tirare fuori la lingua, un altro mi prende il sangue, un altro mi punta sugli occhi una torcia di quelle tascabili, un altro mi ascolta il battito con lo stetoscopio, e un altro, scusate se ve lo dico, mi guarda nel sedere. Sotto i camici si intravedevano le spalline e le medaglie, mi sa che erano dei generali parecchio importanti. Una visita medica come quella non mi è toccata più dopo quella volta e credo che fino all’autopsia non mi capita di certo. L’omone mi mette di nuovo il fazzoletto sugli occhi e mi trascina per i corridoi; sentivo solo odore di caffè e di jnitzel. Dopo aver preso due ascensori, mi slega e mi dice: "Quella è la porta, entri da solo, non gli piace sentirsi sorvegliato. Gli dici che sei entrato direttamente dalla strada per vedere come sta. Chiedigli anche di Elena, altrimenti si offende. Ah, prima che mi dimentico, chiamalo anche amatissimo figlio del popolo, è quello che gli piace di più”. E mi sorride, l’omaccione, tanto che mi vengono i brividi, con quella cicatrice sul viso sembrava che ridesse con due bocche. Un bravo ragazzo, a modo suo. Busso alla porta, ma non finisco di battere che sento: “Entra!” Mi viene da togliermi il cappello, si fa per dire, non ce l’avevo un cappello. Abbasso la maniglia della porta e faccio qualche passo. Il cuore mi batteva come quello di un uccellino. Lui era seduto alla scrivania e giocava a dadi: “Se esce tre, oggi vado in Zimbabwe, se non esce, dico che sono malato. Sei! Basta, sono malato! Se esce tre, ho la pressione alta, sennò ho il raffreddore. Tre! Ho indovinato, ho la pressione alta!" Io non spiccicavo parola, capite, non volevo mica disturbare. “Dì un po’, moldavo, quanto esce?", mi dice all'improvviso, come se niente fosse. Io, muto come un pesce! “Dai, sbrigati, non ho tutto sto tempo da perdere!” “Quattro! compagno Segretario Generale del Partito Comunista Romeno, Presidente della Repubblica Socialista di Romania, Comandante Supremo delle Forze Armate e amatissimo figlio del popolo", dico io tutto d’un fiato. E’ rifiorito come una rosa. “Vediamo! Quattro! Hai capito il moldavo, che fortuna! Hai vinto una Dacia!”. Morivo dalla voglia di chiedergli che succedeva se non indovinavo, ma non ho osato. "Non una Dacia nuova, ma vecchia di un anno. L'ha persa Bobu a carte”. “Grazie, compagno Segretario Generale del Partito Comunista Romeno, Presidente della Repubblica Socialista di Romania, Comandante Supremo delle Forze Armate e amatissimo figlio del popolo!” “Dai, piantala con i salamelecchi, finché siamo tra noi puoi chiamarmi zio Nicu, come fanno tutti.” Non credevo alle mie orecchie. Una brava persona, vi dico, peccato che l’hanno ammazzato come un cane. Elena, era lei la schifosa. Mentre stavo lì a pensare se dirgli o no dell’amico Litza - ora che avevo una Dacia il problema del ritardo era risolto - entra una donzella in costume popolare, con un vassoio colmo di pane e sale, ma bella che gli occhi ti schizzavano fuori dalle orbite. Ma quel puttaniere non mi dà nemmeno il tempo di rifarmi gli occhi che la manda subito via: “Dai, vattene, non vedi che stiamo lavorando?” Geloso da morire, gli si leggeva in viso. "Mi scusi, pensavo fosse la delegazione dalla Cina!", cinguetta la bellina, melodiosa come la cantante Irina Loghin. "Que-e-e-ella è nell’altra stanza.” Si era innervosito e aveva cominciato a balbettare. “Sì, dunque, torniamo all’ordine del giorno, compagni, quale urgenza vi porta da me?” Quando ho visto che mi trattava come fossimo a una riunione di partito, ho cominciato