Chapeau Maggio 09

  • May 2020
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  • Pages: 32
MENICHELLI

RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MODA CULTURA

MENICHELLI

COPIA GRATUITA - Anno 5 - N. 5 - Maggio 2009 - Tiratura copie 20.000

Tom Hanks Angelo o Demone?

Il futuro ha 100 anni

I primi 100 anni di Rita Levi Montalcini

Matrimonio tra necessità e scelta

I GIORNI SENZA FINE NELLE TENDOPOLI

Direttore Responsabile Mara Parmegiani Comitato scientifico Gino Falleri, Nino Marazzita, Simonetta Matone, Carlo Giovannelli, Rosario Sorrentino, Emilio Albertario, Anna Mura Sommella Segreteria di Redazione Marco Alfonsi Nicoletta Di Benedetto Marina Bertucci Servizi fotografici di redazione Laura Camia, Giancarlo Sirolesi Hanno collaborato Marco Alfonsi, Costanza Cerìoli, Isabella De Martini, Nicoletta Di Benedetto, Andrea Di Capoterra, Cristina Guerra, Tiziano Melara, Rita Lena, Cristian Coppotelli, Fabio Sciarra, Siderio Fotografo: Maurizio Righi Via Piero Aloisi, 29 - 00158 Roma Tel. 06.4500746 - Fax 06.4503358

Tamponate le criticità dei primi momenti, ora che tutti gli sfollati hanno trovato un ricovero sicuro nelle tendopoli, nelle zone terremotate de L’Aquila e dintorni, l'emergenza più difficile da gestire rimane la paura. La case agibili continuano a restare vuote, soprattutto di notte. I centri di accoglienza, che di giorno sono semideserti o popolati soprattutto da bambini ed anziani, all’imbrunire si riempiono. La psicosi del terremoto si allarga a macchia d'olio dalle zone martoriate. La Giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Sanità, Lanfranco Venturoni, ha assegnato oltre 4 milioni di euro a sostegno di iniziative facenti parte del progetto “La salute mentale”, e al fabbisogno del Centro regionale per le Psicosi Infantili della Asl de L’Aquila 156 mila euro. L’importo totale servirà per sostenere programmi sul disagio relativo all’annualità 2009 e per il Centro di Psicosi Infantili. Il tutto per offrire servizi e risposte adeguate a un disagio, quello mentale, che va affrontato con estrema cautela e competenza. In mano alla Protezione Civile il coordinamento degli aiuti destinati alle persone disabili che non possono vivere a lungo nelle tendopoli. Con attenzione soprattutto alle persone con disabilità intellettive. Le priorità maggiori riguardano disabili gravi per i quali l’accoglienza nelle tendopoli appare particolarmente difficile. A tutti loro la nostra solidarietà e l’incoraggiamento ad andare avanti.

www.chapeau.biz Aut. Trib. di Roma n. 529/2005 del 29/12/2005 Edizioni e Stampa Rotoform s.r.l. Via Ardeatina Km. 20,400 - S. Palomba (RM) Ideazione grafica ed impaginazione Monica Proietti Settore Pubblicità Direzione: 00158 Roma - via Piero Aloisi, 29 Tel. 06.4500746 - Fax 06.4503358 e-mail: [email protected] Si ringrazia “AltaRoma” per la concessione delle foto di moda.

La responsabilità legale del contenuto degli articoli e dei contributi di tipo pubblicitario è a carico dei singoli autori. La collaborazione al mensile Chapeau è da ritenersi del tutto gratuita e pertanto non retribuita, salvo accordi scritti o contratti di cessione di copyright. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi, grafici, immagini e contributi pubblicitari realizzati da Chapeau.

Mara Parmegiani

numero

IN QUESTO

L’INTERVISTA

I MUST

STORIA DEL MATRIMONIO

IL FUTURO HA CENTO ANNI

IL MALOCCHIO

DOLCI MESSAGGI

4

Intervista a Tom HanksKS

6

I must

8

Borse in rialzo

9

Le spose di Chapeau

10

Roma by Night

12

Il giallo del Curaro

14

Storia del matrimonio

17

Cento anni di Rita Levi Montalcini

18

Il futuro ha cento anni

20

Il malocchio

22

Storia della cioccolata

25

Dolci messaggi

28

L’angelo sull’autobus

29

Libri - Eventi - Mostre

30

I trucchi di primavera

31

Ricetta e oroscopo del mese

TOM HANKS

T RA A NGELI E D EMONI duce il film, aveva contattato il Centro all'inizio del 2007 per girare al Cern alcune scene. Una richiesta che “è stata vista immediatamente come un’opportunita” ed accettata con entusiasmo dal direttore della ricerca del Centro, Sergio Bertolucci, soddisfatto che, dopo il bestseller ‘Angeli & Demoni’, “adesso anche Hollywood offra l’opportunità di mostrare quanto sia eccitante la ricerca sull’antimateria”. Un privilegio aver lavorato con il Cern, secondo il regista Ron Howard. “I ricercatori - afferma - ci hanno aiutato moltissimo spiegandoci fenomeni scientifici e permettendoci di avere accesso a luoghi incredibili. Penso che stiano facendo cose fantastiche”. Il romanzo di Dan Brown, cosi come il film a cui si ispira, si concentra su uno dei principali temi di ricerca del Cern: l’equilibrio fra materia e antimateria. Presenti nelle stesse quantità quando l’universo ha avuto origine, 13,5 miliardi di anni fa, nel momento in cui materia e antimateria si sono incontrate si sono annichilite. Ma ancora non si sa perchè una certa quantità di materia sia sopravvissuta, dando origine a stelle e pianeti. Come nel “Codice Da Vinci”, anche in “Angeli e Demoni”, Robert Langdon è in lotta contro poteri antichi, disposti a tutto, anche all’assassinio, pur di raggiungere i loro scopi. Langdon-Hanks si imbatte stavolta nell’antica setta segreta degli Illuminati, la più potente organizzazione clandestina della storia decisa a distruggere la Chiesa Cattolica e il Vaticano. Il piano degli Illuminati consiste nell’utilizzare l’antimateria rubata al CERN come ultima arma di distruzione di massa se Langdon non riuscirà a risolvere una serie di misteri antichissimi. Alcune centinaia di esponenti del mondo della stampa hanno affollato il CERN per vedere in anteprima alcune scene del film e prendere parte ad un evento unico: la possibilità di vedere la tecnologia che sta dietro al più grande esperimento che il mondo abbia mai visto, il grande collisore di adroni (Large Hadron Collider), una massa di macchinari TOM HANKS SEGUE LA TRAIETTORIA DELLA LUCE Cosa ci fa Tom Hanks al CERN di Ginevra? Certo, capire su cosa lavorano gli scienziati del centro europeo di ricerca nucleare non è semplice, soprattutto quando ci si trova davanti al grande collisore di adroni (Large Hadron Collider), l’esperimento di punta del centro. Ma cosa ha a che vedere questo con Hollywood? Ce lo dirà, a modo suo, proprio Tom Hanks che veste per la seconda volta i panni dello storico dell’arte-detective di Harvard, Robert Langdon in “Angeli e Demoni”, il nuovo film diretto da Ron Howard, tratto dall’omonimo romanzo di Dan Brown. Libro che precedette il Codice da Vinci, fenomeno editoriale di sei anni fa e da cui fu tratto il film che incassò ben 750 milioni di dollari ai botteghini. La Sony Pictures, che pro-

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Tom Hanks e Pierfrancesco Favino

e strumenti alta come un palazzo di cinque piani che si trova in una grande caverna, un’immensa cattedrale della scienza, che contiene così tanti cavi da riuscire a circondare l’equatore per quasi sette volte. Oltre ad alcune sequenze del film, la location ha ospitato la conferenza stampa con Tom Hanks, Ayelet Zurer, che interpreta il ruolo della scienziata Vittoria Vetra, il regista Ron Howard e un esponente del CERN, Rolf Landua. Hanks ha raccontato il suo entusiasmo nel ricoprire nuovamente i panni di Robert Langdon, un’occasione che non si è lasciato sfuggire come ha precisato in conferenza stampa. Molte scene del film sono state poi girate a Roma tra Castel S.Angelo, Piazza del Popolo, Piazza Navona, di fronte alla chiesa di Santa Susanna. E alcune, grazie alle tecnologie digitali, sembrano girate addirittura all’interno della basilica di San Pietro. Il fatto è ancora più curioso perché le gerarchie ecclesiastiche cattoliche, che a suo tempo avevano condannato il Codice Da Vinci, hanno sempre negato l’autorizzazione ad usare luoghi sacri come location del film. “Non glielo abbiamo nemmeno chiesto”, ha spiegato Howard. “Sfruttando tutte le possibilità che i produttori cinematografici hanno a loro disposizione al giorno d’oggi, sono convinto che siamo stati in grado di dare al pubblico l’impressione di fare un viaggio veramente realistico dietro le mura del Vaticano. Avevamo previsto di filmare in particolari location in tutta Roma, con il Vaticano, ma anche con altre chiese sullo sfondo. Tra l’altro tre giorni prima di iniziare le riprese c’è stato detto che durante un incontro con alcuni esponenti del Vaticano un certo numero dei permessi per girare erano stati revocati.” A Roma c’è stato poi l’incontro con gli altri protagonisti del cast di “Angeli e Demoni”, come Ewan McGregor, che interpreta il Camerlengo: l’uomo che istituzionalmente ha il compito di governare temporaneamente il Vaticano dopo la morte del Papa e preparare il conclave. Stellan Skarsgard che interpreta Richter, il comandante della Guardia Svizzera e Pierfrancesco Favino che recita nei panni di Olivetti, l’ufficiale della polizia vaticana. Al tramonto, un tour per seguire la traiettoria della luce di cui si parla nel film: si dice che fosse questo il modo in cui gli Illuminati selezionavano nuovi adepti, facendogli risolvere una serie di complicati indizi ed enigmi. È questo il percorso, scoperto da Robert Langdon, il quale spera che riuscirà a salvare i quattro cardinali rapiti ed a fermare gli Illuminati dall’esigere la loro vendetta centenaria contro la Chiesa Cattolica. Nel romanzo si racconta che gli Illuminati risalgono al 1500 e vennero fondati per contrastare il pensiero della Chiesa. Nella storia di “Angeli e Demoni” scomparvero più di un secolo fa, ma qualcuno sostiene che esistano ancora e che i loro adepti detengano posizioni di potere, abbiano il controllo sugli accadimenti del mondo e progettino di costruire un nuovo ordine con lo scopo di sostituire gli attuali governi di ciascun Paese. Una sorta di massoneria illuminata. Il film è in sala dal 13 maggio ma intanto lo scrittore Dan Brown da settembre offre al pubblico il suo nuovo romanzo che in tutta probabilità sarà il sequel di “Angeli e Demoni”. La prima edizione del libro, che vedrà ancora una volta protagonista lo storico dell’arte-detective di Harvard Robert Langdon, prevede la stampa di cinque milione di copie, un vero record per la casa editrice Random House. “Questo libro è stato un viaggio strano e meraviglioso” ha affermato Brown, che oggi ha 44 an-

ni. “Tessere cinque anni di ricerche in una storia della durata di 12 ore è stata una sfida stimolante. Di certo la vita di Robert Langdon si muove più velocemente della mia”. Andrea di Capoterra

Una sequenza del film “Angeli e Demoni”

Tom Hanks nei panni di Robert Langdon

Tom Hanks, Ayelet Zurer ed Ewan McGregor con l'antimateria

Una sequenza del film “Angeli e Demoni”

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I DIECI MUST DELLA VOST

CORALLO è il colore che rivendica l'estate. Declinato in tutte le sfumature dal rosso intenso al rosa salmone, dai top ai vestiti ai bijoux alle scarpe.

ETNICO L’etnico è un altro tema per un'estate alla moda. Declinato in tutti i temi è proposto da Dior, con accessori tribali per un maggiore effetto.

SAROUEL Alexander McQuee. I pantaloni, per le più audaci, sono destrutturati, a panier e larghi sulle anche. Stile sultano, abbinabili a bijoux etnici.

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Costanza Cerioli

Per Balami giacche. Co

BLUE Il blu trionfa in questa stagione, riproposto anche da Celine, John Galliano e Sonia Rykiel con vestiti, bluse, scarpe e piccole borse

TRA ESTATE NUDO GRAFICO Se amate il bianco e il nero, Chanel ne propone uno facile da portare, abbinato anche a scarpe gioielli bicolore

Stella McCartney, rilancia lo stile “nudo” (beige rosato) Bello per i tailleur e per la sera

CORTO Givenchy, ma anche Dior riconferma gambe al vento! ma... attenzione alle scarpe che devono essere leggere e decorate C.C.

