Caracoles

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  • Words: 34,029
  • Pages: 67
Comando generale Ezln, Municipio autonomo ribelle Ricardo Flores Magón, Comandante Esther, J. Elorriaga Berdeguè, H. Bellinghausen, P. Gonzàles Casanova, C. Montemayor, S. Rodríguez Lascano, B. Duterme, Y. Le Bot, J. Podur, J. Cason, D. Brooks, D. Pignotti

CARACOLES Dieci anni di comunità zapatiste in lotta

DATANEWS

Indice

Introduzione DOCUMENTI INTRODUTTIVI Alcuni estratti Comando generale Ezln, Oggi diciamo basta! Municipio autonomo ribelle Ricardo Flores Magón, La negazione e l’oblio Comandante Esther, Donne zapatiste PRIMA PARTE L’adesione indigena Javier Elorriaga Berdeguè, Dall’adesione alla costruzione Hermann Bellinghausen, Postazioni contro l’Ezln Pablo Gonzàles Casanova, Una nuova forma di pensare e fare Carlos Montemayor, Il sorgere dell’alba… Adelfo Regino Montes, 20 e 10, il fuoco e la parola SECONDA PARTE Oltre la Selva Sergio Rodríguez Lascano, La “logica paradossale” dello zapatismo Bernard Duterme, Dieci anni di orgoglio senza volto Yvon Le Bot, Quale futuro per lo zapatismo? Justin Podur, Dalle Aguascalientes alle Caracoles Jim Cason, David Brooks, Quando l’Ezln sfidò l’Impero Dario Pignotti, A dieci anni dal “levantamiento” zapatista, continua la lotta ma anche la repressione CRONOLOGIA Dieci anni di lotta

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Introduzione La storia di questo libro inizia con il viaggio in Chiapas di alcuni membri italiani di ZNet, rete web di controinformazione e attivismo mediale. Attratti soprattutto dal ribaltamento della logica politica operato dall'Ezln con l’affermazione del principio del comandare obbedendo, del diritto alla revoca immediata del portavoce e, in generale, delle nuove forme di democrazia sperimentate dagli zapatisti (che tanto hanno influenzato il movimento “altromondista”), abbiamo sfruttato l’occasione offerta dalle celebrazioni nel decimo anniversario dell’insurrezione per recarci, dopo essere entrati in contatto con varie associazioni chiapaneche impegnate nel campo dei diritti indigeni, in una comunità zapatista in qualità di osservatori internazionali. Un doppio anniversario, per la verità: dieci anni da quel fatidico primo gennaio 1994 quando lo sconosciuto Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale occupò in armi sette città del Chiapas, e venti anni dalla formazione dello stesso esercito, avvenuta il 17 novembre 1983. Per ricordare i due anniversari, ma anche per evidenziare come alla lotta armata si sia sostituita la lotta civile sia dell'Ezln sia, soprattutto, delle comunità indigene, le celebrazioni sono state chiamate “20 e 10 il fuoco e la parola”, ad indicare il passaggio dal tempo della guerra al tempo della parola. A sottolinearlo, nei caracoles stupiva la completa assenza fisica dell’Ezln, che lasciava spazio ai membri delle comunità, unici protagonisti delle celebrazioni. Nei giorni trascorsi a "non far nulla" negli spazi a noi destinati, non abbiamo visto in azione l’Ezln né sperimentato il controllo capillare del territorio che questo mantiene, né ascoltato i racconti onirici, appassionati e romantici del sup. Abbiamo invece visto donne scalze affaccendarsi intorno al fuoco, con i figli legati sulle spalle o in stato di gravidanza. Abbiamo viaggiato per ore su mulattiere dissestate, che di strada hanno solo il nome. Li abbiamo visti ripulire, dalla folta vegetazione della giungla, poche are di terra da mettere a coltivazione. Ma anche attuare nuove forme democratiche per la realizzazione di progetti di sviluppo sui temi comuni della sanità, dell’istruzione e della giustizia. Progetti il cui consenso si va lentamente estendendo, pur tra mille difficoltà, ripensamenti e ostacoli governativi, al di fuori delle comunità zapatiste stesse. Tuttavia, il contatto diretto con i membri delle comunità è stato spesso debole. Le poche persone incontrate sono estremamente riservate, diffidenti, molto reticenti a parlare, soprattutto se l'argomento è lo zapatismo. Come potrebbe essere altrimenti? Chi gli assicura che la permanenza degli osservatori abbia il solo scopo di tenere un po’ lontani i militari, da cui anche noi siamo stati fermati e perquisiti? Sono delle elementari norme di sicurezza che hanno dovuto adottare, come il ritiro dei passaporti all'ingresso di una comunità. La guerra a bassa intensità ha provocato centinaia di vittime civili. Rientrati in Italia, ci siamo ritrovati con il desiderio di approfondire la conoscenza di una realtà che abbiamo conosciuto soltanto sfiorandola in superficie. Tra i tanti progetti di ZNet, da sempre fortemente impegnata sui temi dei diritti umani e della giustizia sociale, uno è la traduzione di materiali da importanti fonti di informazione alternativa internazionali. La nostra attenzione si è focalizzata allora sulla questione indigena e sui diritti rivendicati dai popoli indios, pur mantenendo sullo sfondo il nuovo processo democratico zapatista. A tale scopo abbiamo recuperato e tradotto articoli di autori e fonti locali, spesso non conosciuti in Italia. L'adesione a questa iniziativa, che nello spirito di ZNet.it è stata portata avanti con modalità partecipative estese a tutti i membri, è cresciuta a tal punto da convincerci a realizzare una sorta di “speciale”, una sezione riservata allo zapatismo, scorporandola dall'osservatorio latino-americano. Da quello “speciale” nasce l'idea di questo libro, propostoci dall'editore Datanews, e i cui proventi dei diritti di traduzione saranno tutti destinati direttamente a una junta del buen gobierno. La raccolta degli articoli qui presentati si divide in due parti.

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Nella prima abbiamo dato spazio alla voce indigena della lotta civile dei popoli zapatisti. Grazie alla scelta delle fonti, tutte messicane, viene tracciato un quadro della situazione indigena reale, delle loro rivendicazioni e necessità, dei progressi fatti in questi anni verso forme istituzionali alternative e dell'importanza dello zapatismo nell'ambito dei movimenti indigeni latino-americani. Parallelamente, anche gli autori scelti, nonostante la loro scarsa notorietà, hanno la caratteristica di essere tutti osservatori ravvicinati dello zapatismo. In tal modo si fornisce una prospettiva che è rimasta decisamente in ombra rispetto all'impatto mediatico un po’ “glamour” che lo zapatismo ha avuto in Europa. Nella seconda parte abbiamo raccolto le analisi e le interpretazioni internazionali del movimento zapatista che, ci è sembrato, cogliessero con lucidità critica vari aspetti dell'ampio dibattito che lo zapatismo è stato in grado di generare in tutto il mondo, sia intorno alla lotta contro il neoliberismo sia intorno a una visione più partecipata del processo democratico. La nostra antologia si chiude con una dettagliata cronologia delle principali lotte sociali che hanno scosso il Messico dal 1 gennaio del 1994 e che direttamente o indirettamente hanno preso spunto dalle rivendicazioni degli indigeni chiapanechi, a ulteriore riprova del fatto che lo zapatismo ha avuto e continua ad avere il potere di ispirare coloro che lottano contro tutte le forme di ingiustizia sociale. ZNet.it

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DOCUMENTI INTRODUTTIVI Alcuni estratti

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Comando generale Ezln Oggi diciamo basta!* Al popolo del Messico. Prima dichiarazione della Selva Lacandona Noi siamo il prodotto di 500 anni di lotte: prima contro la schiavitù; poi, durante la Guerra d’Indipendenza contro la Spagna capeggiata dai ribelli; poi per evitare di essere assorbiti dall’espansionismo Nord Americano; poi ancora per promulgare la nostra Costituzione ed espellere l’Impero Francese dalla nostra terra; poi, quando la dittatura di Porfirio Diaz ci negò la giusta applicazione delle Leggi di Riforma, il popolo si ribellò ed emersero i suoi leader, Villa e Zapata, povera gente proprio come noi, ai quali, come noi, è stata negata la più elementare preparazione. Loro possono usarci come carne da cannone e saccheggiare le risorse della nostra patria. A loro non importa se stiamo morendo di fame e di malattie curabili, né che non abbiamo nulla, assolutamente nulla: né un tetto degno, né terra, né lavoro, né assistenza sanitaria, né cibo, né istruzione, né il diritto di eleggere liberamente e democraticamente i nostri rappresentanti politici, né indipendenza dallo straniero, né pace e né giustizia, per noi e per i nostri figli. Oggi noi diciamo BASTA! Noi siamo gli eredi dei veri costruttori della nazione. Noi, gli espropriati, siamo milioni e perciò chiamiamo a raccolta tutti i nostri fratelli perché si uniscano a questa lotta, che è l’unica strada per non morire affamati davanti all’insaziabile ambizione di una dittatura di più di 70 anni, guidata da una cricca di traditori che rappresenta i gruppi più conservatori e venduti. Sono gli stessi che si opposero a Hidalgo e Morelos, sono gli stessi che tradirono Vicente Guerrero, gli stessi che vendettero più di metà della nostra terra agli invasori stranieri, gli stessi che importarono un principe europeo per governarci, gli stessi che diedero vita alla dittatura degli scientifici porfiristi, sono gli stessi che si opposero all’Espropriazione del petrolio, che massacrarono i ferrovieri nel 1958 e gli studenti nel 1968, sono gli stessi che oggi ci spogliano di tutto, assolutamente di tutto. Per fermare tutto ciò, e come nostra ultima speranza dopo aver tentato di utilizzare ogni possibile mezzo legale basato sulla nostra Magna Carta, torniamo ancora ad essa, alla nostra Costituzione, per applicare l’articolo 39, che dice: “La Sovranità Nazionale ha la sua origine ed essenza nel popolo. Tutto il potere politico emana dal popolo e si costituisce per il beneficio del popolo. Il popolo ha, in ogni momento, l’inalienabile diritto di cambiare o modificare la forma del suo governo” […].

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Tratto dal sito italiano di Znet, 1° gennaio 1994. Traduzione del Comitato Chiapas Torino (http://www.zmag.org/Italy).

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Municipio autonomo ribelle Ricardo Flores Magón La negazione e l’oblio* Una chiara ricostruzione storica del conflitto nella zona delle riserve Vogliamo denunciare il nuovo tentativo del malgoverno messicano di scacciare le nostre comunità indigene dalla Riserva Integrale della Biosfera dei Montes Azules (Rebima) e dalla cosiddetta Zona Lacandona, vogliamo denunciare l’inganno che il governo sta tessendo per continuare la sua guerra contro le comunità in resistenza, ora con il pretesto delle zone protette e vogliamo ribadire ai malgoverni federale e statale che le comunità indigene di Ricardo Flores Magón non permetteranno né lo sgombero né la ricollocazione delle comunità, ma difenderemo i territori del nostro popolo indigeno.

Capitolo 1La negazione e l’oblio Diciamo di nuovo “Basta!” al malgoverno che sta studiando piani di sgombero e ricollocazione delle comunità indigene ribelli. “Basta!” perché nessuno ci ha chiesto nulla quando nel 1972 il presidente della Repubblica ha consegnato le nostre terre ad un pugno di famiglie del Caribe, creando un latifondo di 614.321 ettari battezzato Zona o Comunità Lacandona; nessuno ci ha chiesto niente quando nel 1978 sono stati consegnati al Rebima 331.200 ettari per volontà presidenziale che non prese in considerazione chi viveva su quelle terre e rivendicava da anni il diritto agrario ereditato da Zapata, né prese in considerazione il diritto collettivo dei popoli indios sui propri territori. Il governo saccheggia queste terre da molti anni ed ha permesso l’accesso ad industrie del legname e alla Pemex ed oggi dice di occuparsi dell’ecologia. I malgoverni non hanno mai pensato a chi appartengono queste terre per diritto storico, per diritto collettivo, cioè a noi, indigeni tzeltales, choles, tojolabales e tzotziles dello Stato del Chiapas, i primi fra i primi. Ai malgoverni non importano neppure gli sforzi, le risorse, le speranze ed i sogni delle comunità indigene gettate nell’oblio con la definizione della Zona Lancandona e la Riserva dei Montes Azules, che abbiamo lavorato e rivendicato queste terre per anni ed a loro non importa che i nostri popoli le occupassero fin dal tempo passato e che noi abbiamo bisogno della terra per dar da mangiare alle nostre famiglie, per vivere da indigeni e campesinos: al governo non importa nulla di tutto ciò. I malgoverni non ci hanno mai considerato ed oggi ci considerano illegali, invasori di terre, ostacoli da rimuovere. Il governo non ci ha mai considerato quando ne avevamo il diritto, quando legalmente rivendicavamo la terra: abbiamo trascorso vari sessenni rivendicando legalmente queste terre e nessuno ci ha presi in considerazione, nessuno ha firmato le nostre istanze, né ha ricordato il diritto del contadino alla terra, né il diritto dei popoli indigeni al loro territorio. Poi un presidente, in un paio di giorni, firma una risoluzione inventata dal nulla e dagli anni ottanta hanno cacciato decine di comunità e minacciato centinaia di comunità indigene che popolavano queste terre fin dagli anni cinquanta e sessanta. Poi, ancora una volta nessuno ci ha consultati né presi in considerazione quando si trattò di tradire la Rivoluzione del 1910 riformando l’articolo 27 della Costituzione, tradendo con questo la lotta zapatista dei primi fra i primi, ancora una volta siamo stati dimenticati ed esclusi, nessuno ci ha chiesto se volevamo questa riforma a cui siamo stati sempre contrari. Con questo nuovo tradimento c’è stata la cancellazione e la negazione illegale del nostro diritto di contadini alla terra, dei nostri sogni e delle speranze agrarie. Per questo oggi non riconosciamo nessuno di questi decreti e riforme. Noi continuiamo a vivere qui grazie all’organizzazione delle comunità che si oppongono ai decreti che ha dato vita all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), al coraggio che abbiamo avuto a sollevarci in armi nel 1994, grazie alla resistenza ed alla lotta giusta oggi noi continuiamo ad esserci, a resistere e per questo, perché è nostro diritto costituzionale (vecchio articolo 27) storico e collettivo, non *

Tratto dal sito italiano di Znet, 23 febbraio 2002. Traduzione del Comitato Chiapas Maribel (http://www.zmag.org/Italy).

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baratteremo i nostri territori, né permetteremo lo sgombero dalle nostre terre e dai nostri territori che oggi lavoriamo e sui quali viviamo e facciamo nascere la nostra cultura. Oggi il malgoverno ripete la storia di negazioni ed oblio con una guerra silenziosa e di sterminio contro gli indigeni di queste terre. Di nuovo, nell’anno 2001, ha promosso riforme costituzionali tradendo gli accordi internazionali su diritto e cultura dei popoli tribali ed indigeni, come il Trattato 169 della OIT, tradendo gli Accordi di San Andrés siglati nel 1996 con l’Ezln ed appoggiati da tutti i popoli indigeni del paese e da vasti settori della società messicana, come dimostrato negli incontri del Congresso Nazionale Indigeno (CNI), con la Consulta Nazionale del 1999 e con la Marcia del Colore della Terra nel 2001. Di nuovo, oggi, ci considerano illegali, invasori, delinquenti e di nuovo ci minacciano con la violenza, la persecuzione, lo sgombero, il carcere e la morte dolosa. Oggi continuano a tenere in considerazione solo le loro leggi ed i loro fini, ma non considerano il nostro diritto. Oggi lo diciamo chiaro, le comunità che si trovano all'interno delle cosiddette Zone Lacandona e Rebima, si trovavano su queste terre o avevano reclamato i loro diritti su di esse prima di questi decreti e di queste riforme. Le comunità che negli ultimi anni hanno preso possesso delle loro legittime terre e territori ed hanno costruito centri abitati, sono state costrette a farlo a causa della crescente militarizzazione delle loro comunità di origine, per la persecuzione militare, paramilitare, giudiziaria e la minaccia di togliere loro le terre. In altre parole, sono rifugiati di guerra. È proprio il governo a far sì che ogni giorno sempre più gente rivendichi il suo diritto alla terra nella Zona Lacandona e nella Riserva […].

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Comandante Esther Donne zapatiste* Discorso dalla tribuna del Parlamento messicano Secondo quanto garantisce la Costituzione sul rispetto della donna, vorrei spiegarvi la situazione in cui viviamo, noi donne indigene, all’interno delle nostre comunità. La situazione è molto dura. Da moltissimi anni soffriamo il dolore, l’oblio, il disprezzo, l’emarginazione e l’oppressione. Soffriamo l’oblio perché nessuno si ricorda di noi. Ci hanno mandato a vivere nelle più lontane montagne del paese affinché nessuno venisse a visitarci o a vedere come viviamo. E lì non abbiamo acqua potabile, luce elettrica, scuole, case dignitose, strade, cliniche e tanto meno ospedali. Intanto molte delle nostre sorelle, donne, bambini ed anziani muoiono di malattie curabili, denutrizione e di parto perché non ci sono né cliniche né ospedali che ci assistano. Solo in città, dove vivono i ricchi, ci sono ospedali che offrono buona assistenza e servizi. Anche di quelli presenti in città, noi non ne beneficiamo affatto, perché non abbiamo né denaro né mezzi per andarci; e se riusciamo a raggiungere la città, la morte ci coglie durante il percorso. In particolare le donne, che sofferenti per i dolori del parto, si vedono morire i loro figli tra le braccia per mancanza di assistenza. Vedono i loro figli scalzi, senza vestiti perché non hanno soldi per comprarli. Sono le donne, che prendendosi cura della casa vedono tutto quello che manca per l’alimentazione. L’acqua la trasportano con le brocche con 2 o 3 ore di cammino; caricandosi, inoltre, il proprio figlio svolgono tutti i lavori di cucina. Fin da molto piccole impariamo a lavorare facendo cose semplici. Da grandi andiamo a lavorare nei campi, a seminare o ripulire, tenendoci caricati sempre i nostri bambini. Intanto gli uomini vanno a lavorare nelle piantagioni di caffè e di canna da zucchero per guadagnare un po’ di denaro per poter sopravvivere con la propria famiglia. Spesso ritornano malati, senza denaro, a volte già morti. Così la donna soffre ancora di più perché resta sola ad accudire i propri figli. Soffriamo anche il disprezzo e l’emarginazione fin dalla nascita. Siccome siamo bambine, pensano che non valiamo niente, che non sappiamo pensare, né lavorare, né come vivere la nostra vita. Non dandoci l’opportunità di frequentare la scuola, molte di noi donne sono analfabete. Quando siamo un poco più grandi, i nostri padri ci obbligano a sposarci a forza, non importa se noi non vogliamo, non chiedono il nostro consenso. Non rispettano le nostre decisioni. Perché donne ci picchiano, i nostri mariti o famigliari ci maltrattano e non possiamo dire nulla perché, ci dicono, non abbiamo nessun diritto di difenderci. I meticci ed i ricchi si burlano di noi donne indigene per il nostro modo di vestire, di parlare, per la nostra lingua, per il nostro modo di pregare e di curare e per il nostro colore, che è il colore della terra che lavoriamo. Sempre nella terra perché viviamo in lei. Non ci permettono di partecipare ad altri lavori. Ci dicono che siamo sporche, che non ci laviamo perché siamo indigene. Noi donne indigene non abbiamo le stesse opportunità degli uomini, che hanno tutto il diritto di decidere su tutto. Solo loro hanno diritto alla terra mentre la donna non ne ha diritto, come se non potessimo lavorare anche noi la terra e come se non fossimo essere umani. Soffriamo la disuguaglianza. Tutta questa situazione è stata introdotta dai cattivi governi. Noi donne indigene non abbiamo una buona alimentazione, non abbiamo una casa dignitosa, non abbiamo né un centro di salute, né possibilità di studiare. Non abbiamo un progetto di lavoro e così sopravviviamo nella miseria e questa povertà è dovuta all’abbandono del governo, che non si è mai curato di noi come indigene e non ci ha mai preso in considerazione, trattandoci come una cosa qualsiasi. Dice che ci manda aiuti come il Progresa1 ma lo fa con l’intento di distruggerci e dividerci. Questa è la vita e la morte di noi donne indigene […].

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Tratto dal sito italiano di Znet, 28 marzo 2001. Traduzione di Comitato Chiapas Maribel (http://www.zmag.org/Italy). Piano di sviluppo governativo di tipo assistenziale rivolto alle popolazioni indigene [N.d.C.].

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PRIMA PARTE L’adesione indigena

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Javier Elorriaga Berdeguè Dall’adesione alla costruzione* Lo zapatismo a partire dalle sue quattro Dichiarazioni della Selva Lacandona Dalla Prima Dichiarazione della Selva Lacandona, iniziano a profilarsi alcune delle caratteristiche della forma con cui l’Ezln concepisce la lotta per la transizione democratica in Messico. Sebbene ci sia alla base di tutto una Dichiarazione di Guerra all’esercito federale, cioè al “massimo supporto” dell’esecutivo federale, ci sono delle particolarità che la rendono differente da un proclama rivoluzionario di taglio classico, intendendo come classici i movimenti rivoluzionari del secolo XX naturalmente. Per esempio, mentre si dichiara guerra all’esecutivo, si lancia un appello agli altri poteri della nazione, il legislativo ed il giudiziario, affinché si assumano le loro responsabilità e destituiscano l’esecutivo “usurpatore”. E il massimo del paradosso è, che quest’azione, chiaramente di sfida al potere dello Stato, trova il suo fondamento oltretutto nella storia nazionale, richiamandosi all’articolo 39 costituzionale. Una rivoluzione che trova la sua legittimità in una Costituzione, niente di più e niente di meno. Non è raro allora che a partire da questa prima dichiarazione salti alla vista una delle particolarità politiche più importanti dello zapatismo: la sua lotta politico-militare non è per il potere. E senza dubbio (sempre c’è un senza dubbio in tutto quello che si dice dello zapatismo), questo non vuole assumersi il ruolo di avanguardia autoeletta alla conquista del potere politico. Ci lascia però qualche dubbio leggere che le forze insorgenti impianteranno nei territori liberati le leggi rivoluzionarie zapatiste e, al finale della prima dichiarazione, leggere il classico: “Unisciti alle forze insorgenti”. Come se gli zapatisti non si aspettassero molto dall’appello ai poteri legislativo e giudiziario e ancora una volta si preparavano per una lotta in cui cercavano d’imporre la loro volontà per mezzo delle armi. E ciononostante, quando iniziammo a vedere e ad udire l’attuare degli zapatisti, incominciammo pure a capire che la Prima Dichiarazione non spiegava nella sua totalità il movimento. I “potranno questionare i metodi però giammai le cause”, “comandare obbedendo”, “tutto per tutti, niente per noi”, “siamo soldati perché un giorno non siano più necessari i soldati”, così come il rispetto della tregua a partire dal giorno 12 gennaio, ci mostravano una guerriglia che usciva fuori da tutti gli stereotipi. Fu così allora che un esercito popolare, preparato per combattere “fino ad arrivare alla capitale del paese”, un esercito formato in maggioranza da indigeni, di non visti e non ascoltati per secoli e secoli, hanno avuto la capacità non solo di vedere e di udire ma soprattutto di ascoltare e, curiosamente per un esercito, di obbedire [...] ai civili. Il clamore da parte della società era chiaro: comprendiamo le cause e condividiamo le richieste, però cercate un’altra via per cercare di raggiungerle. E la risposta zapatista fu ugualmente chiara: che le armi lascino il posto alle parole. Fu a partire da questo momento che si giunse ad una sfida ancor più grande di quella di affrontare militarmente l’esercito federale: l’entrare in pieno, di un esercito indigeno, nella lotta politica nazionale. A partire da questo momento iniziano gli incontri e gli scontri con la società civile e la società politica. Lo zapatismo incomincia a costruire alleanze, a tessere la sua relazione con la società, a cercare di mantenere la sua identità senza essere assimilato, o divorato, dai gruppi politici, cioè, a percorrere il lungo cammino che lo vede diluirsi come esercito ed affermarsi come forza nettamente politica. Questo cambiamento si nota perfettamente nella Seconda Dichiarazione della Selva Lacandona. In questa, allo stesso modo che nella Prima Dichiarazione, di nuovo la storia patria gioca un ruolo importante come elemento identificatore tra l’Ezln e la società, però ora il messaggio principale, che dirige l’azione zapatista, non lascia spazio a dubbi: l’Ezln, mediante la convocazione alla Convenzione Nazionale Democratica, lascia la battuta della lotta politica alla società civile. Durante la Convenzione risaltano le parole zapatiste: “Sconfiggeteci, mai sarà tanto dolce la sconfitta come quella che ci può arrivare da *

Tratto dal sito italiano di Znet. Traduzione di Comitato Chiapas Torino (http://www.zmag.org/Italy/elorriagaadesionecostruzione.htm).

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voi”, vale a dire, quando la vittoria politica della società civile renderà inutili le armi zapatiste. “Dimostrateci che esiste un altro cammino oltre a quello armato”, dicono gli zapatisti ai convenzionisti che si sono dati appuntamento nel Aguascalientes selvatico. Non ci soffermiamo a raccontare ora la storia del perché non riuscì questo tentativo convenzionista, per far questo avremmo bisogno di una intera giornata. L’importante per questi appunti è che nella relazione Ezln-Convenzione, hanno continuato a pesare più i vecchi vizi di un vecchio modo di fare politica che le speranze di fare qualcosa di nuovo. Ciò che è importante far notare è che nonostante che la Convenzione non riuscisse per intero, lo zapatismo continuava a leggere un messaggio che non variava: non usate le armi, continuiamo a tentare la transizione democratica per la via pacifica. È in questo contesto che appare la Terza Dichiarazione della Selva, con un formato simile alle due anteriori, vale a dire, analisi della congiuntura intercalata con l’esempio della storia nazionale, però con una nuova presa di posizione da parte dello zapatismo. Se nella Prima il messaggio era di unirsi alle forze insorgenti e nella Seconda, società civile organizzati e dimostraci che c’è altra via oltre a quella armata, nella Terza si riconosce che non si è potuto avanzare come si sperava e ora l’Ezln cerca un luogo per l’organizzazione della lotta politica, insieme a ciò che chiama cardenismo e con la Convenzione. L’idea era: Cardenismo + CND + EZLN = Movimento di Liberazione Nazionale. L’Ezln non rimaneva già più in disparte aspettando che la società civile si organizzasse, ora voleva un luogo, insieme a quelle che considerava le altre due forze non partitiche importanti, per riuscire ad avanzare nella costruzione della transizione. Questa presa di posizione era importante, perché marcava la decisione dello zapatismo di continuare a costruirsi come forza politica, vale a dire, non speculava sull’idea della lotta armata ma invece avanzava nell’organizzazione della società civile, e di fronte alla lentezza di questo processo s’integrava in pieno nei compiti politici lasciando totalmente da una parte la via armata. Ma nonostante tutto questo neanche questo intento riuscì, soprattutto per l’offensiva militare che il governo federale lanciò contro l’Ezln nel febbraio del 1995. Con gli zapatisti ripiegati fra le montagne del sudest, Convenzione e cardenismo si dedicarono a ripassare le fratture del passato politico e non riuscirono a camminare insieme. Lo zapatismo dovette allora ricominciare quasi da zero, perché per prima cosa dovette aprire l’accerchiamento politico-militare con cui l’aveva isolato il governo e poi dovette tornare a filare alleanze, piani, eccetera. Era chiaro che la Convenzione era già affondata, però era pure vero che la società aveva risposto di fronte all’offensiva governativa di febbraio nello stesso modo dell’anno prima: ribadendo il suo appoggio allo zapatismo ed imponendo una via d’uscita pacifica, non armata. Che fare allora, di fronte alla congiuntura di un governo federale che cerca di distruggerti ed una società civile che insiste a dirti di continuare a lottare però senza le armi? La via scelta fu molto zapatista: domandare ed ascoltare. Ed obbedire. Fu allora che gli zapatisti promossero la consulta in cui chiedevano alla società che cammino dovevano imboccare da lì in avanti. La risposta maggioritaria fu, continuate a lottare senza le armi e per questo organizzatevi come forza politica nuova, senza fondersi con nessuna delle forze od organizzazioni già esistenti. E l’Ezln obbedì, e rispose a questa consulta con la Quarta Dichiarazione della Selva Lacandona, il cui principale messaggio è chiamare alla costruzione del Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale, vale a dire, ad un’opzione politico-organizzativa nettamente zapatista. Non aspettare più che la società civile si organizzi e li “sconfigga”, ma invece organizzarsi direttamente con tutti quelli che sono disposti a andare avanti organicamente con i ribelli del sud. Una forza quindi che incammina i suoi sforzi ad organizzare i non organizzati e che rispetta la norma zapatista di non lottare per il potere, ma invece, per la costruzione, insieme con altre forze politiche e sociali, di uno spazio veramente democratico che dia un forte impulso alla transizione democratica. L’interessante di questo appello è che lo zapatismo mantiene la sua idea che deve costruire, che deve camminare, insieme con, e non davanti a, la società civile. Così,

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non c’è un appello ad integrarsi ad un Fronte già strutturato, con programma, statuto e/o altre diavolerie partitarie, ma che costruiscano insieme, civili ed insorgenti, questo spazio organizzativo in cui, in un futuro prossimo, gli zapatisti possano partecipare senza necessità delle armi. La tradizione storica di lanciare un Piano, un Manifesto o un Programma in cui inviti gli altri ad aggregarsi ad un progetto perfettamente delineato e strutturato, rimane ora solo nel passato dopo la Quarta Dichiarazione. Lo zapatismo insiste così, non solo sul fatto che non ha tutte le risposte alla problematica sociale e politica che viviamo, ma pure sul fatto che non le vuole, né le può avere. Insiste nel restare un esercito che vuole smettere d’esserlo e vuole che il suo slogan di comandare obbedendo non sia solamente una meta per il futuro, ma un principio organizzativo nel presente. La pratica del “comandare obbedendo” e della “non presa del potere” come fili direttivi del che fare politico zapatista, uniti all’analisi congiunturale e storica, hanno permesso che dalla richiesta di “adesione” del gennaio del 1994 (Prima Dichiarazione) si passi al “costruiamo” insieme del gennaio del 1996 (Quarta Dichiarazione), lo zapatismo è già maturato come forza politica e si è già guadagnato un posto nella lotta per la democrazia in Messico.