a sentirmi in difficoltà. “Beh…io sono solo un lavoratore…” “E sei passato di qua a vedere come sto." “Sì, esatto, e come sta la compagna Elena, Vostra compagna di vita, studiosa di fama mondiale e madre affettuosa.” “Lei non sta molto bene, mi ha appena fatto sapere che ha il raffreddore…E a me è la pressione che mi tormenta, ma che vuoi farci, il dovere è dovere, la causa del popolo non va in vacanza.” “E’ vero. Può dirlo forte.” “Ma che sei sordo?” “No, così si dice dalle nostre parti”. “Aha!” Lo guardavo, stava seduto in poltrona come un pascià e grattava via i punti del dado
con l’unghia. “Caspita, il nero sta andando via! Non lo sapevo mica!" Io rispettavo in silenzio l'occupazione in cui era intento. "Ecco perchè vinceva sempre, quell'imbroglione di Postelnicu!" La stanza era grande, c’era già la TV a colori allora, e tende di Paşcani. “Dimmi un po’, moldavo, mi è giunta voce che la gente mugugna, tu ce l’hai il latte per i bambini?” Ero di nuovo nei guai! Come diavolo facevo a dirgli che dovevi alzarti alle tre di mattina per una bottiglia di latte? Che dovevi stare in fila finché non facevi la muffa? “Eeeh…mi dispiace dirglielo, non ho bambini, compagno Segretario Generale del Parti…” “Stooop! Non va bene, moldavo, che non hai bambini. Ma che razza di operaio attrezzista sei senza bambini? Non ti vergogni nemmeno un po’? Non ho detto a non so quale seduta plenaria di fare figli, così almeno fate qualcosa?” “Mi perdoni, compagno Segretario Generale…” “Torna a casa e fai figli, altrimenti mi riprendo la Dacia. Come te l’ho data, così te la riprendo. Con me non si scherza”, dice lui. Ho assunto la posizione del bucaneve, con la testa piegata, cosa mai potevo dire? “O forse hai problemi alla pompetta?” In un primo momento, non capivo nemmeno cosa volesse dire, ma ci sono arrivato presto. “No, compagno Segretario Generale…” “Ehi, se hai problemi con la pompetta, dimmelo! Ti porto da un dottore, uno tailandese, quello ti fa bere un succo fatto con delle erbacce bollite, è un po’ disgustoso, sembra whisky, ma dopo ti sembra di essere un trapano, dico sul serio! Fai sfracelli!" “No, io nooo…, compagno Segretario Generale…” “Ehi, non devi vergognarti! Vieni, me lo dici e risolviamo la questione. Che diamine! Così dai anche tu una mano alla crescita demografica.” Giuro, mi ha detto proprio così. Mi è piaciuto stavolta il povero Crivellato, era uno su cui potevi contare. Era Elena la schifosa, ve lo dico io. Tutto il tempo che sono stato lì, non si è fatta vedere nemmeno una volta. Ed ero un ospite, no? Per questa cosa della demografia non c'era da scherzare, dovevate vedere come mi redarguiva...Ha detto anche qualcosa sull'interesse nazionale e sul dovere verso la patria, su entrambi i sessi, ma non mi ricordo bene, non sono mai stato bravo in storia. Adesso però fatemi raccontare cosa ha passato un mio amico con questa storia dell’aumento demografico, così vedrete che la faccenda era abbastanza seria. Sua moglie va un giorno in tutta fretta in città, aveva sentito che non so dove era arrivata la carta igienica; loro abitavano in un paese vicino. Era proprio così, si vendeva carta igienica, ma solo dodici rotoli a persona, e c’era una fila che ti veniva di piantare tutto e andartene. La povera moglie rimane in fila per quattro ore, prende la sua parte di carta igienica e, quando arriva a casa…sorpresa! su quella carta spessa e aspra che ti usciva il sangue quando la usavi, tutti pezzi delle Sacre Scritture: “Romani, 13”, “ito Santo”, “aolo”, e