reportage/hesperia torna a meldola
domani accadra'/torna ciak si mangia psicovisioni/tra le creature selvagge
il piu' grande.../nemico pubblico rivista cinematografica romagnola
numero 17 23 ottobre 2009
in costume/l'altra donna del re
BILLY GIUDICA/ GLI ABBRACCI SPEZZATI/ GLI UOMINI CHE FISSANO LE CAPRE / ALZA LA TESTA/LEBANON/ QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA garroyo incontra... michael mann
INDICE pag. 2 BUSSOLA pag. 3-5 pag. 6
VIRTU' E NECESSITA'
Virtù e necessità ( Ilario Gradassi) REPORTAGE Hesperia torna a Meldola ( Barbara Grassi) DOMANI ACCADRA'
Bocconi di celluloide
PSICOVISIONI Nel paese delle pulsioni selvagge ( Luigi Palmirotta) pag. 8 IL PIU' GRANDE REGISTA DEL MONDO pag. 7
Dopo averlo visto
( Michelangelo Pasini) pag. 9 IN COSTUME E la Storia si fa soap ( Chiara Tartagni) pag. 10-14 BILLY GIUDICA Gli abbracci spezzati ( Marco Bacchi) L' uomo che fissa le capre ( Marco Berardi) Alza la testa ( Alessandro Merci) Lebanon ( Fabio Giambi) Questione di punti di vista ( Alessandro Merci) pag. 15 BILLY segnala BILLYonline pag. 16 GARROYO E I SUOI FRATELLI Lungaggini e teste che scoppiano INCONTRA. . . MM ( Paco Francisco Garroyo)
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In copertina Quando la moglie è in vacanza, foto di scena.
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ncnd/2.5/it
Indirizzo mail
[email protected] Rivista chiusa alle ore 23 di mercoledì 24 novembre 2009.
S e o H c o c a G i r d l l U a l M N l
BILLY reportage
Hesperia torna a Meldola Si è tenuta nella città di Meldola tra il 10 e il 25 ottobre, presso la chiesina dell'ex ospedale, una mostra gratuita intitolata: Hesperia stella del varietà e diva del cinema muto. Mostra documentaria omaggio all'attrice meldolese a cinquant'anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 27 maggio 1959. Gli organizzatori della mostra sono stati il Tonino Simoncelli e Carmen Macche rozzi, rispettivamente presidente dell’Accademia degli Imperfetti di Meldo la e responsabile della Biblioteca Comuna le Francesco Torricelli di Meldola. Una mostra interessante, che ripercorre, attraverso testimonianze di vario genere, la vita personale ed artistica di Olga Mambelli, in arte Hesperia. Nata a Bertinoro in provincia di Forlì, il 9 luglio del 1885, si trasferì con la famiglia
a Meldola nel 1889. I primi passi di Olga, nel mondo dello spettacolo sono testimoniati dal manife sto pubblicitario di una commedia in tre atti, Dall’Ombra al Sole, rappresentata al Teatro Comunale di Meldola, la sera del 19 settembre 1897, portata in scena dalla locale Società Filodrammatica Pro Humanitate, coadiuvata da Membri della Filarmonica cittadina. Nei primi anni del 1900, Olga partì da Meldola alla volta probabilmente di Fi renze dove nel 1907 la scopriamo esi birsi nei teatri di varietà, in un trio, chiamato Hesperia, posando per i tambleaux vivent, un numero d'attrazio ne in auge nei teatri europei all'inizio del secolo. Da allora Hesperia divenne il suo nome d’arte nel mondo del varietà prima e in quello cinematografico poi.
