LETTERA
Paolo il prigioniero
A
FILEMONE
rigioniero” e “catene” (in greco, désmios e desmós), ancor prima che del lessico paolino, fanno parte dell’esperienza profonda e intensa della personalità di Paolo. Infatti, l’Apostolo è doppiamente “prigioniero”: materialmente, perché è stretto nelle catene, simbolo dell’autorità coercitiva dell’Impero romano; spiritualmente, perché le “catene” che lo limitano (e che egli ama chiamare “le mie catene”, Col 4,18), sono l’immagine dello stretto rapporto di amore che lo lega a Cristo, suo Signore: «Io, Paolo, prigioniero di Gesù Cristo» (Fm 1). L’Apostolo, con le sue “catene”, ricorda che ogni cristiano – come anche ogni uomo – è “prigioniero” dell’Amore.
“P
l “biglietto”, indirizzato da Paolo a Filemone, nella sua brevità rivela tutta l’importanza e la ricchezza del messaggio evangelico, che ha in sé la forza di scardinare ogni limite e di frantumare ogni barriera. Quella schiavitù istituzionalizzata che né Paolo né il Vangelo hanno affrontato con la violenza della rivoluzione, è però stata gradualmente scalfita nei suoi illusori fondamenti dall’imporsi della fraternità e dell’agápe/amore predicati e vissuti da Cristo.
I Interventi di Gianfranco Ravasi Giuseppe Pulcinelli Angelo Colacrai Michelangelo Tábet Vladan Tatalovic Paolo Ricca Ioannis Karavidopoulos Salvatore Piga
esù, infatti, è il Figlio e “il prigioniero” del Padre, cioè legato totalmente alla sua volontà, fino al dono totale e liberante da ogni “catena” e da ogni schiavitù, antica e moderna. Paolo è “il prigioniero di Cristo”, perché ha la consapevolezza di essere ormai pienamente “legato” alle mani del suo Signore, afferrato dal suo vangelo e motivato dall’amore per lui.
G
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