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Hermann Bellinghausen Nuove postazioni contro l’Ezln* Aumenta la presenza dell’esercito nella zona di conflitto Usando le loro stesse parole, la guerra degli zapatisti del Chiapas non si è conclusa, però si è orientata verso il terreno della parola. Su questa contrapposizione l’Ezln ha basato i festeggiamenti del suo doppio anniversario: il fuoco e la parola. I ribelli indigeni hanno usato la parola e hanno chiesto al governo messicano la sua. Lo scambio è stato diseguale: mentre gli zapatisti “fanno quello che dicono”, i governi hanno “usato” la parola per nascondere, fingere dinanzi al pubblico e mentire. Ufficialmente si è lasciato credere che l’esercito “ha ripiegato” o “abbandonato” la zona di conflitto del Chiapas nel momento in cui Vicente Fox assunse la presidenza. Di fatto, come documenta una minuziosa indagine recente (che si pubblicherà nel 2004) il totale degli effettivi dispiegati nella Selva Lacandona, ne Los Altos, nella zona del Nord ed alla frontiera è attualmente più elevato che durante lo zedillismo. Si sono create nuove posizioni e si sono rafforzate quelle già esistenti. La relativa assenza di pattugliamenti, e la riduzione numerica dei posti di controllo nelle basi operative sparse nella regione, producono una falsa impressione che si dissipa non appena si attraversino le montagne e la selva, in cui l’esercito mantiene il dispiegamento bellico più imponente dai tempi della rivoluzione. Il dispositivo degli strateghi militari permetterebbe, eventualmente, di attuare una guerra lampo in caso si esaurisca la “pazienza infinita” del governo. Ciononostante, fino ad ora, la guerra del governo ha ottenuto i suoi maggiori dividendi sul terreno della controinsurrezione civile. Ciò, tra l’altro, perché lo stesso movimento zapatista ha adottato dal 1995 un carattere civile, comunitario, e sono stati i villaggi - con la resistenza e la costruzione di municipi autonomi - i veri attori della rebeldía indigena.

La maschera della vertigine Il primo gennaio del 1994 un piccolo esercito indigeno, fino ad allora sconosciuto, prese cinque città dello Stato messicano del Chiapas lanciando quel grido di “Ora basta!” che risuonò in tutto il mondo. A volto coperto, poveramente armati di fucili, schioppette e finanche bastoni, i componenti dell’Ezln bloccarono il polso della nazione e proclamarono: siamo qui, esistiamo. L’audacia della loro azione e la dirompenza del loro messaggio impedì al governo di avere il tempo per sterminarli. Gli zapatisti insorsero la stessa notte trionfale in cui entrava in vigore il Trattato del libero commercio dell’America del Nord, che prometteva di portare il Messico nel primo mondo. Gli insorti, che appartenevano ai popoli maya della regione (tzeltales, tzotziles, tojolabales y choles), dimostrarono al mondo che milioni di indigeni messicani vivevano nella miseria, nella dimenticanza e subivano un genocidio ma che, almeno loro, avevano deciso di non permetterlo. Il Chiapas passò dall’essere l’ultimo angolo della patria all’occuparne il centro. Quella stessa notte pochi lo notarono - cominciava a morire il regime del Partito rivoluzionario istituzionale, che aveva governato in maniera quasi assoluta il paese per sette decenni. Il Pri, che godeva della maggioranza con le buone o le cattive, aveva impedito con successo alterno ma sufficiente la democrazia e l’alternativa politica, in special modo dei popoli indios, “i dimenticati di sempre”, come si denominarono gli zapatisti sin dagli inizi dell’insurrezione. Dopo i primi giorni del gennaio 1994, le forze armate del governo lanciarono un’offensiva per accerchiare i ribelli nei loro territori: Los Altos e la Selva Lacandona. I mezzi di comunicazione del mondo intero svelarono allora che, alla base di questo piccolo esercito contadino che sfidava il potere, *

Titolo originale: Nuevas posiciones militare scontra el Ezln. Tratto dal sito italiano di Znet (“La Jornada”), 30 dicembre 2003. Traduzione di Sergio De Simone (http:// www.zmag.org/Italy/ bellinghausen-militariezln.htm).

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s’incontravano centinaia di villaggi e comunità che avevano conservato il segreto per dieci anni, mentre l’Ezln maturava tra le montagne e cessava di essere una guerriglia più o meno tradizionale per convertirsi in parte dei villaggi e strumento della loro lotta. Uniti avrebbe compiuto un audace salto verso la modernità che sorprese e smascherò un paese che si stimava contemporaneo, se non “di tutti gli uomini”, come sognava Octavio Paz. Gli zapatisti segnarono definitivamente la fine del secolo. Le loro richieste furono adottate e legittimate da milioni di indigeni del paese intero, e appoggiate da diversi gruppi sociali, che avrebbero adottato il ruolo di “società civile” descritto nei libri. Il governo del Pri di Carlos Salinas de Gortari si vide obbligato a negoziare con gli insorti. Nel 1995, l’ultimo presidente del Pri, Ernesto Zedillo Ponce de León, disattese la tregua, occupando militarmente le comunità ribelli e provocando lo spostamento di migliaia di contadini maya e riattivando la guerra, nella sua modalità a “bassa intensità”. Da allora, una nuova forma di lotta s’impossessò dei giorni e dei territori di migliaia di uomini, donne, bambini e anziani: la resistenza. L’esercito zapatista ripiegò verso le montagna, da dove era venuto, e dal gennaio del 1994 non ha effettuato alcuna azione offensiva. A differenza delle guerriglie latinoamericane tradizionali, l’Ezln offre la pace mentre chiede la giustizia e la dignità. Centinaia di simpatizzanti e militanti dell’Ezln, senza dubbio, sono stati assassinati durante la fragile “tregua”, e molti di coloro che hanno conosciuto l’esilio ancora oggi non hanno fatto ritorno. Il mostro paramilitare fu impiantato freddamente dal governo di Zedillo e dagli strateghi militari, ciò che ha danneggiato gravemente la convivenza all’interno dei villaggi. Il mostro non è scomparso, ha soltanto cambiato aspetto (e anche questo, a malapena). In un mondo di tradizioni millenarie sempre mutevoli, nel cuore di un movimento sociale straordinario, i villaggi ballano, i giovani s’innamorano, i bambini e le bambine accedono alla meraviglia del mondo tra le montagne verdi dove nacquero liberi, ma sotto la minaccia permanente di una guerra di sterminio. Il mais nasce nei loro campi. Il Popol Vuh, un libro che raccoglie una parte del pensiero antico dei maya centroamericani, dice che questi popoli sono creati dal mais. Nei loro campi e nei loro villaggi la vita quotidiana fiorisce al rischio ed alla resistenza attiva, che sono le forme della conoscenza di cui i villaggi zapatisti dispongono. Anche in questo modo insegnano al mondo ad essere loro contemporaneo. L'influenza della ribellione indigena agli albori del secolo XXI dimostra che nessuno in Messico si è mai diretto con maggior velocità di loro verso il futuro, “i più piccoli, i dimenticati di sempre”. Il loro tempo procede con tanta rapidità che sembra trattenuto. È la maschera della vertigine. Nessuna storia del Messico moderno è stata raccontata più costantemente della ribellione nelle montagne del sud-est messicano. Lo hanno fatto gli stessi insorti, i mezzi di comunicazione di diversi paesi, pensatori e analisti che simpatizzano o no con la loro causa, storici, cineasti (senza contare un numero immenso di falsificatori prezzolati). La maschera che li rese visibili ha protetto gli zapatisti dallo sterminio. Come la loro parola e la costruzione di alternative comunitarie a livello locale. È frequente l’affermazione che lo zapatismo “precedette” i nuovi movimenti sociali come l’altromondismo globalizzatore e alcune lotte popolari e di liberazione che stavano per cominciare nelle diverse regioni del mondo.

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Pablo Gonzàles Casanova Una nuova forma di pensare e fare* I Caracoles zapatisti. Reti di resistenza e autonomia Dei ricchi contributi forniti dal movimento zapatista alla costruzione di un’alternativa, il recente progetto dei Caracoles dipana molte false discussioni di politici e intellettuali. Il progetto dei Caracoles “apre nuove possibilità di resistenza e di autonomia dei popoli indigeni del Messico e del mondo, una resistenza che comprende tutti i settori sociali che lottano per la democrazia, la libertà e la giustizia per tutti”, secondo le parole del comandante Javier. In Spagna, qualcuno commenta: “Lo zapatismo è diventato uno strumento che può essere usato da tutte le ribellioni che solcano il mare della globalizzazione. C’invita a concretizzare la costruzione comunitaria e autonoma con la pazienza e la tranquillità del caracul”. L’idea di creare organizzazioni che siano gli strumenti di obiettivi e valori da raggiungere e facciano in modo che l’autonomia ed il “comandare obbedendo” non rimangano nel mondo dei concetti astratti né delle parole incoerenti, è uno dei contributi più importanti dei Caracoles. I loro creatori sono coscienti dei limiti e delle possibilità del progetto. Il Subcomandante Marcos riconosce con un misto di modestia ed entusiasmo che i Caracoles costituiscono “una piccola parte di quel mondo cui aspiriamo, fatto di molti mondi. Saranno - afferma come porte per entrare nelle comunità e da cui le comunità escano; come finestre per guardarci dentro e perché guardiamo fuori; come altoparlanti per lanciare lontano la nostra parola e per ascoltare quella che arriva da lontano. Ma soprattutto per ricordarci che dobbiamo vegliare e stare attenti a ciò che succede nei mondi che popolano il mondo”. Nelle sue parole ci sono i fatti. Quando il governo non ha rispettato gli accordi di San Andrés ed ha rifiutato di riconoscere i diritti dei popoli indios, non rispettando i suoi impegni, gli zapatisti non hanno fatto appello alle armi. Si sono messi a costruire l’autonomia nei “territori ribelli”, come informa il comunicato del 19 luglio 2003. Le comunità zapatiste hanno deciso di costruire “municipi autonomi” (un obiettivo, sicuramente, che avevano “elaborato” fin dal principio della loro insurrezione). Le comunità hanno nominato le loro autorità locali ed i loro delegati per compiere il mandato ai diversi livelli ben sapendo che se non lo svolgeranno correttamente saranno revocati. Allo stesso tempo hanno continuato a promuovere modalità concrete del “comandare obbedendo”. Hanno anche rafforzato i vincoli di solidarietà specialmente tra le comunità locali di diverse etnie. Inoltre, hanno articolato unità più grandi che comprendevano vari municipi, note prima come Aguascalientes, sostituiti oggi dai Caracoles. Il cambiamento ha diversi significati ma, tra gli altri, il più importante sembra essere la trasformazione di zone di solidarietà tra località e comunità affini in reti di governi municipali autonomi, che a loro volta si articolano in reti di governo che comprendono zone e regioni più ampie. Tutte le comunità costruiscono l’organizzazione di reti minime di governo e di reti di alleanze più grandi. In tutti i casi praticano la conoscenza e la gestione della politica interna ed esterna, di quartiere e di villaggio, dell’insieme dei villaggi che compongono un municipio, di villaggi ed autorità che si articolano in diversi municipi [...]. La dimensione e la profondità del nuovo progetto zapatista corrispondono alla capacità che ha dimostrato questo movimento nella ridefinizione del suo progetto ribelle nei fatti ed anche nei concetti, mantenendo nello stesso tempo i suoi obiettivi fondamentali di un mondo con democrazia, libertà e giustizia per tutti. Inoltre, nelle sue riflessioni ed elaborazioni, l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) continua ad usare uno stile originalissimo di pensare ed agire che combina la narrativa del vecchio *

Tratto dal sito italiano di Znet (“La Jornada”), 26 settembre 2003. Traduzione del Comitato Chiapas Maribel (http://www.zmag.org/Italy/ gonzalez-caracoles.htm).

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Antonio - che ricorda il passato per costruire il futuro - con le utopie e certezze dialettiche di Durito, lo scarabeo cavaliere errante moderno e postmoderno, antisistema. In realtà, gran parte di quanto si propone il progetto dei Caracoles era già stato espresso fin dagli inizi del movimento zapatista come la lotta per “i municipi autonomi ribelli”. Ma questo ed altri concetti fondamentali sono stati oggetto di oblio e di incomprensione tra compagni, fratelli, simpatizzanti, avversari e nemici. Il nuovo progetto dei Caracoles non solo ridefinisce con chiarezza concetti che si sono prestati alle più diverse interpretazioni, dibattiti e perfino opposizioni. Articola e propone un progetto alternativo di organizzazione (intellettuale e sociale insieme) che, partendo dal livello locale e privato, passa al livello nazionale ed arriva a quello universale. Dalla partenza all’arrivo, lascia ai suoi membri tutta la responsabilità di come realizzare il percorso: se dal grande al piccolo o dal piccolo al grande, o in tutti e due i modi, suddividendo il lavoro in una direzione per alcuni ed un’altra o altre per gli altri. La concretizzazione del progetto si ha nel trasformare le lotte per le autonomie e la creazione di autonomie in reti di popoli autonomi. Si tratta di un programma di azione, di conoscenza, di perseveranza e di dignità per costruire un mondo alternativo, organizzato nel rispetto delle autonomie e delle reti di autonomie. Il suo proposito è di creare con le comunità, dalle comunità e per le comunità, organizzazioni di resistenza che fin da ora formino maglie articolate, coordinate ed autogovernate che permettano loro di migliorare la capacità di contribuire a che un altro mondo sia possibile. Nello stesso tempo, il progetto postula che da adesso, per quanto possibile, le comunità ed i popoli debbano esercitarsi nell’alternativa che vogliono realizzare per acquisire esperienza. Non aspettare di avere più potere per ridefinire il nuovo modo di esercitarlo. Il progetto di potere, insomma, non si costruisce nella logica del “potere dello Stato” che imprigionava le posizioni rivoluzionarie o riformiste precedenti, lasciando digiuno di autonomia il protagonista principale, sia che fosse la classe operaia, la nazione o la cittadinanza. Non si costruisce neppure secondo la logica di creare una società anarchica, logica che prevaleva nelle posizioni anarchiche e libertarie (e che sussiste in espressioni infelici come quella di “antipotere” che neppure i suoi autori sanno che cosa voglia dire), ma si rinnova nei concetti di autogoverno della società civile che “acquisisce il potere” attraverso una democrazia partecipativa, che sa farsi rappresentare e sa controllare i suoi rappresentanti in ciò che è necessario per il rispetto degli “accordi”. Quello dei Caracoles è un progetto di popoli-governo che si articolano tra loro e che cercano di imporre percorsi di pace, in tutto quanto sia possibile, senza scoraggiare moralmente o materialmente i popoli-governo, ancor meno in situazioni e regioni dove gli organi repressivi dello Stato e le oligarchie locali, con i loro diversi sistemi di corruzione e repressione, stanno seguendo i modelli sempre più aggressivi, crudeli e stupidi del neoliberismo di guerra che comprendono la fame, la malattia e “l’ignoranza imposta” dell’immensa maggioranza dei popoli, sia per indebolirli che per decimarli o distruggerli, se necessario, quando falliscano i sistemi di intimidazione, cooptazione e corruzione dei leader e delle masse. Il nuovo progetto dei Caracoles combina ed integra nella pratica entrambe le logiche, quella della costruzione del potere attraverso reti di popoli autonomi e quella dell’integrazione di organismi di potere come autogoverni di coloro che lottano per un’alternativa dentro il sistema. Il progetto fa propri gli elementi antisistema con i quali la creazione di municipi autonomi ribelli inizia a rafforzare la capacità di resistenza dei popoli e la sua capacità di creazione di un sistema alternativo. Entrambe le politiche - la costruzione e l’integrazione del potere - sono indispensabili ad una politica di resistenza e di creazione di comunità e di reti di comunità che facciano del rafforzamento della democrazia, della dignità e dell’autonomia, la base di qualsiasi progetto di lotta. I Caracoles corrispondono ad un nuovo stile di esercizio del potere di comunità intessute nella resistenza e per la resistenza, nelle quali coloro che comandano si sottomettono alle comunità per costruire ed applicare le linee di lotta e di organizzazione, senza che per questo smettano di dire “la loro parola” né gli uni e né gli altri, ma sempre nel rispetto dell’autonomia e della dignità di persone e popoli

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che riconoscono in ogni atteggiamento paternalistico ed in ogni “generosità umanitaria” non solo qualcosa di simile alle “azioni civiche” dei nemici, ma pure alle azioni sbagliate degli amici, fratelli e compagni che non hanno ben compreso l'importanza della solidarietà impegnata e rispettosa. Più che un’ideologia del potere dei popoli-governo, i Caracoles costruiscono ed esprimono una cultura del potere che nasce da cinquecento anni di resistenza dei popoli indios d’America e che s’inserisce nella cultura universale per la costruzione di un mondo tanto vario quanto quello che implica qualsiasi alternativa multinazionale, multiculturale, con diverse civiltà ed anche con caratteristiche e valori comuni dei costruttori dell’alternativa stessa. I cambiamenti che portano alla concretizzazione ed alla precisione del pronunciamento zapatista sui Caracoles, corrispondono ad un metodo molto innovativo che dobbiamo rendere esplicito per noi stessi senza timore di sbagliarci e di farci correggere da quelli che lo hanno scoperto o gli danno un altro significato. Dobbiamo anche trasformare questo modo di pensare, oggi identificato con lo zapatismo, in una specie di sentire comune in cui siano presenti i nostri diversi modi di pensare, di esprimersi, di agire, sapendo che il necessario dialogo chiarisce affinità e differenze e favorisce linguaggi comuni e consensi sempre più ampi, capaci di un agire multiculturale per un mondo alternativo. Chiarito che “il modo di pensare” non è tutto e che a ciò si aggiungono le “verità del cuore”, fondamentali nella cultura maya, abbiamo bisogno di continuare a precisarlo per noi stessi ed agli altri con dialoghi e testi che raccolgono il suo uso da quando gli zapatisti hanno iniziato ad impostare un nuovo progetto universale, nei loro comunicati insurrezionali ed in quelli diffusi durante i dialoghi di San Andrés e durante la lotta per i diritti dei popoli indios, fino ad ora, nel momento in cui fanno loro quei diritti che formalmente sono stati loro negati. In questa nuova tappa della loro storia, gli zapatisti costruiscono un’alternativa pacifica di transizione ad un mondo praticabile, meno autoritario, meno oppressivo, meno ingiusto, che abbia la capacità concreta di continuare a lottare per la pace con democrazia, giustizia e libertà. Il metodo o la maniera più o meno costante di fare e di pensare, pare avere sette caratteristiche principali. La prima consiste nell’usare le combinazioni più che le disgiunzioni. Invece di dire e fare “questo o quello”, si dice e si fa “questo e quello”. L’insieme è molto più della somma delle parti: è l’articolazione delle parti. Il problema tra fratelli è duplice: non sottrarre né disarticolare. La forza di resistere cresce quando i popoli indios non solo si articolano tra loro, ma anche con i popoli non indios che lottano per gli stessi obiettivi, sempre nel rispetto delle differenze personali o religiose o culturali o tattiche. La seconda caratteristica consiste nel generalizzare i concetti contemporaneamente alla generalizzazione delle reti di comunità. Quando si generalizza il pensare, tenendo conto dei protagonisti sociali pensanti che compongono le reti della resistenza e delle alternative, si possono focalizzare con maggiore facilità i problemi dell’unità nella diversità e la possibilità concreta che diversi protagonisti partecipino alla stessa lotta in maniera uguale o diversa: così, per esempio, se la generalizzazione avviene in relazione all’unione di diversi popoli maya e da lì si passa a generalizzare comprendendo popoli indios nahoas, mixtecos, tarascos (...), le generalizzazioni si arricchiscono delle particolari esperienze di resistenza e autonomia che gli altri popoli vivono ed esprimono. La forza della generalizzazione attuale è ancora maggiore quando s’includono come protagonisti i contadini, i lavoratori, gli studenti che pensano ed agiscono in funzione degli stessi obiettivi etici, culturali e sociali della resistenza e del mondo alternativo, ma che possono avere strategie e tattiche diverse per raggiungerli, alcune valide solo nella situazione specifica ed altre che possono essere adattate per combinare esperienze che rafforzano ed ampliano le reti. In terzo luogo, il metodo permette l’elaborazione di concetti sempre più profondi, come quando si percepisce chi sta facendo crescere la resistenza e chi la sta indebolendo, corrompendo o distruggendo, in maniera deliberata o meno. Il concetto e la forza delle reti si approfondiscono (e questa è una quarta caratteristica) quando tanto nell’azione quanto nella riflessione, si passa dalla lotta contro il cacique alla lotta contro il governatore

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che appoggia il cacique e da lì si sale a tutta la “specie” o la “classe” di “ricchi e potenti” che appoggiano non solo il cacique contro cui si sta lottando, ma pure altri caciques, politici ed impresari che appoggiano una compagnia multinazionale da cui dominano o cercano di dominare grandi territori con progetti come il Plan Puebla Panama. Immediatamente diventa chiaro a se stessi, come persona o collettività, che la lotta contro il cacique non è solo la lotta di un popolo, ma di molti, e che tutti gli “uomini del potere e del denaro” non solo appoggiano il cacique o i caciques quando si sentono minacciati, ma addirittura scatenano una guerra nascosta o aperta con forze convenzionali e no, militari e paramilitari, destinata a difendere i loro interessi e valori o a conquistare nuove ricchezze, territori e popolazioni che diventeranno futuri “profughi”, “sepolti” o “salariati irregolari”. Quinto: Per resistere all'attacco della “specie” o “classe” dei ricchi e potenti che si protrae da cinquecento anni, nel cuore (nel senso maya del termine) e nella coscienza (nella ridefinizione critica della teoria della prassi) si sente che è necessario allargare le articolazioni delle forze sorelle che attualmente o potenzialmente lottano per gli stessi obiettivi ne Los Altos e nelle selve del Chiapas, o dovunque in Messico e nel mondo. Una sesta caratteristica si presenta come segue: Passare dall’astratto o formale al concreto o attuale, corrisponde all’espressione “andare al di là di...” che allude alle tappe superate. Ma qui l’espressione “andare al di là” coglie la necessità di superare ciò che nel passato ha mostrato debolezze e mantenere nello stesso tempo quello che nel passato ha dato forza alla resistenza ed alla costruzione di un’alternativa, questo sì, con i dovuti adattamenti e ridefinizioni che l’esperienza esige e che consigliano i cambiamenti, propri della narrativa del vecchio Antonio. Una settima e ultima caratteristica di questa lista incompleta, è in relazione con le utopie che si esprimono e si realizzano pur tra contraddizioni. È la necessità di superare “le idee dei cavalieri erranti” che cercavano di “riparare i torti” per costruire (“facendo strada camminando” come disse il poeta) relazioni personali, relazioni sociali, culturali, sistemi sociali che, pur tra gli ostacoli, favoriscano la pratica e la concretizzazione di determinati obiettivi come “la democrazia, la giustizia, la libertà”. Questa è la caratteristica dei sogni e delle impertinenze di Durito, di quei sogni ed impertinenze, ben o mal giudicati, idealisti e picareschi di cui si nutre l’immaginazione del mondo intero, maya o non maya, occidentale o non occidentale, classico o moderno, o postmoderno. Sembra qui necessario chiarire che in tutti i casi, i metodi del vecchio Antonio e di Durito si congiungono. Entrambi prospettano la dignità di persone e collettività come elemento di forza indistruttibile, non negoziabile, cioè come l’arma più feroce contro la dittatura del mercato e la colonizzazione mercantile della vita. Per essere effettiva, la dignità si articola nell’autonomia della persona e delle collettività. Non solo diventa includente, raccogliendo la miglior tradizione liberale del rispetto di tutte le credenze, religioni, razze, nazionalità, civiltà, ma incoraggia pure tutti quelli che, siano indios o no, messicani o no, vogliono costruire un altro mondo possibile, e che si organizzino in reti di autonomia lì dove vivono, includendo i propri vicini prossimi e lontani, conversando con loro, scambiando sogni infranti e realizzati ed andando molto al di là della solidarietà, di per sé valida, ma insufficiente, verso la costruzione ed organizzazione di reti di popoli autonomi e di altre forze in lotta per un mondo in cui tenda a prevalere la democrazia, la giustizia e la libertà. Il progetto dei Caracoles è la sintesi di molti precedenti progetti degli zapatisti, quelli che il mondo ha iniziato a conoscere dieci anni fa e che ora si articolano in quelli scoperti durante il cammino verso il riscatto del mondo per l'umanità di indios e no. Se lottano per la democrazia, la libertà e la giustizia iniziano a praticarle ed a rafforzarle nella propria terra. Il nuovo progetto zapatista si lega a tutte le forze che lottano contro il neoliberismo, contro la guerra economica e militare che fa stragi nei paesi soggetti ai sistemi di indebitamento e di saccheggio imposti dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale, dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, dalle grandi potenze con a capo il governo degli Stati Uniti ed i suoi alleati e subordinati locali, come l’attuale governo del Messico, e tutti i partiti che in Senato ed alla Camera dei Deputati del Messico hanno negato e tolto ai popoli indigeni i diritti che si erano impegnati a riconoscere loro.

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La miopia o la cecità delle forze dominanti è tale, e la loro superbia o capacità di inganno tanto accecata, da non riuscire a vedere l’immensa opportunità che si presenta con la messa in marcia dei Caracoles nell’imporre un cambiamento storico pacifico mediante il negoziato, senza cooptazione né mediatizzazione di leader e tramite forze che lottano per sopravvivere e per un mondo alternativo. Gli zapatisti offrono al Messico, un’altra volta ancora, un nuovo cammino di pace, con le porte e le finestre aperte all’umanità.