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Hesperia lasciò il mondo del varietà nel 1912, per approdare a quello cinemato grafico, grazie all’incontro col barone Alberto Fassini, amministratore e diretto re generale della casa di produzione cine matografica Cines. L’attrice divenne l’interprete di una serie di melodrammi che la resero immediata mente una beniamina del pubblico cine matografico. Il primo film che Hesperia girò nel 1912, per tale casa di produzione, si intitola Altruismo, nel film Fassini le affiancò co me partner Ignazio Lupi, esperto attore. Nello stesso anno seguirono altri cinque film, nel 1913 fu protagonista di quindici film, nel 1914 recitò in nove film, nel 1915, nel 1916 e nel 1917 i film furono sette. Nel 1918 i film furono tre, nel 1919 fu l’interprete principale di cinque film; nel
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1920, nel 1921 e nel 1922 i film furono due. Nel 1923 si ritirò dallo schermo, e sposò il conte Baldassarre Negroni, regista di tanti suoi film, ma prima interpretò ancora due film. Nel 1938, tornò sullo schermo come contessa Olga Negroni, per interpretare una contessa, madre del protagonista del film Orgoglio. Gli sceneggiatori usarono talvolta il no me d’arte Hesperia e il suo talento nel mondo dello spettacolo per creare le protagoniste delle pellicole da lei interpretate. Nel 2008, in America Latina, è stata ri trovata una copia parziale del film Il fi glio di madame SansGene, del 1921, proiettato in ad ottobre del 2008 in occasione del festival le Giornate del ci nema muto di Pordenone.
E' uno dei suoi maggiori successi, fu proiettato per circa un mese al "Quattro fonta ne" di Roma con la sala sempre esaurita ottenendo recensioni superlative specie per l'interprete: "la Hesperia è riuscita addirittura superba nella difficile parte di madame SansGene: ha reso alla perfezione, oltre alla comicità, la parte passionale di madre che manca alla simpatica creatura di Vittoriano Sardou". Nelle cineteche italiane sono conservate, in parte o interamente anche i film Anime buie, Metempsicosi e Zuma. Nella mostra in cinque teche sono mostrati alcuni volumi interessanti tra cui la pri ma biografia scritta da Carlo Zappia nel 1921, libro spesso fantasioso e inesatto anche perchè le dive del muto furono sempre restie a rivelare episodi della loro vita non artistica e quando erano costrette a farlo operavano piccoli “aggiustamenti” co me mentire innocentemente sull’età oppure omettere notizie sui membri della pro pria famiglia o sulle proprie origini. La mostra in conclusione ci ha raccontato di una sartina adolescente di nome Olga, appassionata di teatro, che recitava in provincia. Apprezzata dai colleghi, dilettanti e professionisti, visto che recitò in modo continuativo e in svariate rappresentazio ni. La nascita di Hesperia sulle tavole del teatro di Varietà, la “gavetta” fatta prima di approdare al mondo del cinematografo, l’ammirazione del pubblico per il suo nu mero di tambleux vivent che la rese una stella. Ed ancora la nascita dell’attrice del cinematografo, di come il pubblico e la critica l’apprezzarono, rendendola una diva. Nelle recensioni dei critici si esaltò sempre la sua bellezza, bravura, rigore e serietà professionale, non menzionando mai capricci o altri vezzi che avevano invece le altre dive. Infine ci ha mostrato la diva che si ritirò dalle scene, dopo aver raccolto tanti applausi e affetto da parte del pubblico, per sposare un conte e divenire la contes sa Olga Negroni. Da un’infanzia povera in una famiglia numerosa, con un padre assente e poco incli ne alla famiglia, disprezzata dai parenti per essere una donna di spettacolo; Olga ottenne non il riscatto ma la dignità l’amore e il rispetto di pubblico e società italia na attraverso il suo talento artistico. Barbara Grassi
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DOMANIaccadrà
Bocconi di celluloide Il cinema Verdi di Forlimpopoli, e la adiacente sala del Consiglio, saranno la sede di una nuova edizione di "Ciak si mangia", promossa in collaborazione con l'assessorato alla cultura e l'istituto alberghiero Pellegrino Artusi. Tre pellicole della stagione in corso a sfondo gastronomico a cui seguirà l'assaggio di una delle specialità protagoniste della pellicole. Si comincia martedì 1 dicembre alle 21.00 con Focaccia blues (Nico Cirasola, 2009, 86'), il racconto tra fiction e documentario di come una focacceria di Altamura è riuscita a resistere all'arrivo di un fast food griffato "Mc Donald's". Film che non ha avuto una distribuzione nazionale ma comunque