così via. Tutta la famiglia ha fatto due occhi così dallo stupore. Poi sono venuti a sapere, con l’orecchio incollato a Europa Libera, che un trasporto di Bibbie dall’Occidente era stato mandato al macero, ecco il perché di quell’inconveniente. Ad ogni modo, la moglie diceva che, per l’amor di Dio, lei non poteva pulirsi il culetto con i testi sacri, anche se erano ridotti a pezzetti. Non ha nemmeno chiesto al prete se era peccato oppure no, ha messo in bagno alcuni numeri vecchi de La scintilla, tra cui c’era anche quello del decreto contro gli aborti, con il discorso del Compagno sull’aumento del numero di figli pro capite. Guardare, non l’avesse mai fatto! Nove mesi esatti dopo che aveva usato quel giornale, nacque un bambino forte e robusto, spiccicato zio Nicu. E poi, a dirla tutta, questo mio amico non era stato nemmeno a casa in quel periodo. Ci sono rimasti entrambi di sasso, ma hanno cresciuto l’amata prole, e non hanno potuto chiedere neanche la pensione alimentare. Così sono nati i figli del decreto… Ma torniamo alla mia visita. Lui gratta il dado ancora per un po’, poi si guarda intorno, tira fuori dall’armadio del vino e una scatola di avana, la prima volta ho pensato che dentro c’erano delle caramelle. Dalla sua faccia si vedeva che aveva paura che Leana lo scoprisse a bere, gli avrebbe fatto una bella ramanzina. Il vino era buono, nulla da dire; il vecchio aveva gusto. "Prendi anche un sigaro - mi invita lui - me li ha mandati Fidel Castro per il 23 agosto.” Peccato che non c’era mia moglie a vedermi, parevo Kojak, a lei piaceva un sacco quel telefilm. “Senti un po’, moldavo, hai mai sentito di un certo Goma?”, chiede il povero
Impallinato. Io, per non sembrare scemo del tutto, dico: “Mi pare di aver sentito questo nome, compagno Segretario…”, pensavo che fosse uno importante del partito, o qualcosa del genere. “Ah bene, dimmi, dimmi tutto! Dove l'hai sentito?" Che potevo dire? Ho cominciato a balbettare. Non avevo idea di chi fosse e nemmeno ora lo so, ma il suo nome mi è rimasto in testa, era un nome insolito. “Mi pare che lavorava con noi in fabbrica, al tornio…”, l'ho buttata lì io. "No, questo qui è un mascalzone." "Beh, quello nostro non è tanto meglio”, azzardo io. "Ma di Iliescu hai mai sentito?” “Non ho mai sentito, compagno Segretario Generale…” “Meglio! E’ un altro mascalzone, ma più pericoloso di quell’altro.” Giuro, ha detto proprio così. Alla rivoluzione, quando l'ho visto lì in TV, mi sono ricordato per filo e per segno questa conversazione. "Ascolta, se muoio e finite nelle mani di quello zingaro di Iliescu, per voi sono finiti i giorni felici!" "Come se muore, compagno Segretario Generale...possibile?" "E' possibile sì, moldavo, io posso qualunque cosa!" "A-ha”, dico io come un cretino. “Quello vi spella vivi, come il KGB. Vivrete e vi ricorderete di me!” Mi sembra di sentirlo ora, vi dico. Aveva già annusato qualcosa. “Se quello va appresso a Gorbi e vi porta nella transizione, perché ora mi sta facendo una testa così, nemmeno gli americani vi tireranno fuori. Sempre con questo tunnel della transizione, con la luce alla fine del tunnel, che aspetta noi, i romeni. Stronzate! Se entriamo nel tunnel, ci tirano fuori a pezzettini, come pezzi di ricambio. Dammi retta!” Beh, tutto quello che mi ha detto il povero Crivellato-A-Torto, tutto si è avverato; sembrava che l’avesse letto da qualche parte. Dopo la rivoluzione, ho sentito le sue parole esatte da Iliescu e dagli altri, sembra che fossero stati lì a origliare mentre