Il GIARDINIERE CONTRO BIG PHARMA “The Constant Gardener”, del brasiliano Fernando Meirelles (“The City of God”), racconta la battaglia di un uomo contro i misfatti di “Big Pharma”, una durissimma denuncia dei crimini contro il continente africano. “Big Pharma”, ovvero le multinazionali della sanità che non si fermano davanti a nulla pur di monopolizzare il mercato globale. A scapito della povera, dissestata, Madre Africa. Il film, apparso in chiusura del 62imo Festival di Venezia, è tratto dall'omonimo, recente bestseller di John Le Carrè. Ralph Fiennes (“Il Paziente Inglese”) interpreta il diplomatico inglese Justin, di stanza in Kenya, appassionato di giardinaggio, sposato a un'attivista dei diritti civili. Lei viene trovata assassinata con un presunto amante, lui cerca di scoprire chi l'ha fatta fuori. Si troverà coinvolto In una battaglia impossibile contro una cospirazione ordita dalle industrie farmaceutiche. C'è l'ipersfruttamento occidentale, una speculazione talmente spinta al limite dell'etica, che getta in miseria la popolazione, che muore di fame e a causa di malattie terribili, ma spesso curabili. È il caso degli investimenti delle case farmaceutiche per la ricerca sui medicinali, dell'utilizzo della popolazione indigena come cavie per la sperimentazione dei farmaci, e soprattutto l'esagerato costo delle medicine che le rende inaccessibili alla quasi totalità della gente, aggravando le epidemie di HIV, tubercolosi e malaria, che uccidono milioni di persone ogni giorno. Ed è proprio per scoprire fino a che punto le case farmaceutiche e il governo britannico sono implicate in questo sporco giro che Tessa compie delle indagini che probabilmente l'hanno portata alla morte. Un'opera che mostra, senza sconti, una realtà mostruosa: il lato “assassino” del capitalismo farmaceutico. (Pubblicato su Ecplanet 13-10-2005)
The Constant Gardener - La cospirazione - Wikipedia NAZI-PHARMA Tra le industrie indiane di “outsourcing”, quella che recluta pazienti sui quale eseguire esperimenti farmaceutici per case di tutto il mondo, sono le più redditizie. Il fenomeno è in costante crescita in India, tanto che il business è destinato a toccare, secondo le stime, un giro di affari di un miliardo e mezzo di dollari nell arco di quattro, cinque anni al massimo, mentre si calcola che nel 2010 saranno oltre 2 milioni i pazienti indiani sottoposti a test farmaceutici. Fino a qualche anno fa, le case farmaceutiche indiane importavano i farmaci dall'estero e poi li riproducevano in casa, riuscendo a venderli a costi contenuti. Trattandosi di riproduzioni di farmaci esistenti e testati, non erano soggetti a test clinici prima della commercializzazione. Recentemente, però, le pressioni del WTO hanno portato l'India a dichiarare illegale la clonazione dei farmaci e imporre i test clinici. Questo ha aperto una nuova “corsa alla cavia” da parte di tutte le case farmaceutiche che, facendo spesso leva sulla condizione di bisogno delle persone, riescono ad ottenere volontari a buon mercato.
Ad essere coinvolti nel giro delle cavie sono soprattutto uomini giovani, spesso senza lavoro, allettati dai guadagni promessi ma spesso anche dall'illusione di poter (sia pure in via sperimentale) ottenere delle cure che da soli non potrebbero permettersi. Una “cavia farmaceutica” viene pagata in media 100 euro, la stessa somma che prende in media un impiegato di banca. Le cavie indiane, inoltre, sono tra le più ricercate, perché, nella maggior parte dei casi, ancora incontaminate, cioè non sottoposte ai bombardamenti farmacologici a cui sono soggetti tradizionalmente gli occidentali. Secondo l'Igate Clinical Research International (organismo che si occupa di ricerca clinica e di sperimentazione farmaceutica) il vantaggio di usare gli indiani risiederebbe proprio nel poter disporre di malati “non trattati” sui quali si possono condurre esperimenti a costi competitivi in un ambiente più elastico dal punto di vista della normativa, molto meno rigida che altrove. Si tratta di un Paese con qualcosa come “...40 milioni di asmatici, 34 milioni di diabetici, 10 milioni di sieropositivi, 8 milioni di epilettici, 3 milioni di malati di cancro”, sempre secondo i dati forniti dallo stesso istituto. Le case farmaceutiche puntano molto sull'ignoranza dei pazienti, sulle loro paure e sulla loro povertà. Non tutti sanno a cosa vanno incontro. Molti pazienti non danno realmente il loro consenso informato (come invece prescriverebbe la legge) anche perché spesso non capiscono quello che c'è scritto (in inglese di solito). Sono tanti i candidati a diventare “cavia” che firmano senza capire le conseguenze di quello che gli verrà somministrato, solo perché convinti dai medici che ritengono, perché laureati e colti, “superiori” a loro. Molte delle cavie-pazienti si fidano dei loro medici curanti ed entrano nel giro, soprattutto per necessità. Ed è questo, oltre al passaparola, il metodo di reclutamento più diffuso. Le agenzie specializzate pagano somme spesso ingenti ai medici che forniscono pazienti. Questi arrivano per lo più dalle campagne e credono di riuscire a curarsi gratuitamente. A molti di questi, oltre ai soldi, vengono dati gratuitamente i medicinali di cui hanno bisogno per le loro normali cure. Ma non sempre tutto va bene. Sono molti i casi di pazienti, già malati, soprattutto di malattie psichiatriche, ai quali vengono sospesi i farmaci per cominciare con i nuovi della sperimentazione. Questo aumenta le loro malattie. Sei anni fa, fu sperimentato su pazienti malati di cancro in India un farmaco americano chiamato M4N. Il farmaco fu iniettato negli uomini senza essere stato prima testato sugli animali. Secondo alcune associazioni di volontariato furono molti i morti, ma dati ufficiali nono sono mai stati resi noti. ESPERIMENTI SU BAMBINI AFRICANI Come nel romanzo di John le Carré, bambini africani diventano riserva di caccia delle case farmaceutiche affamate di cavie umane. Lì era il Kenya, qui è la Nigeria dove - come denunciato dal Washington Post bambini neri malati di meningite hanno fatto da banco di prova alla sperimentazione della Pfizer, alcuni lasciandoci la pelle. I fatti risalgono al 1996: in Nigeria infuriava un'epidemia di meningite da oltre 15.000 morti. Il colosso del Viagra inviò i suoi esperti in un ospedale da campo di Kano per mettere alla prova un nuovo farmaco su cento bambini. Nello stesso ospedale, l'organizzazione umanitaria Medici senza Frontiere (MsF) curava i piccoli pazienti con antibiotici regolamentari. Il Trovan, questo il nome del nuovo farmaco, non era mai stato testato su esseri umani. Cinque bambini morirono durante la terapia e altri si ammalarono di artrite. Morirono altri sei bambini a cui venne somministrato un farmaco di controllo. La vicenda è tornata alla ribalta grazie a un informatore coraggioso che ha fatto arrivare al “Washington Post” il rapporto messo a punto nel 2001 da una commissione di esperti medici del governo nigeriano. Un rapporto che accusa la Pfizer di aver violato la legge internazionale, rimasto misteriosamente per cinque anni nel cassetto. L'informatore chiede di restare anonimo: teme per la sua sicurezza personale, di far la fine dei protagonisti di “Constant Gardener”. Il documento è durissimo nei confronti della Pfizer. La società farmaceutica si è difesa affermando che i suoi ricercatori andarono a Kano per motivi puramente umanitari, tesi questa respinta dal rapporto del governo nigeriano: i medici della società completarono i test e se ne andarono “nonostante l'epidemia stesse ancora infuriando”. Secondo la Pfizer, infermiere locali avrebbero spiegato l'esperimento ai genitori e ne avrebbero ottenuto il consenso verbale. “Il Trovan salva indubbiamente vite e la Pfizer è in forte disaccordo con chi suggerisce che si è comportata in maniera contraria all'etica”, ha sostenuto la società in un comunicato passato al Washington Post.