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interessante per l'orgoglio pugliese che trasuda con una galleria di cammei di pugliesi celebri (da Lino Banfi a Niki Vendola) che in qualche modo anticipa "Baaria". A seguire assaggi di focaccia pugliese realizzata dai cuochi romagnoli. Mercoledì 9 causa festività il secondo appuntamento, Julie & Julia (Norah Epron, 2009, 120'), commedia diretta dalla sceneggiatrice di Harry ti presento Sally e interpretata dalla immarcescibile Meryl Streep e dalla nuova stella Amy Adams, racconta la doppia vicenda di due donne accomunate da una passione divorante per la gastronomia che le porta una a scrivere e l'altra a voler realizzare tutte le oltre 500 ricette di un famoso libro. Film pregevole ma che non è riuscito ad ottenere il successo meritato perchè schiacciato, sia negli Stati Uniti che da noi, da film distribuiti con un maggiore volume di fuoco. A seguire uno dei piatti per cui vale la pena di sopportare i vicini francesi, il boeuf bourguignon. La rassegna si conclude martedì 15 dicembre con Fuori menu (Nacho Garcia Velilla, 2009, 110'), commedia gay ambientata in cucina con ottimo ritmo e buoni interpreti. A seguire crema catalana per tutti. Il tutto per 5 euro, 3 per i ridotti.
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S u m p s p a s d f n i M p d c z d p g p l f N l c u i r l l n g S n s g a s s n e m
psicoVISIONI
letture psicologiche del cinema
Nel paese delle pulsioni selvagge Sembra un film per bambini e invece è utile a comprendere i bambini. Nella tra ma emergono numerosi aspetti della psicologia dell'età evolutiva. Sono pre senti l'abbandono, il sentimento di onni potenza, la fantasticheria, tipici argomenti dell'infanzia ma la trama si sofferma soprattutto sull'analisi dell'aggressività, su una particolare forma di aggressività quella reattiva ge nerata dalla frustrazione e dal senso di isolamento. La ricerca di attenzioni di Max, il piccolo protagonista vestito da lu po, mostrata nei suoi giochi irruenti, nel desiderio di autoaffermazione si contrappone ini zialmente a quella distruttiva dei ragazzi prepotenti compagni di gioco che nella prima parte del film segna già le distanze fra le due forme di aggressività. Nelle disattenzioni invo lontarie di una madre che tenta di ricostruirsi una vita Max riconosce il senso di colpa gene rato da una azione vio lenta che supera un limite consentito otte nendo l'esatto opposto del fine dei suoi gesti, l'allontanamento e così fugge. Senza una presenza rassicurante i bambi ni sviluppano irrequietezza e sfiducia in sé, e nel tentativo di recuperarla si rifu giano nella fantasia, che rappresenta un appagamento inconscio dei desideri fru strati nella realtà. Riconoscendo come sia più facile per i bambini identificarsi negli animali piuttosto che negli uomini ecco che la scena si trasforma visiva mente in una grande casa dei balocchi
dove i suoi pupazzi diventano giganti e reali e impersonano le parti di sé più o meno interiorizzate nel tempo. Con la paura di essere schiacciato, annientato o divorato da parti più grandi di sé e pulsioni incontrollabili ecco che il deside rio di integrare le parti di quel sé si ma nifestano nel desiderio di unirli tutti nella pace della notte, facendoli dormire tutti insieme. Emerge in seguito l'aspetto onnipotente, dove l'Io incoronato re, reggente delle sue diverse parti incontra le sue difficoltà a dominare e accontentare tutti ma soprattutto la creatura aggressiva, che più gli somiglia, avendo anch'essa moti vi che lo condu cono a distruggere le sue illusioni. Crede di poter dominare la realtà, a volte con un pensiero magico e creativo, seppur non ancora concre to. L'onnipo tenza si riduce allorquando le esperienze di una realtà frustrante insegnano che non è possibile realizzare immediatamente i desideri e bisogna abbandonare la fantasia anche quando nella sua catarsi ha espletato una azione terapeutica, cioè ha dato una forma, per tornare alla realtà e tuffarsi infine negli sguardi, attenzioni e contatto che solo il vero affetto può nutrire e se dare l'animo.
