Il rapido progresso della bionanotecnologia strutturale è ancora limitato dagli alti costi e dalla alta complessità del lavoro per costruire nanostrutture di DNA passo per passo in laboratorio. Una partnership tra il laboratorio di Hao Yan al Biodesign Institute dell’Arizona State University e quello di Nadrian C. Seeman alla New York University, è riuscita a replicare due nanostrutture basiche di DNA, in modo efficiente ed economico, in cellule batteriche. Il fatto che questi blocchi di DNA artificiale auto-assemblanti siano tollerati da cellule viventi è stato sorprendente e potrebbe aprire la strada a nuove sinergie tra nanotech e biologia sintetica (i risultati sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences). Nel regno della nanotecnologia, i nanoscienziati usano un ampio varietà di materiali per costruire strutture su scala atomica. Ma il business della nanoingegneria è spesso limitato dalla scarsità di materia prima. “Quella che abbiamo creato è una bionanostruttura artificiale che può essere replicata dalla cellula”, dice Yan, “in questo modo le cellule possono essere utilizzate come nanofabbriche viventi”. In questi ultimi dieci anni, i nanotecnologi hanno sviluppato diverse tecniche e diversi strumenti per unire ed organizzare le molecole in varie nanostrutture di DNA. “Per un singolo grammo di DNA”, dice ancora Yan, “c’è bisogno di un grammo di DNA da cui partire. Per copiare la struttura di partenza, si possono usare vari metodi chimici oppure si possono far replicare dalle cellule o anche da virus”. Per testare la capacità nanomanifatturiera delle cellule, Yan e il suo team, Ned Seeman e Xing Wang della New York University, hanno riprodotto la prima nanostruttura di DNA - a forma di croce, a 4 braccia, e un’altra giunzione con una differente topologia. Per copiarla all’interno della cellula vivente, prima hanno il posto il “carico” all’interno di una cellula batterica, poi hanno tagliato e incollato il DNA necessario per incorporare queste strutture in un fagemide, una particella tipo virus che infetta la cellula batterica. Una volta all’interno della cellula, il fagemide ha usato la cellula come una macchina fotocopiatrice per riprodurre milioni di copie del DNA. Quindi, partendo da una singola infezione e da un singolo millilitro di cellule coltivate in laboratorio, sono riusciti ad ottenere trilioni di copie della nanostruttura di DNA. “Si tratta solo di un primo passo”, dice Yan. In futuro, i ricercatori sperano di riuscire a modificare a fare evolvere le nanostrutture di DNA usando il sistema cellulare, aprendo la strada a nuove applicazioni della biologia sintetica, come ad esempio la realizzazione di interfacce tra le nanostrutture di DNA e le cellule viventi. In un articolo pubblicato su Nature - “Nanotech comes alive: Viruses and bacteria act as factories for nanostructures“, Philip Ball cita anche altre ricerche nello stesso campo come il potenziale per applicare la selezione darwiniana e far evolvere artificialmente delle nanostrutture di DNA all’interno di cellule viventi. ”Using Living Cells As Nanotechnology Factories”, ScienceDaily.com, 8 ottobre 2008 Immaginr: CXCL12 Ricercatori del Medical College of Wisconsin di Milwaukee hanno richiesto il brevetto di una nuova forma sintetica di proteina coinvolta in certi tipi di cancro e in malattie del sistema immunitario. La proteina “CXCL12” è conosciuta anche come chemochina. Le chemochine sono una particolare classe di citochine che regola il movimento delle cellule nei tessuti e richiama globuli bianchi per combattere le possibili infezioni nei siti a rischio. Essenzialmente, agiscono come fari guida per il sistema immunitario. Nuove informazioni relative alla struttura della proteina sono state scoperte nel 2001 nel laboratorio di Brian Volkman, professore associato di biochimica al Medical College, sulla base di ricerche seminali svolte da Michael Dwinell, professore associato di microbiologia e genetica molecolare. “Crediamo che versioni sintetiche stabili della CXCL12 ci consentiranno di poter prevenire malattie come il cancro”, dice il Dr. Volkman.