Una nuova strutturazione del potere La fondazione dei Caracoles negli antichi Aguascalientes fornisce vari contributi alla ristrutturazione del potere in modo pacifico e dentro il quadro della Costituzione. Nello stesso tempo, mentre conserva la sua convinzione ribelle, genera una nuova logica legislativa che viene dalla società civile ed il cui carattere innovatore molto probabilmente s’estende come la “spirale dal tratto deciso” che il vecchio Antonio ha tracciato nella corteccia di un albero. Dalla spiegazione concisa del comandante Brus Li (9 agosto 2003) e da altri testi che sintetizzano quello che sono i Caracoles, si comprendono alcune priorità nell'azione politica per la ristrutturazione del potere e per la creazione di percorsi verso un mondo alternativo. Queste priorità si diffonderanno sicuramente tra molti movimenti alternativi dentro al sistema e antisistema, in un dialogo universale, reale e non solo virtuale, a distanza ed in diretta, che si realizza già attraverso i “siti” e i periodici via internet e incontri e manifestazioni che vanno dalla Lacandona stessa e dall’ “Altro Davos” fino a Seattle e Cancún. Precisare quali sono le priorità dei Caracoles nella concretizzazione o attualizzazione della ristrutturazione del potere dal basso e da quelli che stanno in basso, in diverse parti del paese e del mondo, presenta difficoltà e traduzioni da una lingua all’altra, da un linguaggio metaforico ad un altro più o meno diretto, e da una realtà storico-sociale e culturale specifica ad una diversa. Prevede anche la scoperta di simpatie e differenze concrete che i protagonisti collettivi, rurali e urbani, asiatici, africani o americani del nord e del sud, europei ed australiani, rivelano nelle diverse realtà. Le generalizzazioni appaiono dal vivo, le spiegazioni universali pure e questo permette di distinguere meglio le differenze che si devono rispettare e conservare e quelle che portano al necessario dialogo dell’universo dei protagonisti. Le buone traduzioni concettuali, razionali ed emozionali, facilitano la conoscenza di quanto gli zapatisti si propongono con la fondazione ed organizzazione dei Caracoles, questa strana metafora che ha qualcosa della cultura mesoamericana e qualcosa del pensiero critico più profondo ed attuale. “Molti” dovranno fare analisi, rinnovare (o concretizzare) concetti comuni applicabili e variazioni universali. Dovranno dar priorità, come generi, al dialogo ed al dibattito, all’argomentazione esatta che avvicina agli obiettivi più cari fino a quando uno deve retrocedere per farsi precedere da quel desiderio di capire qualcuno mediante l’osservazione, la riflessione e l’espressione chiara, le “parole fondamentali” che raccolgono consensi ed effetti nella resistenza e nell’autonomia articolate. Dalle parole del Subcomandante Marcos sull’organizzazione dei Caracoles, si evince che questi corrispondono alla conoscenza dell’interiore e dell’esteriore, della visione di chi non solo si guarda, ma guarda gli altri; di chi s’incoraggia ed incoraggia gli altri - per quanto lontano siano e per quanto addormentati giacciano nelle loro fughe e nei loro sogni - a partecipare con azioni sempre più efficaci per raggiungere gli obiettivi proposti. I Caracoles si organizzano per non perdersi a pezzi, per vedere l’insieme e per agire nell’insieme articolato dei popoli della propria “terra” e del mondo. Saper ascoltare e parlare per pensare ed agire, corrisponde ad un insieme di azioni organizzate il cui punto di partenza sta nell’evocazione degli dei mesoamericani che incaricarono qualcuno di sostenere il cielo. Per svolgere il suo compito, “il sostenitore del cielo” si mise “appeso sul petto un caracol con cui ascolta i rumori e i silenzi del mondo per vedere se tutto è a posto e con il caracol chiama gli altri sostenitori perché non si addormentino o perché si sveglino” (4 agosto 2003).

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A quest’evocazione mesoamericana se ne aggiunge un’altra che collega gli “antichi maestri” dei maya al cuore di Pascal e ad una nuova filosofia dei “ragazzi delle bande”, emotiva e tecnologica nello stesso tempo, che appare nella cosiddetta “Era della Comunicazione” e che prospetta il sapere come potere alternativo. A detta degli “antichi maestri”, “finché la parola cammina il mondo è possibile che il male si calmi e il mondo sia a posto…”. “Così dicono” - commenta il Subcomandante - ed aggiunge: “Per questo la parola di chi non dorme, di chi vigila sul male e sulle sue malvagità, non cammina in linea retta da un lato all’altro, ma cammina verso se stessa seguendo le linee del cuore, e verso l’esterno seguendo le linee della ragione...”. (Un commento: Durito ha fatto notare al Sub che sarebbe stato meglio che “avesse messo”: “che cammina verso se stessa e verso l’esterno seguendo le linee del cuore e della ragione...”. Senza la disgiunzione che nel passato ha negato l’autocritica del cuore... e perfino della ragione…! Ancora non si sa perché il Subcomandante abbia preferito questa versione...). Una lettura corretta dei principi del pensare-fare delle nuove organizzazioni zapatiste, obbliga non solo ad includere la vasta gamma che va dalla conoscenza di se stessi fino ai processi storici che, tra le svolte, riescono a raggiungere punti sempre più alti. Un’attenta lettura dei testi metaforici, narrativi, riflessivi, ammonenti e convincenti dell’Ezln, porta ad una maggiore comprensione solo se ognuna delle loro espressioni ed immagini si lega all’enorme capacità di resistenza che hanno dimostrato gli zapatisti in tutti questi anni di assedio e dolore, di povertà ed inganni, senza che abbiano distrutto in loro né la speranza, né la decisione di continuare a lottare, né l’immensa capacità di cercare nuove forme di costruire un altro mondo che sia possibile nelle parole e nei fatti. Con questo stesso spirito bisogna abbozzare alcune priorità dei Caracoles e relativizzare quello che a volte si dice di loro, chiarendo ovviamente che questa è solo una lettura e che ce ne possono essere altre, anche degli stessi autori: 1. Nell’ambito legale e nazionale, creare l’autonomia esercitata e non dipendere dal fatto che lo Stato la riconosca per organizzarla, che significa assumersi in prima persona il compito e l’esercizio di costruire e praticare l’autonomia e l’autogoverno. L’autogoverno è responsabile di mettere in pratica i principi di democrazia, giustizia e libertà e di renderli espliciti alla comunità o alle comunità che costituiscono l’autogoverno e alle persone che lo compongono, la cui autonomia di pensiero e critica dovrà pure essere rispettata. 2. Combinare la democrazia partecipativa con la democrazia elettorale sempre che alla democrazia venga dato il suo significato reale di governo del popolo, per il popolo e con il popolo, ed a questo significato si aggiungano gli annessi essenziali della lucida proposta che gli autogoverni siano multietnici e rispettosi delle diverse credenze e filosofie, così come dello spirito laico nell’istruzione, della ricerca e della diffusione della cultura. 3. Passare dagli “spazi di incontro” critico e contestatario, generatori di speranze e piani di azione, alle giunte di Buon Governo che ascoltano, fanno, decidono e comandano, obbedendo alle comunità ed alle loro organizzazioni territoriali. 4. Assumere il ruolo e “la logica del legislatore dell’alternativa” per rendere effettivi i diritti dei popoli indios nell’organizzazione della loro autonomia. Il Buon Governo dei Caracoles deve essere il primo a riconoscere ed esercitare i diritti per non agire con arbitrarietà come fa il malgoverno. Nel caso che alcune regole risultino essere poco convenienti nella pratica, il Buon Governo le modificherà previa consultazione con le comunità. Nel caso che il Buon Governo diventi malgoverno, sarà destituito dalle comunità. (Usanza d’altro canto molto sperimentata nelle culture mesoamericane e che oggi si arricchisce con le esperienze di altre culture ed organizzazioni politiche che si erano proposte l’autogoverno e non ce l’hanno fatta per errori o populismo o caudillismi non superati, non controllati ed i cui effetti autodistruttivi non erano nella coscienza concreta di chi voleva costruire autentici autogoverni).

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5. Impedire in tempo qualsiasi spaccatura nell’autonomia e nell’unità perché entrambe sono la forza delle comunità e possono essere preservate solo se il Buon Governo impedisce, con il quotidiano esercizio della democrazia, la formazione di mafie e clientele che si stacchino dalle proprie comunità e facciano del separatismo di comunità e di popoli un modo per soddisfare ambizioni meramente personali o di gruppo, come è accaduto in molti paesi della nostra America, le cui oligarchie del XIX secolo hanno infranto l’ideale bolivarista, o nella Yugoslavia che mise in primo piano il suo fallito progetto di autogoverno, origine delle mafie che dopo la sconfitta hanno mostrato ed accresciuto le loro fortune illegali ed i loro autoritarismi contumaci. Se quelle lezioni di morale sono ben lungi dall’essere “pure illusioni” per qualsiasi progetto di interesse generale, è suicida dimenticare le lezioni storiche dell’immoralità passata e presente. Quelle lezioni sono chiare nello zapatismo quando dichiara indegni coloro che abusano del potere o si piegano davanti al potere, coloro che danno regalie e fanno concessioni personali e paternaliste dall’alto del potere, e coloro che le accettano sottomessi. 6. Avere la capacità di cambiar se stesso ribelle senza smettere di esserlo. Avere l’interezza di passare da progetti insurrezionali armati a progetti di negoziato senza tentennamenti - come a San Andrés - o a posizioni di arroccamento nella resistenza - come dopo che il Congresso ha negato i diritti ai popoli indios - o alla ristrutturazione del potere locale con le reti dei Caracoles, dopo un lungo periodo di silenzio espressivo e riflessivo durante il quale le esperienze dell’organizzazione preliminare e locale del Buon Governo nell’autonomia hanno permesso di proporre un progetto forte di reti con prospettive nazionali ed internazionali. 7. Abbandonando la presa del potere con la forza, costruire il potere delle comunità come progetto che combina il micro ed il macro nel processo di costruzione delle basi organizzate, con le variazioni necessarie in alcune regioni o paesi rispetto ad altri, ed in diverse situazioni all’interno dello stesso paese o della stessa regione. Forse per questo punto è necessario chiarire un poco di più che il progetto degli zapatisti non corrisponde alla logica anarchica o libertaria, per aggiornate che siano, né alla logica statalista di presa del potere dello Stato o di riforma dello Stato, per decaduti o disprezzati che siano. Bisogna chiarire che il progetto cerca di costruire il potere a partire dalla società civile, cosciente che quella costruzione in molte parti del mondo, con l’esaurimento delle lotte politiche e continuando a subire persecuzioni armate convenzionali o no, obbliga gli abitanti ad esercitare il diritto all’autodifesa dei propri villaggi e delle proprie case, e che se ad un certo momento propongono azioni armate per una ribellione contro l’ordine ingiusto ed oppressivo, predatore, sfruttatore ed escludente, ora ancora una volta confermano la loro vocazione pacifica con un nuovo cammino che, per quanto possibile, sarà ribelle ed agirà nell’ambito legale e che farà tutto quanto è necessario nelle sue strutture politiche e sociali per impedire negoziati con cooptazioni che incrinino l’autonomia delle persone e delle comunità. La politica della dignità inizia dal rispetto di se stessi che esige ed organizza il rispetto degli altri. La lotta per la costruzione del potere a partire dalle più piccole comunità e municipi fino alle zone e alle regioni articolate, è la lotta concreta degli zapatisti. Costituisce un contributo molto importante alla crescita della forza necessaria nella transizione ad un mondo nuovo senza sostenere una “teoria generale” per cui ovunque, tutti, in qualsiasi momento dovrebbero costruire la transizione allo stesso modo, il che sarebbe assurdo ed errore in cui cadono coloro che dimenticano l’enormità e la varietà del mondo. Nello stesso tempo, questa posizione degli zapatisti non è né “antipartito” né cerca di fondare un partito. Gli zapatisti non si propongono di fondare un partito che sia alla testa di un blocco per la presa di potere dello Stato, né vuole competere nelle elezioni come un nuovo partito dello Stato. Tentano di percorrere il nuovo cammino di costruzione di comunità e reti di comunità autonome. Se queste ultime ottengono per caso una “ricollocazione distrettuale” ed una “rimunicipalizzazione” riconosciuta dal governo, questo fatto, come gli Accordi di San Andrés, sicuramente non implicherà nessuna concessione di principio e permetterà solo che i popoli lottino per i propri valori ed interessi entro una legalità formalmente riconosciuta.

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In ogni caso, la politica di “ricollocazione distrettuale” e “rimunicipalizzazione” presuppone, come requisito minimo e prova di buona volontà del governo, l’abbandono della pressione militare e paramilitare che i popoli indios hanno subito e subiscono. La sua necessaria cessazione è ineluttabile per la costruzione del nuovo cammino. Se questo non avviene, è perché nel governo continuano a dominare la cecità e la miseria con cui il Congresso ha respinto i diritti dei popoli indios, contro la volontà dei popoli del Messico e della nazione messicana. La mancanza di riconoscimento legale dell’autonomia renderà difficile ma non fermerà la marcia dei Caracoles ed il loro vigoroso progetto di costruire ed articolare le autonomie dei popoli indios e non indios. Il progetto rientra nella Costituzione e nel diritto di associazione dei popoli e dei cittadini. 8. Chiarire che sebbene la nuova politica non sia insurrezionale né riformista né libertaria o anarchica, riconosce la validità di molte categorie scoperte da quei movimenti e perfino da altri precedenti, come i liberali e patriottici della nostra America, ma che risiede invece nel pensare e nell’agire collettivo dei popoli indios scoprire le definizioni attuali ed i linguaggi comunicativi del pensiero critico e alternativo, di sistema e antisistema, nelle sue diverse versioni ed esperienze riformiste e rivoluzionarie o nazionaliste o libertarie. Inoltre, è necessario chiarire con reiterate espressioni verbali, mimiche, intertestuali, che ci sono elementi del postmodernismo europeo e statunitense nelle sue manifestazioni più creative e radicali, che sono e saranno incluse nei testi e contesti del Buon Governo con i loro limiti attuali e con quelli che appariranno dalle porte e dalle finestre della “più piccola delle alternative” o da quelle che si articolano da qualsiasi punto cardinale. Non c’è alcun dubbio che questo non sia un progetto solo zapatista o indigeno o chiapaneco o messicano, ma che invece vada incontro nel dialogo a livello mondiale a progetti simili, così com’è giustificatamene orgoglioso del mandato lasciatogli dai “primi abitanti di queste terre”. 9. Precisare che il progetto dei Caracoles passa dalla mera protesta, o manifestazione o mobilitazione, alla resistenza ed all’organizzazione del pensiero, della volontà e dell’azione. Assume come prioritarie le politiche dell’educazione e della salute e cerca di risolvere per quanto può, i problemi dell’alimentazione, del vestiario e della casa, del lavoro e della retribuzione giusta delle comunità e dei lavoratori. Nello stesso tempo incoraggia reti di commercio di base tra comunità, piccoli produttori e commercianti della “economia informale”, segnalando preferenze ai mercati locali e nazionali. I limiti e le contraddizioni su questo terreno sono ben noti agli zapatisti. Prospettano una maggiore capacità di resistenza di fronte al “commercio iniquo” ed ai “rapporti disuguali di scambio” a cui cercano di contrapporre quello che si può, con l’articolazione dei mercati e dei produttori locali per una politica di sopravvivenza. La capacità di ottenere migliori “condizioni di scambio” con i “centri dirigenti” o sfruttatori che vendono caro e comprano a basso prezzo, dipenderà dall’insieme di reti che si forgeranno e dal loro comportamento nella ristrutturazione del potere delle comunità rispetto ai mercati colonizzati. Non c’è dubbio che questo è uno dei punti più difficili da risolvere ed è proprio quello che affrontano i più poveri tra i poveri: lo sfruttamento in tutti i modi dei lavoratori delle etnie ed il commercio particolarmente iniquo con le etnie. 10. Cambiare parte dei costumi più retrogradi della vita quotidiana relativi al rispetto delle donne, dei bambini, degli anziani. 11. Appoggiare ed appoggiarsi ad organizzazioni ed ai movimenti autentici di operai e contadini, di studenti, di “abitanti emarginati delle città”, di “profughi”, di immigrati nazionali e stranieri, di ecologisti, ai movimenti di genere, di età, di preferenza sessuale, che difendono terre e territori, diritti umani sociali e individuali. 12. Assumere ed articolare la lotta crescente in America Latina e nel mondo intero contro le politiche neoliberiste di saccheggio, depredazione e conquista, tra cui sono particolarmente minacciose quelle dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (Alca), quelle del Plan Puebla Panama ed in generale della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, della triade Stati Uniti-Giappone-Europa con tutte le loro reti di governi collaborazionisti e sottomessi.

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13. Opporsi radicalmente a qualsiasi azione di terrorismo, sia di Stato che della società civile, ed a qualsiasi tipo di avvicinamento o rapporto con il narcotraffico. 14. Stabilire reti di informazione e cultura, con spazi di riflessione e dialogo locale, regionale, nazionale ed internazionale, promovendo con queste non solo l’informazione autentica ed il dialogo politico-sociale, ma pure il dialogo “delle scienze e delle arti universali”. Fino ad ora il progetto dei Caracoles pare confermare la decisione degli zapatisti e dei popoli indios di lottare in modo pacifico per i diritti dei loro popoli, per la democrazia con autonomia e l’autogoverno all’interno degli stessi. Cerca inoltre di articolare le sue lotte per la democrazia, la giustizia e la libertà con gli altri popoli del Messico e del mondo. In termini pratici e politici, si tratta di un progetto che tenta di imporre la transizione negoziata per ottenere i diritti dei popoli indios e no. Il progetto dei Caracoles si propone di aumentare la forza dei popoli e delle loro reti per ottenere soluzioni negoziate sulla base di principi non negoziabili. Cosciente di essere solo “una parte molto piccola” del movimento mondiale, lo zapatismo affronta ed esige la cessazione della guerra d’impoverimento, della minaccia militare e paramilitare, della discriminazione culturale e sociale, delle politiche di mal sanità, ignoranza e fame che tante vittime hanno mietuto in Messico e nel mondo. Va aldilà delle mere contestazioni all’imperialismo ed ai governi collaborazionisti, ai loro capi ed alle mafie. Di fatto, prospetta un’alternativa mondiale non solo all’oppressione ed alla dominazione dittatoriale dei popoli, ma anche all’offensiva colonialista dell’imperialismo neoliberista ed al sistema capitalista mondiale. Ai precedenti progetti rivoluzionari e riformisti o libertari, ne aggiunge uno che tenta di superare le brutte esperienze dei governi rivoluzionari, riformisti o autocratici nella lotta per la democrazia, la liberazione ed il socialismo. Il nuovo progetto universale, nato nei villaggi poveri, tende ad unire tutte le lotte e ad arricchirle con quelle in atto per la morale politica, per l’autonomia e la dignità delle persone e delle comunità e per cominciare a fare da se stessi quello che si vuole che facciano pure gli altri.

Fonti originali

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Comandante Brus Li. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Plan La Realidad-Tijuana, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003. Comandante David. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Palabras de Bienvenida, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto, 2003. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Palabras para los hermanos indígenas que no son zapatistas, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Palabras de clausura, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003. Comandanta Esther. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Para los pueblos indios de México, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003. Comandanta Fidelia. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, A las mujeres, El nacimiento de los caracoles, 9 agost, 2003. Subcomandante Insurgente Marcos. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Chiapas, la treceava estela (primera parte): un caracul, in “La Jornada”, 24 luglio 2003; (seconda parte): una muerte, in “La Jornada”, 25 luglio 2003; (terza parte): un ombre, in “La Jornada”, 26 luglio 2003; (cuarta parte): un plan, in “La Jornada”, 27 luglio 2003; (quinta parte): una historia, in “La Jornada”, 28 luglio 2003; (sesta parte): un buen gobierno, in “La Jornada”, 29 luglio 2003. Falso, el reporte sobre encuentro con la Cocopa: Marcos, in “La Jornada”, 7 agosto 2003. Fragmento de la presentación de Radio Insurgente, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003.

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Ejército Zapatista de Liberación Nacional, A las juntas de buen gobierno zapatista. A los municipios autónomos rebeldes zapatistas. A la sociedad civil nacional e internacional, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003. Comandante Omar. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, A los jóvenes, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003. Comandanta Rosalinda. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Resistencia y autonomía, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003. Comandante Tacho. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Para los campesinos de México, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003. Comandante Zebedeo. Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Para los pueblos del mundo, El nacimiento de los caracoles, 9 agosto 2003.

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Carlos Montemayor Il sorgere dell’alba…*

Il 21 ottobre scorso, in Bolivia, un anziano dirigente Aymara mandò dei saluti ai “fratelli indigeni del Messico”. Era un mallku di circa 70 anni. I mallku sono gli uomini “di grande saggezza” ed incarnano il concetto tradizionale di anziano. “Il mio nome è Crispin Maria Ma mani”, ha detto al corrispondente del quotidiano messicano “La Jornada”. “Ho una carica esecutiva nella provincia di Pacajes. Noi, etnia Aymara, siamo la maggioranza assoluta. E voglio mandare un saluto ai fratelli indigeni della provincia messicana, ai fratelli zapatisti, che hanno lottato anche loro come noi”. Perché a quest’anziano la lotta guerrigliera zapatista è sembrata equivalente alla lotta civile degli aymara boliviani? E’ sorprendente che, ai suoi occhi, l’Esercito zapatista di liberazione nazionale, organizzazione armata, appaia come una lotta civile simile a quella delle genti che in Bolivia hanno abbattuto il presidente della Repubblica. Forse si deve al fatto che l’apporto fondamentale dell’Ezln continua ad essere la rivalorizzazione dei diritti dei popoli indigeni, qualcosa d’importante non solo per il Messico, ma per l’intero continente. Forse anche al fatto che l’Ezln organizzò i primi incontri internazionali - li chiamarono “intergalattici” - contro la globalizzazione irrazionale, che i boliviani hanno affrontato con coraggio nel caso dell’esportazione del gas. A dieci anni di distanza, dobbiamo valutare il movimento dell’Ezln come una delle molte facce dello sviluppo indigeno nei campi educativo, letterario, politico, economico, e di protezione dei diritti e del territorio in diverse regioni del Messico. Ma dobbiamo anche vederlo come una parte o come la faccia di un diamante più complesso a livello continentale; in questo momento i movimenti in Bolivia, in Equador, in Guatemala, in Cile o in Colombia sono indicatori del fatto che siamo di fronte ad un processo molto vasto. Sappiamo bene che la riforma costituzionale in materia di diritti indigeni approvata dal Congresso dell’Unione ha voltato la schiena ai punti chiave degli Accordi di San Andres e della proposta di legge della Cocopa 2. La riforma ha definito le popolazioni indigene come entità di interesse pubblico e non come soggetti di diritto pubblico; cioè, li ha considerati come soggetti passivi dei programmi assistenziali del governo e non come detentori di diritti politici nei diversi ambiti e livelli in cui potessero far valere la loro autonomia. Gli si è negato l’uso collettivo del loro territorio, già approvato nell’Accordo 169 dell’OIT (Organizzazione Internazionale del Lavoro), ratificato dal Senato della *

Titolo originale: El despuntar del alba. Tratto dal sito italiano di Znet (“Proceso”, Edicion Especial 13), gennaio 2004. Traduzione di Barbara Cerboni (http:// www.zmag.org/Italy/ montemayor-sorgerealba.htm). 2 Cocopa: Commissione Interparlamentare di Concordia e Pacificazione, formata nel marzo 1995; stipula gli Accordi di San Andreas sui diritti indigeni nel febbraio 1996, accettati dall’Ezln [NdT.].

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Repubblica nel 1990, per cui su questo punto il Congresso dell’Unione ha fatto marcia indietro di più di dieci anni. La riforma prosegue subordinando le popolazioni indigene, e disconoscendo loro la titolarità di diritti politici, territoriali ed economici come popoli aventi una diversa cultura. La legislazione messicana, in realtà, è una delle più arretrate in materia di diritti dei popoli indigeni. Da ormai dodici anni il Nicaragua ha riconosciuto territori autonomi indigeni nei villaggi della Costa Atlantica. Le costituzioni di Colombia e Brasile riconoscono i territori autonomi delle popolazioni indigene, e insieme ad Equador e Paraguay, riconoscono anche che i diritti collettivi di queste popolazioni, come i diritti umani, sono antecedenti alla formazione degli Stati. Nell’aprile 1999, il Canada ha riconosciuto il territorio autonomo delle popolazioni Inuit. Si tratta di un territorio con un’estensione di 1.900.000 kmq, quasi quella della repubblica messicana, che è 1.956.000 kmq. Questo territorio autonomo, chiamato Nunavut Kamavat, governo di Nunavut, non ha provocato nessun danno in Canada, e neppure tra i ghiacci dell’Artico canadese. La Costituzione messicana, in questa materia dei diritti indigeni - insisto - è rimasta indietro. D’altra parte, dobbiamo ricordare che queste riforme costituzionali hanno rappresentato per l’Ezln un rifiuto categorico da parte del potere esecutivo, del potere legislativo e del potere giudiziario. Fu un rifiuto di Stato, non di un gruppo o di un partito. Pertanto, chi pose fine ad una possibile ripresa di un dialogo, chi cancellò l’opportunità di un possibile accordo, fu lo Stato messicano stesso, non l’Ezln.

Le giunte del Buon Governo Siamo spesso incuriositi dal silenzio dell’Ezln, in particolare dopo le riforme costituzionali. Per il mondo occidentale quello che non appare nei media non esiste, e per le culture indigene quello che appare nei media molto probabilmente non è certo. Abbiamo una concezione di realtà diversa. Non credo che loro siano sempre obbligati a dire qualcosa a proposito, in un dialogo immaginario senza significato. Quando hanno parlato il paese non ha sentito. Con le giunte del Buon Governo dell’Ezln abbiamo oggi l’opportunità di capire che sono le riforme costituzionali ciò di cui il Messico ha bisogno. Gran parte della vita delle comunità indigene trascorre in processi decisionali autonomi; le comunità indigene vivono così da secoli. Gli ambiti di queste decisioni autonome sono molto vasti. Un punto basilare è l’ordinamento lavorativo solidale non remunerato, conosciuto come “fajina”, “tequio” o “lavoro comunitario”. I membri della comunità sono obbligati a cooperare con il proprio lavoro alla costruzione di edifici, ponti, strade, dighe, o di altre infrastrutture di cui la comunità beneficia direttamente. In epoca di semina o di raccolto, il lavoro comunitario assume modalità diverse a seconda del luogo, della zona o della famiglia, ma parte sempre dalla reciprocità. Un’istituzione sociale come questa è stata essenziale per la sussistenza di numerose comunità, che non sarebbero state in grado di assumere mano d’opera. In questa stessa dinamica comunitaria s’inseriscono altri elementi che regolano il prestito di grano, cibo, bestiame, attrezzi, in un ordine di reciprocità e di restituzione del prestito, senza usura. Le autorità comunitarie costituiscono un esempio rilevante delle istituzioni politiche autonome di molte popolazioni indigene. Le autorità assumono diversi livelli di responsabilità sociale in festività religiose, nell’organizzazione dei servizi, dei pasti, degli inviti alla divisione territoriale, di musica, processioni, danze, e del servizio d’ordine. Le funzioni civili e religiose dimostrano la capacità di ognuno dei membri della comunità, e permettono l’assegnazione delle cariche in funzione della capacità dimostrata. Gli incarichi non sono remunerati, né portano benefici economici. L’assemblea comunitaria o i consigli di anziani determinano i procedimenti ed i regolamenti che assicurano la continuità e la sicurezza della comunità. Giorno dopo giorno, i villaggi prendono decisioni in modo autonomo. E’ una vita politica naturale alla loro cultura, e senza la quale non avrebbero potuto sopravvivere in un paese come il nostro. La Costituzione messicana accetta la composizione multietnica del paese, ma non riconosce le istituzioni normative tradizionali delle popolazioni indigene. Questa realtà politica e sociale esiste di fatto, ma

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senza riconoscimento costituzionale. Non vogliamo vedere o non desideriamo capire questa realtà, ma è più attiva e vitale di quanto lo siamo noi stessi. Quasi sempre preferiamo ignorarla. Ora, le giunte del Buon Governo sono un’utile dimostrazione di quello che esiste e di quello che loro difendono. E’ una realtà de facto, sì, solamente di fatto. In futuro tornerà ad essere de jure, di diritto. Gli Stati liberi e sovrani non mettono a rischio la Federazione, non sono separatisti, sebbene abbiano le proprie leggi, i propri tribunali, e la propria amministrazione delle risorse. I municipi liberi non costituiscono uno Stato dentro lo Stato, sebbene abbiano le proprie autorità e la propria amministrazione delle risorse. Perché non riconoscere nei territori indigeni il diritto ad avere una propria cultura, amministrazione ed autorità? Le giunte del Buon Governo dell’Ezln potranno aiutarci a capire meglio questa realtà del Messico che ci rifiutiamo di accettare. L’Ezln è molto di più di un movimento armato, quindi, perché anche le guerriglie si evolvono. La guerriglia messicana, che ha avuto inizio nel 1965 nelle montagne di Chihuahua, si è andata evolvendo in forme diverse di organizzazioni politiche, di organizzazioni intellettuali, di organizzazioni di base. L’Ezln ha sviluppato un linguaggio politico totalmente innovativo che proviene dalle stesse strutture formali del tojolabal. Non si dimentichi che il XIX secolo ha avuto molte guerre indigene. Una delle più significative, chiamata del Yaqui, iniziò nel 1825 e finì nel 1908. Inoltre, la cosiddetta Guerra de Castas dei popoli maya dello Yucatan, andò dal 1840 al 1909. Di fronte a questi movimenti, dobbiamo riconoscere che i primi dieci anni dell’Ezln sono appena un inizio, il sorgere dell’alba. L’Ezln è un processo. Non è un ciclo compiuto. E’ un processo vigente, attuale. I contingenti dell’Ezln oggi parlano con i fatti e non con le parole, ma a noi, a quanto pare, non basta sentire le parole quando loro parlano, né vedere i fatti quando li mettono in pratica. Dunque, l’Ezln è più di un esercito, più di un gruppo di uomini armati. E’ una coscienza che si propone di rinnovare il pensiero politico dell’intero paese.