Luigi Palmirotta
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Il più grande regista del mondo
Dopo averlo visto
L’attesa è finita e Public Enemies è arri vato. Con buona pace di tutti. Della folta schiera di manniani convinti, pronti ad immolarsi sull’altare del capolavoro ad ogni nuova inquadratura girata dal regi sta americano e di coloro che lo denigra no, tacciandolo di avvalersi di plot poveristici. Come potrebbe fare solo un regista amatoriale, vicino quindi al suo pubblico e alle critiche che gli vengono rivolta, Mi chael Mann per questa nuova pellicola pare aver ascoltato il lamento dei demo litori di cui sopra. Non solo, sembra aver accolto anche l’appello di quanti si interrogavano sull’uso del digitale per filmare vicende ambientate negli anni ’30. Insomma su come il regista avrebbe saputo e potuto coniugare il passato non solo con il presente del cinema, ma anche con il suo futuro. Ma andiamo con ordine. La sostanza. Public Enemies non è storia di un perio do degli Stati Uniti, ma è una storia. Narrata linearmente, con i pregi ed i di fetti del caso. Per studiare una figura ingombrante come quella di John Dillinger, celeberrimo robin hood degli anni ‘30, affascinante rapinatore di banche, Mann non poteva dilagare nella scrittura. Doveva provare a tenersi in un angolo, sfrondando il suo film di gran parte dei picchi emozionali, caricando le immagini di un pathos ragionato, misu rato, scrivendo insomma una sce neggiatura che dipingesse il suo Dillinger restando a metà strada tra la mitizzazio ne del personaggio e lo spessore pura mente umano dell’uomo. Creando un equilibrio del genere Mann ed i suoi sce neggiatori riescono a liberarsi del po
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si chiama Michael Mann
tente fardello drammatico che aveva ostacolato la (perfetta) riuscita di altre sceneggiature e a narrare la vicenda con uno sguardo personalmente super partes. La forma. Perché interrogarsi su come Mann avrebbe potuto filmare in digitale una vicenda ambientata oltre settantanni fa, quando il cineasta non filma la vicenda, bensì se ne avvale per raccontare l’uo mo? Primo problema, quindi, risolto. La CineAlta F23, l’HDCF950 e la PMWEX1 servono per girare qualcosa che fino a
qualche anno fa non si pensava lontana mente si potesse girare. Come dice Pier Maria Bocchi nella sua preview su Cine forum 486, Mann si “accorge di una pro fondità di campo, di definizione e di luci che forse non pensava potessero essere riportate e impresse”. E come solo pochi altri si avvale di queste meraviglie della tecnica per modulare la sua forma sopra la sostanza che ha precedentemente plasmato. Vale a dire scopre nel perso naggio di John Dillinger da lui modellato in fase di sceneggiatura, particolari che non poteva scoprire chino su una scriva nia. Perché aveva bisogno di visionarli, impressi sullo schermo. Non è tanto Mann ad avvalersi della forma, quando i suoi personaggi ad (auto)crearsi in rela zione a come vengono filmati. Michelangelo Pasini
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inCOSTUME
E la Storia si fa soap Il triste fato di Anne Boleyn (1501 o 1507–1536), regina d’Inghilterra man data al patibolo dallo sposo Enrico VIII, ha affascinato generazioni di registi e spettatori, che hanno inopportunamente visto nella sua figura l’incarnazione di un femminismo ante litteram. Anne era donna colta e di molteplici talenti, nonché di inusitata bellezza: spiccava a corte per la pelle ambrata e la chioma corvina. Ma prima di lei un’altra “ragazza Bolena” aveva colpito la vorace attenzione del re: sua sorella Mary, più disinibita (era nota in Francia come “la puledra inglese che molti si sono divertiti a cavalcare”) e dunque meno scaltra di lei. Furono