Le recenti scoperte del Medical College (pubblicate su Science Signaling, un nuovo giornale online pubblicato da Science) sono relative ad uno studio condotto da Christopher Veldkamp, della Graduate School of Biomedical Sciences. Per indagare più a fondo il ruolo chiave della CXCL12 e del suo recettore cellulare, “CXCR4”, nel dirigere la migrazione di cellule cancerose verso siti comuni come il midollo osseo, linfonodi, tessuti del fegato e dei polmoni, nel laboratorio del Dr. Volkman è stato creato un modello tridimensionale per visualizzare come la CXCL12 interagisce con una porzione del CXCR4, scoprendo che era necessario collegare due molecole della CXCL12 in una forma chiusa, conosciuta come “dimero”, per far sì che non potessero essere separate chimicamente e si legassero al recettore. Ma la proteina dimero ha mostrato un comportamento differente, non facendo più migrare le cellule. I ricercatori allora hanno provato a combinare una normale CXCL12 con una chiusa, con il risultato che la migrazione delle cellule è stata quasi del tutto eliminata. Hanno scoperto così che è possibile alterare le proprietà della CXCL12 inibendo la migrazione cellulare. “Di certo non ce l’aspettavamo”, dice il Dr. Volkman, “significa che le chemochine dimero possono essere partecipanti attivi nel dirigere la migrazione di globuli bianchi e anche altri tipi di cellule”. Il prossimo passo sarà stabilire se la CXCL12 dimero può davvero essere efficace nell’inibire la diffusione di un cancro. ”Researchers Find Synthetic Protein Which May Help Prevent Spread of Cancer” DailyTech.com, 18 settembre 2008 Immagine: artificial cell (Credit: Janet Iwasa, Szostak group, MGH / Harvard University MCT) Un gruppo di ricercatori guidato da Jack Szostak, dell’Howard Hughes Medical Institute, sta tentando di creare la prima forma di vita interamente artificiale a partire da 0, una cellula sintetica capace di evolversi e riprodursi. "Abbiamo fatto notevoli progressi”, dichiara Szostak, “contiamo di realizzare la cellula sintetica nel giro di 10 anni”. Per il momento, i ricercatori stano modificando ed assemblando molecole biologiche esistenti in natura per costruire cellule sintetiche con in possesso alcuni attributi di quelle viventi. `”Creare una vita artificiale è molto diverso dal riprodurre ciò che già esiste in natura”, dice Eckhard Wimmer, un microbiologo della Stony Brook University di Long Island, ”forse sarà possibile in futuro, ma ci vorrà ancora qualche centinaio di anni”. Secondo Szostak, una cellula vivente ha bisogno di due cose essenziali: un certo numero di geni che contengono le istruzioni per nutrirsi, crescere, dividersi e riprodursi e una membrana o muro cellulare che separa il contenuto dall’esterno consentendo ai nutrienti di entrare. Lo scorso giugno, Szostak ha annunciato che il suo laboratorio ha realizzato il modello di una “protocellula”, una membrana sintetica che avvolge una copia di un segmento di materiale genetico. Il suo team, ora sta provando a sintetizzare l’altra metà del puzzle: una qualche forma di DNA artificiale. George Church, professore di genetica all’Harvard Medical School di Boston, e Anthony Forster, un farmacologo della Vanderbilt University di Nashville, sono i co-autori del “diabolico” piano per costruire quella che chiamano una “cellula minimale”, contenente solo 151 geni, meno del più piccolo organismo esistente in natura, che ne contiene quasi 500. “La nostra creazione si differenzia dalla vita naturale”, dice Forster, ”sarà una forma di vita sintetica che dipenderà dalle parti esistenti”. Steen Rasmussen, un fisico del Los Alamos National Laboratory, analogamente, è a guida del ``Protocell Project”, il cui obiettivo è costruire cellule artificiali simili a quelle naturali capaci di auto-sostenersi, riprodursi ed evolversi in strutture complesse. Per accelerare questi processi, bio-ingegneri di Harvard e del