SPALLE LARGHE

amin sono le spalle larghe ad imporsi sulle e. Con l'immagine di una rock star si sposano bene con i jeans

CAPPELLI WESTERN La grande tendenza dell'estate è la moda Western: frange, borse, cinture, gilet e foulards.

Chapeau le chapeau ! Ritornano di moda. Un tocco sofisticato? Con i jeans, gli short e con il costume da bagno.

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IN TEMPI DI NOTIZIE PESSIMISTICHE CHE ARRIVANO DA TUTTO IL MONDO GLI STILISTI CERCANO DI RISPONDERE CON UNO STILE LEGGERO E COLORATO... DI SPERANZA, QUASI AD ESORCIZZARE I MOMENTI BUI Neanche le borse e le scarpe fanno eccezione... Quelle che vi mostriamo sono pezzi bellissimi ed esclusivi tutti realizzati con materiali di grandissimo valore. C.C.

MARIELLA BURANI

LESPORTSAC

BULGARI

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VERSACE

LE NUOVE PROPOSTE DELLA MAX CLAN

GALLIANO

BRACCIALINI

GUESS

LE SPOSE DI CHAPEAU

L’abito, studiato per un solo giorno, racconta di una femminilità romantica che attraversa, all’insegna della seduzione, elaborati intarsi di tessuto, preziosi ricami e ampie scollature che, a volte, si frantumano in virtuosi volants arricchiti di plissè, fiori delicati e

Lorenzo Riva

Fausto Sarli

pizzi impalpabili. Per l’abito da sposa è decisivo il ritorno dell’abito intero. Anche il velo farà parlare di sé, ponendosi talvolta come elemento essenziale per la scelta dell’abito, all’insegna del romanticismo. C.C. Tony Ward

Abed Mahfouz

Curiel Couture

Camillo Bona

Renato Balestra

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ROMA

by

NIGHT

a cura di Giancarlo Sirolesi Tesori ritrovati "Annunciazione", Pietro Novelli, XVII sec., olio su tela, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis

Carlo Capponi, Patrizia de Blanck e le unghie laccate di Solange

L’affascinante Alessandra Martinez

Nadia Bengala e Demetra Hampton con i loro accompagnatori

Una spiritosa e ironica Cinzia Leoni

Metà ‘800 - Abito da sposa in taffetas di seta matelassè, impreziosito sul corpino da preziosi intarsi a motivi floreali, enfatizzato da una giacchina in tulle dagli alti polsi a campana - Collezione Mara Parmegiani -

Laura Troscel sfila per Papa Moto al Gildaper le over 50

Alessandro Aber protagonista del cortometraggio "Quando dico di no, è no!" Brindisi di Cinzia TH Torrini con il marito Aldo de Luca

Massimo Ranieri presenta il suo spettacolo

Micaela Ramazzotti al premio Cinema Giovani

L'onnipresente Franco Pazzaglia

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La compagnia di Gianluca Guidi al L’intramontabile regista Rai-TV, Adolfo Lippi

Lorena Bianchetti conduttrice di DomenicaIn Milly Carlucci e il marito alla prima di “Fiesta”

Arisa vincitrice a San Remo 2009 - nuove proposte

Elena Sofia Ricci con il marito La gioia dei Bambini della Comunità di Sant’Egidio per il grande uovo di Pasqua e giocattoli dono del Presidente dell’osservatorio Parlamentare, dott. Giuseppe Catapano

Abito Liberty - 1910 in raso, pizzo e ricami preziosi -collezione Mara ParmegianiTeatro La Cometa: Massimo Lopez ed Emanuele Filiberto

Abito da sposa 1915. Tulle pois d'esprit e raso di seta avorio, impreziosito da ricami di fiori e spighe realizzati a pizzo rinascimento.

“COL PIEDE GIUSTO” la nuova commedia di Angelo Longoni con Simone Colombari, Eleonora Ivone, Amanda Sandrelli e Blas Roca Rey

Angela Melillo tra le protagoniste al Bagaglino di Pingitore

Michele Miglionico in passerella

Veronica Maio bellissima conduttrice di

Le bellissime Matilde Brandi e Manila Nazzaro L’elegantissima Ela Weber

La sposa di Damiani

Demi Mendez alla presentazione della nuova linea Max Clan Elda Alvigini protagonista de “I Cesaroni” Il corpo di ballo e Alex La Rosa in una performance al Gilda

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IL GIALLO DEL CURARO “MEDICO CONDANNATO ALL’ERGASTOLO PER L’AVVELENAMENTO DELLA MOGLIE” sua clinica, per quanto rinomata però, non rappresenta l’eccellenza. Non stima suo figlio Carlo e dimostra solo condiscendenza per la nuora Ombretta (sarà lui, con gesto degno della storia, a consegnare il figlio alla giustizia dopo il fattaccio). LA RADIOGRAFIA DEI DUE CONIUGI

È la sera del 14 marzo del 1963 quando Ombretta Galeffi, moglie di Carlo Nigrisoli, viene ritrovata morta all’interno della clinica di famiglia. Fin da subito le accuse, anche degli stessi famigliari, ricadono su Carlo, definito come un uomo ambiguo, mediocre e bugiardo con diverse relazioni extraconiugali alle spalle, che avrebbe ucciso la moglie iniettandole una dose di curaro. Siamo nell’Italia degli anni Sessanta, l’Italia arcaica dei mariti traditori e assassini, come il dottor Carlo Nigrisoli, e delle mogli fragili che si lasciano ammazzare tra lacrime e atroci dolori, con una iniezione di curaro: come capitò appunto ad Ombretta Nigrisoli, nella notte tra il 14 e il 15 marzo 1963. Ombretta è una donna mite, rassegnata, delusa, madre di tre figli e in quell’età che sente con una certa apprensione gli imminenti quarant’anni. Carlo Nigrisoli è un medico fallito: nella clinica del padre è incaricato semplicemente dell’amministrazione; gli pesa tremendamente la tradizione familiare che lo ha costretto - insieme al fratello - a seguire una carriera, quella medica a lui non congeniale. Gli piace la vita sportiva e brillante: partecipa ai rallies automobilistici, passa alla motonautica e infine si concede una amante. L’insigne padre, professor Pietro, si compiace di rappresentare la classe medica bolognese di indubbio valore; la

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Da tempo c’è tensione fra i due coniugi; Ombretta riceve rimproveri dal marito perché non vuole seguirlo nella vita brillante che l’uomo conduce. Forse è a conoscenza della relazione del marito con “l’altra”. Resta fermo il fatto che l’amore di tredici anni prima si è trasformato, in lui, nella disistima e, forse, nell’odio. Lei è profondamente infelice ma il suo naturale riserbo non le impedisce di confidare a parenti ed amici che “qualcosa non va”; nel pomeriggio che precede la tragedia, congedandosi dopo una visita ad una amica, le dice che forse non si sarebbero riviste più. Presagio di una tragedia o volontà di togliersi la vita? Tarda serata del 13 marzo 1963: Ombretta entra in coma. Il marito la prende in braccio e la porta, ancora viva, nell’ambulatorio della sua clinica, a pochi metri, dall’ala della casa di cura in cui abitano. Ombretta muore senza poter parlare. Sul comodino vicino al letto della sua camera, una siringa ed un flaconcino di sincurarina vuoto. I medici curanti della clinica (prima quello di guardia e successivamente un altro) si rifiutano di stilare l’atto di morte “per cause naturali”. Papà Nigrisoli cerca sul corpo della nuora traccie di punture che non trova. Poi, non si comprende perché, inveisce contro il figlio Carlo e telefona ad un avvocato amico di famiglia. Quest’ultimo avverte il magistrato. Carlo Nigrisoli viene arrestato. Il perito esegue l’autopsia e invia i reperti all’Istituto di Firenze: se è curaro, c’è una probabilità su cento che possa essere rinvenuto. Se questi sono i fatti sicuri, tuttavia se ne possono esaminare altri due come probabili: Ombretta soffriva fisicamente di qualche malattia o di un grave esaurimento nervoso; il marito le praticava una cura ricostituente a base di calcio per via intramuscolare. La prima ipotesi è avvalorata da questi fatti: esiste un elettrocardiogramma di Ombretta e lei, insieme con il marito, ha visitato uno psichiatra; infine, una ventina di giorni prima della sua morte, ha accusato forti dolori. Con questi elementi si può azzardare a ricostruire la storia di una morte (assassinio?). Carlo Nigrisoli ricorda il matrimonio come l’unico atto di volontà della sua vita. I genitori infatti auspicavano che questo figliolo sposasse una donna “più su”, come aveva fatto il fratello di Carlo. Però, quell’atto di ribellione ai voleri della famiglia si trasforma in un totale fallimento, uno dei tanti della sua esistenza. Nascono tre figli ma cosa possono contare per un cervello che si rode continuamente?

Di qui l’incompatibilità, l’irritazione profonda. Si fa un’amante; poi un’altra, infine la terza che è quella giusta e che lo fa innamorare follemente. La moglie sembra percepire che qualcosa non va e decide per camere separate. Carlo, però, non si accontenta e nella sua mente si fa strada un’altra possibilità. La casa di cura è un luogo particolare, dove si può anche morire (o uccidere, come nel suo caso) senza particolare trambusto. Tanta gente muore in ospedale. E poi ci sono i medici che sono suoi amici dipendenti e pagati da Nigrisoli. Nella farmacia della casa di cura ci sono tante boccette interessanti. Il curaro, ad esempio; che non lascia traccia nei tessuti, provoca un rilassamento dei muscoli e fa morire per soffocamento dovuto a mancanza di ossigeno. L’avvelenato da curaro non può neanche gridare perché le corde vocali non vibrano. Ecco, Carlo Nigrisoli sceglie il curaro. Bisogna iniettarlo e dunque convince la moglie a farsi fare una puntura che le farà bene. Ombretta non è persona molto colta ma se leggesse sul flacone “sincurarina” direbbe di no. Bisogna perciò architettare un piano preciso. LE DUE IPOTESI La prima cosa consigliata dallo psichiatra è una cura ricostituente, iniezioni, appunto. Sarà facile, al momento opportuno, arrivare dalla moglie con la siringa già pronta. Poi Carlo sarà finalmente libero di andare con “l’altra” che aspetta. Carlo pensa: i medici della clinica sono amici e dipendenti, rimarranno addolorati per la morte della signora. Ma come è successo, di cosa soffriva? Mah, risponderà lui, l’ho sentita rantolare e sono accorso ma non c’era più niente da fare. Un collasso cardiaco? Sì, lei soffriva di cuore, l’ho fatta anche visitare. I medici della clinica stileranno il certificato di morte e tanti saluti.

tempo, si è fatta benvolere e stimare anche per il dono dei tre nipotini. Eppure è proprio il marito a darle la prima delusione. Non è il Nigrisoli che immaginava, ma solo un mediocre. Il gelo scende poco a poco fra loro. Era una bella e fiorente ragazza; ora è una mamma vicina alla maturità. Ha capito che il marito ha un’amante e questo la rende confusa, esaurita; avverte disturbi di cuore ma il marito non le offre un aiuto se non quello, un po’ cinico, nascosto nella frase: “Fatti visitare...” E lei finisce per accettare questo suggerimento e andrà a farsi visitare, insieme con il marito, pochi giorni prima della tragedia. Tornata a casa, si fa strada in lei un pensiero: farla finita, nonostante i tre figli. La sera fatale attende che tutti riposino; ha già fatto visita alla farmacia della clinica ed ha preso un flaconcino di sincurarina. Sul flacone ha notato il teschio con la dicitura “veleno”. Si farà una iniezione su una gamba (ecco perché, ad un primo esame, il suocero non ha trovato tracce di puntura). Poi lascerà sul comodino la siringa e il flaconcino vuoto. Carlo sente ad un certo punto, dalla sua stanza, la moglie che rantola, va da lei e la trova stravolta, incapace di parlare. Rapidamente la crisi precipita; Ombretta si fa cianotica, Carlo la solleva e la porta nell’ambulatorio alla fine del corridoio. Non si rende nemmeno conto che a quel punto tutto è contro di lui. Se ha guardato e poi toccato il flacone e la siringa per rendersi conto di quanto è accaduto, le sue impronte saranno rimaste. Infatti alle prime domande lui è confuso, non sa che rispondere. C’è confusione intorno al letto dove ormai giace cadavere Ombretta. E poi il padre che lo investe: “L’hai uccisa!”, ma lui la intende in un altro senso: “sei tu che con il tuo comportamento l’hai portata al suicidio”. Si rende conto che forse è vero. Si agita e urla. Lo chiudono in una stanza. Poi arrivano i Carabinieri, il magistrato e lui si sente inebetito. Ecco, queste le due possibili alternative per la morte di Ombretta. Tuttavia occorre fare una considerazione. D’accordo, il “delitto perfetto” non esiste (così dicono...), ma come poter accettare, nella ipotesi dell’uxoricidio, che un padre di tre figli, dopo aver superato ogni orrore della premeditazione con freddezza e con cinico calcolo, finisca poi per compiere sbagli di una ingenuità infantile? Perché un marito che uccide la madre dei suoi figli con il proposito di assistere impavido alla spaventosa agonia (che lui, medico, conosce) non può essere il tipo da dimenticarsi siringa e flacone, con scritto curaro, sul comodino; non può essere il tipo che fa accorrere i colleghi perché si avvedano in tempo dei palesi effetti di un beneficio in atto. IL PROCESSO

CONIUGI NIGRISOLI IL GIORNO DEL LORO MATRIMONIO

Questa una prima ipotesi. Ma se ne può fare un’altra, quella del suicidio. Ombretta, ragazza di provincia, entra in una famiglia molto abbiente. Lei non ha pretese, tanto meno ambizioni se non quella di una vita onesta e dignitosa. E’ accolta dai suoceri piuttosto freddamente anche se, con il

Si apre un processo in cui si alternano amanti, medici, perizie e super prove, conclusosi con la condanna di Carlo Nigrosoli all’ergastolo, poi tramutata, grazie alle attenuanti generiche, in 24 anni di carcere. L’11 dicembre 1993, a Ravenna, si è risposato con Maria Pezzi, 47 anni, divorziata e madre di 2 gemelli.