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Adelfo Regino Montes 20 e 10 il fuoco e la parola* Nell’interpretazione del tempo e dello spazio, noi mixe usiamo la parola ipx per il numero 20. Di fatto, come per molti popoli indigeni dell’America centrale, il numero 20 ha un posto centrale nella cosmogonia mixe, custodito gelosamente dai nostri saggi ed anziani. Secondo questa logica, il Zempoaltepeti (i venti colli) rappresenta il massimo simbolismo della spiritualità mixe. Allo stesso modo, è il numero venti che costituisce la base della nostra numerazione; e 20 sono anche i giorni che formano un mese nel calendario ereditato dai nostri antenati. Il numero 20 rappresenta il momento in cui si chiude un ciclo, vale a dire, la fine ed il principio dell’esistenza, che in lingua mixe chiamiamo tääy jëëkëëny, un concetto duale in cui entrambe le parole coesistono. Come altri hanno detto, è il momento in cui il serpente si morde la coda, alludendo alla fine di un ciclo ed all’inizio di un altro. Di modo che la fine di un ciclo implica, al tempo stesso, il suo principio, in una sorta di spirale. Questa concezione ancestrale acquisisce un significato speciale nell’ambito delle celebrazioni convocate dall’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) per i suoi 20 anni di esistenza. Un ciclo che, per come ci è apparso, può essere descritto come il trascorrere della notte fino alla mattina. La notte, come quella fase relativa ai primi 10 anni di gestazione nelle montagne e nelle comunità indigene del sudest messicano, che sotto il manto dell’oscurità sparse i semi che avrebbero germogliato all’arrivo della luce del sole. Il giorno, come quell’alba che, simile al dolore di un parto, portò il 1° gennaio 1994, per fare spazio, nella coscienza e nel cuore dell’umanità, ad una realtà dolorosa ed alle giuste aspirazioni dei 62 gruppi etnici indigeni del Messico. Per l’Ezln sono trascorsi 20 lunghi anni in cui un ciclo di vita si è sviluppato in mezzo al dolore ed alla speranza. Allo stesso modo, sono passati 10 anni da quando l’Ezln ha visto la luce del giorno, per rendere visibile e denunciare una realtà ingiusta, facendo appello al Messico ed al mondo per costruire una vita più degna e più giusta. 20 e 10, il fuoco e la parola, come loro chiamano la festa per commemorare questi cicli, offre un’opportunità per riflettere sulla trascendenza del movimento zapatista nei diversi ambiti della vita nazionale, in modo particolare nella lotta per i diritti indigeni.

Visione di una realtà negata Anche se noi popoli indigeni siamo gli abitanti originari di queste terre, e abbiamo dato una radice ed un volto diverso al Messico, è certo che abbiamo patito una storia di negazione permanente. Con l’insurrezione armata dell’Ezln, tuttavia, ci siamo resi visibili e le nostre realtà sono diventate oggetto di riflessione a tutti i livelli della vita nazionale ed internazionale, a partire dalla nostra stessa voce e dal nostro stesso pensiero. Fino ad allora, gli “indigeni” erano visti con disprezzo, con umiliazione, con razzismo, con discriminazione. Questo doloroso fenomeno, a volte chiamato etnocidio, non ha costituito una pratica solo da parte del governo, ma anche di ampi settori della società nazionale; si è trattato di un fenomeno generalizzato. A livello governativo, la politica di assimilazione e di integrazione si erano radicate, e si arrivò a ritenere che l’indigeno fosse povero per la sua cultura e, quindi, si doveva combattere la sua cultura per ottenere la sua emancipazione ed il suo sviluppo. Con lo “Ya Basta!” zapatista, quest’assurdo storico è venuto allo scoperto, e da allora noi popolazioni indigene siamo viste con maggior rispetto e con vera solidarietà. Questo nuovo atteggiamento permette di vedere in tutta la loro crudezza i problemi di emarginazione, povertà ed esclusione in cui vivono *

Tratto dal sito italiano di Znet (“Proceso”, Edicion Especial 13), gennaio 2004. Traduzione di Barbara Cerboni (http://www.zmag.org/Italy/ adelfo-fuocoparola.htm).

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quotidianamente i nostri popoli, ma permette anche di scorgere la nostra grande ricchezza umana, culturale e naturale, che ha alimentato la diversità e la pluralità messicane. Grazie all’insurrezione zapatista, oggi viene dato valore al contributo umano e culturale dei popoli indigeni alla nazione nel suo insieme. Se prima nello spettro nazionale eravamo attori eludibili che potevano rimanere al margine delle questioni che ci riguardavano direttamente, oggi siamo soggetti attivi nella difesa delle nostre rivendicazioni collettive e nella costruzione di una nuova relazione con lo Stato e con la società in generale. Ma non solo questo: abbiamo anche una voce legittima nella difesa della sovranità nazionale, delle risorse strategiche che appartengono a tutti noi messicani, del sistema d’istruzione pubblica, delle garanzie e dei diritti fondamentali, così come della costruzione di un Messico più democratico, più degno e più giusto. E’ frutto del movimento zapatista il fatto che ampi settori della società messicana abbiano scoperto i popoli indigeni come soggetti storici capaci di intraprendere un loro proprio sviluppo e dotati di dignità sufficiente per costruire un paese nuovo, basato sul rispetto e sulla dignità. Senza il sangue ed il dolore degli uomini e delle donne zapatisti, sarebbe stato molto difficile cominciare a cambiare l’annosa cultura di discriminazione che pesa su di noi. Così, oggi siamo soggetti visibili, e proprio questo è un punto di partenza necessario per risolvere i grandi problemi che affliggono i nostri popoli.

Gli accordi e il dialogo interculturale Per il fatto che non veniva riconosciuta socialmente e politicamente l’esistenza del soggetto indigeno, non c’era dialogo. Nella fase postrivoluzionaria, la politica era servita a fomentare i cacicazgos (caciccati) regionali ed a sottomettere, mediante la forza pubblica ed il corporativismo dei partiti, i villaggi e le comunità indigene. La relazione asimmetrica di subordinazione conduceva alla non necessità di un dialogo tra loro e le autorità. Quando occasionalmente le genti indigene arrivavano ad ottenere qualche risposta dallo Stato per risolvere le loro questioni più pressanti, questo dipendeva da una concessione di volontà del governo, basata sulla carità o sull’animo generoso del governante di turno. Nel caso migliore, e davanti ad una pressione dei propri popoli, come successe nel 1992 in occasione dei cinquecento anni dalla conquista spagnola di queste terre, il governo si è limitato ad aprire alcuni forum, che si sono trasformati in monologhi per il prestigio di alcuni esperti nel tema. La partecipazione indigena è stata molto limitata. In queste condizioni, nell’interesse di mantenere una certa immagine esteriore, il governo messicano fece una riforma dell’articolo 4 della Costituzione, mediante la quale erano riconosciuti alcuni diritti culturali dei popoli indigeni. Tuttavia, in questo modo lo Stato manteneva la porta chiusa verso la possibilità di un dialogo veritiero. Con la sollevazione zapatista e la pressione della società civile affinché il conflitto fosse condotto verso una soluzione pacifica, il governo messicano si è visto obbligato ad un dialogo con le genti indigene ribelli. Questo avvenimento, che da allora ha avuto diversi momenti, ha presentato una fase di grande speranza con i dialoghi di San Andres Larrainzar sui diritti e sulla cultura indigena, nel 1996. Ben presto, gli zapatisti trasformarono questo sforzo in un vero dialogo interculturale che ha coinvolto non solo le genti indigene, ma anche ampi settori della società civile che tradizionalmente lavoravano con queste comunità. I diritti indigeni, intesi come “l’insieme delle rivendicazioni e delle aspirazioni che noi popoli indigeni abbiamo esposto allo stato messicano per risolvere gli annosi problemi di emarginazione, esclusione, povertà, discriminazione e colonialismo interno”, si sono costituiti come punto di partenza nella complessa agenda dei dialoghi di San Andres, come questione che doveva essere discussa con i rappresentanti del governo messicano in condizioni di uguaglianza ed in un’ottica interculturale. Il dialogo iniziò con la presenza e la partecipazione attiva di uomini e donne indigene del Messico, che si recarono a San Andres, come consiglieri o invitati dell’Ezln. Si trattava di un fatto inedito nella

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storia del Messico, perché mai prima noi rappresentanti indigeni avevamo avuto l’opportunità di dialogare in condizioni di parità con i rappresentanti del governo messicano. Ma, soprattutto rappresentava una magnifica opportunità per aprire un dialogo tra noi stessi, e per costruire una nuova relazione con la nazione basata sul rispetto e sulla solidarietà, per ottenere obiettivi comuni. Quest’ultimo sforzo ha avuto un momento speciale con la celebrazione del Forum nazionale indigeno, che ha dato origine in seguito a quello che oggi è il Congresso Nazionale Indigeno (CNI). Frutto di questo dialogo interculturale sono stati i cosiddetti Accordi di San Andres sui diritti e sulla cultura indigena, che hanno rappresentato un punto di accordo tra il governo federale ed l’Ezln. La loro importanza e la loro trascendenza consistono nel fatto che, per la prima volta, il governo messicano ha cominciato a riconoscere, nella forma, la natura storica e collettiva dei diritti fondamentali dei nostri popoli. Per la loro importanza, sono: •













Il riconoscimento costituzionale dei popoli indigeni, che discendono da popolazioni che abitavano il paese all’epoca della conquista, o colonizzazione, e dell’instaurazione delle attuali frontiere statali, e che, indipendentemente dalla loro situazione giuridica, conservano le proprie istituzioni sociali, economiche, culturali e politiche, o parte di esse. Per la definizione dei popoli indigeni si è stabilito come principio fondante il criterio della coscienza della propria identità indigena. Il riconoscimento, come garanzia costituzionale, del diritto alla libera determinazione, da esercitarsi in un ambito d’autonomia, assicurando l’unità nazionale. Con ciò si sarebbe potuto, di conseguenza, decidere la propria forma di governo interna e le proprie modalità di organizzazione politica, sociale, economica e culturale. Questo avrebbe permesso il raggiungimento dell’effettività dei diritti sociali, economici, culturali e politici nel rispetto dell’identità. Il riconoscimento dei sistemi normativi interni dei popoli indigeni, con la garanzia del pieno rispetto dei diritti umani. In questo senso, si stabilì l’obbligo dello Stato messicano di riconoscere le autorità, le norme, e le procedure di risoluzione dei conflitti interni dei villaggi e delle comunità indigene. Il riconoscimento ed il rispetto delle specificità culturali dei popoli indigeni, tramite concrete attività di produzione, ricreazione, diffusione e promozione. Si stabilì, nello stesso modo, l’obbligo dello Stato ad elaborare piani e programmi educativi in accordo con la realtà e con la cultura dei popoli indigeni, e l’incorporazione dei saperi indigeni nei piani e nei programmi d’istruzione nazionali, allo scopo di ottenere un’istruzione veramente interculturale. Il riconoscimento alla partecipazione ed alla rappresentanza politica nell’ambito statale e nazionale, nel rispetto delle diverse situazioni e tradizioni, e rafforzando un nuovo federalismo. Questo comporterebbe ridisegnare le attuali forme di rappresentanza nelle istanze del dibattito e delle decisioni nazionali, tenendo conto di nuovi criteri che siano in accordo con la diversità culturale e con la distribuzione geografica dei popoli indigeni. Il riconoscimento ad uno sviluppo armonico e sostenibile che rispetti la cultura dei popoli e la madre natura. Questo sviluppo dovrebbe essere definito a partire da criteri culturali propri dei popoli e dovrebbe avere sostegno nell’utilizzo delle potenzialità umane e naturali, per coprire le proprie necessità, e produrre in eccedenza per mercati che contribuiscano a generare impiego tramite processi produttivi che incrementino il valore aggregato delle risorse, e migliorino la dotazione di servizi di base delle comunità e delle regioni circostanti. Il riconoscimento ad avere una vita degna a livello individuale e collettivo, mediante lo sviluppo di politiche, programmi ed azioni che permettano livelli base di alimentazione, salute, abitazioni, tra le altre cose, con un’attenzione prioritaria alle donne ed alla popolazione infantile. Allo stesso modo, si stabilì come garanzia fondamentale la promozione di politiche sociali specifiche volte a proteggere gli indigeni migranti.

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Tutti questi diritti sono stati consacrati negli Accordi di San Andres. La discussione sulle terre, i territori e le risorse naturali delle genti indigene è rimasta una questione irrisolta per il fatto di essere stata trattata alla Tavola 3, relativa allo sviluppo. Dalla sottoscrizione degli Accordi, noi genti indigene insieme ad ampi settori della società nazionale abbiamo richiesto la loro giusta applicazione. Davanti a quest’esigenza, la Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) elaborò un’iniziativa di riforme per trasformarla in norma costituzionale. Nonostante i grandi sforzi dell’Ezln, delle genti indigene e della società civile, tra cui la marcia per la dignità indigena effettuata nel 2001, la proposta della Cocopa è stata ignorata dallo Stato messicano, ed entrò invece in vigore la riforma costituzionale che, in quello stesso anno, non solo rinnegava il contenuto di base degli Accordi, ma violava i procedimenti che la Costituzione e la legge stabiliscono per realizzare una riforma costituzionale. Venne il silenzio degli zapatisti, indignati per questa situazione. Allo stesso tempo, circa 330 municipi indigeni del paese presentarono cause costituzionali alla Corte Suprema di Giustizia Nazionale (SCJN) per mettere in discussione la legalità della riforma costituzionale in oggetto. Tuttavia non abbiamo trovato eco in questo tribunale, come neppure abbiamo ricevuto giustizia dalla Costituzione stessa dello Stato messicano. La SCJN si dichiarò non competente, dicendo di non avere la facoltà di sottoporre a revisione gli atti dell’organo riformatore, vale a dire, il Congresso dell’Unione e la Legislazione degli Stati. Quindi, le porte della giustizia sono rimaste chiuse per noi. Questa chiusura non è stato un fatto nuovo, visto che l’abbiamo subita nel corso dei secoli. Ma non abbassiamo la guardia. Una volta esaurite le istanze nazionali, in alcune comunità e villaggi indigeni ci siamo rivolti a istanze internazionali per denunciare l’inadempienza dello Stato messicano sia nel Convegno 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT), sia nei trattati internazionali che proteggono i nostri diritti. Presentammo un reclamo all’ufficio dell’OIT in cui dicevamo che al momento dell’emanazione della suddetta riforma costituzionale, si era violato il diritto alla consultazione che abbiamo noi genti indigene, stabilito nel sesto articolo del Convegno 169. Allo stesso modo, ricorremmo alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), allo scopo di denunciare la violazione delle nostre garanzie fondamentali, tra cui, in modo particolare, il diritto all’udienza, e richiedendo che fossero risarcite dallo Stato messicano. La risposta a queste istanze internazionali è ancora in sospeso, ma abbiamo coscienza del fatto che stiamo lasciando testimonianza storica delle ingiustizie che stiamo continuando a subire collettivamente e individualmente. Non rimanere in silenzio è un'altra delle lezioni che abbiamo imparato dai nostri fratelli zapatisti.

Il cammino d’autonomia Di fronte alla chiusura dello Stato, si è aperto un nuovo cammino: quello dell’autonomia. Di fatto, questo cammino non è nuovo, visto che in numerosi villaggi indigeni del Messico e del mondo l’autonomia costituisce una pratica ed un’esperienza ancestrale, grazie alla quale molte delle nostre istituzioni politiche, giuridiche, economiche, sociali e culturali sono riuscite a sopravvivere. In questa prospettiva, l’autonomia è un cammino che è stato prima percorso dai nostri antenati. Forse la differenza sta nel fatto che ora ci tocca esercitarla in circostanze nuove. Secondo questo punto di vista, negli ultimi mesi l’Ezln ha reso completamente esplicita, nelle idee e nei fatti, la necessità di approfondire e consolidare i suoi rispettivi processi d’autonomia attraverso i municipi autonomi e le giunte del Buon Governo raggruppate nelle cinque caracol che sono state istituite. Quest’iniziativa zapatista rappresenta la miglior risposta allo scetticismo ed al rifiuto dello Stato messicano, così come di alcuni soggetti politici e sociali che non hanno accettato l’esistenza ed il riconoscimento dell’autonomia indigena, così come era stato convenuto a San Andres.

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Forse, costruendo concretamente, si potrà capire meglio che noi genti indigene concepiamo l’autonomia come un meccanismo giuridico e politico che ci permette di avere più ampi spazi di libertà, per possedere, controllare e gestire i nostri territori; per regolare la nostra vita politica, giuridica, economica, sociale e culturale, così come per intervenire, in condizioni di dignità e di equità, nelle decisioni statali e nazionali che ci riguardano. Non si tratta di separarci dallo Stato messicano, come dicono quelli che hanno tradizionalmente vissuto a nostre spese; desideriamo solo rafforzare la nostra capacità di decidere in tutti gli ambiti della vita quotidiana, come l’economia, la politica, la dispensazione e l’amministrazione della giustizia, le questioni territoriali, la cultura e l’educazione, e in generale tutti gli aspetti sociali, con un’identità ed una coscienza propria, con l’apertura sufficiente per comunicare con gli altri cittadini del paese e del mondo. Questo è ciò che è risultato difficile da accettare a chi governa questo paese. In un tale lavoro di costruzione, l’autonomia indigena deve essere vista come un processo politico e sociale di ricostruzione del soggetto delle regioni autonome, in questo caso le popolazioni indigene. Questo acquisisce rilevanza in virtù del fatto che durante i secoli abbiamo subito azioni di distruzione ed etnocidio. Il colonialismo aberrante ha diviso, atomizzato e debilitato molte delle nostre istituzioni politiche, giuridiche, economiche, culturali e sociali. Questa ricostruzione deve partire dal locale, in questo caso dalle comunità e dai municipi indigeni, per propagarsi a livello regionale. Non è compito facile, ma una delle questioni centrali nella consolidazione dei diversi processi delle regioni autonome è precisamente la costruzione del soggetto in questi diversi livelli. E anche se sul piano comunitario e municipale abbiamo avuto uno sviluppo importante, è certo che a livello regionale stiamo appena iniziando. E qui sta la sfida più importante. Per affrontare questa sfida, le genti indigene hanno una grande esperienza a cui oggi si somma la luce zapatista, che comincia ad alluminarci nelle nascenti Caracoles. Questa luce sicuramente c’indicherà nuovi orizzonti, con la coscienza del fatto che non otterremo un solo risultato, ma molti, secondo la diversità e la pluralità delle nostre genti. Allo stesso modo, dobbiamo continuare ad insistere sull’urgente necessità di una profonda trasformazione dello Stato messicano, perché riconosca le giuste rivendicazioni delle nostre genti. Come abbiamo fatto osservare in altri tempi, l’autonomia indigena sarà possibile solo in una nuova concezione dello Stato e del diritto. Perciò, è necessario abbandonare la concezione monista dello Stato, e incamminarci verso una visione plurale e aperta. In questa ottica avremo, di conseguenza, uno stato multietnico e pluriculturale nell’ambito di un pluralismo giuridico. Si tratta di una responsabilità collettiva, nella coscienza del fatto che questo paese non potrà raggiungere la democrazia e la pace se i diritti dei popoli indigeni, in particolare quello relativo alla libera determinazione ed all’autonomia, continuano ad essere esclusi dall’ordine giuridico nazionale e dai valori fondamentali che sono alla base del Messico. E’ ora di assumere la nostra responsabilità in omaggio a quegli uomini e donne che dieci anni fa ci hanno restituito la speranza.

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SECONDA PARTE Oltre la Selva

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Sergio Rodríguez Lascano La “logica paradossale” dello zapatismo* “Logica: 1. Disciplina che studia la struttura, il fondamento e l’uso delle espressioni della conoscenza umana. 2. Serie coerente di idee e ragionamenti”. “Paradosso: 1. Idea strana opposta a ciò che si considera vero o all’opinione generale. 2. Espressione logica nella quale si trova un’evidente incompatibilità. 3. Coesistenza antilogica di cose”. (Il piccolo Larousse illustrato) “Tutto ciò lascia intendere che il discorso geopolitico si paralizza in una sorta di impasse o aporia generalizzata: nulla funziona e tutto può accadere. Questo si regge nel ritenere giustificato il collasso panoramico e mondiale da qualcosa come un parapetto, però sul bordo dell’abisso, del deserto o del caos. Questo reggersi del collasso può apparire sonnambolico, poiché è un procedimento, per l’esattezza, uno spostamento, un passaggio, un movimento o un’azione, un ‘fare’ guidato da questa strana attenzione vigile che i sonnambuli mantengono nel momento del rischio maggiore. Alcuni sonnambuli camminano al limite del caos abissale, e nel momento in cui sanno e dichiarano che ormai basta, che tutto è confuso, disarticolato, che non funziona niente, che tutto finisce nel noncammino, nell’impasse, nell’aporia, nel momento in cui sono persuasi che proprio questo discorso panoramico è antiquato, si fanno avanti, se non come pazzi, visionari, profeti o poeti, allucinati, almeno come sognatori che vogliono tenere gli occhi aperti [...]. Se all’improvviso do un nome al sogno, senza dissociarlo dal sonnambulismo, è per prenderli, come si dice, con le buone. Non per disdegnare il rischio assoluto che corre il sonnambulo, al contrario, per approssimare, oltre il sapere e la filosofia, politica o no, al di là di tutti i modelli e di tutte le norme prescrittive di cui viviamo l’esaurimento, il pensiero di ciò che viene e che non può non essere alleato di ciò che contrae una parentela con il sogno e con il poetico, sempre che, evidentemente, si pensi al sogno in maniera diversa dal solito. Voglio ricordare che, alla domanda ‘Che fare?’, che costituisce allo stesso tempo, simultaneamente, direi, una domanda molto vecchia, senza dubbio, neppure troppo a dire il vero, però anche una domanda piuttosto nuova, una domanda ancora non ascoltata, tra le altre cose Lenin risponde, e con interessanti precauzioni: ‘è necessario sognare’ ”. (Jacques Derrida, Che fare della domanda che fare?)

Dall’insurrezione zapatista del primo gennaio 1994 si è venuto costituendo, con grandi difficoltà ma in maniera ferma, un modo di agire, pensare, elaborare e spiegare una politica che agli occhi di buona parte dei pensatori di sinistra appare eretica, antiscientifica, precapitalistica, adatta alla selva ma non alla polis, moralista, antistorica o antiteorica, per menzionare soltanto alcune qualificazioni. Senza dubbio, poche volte nella storia della lotta per l’emancipazione di un movimento, apparentemente tanto locale, di gente tanto povera, di cui la maggioranza parla una lingua autoctona, ha ottenuto un’eco tanto profonda, tanto radicata nei diversi soggetti sociali che oggi si esprimono nel mondo e nel nostro paese. Ciò ha permesso a vari teorici della vecchia sinistra, e ad alcuni vecchi della nuova, di lambiccarsi il cervello, spaventati ed infastiditi da questa eco. Costoro, che pure hanno la capacità di parlare di qualunque paese e suggerire una linea politica al popolo argentino, o iracheno o italiano o cubano (che nessuno di questi, poi, per il suo bene, segue), non mostrano la capacità di comprendere nella sua globalità il fenomeno zapatista. Lo zapatismo rappresenta allo stesso tempo due cose apparentemente contraddittorie: da un lato è un movimento di rottura con la forma tradizionale della teoria e della pratica della sinistra, e dall’altro rappresenta la continuità più profonda delle lotte emancipatrici dei lavoratori nei campi e nelle città. Rottura e continuità. Questo, che per alcuni è un’aporia, è in realtà il brodo primordiale di un nuovo pensiero. Effettivamente, come dice Francoise Proust: “Ogni presente è critico. Ogni presente è una battaglia. La storia è la storia del presente [...]. Soltanto un principio di verità può ascoltare altri principi *

Titolo originale: La “lógica paradójica” del zapatismo. Tratto dal sito italiano di Znet (“Rebeldía”, n. 11), settembre 2003. Traduzione di Sergio De Simone (http://www.zmag.org/Italy/rodriguez-logicazapatismo.htm).

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del passato”. Noi aggiungiamo che un presente di verità dovrebbe prendere le distanze da altri principi passati. Rottura e continuità. Per cercare di avvicinarci a quella che è una possibile comprensione del pensiero zapatista, prendiamo spunto da una formulazione elaborata da Jacques Derrida: la “logica paradossale”. Questa formula mi sembra del tutto adeguata, in contrapposizione alla segnalazione semplicistica dell’esistenza di ipotetiche contraddizione nel pensiero zapatista, che nella pratica renderebbero il pensiero zapatista un sistema contraddittorio. Se prendiamo sul serio l’approccio sviluppato dal Subcomandante Insurgente Marcos, secondo il quale la cosa fondamentale nella teoria zapatista si deve ricercare nella sua prassi e non nel suo discorso, allora dovremmo partire dal fatto che è complicato incontrare un sistema teorico finalizzato. Le contraddizioni apparenti non hanno a che vedere con la differenza che esiste tra il discorso e la pratica, o tra la vita quotidiana e la prassi quotidiana. Nel caso dato dovremmo intendere che questi grandi paradossi che lo zapatismo presenta hanno come elemento logico fondante il fatto di essere prodotto della sua prassi. Segnaliamone alcuni: • • • • • • • • • • • •

 

un’organizzazione politico-militare che non vuole prendere il potere per poi cambiare la società da lì; un’organizzazione politico-militare che non si pone la lotta armata quale unica alternativa; un’organizzazione politico-militare che teorizza con chiarezza solare il carattere antidemocratico delle organizzazioni politico-militari; un’organizzazione di sinistra che parla ad una società civile diffusa, contraddittoria ed a volte disperante, invece che ad una classe sociale ipoteticamente omogenea; un’organizzazione di sinistra che non ricerca la presa sicura di questa o quella corrente del pensiero socialista, ma che fa dell’incertezza il brodo di coltura di una pratica ribelle e di una teoria ribelle, senza cadere nell’eclettismo; un’organizzazione ribelle con grandi radici locali che le permettono di partire da lì per avanzare una proposta mondiale o intergalattica; un’organizzazione ribelle che, senza basare la propria politica sul marketing o sui sondaggi, è riuscita a costruire un sistema di comunicazione con il paese “di sotto” o con il mondo “di sotto” che provoca solo invidia nei pubblicitari; un’organizzazione che si situa con gran modestia ed allo stesso tempo rivendica la dignità come essenza fondamentale del suo “che fare” politico; un’organizzazione che è convinta, per quanto contraddittorio possa sembrare agli occhi della classe politica, che deve esistere una corrispondenza tra quello che si dice e quello che si fa; un’organizzazione che decostruisce una buona parte del discorso tradizionale della sinistra di tutte le varianti, però allo stesso tempo crea i ponti per la ricostruzione non di un pensiero ribelle ma di molti e diversi; un’organizzazione che si muove nel quadro dell’esistente però non rimanda ad un futuro luminoso la trasformazione delle relazioni sociali; un’organizzazione che comprende l’importanza della lotta affinché la società controlli dal di fuori lo Stato, per obbligarlo ad obbedire (“non si tratta di prendere il potere ma di rivoluzionare la relazione tra coloro che lo esercitano e coloro che lo subiscono”), ma che la intende come l’inizio del cammino verso la costruzione di meccanismi di auto-organizzazione per edificare nuove forme di governo (le Case del Buon Governo);

Proust, François, L’Histoire a contretemps. Subcomandante Insurgente Marcos, Il mondo: 7 pensieri a maggio del 2003.