infatti i continui rifiuti di Anne ad alimentare il desiderio di Enrico VIII, che provocò lo scisma anglicano ripudiando la moglie Caterina, colpevole di essere spagnola e cattolica, ma soprattutto di non avergli donato un figlio maschio. Molti finora avevano considerato secondaria la figura di Mary, che Justin Chadwick, regista di L’altra donna del re (pessima traduzione del più calzante The other Boleyn girl), trasforma, sulla base del fortunato romanzo di Philippa Gregory, in una santarellina che si abbandona fremente all’amore romantico. La storia si basa sul presunto rapporto di rivalità, esplicitato con facile simbolismo dall’identica foggia dei costumi con dissonanza cromatica, fra le due sorelle, entrambe spinte dall’ambizione familiare a donare le
il cinema in veletta
proprie grazie al dispotico sovrano. Ma se Mary si innamora davvero dell’Enrico VIII mediocremente interpretato da Eric Bana, Anne affina la propria educazione e sa rendersi indispensabile senza mai concedersi, promettendo al re il sospirato erede. Ma giocare con i sentimenti di un sovrano dalle passioni autoritarie può condurre fin troppo lontano. Così la soave Mary (una Scarlett Johansson che non cambia espressione dai tempi di La ragazza con l’orecchino di perla), messa da parte per la più piccante sorella, vivrà felice accanto al giovane marito, mentre l’ambiziosa Anne, crudelmente giocata dalla sorte, metterà al mondo una bimba, la futura grandissima sovrana Elisabetta I. La regina verrà quindi accusata di stregoneria, adulterio e perfino di incesto con il fratello George, tesi assur damente avvalorata da romanzo e sceneggiatura al solo scopo di solleticare i pruriti del pubblico. E proprio su questo principio da soap opera si delinea tutta la pellicola, che si perde in ine sattezze storiche e convenzionali scene erotiche. Ma la statura dei personaggi e l’importanza storica della vicenda meritavano ben altro trattamento. Uniche a mostrare impegno, in un cast palesemente scelto sulla base del fascino fisico, sono Natalie Portman, avvantaggiata anche dall’autentica somiglianza ad Anne, e la sempre perfetta Kristin Scott Thomas, una Lady Boleyn sospesa fra docilità e rabbioso rimorso di ciò che era successo. Chiara Tartagni
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BILLY giudica
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citazioni: dal Truffaut di Effetto notte al triangolo amoroso di Jules e Jim, da Sergio Leone a Malle, da Rossellini a Fellini e poi ancora Bunuel e Hitchcock laddove il rullo di una pellicola si tra sforma in una scala a chiocciola, fino a termi nare nell’autocelebrazio ne di Donne sull’orlo di una crisi di nervi. Almodovar “sveste”, con questo lavoro, i panni del regista per vestire quelli dello sceneggiatore, pro Un film nel film, ma Gli abbracci spezzati prio come il protagonista del film, per non è solo questo. L’ultima fatica di Almo dovar gioca per tutta la sua durata sul fi narrare una storia in cui l’immagine la lo lieve di una duplicità intrinseca in ogni scia spazio al ricordo e alla redenzione, in cui i personaggi, o quasi tutti, hanno situazione e in ogni personaggio. La sto ria stessa è divisa in due binari temporali la possibilità di riscattarsi, in cui la vera rivincita è dare alla verità delle cose il distanti quattordici anni e ogni perso posto che merita. Fino a qui Gli abbracci naggio principale ha il proprio doppio io. spezzati potrebbe sembrare un capola Mateo Blanco è un regista, o almeno lo era, costretto dalla cecità al ruolo di sce voro. Purtroppo non è così. La struttura narrativa del film soffre dei salti tempo neggiatore firma ora le sue opere con lo rali della sceneggiatura, nessun perso pseudonimo di Harry Caine, deciso a ta gliare