Mara Parmegiani

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STORIA DEL M TRA NECESSI Ci si sposa per amore, per dovere, per consuetudine; ci si sposa per accordo tra i genitori, per non restare vergini, per avere una discendenza. Tante sono state nel mondo e nella storia le forme di matrimonio e i motivi che hanno portato gli sposi a unirsi “per sempre”, più o meno consenzienti, più o meno consapevoli. Il matrimonio ha origini antiche, non ben conosciute, ma non necessariamente origini religiose. La sua etimologia sembra risalire, secondo una visione diffusa, al latino “matris manus” (compito della madre) oppure a “matrem munere” (proteggere la madre) ad indicare in un caso il ruolo della maternità e nell’altro la stretta relazione tra i due sposi orientata alla protezione della figura materna e di conseguenza della prole. Comunque la nozione di coppia, fondata sul matrimonio, nell’ambito di un sistema patriarcale che ben conosciamo, è più recente di quanto spesso si voglia credere. Per un lungo periodo, infatti, in epoca arcaica - dal Paleolitico all’Età del Ferro - i rapporti tra uomini e donne sono stati decisamente equilibrati e in nessun momento si percepiva l’oppressione dell’Uno sull’Altra o viceversa. Per circa 30 mila anni dunque uomini e donne si sono divisi i compiti con equità, senza dare mai l’impressione che l’Uno fosse il pallido copione dell’Altro. Dalla separazione inziale dei poteri che caratterizza il Paleolitico alla loro condivisione durante l’Età del Ferro, non vi è mai alcuna traccia di quella guerra tra i sessi che sarebbe sorta in seguito e che ha prodotto il sistema patriarcale, tuttora alla base della nostra società. La separazione all’epoca non significava concetto molto importante - esclusione (dalla società tanto quanto dalla casa, dai poteri politici così come dalla gestione domestica), ma bisogno reciproco dell’Altro con una spinta verso la solidarietà e il rispetto altrui. Probabilmente non era quello uno stato connaturato all’essere umano o quanto meno non era destinato a durare a lungo se in seguito i rapporti di coppia sarebbero a tal punto cambiati da determinare una prevaricazione dell’uomo sulla donna. E’ presumibile che il matrimonio – ovvero la necessità di riconoscere dei confini all’unione tra uomo e donna - sia nato come risposta universale delle società umane alla proibizione, anch’essa universale, dell’incesto. Il matrimonio cominciò ad essere giuridicamente regolamentato in epoca romana, anche se i giuristi ro-

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mani lo consideravano un’istituzione fondata sul diritto naturale in quanto nasceva dall’unione sessuale dei due fidanzati. All’origine il matrimonio non era consacrato da alcun rito, ma era sufficiente la convivenza cum affectione a sancire legalmente l’unione. Pian piano gli ordinamenti dell’antica Roma cominciarono a distinguere le “famiglie legali” da quelle “di fatto”, dove le prime ricevevano un riconoscimento ufficiale attraverso un rito pubblico ed acquisivano così diritti e doveri, tanto tra i coniugi stessi quanto tra questi e il mondo esterno. Poi in epoca repubblicana si impose il concetto che la donna doveva sottomettersi all’autorità di un uomo: di conseguenza se prima del matrimonio era sottoposta al potere del padre, quando si sposava questo potere passava nella mani del marito con il trasferimento della patria potestà. E la formula latina, estremamente concisa - Ubi Gaius, ego Gaia - sintetizzava bene la condizione della donna nei confronti dell’uomo. Il matrimonio romano era in questa fase organizzato dai padri dei futuri sposi, i quali si potevano conoscere reciprocamente solo al momento del loro fidanzamento. Il matrimonio era considerato un dovere del cittadino romano e doveva essere rigorosamente monogamico. La sposa era vestita di bianco, coperta da un velo di colore arancio e incoronata da una corona di fiori. Le “giuste nozze” erano riservate solo ai cittadini romani che si potevano sposare unicamente tra di loro. Tutte le altre unioni - tra un cittadino romano e una non-cittadina o tra un romano e una schiava - non erano ufficialmente riconosciute e i bimbi nati da tali unioni erano considerati illeggittimi. Il matrimonio concordato tra le famiglie - detto cum manu - fu progressivamente sostituito da quello libero - sine manu fondato sul consenso degli sposi. Fu il giureconsulto Ulpiano a stabilire che “non è l’unione fisica che fa il matrimonio, ma il consenso”. Una formula che ebbe importanti conseguenze perché nessuno doveva più sposarsi in mancanza di una volontà chiaramente espressa. Ovviamente in questo caso era necessario che gli sposi avessero un’età minima per esprimere coscientemente il consenso: dodici anni per le donne e quattordici per gli uomini. Inoltre questo principio rendeva legittimo il divorzio consensuale e quello su iniziativa di uno dei due coniugi, a differenza di prima quando solo l’uomo poteva ripudiare la donna. La cristianizzazione dell’impero romano e le suc-

MATRIMONIO ITÀ E SCELTA cessive invasioni barbariche modificarono tali pratiche. La Chiesa accettò e riconobbe le unioni contratte secondo il diritto romano, con una impostazione però etico-religiosa. Per la Chiesa era infatti importante che si arrivasse alle nozze illibati, anche se poi era disposta a chiudere un occhio se il matrimonio poteva costituire un argine ad una vita sgregolata. Fu con l’Editto di Milano del 313 che alcune norme vennero cambiate. La Chiesa introdusse il divieto di divorzio e di secondo matrimonio per i vedovi. E ancora nel 534 l’imperatore romano Giustiniano condannò il sesso al di fuori di quello consumato nell’ambito matrimoniale. Inoltre ridusse i motivi di divorzio unilaterale e soppresse quello consensuale (reintrodotto però dal suo successore Michele III nel 566). E il Codice Giustinianeo fu alla base della giurisprudenza europea per un millennio. All’epoca il matrimonio si svolgeva con una cerimonia privata al domicilio della futura sposa. Qualche volta veniva impartita anche una benedizione senza però valore ufficiale. Il matrimonio era in sostanza un contratto reciproco, scritto e firmato. Era poi reso valido dalla promessa verbale - il cosiddetto Verbum - dei due coniugi che dichiaravano reciprocamente l’intenzione di costruire una vita insieme. La presenza di un sacerdote o di altri testimoni era utile, ma non necessaria. E se le circostanze la impedivano, non era richiesta. Con il declino dell’impero romano l’abitudine di firmare uno scritto pian piano scomparve, consentendo di fatto numerosi abusi. Per evitare questi la Chiesa si rivolse al diritto germanico in materia matrimoniale e ne accettò le regole, totalmente diverse da quelle del diritto romano. Secondo il diritto teutonico infatti la volontà degli sposi non aveva alcun valore e alcuna autonomia decisionale. Il legame matrimoniale veniva concordato dalle famiglie degli sposi e contemplava due fasi. Nella prima - la desponsatio - le rispettive famiglie stipulavano un contratto in cui si stabiliva che il potere sulla donna veniva trasferito dal padre al futuro marito, che in cambio pagava una dote al padre della sposa (in sostanza comprava la moglie). Nella seconda fase avvenivano le nozze vere e proprie - le nuptiae - che si concludevano con la traditio puellae, cioè l’accompagnamento della sposa nella camera nuziale. Ma il matrimonio germanico prevedeva anche la possibilità del ripudio o del divorzio consensuale, così come del concubinato con mogli di grado inferiore

accanto alla moglie principale. Aspetti che però la Chiesa respingeva fermamente. Uno dei problemi che si pose riguardo al matrimonio era il rischio di incesto, cioè dell’unione tra consanguinei. Se già il diritto romano vietava il matrimonio tra parenti, la Chiesa estese la consanguineità fino al settimo grado nei secoli VII-XI e parificò l’affinità alla parentela. Inoltre i capitolari carolingi (cioè le ordinanze del re) stabilirono che il clero doveva indagare e controllare l’eventuale consanguineità tra gli sposi assumendosi anche il potere di separare i coniugi incestuosi. Al tempo stesso, però, la Chiesa cominciò a sostenere il fondamento consensuale del matrimonio che, se pure riconosciuto per la prima volta nel 866 da papa Niccolò I, si impose solo nell’XI-XII secolo. Progressivamente il ruolo giuridico del clero si fuse con la vecchia pratica della benedizione degli sposi, così che con il tempo si affermò tra teologi, giuristi e papi sia la dottrina del consenso dei diretti interessati, sia la natura sacramentale del vincolo. A questo punto il matrimonio cessò di essere un contratto tra famiglie, ma una libera scelta degli sposi benedetta religiosamente. Da qui nacque