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• un’organizzazione che, a prescindere dal fatto di comprendere l’importanza della costruzione di



governi dal basso, in cui si alteri in maniera permanente la relazione comando-obbedienza che sintetizza l’essenza della democrazia rappresentativa, decide che in quanto tale si mantiene al margine di questo tipo di governi che contribuisce a costruire (“L’Esercito zapatista di liberazione nazionale non può essere la voce di chi comanda, cioè del governo, anche se chi comanda, lo faccia obbedendo e costituisca un buon governo. L’Ezln parla in nome di coloro che stanno in basso, dei governati, dei villaggi zapatisti che sono il suo cuore ed il suo sangue, il suo pensiero ed il suo cammino”). un’organizzazione che passa sopra la vecchia dicotomia riforma-rivoluzione. Non sulla base della presa di posizione per l’una o per l’altra, ma a partire dal riconoscimento che nella nuova situazione vissuta dal mondo la resistenza e la rebeldía assumono forme e caratteristiche nuove, nella misura in cui l’offensiva è globale. E queste resistenze e ribellioni fanno del localismo, del piccolismo, della marginalità eccetera, la loro forza e la loro invincibilità. Gilles Deleuze lo chiarì così: “La vita si converte in resistenza al potere quando il potere ha per oggetto la vita”. Di fronte a questa nuova logica del potere la vita in resistenza è l’alternativa alla riforma o alla rivoluzione.

Soffermiamoci un poco su questi ultimi due punti. Per come stanno le cose, la resistenza è creazione. Quell’ “Ora basta!” delle comunità indigene zapatiste. Quel “non in mio nome!” degli intellettuali israeliani contro l’intervento militare sionista contro i palestinesi. Quel “se ne vadano tutti!” dei lavoratori argentini. Quel “No” alla guerra contro il popolo iracheno, tra le altre cose, rappresentano momenti di creazione che muovono a migliaia e decine di migliaia di esseri umani, che si riappropriano delle strade (gli ampi viali di cui ci parlava Salvador Allende). Queste azioni di resistenza creano grandi orme che permettono di riorientare coloro che Eduardo Galeano battezzò come “i fanciulli persi nell’intemperie” immediatamente dopo la caduta del muro di Berlino. Però soprattutto rappresentano i nuovi segni d’identità di coloro che non vissero la caduta del muro di Berlino, né il crollo del “socialismo reale” e che ora hanno circa quattordici anni (come mia figlia). Bene, dunque, nel caso dell’Ezln questa resistenza creativa ha permesso di scavalcare la muraglia che separava la riforma dalla rivoluzione. Rifiutando due visioni ed al tempo stesso creandone una terza. Né il processo è completo eliminando l’obiettivo finale, né l’obiettivo è la sola cosa che conta. Né il processo rappresenta un lungo processo storico e l’obiettivo un momento di irruzione violenta. Lo zapatismo rompe con questa visione, non perché rinunci all’idea dell’alterazione radicale delle relazioni sociali o perché pensi che la lotta per cambiare, anche solo parzialmente le condizioni di vita della gente, non sia valida, ma per un’altra ragione. Siccome riunisce il processo con l’obiettivo, l’obiettivo si converte in processo ed il processo in obiettivo. Avvicina il futuro e proietta il presente. Rappresenta il miglior esempio di ciò che significhi rompere con il tempo lineare e con il continuum della storia di cui ci parlava Walter Benjamin. Scaricano i loro fucili contro il tempo, contro il tempo lineare (il tempo vuoto) e costruiscono il tempo pieno (pieno di lotte), il tempo ora, allo stesso modo in cui lo fecero i comunardi della grande rivoluzione francese che usarono una parte delle loro pallottole per sparare contro gli orologi dei palazzi e delle cattedrali di Parigi, azione che si ripeté nella rivoluzione del 1830 nella stessa città e nel 1871, nella Comune di Parigi, contro l’orologio dell’Hotel de Ville. Daniel Bensaid, in un libro che ritengo fondamentale (Marx l’'intempestivo), dice che questo pensatore è un “meteco del concetto” (straniero o forestiero del concetto). Lo zapatismo è un “meteco” della sinistra, una cosa strana; non solo per il suo mettere in discussione una serie di paradigmi



Subcomandante Insurgente Marcos, Alle giunte del buon governo zapatista. Walter Benjamín, Tesi sul concetto di storia.  “Meteco”, nome che si attribuiva, nella Grecia antica, ai forestieri liberi che risiedessero stabilmente in una città. 

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fondamentali del pensiero marxista, ma anche e soprattutto perché si situa al di fuori della pratica delle organizzazioni della sinistra tradizionale. Il Subcomandante Marcos lo spiega così: “Su, sediamoci un momento e lascia che ti racconti. Siamo in terre ribelli. Qui vivono e lottano quelli che si chiamano ‘zapatisti’. E questi zapatisti sono molto diversi [...] e sono una disperazione per più di una persona. Invece di intessere la loro storia con esecuzioni, morte e distruzione, s’impegnano a vivere. E le avanguardie del mondo si strappano i capelli perché nel ‘vincere o morire’ questi zapatisti né vincono né muoiono, però neppure si arrendono ed aborrono il martirio tanto quanto lo zoppicamento. Molto diversi, è sicuro [...]”. Sono indigeni ribelli. Rompono in questo modo con lo schema tradizionale che, prima dall’Europa e poi da tutti coloro che vestano il colore del denaro, fu loro imposto per guardare ed essere guardati. Di modo che non si confanno loro né l'immagine “diabolica” di coloro che compiano sacrifici umani per accontentare gli dei, né quella dell’indigeno bisognoso con la mano tesa in attesa dell’elemosina o della carità di chi ha tutto, né quella del buon selvaggio corrotto dalla modernità, né quella dell’infante che diverte gli adulti con la sua balbuzie, né quella del peone sottomesso di tutte le tenute che feriscono la storia del Messico, né quella dell’abile artigiano il cui prodotto adornerà le pareti di chi lo disprezza, né quella dell’ignorante che non deve esprimere la propria opinione su quello che va al di là dell’orizzonte ristretto della sua geografia, né quella del timoroso degli dei celesti o terreni. Perché devi sapere, riposo azzurro, che questi indigeni fanno arrabbiare finanche coloro che simpatizzano con la loro causa. E non obbediscono. Quando ci si aspetta che parlino, stanno zitti. Quando ci si aspetta il silenzio, parlano. Quando ci si aspetta che facciano strada, si mettono dietro. Quando ci si aspetta che seguano, prendono un’altra direzione. Quando ci si aspetta che parlino solo loro, si appartano parlando d’altro. Quando ci si aspetta che si accontentino della loro geografia, camminano per il mondo e le sue lotte. Questi “meteci” della sinistra la misero in crisi o, piuttosto, ne svelarono l’ologramma. Una sinistra abituata a generare mobilitazioni sociali con l’obiettivo di guadagnare un certo numero di punti percentuali alle elezioni, per avere qualche deputato in più; una sinistra abituata a condurre negoziati alle spalle dei suoi rappresentati, nei quali si cominciava domandando case e si finiva accettando carretti di hot dog. O, nello spettro invertito: una sinistra abituata a rispondere alla violenza poliziesca e militare dello Stato generando organizzazioni con un discorso ed una pratica violenta che, poco a poco, andò facendo più paura alla società che al Potere. La lotta zapatista rappresenta un’alterazione di questi piani. Alcuni indigeni osservarono attentamente le dispute di questi giocatori con un potere che cercava di utilizzarli (questi giocatori) in quanto funzionali alla sua dominazione, e misero una botte piena di fango, dei “camminanti” della selva, sopra il primo tavolo e sandali puliti, dei camminanti de Los Altos, sopra il secondo e dissero all’unisono “capito?”. In qualche modo (credo io) la formazione delle giunte del Buon Governo rappresenta la chiusura di un ciclo e l’inizio di un nuovo nella lotta dell’Ezln. Il tipo di autonomia e la decisione dell’Ezln di “non essere la voce di chi comanda” riflettono una pratica politica che dà sostegno alla conclusione di questa fase. Non si tratta più di parlare di qualcosa che significhi un’aspirazione, ma di qualcosa di conquistato. Ora, innumerevoli professori rossi diranno che questo non può essere. Come si dimostrò nel 1871, nella Comune di Parigi (quelli che andarono all’assalto del cielo), questo tipo di governo autonomo non può durare molto. Il problema è che il tempo zapatista non è uguale al tempo della politica tradizionale. Gli zapatisti l’hanno già fatto e stanno dimostrando che è meglio vivere in autonomia. L’estensione di quest’esperienza, naturalmente con le dovute variazioni, è responsabilità di tutti. Con la creazione delle giunte del Buon Governo si dimostra che non è indispensabile la presa del potere centrale dello Stato per modificare le relazioni di dominio ed in generale le relazioni sociali nel loro insieme. Alcuni diranno che questo processo non ha un gran significato perché si localizza in un’estensione di territorio molto ridotta e comprende un numero di persone limitato. Però questa è piuttosto una confessione d’incapacità che una descrizione o spiegazione. 

Subcomandante Insurgente Marcos, La tredicesima stela. Prima parte: Un Caracul.

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Ancora, secondo il Subcomandante Marcos, il criterio di funzionamento nelle comunità zapatiste si basa sul principio del “a ciascuno secondo le sue necessità”, che secondo Marx rappresentava una rottura con lo “stretto orizzonte del diritto borghese”. Una volta di più, qualcuno sosterrà che ciò non è possibile finché non esisterà “un incremento qualitativo nello sviluppo delle forze produttive”, però non c’è modo, gli zapatisti hanno dimostrato che è possibile alterare in maniera durevole le relazioni di dominio basate sul denaro e sul mercato. Che altri si preoccupino dei paradossi zapatisti, che altri li convertano in contraddizioni, che altri annunzino il loro fallimento! Gli zapatisti si accontentano di mettere d’accordo il loro pensiero con la loro azione. Se la risposta corretta alla domanda “che fare?” è sognare, inevitabilmente bisognerebbe aggiungere che affinché questo sogno serva, bisognerà sognarlo ad occhi aperti. Effettivamente l’ultima sentinella deve risvegliare gli altri, però non per dir loro cosa fare ma affinché tutti sognino da svegli, per fare del sogno (...) la vita. Per molte ore questi esseri con il cuore di colore hanno tracciato, con le loro idee, una grande chiocciola [caracol in spagnolo, ndt.]. Partendo dal livello internazionale, il loro sguardo ed il loro pensiero sono andati addentrandosi, passando in successione per il livello nazionale, quello regionale e quello locale, fino a giungere a quello che chiamano “El Votán. Il guardiano ed il cuore del villaggio”, i villaggi zapatisti. Così dalla voluta più esterna della lumaca, si pensano parole come “globalizzazione”, “guerra di dominazione”, “resistenza”, “economia”, “città”, “campagna”, “situazione politica” ed altre che si cancellano una ad una dopo la domanda di rigore: “E’ chiaro o ci sono domande?”. Alla fine del cammino dal fuori verso il dentro, nel centro della chiocciola, restano solo delle sigle: “Ezln”. Poi ci sono proposte e si disegnano, nel pensiero e nel cuore, finestre e porte che vedono solo loro (tra le altre cose, perché ancora non esistono). La parola dispari e dispersa comincia a creare un cammino comune e collettivo. Qualcuno domanda: “C’è accordo?”. “C'è”, risponde affermativa la voce già collettiva. Ancora una volta si ridisegna la chiocciola, però stavolta seguendo il cammino inverso, da dentro verso fuori.



Karl Marx, La critica al Programma di Gotha. Daniel Bensaid, Walter Benjamín, sentinelle messianique.  Subcomandante Insurgente Marcos, La tredicesima stele. Prima parte: Un Caracul. 

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Bernard Duterme Dieci anni di orgoglio senza volto* Sono già dieci anni che gli iconoclasti ribelli del Chiapas ed il loro emblematico Subcomandante Marcos, sono diventati eccezionalmente notizia in Messico ed a livello internazionale. Che bilancio si può fare oggi della loro esplosiva ribellione? Quali contributi hanno portato alla “grande” storia delle lotte, ed alla “piccola” vita quotidiana degli indigeni maya che vivono in questa regione sperduta del Messico? Né euforico, né definitivo, il quadro è sfumato. Per un lato, risulta impossibile sostenere che la ribellione degli indigeni zapatisti del sudest messicano abbia fatto solamente buchi nell’acqua. Catalizzatori del processo di democratizzazione del Chiapas e del Messico, artefici della caduta del partito che monopolizzava il potere dagli anni venti, impulso per la formazione di un movimento indigeno nazionale - per non dire latinoamericano -, affermativo, massiccio e democratico, pionieri di una nuova internazionale plurale, chiamata oggi “altromondista”, gli insurgentes incappucciati possono sentirsi orgogliosi del loro bilancio. Dieci anni dopo la spettacolare insurrezione del 1° gennaio 1994 contro l’ingiustizia e la povertà, il riconoscimento mondiale dei loro meriti alimenta la loro dignità riconquistata e si nutre di essa. D’altra parte, già l’ottimismo smette di essere appropriato. I risultati di un decennio di conflitti più o meno aperti, e di negoziati tra i ribelli ed il governo, rallegrano soltanto i detrattori dell’Ezln. Oltre la debolezza militare, il legame sociale dell’Ezln in Chiapas, che sia stato scalzato o che sia in crisi, appare, per lo meno, minacciato. Il suo atterraggio nello scenario politico messicano, regolarmente rinviato, è finito rovinosamente. In quanto alla sua articolazione “intergalattica” con i contatti altromondisti, ambivalente ieri, evanescente oggi, non ha compiuto le sue promesse.

Una mobilitazione originale e irreversibile I due bilanci non si contraddicono. A seconda se si considera il movimento zapatista dall’alto o dal basso, il ritratto dei senza volto mostra caratteristiche diverse. Gli amici dei ribelli insistono sul lungo periodo, sul carattere irreversibile della mobilitazione chiapaneca, sul suo sviluppo all’interno di un movimento sociale, campesino ed indigeno, forte ed autonomo. Dallo zapatismo militare, che esaurì le sue possibilità nei primi giorni dell’insurrezione, emerge in modo ineluttabile uno zapatismo sociale, civile, promettente e dinamico. Gli atti realizzati dagli zapatisti sono irreversibili. Traggono forza e legittimità da una storia di resistenza che ha più di 500 anni, e la coscienza indigena, forgiatasi con il passare del tempo, appare indistruttibile. Nel futuro non si potrà continuare ad agire come se non si avesse sentito nulla. Simbolicamente, è cambiata la relazione tra gli indigeni ed i gruppi dominanti; fisicamente, il peso degli zapatisti continua ad influire sulla correlazione di forze. Sono gli aspetti innovatori della ribellione quelli che si celebrano instancabilmente, il loro apporto alla storia delle lotte, la loro originalità. Una guerriglia che insorge, combatte alcune ore, fugge e negozia per anni. Guerriglieri che godono di una risonanza inversamente proporzionale alle loro imprese armate. Contestatori che non rinnegano le proprie affiliazioni storiche senza ridursi ad esse. Un movimento armato latinoamericano che non mira alla presa del potere, e che aspira a scomparire il prima possibile, per considerarsi un “assurdo”. Un’insurrezione indigena che lotta a colpi di comunicati stampa, dichiarazioni solenni, azioni simboliche e happenings pacifici. Un esercito di indigeni maya che rivendica diritti legittimi, che invita ad una democratizzazione del Messico, ed a combattere il neoliberismo. Una rivolta campesina della *

Tratto dal sito italiano di Znet (“Proceso”, Edicion Especial, 13), gennaio (http://www.zmag.org/Italy/duterme-rostro.htm).

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2004. Traduzione di Barbara Cerboni

fase post Guerra Fredda, sufficientemente centrata nella problematica dell’identità da non dissolversi, e sufficientemente universale da non ripiegarsi sopra se stessa. Un movimento sociale regionale che moltiplica i legami - indigeno, messicano ed umanista - senza metterli in opposizione, che modera il suo cosmopolitismo mettendo radici e che tempera il suo attaccamento al territorio con l’autodeterminazione. Rivoluzionari democratici che riflettono sull’identità e sollecitano la società civile affinché acquisisca rilievo. Una rivolta che parla di “indefinizione”, quando si vuole inscriverla in una definizione, che ostenta i suoi dubbi come fossero verità. Mai si era visto prima qualcosa di simile. Senza alcun dubbio, il principale successo dell’Ezln, in quella fase, sarebbe stata la sua capacità di incidere sull’agenda nazionale, ed anche in quella internazionale. Non si può negare il merito di aver imposto il tema del riconoscimento delle diversità etniche all’interno degli Stati-Nazione destabilizzati dalla globalizzazione. Se per gli zapatisti e per la maggioranza dei movimenti indigeni latinoamericani la giustizia sociale continua ad essere la stella guida, la loro ricerca si fonda ora sulla responsabilità del potere, sulla rivalorizzazione della democrazia e sulla costruzione di spazi autonomi multiculturali in Stati plurinazionali e sovrani. Questo apporto principale, sebbene distanzi chiaramente questi attori indigeni dai rivoluzionari latinoamericani che li hanno preceduti - e che si ostinavano nella conquista del potere centrale con tutti i mezzi - li differenzia anche da altri movimenti contemporanei che affermano la propria identità, ripiegati sopra se stessi, attaccati - spesso in forma violenta - a leggendarie identità omogenee. Ovviamente, questo profilo attraente non viene fuori dal nulla, ed invece di concentrarsi solamente sulle novità, converrebbe analizzare le condizioni in cui è emerso.

Ostacoli sociali e politici Risulterebbe, tuttavia, troppo superficiale fermarsi lì. Un’analisi più profonda indica che il triplice legame del movimento zapatista - chiapaneco, messicano ed internazionale - corrisponde anche ad un triplice vicolo cieco. In Chiapas le condizioni di vita della maggioranza degli indigeni oggi sono peggiori di quelle del 1994. La strategia nascosta - di “bassa intensità” - delle autorità, che puntano sullo stillicidio della popolazione e sul deterioramento della situazione - mediante l’esacerbarsi dei conflitti tra le comunità ed al loro interno - sta riuscendo nel suo compito. La relativa impunità dei gruppi paramilitari antizapatisti, ma anche l’intransigenza purista dei leader zapatisti verso altre organizzazioni indigene, contribuiscono a questo detestabile clima di delazione, intimidazione e repressione che prevale nella zona. Dal lato dei ribelli, il leitmotiv della “consolidazione, di fatto” dei circa 30 “municipi autonomi”, non inganna ormai quasi nessuno. Dal lato del potere, il fatto che dal 2000 l’opposizione governava nello Stato del Chiapas, sostanzialmente non ha cambiato le carte in tavola. Su scala nazionale, nonostante i compromessi del presidente Vicente Fox e la marcia degli zapatisti su Città del Messico nel marzo 2001, e nonostante gli accordi tra il governo ed i ribelli, nel febbraio 1996 che trattavano del riconoscimento dei diritti autoctoni - [gli zapatisti] non hanno ottenuto gli effetti sperati per l’insieme dei movimenti indigeni e per i loro potenziali dieci milioni di membri. I negoziati per la pace sono sospesi dal 1996! E più di quaranta milioni di poveri, circa la metà della popolazione nazionale, continuano ad essere esclusi dal “miracolo messicano” e dall’accordo di libero commercio firmato con gli Stati Uniti ed il Canada. Tuttavia, nonostante i molteplici propositi, l’articolazione politica dell’Ezln con il resto della sinistra non è avvenuta. La diffidenza tra cappelle ideologiche e lo scaltro sdegno ostentato di tanto in tanto dal Subcomandante Marcos, non hanno facilitato le cose.

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Sul piano internazionale lo zapatismo ha anche perso parte del suo smalto. Precursore della dinamica altromondista, da allora è stato raggiunto ed oltrepassato nell’agenda dei “cittadini del mondo” dai forum sociali realizzati a Porto Alegre e da altre parti. Sebbene gli zapatisti continuino a partecipare all’eco vitale della ribellione oltre le frontiere messicane, il talento di Marcos sorprende di meno, la sua “superbia” infastidisce una parte dei simpatizzanti zapatisti e la sua radicalità democratica ha generato emuli in altri terreni. Ciò nonostante, questo bilancio è solo provvisorio. La ribellione zapatista ha dato la prova della sua capacità di esistere fuori dagli schemi con i quali gli scettici hanno voluto guardarla. Coscienti dei pericoli interni (regressione autoritaria, divisione, dispersione delle capacità di azione), e di quelli esterni (repressione, neutralizzazione, recupero), che stanno in agguato, i loro leader ripetono che la pazienza non è l’ultima delle virtù maya.

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Yvon Le Bot Quale futuro per lo zapatismo?* Perché l’insurrezione zapatista ha avuto tale ripercussione? Nella distanza appare come uno degli episodi più significativi del periodo che va dalla caduta del muro di Berlino a quella delle torri gemelle di New York. Non perché segni la Storia con la ‘S’ maiuscola, bensì perché la sostituisce con storie particolari, le oppone la diversità delle esperienze, delle identità e dei progetti. Qui si radica il risultato storico del movimento. Al di là delle categorie astratte o anchilosate (rivoluzione, classe, potere, cittadini, diritti umani), lascia emergere soggetti individuali e collettivi che si mescolano l’uno con l’altro, entrano in risonanza e costruiscono reti, dando un contenuto concreto alla comunità umana. Negli anni novanta, le ideologie della direzione della storia erano svanite, dando luogo alla grande illusione di una globalizzazione felice, di un regno definitivo del mercato e della democrazia. In questo contesto, la gran parte degli osservatori vedeva nella rivolta zapatista contro il neoliberismo una manifestazione residuale di antiche guerriglie e vecchie ideologie. Al contrario, la rivolta cercò di svincolarsene e di lasciar ascoltare la voce di quegli indigeni che la storia e coloro che si presentano come suoi agenti - gli Stati, la chiesa, i partiti, i movimenti rivoluzionari - hanno schiacciato, emarginato o strumentalizzato. “Di cosa vogliono perdonarci?”. Le vittime negano la vittimizzazione e la colpevolezza, capovolgono le stigmate e trasformano la differenza culturale in un principio di stima e di affermazione di sé. Uguali e diversi, uguali perché diversi, dicono gli zapatisti. L’invenzione di un linguaggio nuovo, spesso intessuto di umorismo, a volte poetico; la valorizzazione della cultura e della sua autonomia, un senso acuto della messa in scena, l’accento sulla scoperta dell’altro e sulla produzione dell’uno stesso, la riflessività (...). Tutti questi tratti, che fanno dello zapatismo un movimento culturale tanto quanto o ancor più che un movimento sociale o politico, gli hanno assicurato un’ampia risonanza tra i settori refrattari alle categorie ed ai quadri classici dell’azione politica o sindacale, tra quelli preoccupati per l’affermazione della propria soggettività, nei mezzi della cultura, tra le donne, i giovani. In Messico però anche nel “primo mondo”, soprattutto in Europa. In un mondo dominato dalla legge del mercato, però in cui esistono altre forze, basate sull’identità ed antidemocratiche, e che erano in movimento per preparare il ritorno del tragico, il movimento zapatista si presentò come un tentativo - né l'unico né il primo, però sì uno dei più brillanti - di opporsi all’onnipotente forza del liberismo e di omologare identità culturali e democrazia. Dove sta questo movimento oggigiorno? La marcia su Ciudad de México del 2001 segnò il suo apogeo. La legge indigena paternalista, adottata dalle autorità e rifiutata dai diretti interessati, paralizzò la dinamica esistente e gli zapatisti si ritrovarono di nuovo confinati nel Chiapas. Passando alla scena internazionale, gli attentati dell’11 settembre completarono il processo che conduceva a metterli fuori gioco. Sei anni prima, con il Trattato del libero commercio del Nord America, il Messico aveva cercato di entrare nel cortile del primo mondo; il sollevamento zapatista contro questo accordo e contro la globalizzazione liberale aveva posto il Chiapas al centro del piano messicano. Il paese, ed in particolare il Chiapas, che si erano proiettati così sulla scena mondiale, furono respinti nel cortile interno ed ai margini. Una classe politica ripiegata sulle proprie dispute interne, una società civile frammentata ed un’opinione internazionale occupata in altre cose. Per uscire da quest’impasse, Marcos si propose, alla fine del 2002, quale mediatore nel conflitto basco; ciò provocò le risposte d’inabituale eccesso verbale delle autorità spagnole e del giudice Baltasar Garzón. Però fu dall’Eta che provenne la reazione più tagliente e che portò Marcos a condannare nettamente questa organizzazione: “Cosa vogliono

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Titolo originale: Tiene futuro el zapatismo? Tratto dal sito italiano di Znet (“La Jornada”), 30 dicembre 2003. Traduzione di Sergio De Simone (http://www.zmag.org/Italy/lebot-futurozapatismo.htm).

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insegnarci? A uccidere giornalisti perché parlano male della lotta? A giustificare la morte dei bambini in nome della causa? Non abbiamo bisogno né vogliamo il loro appoggio o la loro solidarietà”. L’iniziativa basca intorbidì, senza dubbio, il messaggio zapatista e lasciò un gusto amaro in bocca a molti simpatizzanti, tanto in Europa come in Messico. Se l’obiettivo era, come disse il portavoce dell’Ezln, fare incursione sulla scena europea, perché non approfittare del Forum sociale europeo di Firenze, che si sviluppava in quel momento o di qualunque altra manifestazione del movimento altroglobalista in seno al quale gli zapatisti godono di un prestigio immenso? In dichiarazioni recenti Marcos si è attribuito, in chiave esclusiva, la responsabilità di questo “errore” e di altri ancora. Nel gennaio del 2001, alla vigilia della marcia verso Ciudad de México, metteva in guardia dal pericolo delle resistenze fondamentaliste contro la globalizzazione, fossero esse di natura religiosa, etnica o nazionalista. Il cambio di direzione mondiale che si accelerò spettacolarmente l’11 settembre dello stesso anno confermò i suoi timori. Le posizioni e gli assi dei conflitti si spostarono. La “quarta guerra mondiale” che oppone l’iperpotenza statunitense al terrorismo islamico non si confonde con la guerra del neoliberismo contro l’umanità, di cui Marcos parlava anni prima. Il terrorismo, come la guerra, schiaccia la società civile, distrugge i soggetti, li converte in vittime o carnefici, o entrambe le cose. Il ritorno della Storia si accompagna al ritorno di schemi antichi (imperialismo ed antimperialismo), però soprattutto all’ascesa di fondamentalismi che quasi non lasciano spazio, neppure loro, alla diversità ed alla Costituzione di soggetti. In quest’atmosfera ostile alla sua ispirazione, il movimento zapatista ha subito danni, frustrazioni e vacillamenti. Però, lungi dal lasciarsi guidare dalla logica della guerra, ha riaffermato il suo carattere di “ribellione civile e pacifica”. Negli ultimi mesi ha manifestato la sua volontà di non limitarsi soltanto alla resistenza e di consolidare ed estendere il suo progetto di democrazia locale. Ricomporre un tessuto locale, iscrivendosi in una dimensione di lungo termine. Lo zapatismo, che è stato dato per morto molto spesso, dà prova di una sorprendente capacità di permanenza. In questi tempi segnati dalle polarizzazioni, dalle regressioni e dalle increspature, saprà riannodare la marcia con l’immaginazione e la creatività che ne hanno fatto un riferimento?



 

Seconda lettera all’ETA, in “La Jornada”, 15 gennaio 2003. Gloria Muñoz Ramírez, 20 y 10, el fuego y la palabra, México, in “Rebeldía”, La Jornada Ediciones, 2003, p. 290. Conversaciones con Ignacio Ramonet, Marcos, la dignité rebelle, París, Galilée, 2001.

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Justin Podur Dalle Aguascalientes alle Caracoles* Per circa dieci anni gli zapatisti hanno stimolato persone di tutto il mondo. I “municipi autonomi” zapatisti, in particolare, sono stati dei modelli organizzativi per le comunità, e modelli di autogoverno democratico. Questi municipi sono riusciti a fornire non solo migliori servizi di base (per salute, istruzione, cultura, infrastrutture) di quanto non abbia mai fatto lo Stato messicano, ma l’hanno fatto nonostante la violenta opposizione dello Stato (sostenuto dagli Usa), e delle truppe ausiliarie paramilitari impiegate. I processi decisionali democratici all’interno dei municipi, così come la pratica di invitare ed accettare l’aiuto di estranei desiderosi di condividere genuina solidarietà, sono stati esempi da cui i movimenti in tutto il mondo hanno cercato di imparare. E’ stata quindi una sorpresa per molti quando gli zapatisti hanno annunciato il “decesso” dei “municipi autonomi”, programmato per l’8 agosto 2003, e la conseguente “nascita” di qualcosa di nuovo il 9 agosto - e tutto questo avrebbe coinciso con una grande festa. Sostenitori da tutto il Messico e da tutto il mondo sono giunti al municipio ribelle zapatista di Oventic, nelle montagne del Chiapas, per essere testimoni della rinascita delle comunità autonome, dall’8 al 10 agosto 2003. Il Subcomandante Marcos ha esteso l’invito a tutti coloro “che negli ultimi 10 anni hanno sostenuto le comunità ribelli, con progetti, con campeggi per la pace, con carovane, con orecchio attento, o con una parola compañera, in qualunque modo, purché non con la pietà e la carità”.