i ponti con il proprio passato che ri naggio riesce a diventare convincente e le mille citazioni (anche se molto torna a galla quando viene a conoscenza apprezzate) finiscono per diventare della morte del potente uomo d’affari troppo disinvolte e banali, a volte con Ernesto Martel, con il quale ha condiviso un torbido triangolo amoroso con la bella semplici riferimenti ai film nelle battute Lena, divenuta star del cinema e amante di un personaggio e anche in quelli che dovrebbero essere i momenti chiave del di Mateo ma, prima, segretaria e poi film, in cui si scoprono cose che ogni compagna di Ernesto, il quale scopre il spettatore in sala ha già scoperto, tradimento servendosi del figlio, che mancano emozioni e pathos. Anche se porta il suo stesso nome. Gli abbracci spezzati è anche un film che omaggia, in ad un regista come Almodovar lo si può ogni sua parte, tutti i classici del cinema, perdonare, il film è un classico film tera peutico per chi lo dirige ma po talvolta anche in modo sconnesso e tenzialmente noioso per chi lo vede. plateale; è una dichiarazione di amore al Marco Bacchi cinema stesso, con le sue innumerevoli
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Esordio col botto per Grant Heslov. Adattando l’incredibile storia di Ron Jonson per il grande schermo, e ritrovando George Clooney (con cui aveva lavorato in Good night and Good luck), il regista impone questa sua creatura come uno dei film più interessanti dell’anno. Bob Wilton (Ewan McGregor) è un reporter che, dopo essere stato mollato dall’amore della sua vita per un editore mutilato, decide di andare in Iraq come corrispondente di guerra. Qui incontra Lyn Cassady (George Clooney), uno strambo veterano che sostiene di essere un guerriero Jedi e di avere dei poteri soprannaturali così potenti da poter fermare il cuore di una capra con il solo sguardo. Bob scoprirà, in una vera e propria odissea al fianco di Lyn, che quest’ultimo è stato un soldato della “New Earth Army”, unità sperimentale dell’esercito statunitense che trent’anni
prima avrebbe dovuto combattere a suon di poteri psichici, fiori, canzoni hippy ed Lsd. Dopo la distruzione di questa unità speciale da parte di uno dei suoi ex allievi caduto nel lato oscuro, la guerra in Iraq si propone come ultima speranza per portare l’equilibrio nell’esercito degli Stati Uniti. Questo film è una dichiarazione d’amore per la cultura degli anni ’70, il suo cinema, la sua musica. Una cultura così bella che sarebbe potuta essere la soluzione a tutti i problemi del mondo, ma che per colpa di qualcuno (Reagan non era forse fan di Guerre Stellari?), non è mai sbocciata del tutto. E se un giorno quei valori rivivessero? Potrebbero ancora essere la nostra salvezza? La speranza è l’ultima a morire: Bob, Lyn e compagni ci hanno provato. Marco Berardi
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Film sulla boxe come forma di riscatto sociale nelle borgate romane e sulla paternità, asciutto, sincero…no, no, ci siamo lasciati ingannare, la storia vira: film sul dolore e sulla morte, sulle speranze deluse, un Million dollar baby de noantri, un po’ più casalingo ma pur sempre pregevole…no, no, ci siamo sbagliati di nuovo, la storia vira ancora: film sui transessuali (che tanto van di moda), sull’accettazione del diverso, sul rapporto con l’altro, sui problemi del Nordest…no, no, è passata più di un’ora ma non abbiamo ancora capito niente: è un film sulla criminalità organizzata, sul dramma dell’immigrazione clandestina…non è possibile, non è un solo film: sono almeno quattro film completamente diversi, tutti abbastanza promettenti, cuciti insieme o meglio, incollati alla buona – a cui la presenza del pur volenteroso Castelletto tenta invano di dare