Massachusetts Institute of Technology, hanno realizzato una libreria di centinaia di parti biologiche standard chiamate “BioBricks”. “Science's awesome challenge: Creating artificial life”, McClatchydc.com, 4 agosto 2008 Una molecola contro la malaria ottenuta con microbi geneticamente modificati. Un team di ricercatori della University of California di Berkeley, guidato da Jay Keasling, ha inserito una dozzina di geni sintetici in cellule di lievito lasciate crescere e proliferare in enormi vasche di fermentazione in modo da ottenere il miracoloso acido di artemisinina, con cui si spera di debellare la temibile malattia in ogni continente da qui a tre anni (i risultati sono stati illustrati al convegno della Royal Society a Londra). L'artemisinina, o dolce assenzio, si basa sull'estratto di un'erba cinese, la "Artemisia annua", una pianta della famiglia delle Asteracee originaria della provincia di Hunanche. Ma il procedimento attualmente in uso per estrarre il farmaco da questa erba di antico uso è lungo ed estremamente costoso. Attaverso la biologia sintetica, invece, si potranno creare quantità sufficienti di farmaco in un singolo bioreattore o fermentatore, così da sopperire nel giro di due anni alle necessità di milioni di persone a un decimo del costo degli anti-malarici attualmente in uso. "Il processo è molto simile a quello di produzione della birra - dice Keasling - anche se qui siamo alle prese con una dozzina di geni ingegnerizzati". L’Italia ospiterà invece i primi test confinati, in quattro grandi gabbie, su zanzare geneticamente modificate per combattere la malaria. Le zanzare saranno chiuse in inverno in gabbie larghe 10 m e alte 15. Saranno maschi resi sterili grazie ad una tecnica messa a punto 2 anni fa dal gruppo del prof. Andrea Crisanti, la prima che permette di distinguere i maschi dalle femmine nelle zanzare. “La scelta è caduta sull'Italia per ragioni scientifiche, etiche e di sicurezza”, dice Crisanti. “Malaria drug to be made from synthetic biology organism”, Telegraph, 03 giugno 2008 “Genetically Modified Mosquitoes May Stop Malaria”, FoxNews, 19 giugno 2008 Immagine: E.Coli (Credit: iStockphoto/Sebastian Kaulitzki) Ricercatori USA hanno creato dei “computer viventi” alterando geneticamente dei batteri, dimostrando che il bio-computing è fattibile, aprendo la strada ad una miriade di possibili applicazioni come lo storaggio dati o la creazione di nuovi strumenti per la manipolazione e l’ingegneria genetica. Il team di ricerca formato da biologi e matematici del Davidson College in North Carolina e la Western State University nel Missouri, ha aggiunto geni al batterio Escherichia coli, creando un computer cellulare in grado di risolvere un classico puzzle informatico conosciuto come “burnt pancake problem” (problema delle frittelle bruciate): si tratta di sviluppare un algoritmo - un insieme di istruzioni per ordinare gli elementi dal più grande al più piccolo scambiandoli di posizione, come un cuoco cambierebbe la posizione in una pila di frittelle di diversa grandezza a seconda se sono più o meno bruciate. Ciò che rende la progettazione di tale particolarmente complicata, è che tutti gli elementi, prima di essere ordinati, devono essere
capovolti (per verificare la bruciatura) in modo tale che uno specifico lato si affacci verso l'alto (quello non bruciato). Nell’esperimento, i ricercatori hanno usato frammenti di DNA come se fossero frittelle, aggiungendo geni di un tipo di batterio differente per consentire a E. coli di capovolgere le “frittelle” di DNA, includendo anche un gene per rendere il batterio più resistente ad un antibiotico solo quando i frammenti di DNA sono stati tutti capovolti e ordinati. “Il sistema offre molti vantaggi potenziali rispetto ai computer tradizionali”, dice Karmella Haynes, a capo della ricerca, “perché si possono utilizzare miliardi di batteri, ognuno dei quali può contenere diverse copie del DNA usato per il calcolo. Questi computer batterici possono agire in parallelo, quindi i risultati si avranno in un tempo molto più rapido, usando meno spazio e a costi più ridotti, e offrono inoltre il potenziale per auto-ripararsi ed evolversi dopo un uso ripetuto". Anche per questo studio, i ricercatori hanno utilizzato i BioBricks. “Engineering bacteria to solve the Burnt Pancake Problem" (pdf download) Journal of Biological Engineering Immagine: cithophaga_ Nei laboratori di Los Alamos, negli Stati Uniti, è stato creato un batterio geneticamente modificato capace di degradare la cellulosa presente nell'ambiente. Dopo aver mappato il genoma del batterio “Cytophaga hutchinsonii”, che è naturalmente capace di degradare la cellulosa trasformandola in un idrocarburo semplice e sviluppando calore, i ricercatori lo hanno modificato geneticamente in modo da aumentarne l'efficacia, rendendolo capace di scomporre anche altri composti della cellulosa. Mark McBride, responsabile della ricerca, spiega che in questo modo è possibile ottenere quantità significative di energia diretta e