Al tempo dell'esperimento nigeriano, la Pfizer stava sviluppando il Trovan per il mercato statunitense con un giro d'affari previsto di un miliardi di dollari all'anno. Ma la Food and Drug Administration (Fda) non ha mai approvato l'uso del farmaco per i bambini. Dopo aver ricevuto luce verde per l'uso negli adulti, il Trovan divenne rapidamente uno degli antibiotici più prescritti negli Usa, anche se successivamente vennero scoperti gravi effetti collaterali al fegato e nel 1999 la Fda ne restrinse pesantemente l'uso. Anche in Europa il Trovan è al bando. L'apparizione del rapporto ha provocato reazioni in Congresso: un deputato democratico, Tom Lantos, ha chiesto alla Pfizer di aprire i suoi archivi accusandola di “comportamento al limite della criminalità” per aver usato “poveri e analfabeti come cavie umane”. Il dossier ha dato anche nuova vita all'azione legale presentata nel 2001 a New York da 30 famiglie nigeriane. Le famiglie avevano denunciato il colosso farmaceutico per aver esposto i bambini a “trattamento crudele, inumano e degradante”, ma un giudice federale aveva respinto la causa affermando di non avere giurisdizione sulla materia. (Pubblicato su Ecplanet 18-05-2006)
Indian Guinea Pigs for Sale: Outsourcing Clinical Trials 08 settembre 2004 USING AFRICANS AS 'GUINEA PIGS' 16 novembre 2007 Pfizer's Nigerian Nightmare 08 dicembre 2008 Le multinazionali farmaceutiche dominano il business più redditizio al mondo: quello della malattia. Grazie a un'ondata di fusioni senza precedenti, dieci gruppi farmaceutici si dividono oggi il 50% del mercato mondiale dei medicinali (a maggior beneficio dei loro azionisti). Ogni volta che prendete una medicina chiedetevi se fa più bene a voi o a loro. Mentre negli Stati Uniti è annunciata l'uscita di “Sicko”, il nuovo film-documentario di Michael Moore contro l'industria farmaceutica americana, “Big Pharma” (Come l'industria farmaceutica controlla la nostra salute, Einaudi, 2006) di Jacky Law spiega in che modo l'insieme delle multinazionali farmaceutiche più che preoccuparsi della salute e del benessere delle persone pensa a fare soldi a palate. Farmaci di marca e farmaci generici. Farmaci che costano una fortuna. Farmaci che cambiano nome e curano patologie diverse, ma sono esattamente gli stessi. Il Prozac, per esempio, che - colorato di rosso e lavanda - è diventato Sarafem, un rimedio contro la sindrome premestruale a un prezzo tre volte superiore. Ricerche e sperimentazioni truccate, sindromi inventate a tavolino come il “disordine d'ansia sociale”, lo scandalo dei farmaci anti-AIDS negati ai Paesi del sud per non perderne il monopolio, medici comprati con sovvenzioni da favola, modifiche “cosmetiche” a farmaci già esistenti, i cui effetti diventano dubbi, se non addirittura pericolosi. L'autrice svela un sistema in cui la ricerca scientifica, ormai del tutto corrotta, è entrata a far parte di una gigantesca impresa economica, di stampo mafioso, che induce il bisogno di farmaci spesso inutili se non dannosi; dove il costo delle medicine cresce senza sosta; dove gli studi scientifici sono manipolati, i ricercatori e le autorità di controllo corrotti o intimiditi. Con la connivenza di moltissimi medici, profumatamente ricompensati dal mostro Big Pharma, e anche dei mass-media.
Quando Glaxo SmithKline (GSK) è stata sottoposta, in Italia, a una gigantesca inchiesta di polizia che ha coinvolto ben 2.900 medici, a eccezione del British Medical Journal (BMJ) e del Guardian di Londra (13 febbraio 2003), su questo grande scandalo si è scritto poco o niente. Eppure, ben 37 impiegati di GSK Italia e 35 medici sono stati accusati di corruzione; 80 informatori scientifici denunciati per versamenti illegali a favore di medici disposti a prescrivere prodotti della casa piuttosto che gli equivalenti generici. Nel corso dell'inchiesta, la polizia ha scoperto un complesso sistema informatico, denominato Giove (Jupiter), che permetteva ai rappresentanti commerciali della ditta di controllare, attraverso le ricette presentate in farmacia, le prescrizioni dei medici che erano stati pagati. Inoltre, secondo BMJ, 13.000 ore di registrazioni telefoniche dimostrerebbero molto chiaramente quanto stretta fosse la relazione tra il numero delle prescrizioni e la consistenza dei regali ottenuti dai medici: visite «mediche» al Gran premio di Montecarlo o ai Caraibi, versamenti in contanti fino a 1.500 euro, ecc. Scandali simili sono emersi negli Stati uniti e in Germania. Nell'aprile 1993, la dottoressa Nancy Olivieri, dell'Ospedale pediatrico di Toronto, firma con la società Apotex Research Inc. un protocollo di ricerca su una nuova molecola, il deferiprone, che potrebbe aiutare i pazienti colpiti da talassemia (malattia del sangue ereditaria) a evitare i problemi cardiaci legati al sovraccarico di ferro. A quel tempo, la dottoressa Olivieri era ben lontana dal sospettare che il suo «caso», otto anni dopo, sarebbe stato oggetto di un rapporto d'inchiesta di oltre 500 pagine. Due anni dopo l'inizio della sperimentazione terapeutica e la pubblicazione dei primi, incoraggianti risultati, le nasce il sospetto che il medicinale aggravi la fibrosi epatica di alcuni suoi malati. Decide allora di far firmare ai pazienti una nuova lettera di consenso, affinché siano informati dei rischi potenziali legati a effetti secondari, e sottopone la lettera ai suoi superiori. Immediatamente, la casa farmaceutica annulla il contratto (senza interrompere le ricerche in corso in altri ospedali) e minaccia di trascinarla in tribunale se dovesse infrangere la clausola di riservatezza che ha imprudentemente firmato. Ignorando le pressioni, in nome del proprio dovere verso i pazienti, il medico presenta i risultati del suo lavoro nel corso di un convegno. In sei anni di noie giudiziarie e professionali, sarà sostenuta soltanto dall'Association Canadienne des Professeur(e)s d'Université (ACPPU). Grazie alla sua tenacia, la dottoressa Olivieri alla fine ha vinto la causa. Reintegrata in servizio, e con una compensazione per gli anni di ricerca perduti, ha anche ottenuto l'annullamento da parte della Commissione Europea dell'autorizzazione alla vendita del Ferriprox, che contiene il deferiprone, in nome del fatto che nessuno studio scientifico ha finora eliminato i timori da lei segnalati. La vicenda della Olivieri viene raccontata nel documentario “Dying for Drugs” di Brian Woods, sugli esperimenti sanitari illegali a danni di bambini poveri, e nel libro “The Drug Trial” di Miriam Schucman. Il Deferiprone oggi è autorizzato in più di 24 paesi – inclusa la Gran Bretagna – e l'Apotex insiste sul fatto che sia un farmaco sicuro ed efficace. L'azienda ha anche accusato la Dott.ssa Olivieri di aver commesso errori durante l'esperimento, che avrebbero reso nulli i suoi risultati. Tra lo stupore generale, è stato Randall Tobias, l'ex presidente di Ely Lilly - fortunato produttore del Viagra - l'uomo scelto da George Bush per gestire il fondo americano per la lotta contro l'Aids (15 miliardi di dollari in cinque anni). «I suoi rapporti con l'industria farmaceutica hanno suscitato forti perplessità: Tobias s'impegnerà a garantire l'accesso a medicinali generici a basso costo - si chiede, nel suo editoriale del 12 luglio 2003, The Lancet, uno dei più importanti giornali di ricerca medica - o comprerà versioni sotto brevetto, proteggendo così gli interessi delle industrie americane?». Secondo un articolo del New York Times, George W. Bush fermerà tutte le cause legali contro le cause farmaceutiche sostenendo che i