unità. Dopo il bell’esordio de L’aria salata, presentato sempre a Roma nel 2006, Angelini si conferma regista capace e promettente, dotato di un’abilità incomparabile nel dirigere il cast, ma denuncia anche, con questa storia sconclusionata e improbabile, tutti i suoi serissimi limiti di sceneggiatore. Se avesse sviluppato meglio le tante idee pur presenti nella pellicola, se avesse approfondito maggiormente certe situazioni rinunciando a inserirne forzosamente altre inutile e dispersive, se avesse lasciato allo spettatore la possibilità di affezionarsi ai personaggi e ai loro drammi senza farli subito scomparire per passare a raccontare altro, questo Alza la testa avrebbe potuto essere un bel film. Così, rimane un’occasione mancata, una promessa non mantenuta. Alessandro Merci
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“6 giugno 1982: primo giorno della guerra tra Israele e Libano”. Con questa scarna didascalia di esordio il regista Samuel Maoz ci proietta all’interno di uno dei più terribili conflitti mediorientali (lo scenario è quello della guerra civile e religiosa che dilaniò il Paese dei Cedri per un quindicennio) attraverso l’ottica dei quattro giovani soldati all’interno di un carro armato israeliano. La scommessa di girare quello che si configura come un film quasi teatrale, secondo uno stile che ricorda la gloriosa tradizione del “cinema da camera” di impronta scandinava, ma in un contesto anomalo come l’abitacolo di un carro armato si è rivelata infine vincente. Il senso di claustrofobia e di angoscia che trasmette un tale interno (l’esterno lo vediamo quasi sempre attraverso il vetro con mirino del puntatore) rende lo spettatore partecipe di un dramma collettivo che coinvolge indistintamente tutti, israeliani e libanesi, soldati e civili. Attraverso scene intensissime (come i militari del carro che combattono un nemico sfuggente ed invisibile, o la madre libanese che cerca la sua figlia uccisa tra le macerie), Maoz ci ricorda una volta per tutte la crudeltà e il grande carico di insensatezza che ogni guerra porta con sé, aldilà delle bandiere dalle quali è ispirata. Spiragli di umanità, tuttavia, riescono a farsi largo anche in un simile contesto di violenza generale: la bellissima scena finale (senza parole, e che lascia veramente senza parole), è un inno alla fratellanza umana, in quello che può parere quasi per quanto il film nel suo complesso lo possa consentire – un lieto fine. Fabio Giambi
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Difficile dire cosa centri il titolo con il film. Ancora più difficile dire cosa vi abbia a che fare la locandina. Quasi impossibile poi trovare un significato ai settantacinque lunghissimi minuti di improbabili balletti teatralcircensi tra Castellitto, miliardario ozioso incuriosito dal mondo del circo, e la Birkin, artista tormentata e vittima di un passato che le impedisce di tornare sul palco. Tra confessioni monologanti sotto un tendone, spettri di ieri che riaffiorano, curiosità importune e fastidiosissimi quanto avvilenti siparietti comici, il film, che pure trova qualche momento di convincente poesia nella rappresentazione liricoironica di uno scalcinato circo itinerante di provincia giunto ormai alla frutta, pare voler dimostrare un assunto che non c’è, giocando superficialmente su quell’eqauazione artevita che aveva permesso a Rivette di realizzare il suo capolavoro (La bella scontrosa). Se è difficile e forse persino ingiusto stroncare un film di cui non si sono comprese granché le motivazioni, le finalità e il messaggio, non si può negare che questo Questione di punti di vista gareggia in noia e inconcludenza con l’ultima fatica di un altro grande vecchio della Nouvelle Vague, Eric Rohmer (Gli amori di Astrea e Celadon), e che è soltanto grazie all’immenso Resnais che questo movimento fondamentale della storia del cinema riesce ancora ad emozionarci e a comunicarci qualcosa. Da dimenticare anche l’interpretazione di Castellitto, come il film nel suo insieme. Alessandro Merci