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la cerimonia religiosa in cui il prete, dopo aver indagato sui rapporti di consanguineità e accertata la volontà dei futuri coniugi a unirsi in matrimonio, consacrava l’unione davanti a Dio. Il matrimonio divenne così materia di diritto canonico e con il canonista Graziano (1140) venne definito “l’unione dell’uomo e della donna che fonda tra loro una comunità di vita”. Poco dopo fu regolamentato dal Concilio Laterano IV (1215) che stabilì: il grado di consanguineità o affinità (entro il quale è vietato sposarsi) fu abbassato dal settimo al quarto; per evitare i matrimoni clandestini venne imposto l’uso delle pubblicazioni; per evitare i divorzi il matrimonio fu reso legalmente indissolubile (tranne nel caso di morte di uno dei coniugi); per evitare rapimento e unioni combinate, fu richiesto il consenso libero e pubblico degli sposi da esprimere in luogo aperto; per evitare il matrimonio di bambini o di ragazze molto giovani, fu imposta un’età minima; furono stabilite poi regole per l’annullamento in caso di violenze sulla persona, di rapimento, non consumazione e matrimonio clandestino. Infine fu sancito che per sposarsi era necessario essere battezzati e soprattutto che il matrimonio doveva essere considerato un sacramento. Per molti anni quanto decretato dal Concilio Laterano rimase più o meno intatto. Solo nel 1563, durante il Concilio di Trento, ci fu una nuova sistemazione alla luce delle dottrine protestanti che si stavano diffondendo in quel periodo. Secondo Lutero infatti il matrimonio aveva sì un’origine divina, ma era stato istituito non ai fini della salvezza bensì in relazione all’ordine naturale dei rapporti umani e dunque non era un sacramento. La riforma luterana legò il matrimonio al diritto civile, tanto che la regolamentazione e la registrazione divenne compito dello Stato, almeno di quello in cui il sovrano aveva scelto la confessione riformata (secondo il principio del “cuius regio eius religio”). Lutero ammetteva in alcuni casi il divorzio e giudicò illeggittimo tutto ciò che si opponeva all’unione dell’uomo e della donna, compreso il celibato imposto a preti e suore. Una concezione che la Chiesa non poteva accettare. Con il Concilio di Trento dunque il mondo ecumenico non solo condannò le tesi protestanti, ma riaffermò con più forza i principi già stabiliti nel XIII secolo, vigenti negli stati di confessione cattolica: matrimonio come sacramento, celebrazione davanti al parroco e a testimoni, obbligo di registrare l’unione in un libro conservato nella parrocchia, divieto di coabitazione fuori dal matrimonio. Il Concilio si pose pure il problema dei matrimoni clandestini, celebrati tra consenzienti ma di nascosto per sfuggire evidentemente al rifiuto delle famiglie. A questo proposito i Padri (sia pure non all’unanimità) affermarono che sono “veri matrimoni” solo quelli celebrati con il consenso degli sposi, ma nel rispetto delle forme di pubblicità richieste, pena l’annullamento; al tempo stesso affermarono pure che non poteva essere causa di nullità del matrimonio il mancato consenso dei genitori. L’Europa si divise in due: nei paesi protestanti si affermò il matrimonio civile, soprattutto in Germania dove si indebolì fortemente il ruolo delle chiese cristiane e il matrimonio religioso venne ridotto ad una cerimonia privata; nei paesi cattolici invece restò di competenza del diritto canonico almeno fino alla Rivoluzione Francese. La Francia non accolse le decisioni del Concilio e per ancora due secoli le ordinanze reali richiesero ai giovani sposi l’esplicito consenso dei genitori e fu equiparato a un rapimento (punito anche con la pena di morte) il matrimonio clandestino. Solo nel 1792 un decreto, pur ribadendo che il matrimonio era materia di diritto civile, abolì il consenso dei genitori e introdusse il divorzio. Successivamente il codice napoleonico, che si estese poi in gran parte dell’Europa, ristabilì il potere del padre sui figli e del marito sulla moglie, ma non toccò il principio del matrimonio civile. Proprio a questo principio si richiamò l’Europa del XIX secolo e anche in Italia venne introdotto nel 1865. Poi i patti Lateranensi del 1929 raggiunsero il compromesso inserendo il doppio regime: il riconoscimento cioè degli effetti civili ai matrimoni religiosi, celebrati secondo il rito cattolico. Al giorno d’oggi le cose sono molto cambiate e continuano a cambiare. Innanzitutto il matrimonio non è più una tappa obbligata nella vita di una persona, a differenza di quanto avveniva in passato. E per quanto sia sempre concepito come un sacramento, almeno da chi è credente, non vi è più una visione rigida del vincolo coniugale. L’introduzione dell’istituto legale del divorzio permette di sciogliere l’unione almeno da un punto di vista civile, quando il mutuo consenso e la reciproca fiducia, nonché il sentimento d’amore, è finito o comunque viene percepito come tale. Dalla seconda guerra mondiale ad oggi infatti il numero dei divorzi è au-

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mentato fortemente in occidente, così come sono aumentate le convivenze, i single per scelta, i bambini nati fuori dal matrimonio. E’ emerso un sistema che viene definito monogamia seriale, cioè il matrimonio non è più un patto a vita, ma un contratto che può essere interrotto da entrambe le parti. Ma tante altre sono state le variazioni avvenute all’interno del matrimonio nel XX secolo: diversamente da quanto accadeva nell’Ottocento, è la donna ora ad ottenere l’affidamento dei figli nell’80% dei casi di divorzio; entrambi i coniugi hanno il dovere formale di dare sostegno alla famiglia e non più solo l’uomo; i figli nati fuori dal matrimonio hanno gli stessi diritti di quelli cosiddetti “legittimi”; lo stupro e la coercizione fisica contro la moglie non è più ammessa ed è punita legalmente; le proprietà acquisite dopo il matrimonio appartengono ad entrambi. Persiste nel mondo occidentale il concetto che il matrimonio deve essere monogamico, a differenza del mondo orientale islamico, dove è invece ammessa la poligamia come segno di ricchezza e potere. Oggi dunque il matrimonio è cambiato perché sono cambiati i

rapporti di base. Non ci si accontenta più di stare con una persona con cui non si va d’accordo, non si concepisce più il dovere di stare insieme anche se si è diventati estranei l’uno all’altro, si ritiene un’ipocrisia tenere in piedi il matrimonio quando l’amore, la complicità e l’intesa non c’è più. La donna stessa, il cui ruolo è profondamente cambiato, non accetta più di sostenere su di sé la maggior parte degli oneri della vita coniugale, ma pretende una divisione equa dei compiti, cosa a cui molti uomini ancora non sanno adeguarsi. La mancanza di reciprocità allontana i coniugi che non vogliono più avvilirsi in un amore non condiviso. Proprio il sentimento ha un posto forte nelle nuove coppie che non vogliono dominare e possedere l’Altro, ma piuttosto vivere quel tipo di relazione dove entrambi si possono sentire amati, capiti, protetti, consolati, perdonati. Ognuno dà e riceve, tutti e due allo stesso modo. Sintetizza bene il concetto il sociologo Adorno: “ci ama soltanto colui con il quale possiamo mostrarci deboli senza provocarne la forza”. Cristina Guerra Giornalista RAI

I PRIMI CENTO ANNI DI RITA LEVI MONTALCINI “Arrivare a 100 anni è un premio per me. Il segreto? Non pensare a se stessi, ma agli altri e lavorare con passione”. È una delle frasi pronunciate da Rita Levi Montalcini festeggiata all’Istituto Superiore di Sanità per i suoi 100 anni, qualche giorno prima del suo compleanno, il 22 aprile. Un fiume di parole che hanno interpretato l’ininterrotto fluire dei ricordi e delle riflessioni di quella che è stata una lunga vita fatta di lavoro. Un’esistenza guidata dal “pensare non convenzionale”, ha sottolineato Ferruccio Fazio, sottosegretario alla Salute intervenuto alla cerimonia. L’essenza della ricerca e del progresso, come ha aggiunto il sottosegretario, è quella ‘serendipity’ che spesso assiste gli scienziati che, mentre cercano qualcosa, fanno scoperte fondamentali, come fu per la penicillina. ‘Serendipity’ non vuol dire solo fortuna, vuol dire, soprattutto, acume, curiosità e saper capire che dietro ‘l’insolito’, ci può essere un mondo da indagare. “E così è stato anche per Rita Levi Montalcini”,ha sottolineato. Laureatasi nel 1936 ha conquistato il premio Nobel per la Medicina nel 1986 per la scoperta del fattore di crescita NGF (Nerve Growth Factor), una molecola, ha spiegato la Montalcini, scoperta “perché ho capito che quello che stavo osservando non rientrava nella norma”. L’NGF ha aperto la strada agli studi della biologia molecolare, ad un nuovo approccio diagnostico che misura l’equilibrio delle vie metaboliche, quelle che portano le informazioni tra cellula e cellula ed ha, infine, rivoluzionato, come ha sottolineato Fazio, anche la progettazione dei farmaci, non solo centrati sull’efficacia generale del principio attivo, ma disegnati per riparare pezzi di circuiti metabolici alterati. Dopo la cerimonia di apertura, il premio Nobel è stata omaggiata dai ricordi dei suoi amici, dei suoi collaboratori e dei suoi allievi che hanno voluto lasciare testimonianza della loro stima e del loro affetto per Rita, come confidenzialmente la chiamano, in un volume che raccoglie i loro pensieri, molti dei quali sono stati letti dall'attore Paolo Triestino. Ne emerge il ritratto di una donna coraggiosa, coerente, piena di passione per il suo lavoro, gentile, elegante e che ha sempre saputo ascoltare i giovani. Un ritratto che Enrico Garaci, Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, conferma. “Erano gli anni ottanta - ha detto - ed erano passati già diversi anni dal suo rientro in Italia. Il suo soggiorno all’Istituto Superiore di Sanità era ormai concluso e la sua affermazione come ricercatrice di fama internazionale e la sua carriera al CNR erano sempre più in ascesa. Ma il ricordo che ho di lei non si limita a quello di un ottima ricercatrice e di una creativa della scienza. Era impossibile incontrare Rita Levi Montalcini e non scorgere una donna dagli occhi luminosi, curiosa della vita e del mondo, animata ogni volta che nella discussione si intrecciava l’etica con la scienza”. “Dopo tanti interventi che mi hanno celebrato - ha detto ancora Rita Levi Montalcini - è difficile prendere la parola. Sono commossa e sorpresa da tale accoglienza. In realtà, non credo di essere nata per fare la scienziata, il mio grande desiderio che solo ora, alla fine della mia vita ho potuto esaudire, è sempre stato quello di aiutare chi ne aveva più bisogno. Penso all’Afri-

ca, alle donne e agli uomini sfruttati ancora oggi”. Ininterrotte le parole che più volte hanno riproposto pensieri e convinzioni, come quello che nella vita a contare veramente sono i valori e “non importa quanto si vive, ma quali sono i messaggi che si lasciano”. Non è mancata l'autoironia, quando, accorgendosi di parlare, forse, un pò troppo ha detto che fortunatamente non soffre di Alzheimer e che il suo cervello, arricchito dall’esperienza scientifica ed umana, funziona meglio ora che quando aveva 20 anni “se non m’illudo”, ha aggiunto. E a proposito dei suoi inizi come ricercatrice, ha ricordato che in fondo le leggi razziali l’hanno aiutata “perché segregata nella mia stanza ho potuto lavorare”, ha detto. Ed infine, ringraziando tutti e soprattutto l’ISS per l’onore che le ha accordato dedicandole una targa nell’aula conferenze dei premi Nobel, ha voluto anche elogiare il suo paese, nel quale è ritornata a lavorare nel 1963, e gli italiani, “un popolo pieno di intuito e di fantasia. Un capitale umano enorme. “Auguro a tutti i giovani di avere la mia stessa fortuna” ed ha, così, salutato il pubblico. Rita Lena

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IL FUTURO HA CE

Il Futurismo è stato una corrente artistica italiana nata nel febbraio del 1909, con Filippo Tommaso Marinetti. Pubblicizzata nelle Cronache letterarie del quotidiano bolognese, La gazzetta dell’Emilia, vide l’adesione di Boccioni, Carrà, Russolo, Severini, Balla, Depero, l'architetto Sant'Elia, il cineasta e fotografo Bragaglia. Nello stesso periodo, movimenti artistici influenzati dal futurismo si svilupparono in altri Paesi, soprattutto in Russia, dove alla base non c’era, però, un concetto bellicoso come quello dei futuristi, ma un’utopica idea di pace e libertà, sia individuale (dell’artista), sia collettiva (del mondo). I suoi fondamenti sono in grado di abbracciare praticamente ogni forma d’espressione artistica: dalla letteratura alla pittura e alla scrittura, dalla musica alla fotografia, dal cinema alla cucina, al teatro, alla moda e così via. Esprimevano la tendenza e la sintesi, l’abbreviazione e la stilizzazione, fino alla

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deformazione espressiva per lasciare emergere l'anima delle cose. Le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici, e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione come il telegrafo senza fili, la radio e gli aeroplani; arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, “avvicinando” fra loro i continenti. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luce artificiale, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità, sia nel tempo impiegato per produrre o arriva-

ENTO ANNI

DEPERO FORTUNATO. panciotto futurista, anni 20 re ad una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione. I futuristi compresero immediatamente il ruolo che i trasporti avrebbero assunto successivamente nella vita delle città. Nei progetti di questo periodo si cercano nuovi sviluppi pensando ad una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte, un continuo cantiere in costruzione, le cui abitazioni sono impregnate di dinamicità, prive di una simmetria classicamente intesa. Il mondo va verso il futuro e non si deve più arrestarlo. Faro della pittura italiana del XX, Giacomo Balla può essere considerato il primo punto di riferimento per alcuni dei membri del Movimento futurista; all’inizio del novecento il suo studio è frequentato da Boccioni e Severini, ai quali trasmette le nozioni delle pittura divisionista acquisita durante un soggiorno a Parigi nel 1900. “La modernità del Futurismo” di Giacomo Balla: figure in realtà statiche che sembrano muoversi, oppure immagini modificate dalla percezione del

nostro cervello, che sembrano illusioni ottiche. Con Fortunato Depero (1892-1960) si apre la seconda fase del Futurismo, che, dopo la morte di Boccioni e Sant’Elia, in tempo di guerra, tenta di superare la crisi apertasi al suo interno. Il tentativo di “... ricostruire l’Universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente ...” Si estende alla progettazione e produzione di una vasta gamma di oggetti ed arredi. Nasce il “giocattolo futurista”, il “vestito trasformabile” ed altri congegni che ripropongono ancora in definitiva il mito della macchina. Diaghilev, impresario e coreografo dei Balletti Russi, che visitò il suo studio, gli commissionò scene e costumi plastici per “Il canto dell’usignolo con musiche di Stravinskij; fu anche un antesignano, nel settembre del 1928 a New York, molto attivo nel settore della pubblicità, oltreché della scenografia teatrale. Nel 1919 aprì a Rovereto la Casa d’Arte Depero nella quale venivano prodotti oggetti d’arte applicata, tarsie in panno e collages. Nel 1925 rappresentò l’Italia all’Esposizione Internazionale di Parigi insieme a Prampolini e Balla.