sottoprodotti utilizzabili per la combustione, da un insieme di fonti rinnovabili. Solo con le biotecnologie si è riusciti ad ottenere un mezzo in grado di incrementare, standardizzare e rendere più efficiente il processo di digestione delle strutture, nonostante sia già nota da tempo la possibilità di produrre energia di pronto impiego tramite la degradazione della cellulosa variamente aggregata. Spiega McBride: "Già da molti anni si utilizzano colture di batteri selezionati in molti processi industriali che richiedono separazioni o fermentazioni naturali. Questi, infatti, sono in grado di catalizzare, controllare e mantenere attiva la metabolizzazione degli zuccheri, trasformandoli via via in alcoli o composti aromatici di base utilizzabili in motori endotermici". Immagine: biodiesel Dal 10 al 12 ottobre, si è svolto a Honk Kong "Synthetic Biology 4.0", un raduno globale dei biologi sintetici, impegnati a creare forme di vita artificiali partendo da 0. La biologia sintetica, d'altronde, sta diventando un grosso business, alimentato dalle corporazioni giganti dell'agrobusiness, dell'energia e della chimica, in quasi totale assenza di un dibattito sul controllo della tecnologia, su una regolazione del settore a dispetto di serie preoccupazioni riguardanti la biosicurezza dei "designer organisms". Tra le corporazioni che investono o collaborano nel settore vi sono BP, Chevron, Shell, Virgin Fuels, DuPont, Microsoft, Cargill and e Daniels Midland. "SynBio 4.0 suona come una convention per scienziati geeks, anche se la vera agenda è tutta improntata verso il profitto", dice Pat Mooney dell'ETC Group, che ha guidato a Honk Kong un pannello di discussione, a cui hanno partecipato attivisti della società civile, chiamato "Global Social Impact", focalizzato sui rischi derivanti dall'uso delle tecnologie di biologia sintetica. L'ETC Group ha anche redatto un rapporto di 12 pagine intitolato "Commodifying Nature's Last Straw? Extreme Genetic Engineering and the Post-Petroleum Sugar Economy", in cui denuncia come le "bioraffinerie" corporative creeranno una domanda
massiccia di materie agricole, minacciando le comunità di agricoltori più marginali, ridurrendo i terreni e le acque e distruggendo la biodiversità. "I biologi sintetici riunitisi ad Honk Kong propongono un futuro verde, pulito, post-petrolifero, dove la produzione di composti economicamente non dipenderà dai combustibili fossili ma si poggerà su piattaforme manifatturiere biologiche alimentate da piante di zucchero", dice Jim Thomas dell'ETC Group, "il ché suona interessante, peccato che la cosiddetta economia dello zucchero catalizzerà una offensiva corporativa senza precedenti sulle piante da zucchero e causerà una distruzione della biodiversità su grande scala". Immagine: jatropha L'economia dello zucchero significa produzione industriale basata materali biologici (raccolti, erbe, residui di foreste, oli vegetali, alghe, ecc.) da cui è estratto lo zucchero da fermentare e convertire in sostanze chimiche, polimeri, o altri blocchi costituenti molecolari. Ad esempio, la Amyris Biotechnology sta cercando di modificare geneticamente il lievito in modo che fermenti zucchero per produrre lunghe catene di molecole di gasolio, diesel e carburante per jet. Ha recentemente firmato un contratto con Crystalsev, la grande produttrice di zucchero in Brasile, per trasformare lo zucchero in combustibile diesel commercialmente disponibile entro due anni. La Solazyme, Inc., in partnership con la Chevron, ha recentemente annunciato di aver prodotto con successo il primo carburante per jet derivato da microbi ottenuto mediante alghe sintetiche in grado di produrre olio attraverso la fermentazione. L’anno scorso, la Synthetic Genomics del “bio-pirata” Craig Venter ha stretto un accordo con il Genting Group malesiano per sequenziale il genoma dell’olio di palma. Le due compagnie poi hanno cominciato a sequenziale anche un altro materiale per biocarburanti molto popolare nel Sudest asiatico, la Jatropha, con l’obiettivo di modificare geneticamente le due piante in modo da ottenere un più alto rendimento e una maggiore resistenza alle malattie. Immagine: Dupont_lab DuPont, in partnership con Genentech e il gigante dello zucchero Tate & Lyle, ha ingegnerizzato un batterio E. Coli in modo che fermenti zucchero di grano per produrre fibra di “Sorona”, l'ultima famiglia di polimeri DuPont, un prodotto destinato a rimpiazzare il nylon. Il problema è che ci