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BILLYsegnala
Venerdì 4 dicembre presso il cinema San Biagio di Cesena, ore 17.00 Paolo Mereghetti presenta il suo "Orson Welles. Introduzione a un maestro". A seguire proiezione di La signora di Shanghai (Orson Welles, 1947,87') Ingresso libero
BILLYonline il blog ufficiale
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con l'archivio di tutti i numeri e, dal 1 dicembre, la programmazione delle sale d'essai della Romagna la pagina myspace
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con il programma delle rassegne romagnole dal 1 dicembre e la mappa del cinema in Romagna, in costruzione la pagina twitter
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dal 1 dicembre la notizia cinematografica del giorno e il commento in 168 battute. Dopo le 13
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GARROYO E I SUOI FRATELLI al margine del cinema
Lungaggini e teste che scoppiano L'altra sera vado alla festa de L'Unità di Tobago col mio amico Johnny Samsung (presidente dell'omonima azienda pro duttrice di frigoriferi touch screen, spre miagrumi bluetooth e affini) e chi ti vedo in pizzeria? Michael Mann seduto a un ta volo solo, isolato, che mangia. Samsung, noto cagacazzi, non si trattie ne e mi trascina di fronte al regista: “Toh, Mann! L'uomo per il quale do vrebbero inventare il viagra al contrario, vista la lungaggine dell'ultimo film. Lo hai visto Paco? E' riuscito a trasformare un poliziesco in un valium”. Mann, attonito, fissa la sua pizza ai frutti di mare, poi alza lo sguardo su di me, poi si rivolge al mio amico in un tobaghe se stentato: “Mio film essere lungo pro porzionalmente a intelligenza di mio spettatore. Se per te troppo lungo, mi dispiaccio”. “Per mille diavoli Johnny, ti ha proprio conciato per le feste!” dico al mio amico, divertito. “Zitto, stupido crucco – risponde seccato lui non cercare di imbambolarmi con i tuoi suffragi universali. La tua pellicola è inutilmente prolissa e superficialmente annacquata. Hai fatto un film di due ore e mezza solo perché va di moda. Perché non volevi essere a meno di Giuseppe
Tornatore. Dì la verità”. “Io non essere crucco. Thomas Mann es sere crucco. Lei mi confonde”. “Zitto, non interrompermi con le tue elu cubrazioni. Piuttosto prendi esempio dall'americano Roland Emmerich. Anche lui fa film che durano una notte. Ma è una notte che passa in un lampo: esplo dono pianeti, brillano palazzi, saltano macchine, scoppiano teste. Pum Pum Pum!” “Pum!” urlo io che mi son fatto prendere. “Esplosioni nei film essere proporzionali a idiozia di spettatore. Se per te va be ne, mi dispiaccio” sentenzia Mann. “Zitto, non distrarmi con le tue ma sturbazioni enunciazionali. Dicevo: serve adrenalina, emozione facile, suoni forti, rumori assordanti! Mica come le tue stu pide pallottole! I milioni di proiettili spa rati da distanze ravvicinate e che non vanno mai a segno! Serve velocità, sangue, morti tangibili, catastrofismo efficiente!” “E pornografia!” dico io che mi son fatto prendere. “La pallottola vagante è la migliore ami ca del uomo dopo fucile” prova a di fendersi Mann, guardando scocciato le vongole sulla pizza ormai fredda. “E tu Paco che ne dici?” mi fa Samsung. “Io? Io non ho visto nessuno dei due film. Io ho una morosa. Non vado al cinema. La sera trombo, io”. E tutto lo stand esplode in un'ovazione, mentre i vecchi pizzaioli intonano “Bandiera rossa” Paco Francisco Garroyo.