Marco Alfonsi

Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio (1913)

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UOCCHIO

E MALOCCHIIO PREZZZ LE INFLUENZE DELL’OC C

GLI JETTATORI TERRIBILI Lo jettatore è un essere moralmente perduto; dal suo sguardo emanerebbero le influenze perniciose, di invidia e cattiveria, che determinano quelle alterazioni che colpiscono, nell’anima e nel corpo, la povera vittima. Un individuo così pericoloso come lo jettatore che, con il solo sguardo, causa tante disgrazie, è sicuramente da evitare. L’IDENTIKIT DELLO JETTATORE, secondo la tradizione popolare, ci insegna come riconoscerlo. E’ arcigno, cattivo, solitario, taciturno, spesso magro, pallido o di colorito giallognolo, leggermente curvo e con gli occhi leggermente sporgenti, con sopracciglia folte e unite. Alessandro Dumas nel suo libro "Le surnaturel et les dieux d'après les maladies mentales" ce ne dà un approfondito ritratto:

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"È di solito magro e pallido, ha il naso ricurvo, e occhi grandi che ricordano quelli del rospo e che egli tende a coprire con un paio di occhiali: com’è noto, il rospo ha il dono della jettatura, tanto che uccide un usignolo con il solo sguardo. Quando incontrate una persona come quella che ho descritto, guardatevene: quasi sicuramente si tratta di uno jettatore. Se costui vi ha scorto per primo, il male è fatto e non c’è rimedio: chinate il capo e aspettate. In caso contrario, se non avete ancora incontrato lo sguardo, presentategli il dito medio teso e le altre dita piegate: il maleficio sarà scongiurato. Non occorre dire che se portate addosso corni di giada o di corallo non avete bisogno di tutte queste precauzioni”. Corna, cornetti, amuleti, gobbetti, ferri di cavallo, e molte altre forme di superstizioni sul terreno di gioco: la scaramanzia è la regina del calcio e da sempre Napoli detiene anche questo singolare record nel campo delle prevenzioni. La verità è che nei calciatori impera la paura che, a parte la preparazione atletica e i recenti sviluppi degli schemi tattici, esistono anche episodi importanti legati al caso, alla sfortuna e al malocchio. Un caso sconcertante di un pericoloso jettatore, è il principe di Ventignano di Napoli, narrato da Ernesto De Martino, che aveva appreso la vera storia del pericoloso personaggio, il principe X, dalla biografia tracciata dal Dumas. De Martino, nel suo libro: “Sud e magia” (Feltrinelli, Milano 1977), racconta: “Come la tradizione vuole il principe inaugura la serie delle sciagure fin da quando viene al mondo 1824 -; la madre rende l’anima nel partorirlo, la nutrice cui è affidato perde il latte, il padre è rimosso dalla carica di ambasciatore in Toscana. Questa attività jettatoria seguirà il principe per tutto il corso della sua lunga vita. Il giorno in cui il principe entrò in seminario, tutti i ragazzi della sua classe furono colpiti da tosse convulsiva; nel corso dei suoi studi sopravanzava i compagni e guadagnava sempre il

IO ZZEMOLO E FINOCCHIO CCHIO MALVAGIO premio, tranne una volta che fu secondo, ma allora il compagno a cui era toccato il primo premio inciampò nel primo gradino del p a l c o , mentre si recava a ricevere la sua corona e si ruppe una gamba. “Né si salvarono i frati del convento di Camaldoli quando il principe entrò a fare il suo noviziato, poiché il giorno dopo il suo ingresso apparve l'ordinanza della Repubblica Partenopea che sopprimeva le comunità religiose. Abbandonato il proposito di darsi alla vita religiosa... inaugurò la sua vita mondana recandosi per la prima volta al San Carlo: quella sera stessa il teatro prese fuoco. Invitato ad una festa da una certa contessa, tutto volse al peggio: gran temporale che impedì di restare in giardino, crollo di un lampadario, stecca della prima donna del S. Carlo che abbandonò la sala sentendosi dominata da una forza nefasta superiore al suo talento, e così via...”. Il genero, che da scapolo era stato un libertino, non poté consumare il matrimonio con la figlia del nobile per effetto della benedizione paterna impartita alla coppia. Altre disgrazie sulla sua via furono lo scoppio della Rivoluzione quando giunse a Parigi e la morte di Papa Pio VII, tre giorni dopo averlo incontrato per strada. Ma non basta. Durante un suo viaggio in Inghilterra naufragò la nave che lo accoglieva e identica sorte toccò alla nave accorsa a soccorrere i naufraghi. Alessandro Dumas, che scrisse la biografia del principe, per paura e scaramanzia, non volle citarne neppure il nome e lo presentò anonimo come “Principe X”. Canonico De Iorio

Uno jettaRe Ferdinando II tore storico si dice fosse il marchese Bonifacio. Nel 1529, arrabbiato con Carlo V che regalò il suo feudo a Giovanni d’Urbino. Pare che riuscisse con i suoi influssi a far morire quest’ultimo, ragion per cuì Carlo V ci ripensò e gli restituì il feudo. Un altrettanto famoso jettatore fu Alfonso di Spagna, che in vita ne fece di cotte e di crude jellando il prossimo. Raggiunse l’apoteosi del portasfiga nel 1923, quando nel corso di una visita a Napoli un cannone esplose uccidendo tutti i soldati che gli stavano tributando gli onori militari. Chi temeva il malocchio dei frati era re Ferdinando I che rifiutò per quindici anni l’insistenza del Canonico De Iorio, presunto jettatore, che voleva offrirgli in omaggio un suo libro. Finalmente il Re cedette e il 3 gennaio del 1823 accettò d’incontrarlo: il mattino seguente Ferdinando morì per un collasso. Il suo successore, Ferdinando II ereditò questa superstizione supportata poi, per gli scaramantici, dal fatto che avendo incontrato due frati all’uscita della Reggia di Caserta affrontò un viaggio disastroso per assistere alle nozze del Duca di Calabria con Maria Sofia Amalia di Baviera dove incontrò tempeste di neve e tormente al punto di rientrare a Napoli con una lettiga e morire gridando “mi hanno jettato”. Mara Parmegiani

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IL PIACERE DELLA CIOCCO CURIOSITÀ STORICHE E VIR ARTIGIANALE La passione per il cioccolato ha radici antichissime. Già 1000 anni prima di Cristo gli Aztechi coltivavano la pianta del cacao i cui semi costituivano una bevanda piccante ed energetica. La leggenda vuole che sia stato proprio il dio Quetzalcoatl a farne dono ai mortali, che in suo onore chiamarono il seme “chocolati”: nome rimasto sostanzialmente immutato nel tempo, in quasi le 300 lingue del mondo. I semi di questa pianta erano talmente preziosi da essere usati come moneta per pagare i tributi al loro imperatore. Dopo la tostatura i semi erano polverizzati, mescolati con del peperoncino, diluiti con del liquido, sbattuti fino a diventare una crema spumosa. Servita in contenitori d’oro costituiva il pasto giornaliero di Montezuma che riusciva a berne fino a cinquanta tazze, accompagnandola con focacce di pane di mais. Come il sovrano anche i dignitari e i mercanti, dopo un lauto banchetto a base di mais, tacchino, fagioli, peperoncini e pomodori, gustavano grandi quantità di cioccolati servita in enormi zucche. Ben sapendo che bastava una sola tazza per eliminare la fatica e stimolare le forze fisiche e mentali. Le vittorie della Spagna nel Nuovo Mondo, grazie anche al conquistatore Fernando Cortez, ebbero come conseguenza l’introduzione di nuovi cibi come il peperone, il pomodoro ed i semi del cacao, alimenti che si integrarono ben presto nella cucina spagnola. Dovette passare più di un secolo, principalmente per merito di Anna d’Austria, infanta di Spagna sposa di Luigi XII di Francia, perché il cacao definito “un miscuglio liquido marroncino”, giungesse nel ‘600 in Francia. Diluito non più con acqua, ma con il latte, prese il nuovo nome di Cioccolatte. Era preparato con un vero e proprio cerimoniale, spesso da un cameriere moro, come quello del Cardinale Mazzarino, che vantava uno stage di quattordici mesi in Italia per apprenderne l’arte. Entusiasmò la corte e divenne il cibo preferito del re Luigi XIV, delle

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sue concubine e della regina Maria Teresa. Divenne così indispensabile anche per la regina Maria Antonietta che viaggiava sempre con il suo cioccolatiere al seguito. Incoraggiate dal fatto che la Facoltà di Medicina di Parigi ne avesse concesso il placet, non fu disdegnato neanche da Madame de Pompadour e da Madame du Barry, favorite di Luigi XV che, su suggerimento della maga Voisin, ne faceva uso, la prima per stimolare i propri ardori, la seconda per gli amanti, perché fossero all’altezza dei suoi temperamenti ardenti. I Gesuiti, golosissimi consumatori di cioccolata, commerciarono il cacao tra l’America latina e l’Europa, dando così il via libera all’uso della cioccolata in Chiesa in quanto l’ordinanza di papa Pio V stabiliva che i liquidi non infrangono il digiuno. Ma si poteva definire la densa cioccolata un liquido? Rompe il digiuno? Il cardinale Brancaccio, golosissimo di cioccolato cui aveva dedicato una lunga ode nel 1667, sciolse la controversia dichiarando:“La cioccolata non è né bevanda né tantomeno cibo ma, bensì un accidente”. Permise di conseguenza alle dame spagnole, che usavano sorbire tazze di cioccolata dopo la messa, di continuare a farlo senza commettere il peccato di non osser-

OLATA IRTUOSISMO vare il digiuno. Ostacolò, per questo consenso, la decisione del Vescovo di Chiapa che nel 1630, stufo di assistere durante la Messa alle grandi bevute di cioccolata dei suoi fedeli, ne vietò l’uso pena la scomunica. Proibizione amara in quanto un fedele lo uccise versando del veleno proprio nella sua tazza di cioccolata. L’infatuazione dei gesuiti per il “cioccolatte” si scontrò anche con il parere contrario degli ambienti cattolici e di altri ordini religiosi. I Domenicani, tradizionali rivali della Compagnia di Gesù, sostenuti da Padre Girolamo Semenzi professore di Teologia all’Università di Pavia, presero posizione su l’uso e l’abuso di questa bevanda, mettendo in guardia contro i pericoli che la cioccolata poteva causare riscaldando in eccesso il sangue. Nonostante i giudizi contrari la cioccolata iniziò la sua trionfale ascesa, accompagnandosi all’evolversi e al modificarsi degli stili di vita conviviali. Proprio in Spagna si inizia a manipolare il cioccolato, ma si deve alla corte di Toscana l’aggiunta di ingredienti come le scorse fresche “de’ cedrati e de’ limoncelli e l’odore gentilissimo del gelsomino, che mescolato con la cannella, la vaniglia, l’ambra e col muschio, dà un sentire stupendo a coloro che di cioccolato si dilettano”. Le dosi erano un segreto di Stato che Cosimo de’ Medici gelosamente conservava insieme al “recipe” misterioso, tenuto nascosto nella cassaforte della Fonderia di Palazzo Pitti, con l’ordine per il suo Archiatra, confidente e cortigiano devoto, di non divulgare i segreti che rallegravano l’ipocondriaco e taciturno principe. Madame d’Aulnoy osservò che le donne spagnole erano molto magre e ne dedusse che: ”Non esiste nulla di più bruciante della cioccolata che esse bevono in grande quantità. Inoltre, aggiungono avventatamente del pepe e altri condimenti che le consumano letteralmente”. Ben presto però iniziarono a circolare strane voci, culminanti in uno dei pettegolezzi più belli della marchesa de Sévigné che, nel 1671, raccomandava alla figlia di non abusare della be-

vanda in quanto “la marchesa di Coetlogon prese tanta cioccolata durante la gravidanza che si sgravò con un neonato nero come il diavolo, che morì subito…”. Ma allo stesso tempo la marchesa quarantanovenne, presumibilmente vicino alla menopausa, parla delle qualità corroboranti della cioccolata, della sua attività afrodisiaca e del rimedio per contrastare sintomi e depressioni di questo periodo. L’escamotage più divertente per eludere la proibizione alle donne di consumare alcolici, lo trovarono giovani maestri cioccolatieri che produssero praline ripiene con acquavite stravecchia, facilitando così il consumo di alcool e cioccolato e salvando, all’epoca, la rispettabilità delle golose dame. Ad introdurre l’uso del cacao in Italia fu, nel 1606, il commerciante fiorentino Antonio Carletti, che raggiunse un immediato successo nel mondo dell’aristocrazia, anche se Federico III di Prussia ne condannò l’uso proibendolo nel proprio Regno. La sua diffusione in Piemonte si deve al duca Emanuele Filiberto di Savoia, generale degli eserciti spagnoli sotto Carlo V, che nel 1678 concesse il primo brevetto di Casa Savoia autorizzando Giò Battista Ari ad esercitare l’arte del cioccolatiere e a “vendere pubblicamente cioccolata in bevanda per anni sei prossimi dalla data della presente”. Si sviluppò, di conseguenza, un raffinatissimo lavoro artigianale del cacao, portando Torino, verso la fine del XVII secolo, ad esserne considerata la Capitale, anche se nei paesi in cui era permesso restava appannaggio dei soli ricchi per il prezzo elevato. Londra nel 1657 si aggiudicò il primato dell’apertura della prima “Chocolate house”, dove la costosa bevanda era servita in cioccolatiere d’argento, capo-