vuole una grande quantità di grano per produrre l’ingrediente chiave della fibra, il “Bio-PDO” (la bio-raffineria DuPont aperta recentemente in Tennesse ne produce 45.000 tonnellate all’anno). I ricercatori della DuPont e della Tate % Lyle, l’anno scorso, hanno ricevuto il premio “Heroes of Chemistry 2007” proprio per il programma di sviluppo del Bio-PDO, utilizzato inizialmente per produrre i polimeri Sorona, poi, con una partnership tra il gruppo americano e Genencor per l’estrazione del propanediolo dallo zucchero del mais. Il successo del programma ha portato, nel 2000, ad una seconda partnership, Tate & Lyle, per la commercializzazione del nuovo processo biologico. La prima fornitura commerciale è avvenuta a novembre 2006. Oggi, il BioPDO non viene impiegato solo per produrre i polimeri Sorona, ma è anche un ingrediente biodegradabile per cosmetici, detergenti liquidi e altre applicazioni industriali, come i fluidi anti-gelo, e per molte altre applicazioni a base di glicoli. Secondo le stime dell’industria biotech, ci vuole un minimo di 500.000 acri di raccolto (o meglio, i residui di un raccolto di tale area) per sostenere una bio-raffineria di dimensioni moderate su scala commerciale. Gli avvocati insistono col dire che la questione relativa alla sottrazione di aree coltivabili per produrre cibo è irrilevante, perché i carichi di materiale verranno da grandi quantità
di “biomasse cellulosiche” – cioè materie vegetali composte di fibre cellulose, inclusi residui del raccolto come gambi, pagliericci, legna, erba, alghe ecc. "Sembra che non abbiamo ancora imparato niente dal disastro della prima generazione di agro-carburanti”, dice Camila Moreno di Terra de Direitos, "che sta costringendo gli agricoltori più poveri in tutto il mondo e i popoli indigeni ad abbandonare le proprie terre e contribuisce all’aumento dei prezzi. Con l’economia dello zucchero basata sulla biologia sintetica, la domanda di materie per le biomasse crescerà esponenzialmente, non solo per il carburante destinato ai trasporti, ma anche per le lavorazioni plastiche e chimiche. Si ripeterà la debacle su una scala ancora più grande". Gli avvocati delle industrie biotech sostengono che sarà disponibile una fornitura di biomassa illimitata. Le organizzazioni della società civile presenti ad Honk Kong hanno chiesto: siete sicuri che potranno essere raccolte massicce quanità di biomassa in modo sostenibile, senza erodere o degradare i terreni, distruggere la biodiversità, peggiorare le crisi dovete al clima e alla scarsità d’acqua, aumentare l’insicurezza relativa al cibo e spostare masse di persone marginalizzate? Siete sicuri che i microbi sintetici non comportino alcun rischio, che possono essere contenuti e controllati? Da chi saranno regolati? Altre preoccupazioni riguardano il fatto che la possibilità di costruire DNA sintetico da 0 e trasferire il codice DNA elettronicamente potrebbe accelerare la pratica della bio-pirateria, in contrasto con il supporto intergovernativo alla salvaguardia della biodiversità. Attualmente, è già possibile costruire da 0 l’intero genoma di alcuni microbi. Alcune compagnie stanno ingegnerizzando processi microbici per sfornare preziose sostanze vegetali derivate da utilizzare in campo farmaceutico, per profumi e gomme, che in precedenza erano sviluppate e conservate dalla comunità indigene e dagli agricoltori locali. La biologia sintetica sta dunque scatenando una corsa a nuovi monopoli esclusivi basati su DNA digitale e organismi geneticamente ingegnerizzati. "Ancora una volta, la terra, il lavoro, le risorse biologiche del Sud del mondo sono minacciate dai progetti di sfruttamento per soddisfare il vorace consumo e lo spreco sconsiderato del Nord", dice Neth Dano di Third World Network, "stiamo assistendo ad una nuova convergenza del potere corporativo per accaparrarsi risorse biologiche in ogni parte del globo". The Biodesign Institute http://www.biobricks.org http://syntheticbiology.org Synthetic Biology 4.0 Conference http://www.etcblog.org ETC Group report: "Commodifying Nature's Last Straw? Extreme Genetic Engineering and the PostPetroleum Sugar Economy" Biotechnology Industry Organization: "Achieving Sustainable Production of Agricultural Biomass for Biorefinery Feedstock" DuPont Tate & Lyle BioProducts Terra de Direitos Third World Network Biodiesel Magazine Asiatic Centre for Genome Technology Science Signaling
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