Pietà e carità La frustrazione per “la pietà e la carità” da parte dei gruppi di solidarietà ha motivato alcuni dei cambiamenti che gli zapatisti hanno annunciato il mese scorso. In un comunicato su questi cambiamenti, Marcos ha descritto alcuni degli episodi frustranti verificatisi negli anni con il movimento di solidarietà zapatista: “Abbiamo cercato di imparare dai nostri encuentros con la società civile nazionale ed internazionale. Ma ci aspettavamo che anche loro imparassero. Il movimento zapatista è insorto, tra le altre cose, per chiedere rispetto. Ed è successo che non abbiamo sempre ricevuto rispetto. Non che ci hanno insultati. O almeno non intenzionalmente. Ma per noi la pietà è un affronto, e la carità uno schiaffo morale”. L’esempio più oltraggioso di schiaffi morali di questo tipo è stato descritto in dettaglio da Marcos, e vale la pena riportarlo: “Ho conservato un esempio di ‘aiuto umanitario’ agli indigeni chiapanechi, di quelli che sono arrivati poche settimane fa: una scarpa rosa con tacco a spillo, d’importazione, misura 6 e ½ (...) spaiata! La porto sempre nel mio zaino per ricordarmi, nel mezzo di un’intervista, di un servizio fotografico, o di un’allettante proposta erotica, cosa siamo per il paese dopo il primo gennaio [1994]: una Cenerentola [...]. Queste brave persone che, in buona fede, ci hanno mandato una scarpa rosa con il tacco a spillo, misura 6 e 1/2, d’importazione, spaiata (...) pensano che, poveri come siamo, accettiamo qualunque cosa, carità ed elemosina. Come possiamo dire a tutta questa brava gente che, no, non vogliamo più continuare a vivere la vergogna del Messico. In quella parte che deve essere abbellita per non rendere brutto anche il resto. No, non vogliamo continuare a vivere in questo modo”. La seconda scarpa con il tacco a spillo non è mai arrivata. Marcos ha inoltre condannato “una carità di tipo più sofisticato. E’ quella che viene praticata da qualche Ong ed agenzia internazionale. Consiste, *

Titolo originale: From Aguascalientes to Caracoles. Tratto dal sito italiano di Znet, 12 settembre 2003. Traduzione di Barbara Cerboni (http://www.zmag.org/Italy/podur-caracoles.htm).

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grosso modo, nel fatto che sono loro a decidere di cosa hanno bisogno le comunità, e, senza neppure consultarle, impongono non solo progetti specifici, ma anche i tempi ed i mezzi per la loro implementazione. Immaginate la disperazione di una comunità che ha bisogno di acqua potabile, e le viene appioppata una biblioteca. Un’altra chiede una scuola per i bambini, e loro le danno corsi di erboristeria”. Oltre allo sviluppo sbilanciato dovuto alle relazioni non proprio soddisfacenti con gli aiuti internazionali e con i movimenti di solidarietà, ci sono ragioni interne per cui gli zapatisti stanno cercando di realizzare il cambiamento.

Governare obbedendo La pratica del “Governare obbedendo”, che precede la presenza zapatista in Chiapas, è quella per cui le autorità sono attentamente monitorate dalla comunità, e richiamate e sostituite quando necessario. L’Ezln ha cercato di usare queste pratiche, affinate a livello locale, nel sistema di governo regionale: “Funzionando con responsabili locali (cioè persone incaricate dell’organizzazione in ciascuna comunità), regionali (gruppi di comunità), e di area (gruppi di regioni), l’Ezln ha visto che quelli che non adempivano ai loro doveri, sono stati, in modo naturale, sostituiti da altri. Anche se poi, dato che si tratta di un’organizzazione politico-militare, la decisione finale tocca al comando”. Il risultato è stato che i dettami dell’organizzazione militare hanno interferito con la democrazia e con l’autogoverno dei municipi. Quando le organizzazioni per i diritti umani hanno cercato di presentare delle rimostranze agli zapatisti, non è stato chiaro chi avessero intenzione di ritenere responsabile: l’Ezln stesso o i municipi autonomi?

Giunte del Buon Governo Per provare ad affrontare questi problemi, i municipi autonomi sono stati riorganizzati in “Giunte del Buon Governo” (così distinte dal “Mal Governo”, che è come gli zapatisti chiamano il governo). Le giunte del Buon Governo “avranno sede nelle caracoles, con una giunta per ciascuna regione ribelle, e saranno formate da 1 o 2 delegati di ciascuno dei consigli autonomi di quella regione. Le seguenti continueranno ad essere le funzioni di governo esclusive dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti: “l’amministrazione della giustizia; la salute della comunità; l’educazione; gli alloggi; la terra; il lavoro; il cibo; il commercio; l’informazione e la cultura e il transito locale. Il comitato clandestino rivoluzionario indigeno in ciascuna regione monitorerà le operazioni delle giunte del Buon Governo, per prevenire atti di corruzione, intolleranza, ingiustizia e deviazione dal principio zapatista del governare obbedendo”. Alcune nuove norme per le giunte del Buon Governo: 1. Non sarà più permesso che le donazioni da parte di estranei siano destinate a qualcuno in particolare, ad una comunità specifica o ad un particolare municipio. Questo aiuterà ad equilibrare lo sviluppo sbilanciato che si è avuto finora. 2. Solo persone e organizzazioni iscritte ad una giunta di Buon Governo saranno riconosciute come zapatiste, per impedire che si verifichino truffe dove i non zapatisti fingono di essere zapatisti, riscuotendo denaro e persino offrendo ‘esercitazioni militari’ - cosa che i veri zapatisti non fanno e non hanno mai fatto. L’Ezln spera che tutto ciò avrà il seguente risultato: “E così, la società civile ora saprà con chi accordarsi per i progetti, per i campeggi per la pace, le visite, le donazioni, e così via. I difensori dei diritti umani ora sapranno a chi devono inoltrare le denunce che ricevono, e da chi devono aspettarsi una risposta. L’esercito e la polizia ora sapranno chi attaccare (basterà solo ricordarsi che siamo già coinvolti, sia noi che l’Ezln)”.

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“I media che dicono quello che sono pagati per dire, ora sanno chi diffamare o chi ignorare. I media onesti ora sanno dove possono andare a chiedere interviste e storie delle comunità. Il governo federale e i suoi ‘delegati’ ora sanno che devono fare come se non esistessero. E il Potere del Denaro ora sa di chi altro deve aver paura”.

Continuità Se gli zapatisti stanno operando dei cambiamenti, quelli che li osteggiano stanno agendo con prevedibile continuità. Ancor prima della festa, un senatore del Partito di Azione Nazionale (PAN), il partito attualmente al potere in Messico, ha detto che il PAN si oppone al tentativo zapatista di “creare uno Stato all’interno di uno Stato”, una distorsione intenzionale della posizione zapatista, confutata anni addietro. Da allora, l’attività paramilitare attorno ad almeno una delle Caracoles, la “Caracol Que Habla Para Todos” (Municipio Autonomo di Roberto Barrios), è aumentata. I capi paramilitari in quella comunità hanno sparato come avvertimento, e minacciato ed insultato i sostenitori zapatisti. Malgrado i cambiamenti, molte cose rimangono le stesse. Le autorità ancora non lasciano in pace gli zapatisti. E gli zapatisti continuano a costruire le loro comunità autonome, e ad insegnare al mondo cosa significa davvero solidarietà.

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Jim Cason, David Brooks Quando l’Ezln sfidò l’Impero* L’influenza della rivolta in Chiapas sul movimento antiglobalizzazione L’insurrezione di quasi dieci anni fa dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) riecheggiò dalle fattorie del Nebraska alle strade di Seattle, dal Pentagono alle schiere di rockettari statunitensi, fu la prima risposta dall’ombelico dell’Impero alla prima ribellione armata del “dopo Guerra Fredda” contro il neoliberismo (il cosiddetto “Consenso di Washington”). Tuttavia, quella che fu una risposta senza precedenti, tanto da parte della gente quanto da parte della cupola del potere statunitense, negli ultimi anni si è andata indebolendo ed ormai è difficile poter valutare la presenza dell’Ezln nella nostra vita politica. Ciononostante, l’Ezln ha indotto straordinari cambiamenti negli Stati Uniti e questi vanno dall’elaborazione di una nuova dottrina della guerra da parte del Pentagono al suo influsso sul movimento “altromondista” che sarebbe poi esploso a Seattle. Vale la pena ricordare che, all’inizio del gennaio 1994, la prima presa di posizione nei confronti della guerra contro l’Ezln non venne da un’associazione per la solidarietà o i diritti umani, né da un’organizzazione specializzata in relazioni con il Messico e l’America Latina, bensì dall’Unione degli Imprenditori Agricoli del Nebraska. In una dichiarazione ed in un appello inviati al governo messicano, l’associazione delle imprese agricole a conduzione familiare segnalò di aver appreso che questo governo stava uccidendo e perseguitando i contadini in Chiapas e chiedeva la fine delle ostilità contro i loro colleghi d’oltrefrontiera. Gli imprenditori agricoli del Nebraska si attivarono perché avevano conosciuto i coltivatori di caffè del Chiapas in occasione di una riunione bilaterale delle associazioni di categoria messicane e statunitensi, preoccupate delle conseguenze dell’integrazione economica che si delineava con il Nafta, il trattato che istituiva l’area di libero scambio dell’America del Nord. Tuttavia, già in quelle prime giornate, ai difensori dell’Ezln si andarono ad aggiungere anche un mosaico di organizzazioni di solidarietà, la chiesa cattolica statunitense ed altre associazioni, regionali e nazionali, per la tutela dei diritti umani. Una rivolta armata in un angolo sconosciuto e remoto del mondo innescò negli Stati Uniti una risposta che si allargava ogni giorno di più. Una delle molle che fece scattare questa reazione quasi istantanea fu internet. Quando l’Ezln irrompe sulla scena mondiale, gli strateghi statunitensi sono costretti ad elaborare una nuova dottrina militare e la valutazione di questo fenomeno sfocia, in misura considerevole, nel nuovo concetto di “guerra di reti”. Così, quando un think-thank privato è chiamato dal Pentagono ad analizzare il fenomeno, David Cason ed il suo collega John Internes studiano come un gruppo sparuto fosse riuscito ad ottenere una visibilità globale. Per loro ciò rappresentava una sfida alla dottrina convenzionale della “sicurezza nazionale”, in quanto si trattava di un fenomeno in grado di superare, o trascendere, i confini nazionali e che, quindi, non poteva essere contenuto, né tanto meno controllato, all’interno del territorio governato da uno Stato nazionale. Si accorgono che il Chiapas e Timor Est, tra gli altri esempi, pur essendo conflitti strettamente locali e distanti dal centro del potere, si trasformano quasi istantaneamente in questioni d’interesse mondiale. Si tratta, pertanto, di una novità che implica, a sua volta, l’impossibilità di controllare e gestire avvenimenti di questo tipo all’interno degli schemi tradizionali di sicurezza nazionale. Secondo gli analisti la parola chiave è “rete di reti”, organismi ed istanze decentralizzati che non possono essere recintati dentro un’unica frontiera o località e che, pertanto, riescono ad eludere gli strumenti di controllo nazionali. Veicolo fondamentale di questo nuovo fenomeno, sempre secondo gli analisti, è internet. Gli analisti militari statunitensi furono anch’essi tra i primi ad esaminare e valutare il conflitto in Chiapas. La prima analisi generale della tappa iniziale del conflitto fu elaborata da esperti del Consiglio di guerra dell’esercito degli Stati Uniti. Da questa risultò che il conflitto era radicato in una serie di *

Tratto dal sito italiano di Znet (“Pagina 12”), (http://www.zmag.org/Italy/cason-chiapas-noglobal.htm).

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4

gennaio

2004.

Traduzione

di

Giampiero

Budetta

problemi socioeconomici rimasti inevasi per decenni e che, quindi, non poteva essere risolto militarmente. La sua soluzione doveva essere cercata in ambito politico. Nello stesso tempo, la rivolta cattura l’attenzione del pubblico statunitense in generale, non solo quello di sinistra. A distanza di qualche mese il notiziario televisivo settimanale più seguito degli Stati Uniti, in onda per ben sessanta minuti sulla catena CBS, riesce ad intervistare il Subcomandante Marcos e trasmette, probabilmente, l’immagine di guerrigliero più positiva della storia dei mass media statunitensi: ad un uomo in passamontagna, armato e con una pipa tra le labbra, il corrispondente Ed Bradley domanda se la sua battaglia fosse paragonabile alla lotta degli statunitensi per i diritti fondamentali di libertà e rispetto della dignità umana condotta durante la loro rivoluzione e Marcos gli risponde di sì, in perfetto inglese. Così un rivoluzionario armato dell’America Latina viene presentato a milioni di telespettatori come un eroe che lotta in nome degli stessi principi sanciti dalla dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America. Anche altri mass media cercano d’intervistare gli zapatisti. Vanity Fair, una delle riviste a più larga diffusione, offre un’altra intervista a Marcos, e diverse altre seguono il suo esempio. Improvvisamente, un’insurrezione armata non viene più collocata sotto il prisma dei “marxisti” o “comunisti” contro i difensori di “libertà” e “democrazia”. Nasce la prima rivolta del dopo Guerra Fredda e né i mass media, né la cupola del potere statunitense sanno che etichetta applicarle. Nelle sue prime dichiarazioni ufficiali sul conflitto, il governo statunitense ripete innocue frasi di circostanza: “Speriamo che il conflitto si risolva pacificamente e nel rispetto dei diritti umani”. Il governo di Carlos Salinas de Gortari non deve aver gradito molto quest’atteggiamento perché ciò implicava una limitazione del suo spazio di manovra nelle gestione della crisi. I suoi alleati di Washington si erano sentiti obbligati a parlare di quello che stava accadendo nelle montagne del sudest messicano perché il conflitto aveva ormai già oltrepassato le frontiere nazionali. Nei primi mesi ed anni, varie associazioni formarono quello che sarebbe diventato un nuovo movimento di solidarietà con il Chiapas e l’Ezln. Diversi membri di questo nuovo “movimento” erano veterani delle organizzazioni che avevano solidarizzato con le insurrezioni dell’America Centrale e tentarono di applicare lo stesso modello al Messico, sebbene molti di loro non conoscessero la storia e le dinamiche politiche del paese limitrofo ed altri riducessero il Messico alle dimensioni di un piccolo paese centroamericano. Prima cercarono disperatamente le prove e gli indizi della partecipazione, o dell’intervento, degli Stati Uniti e, in seguito, tentarono di promuovere la stessa ottica in merito all’appoggio da fornire alle “vittime” della repressione. La ricercatrice Lynn Stephen, che ha studiato questi sviluppi, ha affermato che, nei primi anni successivi all’insurrezione, si costituirono almeno cinque organizzazioni, o reti di solidarietà. Tra queste, la cosiddetta Commissione Nazionale per la Democrazia in Messico divenne rappresentante dell’Ezln negli Stati Uniti, in quanto, nel luglio del 1994, il Subcomandante Marcos aveva assegnato a Cecilia Rodríguez, leader di quest’organizzazione, il compito di rappresentarlo in questo paese. Altri raggruppamenti con reti nazionali inclusero i Pastori per la Pace della Fondazione Interreligiosa per l’Organizzazione Comunitaria (IFCO), il Servicio para la Paz (Sipaz), il Global Exchange e, nel 1998, fu organizzata la Rete di Solidarietà con il Messico, formata da decine di gruppi preoccupati della repressione e della difesa dell’Ezln e delle sue basi, così come anche di influire sulla politica statunitense verso il Messico. Una delle fonti di diffusione cibernetica della parola zapatista fu l’organizzazione Chiapas 95 di Austin, Texas, cruciale per la traduzione e l’accesso diretto ai comunicati ed ai resoconti dell’Ezln nelle reti Usa. Secondo la ricercatrice, “la rivolta zapatista del 1994 creò, negli Stati Uniti, un’apertura politica senza precedenti per l’opera di solidarietà e sostegno focalizzata sulla democratizzazione, i diritti umani ed i diritti degli indigeni in Messico”. Nel corso di questi dieci anni, centinaia, forse migliaia di cittadini Usa hanno visitato il Chiapas, hanno lavorato alla costruzione di scuole, alla divulgazione nel mondo delle notizie sul Chiapas, hanno fatto da scudi umani, monitorato il rispetto dei diritti umani e, ovviamente,

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partecipato a decine di forum e riunioni. In decine di città di tutto il paese fecero la loro apparizione anche comitati di sostegno. Però non fu prima del 1999 che l’impatto dell’Ezln venne percepito in una luce differente, vale a dire non solo come veicolo di sostegno e solidarietà al Messico, bensì anche come rivolta che, nella sua essenza, era anche di segno opposto: una testimonianza di solidarietà con il movimento di resistenza negli Stati Uniti ed in altre parti del mondo “sviluppato”. John Sellers, dirigente della Ruckus Society, ed anche uno degli strateghi e protagonisti del grande “carnevale della resistenza” di Seattle (momento topico nell’evoluzione di quello che oggi è conosciuto come movimento globale per la giustizia o “altromodista”), ha affermato che senza l’insurrezione dell’Ezln del 1994 forse Seattle non sarebbe mai stata possibile. Patrick Reinsborough, ecologista radicale ed anche esponente chiave di Seattle e delle repliche successive, specialmente quelle di Washington e, più recentemente, di Miami, sostiene che l’Ezln è stato fondamentale per lo sviluppo del movimento “altromondista” negli Stati Uniti. Parte dell’evoluzione ideologica di quasi tutti gli attivisti chiave di questo movimento comincia a delinearsi, tra gli altri attori dello scenario politico mondiale, proprio a partire dall’Ezln. I cartelloni, le t-shirt e gli striscioni con le effigi dello zapatismo impongono la loro presenza nelle grandi mobilitazioni di protesta sociale degli ultimi dieci anni negli Stati Uniti, unitamente alle citazioni di espressioni tratte dai comunicati ufficiali ed agli slogan come “todo para todos, nada para nosotros”. “Finalmente abbiamo ricevuto il messaggio dal Sud”, esclamò un’attivista durante un meeting contro il Fondo Monetario Internazionale, “e vogliamo dirvi che lo abbiamo compreso e ci stiamo attivando”. La presenza zapatista si è fatta sentire anche nei circuiti culturali. Personaggi del cinema, come Oliver Stone ed Edward James Olmos, hanno visitato il Chiapas e, una volta tornati, sono andati ad ingrossare le fila di chi, negli Usa, sosteneva questa causa ed era solidale. Musicisti, come Rage Against the Machine e Indigo Girls, insieme a scrittori, scultori e tanti altri, si unirono a questo movimento. La libreria cibernetica più importante del paese (amazon.com) elenca 819 testi connessi, in qualche modo, allo zapatismo, oltre ad altri 207 volumi alla voce “Ezln”. Da un’edizione bilingue della Historia de los colores del Subcomandante Marcos, al volume di scritti zapatisti Nuestra arma es nuestra palabra (pubblicato da Seven Stories Press con la collaborazione dell'autorevole quotidiano messicano “La Jornada”), ai libri di John Womack, John Ross e Zapatista Reader, l’antologia di vari, affermati scrittori a cura di Tom Hayden, il famoso veterano del movimento contro la guerra in Vietnam. In un’intervista a “La Jornada”, Hayden ha dichiarato: “Gli zapatisti hanno avuto un peso enorme nel lanciare o, sicuramente, ampliare il movimento statunitense contro il Nafta prima, e l’Omc poi. Ricordo molti cartelloni e t-shirt a Seattle nel 1999. Hanno anche influito sullo stile orizzontale, non gerarchico dei movimenti di protesta qui negli Stati Uniti”. Tuttavia, oggi la presenza dello zapatismo in questo paese è svanita. Nei forum dei think-thank di Washington e tra i rappresentanti del governo statunitense non ci si pone più domande sul Chiapas, i mass media non vi prestano più attenzione e sono diminuite anche le tesi di laurea dedicate a questo tema. Infatti, già dopo i primi giorni di vita del governo di Vicente Fox, quest’argomento non era più tra le priorità degli incontri bilaterali. “Se la loro forza d’urto è svanita”, ha dichiarato Tom Hayden a questo giornale, “è perché gli zapatisti, per adesso, sembrano aver focalizzato la loro attenzione sul fronte del Messico meridionale, più che sul fronte nazionale ed internazionale. Certo, questa situazione potrebbe cambiare. In ogni caso, però, gli zapatisti hanno svolto una funzione di portata storica: hanno catalizzato un movimento globale di giustizia nelle strade e nei forum sociali e contribuito, per molti versi, ad incoraggiare la resistenza degli indigeni di tutto il continente latinoamericano”.

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Dario Pignotti A dieci anni dal “levantamiento” zapatista, continua la lotta ma anche la repressione* La lotta in Chiapas non è finita “In Chiapas la guerra continua”. A dieci anni dall’insurrezione zapatista, il Centro di Diritti Umani Fray Bartolomeo de las Casas traccia un quadro allarmante: “Circa 60.000 militari” occupano la provincia, mentre sono apparsi nuovi focolai di “paramilitari, ben armati e, temo, assetati di sangue”, dice un rappresentante della Ong. A San Cristobal de las Casas, la maggiore delle sette città occupate dall’Esercito zapatista di liberazione nazionale all’alba del 1° gennaio del 1994, gli ultimi giorni di dicembre trascorrono dominati da una “calma nervosa, non sappiamo cosa può accadere, gli zapatisti vorranno festeggiare ed i paramilitari hanno già dimostrato di non gradire festeggiamenti”, commenta Eduardo Serrano, dal Centro di Diritti Umani Fray Bartolomeo de las Casas. “Nessuno sa bene cosa, ma forse qualcosa accadrà”, avverte il portavoce dell’organizzazione creata dal popolare vescovo di San Cristóbal, Samuel Ruiz Garcia, letteralmente venerato dalle comunità indigene zapatiste dove lo chiamano “tatik”, che in lingua maya vuol dire “padre”. Mandato in pensione dal Vaticano, che minacciò di citarlo davanti ad un tribunale canonico per le sue “deviazioni” filo-indigene (secondo documenti interni), l’ex vescovo fu costretto ad abbandonare il Chiapas e fu sostituito da Felipe Arizmendi, un religioso obbediente a Giovanni Paolo II. Con quest’avvicendamento, Roma finì per indebolire la rete di diaconi e catechisti che avevano predicato per decenni la teologia della liberazione tra totziles, tzetzales e choles sotto la leadership di Ruiz. Quest’operazione fu anche un duro colpo inferto allo zapatismo ed alle Ong impegnate nella difesa dei diritti umani e molto legate all’ex vescovo. Com’è consuetudine, tra i militanti delle organizzazioni di matrice cattolica, ed in Chiapas se ne contano a decine, Eduardo Serrano preferisce essere cauto quando fa riferimento al nuovo quadro del potere ecclesiastico, sebbene non manchi di prendere posizione nei confronti di Felipe Arizmendi, quando afferma: “Rispettiamo il vescovo, ma non rispondiamo alla curia, siamo un’organizzazione indipendente”. Un’altra Acteal Il 22 dicembre del 1997, 45 indigeni, tra cui 21 donne, 4 di loro incinte, e 15 bambini furono assassinati da una cellula paramilitare davanti alla totale indifferenza della polizia, stazionata a soli 200 metri da Acteal, un villaggio incassato nella regione montuosa di Los Altos de Chiapas. “Dopo Acteal non ci sono state altre stragi. Significa che la situazione è migliorata?” La guerra di bassa intensità in Chiapas e la cooperazione tra esercito e gruppi paramilitari sono rimaste praticamente com’erano sei anni fa, all’epoca della strage di Acteal. Ciò che è cambiato è che adesso la guerra è quasi scomparsa dai mass media. Si tratta di una conseguenza della controinsurrezione. “Perché?” Perché, sin dall’insurrezione del 1994, la guerra psicologica ha sempre funzionato così: prima hanno detto che si trattava di una “guerra di carta”; dopo i 45 morti di Acteal, però, non potevano più insistere su questa teoria, quindi si sono inventati che non c’è nessuna guerra, bensì che in Chiapas ci sono faide tra le famiglie, odio religioso. Sono tutte tattiche delle guerra di controinsurrezione. “Esistono le condizioni per un’altra Acteal?” *

Tratto dal sito italiano di Znet (“Pagina 12”), 31 dicembre 2003. Traduzione di Giampiero Budetta (http://www.zmag.org/Italy/pignotti-repressione.htm).

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Crediamo di sì, per questo abbiamo inviato un appello alle autorità perché prendano le dovute precauzioni per evitare il ripetersi di avvenimenti del genere. Un’altra Acteal è possibile perché lo Stato ha lasciato impuniti i suoi responsabili intellettuali e politici. Non ci sono gerarchi nel carcere provinciale di Cerro Hueco, hanno catturato soltanto alcuni esecutori materiali. Il pericolo maggiore è che nell’ultimo mese le intimidazioni dei paramilitari si sono intensificate. Qualcosa di molto simile accadde alla vigilia di Acteal. “Si tratta di una sensazione o esistono prove al riguardo?” Quando lavori da così tanto tempo nella zona, impari a capire che aria tira e noi vediamo che i paramilitari sono baldanzosi, come a voler dire: “Siamo tornati”. Però abbiamo ricevuto anche denunce circostanziate inviateci dai cittadini, denunce che dimostrano un aumento della violenza e delle provocazioni in tutto lo Stato del Chiapas. Nella zona di Los Altos, gli abitanti di Cotsilnam e Aldama affermano che di notte i paramilitari ne approfittano per addestrarsi e che sui muri sono apparse scritte minacciose nei confronti di alcuni diaconi accusati di simpatie per lo zapatismo. A Chulúm Juárez e Nueva Revolución, il gruppo militare Paz y Justicia ha avvertito la comunità che sarà sfollata a fine dicembre. In alcuni villaggi della foresta si sono avuti episodi analoghi. L’ora dei “caracoles” Dal dialogo con l’attivista Eduardo Serrano, così come da altre interviste effettuate con altre fonti in Chiapas e nella capitale, emerge quest’impressione: tanto lo zapatismo, quanto le forze affini sono in fase di ripiego. “Dopo la marcia del 2001, che portò l’Ezln e lo stesso Subcomandante Marcos nella capitale, l’iniziativa politica dello zapatismo si è indebolita?” Non siamo in condizione di poter rispondere a questa domanda. In base al nostro lavoro sul campo possiamo testimoniare che adesso le comunità stanno dando priorità ad una nuova forma di potere locale tramite i cosiddetti “caracoles”. “Di che si tratta?” In agosto, gli zapatisti hanno deciso di creare cinque centri di potere locale governati dagli usi e costumi indigeni considerati come legge suprema. Ogni “Giunta del Buon Governo” amministra la giustizia, gestisce la salute pubblica, l’istruzione, il commercio, crea il proprio registro dei matrimoni e di mortalità, raccoglie i contributi volontari della comunità, una forma d’imposta. “Ciò implica la disobbedienza civile verso lo Stato?” Dicono che le “Giunte del Buon Governo” sono una risposta al “malgoverno” perché sono stati traditi gli accordi di San Andrés Larráinzar del 1996 sui diritti e la cultura indigeni. Ciò implica non pagare le imposte, né riconoscere l’autorità della polizia o della giustizia ufficiale. “Attraverso Radio Insurgente, l’Ezln esorta a mantenere l’unità. Allora la divisione è cresciuta?” Non possiamo fare un’affermazione del genere. È che lo zapatismo, nel difendere l’autonomia rispetto allo Stato, finisce anche per rifiutare i programmi assistenziali, come quello chiamato Progresa e Procampo, e ci sono contadini che hanno preferito accettare questi aiuti. Gli zapatisti sostengono che è un’arma a doppio taglio perché in questo modo restano obbligati a pagare le imposte al governo, o al “malgoverno”, come lo chiamano loro. Ma il pericolo maggiore è contenuto in alcune denunce che abbiamo ricevuto, in cui si afferma che gruppi paramilitari costringono ad accettare questi programmi di aiuto e chi si rifiuta viene espulso. “Perché i commando paramilitari agiscono così?” Perché in realtà il loro obiettivo è attaccare l’autonomia dei “caracoles”.