consumatori non possono incriminare un “prodotto” che è stato approvato dall'FDA. Bush sostiene che tutte queste cause possono rovinare l'economia. Il formidabile braccio di ferro commerciale sui brevetti farmaceutici, che oppone da molti anni alcuni paesi del Sud alla triade Stati uniti-Unione EuropeaGiappone (l'88% del consumo totale di medicinali nel mondo), è finito, alla vigilia della riunione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio a Cancun, con la vittoria delle «Big Pharma», guidate dalla ditta americana Pfizer: la marea di limitazioni imposta al commercio dei generici garantisce loro uno stretto controllo su questo mercato. Bombardati da slogan che assimilano «ricerca» e «vita», raramente ci si interroga sul legame reale tra i bisogni sociali relativi alla salute e le priorità di sviluppo di questo o quel nuovo medicinale. Quante e quali ricerche, indispensabili alla vita, ma che non dispongono a valle di un «mercato» sufficiente, sono sacrificate all'orgia di spese di promozione per i «blockbuster», cioè i medicinali il cui giro d'affari supera il miliardo di euro? I principali responsabili di questa deriva sono i poteri pubblici che formano i medici per poi abbandonarli a un lavoro spesso solitario, senza mezzi indipendenti per aggiornare le loro conoscenze. Va detto però che si scontrano con una lobby molto organizzata, che non esita a utilizzare l'intimidazione e il ricatto (nell'uso o nell'immissione sul mercato delle novità terapeutiche). Il paziente, da parte sua, non dispone di alcun mezzo per farsi un'opinione informata (al di fuori della pubblicità). L'eventuale legalizzazione, da parte dell'Unione Europea, della pubblicità diretta nei confronti del pubblico, rischia di fare aumentare ancora di più la confusione. ll “Texas Medication Algorithm Project” (TMAP), recentemente annunciato dall'Aministrazione Bush, è stato dettato dall'operato di un gruppo di esperti che hanno preso soldi dall'industria farmaceutica. Il fatto è stato denunciato da Allen Jones tramite un documento che e' stato pubblicato dalla Law Project for Psichiatric Rights, un'organizzazione no-profit. Allen Jones è stato ovviamente licenziato. Stessa sorte per il Dr. Stefan Kruzewski, psichiatra, licenziato per aver denunciato “dubbie pratiche” per la prescrizione degli psicofarmaci e l'incorrettezza di alcune diciture riportate sulle etichette. In Inghilterra, il governo starebbe studiando un programma di vaccinazione dei bimbi contro la dipendenza da droghe e fumo, con annessa schedatura. Un vero e proprio piani di marketing per espandere i guadagni dell'industria farmaceutica. Ma come mai si spendono milioni per le “campagne anti-fumo” quando è risaputo che l'incredibile aumento di tumori di questi ultimi decenni non ha nulla a che vedere con il tabacco quanto piuttosto con l'aria malsana che respiriamo? Un altro clamoroso caso di corruzione farmaceutica sono le “Nuove Guide per la lotta al colesterolo”. I nuovi standard sono stati stabiliti da una commissione di nove esperti. Otto di questi nove esperti hanno preso soldi da diverse case farmaceutiche che producono farmaci anti-colesterolo. Il fatto è stato confermato da una fonte governativa americana. Le recenti ammissioni delle connessioni tra il Thimerosal e l'autismo, gli antidepressivi e il suicidio, le continue accuse verso le case farmaceutiche di nascondere gli studi che dimostrano l'inefficacia dei loro prodotti e i relativi effetti collaterali stanno mettendo in difficoltà alcune multinazionali. Nell'aprile del 2004, uno studio della Silver Spring University ha dimostrato la connessione tra il Thimerosal e i danni neurologici. Nel maggio dello stesso anno, la rivista del Comitato di Sicurezza della Vaccinazione, facente parte dell'IOM (Institute of Medicine) documenta in un altro studio scientifico il nesso di causalità tra i vaccini che contengono mercurio e l'insorgenza dell'autismo. Ma la politica è sempre pronta ad intervenire. Durante l'approvazione delle leggi sulla sicurezza interna (Patrioct Act), l'amministrazione Bushh ha inserito una clausola che scagiona le cause farmaceutiche da possibili cause contro gli effetti collaterali del Thimerosal contenuto nelle vaccinazioni. In America del nord, il Thimerosal è stato rimosso dai vaccini destinati ai bambini già da diversi anni, ma l'OMS non ne sconsiglia l'uso ed in Italia viene ancora usato. I COLOSSI di BIG PHARMA
PFIZER - La multinazionale USA ricava l'86% del suo giro d'affari dai farmaci (suo è il Viagra), ma è presente anche nella salute animale (6,3 miliardi di dollari sulle vendite totali di 52,51 miliardi nel 2004). Un quinto dell'attività viene dall'anticolesterolo Lipitor, il cui brevetto è contestato dai produttori di generici. Il suo antinfiammatorio Celebrex ha le stesse caratteristiche del Vioxx (Merck), ma non è stato ritirato dal mercato. NOVARTIS - I farmaci sono al primo posto (oltre il 60% del giro d'affari nel 2004) del gruppo svizzero, che punta anche sui generici (con la filiale Sandoz), sui farmaci veterinari, sul settore della nutrizione e sui medicinali da banco (il 7% dell'attività). L'antinfiammatorio Prestige, stessa classe terapeutica del Vioxx (Merck), è sotto accusa per aver causato problemi cardiaci. L'indice di borsa di Novartis è in ascesa. ASTRAZENECA - Il laboratorio anglo-svizzero ha il 97%o dei ricavi dal settore medico, e una posizione di primo piano nei settori cardiovascolare, respiratorio e gastroenterologico, in oncologia e anestesia. Il Mopral (antiulcera), brevetto scaduto nel 2004, è stato uno dei farmaci più venduti al mondo. Ma il gruppo è in crisi: il Crestor (anticolesterolo) avrebbe causato morti. Il nuovo anticancro Iressa non darebbe i benefici sperati. Il titolo in borsa è sceso. JOHNSON & JOHNSON - Creato nel 1885, il gruppo USA ha tre poli: farmacia e biotecnologie, con molecole per cancro e anemia, epilessia, malattie psichiche; parafarmacia; e una divisione per lenti a contatto, strumenti chirurgici e cardiovascolari. L'acquisto della Guidant, leader di apparecchi cardiaci e vascolari, diluisce il peso della farmacia ancorando il gruppo in un settore esteso come quello della salute. ROCHE - Per il colosso svizzero, il 27% dei ricavi viene da un'attività non medica (diagnostica). È uno dei laboratori che investe di più nelle biotecnologie: nel 1990 ha preso il controllo di Genentech, di PCR Technology nel '91, di Böhringer Mannheim nel '98, di Chugai nel 2002. Il 40% delle vendite viene da 13 molecole ottenute con biotecnologie. Il Roaccutane è stato accusato di provocare turbe del comportamento. SANOFI-AVENTIS - L'obiettivo è la fusione fra i gruppi francesi Sanofi-Synthélabo e Aventis. La società, che realizza il 95% del suo giro d'affari con i farmaci senza prescrizione, tenta di diversificarsi con i generici, con il marchio Winthrop. Sanofi-Aventis ha un portafoglio di 2.650 farmaci, il doppio di Pfizer: nel gruppo americano l'80% delle vendite viene da una ventina di prodotti, Sanofi arriva a questa percentuale con 64 farmaci. GLAXO-SMITHKLINE - Per il gruppo inglese l'85% del ricavo viene dai farmaci e vaccini. Benché abbia molte molecole in via di sviluppo (quasi 90), i farmaci che potrebbero rilanciarne l'attività e sventare la minaccia dei generici tardano ad arrivare. Si prevede una crescita lenta fino al 2007, seguita da un boom. Il gruppo ha fatto investimenti notevoli nel settore ricerca e sviluppo, per automatizzarlo il più possibile riducendo i ritardi nella creazione di nuovi medicinali. MERCK - Dopo il ritiro del Vioxx, che avrebbe causato circa 100 mila eventi cardiovascolari, Merck potrebbe affrontare 575 processi. Gli insuccessi si accumulano: un tribunale USA ha deciso che i brevetti del Fosamax (antiosteoporosi) scadranno nel 2008, dieci anni prima del previsto. Il farmaco principe resta l'anticolesterolo Zocor, anche se le vendite dono calate del 5% nel 2004. BRISTOL–MYERS SQUIBB - L'82% dei profitti del gruppo americano viene dai farmaci. Nel 2001 ha acquistato la filiale farmaceutica di DuPont. L'azienda ha ceduto i suoi farmaci da banco per concentrarsi sulla ricerca contro Alzheimer, diabete e obesità. Un forte investimento nella società biotecnologica Imclone le ha procurato problemi con le autorità americane. BMS commercializza negli USA il Plavix, uno dei farmaci di punta di Sanofi-Aventis. BAYER - Il gruppo tedesco che ha creato l'aspirina ha ridotto la sua posizione nel settore farmaceutico, che rappresenta solo il 37% di un'attività molto diversificata. Ha acquistato, nel 2004, la divisione farmaci da banco di Roche e oggi è uno dei protagonisti di questo mercato: il 25% della sua attività. Colpito, nel 2001, dal ritiro dell'anticolesterolo Baycol, sospettato di aver causato morti, non ha ancora finito di indennizzare le vittime o i loro familiari. ABBOT - Il gruppo americano è presente su cinque segmenti di prodotti: farmaci (oltre il 50% del giro d'affari), diagnostica, prodotti tecnici per ospedali, pediatrici e nutrizionali. Il Meridia, antiobesità, è stato messo sotto accusa da David Graham della FDA. In compenso, l'Humira, contro i dolori artritici, ha approfittato del ritiro del Vioxx.