parlavamo. A un certo punto, il povero Impiombato guarda l’orologio e dice: “Devo proprio scappare, faccio tardi a carte”. “Scusatemi per il disturbo, compagno Segretario…” “Aspetta, dove te ne vai così a mani vuote?" Fruga un po’ sotto il tavolo e tira fuori due pacchetti, legati e infiocchettati per bene. "Guarda, questo è per tua figlia Alina, ci sono dei sandali Guban e due banane, e questo è per Marius, due racchette da tennis e una cioccolata cinese." Sono rimasto di sasso. Sapeva tutto di me! Ed era proprio quello che desideravano i miei figli. E io che gli avevo appena detto che non ne avevo...E' stato veramente comprensivo, che dire! Per tutte le bugie che gli avevo detto, avrebbe potuto chiamare l’omaccione e ridurmi in poltiglia, e farmi portare a casa da mia moglie con la pattumiera. Ma lui no, persona di classe, mi dà anche dei regali quando me ne vado. Cosa vuoi di più? Mi ha dato i pacchetti, ha chiuso la bottiglia, ha cancellato le tracce ed è filato via da una porta laterale. E’ andato, e da allora non l’ho visto più. Certo, solo un po’ in televisione…E proprio nel momento in cui mi ero messo a guardare quelle tende di Paşcani, non che avessi voluto ficcarmene una in borsa, ma volevo vedere anche io come era la roba fine, entra il gigante con la cicatrice sulla guancia, sventolando il fazzoletto: “Allora, moldavo, com’è andata?” E ha sorriso doppio, tanto che mi ha preso un brivido lungo la spina dorsale; in realtà, con una bocca rideva, e con l'altra pareva che piangesse. Non sapevi nemmeno come reagire. Abbiamo preso di nuovo gli ascensori, abbiamo percorso i corridoi, siamo passati in messo all'odore di caffè e di jnitzel. Infatti il mio ospite non aveva tirato fuori niente da mangiare e lo stomaco mi brontolava a causa di quel sigaro. Pensavo anche a come diavolo fanno quei cubani sottonutriti a fumare quel veleno di tabacco. Avranno tutti lo stomaco di ferro, accidenti a loro, altrimenti non me lo spiego. La strada mi sembrava più lunga adesso al ritorno, ma alla fin fine siamo arrivati all’uscita, io con i pacchetti sottobraccio come due cocomeri. Caspita, mi dispiaceva proprio lasciare il comitato centrale, dove c’era un odore così buono e dove faceva fresco, dove si giocava tanto a carte e si fumavano avana, ma ho capito che non era roba per me, anche se me la sarei cavata a meraviglia. Siccome mi era rimasto un dubbio, per non morire scemo, prima di andarmene, ho chiesto al gigantone: “Compagno, mi permettete, come avete capito da subito che sono moldavo?” “Ma è semplice, zio! Solo i moldavi fanno il telegrafo sulla porta, quando il campanello è lì, a destra, lo vedi?" Aveva ragione l'omaccione, il campanello era lì, ma non l'avevo proprio visto. Gli ho detto grazie e sono
scappato subito alla stazione, magari dopo un po’ gli girava male e mi faceva di nuovo sudare sette camice. Quando sono arrivato a casa, la Dacia era di fronte al mio palazzo. “Ma zio Mitu, come facevi a sapere che era la tua di Dacia, ti ha detto il numero di targa?” “Ma senti tu, che cosa mi va a chiedere sto nanetto! Non avevi qualcosa di più intelligente da chiedere? Come sarebbe come facevo a saperlo? Guarda che so leggere, sul parabrezza c’era un pezzo di cartone con su scritto: “Per Mitu”. “Va bene, zio Mitu, non te la prendere per questo” “Ma dì un po’, dov’è la macchina ora?”, “Beh, l’ho venduta proprio il giorno dopo, perché io non avevo nemmeno la patente. Dai, facciamo un brindisi, che ho la gola secca!” […] trad.
Anita Natascia Bernacchia