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CRONOLOGIA Dieci anni di lotta

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Claudio Albertani Messico Rebelde* Cronologia di una guerra sociale 1994 1° gennaio. Entra in vigore il Trattato di libero commercio dell’America del Nord (Tlcan) tra Stati Uniti, Canada e Messico. Sollevazione indigena nello Stato del Chiapas. Il fino allora sconosciuto l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) occupa in poche ore San Cristobal de Las Casas, Las Margaritas, Altamirano, Oxchuc, Huixtán, Chanal ed Ocosingo. 2 - 12 gennaio. Controffensiva dell’esercito messicano. Saldo: 400 morti. 10 gennaio. Il presidente Salinas nomina Manuel Camacho Solís, ex segretario delle Relazioni esteriori ed ex sindaco di Città del Messico, commissario per la pace e la riconciliazione in Chiapas. 10 - 12 gennaio. Manifestazioni moltitudinarie in differenti città del paese per esigere la fine della guerra. 12 gennaio. Il governo decreta unilateralmente il cessate il fuoco ed annuncia l’intenzione di cercare una soluzione negoziata al conflitto. Fine gennaio. 17 mila rifugiati interni originari dei municipi di Comitán, Las Margaritas, Ocosingo ed Altamirano. La maggioranza sarebbe tornata lentamente a casa a marzo, aprile e maggio. 21 febbraio - 2 marzo. Dialogo di pace nella Cattedrale di San Cristóbal de las Casas tra i dirigenti dell’Ezln (il Subcomandante Marcos e venti comandanti e membri del Comitato clandestino rivoluzionario indigeno, Ccri), il commissario per la pace Manuel Camacho Solís ed il mediatore Samuel Ruiz, vescovo di San Cristóbal. 23 marzo. Viene assassinato Luis Donalo Colosio, candidato ufficiale alla presidenza della Repubblica. L’Ezln dichiara lo stato di allerta generale. 18 maggio. Si forma l’Esercito Popolare Rivoluzionario (secondo il suo organo di diffusione, “El Insorgente”). 12 giugno. Dopo essersi consultato con la sua base, l’Ezln rifiuta il piano di pace del governo. Luglio. Si consolida El Barzón, movimento fondato nel 1993 da piccoli agricoltori debitori. Giunge presto a tenere un milione di partecipanti, estendendosi ai debitori urbani. 6 - 9 agosto, Guadalupe Tepeyac, Selva Lacandona. Convocati dall’Ezln, 6 mila rappresentanti di organizzazioni popolari accorrono alla Convenzione nazionale democratica. 21 agosto. Ernesto Zedillo Ponce de León, candidato del Pri, vince le elezioni alla presidenza della Repubblica. Frode in Chiapas contro Armando Avendaño, candidato a governatore della Società Civile. 28 settembre. Viene assassinato José Francisco Ruis Massieu, segretario generale del Pri, a Città del Messico. 1° dicembre. Inizia il mandato del nuovo presidente Ernesto Zedillo. 19 dicembre, Chiapas. Gli zapatisti rompono l’assedio militare occupando temporaneamente trentotto comuni negli Altos de Chiapas. 19 - 20 dicembre. Crisi finanziaria: svalutazione del peso (40 per cento), seguita da una recessione economica caratterizzata dalla scomparsa di migliaia di imprese e di un milione di posti di lavoro. 24 dicembre. L’Ezln ed il governo federale riconoscono la Commissione nazionale di intermediazione (Conai) presieduta dal vescovo Samuel Ruiz e costituita da prestigiose personalità del mondo accademico e della società civile. Dicembre, Chiapas. A La Frailesca ed in altre regioni dello Stato s’intensificano le occupazioni di terre da parte di organizzazioni contadine affini all’Ezln.

1995 *

Tratto dal sito italiano di Znet (parte di questa cronologia è apparsa su “il Manifesto”, 2 gennaio 2004). Fonti: bollettini (Ciepac, Limededich, Sipaz, La Foja Coleta); quotidiani (“La Jornada”, “Milenio”); settimanali (“Proceso”, “Milenio”). Traduzione di Melippa (http://www.zmag.org/italy/albertani-cronologiachiapas.htm).

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Gennaio. Il Fmi e le banche nordamericane concedono un prestito di 50 miliardi di dollari al governo messicano. Clausola segreta: cacciare l’Ezln dalla Selva Lacandona. 9 febbraio, Chiapas. Zedillo ordina un’offensiva dell’Esercito federale contro i territori zapatisti della Selva Lacandona. L’Ezln si ritira senza novità. Manifestazioni di ripudio nel paese e nel mondo. 11 febbraio, Città del Messico. 100 mila persone manifestano contro la nuova offensiva antizapatista. Detenzioni in tutto il paese. Marzo, Chiapas. Seconda ondata di rifugiati interni. Approssimativamente 12 mila persone, in gran parte originarie dei municipi zapatisti della Selva. 11 marzo. Creazione della Commissione di concordia e pacificazione (Cocopa) costituita da deputati e senatori dei partiti politici. Aprile, Chiapas. Nell’ejido di San Miguel (Ocosingo) viene riannodato il dialogo tra gli zapatisti e la delegazione governativa. Le negoziazione si protrarrà per mesi in un villaggio degli Altos de Chiapas, San Andrés Larráinzar, che gli indigeni chiamano San Andrés Sakam'chen de los pobres. Assistono la Conai e la Cocopa. 28 giugno, Guerrero. 17 membri dell’Organizzazione contadina della Sierra del sud (Ocss), vengono assassinati ad Aguas Blancas, municipio di Coyuca de Benítez. 24 agosto, Tepotztlán, Morelos. 4 mila persone occupano il palazzo municipale per impedire la costruzione di un campo da golf su terre comunali. E’ un mega progetto da 700 milioni di dollari che include la costruzione di un hotel a 5 stelle, un eliporto ed un lago artificiale, promosso dalla multinazionale KS. 27 agosto - 3 settembre. L’Ezln lancia una consulta nazionale ed internazionale per definire il destino della sua lotta. Più di un milione di persone rispondono a favore di una lotta politica, non militare. 4 settembre, Tepotztlán. Assemblea di villaggio caccia il sindaco. Barricate. Nei successivi due anni e mezzo, il villaggio vivrà senza polizia, senza pagare imposte e governandosi con un sistema di autogestione. 10 settembre. Messaggio di solidarietà dell’Ezln agli abitanti di Tepotztlán: “La vostra lotta è la nostra lotta”. Lázaro Rodríguez Castañeda viene eletto sindaco del “municipio libero e costituzionale di Tepotztlán”. Settembre, Chiapas. Nuova sessione di negoziazioni tra il governo e l’Ezln in quattro tavoli di lavoro: Tavolo 1. Diritti e cultura indigeni; Tavolo 2. Democrazia e giustizia; Tavolo 3. Benessere e sviluppo; Tavolo 4. Diritti della donna. Fine anno. Nella zona nord del Chiapas si consolidano gruppi paramilitari che lanciano un’offensiva sanguinosa contro le basi di appoggio dell’Ezln. Nato da un gruppo priista di Tila, il principale è Desarrollo, Paz y Justicia, diretto dal deputato locale del Pri, Samuel Sánchez Sánchez.

1996 1° gennaio. L’Ezln annuncia la creazione del Fronte zapatista di liberazione nazionale (Fzln). 29 gennaio, Tabasco. Indigeni chontales occupano diciotto pozzi di petrolio per protestare contro Pemex. Chiedono un indennizzo per lo scarico di rifiuti tossici e le piogge acide che danneggiano le coltivazioni e la pesca. 16 febbraio. Dopo cinque mesi di negoziazioni, il governo e l’Ezln firmano a San Andrés il primo accordo su Diritti e cultura indigeni. 10 aprile, Tlaltizapán. Tepoztechi vengono aggrediti da granatieri mentre andavano in autobus alla commemorazione del settantasettesimo anniversario della morte di Emiliano Zapata. Saldo: 1 morto e 6 feriti. Un video amatoriale smentisce la versione ufficiale secondo cui i manifestanti erano gli aggressori. Indignazione nazionale. 13 aprile. Annullamento del progetto del campo da golf a Tepotztlán. 1° maggio. Nasce il Partito democratico popolare rivoluzionario (Pdpr), che riunisce 14 gruppi guerriglieri. 28 giugno, Guerrero. Una colonna di uomini armati appartenenti all’Esercito popolare rivoluzionario (Epr) irrompe nella commemorazione del primo anniversario del massacro di Aguas Blancas.

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16 luglio, Guerrero. Scontro tra l’Epr e l’esercito sulla strada tra Tla e Chilpancingo. Muore il civile Gonzalo Pineda Morales. 27 luglio - 3 agosto, La Realidad, Chiapas. Convocato dall’Ezln, si celebra il primo Incontro intercontinentale per l’umanità e contro il neoliberismo. 1° agosto, Guerrero. Attacco dell’Epr contro un veicolo della XVIII zona navale militare a El Guayabo, municipio di Tecpán. Ferito un ufficiale. 8 agosto. Conferenza stampa dell’Epr. Dalla clandestinità quattro comandanti rendono pubblico il Manifesto della Sierra Madre Orientale. 10 agosto, Guerrero. Comando dell’Epr tende un’imboscata ad un convoglio militare a Zumpango del Río. Due soldati risultano feriti. 28 agosto, Oaxaca. Comando dell’Epr attacca la caserma dei marines della VI regione navale militare a La Crucecita, Huatulco. Saldo 12 morti: 4 marines, 3 poliziotti e 5 guerriglieri. 29 agosto. Il Subcomandante Marcos scrive al Epr: “Non vogliamo il vostro appoggio. Non ne abbiamo bisogno, non lo cerchiamo (…)”. 30 agosto, Oaxaca. Detenuti a Potchula, otto indigeni zapotechi della regione Loxicha sono accusati di essere membri dell’Epr. 2 settembre. L’Ezln decide di ritirarsi dalle negoziazioni fino al complimento di quanto stipulato con il governo. 25 settembre, Oaxaca. Forze militari e della polizia detengono tutte le autorità di San Agustín e San Francisco Loxicha. Ottobre. Con la partecipazione della comandante Ramona, si celebra a Città del Messico il Congresso nazionale indigeno. Novembre. S’installa la Commissione di osservazione e verifica (Cosever), il cui compito è vigilare l’implementazione degli accordi di San Andrés. Non terrà mai l’opportunità di operare. 29 novembre. La Cocopa redige un progetto di riforma costituzionale sui diritti indigeni (ley Cocopa). Accettato dall’Ezln, rifiutato dal governo. Dicembre. Secondo una relazione dei servizi segreti militari, l’Epr opera già in 17 Stati ed ha causato 26 vittime tra soldati e polizia.

1997 27 gennaio, D.F.. Benigno Guzmán García, leader dell’Organizzazione contadina della Sierra del sud (Ocss) viene detenuto e torturato. 14 marzo, Chiapas. La polizia irrompe a San Pedro Nixtalucum, municipio di El Bosque. Saldo: 4 morti, molti feriti, 27 detenuti e 300 sfollati, tutti simpatizzanti dell’Ezln. 27 aprile, Loxicha, Oaxaca. Esecuzione extragiudiziale dell’indigeno Celerino Jiménez Almaraz. Nel corso dell’anno si moltiplicano i sequestri e gli assassinii di indigeni loxisti. 28 aprile. L’Epr afferma che l’uso delle armi non è centrale, perché “c’è ancora spazio per la lotta politica”. 24 maggio, Guerrero. Scontro tra l’esercito e l’Epr a Chilapa. Perdono la vita 2 militari e 2 guerriglieri; 20 soldati feriti. 10 giugno, Oaxaca. Un’ottantina tra mogli, figlie, madri e sorelle dei prigionieri e dei desaparecidos loxichas montano un piantone davanti al palazzo del governo di Oaxaca. 13 - 16 settembre. Marcia di 1.111 zapatisti a Città del Messico. 29 novembre, San Cristóbal de Las Casas. 10 mila indigeni esigono che si compiano gli accordi di San Andrés. Fine novembre. Sono già 4.500 gli indigeni tzotziles evacuati dal municipio di Chenalhó. 11 dicembre, Chenalhó. Paramilitari ed autorità del municipio autonomo di Polhó decidono di porre fine al conflitto. 19 dicembre. Fallisce l’iniziativa di pace tra Chenalhó e Polhó. 22 dicembre. Paramilitari affiliati al Pri uccidono 45 persone (21 donne, 15 bambini e 9 uomini) ad Acteal, municipio di Chenalhó.

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24 dicembre. La Conai, il Congresso nazionale indigeno ed i partiti di opposizione chiedono a Zedillo la scomparsa dei poteri in Chiapas e la punizione dei colpevoli. 26 dicembre. Comunicato dell’Ezln in relazione al massacro di Acteal: “Sono molto in alto, non in basso, i responsabili”. Fine dicembre, Chiapas. Decine di persone vengono detenute con l’accusa di partecipare alla mattanza di Acteal. Tra loro spiccano un comandante della Sicurezza pubblica ed il presidente priista del municipio di Chenalhó. L’esercito entra nelle comunità zapatiste della Selva, cercando armi. Nella regione de Los Altos ci sono 10 mila sfollati. Dicembre, Oaxaca. Sommano a 300 gli operativi nella regione di Loxichas. Circa 250 contadini vengono incarcerati con l’accusa di omicidio e altri gravi delitti, mentre altri 250 vivono nella clandestinità perché colpiti da ordini di cattura. Gli arresti vengono effettuati da membri della polizia giudiziale, aiutati da Los Entregradores, gruppo semiclandestino costituito da vecchi pistoleri, ora addestrati dalle autorità militari e giudiziali dello Stato.

1998 6 gennaio, Chiapas. Il deputato priista Samuel Sánchez Sánchez, leader di Desarrollo, Paz y Justicia, ammette che la sua organizzazione ha armi e che sarebbe disposta a deporle se anche l’Ezln lo facesse. 8 gennaio. Da una scissione con l’Epr, nasce l’Esercito rivoluzionario del popolo insorgente (Epri). 22 gennaio. La Procura generale della Repubblica ammette l’esistenza di 12 gruppi paramilitari in Chiapas. Fine gennaio - primi febbraio. Basi di appoggio zapatiste e membri di “Las Abejas” fuggono da Chenalhó perseguitati da nuove minacce di paramilitari. 16 - 28 febbraio. Una Commissione civile internazionale per l’osservazione dei diritti umani, costituita da 210 persone di 11 paesi, visita il Chiapas. Tra le sue conclusioni spiccano: 1) l’intensa militarizzazione della regione; 2) l’impunità con cui lo Stato viola i diritti umani; 3) la miseria strutturale degli abitanti indigeni; 4) l’assenza di volontà politica del governo di pervenire ad un accordo di pace. 26 febbraio, Chiapas. Espulsione del parroco di Chenalhó, Miguel Chanteau. Di origine francese, aveva vissuto in Messico per trentadue anni. Il suo crimine: ritenere il governo federale responsabile del massacro di Acteal. Febbraio, Chiapas. S’intensifica la campagna contro la presenza straniera in Chiapas. Prime espulsioni. Febbraio, Guerrero. Contadini ecologisti creano l’Organizzazione di ecologisti della Sierra di Petatlán e di Coyuca de Catalán, Ac (Ocep) contro il taglio dei boschi da parte dei caciques locali. Aprile, Chiapas. Comincia la prima offensiva governativa contro i municipi autonomi zapatisti. 11 aprile. Operazione congiunta per smantellare il municipio autonomo Ricardo Flores Magón (Taniperlas, municipio di Ocosingo). 9 messicani detenuti e 12 stranieri espulsi dal paese. 15 aprile, Chiapas. Il governatore dichiara che non permetterà più municipi autonomi né gruppi armati. 1° maggio, Chiapas. Operazione contro il municipio autonomo Terra y Libertad. Detenute 53 persone e distrutto l’ufficio municipale. 2 - 11 maggio. Visita in Chiapas di un gruppo di 120 osservatori italiani. 43 sono espulsi. 29 maggio, Chiapas. Il governatore Albores pubblica un piano di rimunicipalizzazione per creare 33 nuovi municipi. La maggior parte dei nuovi capoluoghi ha una forte presenza militare. 3 giugno, Chiapas. Operazione contro il municipio autonomo Nicolás Ruiz. Saccheggio di case e chiese. Detenzione di un centinaio di persone. 7 giugno. Di fronte alla perseveranza degli attacchi governativi contro la mediazione, il vescovo Samuel Ruíz annuncia la dissoluzione della Conai. 7 giugno, Guerrero. Truppe dell’esercito si scontrano con i guerriglieri dell’Erpi a El Charco, municipio di Ayutla. Saldo: 11 guerriglieri morti, 5 feriti e 21 detenuti, tra loro la studentessa Erika Zamorda Pardo. 20 luglio. L’Ezln annuncia una consulta nazionale sull’iniziativa di legge Cocopa. 3 agosto, Chiapas. Secondo il Centro per i diritti umani Fray Bartolomé de las Casas, negli ultimi 6 mesi si sono registrate 57 esecuzioni sommarie, 6 omicidi politici e 185 espulsioni di stranieri.

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7 agosto. La presidente del Gruppo di lavoro per i popoli indigeni dell’Onu, Erica Irene A. Daes, dichiara che il Messico è il paese che maggiormente viola i diritti umani dei popoli indigeni. 30 ottobre. Benigno Guzmán Martínez, dell’Organizzazione contadina della Sierra del sud (Ocss) viene condannato a 13 anni di prigione. 30 ottobre. Sommano a 30 mila i rifugiati interni, ubicati principalmente nelle regioni Altos e Norte. Fine dicembre, Oaxaca. Il nuovo governatore - sempre priista - José Murat, offre un “dialogo per porre fine a odi e rancori”. Annuncia di essere disposto a promuovere una legge d’amnistia “a condizione che l’Epr deponga le armi e rinunci alla violenza”.

1999 6 gennaio, Chiapas. Caso Acteal: 6 ex poliziotti della sicurezza pubblica implicati nel massacro sono condannati per il crimine di trasporto di armi da fuoco di grosso calibro. 11 febbraio, D.F.. Il rettore della Unam Francisco Barnés de Castro propone un regolamento generale dei pagamenti per aumentare le quote di iscrizione e di frequenza. 24 febbraio, D.F.. In assemblea, gli studenti della Unam rifiutano l’aumento delle quote. Sotto la direzione del Consiglio generale dello sciopero (Cgh) iniziano una lunga lotta per l’istruzione pubblica e gratuita. 25 febbraio. 18 mila studenti marciano contro l’aumento delle quote. 8 marzo. La relazione di Amnesty International, All’ombra dell’impunità, denuncia la situazione dei diritti umani in Messico. Violazioni particolarmente gravi in Chiapas, Oaxaca, Veracruz e Guerrero, gli stati con maggiori percentuali di popolazione indigena. 12 - 14 marzo, Chiapas. 5 mila delegati zapatisti viaggiano ai 32 Stati del Messico per promuovere la consulta nazionale zapatista. 18 marzo, D.F.. Marcia moltitudinaria di elettricisti e studenti in difesa dell’industria elettrica e dell’istruzione gratuita. 21 marzo. 2,8 milioni di cittadini messicani partecipano alla Consulta nazionale per il riconoscimento dei popoli indigeni e per la fine della guerra di sterminio. 19 aprile, D.F.. “Ya basta!” del Messico urbano. 27 su 36 gruppi della Unam si dichiarano in sciopero contro l’aumento delle quote alla Unam. 2 maggio, Pizotla, Guerrero. Militari assassinano a Salomé Sánchez Ortiz e torturano Rodolfo Montiel e Teodoro Cabrera, fondatori dell’Organizzazione di ecologisti della Sierra de Petatlán e di Coyuca de Catalán, Ac (Ocep). 11 maggio, D.F.. Barnés annuncia la creazione della Commissione di incontro (Ce), senza carattere risolutivo, costituita da 10 direttori e ricercatori della Unam. 12 maggio. Il Cgh esige: 1) l’abrogazione del Regolamento dei pagamenti; 2) la deroga delle norme che impediscono il passaggio automatico dal bachillerato alla laurea; 3) lo smantellamento dell’apparato poliziesco; 4) l’apertura di uno spazio democratico nell’università; 5) l’annullamento dei vincoli con organismi esterni di controllo (Ceneval); 6) rivedere il calendario scolastico per recuperare i corsi perduti. 2 giugno. Primo contatto tra gli scioperanti e la Ce. Il Cgh consegna un documento con l’agenda ed il formato del dialogo, che viene rifiutato dai rappresentanti del rettore. 3 giugno, D.F.. Barnes annuncia che “le quote semestrali avranno la natura di contributi volontari”. 26 - 27 giugno, Chiapas. Convenzione del sudest a Tuxtla Gutiérrez. Comunicato dell’Ezln: “Noi zapatisti appoggiamo il Cgh se decide di proseguire lo sciopero e lo appoggiamo se decide di sospenderlo”. 28 giugno. Sorgono due nuovi gruppi armati: l’Esercito villista rivoluzionario popolare (Evrp) ed il Comando giustiziere 28 giugno. 9 luglio, Messico, D.F.. 130 mila studenti, sindacati, coloni ed organizzazioni popolari marciano in appoggio al Cgh. 12 luglio. Arriva in Messico la Relatrice speciale delle Nazioni Unite per le esecuzioni extragiudiziali, Asma Jahangir.

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20 luglio. Un giudice condanna a 35 anni di prigione 20 presunti componenti del gruppo che nel dicembre 1997 aveva assassinato 45 indigeni di Acteal. 26 luglio, D.F.. 90 mila persone marciano dal Museo di antropologia allo Zocalo, in appoggio al Cgh. Agosto, D.F.. Digna Ochoa (avvocato del Centro per i diritti umani Miguel Agustín Pro, che seguiva il caso di Rodolfo Montiel e Teodoro Cabrera) viene sequestrata per varie ore. 4 agosto. La polizia del Distretto federale reprime il movimento studentesco. Agosto. Con il pretesto della riforestazione della biosfera de Montes Azules, il Chiapas diviene oggetto di una nuova escalation militare contro le comunità indigene. 2 ottobre, D.F.. 300 mila persone nella Marcia di resistenza convocata dal Cgh. 24 ottobre, D.F.. La Pgr presenta 4 persone accusate di appartenere al Erpi, Gloria Arenas Agis, Felicitas Padilla Nava, Jacobo Silva Nogales e Fernando Gatica Chino, catturati i giorni 12 e 22 dello stesso mese. 29 ottobre, D.F.. Sconosciuti irrompono nel dipartimento di Digna Ochoa. La interrogano e la lasciano legata. Successivamente, Digna va in esilio negli Usa. 11 novembre, D.F.. Marcia del Cgh da Televisa, San Angel a Los Pinos. Repressione. 12 novembre, D.F.. Rinuncia del rettore della Unam, Barnés de Castro. 16 novembre. La Commissione civile internazionale di osservazione dei diritti umani visita il Messico per la seconda volta. Conclusione: “Non ci sono progressi significativi”. 17 novembre. Juan Ramón de la Fuente viene nominato rettore della Unam. Novembre. Dal 1996, le autorità locali e federali hanno detenuto un totale di 120 persone relazionate con l’Epr e l’Erpi. Esistono inoltre 60 ordini di cattura pendenti e 24 iscritti nel registro degli indagati. 6 dicembre. Altri due ex funzionar pubblici sono condannati a 6 anni nel caso di Acteal. 11 dicembre, Messico, D.F.. Marcia del Cgh all’ambasciata nordamericana. Il governo della città la reprime.

2000 1° gennaio, Chiapas. Circa 5 mila indigeni degli Altos del Chiapas si riuniscono negli Aguascalientes di Oventic per celebrare il sesto anniversario della sollevazione armata zapatista. 5 gennaio. Militanti priisti fermano 29 simpatizzanti dell’Ezln a Tzanembolom, municipio di Chenalhó. 6 gennaio, D.F.. Il nuovo rettore, Ramón de la Fuente, presenta una proposta per riaprire la Unam. De la Fuente considera risolti i 6 punti della petizione. il Cgh non accetta e de la Fuente convoca un plebiscito per il 20 gennaio. 20 gennaio, D.F.. Plebiscito alla Unam. Dei 180 mila voti (su una popolazione totale di 300 mila universitari), l’80 per cento si esprime a favore della proposta del rettore. Il Cgh denuncia una frode. 20 gennaio, Puebla. Un nuovo gruppo guerrigliero, le Forze armate rivoluzionarie del popolo (Farp), si attribuisce la collocazione di due petardi in una zona residenziale di questa città 26 gennaio, Oaxaca. A San Agustín Loxicha vengono catturati altri tre indigeni zapotechi per i loro presunti vincoli con l’Epr. In totale 101 indigeni sono ancora in prigione per la stessa ragione. 30 gennaio, Hidalgo. La Polizia federale preventiva detiene 64 scioperanti della scuola Luis Villareal, a El Mexe. Di seguito, i padri degli studenti prendono alcuni poliziotti in ostaggio per ottenere la liberazione dei propri figli. 2 febbraio. Altro comunicato di solidarietà dell’Ezln con il Cgh. 4 febbraio, Messico D.F.. Incontro tra il Cgh e de la Fuentel. Non c’è accordo. 6 febbraio, Messico D.F.. Assalto della polizia alla Unam occupata. 732 detenuti, tra i quali i principali dirigenti del Cgh. 8 febbraio. Asma Jahangir afferma al cospetto delle Nazioni Unite che i governi federale e locale, l’esercito, i paramilitari ed i gruppi armati di opposizione commettono esecuzioni di innocenti in tutto il paese, specialmente in Chiapas e nello Stato di Guerrero. 9 febbraio, D.F.. La polizia esce dalla Unam. 85 membri del Cgh restano in carcere. Marcia di 100 mila persone che chiedono la loro liberazione. 12 febbraio. Incarcerati altri 50 membri del Cgh. Marzo. Torna dall’esilio l’avvocato Digna Ochoa.

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8 marzo. Il giudice supremo del distretto di Oaxaca condanna a 50 anni di prigione Floriberto Marciano Mendoza Hernández, per i suoi vincoli con l’Epr e l’attacco a Santa Cruz Huatulco del 28 agosto 1996. 22 marzo, Chiapas. Migliaia di indigeni e contadini pro-zapatisti bloccano tratti di strada in sei municipi del Chiapas, chiedendo la demilitarizzazione ed il compimento degli accordi di San Andrés. 3 aprile, Chiapas. 137 comunità di 5 municipi appartenenti al presunto gruppo paramilitare “Desarrollo, paz y justicia” decidono di separarsi e formare una nuova organizzazione. 8 aprile, Xochimilco, D.F.. Azione di propaganda armata delle Farp. 5 - 7 maggio, Oaxaca. Autobus con osservatori e camion carichi di alimenti vengono intercettati nelle vicinanze di San Agustín Loxichas da 200 uomini armati. Dopo lunghe negoziazioni con la polizia dello Stato, la carovana riesce a passare. 8 giugno, D.F.. Vengono liberati gli ultimi componenti del Cgh. 12 giugno, Oaxaca. A tre anni dall’inizio del piantone nel corridoio del Palazzo del governo dello Stato, le donne loxichas esigono giustizia e libertà per i propri familiari. 40 sono stati assassinati ed altri 86, su un totale di 137, sono ancora in carcere. 13 giugno, Chiapas. Nel corso di un’imboscata vengono assassinati 7 poliziotti nel municipio di El Bosque. 16 giugno. L’Ezln prende le distanze dai fatti. 2 luglio. Vicente Fox, appoggiato dal Partito d’azione nazionale (Pan) e dal Partito verde ecologista messicano (Pvem), vince le elezioni presidenziali con il 43,43 per cento dei voti. 20 agosto, Chiapas. Pablo Salazar, dell’Alleanza per il Chiapas (alleanza elettorale senza base politica), vince le elezioni con 535.860 voti (51,50 per cento). 28 agosto, Guerrero. Teodoro Cabrera García è condannato a 10 anni di prigione, per detenzione di armi di uso esclusivo dell’esercito, e Rodolfo Montiel Flores a 6 anni ed 8 mesi, per coltivazione di marijuana e detenzione di arma di uso esclusivo dell’esercito. 18 ottobre. Il presidente Zedillo decreta l’esproprio di 3,5 ettari dell’ejido Armador Hernández, comunità zapatista nel municipio di Ocosingo, per costruire installazioni militari. 26 ottobre, Guerrero. Primo incontro per la Difesa dei boschi di Guerrero, convocato dall’Organizzazione dei contadini ecologisti della Sierra di Petatlán e Coyuca de Catalán. 28 ottobre. La Pgr detiene 11 membri di Paz y Justicia e dell’Unione indigena agropecuaria e forestale, accusati di terrorismo, associazione a delinquere, rivolta e delinquenza organizzata. Cadono i dirigenti Samuel Sánchez Sánchez e Marcos Albino Torres. 11 - 12 novembre, Oaxaca. A Tierra Blanca Loxicha si tiene il Foro per l’autonomia, il lavoro e la speranza. Le comunità indigene esigono la demilitarizzazione della regione. 13 novembre, Chiapas. Il priista Miguel Utrilla articola un operativo di 150 poliziotti giudiziali federali e 20 agenti del pubblico ministero che cercano armi e paramilitari. 1° dicembre. Inizia il mandato di Vicente Fox. S’impegna a risolvere il conflitto chiapaneco ed ordina il ritiro di 53 posti di blocco militari dalle tre zone del conflitto, così come la sospensione dei pattugliamenti e dei sorvoli dell’esercito. 2 dicembre, Chiapas. L’Ezln annuncia una marcia al D.F. per esigere il riconoscimento dei diritti indigeni e chiede tre segnali all’esecutivo per riallacciare il dialogo: 1) compimento degli accordi di San Andrés; 2) libertà per tutti i prigionieri politici zapatisti; 3) ritiro e chiusura di sette posizioni strategiche dell’esercito “delle 259 che mantiene attualmente nella zona del conflitto”. 7 dicembre, prigione di La Palma, Almoloya de Juárex, Messico. 6 indigeni zapotechi della regione Loxicha vengono liberati. 8 dicembre, Oaxaca. Amnistia per 61 indigeni zapotechi prigionieri e per altri 250 con ordine di cattura. 20 dicembre, Chiapas. Pablo Salazar deroga il decreto di rimunicipalizzazione di Albores Guillén. 22 dicembre. L’esercito libera la base militare di Amador Hernández. Il governo federale restituisce alla comunità il terreno espropriato dall’ex presidente Zedillo nell’ottobre 2000. 23 dicembre. Il presidente Fox elimina il requisito di permesso previo per essere osservatori dei diritti umani in Messico. 30 dicembre, Chiapas. Liberati 16 prigionieri politici zapatisti. 31 dicembre. Sotto la pressione delle donne zapatiste, l’esercito evacua la base militare di Jonalchoj, municipio di San Andrés Larráinzar.