(Pubblicato su Ecplanet 10-11-2006) LINKS
«Big Pharma», storie di ordinaria corruzione Malasanità: medici corrotti e comparaggio 13 febbraio 2003 Thousands of Italian doctors named by police in Glaxo corruption case The Independent 28 maggio 2004 Conflicts Of Interest, Thimerosal In Vaccines And Autism: What Really Happened At The IOM Hearing? 16 giugno 2004 Bush To Impose Psychiatric Drug Regime 23 giugno 2004 No “access for all” to US Government HIV/AIDS research 02 luglio 2004 L'avida politica delle multinazionali farmaceutiche 09 ottobre 2005 Research conduct and the case of Nancy Olivieri The Lancet 22 ottobre 2005
Texas Medication Algorithm Project - Wikipedia CBG - Bayer e la IG Farben FARMA&CO Marcia Angell è specialista di medicina interna e patologia in forze alla Harvard Medical School. Per oltre un decennio, ha diretto il New England Journal of Medicine, una delle più prestigiose riviste mediche del mondo. La Angell recentemente ha pubblicato una inchiesta, “The Truth about Drug Companies” (“Farma&Co”, Il Saggiatore) che sviscera il rapporto tra ricerca medica, industria e mercato nell´economia della conoscenza. Le patologie del sistema denunciate da Marcia Angell sono, in estrema sintesi, queste: da circa un quarto di secolo a questa parte quello dei farmaci negli Stati Uniti, da mercato pigro e a tratti statico, è diventato un mercato “booming”, esplosivo, il cui fatturato, tra il 1980 e il 2002, è triplicato. Ogni anno, negli Stati Uniti si vendono farmaci per circa 200 miliardi di dollari. E altrettanti se ne vendono nel resto del pianeta. Quella farmaceutica è l´industria che, tra le grandi, guadagna di più in assoluto. Nel 2002, i profitti combinati delle dieci case farmaceutiche presenti in “Fortune 500” (la classifica delle 500 aziende più ricche d ´America), ammontavano a 35,9 miliardi di dollari. Secondo la Angell, i farmaci negli Stati Uniti d´America hanno prezzi ingiustificatamente alti. Il che contribuisce non poco a far sì che la spesa sanitaria americana viaggi intorno al 15% del Pil e sia, dunque, quasi doppia rispetto alla media europea. Gli americani spendono per curarsi il doppio di quanto, in media, non facciano gli europei. Non c´è dubbio che a disposizione dei cittadini USA ci sia il meglio della medicina mondiale. Ma è anche vero che le “health inequalities”, le insopportabili differenze di accesso alle cure, sono la più alte del mondo occidentale. L ´industria farmaceutica americana sostiene che i prezzi alti dei farmaci sono dovuti agli elevati e necessari investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico. Per ogni nuovo farmaco che raggiunge i malati,
sostiene Big Pharma, occorre investire in media oltre 800 milioni di dollari. Se i cittadini americani vogliono curarsi al meglio, questo è il messaggio, devono accettare di pagare qualcosa in più quando si recano in farmacia. Marcia Angell demolisce in maniera davvero efficace questa tesi. In primo luogo, dimostrando che la spesa media in ricerca per ogni nuovo farmaco è sensibilmente diversa da quella dichiarata da Big Pharma: non 800, ma 100 milioni di dollari; e che, in ogni caso, non è la ricerca ma la pubblicità a determinare l´alto costo dei farmaci negli USA. In secondo luogo, che non solo la spesa in ricerca non è determinante per i costi, ma non è neppure molto utile per i pazienti americani. Questo perché gran parte di quella spesa viene investita per immettere sul mercato non farmaci davvero innovativi, ma farmaci “me-too”, cioè con principi attivi non molto diversi da farmaci già esistenti e la cui maggiore efficacia, rispetto ai vecchi, non è mai stata davvero provata. Nel quinquennio 1998-2002 sono stati introdotti sul mercato 415 nuovi farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (F&DA), l´agenzia federale che sovrintende alla sicurezza del cibo e dei farmaci negli USA: ebbene, solo 133 (il 32%) sono nuove entità molecolari, gli altri sono variazioni di farmaci vecchi. E di questi, solo 58 sono di analisi privilegiata, cioè davvero innovativi. In pratica, la media è di appena 12 farmaci innovativi l´anno (14% del totale approvato dalla FDA), con un andamento peraltro decrescente. Inoltre, malgrado una spesa dichiarata di 30 miliardi di dollari annui in ricerca, la gran parte di queste nuove formule è stata ottenuta nei laboratori pubblici, delle università e dei centri di ricerca finanziati dalle tasse dei cittadini attraverso il National Institute of Health. Dei 78 farmaci approvati dalla FDA nel 2002, solo 17 contengono nuovi principi attivi, solo 7 sono classificati come miglioramenti rispetto ai farmaci già esistenti, e nessuno (dei 7) è stato messo a punto nei laboratori delle aziende private. Big Pharma si è limitata ad acquistare, a prezzi bassi, i diritti di commercializzazione. Infine, l'altro motivo dell'inefficacia della spesa (sia delle aziende in ricerca, sia della spesa sanitaria americana) è che i farmaci sviluppati riguardano sempre più malattie di difficile definizione (come il “disordine da ansia sociale”) o che attengono più alla cosmesi che alla medicina. Marcia Angell suggerisce dunque che Big Pharma, con il sostegno interessato di molti (troppi) ricercatori accademici, è molto più brava a introdurre sul mercato nuove malattie piuttosto che nuovi farmaci. Riguardo al rapporto tra ricerca e imprese, la Angell parte dal sistema di produzione e vendita dei farmaci (ovvero dalla patologia), per giungere all'analisi del nuovo rapporto tra scienza e mercato (ovvero la fisiologia). Tutto nasce, sostiene l'autrice, nell´anno 1980, quando il Congresso degli Stati Uniti approva il Bayh-Dole Act, una legge che incoraggia anche i centri di ricerca pubblici a brevettare le loro invenzioni per ottenere royalties con cui finanziare ulteriori ricerche. Si tratta di un cambiamento culturale, in un preciso contesto storico. L'America sente il fiato sul collo delle economie emergenti (in primo luogo del Giappone) ormai capaci di maggiore efficienza nella produzione dei beni materiali e vuole dimostrare a se stessa e agli altri di non essere una superpotenza in declino. Sono gli anni del ritorno del neoliberismo (non a caso nel 1980 viene eletto alla presidenza Ronald Reagan) e di una scelta precisa: puntiamo sulla conoscenza, puntiamo sulla scienza per costruire una nuova economia – immateriale – per riconquistare la leadership economica messa in discussione. È un clima culturale, prima ancora che un programma politico. Proprio nel 1980 avvengono altri due fatti – che la Angell non cita – significativi. Su sollecitazione della Corte Suprema, il Patent and Trademark Office (PTO) degli Stati Uniti d´America, dopo nove anni di riflessione, concede alla signora Ananda Mohan Chakrabarty, biologa in forze alla General Electric, il brevetto a protezione della proprietà intellettuale su un organismo vivente, un batterio geneticamente modificato per fungere da “spazzino” di rifiuti a base di idrocarburi e biodegradare petrolio, scarichi industriali e inquinanti del terreno. Inoltre, la stessa Corte Suprema degli Stati Uniti, su richiesta della Stanford University, riconosce il diritto di protezione intellettuale sulla tecnica cosiddetta di clonazione del DNA ricombinante messa a punto da Stanley Cohen e Herbert Boyer nel 1973. La tecnica – che ha un carattere generale, perché rende possibile l´analisi molecolare del DNA non solo di virus e batteri, ma anche di piante e animali –