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lavori di lusso e raffinatezza. Due elementi molto diversi tra loro hanno caratterizzato il Settecento: l’apertura della scienza e la galanteria. E’ il periodo di transizione della Moda tra Barocco e Rococò e, anche se la Francia tende a decadere politicamente, la corte di Luigi XV influenza un nuovo stile di vita, più agile e spregiudicato, rispetto a quello formale. Le dame dell’alta società, delicate e disappetenti, tra l’agitarsi di ventagli e bisbigliati pettegolezzi sulle novità della moda, vanno pazze per la nuova bevanda esotica, il “brodo indiano”, in pratica la cioccolata. Il cioccolato visse il suo massimo splendore verso la fine del ‘700 grazie ai veneziani e ai fiorentini che contribuirono alla sua diffusione, trovando nel marchese De Sade uno dei più grandi estimatori; Carlo Goldoni ne celebra le qualità scrivendo “…viva viva la cioccolata e colui che l’ha inventata…”, mentre il Parini consigliava al suo giovin signore “…il brun cioccolatte...” Voltaire ne consumava circa 12 tazze, tra le 5 del mattino e le 3 del pomeriggio; Giacomo Casanova, dopo aver spazzolato cacciagione, tartufi e vini della Sassonia, consumava cioccolata apprezzandone le presunte proprietà afrodisiache. Tesi condivisa, più tardi, anche dal sommo Vate Gabriele D’Annunzio che si concedeva dei cioccolatini fondenti prima di ogni “rendez-vous”. Goethe, che l’amava follemente, era solito regalare cioccolatini e fiori per fare breccia sulla donna desiderata. Sulla nascita dei cioccolatini si fanno diverse congetture. Forse fu conseguenza di un incidente avvenuto nella cucina del duca Plessis-Traslin: un piatto di mandorle cadute per terra e una casseruola piena di zucchero caramellato rovesciatasi sopra, diedero l’idea al capocuoco di fare di questo casuale impasto un dolce da presentare in tavola, ricoperto di cioccolata, a dimensione di boccone. Sembra, tuttavia, che la patria dei primi cioccolatini fu Torino: bocconcini dalle dimensioni di una ghianda, fatti a mano da un blocco di pasta di cioccolato, ai quali furono dati il nome di givu. E, ancora, il primo spunto di decorazione degli stessi potrebbe essere stato dato a François Cailler, creatore all’inizio dell’800 della prima tavoletta di cioccolata, dalle impronte impresse dalle zampe dei gatti sui mattoncini molli messi ad essiccare in modo artigianale sul terrazzo. L’invenzione dei gianduiotti, invece, è una storia tutta italiana. Questa squisita pasta di cioccolato e nocciole piemontesi ridotte in polvere fu escogitata a seguito del blocco commerciale voluto da Napoleone per indebolire gli inglesi: il cacao, il cui costo era divenuto altissimo, fu allora “diluito”

con le nocciole. I famosi cioccolatini a forma di spicchio, fatti a mano, uno ad uno, furono immessi sul mercato dalla Caffarel Prochet nel 1865. Vittorio Emanuele II, conquistatore di donne e goloso di cibi, dopo un pasto a base di piatti piemontesi, ricchi di cacciagione, non rinunciava alla torta “Principe di Piemonte” decorata con cioccolato fondente grattugiato di cui era ghiotto. Lo stesso Mussolini che ne apprezzava il gusto, dopo aver visitato nel 1923 gli stabilimenti della Perugina, rispose al saluto del Consigliere Delegato, dottor Buitoni: “… vi dico e vi autorizzo a ripeterlo che il vostro Cioccolato è veramente squisito!”. “Il tabacco può uccidere, la cioccolata no”, asserisce il presidente cubano Fidel Castro che ha dichiarato il suo pentimento come ex fumatore di sigari: “Fanno male alla salute, molto meglio un pezzo di cioccolato”. A questo piacere non rinuncia neanche la regina Elisabetta d’Inghilterra che ha una passione estrema per il gelato al cioccolato e alla menta e per i cioccolatini “Terry’s Twilight” mentre suo marito, Filippo d’Edimburgo, non sa trattenersi davanti a un soufflè al cioccolato. Secondo il medico Nicolas Audry (1720), la cioccolata era utile per l’alito e per la voce, guariva addirittura dalla tisi. Oggi si sostiene che combatterla carie e l’ipertensione, previene l’insorgere della trombosi, favorisce la concentrazione e il buon umore. Di certo le proprietà curative di questa bevanda erano già note nel ‘700 e lo testimonia un libro di spese di un convento pugliese che annota l’acquisto di cioccolata per due monache “afflitte”. L’uso di questo cibo aiuta nello sport ed è razione supplementare nell’Esercito Italiano per i piloti dell’Aeronautica. La razione di cioccolato per le truppe americane in Italia nella 2° Guerra Mondiale, insieme alle prime calze di nylon, costituì merce di scambio per un momento di passione con le “segnorine”. Il 6 ottobre 1999, per celebrare i 10 anni della caduta del Muro, a Berlino fu costruita una parete di cioccolato di 12 metri con un duplice scopo: abbatterla a spallate e festeggiare, mangiandosela fino all’ultima scheggia. Oggi travolti dai ritmi frenetici della vita moderna spesso dimentichiamo che mangiare la cioccolata può essere un’esperienza sensuale e appagante, forse il miglior preludio ad una notte d’amore. M.P.

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DOLCI MESSAGGI

La cioccolata è un alimento così noto, una presenza talmente scontata nella vita di tutti i giorni, che ai più non viene neanche in mente di chiedersi da dove venga, chi l’abbia introdotta e come si sia diffusa. Quando mettiamo in bocca un cioccolatino, ci predisponiamo ad assaporare una sensazione di piacevole vellutatezza e cremosità frutto di un ciclo di lavorazione lungo e complesso, strettamente legato alla esecuzione a “regola d’arte”. Capolavori di maestri cioccolatieri, la cui unicità è stata suggellata con un nome. Ma cosa sarebbe un cioccolatino senza un degno contenitore? Sin dalla seconda metà dell’Ottocento, la scatola ha costituito per le aziende produttrici di cioccolatini un efficace ed immediato mezzo di comunicazione veicolando con questo sistema il Marchio, la formula, il nome. Queste scatole hanno affascinato i golosi di mezzo mondo dall’alto degli scaffali delle drogherie fin dal loro apparire. Tangibili resoconti delle tendenze della moda, testimonianze dei tempi passati, di ciò che si amava gustare ed ammirare. Funzionali contenitori rilevarono, nel decoro, eventi speciali e fauste ricorrenze reali. Sotto l’egida di Re Umberto I, che concedeva ad alcune ditte meritevoli “la facoltà di innalzare lo Stemma Reale sull’insegna della fabbrica” con i diplomi di “S.M. La Regina Madre”, gli stemmi erano riportati con orgoglio anche sulle scatole. Gli stessi reali usavano offrire piccole scatole di “chicche di cioccolato” per

le feste di compleanno, come quelle setificate con l’effige di Mafalda e Jolanda di Savoia. Passioni storiche per l’invenzione più golosa del mondo che ha trovato anche a pretesto, nei vari Paesi e nel tempo, le nozze tra il principe Umberto di Savoia e Maria José, del re di Spagna e di Baldovino del Belgio, di Carlo d’Inghilterra con Diana, e tutte le fauste ricorrenze della Corte inglese. Uno degli esempi più fortunati di pubblicità del cioccolato risale alla Caffarel che nel 1880 confezionava gli spicchi di cioccolata in scatole di cartone abbellite da volute, motivi floreali, tratti decorativi più o meno elaborati. Si affacciano così le prime forme di réclame con la pubblicità esterna: il cartello, la locandina e il manifesto diventano i principali veicoli della comunicazione di massa. Scatole realizzate con estrema semplicità tipografica che si adegueranno via via agli stili di vita. Partendo dallo stile “floreal liberty”, basato sul messaggio di identificazione/immedesimazione di un modello vincente, assumeranno caratteristiche lussuose nella realizzazione in porcellana, seta e velluto. Il viaggio nel mondo delle scatole dei cioccolatini inizia a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento attraverso le immagini su di loro rappresentate, evocatrici di ricordi per una passione “storica” che certo non passa di moda. Sullo sfondo di quest’epoca va di moda lo stile orientale, con i fumoir e i salotti turchi con decorazioni di palme. La Caffarel si adegua e propone, nel 1905, una confezione di gianduiotti in linea con le nuove tendenze esotiche. Con l’ingresso nel nuovo secolo la campagna pubblicitaria non trascura le conquiste italiane, lo testimonia una scatola di latta del 1912 “Tripoli Italia” che mostra su una faccia un soldato italiano che insegue un negretto il quale fugge con una scatola della Perugina tra le mani. Con gli anni dieci dello scorso secolo si amplia la gamma delle forme e dei materiali, compaiono le prime scatole in metallo, cartone e legno, la pubblicità investe nei calendarietti, nelle cartoline Postali e nei bigliettini augurali. Scatole e carteggi rari che oggi fanno parte del collezionismo. Le campagne pubblicitarie si susseguono e la Perugina affida nel 1922 a Federico Seneca, uno straordinario creatore artistico, la realizzazione di una scatola di cioccolatini. Si ispirerà al quadro di Francesco Hayez “Il bacio”: una coppia di innamorati sotto il cielo stellato che caratterizza ancora oggi i Baci Perugina nei quali è anche inserito un cartiglio con poetiche variazioni sul tema del bacio. La cioccolata coinvolse anche Mussolini che il 23 ottobre 1923, in visita allo stabilimento Perugina di Fontivegge, chiuse il suo discorso con la frase “Vi dico e vi autorizzo a ripeterlo, che il vostro cioccolato è veramente squisito”. Queste parole, pronunciate dal capo