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2001 9 gennaio, Chiapas. L’esercito abbandona l’accampamento militare di Cuxuljá, municipio di Ocosingo. 17 gennaio. L’esercito abbandona l’accampamento militare di Roberto Barrios, municipio di Palenque. 22 gennaio. Il presidente Fox dice che non ci saranno ulteriori ritiri di truppe fino a quando l’Ezln non darà segnali che desidera dialogare. 28 gennaio, carcere di La Palma, Almoloya de Juárez, Messico. Liberati altri 6 prigionieri loxicha. 24 febbraio, Chiapas. Comincia la marcia zapatista. 20 mila persone si danno appuntamento per ricevere la carovana a San Cristóbal. 5 marzo, Michoacán. 5 mila delegati partecipanti al Congresso nazionale indigeno decidono di realizzare una sollevazione indigena pacifica a livello nazionale per chiedere l’approvazione della legge Cocopa. 6 marzo. Il Subcomandante Marcos riconosce l’appoggio dell’Erpi, dell’Erp e delle Farp perché la delegazione zapatista possa percorrere territori nelle loro aree di influenza. 7 marzo, carcere di Puente Grande, Jalisco. Viene liberato Benigno Guzmán Martínez, direttore dell’Organizzazione contadina della Sierra del sud (Ocss). 11 marzo, D.F.. Più di 200 mila persone ricevono la delegazione zapatista nello Zócalo di Città del Messico. 28 marzo. Storica presenza di 23 comandanti dell’Ezln al Congresso dell’Unione per perorare la causa indigena. Il Subcomandante Marcos non partecipa. 1° aprile. La delegazione dell’Ezln torna in Chiapas. 19 aprile, Venustiano Carranza, Chiapas. 8 contadini vengono assassinati in un’imboscata perpetrata da un gruppo di incappucciati. 25 - 27 aprile. Il Congresso della Repubblica approva una riforma costituzionale in materia indigena che tradisce il programma originale. Il Congresso nazionale indigeno disconosce la legge indigena approvata. 21 luglio. La Croce rossa internazionale segnala che in Chiapas ci sono ancora 7.000 rifugiati interni. Luglio. Appare una nuova coalizione di gruppi armati: la Coordinazione guerrigliera nazionale José Maria Morelos, costituita dalle Farp, dall’Ervp e dal Comitato clandestino rivoluzionario dei poveri Comando giustiziere 28 di giugno (Ccrp-Cj). 8 agosto, D.F.. Scoppiano tre bombe in diversi banche della città. Gli attentati sono rivendicati dalle Farp. 12 agosto, Messico, D.F.. La Pgr e l’esercito detengono cinque presunti responsabili: Sergio Galicia Max, Pablo Flores Alvarado ed i fratelli Antonio, Héctor e Alejandro Cerezo Contreras. Sono tutti accusati di essere parte dell’Erp, non delle Farp. Settembre. Cuernavaca, Morelos: nasce il Fronte civico per la difesa del Casino de la Selva, che lotta contro la conversione di questo spazio ecologico, dimora di alberi centenari, in un supermercato della catena Costco. 19 ottobre, D.F.. L’avvocato Digna Ochoa y Plácido viene assassinata nella sua abitazione della calle Zacatecas 31-A, la colonia Roma. 22 ottobre. La segreteria delle comunicazioni e dei trasporti annuncia la costruzione di un nuovo aeroporto di Città del Messico sulle terre comunali appartenenti alla comunità di San Salvador Atenco. Fine ottobre. 13 nuclei ejidali di Texcoco e San Salvador Atenco presentano domanda di riparazione contro l’espropriazione delle proprie terre che, nel caso della seconda comunità, arrivano al 73 per cento del totale. 8 novembre, Iguala, Guerrero. Liberato per “ragioni umanitarie” Teodoro Cabrera Flores e Rodolfo Montiel García, contadini ecologisti prigionieri dal 2 maggio 1999. 14 novembre, D.F.. Manifestazione degli abitanti dell’ejido di San Salvador Atenco contro la costruzione del nuovo aeroporto. 23 dicembre, Oaxaca. Le donne loxinchas rimuovono il piantone nello zócalo della capitale. La loro lotta continua, dal momento che 29 dei loro parenti rimangono nelle prigioni statali accusate di appartenere all’Epr. 25 dicembre, San Salvador Atenco, Messico. Gli abitanti alzano le barricate. 29 dicembre, Atenco. Gli abitanti impediscono il passaggio di una scavatrice della Commissione delle acque dello Stato del Messico (Caem).

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30 dicembre, Atenco. Gli abitanti si dichiarano municipio ribelle. I loro machete sono già un simbolo di resistenza. 31 dicembre, Oventic, Chiapas. “Il sollevamento armato è stato l’unico cammino che ci è rimasto per non essere sterminati”, hanno affermato gli indigeni ribelli nel celebrare gli otto anni della sollevazione zapatista.

2002 4 gennaio, Chiapas. L’Istituto nazionale di migrazione (Inm) espelle otto indigeni chiapanechi in Guatemala. “Per errore”, spiegano i funzionari. 18 - 25 gennaio. Incursione dell’Epr a Tecpan ed Atoyac. 20 gennaio. I paramilitari detengono e torturano 5 zapatisti del municipio autonomo Ricardo Flores Magón. 2 febbraio, Chiapas (zona Norte). Paramilitari di Paz y Justicia cercano di sloggiare gli indigeni della comunità Progreso Agrario. 2 febbraio, D.F.. Il centro per i diritti umani Miguel Agustín Pro Juarez segnala la continua presenza di gruppi paramilitari in Chiapas. 12 febbraio, Chiapas. Tornano a Guadalupe Tepeyac gli indigeni che il 9 febbraio 1995 si erano rifugiati sulle montagne per l’offensiva dell'esercito messicano. 16 febbraio - 3 marzo. Terza visita della Commissione civile internazionale di osservazione dei diritti umani (Cciodh). 26 febbraio, Chiapas. Le autorità del municipio autonomo Ricardo Flores Magón denunciano tentativi d’evacuazione contro 49 comunità dei Montes Azules. 5 marzo, D.F.. Mobilitazione degli abitanti di Atenco chiudono per 26 ore la carreggiata Chivatito e bloccano diversi punti della strada federale Texcoco-Lechería. 17 marzo, Monterrey. 15 mila manifestanti marciano contro il vertice dei capi di Stato che si realizza in questa città. 24 marzo. Dopo essere rimasti per quattro anni rifugiati nella comunità di Xo’yep, 37 indigeni de Las Abejas ritornano a Los Chorros, feudo dei paramilitari a Chenalhó. 1° aprile, Oaxaca. Inizia una marcia al D.F. per esigere la liberazione dei prigionieri politici loxichas. 20 aprile. In diverse carceri, 87 prigionieri politici iniziano uno sciopero della fame che durerà tra 34 e 61 giorni. Chiedono una legge d’amnistia. Tra loro si trovano: gli indigeni dei Loxichas; Erika Zamora Pardo e Efrén Cortés Chávez, sopravvissuti del massacro de El Charco; Jacobo Silva Nogales e Gloria Arenas, dirigenti del Erpi. 22 aprile. Organizzazioni sociali chiedono di fronte al Palazzo nazionale la libertà dei “più di 300” prigionieri politici e di coscienza. Aprile, Chiapas. Nel corso del mese cresce la repressione contro le popolazioni dei Montes Azules e si registra una nuova scalata della militarizzazione nella zona Norte. 14 maggio, Strasburgo, Francia. La Cciodh presenta una relazione sulla situazione in Chiapas al Parlamento europeo. Diagnosi: 1) persiste la militarizzazione; 2) il problema degli sfollati non ha ancora trovato soluzione; 3) non si è frenata la presenza dei paramilitari, i cui leader sono stati liberati; 4) la riforma costituzionale approvata non considera i popoli indigeni come soggetti di diritto, né conferisce loro autonomia politica; 5) i programmi di lotta alla povertà sono discriminatori e controinsurgenti; 6) il piano Puebla-Panamá minaccia l’integrità delle comunità indigene; 7) ci sono ancora 9 zapatisti in prigione (3 in Chiapas, 6 nel Tabasco e nel Queretaro). 17 maggio, Chiapas. Il centro Fray Bartolomé de las Casas presenta la relazione Caminando hacia el amanecer (Camminando verso l’alba). Conclusioni: 1) la paramilitarizzazione cominciata nel 1995 ha lasciato almeno 122 persone assassinate e 28 desaparecidos; 2) “in azione congiunta con i corpi militari e della polizia”, i paramilitari sono entrati nelle zone della Selva e degli Altos, prendendo controllo del territorio ed ubicandosi all’entrata ed all’uscita dei villaggi; 3) più di 12 mila indigeni chiapanechi sono rifugiati fuori dalle proprie terre. 31 maggio. Liberazione di Ericka Zamora e Efrén Cortés.

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31 maggio, Atenco. I contadini detengono sei “presunti topografi” che, senza identificarsi, realizzano lavori notturni di misurazione del terreno espropriato per la costruzione del nuovo aeroporto. 1° - 3 giugno. Negoziazioni per liberare gli ostaggi. 1° giugno, Oaxaca. Ai contadini di Santiago Xochiltepec viene tesa un’imboscata, presumibilmente dai loro vicini di Santo Domingo Teojomulco. Saldo: 26 morti e 2 feriti. Spiegazione ufficiale: conflitto intercomunitario. 3 giugno, Atenco. I contadini consegnano i detenuti. Con un’avvertenza: “Atenco è una polveriera. O il governo si occupa del tema dell’espropriazione, o dovrà affrontare la rabbia messicana”. 7 giugno, Michoacán. Scontro tra soldati e comuneros di Huecato (Cañada de los Once Pueblos). Saldo: 3 comuneros e 2 militari morti. 19 giugno. Quasi in punto di morte, Jacobo Silva Nogales interrompe lo sciopero della fame. 12 luglio. In totale sono 16 i funzionari ed i poliziotti detenuti dagli abitanti di Atenco. L’esercito e la polizia circondano la comunità. 14 luglio. Liberazione dei prigionieri di Atenco. Il governo annuncia un aumento dell’offerta economica agli espropriati. 15 luglio. I contadini di Atenco aprono la strada Texcoco-Lechería e consegnano gli ostaggi. La Pfp si ritira. 16 luglio, D.F.. Marcia moltitudinaria in appoggio ai contadini di Atenco. 27 luglio. La Banca Mondiale informa che 46,08 per cento dei messicani delle zone rurali (circa 12 milioni) sopravvivono con entrate diarie inferiori ad un dollaro. 1° agosto. Vittoria degli abitanti di Atenco. Il presidente Fox rinuncia a costruire il nuovo aeroporto a Texcoco. 18 agosto, Oaxaca. Migliaia di locali manifestando contro l’apertura di una succursale di McDonald’s nello zócalo di questa città coloniale. 21 agosto, Cuernavaca. La polizia reprime una manifestazione pacifica del “Frente civico per la difesa del Casino de la Selva”. Saldo: 32 detenuti liberati nei giorni successivi grazie alla pressione popolare. 27 agosto, Cuernavaca. Manifestazione moltitudinaria in solidarietà con i detenuti il giorno 21. 19 settembre. Il governo federale libera tre indigeni loxichas. In totale ci sono ancora 15 prigionieri. 25 novembre. Il Subcomandante Marcos invia a Madrid alcuni comunicati dove critica duramente il giudice Baltasar Garzón, il presidente spagnolo José Maria Aznar, il re Juan Carlos e l’ex mandatario Felipe González. 6 dicembre. Garzón sfida il Subcomandante Marcos a sostenere un dibattito “faccia a faccia”. Se perde dovrà togliersi la maschera, aggiunge. 9 dicembre. Il Subcomandante Marcos accetta la sfida e propone l’isola di Lanzarote come sede dell’incontro. Al tempo stesso chiede una tregua all’Eta e lancia l’idea di un dibattito plurale sulla questione basca. 9 dicembre, Oaxaca. Vittoria. Il consiglio comunale nega l’autorizzazione per l'apertura del McDonald’s nello Zocalo. 10 dicembre. Al grido “La campagna non resiste più!” migliaia di contadini convocati da El Barzón, la Unta e la Coalizione delle organizzazioni democratiche urbane e contadine (Coduc) occupano il Palazzo legislativo di San Lázaro. Esigono che si riveda il capitolo del Trattato di libero commercio dell’America del Nord (Tlcan) che si occupa di agricoltura. 12 dicembre. Il partito politico indipendentista Harri Batasuna accetta la proposta di dialogo dell’Ezln. 19 dicembre. Membri del Gruppo delle operazioni speciali (Gopes) della Polizia federale preventiva (Pfp) sloggiano i choles dalla comunità Lucio Cabañas, nei Montes Azules. 30 dicembre, Chiapas. Il Subcomandante Marcos annuncia che l’Ezln non permetterà più espulsioni nei Montes Azules.

2003 1° gennaio, San Cristóbal de las Casas. Concentrazione di 20 mila indigeni presieduta dai comandanti dell’Ezln Esther, David, Tacho, Fidelia, Omar, Míster e Brus Li.

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1° gennaio, Euskal Herria, Spagna. L’organizzazione separatista basca Eta invia un duro comunicato all’Ezln, dove critica “la maniera pubblica e senza consultazione previa” con cui il Subcomandante Marcos ha formulato la sua proposta d’incontro, così come la “mancanza di rispetto al popolo basco”. E aggiunge: “Nutriamo seri dubbi circa la serietà della proposta di dialogo sull’isola canaria di Lanzarote (...). Ci sembra inoltre che si tratta di un tentativo disperato di attirare l’attenzione internazionale strumentalizzando l’eco di tutto quello che ha a che vedere con il conflitto basco (...). Non fa parte dei nostri obiettivi prendere parte ad una pantomima per poter ottenere il favore delle prime pagine dei giornali internazionali”. Il comunicato termina con le parole: “Viva il Chiapas libero!”. 2 gennaio. Il Servizio internazionale per la pace (Sipaz) afferma che in Chiapas continuano gli scontri religioni, le minacce di sgombero nella regione dei Montes Azules e l’impunità degli autori intellettuali del massacro di Acteal. 8 gennaio, Comitán, Chiapas. Dal mese di novembre 2002, 34 neonati sono morti nell’ospedale di Comitán per contagio batteriologico. 12 gennaio. Risposta del Subcomandante Marcos all’Eta: “Non pretendiamo di dire a nessuno quello che deve fare, chiediamo solo un’opportunità di parola. Se non ce la vogliono dare, ni modos”. Con rispetto alla parte finale del comunicato dell’Eta (“Viva il Chiapas libero!”), il Subcomandante Marcos puntualizza: non vogliamo essere indipendenti dal Messico. Vogliamo esserne parte, però senza cessare di essere quello che siamo: indios. 24 gennaio, D.F.. Dopo un processo giudizio, i fratelli Héctor, Antonio e Alejandro Cerezo Contreras, così come Pablo Alvarado Flores, ricevono una sentenza di 13 anni di prigione per l’esplosione di bombe rudimentali nelle succursali di Banamex l’8 agosto del 2001. 25 gennaio. “La tortura è pratica comune nel governo Fox”, segnala alla Ong l’Azione cristiana per l’abolizione della tortura (Acat). 27 gennaio, Cuernavaca, Morelos. Membri del Fronte civico per la difesa del Casino de la Selva iniziano il digiuno alle porte del palazzo del governo contro l’installazione del supermercato Costco. 30 gennaio, Seattle Wash. Insieme ad organizzazioni locali, membri del Fronte civico protestano all’assemblea annuale degli azionisti di Costco. 30 gennaio, Chiapas. Serie di 12 comunicati (chiamati 12 stele) del Subcomandante Marcos per denunciare la situazione di ingiustizia prevalente in Messico. 31 gennaio, D.F.. 100 mila persone chiedono la revisione del capitolo agricolo del Trattato di libero commercio con gli Usa. 2 febbraio. La Commissione nazionale per i diritti umani (Cndh) pubblica una relazione speciale sul caso della regione Loxicha, nel quale si nota che a causa dell’apparizione dell’Epr nella zona si sono realizzate detenzioni illegali, arbitrarie, maltrattamenti, colpi, incursioni delle autorità poliziesche e militari, accuse false ed una ricorrente e irregolare emissione di ordini di custodia cautelare contro indigeni zapotechi. 3 febbraio, Tlaxiaco, Oaxaca. Indigeni sgomberati da gruppi armati chiedono la restituzione delle loro terre. 3 - 6 febbraio. Marcia dalla Sierra Mixteca alla capitale di Oaxaca per esigere che cessino le aggressioni contro le comunità della Sierra. 12 febbraio. Di fronte alla Commissione permanente del Congresso dell’Unione, il presidente della Cndh, José Luis Soberanes, documenta 18 casi di tortura nell’anno 2002, un aumento del 100 per cento rispetto all’anno anteriore. 13 febbraio, Oaxaca. Disconoscendo il presidente municipale, gli abitanti di Unión Hildalgo prendono collettivamente il palazzo municipale. Inizia un lungo conflitto. 16 febbraio. “No alla guerra!”. Lettera all’Italia rebelde del Subcomandante Marcos. Febbraio. S’intensificano le minacce contro gli insediamenti indigeni nella regione di Montes Azules. 7 marzo, regione Loxicha, Oaxaca. Comunicato dell’Organizzazione dei popoli indigeni zapotechi (Opiz), che denuncia: la guerra sporca continua. 11 marzo, Zacatecas. Esplode un conflitto tra gli abitanti mestizos di Bernalejo ed i comuneros tepehuanos di Santa Maria Ocotán, Durango. 16 marzo, Jalisco. Huicholes chiedono la restituzione de terre disputate con gli abitanti di Zacatecas.

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4 aprile, Chiapas. Comunicato dell’Ezln che condanna l’invasione dell’Iraq ed invita ad una riflessione seria a livello intercontinentale contro il neoliberismo e gli effetti distruttivi della globalizzazione. 10 aprile, Oventic, Chiapas. Nel luttuoso anniversario dell’assassinio di Emiliano Zapata, quasi 2 mila indigeni assistono all’opera Zorró el Zapato, presentata da un gruppo di teatro giovanile parigino. 11 aprile, Ginevra. Organizzazioni indigene denunciano di fronte la plenaria della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite che in Messico continuano “gravi, sistematiche e reiterate violazioni delle libertà e dei diritti dei popoli indigeni”. 12 aprile, Chiapas. Comunicato dell’Ezln che saluta le mobilitazioni per ripudiare la guerra degli Stati Uniti e della Gran Bretagna contro il popolo iracheno. 23 aprile, Montes Azules. Indigeni lacandoni affini al governo attaccano la comunità El Paraíso e distruggono cento case. 4 maggio, municipio autonomo Olga Isabel. Il consiglio autonomo denuncia la costruzione di una strada di carattere controinsugente che taglia terre “appartenenti al municipio autonomo”. 6 maggio, municipio autonomo Primero de Enero. Basi di appoggio dell’Ezln denunciano aggressioni contro la scuola autonoma ed un terreno agricolo di proprietà comunale da parte dei membri dell’Associazione rurale di interesse collettivo. 7 maggio, municipio autonomo Miguel Hidalgo, Chiapas. Le autorità autonome denunciano la nascita di un nuovo gruppo paramilitare denominato Los Cholos. 14 maggio, Cuernavaca. Agenti della polizia metropolitana detengono 7 membri del Fronte civico per la difesa del Casino de la Selva. 14 - 15 maggio, Unión Hidalgo, Oaxaca. Carica governativa contro il consiglio cittadino unihidalguense (Ccu). Detenuti: Carlos Manzo, Francisco de la Rosa Gómez e Luis Alberto Marín López. 20 maggio, D.F.. Fox formalizza la creazione della Commissione nazionale per i popoli indigeni che sostituirà il controverso Istituto nazionale indigenista (Ini). 21 maggio, Tehuantepec, Oaxaca. Recrudescenza dei conflitti agrari in vari municipi della regione. 22 maggio, municipio autonomo Miguel Hidalgo. S’intensifica il conflitto tra le basi zapatiste ed un gruppo di 72 ejidatarios ex membri dell’organizzazione contadina Ocez-Cnpa. 1° - 3 giugno, Evian, Francia. Cinque rappresentanti di comunità indigene messicane offrono la testimonianza della propria lotta nel corso delle manifestazioni contro il vertice degli otto paesi più potenti del mondo (G8). 11 giugno, Durango. Le autorità tradizionali ed agricole di tutte le comunità huicholas di Jalisco e Durano si uniscono per difendersi contro i boscaioli che saccheggiano i loro boschi. 11 luglio, Unión Hidalgo, Oaxaca. Liberato Francisco de la Rosa, prigioniero politico del consiglio cittadino unihidalguense. 19 luglio. Serie di comunicati dell’Ezln, che annunciano cambiamenti interni e nelle relazioni nazionali ed internazionali. Si sospendono i contatti con il governo ed i partiti politici. 25 giugno. La tortura in Messico continua come “una pratica generalizzata”, tornano a ripetere le Ong per i diritti umani. 26 luglio. Comunicato dell’Eznl che annuncia la morte degli Aguascalientes e la nascita dei Caracoles, nuove strutture di potere regionale per rafforzare l’autonomia indigena. 7 agosto, Huehuetla, Sierra norte de Puebla. Assassinata il difensore dei diritti umani e fondatrice dell’Organizzazione indipendente totonaca (Oit), Griselda Tirado Evangelio. 8 - 10 agosto, Oventic. Grande festa per la nascita dei Caracoles. Simultaneamente a Larzac, Francia, si celebra la riunione finale delle organizzazioni europee prima del vertice dell’Organizzazione mondiale del commercio a Cancún. 11 agosto. Il segretario generale di Amnesty International, Irene Khan, presenta la relazione Morti intollerabili: Messico, 10 anni di sparizioni e assassinii di donne a Città Juarez e Chihuahua, il cui obiettivo è dimostrare “l’inefficacia, la negligenza e l’incapacità delle autorità messicane” nell’investigare le sparizioni e gli omicidi di circa 350 donne e bambine nell’arco di dieci anni. 12 agosto, Ginevra. Il Consiglio internazionale dei trattati indigeni (Citi) denuncia la discriminazione di cui sono vittime gli indigeni da parte della giustizia messicana. 15 - 17 agosto, Zapotillo, municipio Ahome, Sinaloa. Si costituisce l’Alleanza dei popoli indigeni del nord e del nordest - popolazioni maya, rarámuri e odami. Richieste: compimento degli accordi di San

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Andrés; restituzione delle terre ai popoli indigeni; rifiuto dell’imposizione di prodotti transgenici e dell’Area di libero commercio delle Americhe (Alca); appoggio alla produzione ed alla costruzione di artigianato e libertà dei prigionieri politici. 17 agosto, Juchitán, Oaxaca. Assassinato Carlos Sanchez López, avvocato dei prigionieri politici della Unión Hidalgo. 2 settembre. Si compiono i sette anni della sospensione del dialogo tra l’Ezln ed il governo federale. Non ci sono ancora le condizioni per riannodarlo. 10 settembre. Comunicato dell’Ezln per salutare la mobilitazione contro la riunione dell’Omc che si celebrerà a Cancún, Messico, dal 8 al 14 settembre. 11 settembre. Il contadino coreano Lee Kyung Hae si suicida in protesta contro l’Omc. 13 settembre, Cancún. Marcia “altermondialista” contro l’Omc. 28 settembre. La rivista “Rebeldía” convoca la celebrazione del ventennale della fondazione dell’Ezln. 8 ottobre, Oaxaca. Assassinato Estela Ambrosio Luna, membro del Coordinamento statale di produttori di caffè di Oaxaca (Cepco). 11 - 12 ottobre, Huehuetla, Sierra norte di Puebla. L’incontro delle nazioni indigene di Messico si conclude con un richiamo ai governi federale e statali per fermare la repressione e la violenza nelle comunità indigene. Ottobre, Cuernavaca. Il Costco apre le porte al pubblico. Sconfitta del Fronte civico. 16 ottobre, Oaxaca. Aggressione paramilitare alla comunità indigena di Tanetze di Zaragoza. Saldo: 1 morto e 9 feriti. 17 novembre. Ventesimo anniversario della fondazione dell’Ezln. Messaggi della Comandancia, diretti a donne, giovani, indigeni ed alla società mondiale, chiamano a resistere contro il progetto di globalizzazione della morte. 26 novembre, Unión Hidalgo, Oaxaca. Esce dal carcere Luis Alberto Marin López, del consiglio cittadino unihidalguense. 27 novembre, San Agustín Loxicha, Oaxaca. Andrés Enríquez Hernández, ex membro dell’Epr, viene ucciso da sconosciuti. 28 novembre, D.F.. 200 mila persone manifestano nello zócalo della capitale contro la privatizzazione del settore elettrico. 4 dicembre, Atoyac di Álvarez, Guerrero. Viene torturato ed assassinato Horacio Zacarías Peralta, testimone chiave della guerra sporca di Guerrero degli anni settanta ed ottanta. 6 dicembre. Un reportage del “New York Times” informa che Wal-Mart, la più grande impresa del mondo, sta costruendo in Messico una nuova cultura del consumo, simile a quella degli Stati Uniti. 19 dicembre, Unión Hidalgo, Oaxaca. Esce dal carcere Carlos Manzo, l’ultimo militante del consiglio cittadino unihidalguense ancora prigioniero. 25 dicembre, Queretaro. Jerónimo Sánchez Sáenz, dirigente del Fronte indipendente di organizzazioni zapatiste (Fioz), prigioniero dal 5 febbraio 1998 con l’accusa di aver preso a sassate il convoglio presidenziale, viene liberato dal carcere. 31 dicembre, Chiapas. I Caracoles celebrano il decimo anniversario della sollevazione zapatista.

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Epilogo In 10 anni il “Ya basta!” dell’Ezln ha contagiato una parte del Messico urbano e molte regioni indigene e contadine. I comandanti del Comitato clandestino rivoluzionario indigeno hanno diffuso centinaia di comunicati, percorrendo per tre volte il paese. Così pure la Selva Lacandona, conosciuta in precedenza come il deserto della solitudine, si è convertita in un luogo d’incontro ed in un gran laboratorio dove si pensano, si dicono e si fanno cose rilevanti per il futuro dell’umanità. All’inizio del nuovo anno, in Chiapas permangono la decomposizione sociale e la militarizzazione, mentre il governo federale continua a non rispettare i tre segnali richiesti dall’Ezln per riannodare il dialogo. Da parte loro, i ribelli zapatisti resistono nella Selva Lacandona ed in una quarantina di municipi autonomi, dove, al margine degli alti e bassi di governi e partiti, mettono in atto una rivoluzione sociale non violenta e dalle caratteristiche nuove. Con la loro intelligenza, tenacità e moderazione sono stati fonte d’ispirazione per milioni di persone in tutto il pianeta.

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