diventerà uno strumento fondamentale sia nei laboratori scientifici che nei laboratori di sviluppo biotecnologico. In pratica, nasce l'idea della scienza come business, della ricerca fortemente proiettata sul mercato. Sia perché deve sostenere in maniera sempre più diretta lo sviluppo economico, sia perché deve acquisire sul mercato le risorse per condurre nuove ricerche. L'inglese John Ziman ha descritto in maniera molto efficace il cambiamento introdotto da questa novità nei laboratori delle università e dei centri di ricerca: una nuova griglia di valori emerge nella comunità scientifica accanto e, spesso, in contrasto con gli antichi valori dell ´universalismo e del disinteresse. Questi nuovi valori, mercantili, si basano su una nuova idea: la conoscenza non è di tutti, ma è di proprietà di chi la produce. Questa evoluzione culturale ha numerosi effetti. Economici, in primo luogo: gli Stati Uniti riconquistano una sicura leadership economica (l'Europa e, soprattutto, il Giappone fanno fatica a tenere il passo). Nasce di fatto la “società della conoscenza” (o dell'informazione) di impronta neoliberista che carattizerà il processo di globalizzazione economica del mondo. Tutto questo ha effetti concreti sul sistema biomedico. Cambia il modo di essere e di percepirsi di molti uomini di ricerca anche nei laboratori pubblici. All'inizio degli anni ´80, il Bayh-Dole Act e la nuova cultura di mercato, scrive Marcia Angell, «hanno trasformato anche l´atteggiamento delle scuole di medicina e delle cliniche universitarie. Queste istituzioni non-profit cominciarono a vedersi come “partner” dell'industria, e guardarono con entusiasmo, al pari di un qualunque imprenditore, alle opportunità di mettere a profitto le loro scoperte». Nelle università e nelle scuole di medicina entrano nuove risorse, che consentono di sviluppare nuove ricerche. Ma entra anche il “conflitto di interesse”, dato che le aziende pretendono di controllare ogni fase della ricerca e avocano a sé il diritto di decidere se e quando i risultati devono essere resi pubblici. Marcia Angell dimostra come nasca una zona problematica sia sul tipo di ricerche che vengono condotte nei laboratori pubblici, sia sulla credibilità del sistema di comunicazione scientifica. Un esempio per tutti. In un insieme di 70 articoli pubblicati sulla reale efficacia di un dato farmaco, si è scoperto che tra i ricercatori favorevoli il 96% aveva legami finanziari con le imprese produttrici, mentre quegli stessi legami li aveva solo il 37% degli scienziati critici. In definitiva, la Angell dimostra che, malgrado negli USA, e un po´ in tutto il mondo (con la vistosa eccezione dell'Italia), i due terzi dei fondi per la ricerca vengono spesi in laboratori privati, la ricerca pubblica è di gran lunga quella che produce maggiori nuove conoscenze. Questa ricerca è un bene comune, la cui autonomia va gelosamente preservata – dall'economia, come dalla politica o dalle religioni. Il libro della Angell dimostra anche che il mercato può essere un mezzo utile per drenare nuove risorse, anche per la ricerca, ma a patto che non diventi il fine. È necessario, conclude la Angell, uno sforzo per trovare un nuovo equilibrio – anche di regole – tra scienza ed economia nell'era della conoscenza. Un nuovo equilibrio fondato sul principio che la conoscenza è di tutti, è un bene comune.
La scienza, come diceva Francis Bacon già nel XVII secolo, non deve essere a vantaggio di questo o di quello, ma a beneficio dell'intera umanità. (Ma chi glie lo spiega a Big Pharma?) THE KARASIK CONSPIRACY Intrighi, terroristi e farmaci avvelenati: questi gli ingredienti di un thriller pubblicato negli Stati Uniti che ha scatenato un putiferio (oltre a essere finito in tribunale) e che dimostra quanto la realtà, certe volte, superi la fantasia.
“The Karasik Conspiracy” è il primo libro (per quanto se ne sappia) voluto e ideato dalle case farmaceutiche statunitensi per contrastare il crescente acquisto di farmaci canadesi via internet. Non bastavano le cene e i regali offerti ai medici per far aumentare il numero delle prescrizioni dei farmaci “griffati”, e neppure le centinaia di pubblicità martellanti che ogni giorno interrompono i programmi televisivi americani per convincere milioni di consumatori ad acquistare pillole su pillole. Percorse tutte le vie più o meno lecite, la US Pharmaceutical Research and Manufactures of America (PhRMA) ha deciso di battere sentieri nuovi e inesplorati: entrare nelle case dell'americano medio sotto forma di romanzo e raccontare la storia di un gruppo di terroristi musulmani che uccide migliaia di americani avvelenando le pillole canadesi vendute a minor prezzo tramite internet. L'obiettivo? Istillare nei lettori la paura e la diffidenza nei confronti dei farmaci venduti on-line e contrastare la proposta di legge che vorrebbe modificare il Medicine Equity and Drug Safety Act del 2000, eliminando la certificazione di sicurezza del Servizio sanitario statunitense per i farmaci provenienti dal Canada e, di fatto, spalancando il portone principale alle importazioni da questo paese. La vicenda è venuta alla luce in seguito a una controversia legale tra gli autori e i finanziatori che ha scatenato, oltre alle reazioni sconcertate dei mass media, una lunga serie di smentite, accuse e minacce. (Pubblicato su Ecplanet 14-11-2006) LINKS
Bayh-Dole Act - Wikipedia The Truth About the Drug Companies 15 luglio 2004 Karasik Conspiracy Nel corso del programma “Panorama”, la BBC ha trasmesso un'inchiesta in cui si accusa la casa farmaceutica GlaxoSmithKline (GSK) di aver manipolato i risultati di studi clinici che indicavano il rischio di suicidio nei minorenni che utilizzano l'antidepressivo Seroxat (commercializzato negli USA con il nome Paxil). Seroxat è uno degli anti-depressivi più venduti al mondo. La compagnia è stata costretta ad aprire i suoi archivi interni dopo che alcune famiglie americane hanno citato in giudizio la compagnia. Il programma della BBC illustra la vicenda di un consumatrice di Seroxat che per 9 mesi ha lottato per liberarsi dalla dipendenzat. E poi fa parlare il Dr David Healy, un esperto che ha avuto accesso agli archivi “confidenziali” della GlaxoSmithKline. Ne viene fuori che il Seroxat provoca gravi effetti collaterali e che è molto dura sopportare le crisi di astinenza. In alcuni casi, può portare ad auto-mutilazioni e al suicidio. La GlaxoSmithKline, ovviamente, nega, anche di fronte all'evidenza, di aver agito in alcun modo impropriamente, e accusa il programma della BBC di lanciare un allarme ingiustificato. La compagnia afferma che, in seguito alla pubblicazione di 9 studi, analizzati insieme, da cui è emerso che l'uso del Seroxat si accompagna, specie nei minorenni, a intenti suicidi, ha subito posto la questione all'attenzione dei regolatori, e anche che il Seroxat non è mai stato approvato, né in America, né in Europa, per pazienti al di sotto dei 18 anni. Inoltre, proprio per dimostrare la sua trasparenza, la GSK, dal 2004, ha creato un database on-line chiamato Clinical Trial Register (CTR), accessibile al pubblico, in cui sono riportati i dettagli di più di 2.800 test clinici dei propri farmaci condotti in 50 paesi. Sarà, ma, allora, perché, la GSK ha accettato di pagare 2,5 milioni di dollari allo Stato di New York in cambio della chiusura della causa avviata nei suoi confronti, con l’accusa di frode, dal Procuratore generale di New York, Eliot Spitzer?