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del Governo e del Fascismo, diventano lo slogan in un cartello disegnato da Seneca. Curioso è il lancio della cioccolata energetica “il pollo”: una tavoletta di “cioccolato Luisa” (dal nome di Luisa Spagnoli), il cui valore nutritivo equivaleva esattamente a quello di un pollo. Il primo concorso a premi promosso dalla pubblicità veicolò anche l’acquisto in massa di una radio. Le dodici puntate dei “Tre Moschettieri” erano abbinate al concorso, indetto dalla Perugina, con l’invito ai radio ascoltatori ad indovinare il numero di cartoline che sarebbero state mandate alle aziende con il parere “Qual è il cioccolatino che vi piace di più”. In premio: “una Balilla, dodici radiofonografi Phonola, cinquecento cassette di specialità Buitoni e cinquecento scatole di cioccolatini ”. Il successo di questa iniziativa spinse la Perugina ad inserire nel prodotto cento figurine, da collezionare e raccogliere in un album, abbinato a premi che arrivarono a far vincere una Fiat “Topolino” oltre che centinaia di migliaia di scatole di cioccolatini. Ne scaturì, grazie alla prima grande campagna multimediale, una febbre “moschettiera” con l’affannosa caccia all’introvabile “feroce Saladino”. Tra il 1930 e il 1940 l’impegno pubblicitario si intensifica con nuove strategie. Le aziende propongono scatole di lusso realizzate con tessuti preziosi, spesso dipinti a mano, talmente raffinate da essere utilizzate poi come portafazzolettini o portagioie. Nel 1937 prende il via un altro concorso, questa vota legato ad eventi sportivi. Con il periodo post-bellico degli anni ’50 assistiamo ad un recupero di immagini storiche, riproduzioni di paesaggi o, più distensive immagini floreali da appendere come quadro. La novità è l’avvento della televisione e con lei un nuovo modo di veicolare la pubblicità. Basta per questo pensare al successo di Carosello ed al suo impatto dirompente sulle abitudini degli italiani. Si ritorna gradatamente ad un recupero del lusso ed è interessante notare la differenza di prezzo tra una scatola normale ed una di seta: nel 1959 una scatola di cartone di cioccolatini da 250 grammi era venduta al pubblico a L. 1.100; rivestita in stoffa a L. 2.250. Il livello creativo sale e negli anni ’60 sulle confezioni di Majani si affacciano raffinate composizioni di fiori, la Ferrero immette sul mercato prodotti con le nocciole del Piemonte e i cioccolatini parlano di sentimenti. Un vero linguaggio che passa attraverso il simbolismo di una scatola per parlare d’amore, di compleanni, feste del papà e della mamma, testimoniato con le scatole a forma di cuore e in scatole-libro con le liriche d’amore di Montale. Prende piede la nuova proposta di evidenziare il prodotto sulla confezione. Le scatole di cioccolatini, non più lega-

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te alle ricorrenze, diventano piccole e graficamente d’impatto per un consumo più veloce. Gli investimenti pubblicitari puntano sull’uomo ed ecco allora i cioccolatini al liquore dell’ICAM in una scatola seriosa e, più tardi, la cravatta colorata della Ferrero. Una campagna “giovane” è quella degli anni ’70 che esprime sulle scatole la nuova effervescenza e la voglia di vivere della “Beat generation” e dei figli dei fiori. Gli anni ’80 si caratterizzeranno con proposte più essenziali e raffinate. La Pejrano da il via alla sua collezione firmata: contenitori dalle forme originali, materiali insoliti, accostamenti preziosi, diventeranno, quando il loro prodotto sarà finito, complemento dell’arredamento. Negli anni ’90 assistiamo ad una produzione a larga diffusione, a prezzi contenuti. La comunicazione punta sulla forma come il Tubo della Perugina e la Piramide trasparente della Ferrero. Ovali, rettangolari, quadrate o rotonde, minuscole o di grandi dimensioni le scatole ci raccontano il passato, il gusto, le tendenze. Purtroppo il patrimonio di molte aziende è andato distrutto da eventi naturali o per cause belliche ma i pezzi raccolti nello spazio di poco più di un secolo, sono in grado di ricucire, con il filo della memoria, i momenti “dolci” della nostra vita. Scatole che dopo aver concluso la loro missione di portatrici di affetto e di passione, quando riemergono da un mondo come il nostro, che ha cambiato valori e regole, sanno restituire il fascino del vissuto che altrimenti non avrebbe meritato memoria.

Costanza Cerioli

Perugia Manifesto pubblicitario di Federico Seneca, (1929)

CRAIG WARWICK L’ANGELO SULL’AUTOBUS Stavo viaggiando sulla linea 122 per andare a casa di mia sorella a sud di Londra, mi aveva invitato a cena per presentarmi il suo nuovo fidanzato che, avendo sentito parlare delle mie facoltà di sensitivo, voleva farmi qualche domanda. Stavo seduto e, immerso nei miei pensieri, guardavo distrattamente fuori dal finestrino la gente che saliva e scendeva dall’autobus. Ad un certo punto mi resi conto, che malgrado il bus fosse molto affollato, il posto accanto a me era rimasto stranamente vuoto. Iniziai a sentirmi a disagio. “Forse mando cattivo odore”, pensai, con apprensione, “sono vestito in modo strano” oppure, “i miei capelli sono fuori posto”. I miei pensieri si accavallavano ansiosamente e cominciai a sbirciare il riflesso del mio viso nel vetro del finestrino, alla ricerca di qualcosa di strano. Mentre cercavo di capire cosa stesse accadendo, notai un signore anziano alla fermata dell’autobus, che faceva un gesto con la mano per fermarlo. Salì sul mezzo e si sedette accanto a me, “Questo è il mio posto preferito” disse sistemandosi la cravatta. Era vestito bene: pantaloni neri, giacca sportiva, scarpe lucide e un buon profumo di borotalco. Sotto i suoi occhi blu pastello un sorriso largo che lo faceva sembrare una persona felice. “Vado a bere una cosa con gli amici, non li vedo da tre mesi, ultimamente non sono stato bene”, mi disse passandosi un fazzoletto sugli occhi come per asciugarli. “Mia moglie è malata e depressa, sta sempre a letto. Non riesce ad alzarsi”. Non sapevo cosa dire, “Ha consultato un dottore?” gli chiesi. Poi iniziò a comportarsi stranamente come fosse confuso. “Ci risiamo - pensai - eccone un altro che vuole parlare e scaricarsi dei suoi problemi”. Iniziò a piangere” E’ tutta colpa mia, sono io la causa di tutto”. Parlava ad alta voce e i passeggeri cominciarono a fissarci. “Mia figlia - iniziò a raccontare - ha due bimbi, ha lasciato suo marito per un altro uomo che non mi piaceva: troppo giovane per lei”. Capii che ero quasi arrivato alla mia fermata e dovevo scendere, ma lui sorprendendomi disse: “No, tu non scendi qui, hai altre quattro fermate”. E mi diede una pacca sulla gamba. Aveva ragione, mi chiesi come faceva a saperlo se non l’avevo mai visto prima. Poi cominciò a raccontare di certe monete. “Mia moglie – disse - ha in mano due monete irlandesi, gliele ho lasciate io. Quando dovevo prendere una decisione facevo testa o croce: croce voleva dire sì, che seguivo il mio istinto, e testa voleva dire no”. Tutti i passeggeri sull’autobus ci stavano guardando e ridevano divertiti. Ad un certo punto si alzò, “Ecco, qui scendo io, vado in quel pub a bere una cosa con i miei amici” e stringendomi la mano, aggiunse: “Di a loro che sarò a casa alle 20.30 e che porterò delle patatine”. Scese e passando sotto il finestrino bussò gentilmente sul vetro e mi disse: “sto bene, dì a loro che sto bene e che rimango con gli amici a bere una cosa”. C’era silenzio sull’autobus e tutti gli occhi erano puntati su di me, non avevo idea di chi stesse parlando, poi scesi dall’autobus e m’incamminai verso casa di mia sorella. La trovai fuori, in giardino, con i suoi amici, tra questi una giovane donna di circa 35 anni, alta con capelli neri e corti. “Sei in ritardo come sempre”, scherzò, “questa è Kim” disse presentandomi la sua amica. Stringendole la mano ebbi una strana sensazione, notai che aveva gli stessi occhi dell’uomo sull’autobus. Mia sorella notò lo sguardo sul mio viso “Che c’è?” mi chiese e, poi, rivolgendosi a Kim “Te l’ho detto che avrebbe capito subito il tuo problema”. Ma io non avevo capito il suo problema, piuttosto stavo pensando all’uomo dell’autobus e quello che mi aveva detto. “Hai due bambini e vivi con un uomo più giovane di te” le chiesi. Kim, infastidita, si allontanò, intanto avevo sentito che intorno a lei c’erano tante barriere sentimentali. “Racconta, racconta”, la incalzava mia sorella “vedrai che lui riuscirà a vedere di più”. Kim si sedette sul muro fuori la casa e mia sorella andò dentro a prepararci qualcosa da bere. “Si, ho due figlie”, disse, mentre giocava con le sue mani “ma il mio fidanzato mi ha lasciato un paio di mesi fà, ed ora mi ritrovo da sola”. Intanto mia sorella, tornata fuori, ci porgeva le bevande. “Cin cin” e bevemmo le nostre aranciate. Posai il bicchiere e cominciai a raccontare la storia dell’uomo sull’auto-

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bus. “Ovunque lui vada ha un’avventura”, mi interruppe mia sorella, “andiamo dentro a cenare così puoi finire la tua storia”, disse invitandoci a rientrare. Ci sedemmo intorno al tavolo e mia sorella mi invitò ad andare avanti con il racconto dell’uomo dell’autobus. Intanto versava la salsa sul suo ottimo arrosto. Iniziai a descrivere l’uomo dell’autobus e di nuovo sentivo che c’era una connessione con Kim, l’amica di mia sorella. Ricordai che l’uomo mi aveva raccontato di sua moglie malata, che era preoccupato per lei e delle due monete irlandesi. Sentendo queste parole a Kim caddero contemporaneamente il coltello e la forchetta dalle mani, si coprì la bocca con la mano e chiese: “Le monete, cosa ha detto delle monete?” Mia sorella capì che doveva rimanere in silenzio. Continuai a raccontare delle monete e del fatto che sua moglie doveva prendere un’importante decisione e, quindi, tirare in aria le monete e leggerne il responso: “Croce si, Testa no”. “Cos’altro ha detto? Dov’è andato?”, mi chiese Kim “Ha detto che andava ad incontrare i suoi amici al pub “Crown” e che sarebbe tornato a casa per le 20.30 circa”. Kim stava tremando, “Ha detto anche che avrebbe portato a casa delle patatine”, chiese. “Chi era?” chiese mia sorella, che non stava capendo nulla. “Era mio padre” rispose Kim piangendo “Quello era il pub dove andava sempre a bere”. A questo punto Kim mi chiese di andare a casa sua, proprio dietro l’angolo, lì avrei trovato sua madre. La donna era seduta sul letto. Stava lì da tre mesi e non aveva intenzione di muoversi. “Mamma - le disse Kim - apri le mani”. La madre aprì le mani: c’erano le due monete irlandesi delle quali mi aveva parlato l’uomo dell’autobus. “Mamma, Craig ha qualcosa da dirti” e si sedette accanto alla madre. La donna non era vecchia, poteva avere 54 anni circa, non di più, ma sembrava più anziana, forse perché non usciva mai. La sua pelle era grigia e i capelli avevano bisogno di una spazzolata. Ma potevo sentire la sua sofferenza e la sua tristezza. Iniziai, di nuovo, a raccontare la storia dell’autobus, quando finii, nella stanza era caduto il silenzio. Anche mia sorella era ammutolita.“Era tuo marito?”, le chiesi, senza pensare a cosa sarebbe successo dopo. La madre mi urlò di uscire, Kim cercava di calmarla, mia sorella era già mezzo fuori dalla porta. Kim ci chiamò nella stanza accanto per spiegarci cosa stava accadendo.“Quell’uomo era mio padre. Lui prendeva sempre quell’autobus e il pub dove ha detto di andare era quello dove era solito recarsi a bere”. Sospirò profondamente e proseguì: ”Tornava sempre a casa alle 20.30 con una busta di patatine per mia madre”. Guardai mia sorella che stava cercando di accendersi nervosamente la decima sigaretta. Kim continuò “mia madre deve fare una scelta, vendere la casa perché abbiamo troppi soldi da pagare. Io e mio padre non ci siamo parlati per oltre un anno ma, quando è morto, ero con lui”. Quell’uomo era un angelo, ecco perché la gente sull’autobus mi guardava ridendo: non potevano veder con chi parlavo. Il pensiero mi imbarazzava, ma Kim fu felice di aver ricevuto un messaggio da suo padre e di aver saputo che stava bene e al sicuro. “Non ha mai messo profumo – mi spiegò - usava solo tanto borotalco”. Un particolare che mi fece capire che aveva creduto a quanto gli avevo raccontato. Sua madre volle incontrarmi e dopo qualche giorno tirò le monetine in aria e la risposta fu “si”. Bisognava vendere la casa ed andare avanti. Si alzò dal letto ed iniziò di nuovo a vivere, a risolvere i problemi e a passare il suo tempo con la famiglia. Dal libro “ Non è facile essere Craig Warwick” [email protected] Trasled Rita Lena