La causa contro Glaxo, avviata il 2 giugno 2003, contestava alla compagnia farmaceutica, proprio come l'inchiesta della BBC, l'occultamento degli studi che riportavano l'inefficacia e gli effetti negativi dell'utilizzo del farmaco antidepressivo Paxil, commercializzato in Europa con il nome di Seroxat, su bambini e adolescenti. Nell'annunciare l'accordo raggiunto con la Procura di New York, Glaxo ha ribadito di giudicare “infondate” le accuse mosse nei suoi confronti, affermando di aver accettato di pagare 2,5 milioni di dollari per evitare gli alti costi e la perdita di tempo necessari per difendersi in una causa che si fosse protratta nel tempo. Nel commentare l'accordo raggiunto, il Procuratore Spitzer ha espresso soddisfazione, affermando che esso “impegna GSK a rispettare un nuovo standard di trasparenza sugli studi concernenti i suoi farmaci, uno standard che assicura l’accesso di dottori e pazienti a tutte le informazioni scientifiche disponibili, in modo che i medici possano prescrivere cure appropriate ai propri pazienti. Dichiarandosi disponibile a pubblicare sia gli studi positivi, sia quelli negativi, sulla sicurezza e l'efficacia dei suoi farmaci, GSK si pone come esempio per l'intera industria farmaceutica”. Glaxo, da parte sua, ha usato l'ironia, dichiarandosi “compiaciuta che il Procuratore generale ritenga che il Clinical Trial Register possa fornire informazioni utili alla comunità medica e scientifica. Riteniamo – prosegue il comunicato – che l'iniziativa di GlazoSmithKline di lanciare questo registro sia un passo responsabile nell'assicurare trasparenza ai nostri test clinici”. Tuttavia, ora la multinazionale farmaceutica si trova a dover affrontare le cause che, sulla scia dell'iniziativa di Spitzer, le stanno intentando diversi genitori di minorenni a cui è stato somministrato l'antidepressivo. L'indagine del governo inglese venne aperta nel 2003 di fronte al numero crescente di suicidi o atti di violenza. Si trattava anche di verificare se farmaci come il Seroxat non provocassero per caso una pesante assuefazione, al punto che i pazienti non potevano più farne a meno. Nel 2001, nello stato americano del Wyoming, Donald Schell uccise la moglie, la figlia e la nipote e poi sé stesso; due giorni prima aveva iniziato un trattamento con il Paxil. Un tribunale in seguito condannò la SmithKline Beecham - poi trasformatasi in GlaxoSmithKline - a pagare 6,4 milioni di dollari di risarcimento ai superstiti della famiglia. In seguito, un giudice del Galles ordinò di ritirare dal commercio il Seroxat dopo che un'insegnante in pensione si era suicidata proprio dopo avere iniziato un trattamento medico con il farmaco. Più tardi, il governo inglese sciolse la commissione che avrebbe dovuto valutare bontà e difetti di antidepressivi molto diffusi, tipo Prozac: due dei membri della commissione, istituita dal governo, Michael Donaghy, lettore di neurologia a Oxford, e David Nutt, professore di psicofarmacologia all'università di Bristol possedevano azioni GlaxoSmithKline (capito che trasparenza?, ndr). Nutt, addirittura, aveva partecipato a suo tempo al lancio pubblico del Seroxat, presentato come la «pillola per la timidezza». Insieme a lui c'era un altro illustre scienziato, il professor David Baldwin, dell'Università di Southampton, che faceva parte dei comitati di consulenza di SmithKline Beecham, Bristol-Myers Squibb, Eli Lilly, Organon e Pharmacia, tutte famose aziende di Big Pharma. Le ricerche del dipartimento di Baldwin erano finanziate da queste cinque case farmaceutiche e lui stesso riceveva onorari “significativi” per parlare a simposi e convegni dove i nuovi farmaci vengono illustrati ai medici. “La compagnia farmaceutica Novartis insiste nel voler portare avanti una causa contro il Governo Indiano per impedire la produzione di farmaci di qualità a basso costo, in concorrenza con i medicinali prodotti dalla multinazionale. Sono già oltre 250mila, da più di 150 Paesi nel mondo, le persone che hanno firmato la petizione lanciata da Medici Senza Frontiere, insieme all'Indian Network for People with HIV/AIDS (INP+), al People’s Health Movement e al Centre for Trade and Development (CENTAD), per chiedere alla Novartis di rinunciare al giudizio”. Questo il comunicato della sezione italiana di Medici senza Frontiere che denuncia le pressioni esercitate dalla Novartis per far modificare in India la legge sui brevetti sui medicinali, scoraggiando di fatto la produzione locale di farmaci generici, che ha permesso all'India di diventare “la farmacia dei Paesi in via di Sviluppo”: i medicinali prodotti in India costano infatti molto meno di quelli sviluppati dalle multinazionali, pur essendo di qualità. Moltissimi Paesi poveri, si approvvigionano di farmaci in India grazie ai prezzi più accessibili di questi prodotti. Lo sviluppo di una così attiva industria di farmaci generici è stato possibile perché l'India, fino al
2005, non riconosceva i brevetti sui medicinali. Le industrie locali hanno dunque potuto, legalmente, produrre versioni generiche dei farmaci prodotti dalle multinazionali. Dal 2005, però, il potere globale, nella veste dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). è intervenuto imponendo anche all'India di varare una legge sui brevetti. Fortunatamente, il Governo e il Parlamento indiani hanno approvato una legge molto attenta all'equilibrio tra i diritti dei pazienti e gli interessi delle grandi multinazionali del farmaco. Novartis, però, ha impugnato gli articoli di legge che limitano la concessione di brevetti ai soli prodotti veramente innovativi, escludendo la concessione del brevetto per i banali miglioramenti apportati su sostanze già note. Novartis vorrebbe mantenere la cosa nei termini di un semplice contenzioso legale, di quelle questioni tecniche che appassionano solo gli esperti in diritto proprietari, ben separata dalla questione più generale dell'accesso dei paesi poveri ai farmaci essenziali. Anzi: fa notare che spende 750 milioni di dollari all'anno in azioni sanitarie contro lebbra, tubercolosi, malaria (malattie da paesi «poveri») e che dona il Glivec in diversi paesi dell'Africa e dell'Asia. Il processo “Novartis vs. India” assomiglia molto a quello intentato nel 2001 da ben 39 multinazionali farmaceutiche (tra cui la stessa Novartis) contro l'Africa del Sud, che aveva autorizzato la produzione o acquisto di farmaci antiretrovirali generici per il sistema sanitario pubblico: un vero disastro di relazioni pubbliche per le aziende farmaceutiche, che alla fine hanno decisero di ritirare la loro causa. Se Novartis dovesse vincere e la legge indiana fosse cambiata, per le multinazionali occidentali sarà assai più facile brevettare i farmaci in India, o prolungare i brevetti, di fatto impedendo la produzione di quegli equivalenti generici a basso costo che sono diventati cruciali nella lotta alle pandemie nei Paesi più poveri. Nell'udienza del 29 gennaio scorso, l'Alta Corte di Chennai ha deciso un rinvio fino al 15 febbraio. Msf chiede di firmare la petizione, sul proprio sito internet, per chiedere a Novartis di rinunciare alla causa. Esponenti di spicco del mondo scientifico, politico e artistico italiano hanno già firmato: tra questi Giovanni Berlinguer, Luisa Morgantini, Walter Veltroni, Umberto Guidoni, Vittorio Agnoletto, Dario Fo, Beppe Grillo, Marco Paolini, Alessandro Bergonzoni, Marco Bechis e altri. (Pubblicato su Ecplanet 09-03-2007) LINKS
Drugs inquiry thrown into doubt over members' links with manufacturers 17 marzo 2003 GSK knew Seroxat wasn't 'effective' on children BBC News 03 febbraio 2004 Secrets of the drug trials BBC News 29 gennaio 2007 Pharmaceutical Giant Novartis Challenges India's Patent Laws, Threatening Delivery of AIDS Drugs to Tens of Thousands 29 gennaio 2007 Novartis CEO Says Company Will Continue Case Against India's Drug Patents Act 06 maggio 2007 India. Sentenza storica contro la casa farmaceutica Novartis 06 agosto 2007 Fermiamo Novartis GlaxoSmithKline Clinical Trial Register Psicodissea - biblioteca - archivio news psicofarmaci La Food Commission britannica (che svolge il ruolo di vigilanza e controllo degli alimenti) ha affermato che additivi come coloranti e conservanti, vietati negli alimenti destinati ai bambini con meno tre anni, sono invece massicciamente presenti in una gran quantità di medicine per la prima infanzia. Lo studio della Commissione ha preso in esame 41 farmaci destinati ai minori di tre anni: di questi, solo uno - uno sciroppo