LA RESPONSABILITÀ PER PERDITA O DANNEGGIAMENTO DEI BAGAGLI NEL CONTRATTO DI TRASPORTO AEREO Con l’arrivo della bella stagione molti di Voi si recheranno nei vari luoghi di villeggiatura anche servendosi, a volte, di voli aerei. La scorsa estate è stata contrassegnata, in molti casi, dalla brutta sorpresa per il viaggiatore che si è visto privato del proprio bagaglio al momento dell’arrivo nell’aeroporto di destinazione. Dopo l’iniziale scoramento, il consumatore deve essere messo nelle condizioni di conoscere gli strumenti di tutela e le eventuali inziative giudiziarie da poter azionare. La materia in oggetto è disciplinata principalmente dal Codice Civile nonché dalla normativa comunitaria e in ultimo dal Codice della Navigazione. All’atto dell’imbarco, contestualmente al check-in, il viaggiatore deposita il suo bagaglio alla compagnia aerea, la quale, è tenuta, in caso di smarrimento, al risarcimento del danno se non prova che lo stesso è stato determinato da cause a lui non riconducibili come previsto dall’articolo 1218 c.c. nonché dall’articolo 951 del codice della navigazione. In buona sostanza la compagnia aerea è responsabile del danno derivante dalla perdita di bagagli consegnati, nonché, del loro deterioramento per il solo fatto che tali circostanze si verifichino poi alla consegna. Il passeggero può far valere i propri diritti di risarcimento alla condizione che la compagnia aerea prenda conoscenza della perdita del bagaglio stesso ovvero quando il bagaglio consegnato non sia giunto a destinazione entro 21 giorni dalla scadenza prevista. La responsabilità del vettore in caso di distruzione, perdita o deterioramento è limitato alla somma di circa Euro 1.165,00 circa per passeggero salvo che lo stesso abbia espressamente dichiarato, prima dell’imbarco, un valore molto superiore dei beni custoditi, il tutto dietro pagamento di una tassa supplementare connessa all’assicurazione del bagaglio in questione. Tale tariffa è messa a disposizione dei passeggeri che ne fanno richiesta. In tal caso l’operatore aereo sarà tenuto al risarcimento fino alla concorrenza della somma dichiarata. Il passeggero il cui bagaglio sia andato smarrito, ha altresì diritto al rimborso delle spese sostenute in considerazione dell’avvenuto smarrimento, spese per il vestiario ed effetti personali che devono essere documentati. Nel caso in cui avvengano le sfortunate circostanze, in base alla convenzione di Montreal, il passeggero che subisce danneggiamento al bagaglio deve presentare reclamo alla compagnia aerea direttamente, mentre in caso di ritardo nella riconsegna, il reclamo deve essere inoltrato entro 31 giorni dalla data in cui i bagagli sono stati riconsegnati. Il diritto al risarcimento dei danni soggiace alla prescrizione di due anni dal giorno di arrivo a destinazione dell’aereo, purchè, come detto, sia stato presentato reclamo alla compagnia aerea. Mettetevi quindi tranquillamente in viaggio e, in caso di perdita o ritardo nella consegna dei bagagli, non perdete la calma, il diritto è dalla Vostra parte. Avv. Cristian Coppotelli [email protected]

CI METTO LA FIRMA! La gavetta dei giornalisti famosi

COSA FACEVANO QUANDO NON ERANO NESSUNO Di Mariano Sabatini Quali sono le doti di un buon giornalista e gli errori da evitare? Come si realizza l'intervista perfetta? Come si scrive un attacco irresistibile? Quali sono i testi da leggere e rileggere, e i modelli da seguire? Queste sono alcune delle domande rivolte da Mariano Sabatini ai più brillanti giornalisti del nostro Paese, che ricordano i propri esordi e l'inevitabile gavetta, e svelano i segreti del mestiere in risposta a un questionario agile e di sicura presa. Basate sul divertente meccanismo delle "interviste doppie", e in questo caso plurime, le domande si ripetono per tutti più o meno uguali ma ricevono risposte sempre diverse. I maggiori giornalisti italiani rievocano gli anni in cui respiravano la polvere delle redazioni. La fatica di una gavetta spezzaschiena non retribuita - il cosiddetto "abusivato" - senza "corte" nè vacanze, i giri degli ospedali, la caccia ai disastri, la cura dei fatti periferici che spesso nascondono "fattacci". Un libro per i moltissimi aspiranti gionalisti, sui luoghi comuni e i miti del mestiere, raccontati dalle stelle del giornalismo nostrano.

Aliberti editore

IL FUTURISMO E LA MODA Trattare di Futurismo e Moda è uno squisito escamotage per attraversare il costume della società. I futuristi fecero della moda un fondamentale campo di indagine per rompere i vecchi equilibri e superare le passatiste e soffocanti “tradizioni borghesi”. E primi fra tutti favorirono l’incessante divenire della moda, sollecitandone il suo continuo rinnovamento. Attribuivano al modo di vestire il compito di rispecchiare “la dinamicità, l’energia e la velocità caratteristiche dei tempi moderni”. Il loro obiettivo era realizzare il rapporto arte-vita nel quotidiano. L’abito rientrava nell’ambito della “ricostruzione futurista dell’Universo” e l’interesse per la moda nacque con il Movimento. Coinvolse Marinetti, Balla, Depero, Crali, Thayaht, Diulgheroff, Rizzo, Nizzoli, Corona, De Sanctis, Delle Site. Ma anche, e a vario titolo, Dal Monte, Volt, Mazza, Carli, Boccioni, Corra e Severini, per una produzione di proposte e riflessioni che oggi, dal casual all’haute couture, ritroviamo nel nostro guardaroba e nel nostro modo di vestire quotidiano. Costanza Cerioli

ECCO LOTUS ELISE ED EXIGE 2010: STESSE PRESTAZIONI, MENO EMISSIONI Nell’epoca dell’auto politically correct, tutti si devono adeguare all’imperativo ormai categorico di dare una verniciata verde ai propri prodotti. Anche chi per tradizione fabbrica da decenni splendide sportive senza compromessi, concentrati di guida pura, da godere al meglio tra i cordoli di un bell’autodromo. Anche Lotus. È così che nascono la Elise e la Exige 2010: tutto immutato, nella forma e nella sostanza. Una sola, fondamentale modifica, sbandierata con inconsueto orgoglio dal piccolo costruttore britannico: il deciso taglio dei consumi e delle emissioni delle due biposto di Hethel. Grazie ad una serie di leggeri affinamenti all’erogazione dei motori, al comportamento degli organi di trasmissione e alla profilatura aerodinamica dei suoi modelli, Lotus è riuscita a tagliare del 9% le emissioni di CO2, la famigerata anidride carbonica. Secondo la casa britannica, è stata la Elise S, che costituisce il gradino d’ingresso nel mondo Lotus, a beneficiare dei miglioramenti più significativi per quanto riguarda le percorrenze sul ciclo combinato: il suo consumo dichiarato scende da 8,3 a 7,6 l/100 km e le emissioni di CO2 passano da 196 a 179 g/km. Come a dire: signori, non è più tempo di gozzovigliare senza guardare cosa ci succede intorno. Iniziamo a darci una regolata. Tutti. Fabio Sciarra

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La voglia di primavera si fà sempre più sentire: voglia di abbandonare abiti e giacche pesanti, cieli cupi e piovosi, per abbracciare tonalità più vivaci e colori sgargianti correndo incontro ad un’estate solare. Lo sguardo è il protagonista indiscusso, un make up femminile e grintoso allo stesso tempo, creato per una donna che desidera il meglio. Quindi un inno allo sguardo per sbizzarrirsi e creare un occhio da gatta. Il fondotinta varia da naturale a trasparente per un look acqua e sapone, fino a coprente per una pelle effetto porcellana. Il trucco per gli occhi è giocoso, colorato e creativo, in tonalità dorate e calde, ma anche colori forti e accesi accompagnato da una dose quasi esagerata di mascara. Le labbra per un effetto nature splendono con gloss fruttati e teneri, con un punto luce nella parte centrale delle labbra. Infine un immancabile tocco di fard dalle tonalità rosate ed arancioni. L’81% delle donne si profuma dietro l’orecchio.

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Il 51% sul collo e ai polsi. Il 20% qualche goccia al decolleté. Si al profumo dietro le orecchie, sui polsi, tra i seni. Si uscire dal negozio con un profumo sulla pelle e annusarlo fino a sera per capire se i suoi stadi ci piacciono. Si spruzzarlo all’interno dei capi, sul fazzoletto. Si nei risvolti del dossier se siete donne in carriera Si nella piega del ginocchio se siete sensuali No mischiare o sovrapporre più fragranze No il profumo sul palmo della mano. È già ricco di propri odori. No prima dell’esposizione al sole. Essenze, come il bergamotto possono causare macchie sulla pelle. No provare più di tre essenze. Il naso si disorienta. No non sentire un profumo dal tappo. L’alcool aggredisce l’olfatto. No sul pelo della pelliccia, sulla pelle, su tessuti chiari. No sulle perle e sui coralli. Ricordarsi che il parfum resiste per giorni, l’eau de toilette sparisce subito. Yves Saint Laurent propone nuove formulazioni per i tre specialisti del demaquillage: l’esfoliazione senza granuli di Gommage Action Biologique diventa più efficace con l’estratto di corteccia di Enantia Chlorantha, che restringe i pori e affina la grana della pelle, mentre zuccheri vegetali e olii ultra-fini assicurano confort e delicatezza. Lo stesso complesso rivelatore di luminosità arricchisce l’Eau Démaquillante 3 en 1 che non inaridisce la pelle e la dinamizza con l’estratto di yuzu. E in-

fine l’azione struccante di Démaquillant Yeux Haute Performance, ancora più delicata sulla pelle del contorno occhi: la fase azzurra è arricchita da estratti lenitivi di camomilla e da provitamina B5 che protegge e fortifica le ciglia, mentre gli olii satinati della fase trasparente sciolgono ogni tipo di make up.

Giorgio Armani Lip Wax Nuance appassionate per il nuovo rossetto compatto Giorgio Armani che eredita la sua allure, spiccatamente retrò, dai primi rossi per labbra ma ha una formula all’avanguardia che veste la bocca con un velo di colore dal finish satin, confortevole e impalpabile. In sei tonalità intense da applicare a piccoli tocchi con la punta delle dita, possono anche essere mescolate tra loro per un risultato cromatico su misura. Tiziano Melara

RISO CON SCAMORZA AFFUMICATA Ingredienti: (dose per 4 persone) • 300 gr. riso • 200 gr. scamorza affumicata, • 1 l. di brodo •una cipolla • olio d’oliva • sale q.b. • 2 fogli di carta stagnola

Preparazione: Fate soffriggere la cipolla in tre quattro cucchiai di olio, aggiungete il riso e fatelo brillare. Aggiungete poco alla volta il brodo bollente sino ad un minuto prima della cottura completa. Aggiungete la scamorza affumicata che avrete precedentemente tagliato a dadini. Fate finire la cottura e servite caldo.

TORO Il segno zodiacale del Toro (21 aprile - 21 maggio) appartiene ai segni di Terra. E’ il secondo segno dello zodiaco ed è considerato al femminile, forse perché governato dal pianeta Venere. I nati sotto questo segno hanno un istintivo legame con tutto ciò che è bello e rientra nelle espressioni della natura. Sono dotati di un fisico robusto e ben saldo, anche se nascondono tanta fragilità interiore. Sono pigri, possessivi, e con una certa vena egoistica. La donna Toro ha una spiccata femminilità e una sana fertilità; l'uomo è caparbio e dotato di una forte resistenza. Ambedue si caratterizzano per un carattere ostinato e paziente; sono per lo più introversi e con scarsa predisposizione ai cambiamenti d'ambiente e di abitudini. In ogni gesto del quotidiano esprimono le loro spiccate doti di riflessione e calma, ma questo non deve ingannare perché, anche se raramente e lungamente meditate, le esplosioni di rabbia sono da temere per la loro violenza, esattamente come quelli dell'animale che li rappresenta. Però, una volta placati, tornano docili e sereni. Si sentono sempre al di sopra di tutti e, per questo, prima di prendere una decisione scandagliano bene la situazione. Il loro motto è: “meglio prevenire che curare”. Questo spiega perché raramente si abbandonano all’immaginazione e alla fantasia, preferendo restare con i piedi ben saldi a terra. Pur non dotati di una spiccata prontezza di riflessi, i nati sotto il segno del Toro hanno enormi potenziali intellettuali che mettono in atto con lentezza ma che, una volta attivati, danno buoni frutti. Per loro contano solo i risultati che devono essere notevoli e di una certa consistenza. I nati sotto questo segno preferiscono lo Smeraldo, il Rame, la Rosa, il colore Blu e il loro numero fortunato è il 6. SIDERIO

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