della catena di supermercati Superdrug - non conteneva coloranti o conservanti. In alcune c'erano ben quattro differenti dolcificanti. Si tratta di tutte sostanze vietate negli alimenti e nelle bevande per gli under-3. Nelle medicine per l'infanzia c'è “un cocktail di additivi”, rileva allarmata la Food Commission. La ricerca, pubblicata sulla rivista della Commissione e ripresa da tutta la stampa britannica, ha rilevato che su alcuni dei farmaci, l'etichetta avvertiva che gli additivi possono causare effetti indesiderati come irritazioni della pelle e degli occhi, acidità di stomaco e diarrea. In quattro, sono stati trovati i coloranti sintetici “azo”, ma solo su una c'era l'avvertenza dei possibili effetti collaterali (tra cui allergie ed asma). “Molti bambini - si rileva possono usare senza problemi questi prodotti, ma ce ne sono altri che avranno reazioni allergiche a questi additivi. Crediamo che coloranti e dolcificanti artificiali possano essere sostituiti con alternative naturali, mentre bisogna mettere in seria discussione l'uso dei conservanti”. L'agenzia per il controllo dei farmaci spiega che non sempre si possono usare prodotti naturali per ottenere il sapore desiderato, perché potrebbero interagire con i componenti del farmaco (ad esempio, lo zucchero viene evitato perché favorisce la carie). “Va scoraggiato l'uso di additivi non necessari, a costo di dover riformulare la medicina prima che venga approvata”, ha affermato la Medicines and Healthcare products Regulatory Agency. Big Pharma ha difeso l'uso di coloranti e dolcificanti dicendo che coprono il cattivo gusto degli elementi attivi del farmaco e aiutano i genitori a far prendere le medicine ai bambini (e a provocare gli effetti collaterali inesiderati, ndr). La Pfizer ha invece affermato che gli ingredienti delle medicine per bambini sono chiaramente indicati sulle scatole, così che i genitori possano fare “una scelta informata sulle medicine che danno ai loro bambini”. Peccato che la maggiorparte dei genitori manco le legge le avvertenze, fidandosi esclusivamente del proprio medico (al soldo di Big Pharma, ndr). Nello stesso tempo, anche l'FDA (Food and Drug Administration) americana ha iniziato a revisionare i rischi e i benefici dei farmaci per la tosse e il raffreddore. L'utilizzo di questi farmaci a dosaggi più alti rispetto ai normali può causare aritmie. Altri farmaci, sempre utilizzati a più alti dosaggi, possono causare ipertensione ed ictus. I CDC (Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie), in uno studio, condotto nel periodo 2004-2005, hanno trovato che almeno 1519 bambini di età inferiore ai 2 anni hanno sofferto di gravi problemi di salute dopo essere stati trattati con farmaci per la tosse e per il raffreddore. Tre bambini sono addirittura morti. L'indagine dell'FDA è conseguente alla petizione firmata da 14 pediatri statunitensi. Nella petizione è citata la morte di 4 bambini al di sotto dei 4 anni di età. Un altro studio, pubblicato dagli Archives of Pediatric and Adolescent Medicine, il più vasto mai compiuto su questo argomento, ha rilevato che quasi un bambino su cinque, negli ospedali degli Stati Uniti, assume farmaci non testati e non approvati per uso pediatrico. I ricercatori del Children’s Hospital di Filadelfia, guidati dal pediatra Samir S. Shah hanno preso in esame oltre 355.000 casi in 31 ospedali. “Negli ultimi cinque anni la prescrizione dei cosiddetti farmaci off-label è cresciuta significativamente. Ciò che ci interessava era valutare la grandezza e la gravità di questo problema”, ha dichiarato Shah. “Off-label”: così viene chiamato l'impiego di farmaci già registrati ma usati in via sperimentale per il trattamento di altre patologie. Si tratta di molecole ampiamente conosciute e utilizzate secondo schemi e lineeguida ufficiali, ma usate in questo caso in situazioni cliniche non previste nella scheda tecnica e nel foglietto illustrativo. Secondo l'Istituto Mario Negri di Milano, il 17% dei bambini affetti da AIDS sono trattati con farmaci off-label. Uno studio del 2001 (Sorveglianza Epidemiologica dei Trattamenti Farmacologici nella Popolazione Pediatrica Italiana, condotto su 9 ospedali campione) ha messo in evidenza che il 60% delle prescrizioni era off-label ed aveva interessato l'89% dei bambini ricoverati, con un aumento di 4 volte delle reazioni avverse gravi. Si registravano casi anche fra gli adulti a cui erano stati somministrati anti-depressivi per patologie diverse dalla depressione. Lo studio condotto da Shah, pediatra specializzato in malattie infettive al Children`s Hospital of Philadelphia, ha rivelato che su 355.409 pazienti, tutti bambini, a quasi l'80% era stato somministrato almeno 1 dei 90 farmaci off label più comunemente usati: “La somministrazione di farmaci off label costituisce il 14% cento
della spesa farmaceutica delle 31 strutture ospedaliere pediatriche prese in esame”, spiega Shah, “e stiamo parlando di tanti soldi”. Di solito, la somministrazione di farmaci off label avviene in bambini per i quali non è presente un'altra opzione terapeutica: “Probabile che quei bambini fossero molto malati e che le terapie approvate per loro non avessero dato gli effetti sperati. Quando un medico si trova davanti bambini così gravemente ammalati non ha scelta. Ma vanno considerate anche le questioni etiche quando si somministrano farmaci di fatto in via sperimentale le cui conseguenze sul bambino sono imprevedibili”. Spiega Mario Del Tacca, professore ordinario di Farmacologia all'Università degli Studi di Pisa: “La scelta di usare un farmaco off-label spetta al medico curante, che, sulla base di documentazione scientifica pubblicata su riviste qualificate e sotto la sua diretta responsabilità, dopo avere informato il paziente e averne ottenuto il consenso, può decidere di trattare il proprio assistito con un medicinale prodotto per una indicazione terapeutica o modalità di somministrazione diverse da quelle registrate. D'altra parte, l'uso di farmaci off label espone il paziente a rischi potenziali, considerato che l'efficacia e la sicurezza di questi farmaci sono state valutate in popolazioni diverse da quelle oggetto della prescrizione. Per una corretta informazione, anche a protezione del medico prescrittore, dovrebbe essere predisposto un testo di informazione, e il consenso al trattamento dovrebbe sempre essere acquisito per scritto”. La relazione 2000 del progetto ARNO, l'Osservatorio sulla Prescrizione Farmaceutica Pediatrica, nato dalla collaborazione tra CINECA e Istituto Mario Negri, che aveva preso in considerazione l'andamento delle prescrizioni eseguite da 521 pediatri di famiglia e oltre 3941 medici di famiglia appartenenti a 20 ASL di Liguria, Toscana e Veneto, su un totale di poco più di 520.000 bambini (un campione, quindi, molto rappresentativo), concluse che tutti i bambini avevano ricevuto almeno una prescrizione l'anno. Nel caso di quelli di età inferiore a 6 anni, praticamente una prescrizione ogni visita, escluse quelle per il controllo della crescita che sono pari al 25%. Stabilì anche che se, in media, per ogni ricetta ci sono 2,8 prodotti, per i bambini più piccoli la media sale a 5,2. In totale, dunque, risultava che pediatri e medici di famiglia avevano prescritto circa 592 principi attivi differenti. “Intanto è eccessivo il numero dei principi attivi”, spiegava il dottor Maurizio Bonati, direttore del Laboratorio di Salute Materna e Infantile del Mario Negri, “il ché significa che spesso si prescrivono farmaci non adatti ai bambini”. Inoltre, la maggioranza delle prescrizioni riguarda relativamente pochi farmaci: i primi 20 più prescritti coprono il 75% del totale. Ecco quali sono: Amoxicillina (antibiotico), Beclometasone inalante (antiasmatico, steroide), Amoxicillina acido clavulanico (antibiotico), Claritromicina (antibiotico), Cefacloro (antibiotico), Azitromicina (antibiotico), Salbutamolo inalante (antiasmatico/broncodilatatore), Cefixima (antibiotico), Ceftibuten (antibiotico), Cetirizina (antistaminico), Salbutamolo + altre sostanze (antiasmatico), Flunisolide inalante (antiasmatico), Cefuroixime (antibiotico), Oxatomide sistemico (antistaminico), Rokitamicina (antibiotico), Cefprozil (antibiotico), Domperidone (procinetico, per i disturbi digestivi e il rigurgito), Fluticasone inalante (antiasmatico), Loratadina (antistaminico), Aciclovir sistemico (antivirale). Praticamente, il 56,3% delle prescrizioni è rappresentato da antibiotici, il 28% da antiasmatici e il 6,2 da antistaminici. “Che si prescrivano parecchi antibiotici ai bambini è normale, anche considerando che più del 40% sono penicilline, il che è corretto” prosegue il dottor Bonati, “ma su questa larga prescrizione di antiasmatici, tra l'altro aumentata rispetto ai dati del 1999, qualche incongruenza c'è. Per cominciare, dai dati risulta che non si tratta di terapie per l'asma, cioè di lungo periodo, ma dell'uso sporadico del farmaco per contrastare i sintomi delle malattie da raffreddamento, quindi una pratica scorretta. Inoltre, in molti casi si tratta di steroidi (analoghi del cortisone, ndr) come beclometasone e flunisolide, cioè sostanze che in sé presentano effetti collaterali piuttosto rilevanti non soltanto nell'immediato ma anche a lunga scadenza, eppure vengono prescritti a un 30% dei bambini sotto l'anno di età. Senza contare che, comunque, prima dei 5 anni, è abbastanza arduo giungere a una diagnosi di asma, e che, comunque, sono altri i farmaci più indicati in questa fascia d'età. Anche per gli antistaminici valgono le stesse considerazioni, sono farmaci che hanno effetti collaterali piuttosto pronunciati per un bambino”. Proprio riguardo l'uso di farmaci off label, l'articolo 1, comma 796. punto z, della Legge finanziaria, entrata in vigore lo scorso 1 gennaio 2007, vieta l'impiego di tali farmaci, se non per le sperimentazioni cliniche; dunque, medici, direttori sanitari e società scientifiche, che somministreranno ai propri pazienti farmaci off label, rischiano sanzioni disciplinari. CONFLITTO DI INTERESSI
La FDA ha sollecitato la compagnia Genentech ad aggiungere un'avvertenza sulla scheda tecnica di Xolair (Omalizumab) per evidenziare il rischio che questo farmaco, impiegato nel trattamento dei pazienti affetti da asma associata ad allergia, possa causare anafilassi, che può manifestarsi con difficoltà respiratorie, oppressione toracica, capogiri, sincope, prurito, orticaria, gonfiore alla bocca ed alla gola. Xolair è stato approvato nel 2003 per il trattamento di adulti ed adolescenti (di età superiore ai 12 anni) con asma da moderata a grave persistente che erano risultati positivi agli aeroallergeni (polline, Graminacee, polvere) ed i cui sintomi non sono adeguatamente controllati dagli steroidi per via inalatoria. L'anafilassi è stata riportata dopo somministrazione di Xolair durante gli studi clinici, con una frequenza di 1 su 1.000 (0.1%). L'anafilassi può presentarsi anche nei pazienti in cui la prima dose non aveva provocato reazioni. Inoltre, l'anafilassi può manifestarsi in modo ritardato fino a 24 ore dopo la somministrazione della dose. L'Agenzia Britannica di controllo sui farmaci MHRA (Medicines and Healthcare products Regulatory Agency) ha ordinato alla casa farmaceutica Pfizer di ritirare una pubblicità dell’antibiotico Zyvox, pubblicata sul British Medical Journal, perché potenzialmente ingannevole. Lo Zyvox è indicato nel trattamento di alcuni tipi di gravi infezioni e la pubblicità affermava che esso ha registrato un tasso di efficacia superiore a quello di altri prodotti contenenti il principio attivo vancomicina. Il Dr June Raine, Direttore del Vigilance and Risk Management of Medicines presso la MHRA, ha dichiarato: “La pubblicità è un importante mezzo di comunicazione e riguardo le medicine deve fornire informazioni utili alla salvaguardia della salute pubblica e ai professionisti del settore riguardo i trattamenti disponibili e i loro potenziali benefici e rischi. Le compagnie sono obbligate a comportarsi in modo responsabile”. L'ONU ha accusato i produttori di latte artificiale di perseguire profitti a danno della salute dei bambini: sotto accusa è una campagna promozionale, apparsa nelle Filippine sui maggiori giornali del paese, tesa promuovere i prodotti sostitutivi del latte materno. Il relatore speciale dell'ONU per il diritto all’alimentazione, Jean Ziegler, ha manifestato forte preoccupazione. I produttori, tra cui la Nesatè, sono accusati di manipolare i dati di agenzie specializzate dell'ONU, come l'Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unicef, oltre che del Ministero della Sanità delle Filippine. Specie nelle società più povere, i bambini allattati artificialmente sono 25 volte più esposti alla morte di quelli allattati al seno. Persino in Inghilterra, un bambino allattato con il latte artificiale è esposto 10 volte in più a malattie di tipo gastrointestinali rispetto ad un bambino allattato al seno. Nel novembre del 2005, il Corpo forestale dello Stato riscontrò in latti in polvere per bambini prodotti dalla Nestlè, il “Mio”, il “Nidina 2” e l' "Aptimil", una contaminazione prodotta da un fissativo per inchiostri. Furono sequestrati 30 milioni di litri. Il preparato per latte venduto dalla Nestlè in molti paesi del Terzo Mondo (soprattutto in Africa), da mescolare con l'acqua, è accusato di aver portato alla morte di circa un milione e mezzo di bambini ogni anno (essendo spesso mischiato con acqua contaminata). “Il numero di vittime causate dall'uso improprio del latte in polvere ogni mese è equivalente a quello che causò l'esplosione della bomba di Hiroshima nel 1945” (James Grant, Direttore Esecutivo UNICEF). Secondo la “Guida al Consumo Critico” (Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Editrice Missionaria Italiana), la Nestlè fa parte delle aziende che finanziano i partiti USA. A tal fine, avrebbe investito 153.000 dollari nel 2002 destinati per il 23% al partito democratico e per il restante 77% al partito repubblicano. A proposito di comportamenti responsabili. Un ex-commissario della FDA è stato condannato a pagare una multa di 90.000 dollari e a tre anni di libertà vigilata per conflitto d'interessi e false dichiarazioni. L'excommissario della Food and Drug Administration (FDA) statunitense,
Lester Crawford, è stato giudicato colpevole in quanto non aveva dichiarato la sua situazione di conflitto d'interessi, derivante dal possesso di azioni, anche da parte della moglie, di società sottoposte alla giurisdizione della FDA. Crawford aveva mentito circa la sua posizione rispetto al conflitto di interesse nel periodo in cui era in carica presso l'organismo responsabile della sicurezza e dell'efficacia della maggior parte degli alimenti, dei farmaci, dei prodotti biologici, cosmetici e radioattivi. La questione è stata ripresa e commentata sulle pagine del New York Times: Sthephanie Saul ha riportato le accuse, la linea di difesa, i vantaggi che Crawford e signora avrebbero tratto dalla loro posizione. Prima di ricevere l'incarico presso la FDA, Crawford era stato invitato, secondo le regole etiche previste dal Department of Health and Human Services, a disfarsi del possesso di eventuali azioni di aziende sulle quali si sarebbe potuto trovare a decidere. Un obbligo che, secondo la legge americana, si deve estendere anche ai componenti della famiglia. Crawford e signora, all'indomani del suo insediamento, avevano detto di aver venduto le obbligazioni in loro possesso; non tutte però, secondo quanto dimostrato dall'accusa. Il caso era emerso già nel settembre dello scorso anno, quando Crawford, due mesi dopo essere stato riconfermato nel suo incarico dal senato, aveva rassegnato le proprie dimissioni con una decisione repentina e per molti incomprensibile. Le dimissioni erano dovute ad uno dei più grossi scandali che abbia mai coinvolto la FDA, quello relativo al Vioxx. Il 21 maggio 1999, la Food and Drug Administration (FDA) approvò l'immissione sul mercato di un nuovo farmaco della Merck, il Rofecoxib, meglio noto come Vioxx. Un antinfiammatorio non steroideo COX-2 selettivo, sottoposto a prescrizione medica. Il 30 settembre 2004, la stessa Merck annunciò il ritiro del farmaco dal mercato in tutto il mondo. Dopo che, all'incirca 80 milioni di pazienti, avevano assunto il farmaco per indicazioni come il trattamento sintomatico di infiammazioni e di dolori in caso di artrosi o il trattamento di dolori acuti tra gli adulti, o ancora per i dolori provocati dalle mestruazioni e più tardi per il trattamento dell’emicrania. Il farmaco ha rappresentato un vero “blockbuster” per la società farmaceutica, con vendite annue che hanno toccato i 2,5 miliardi di dollari. Ma perché è stato ritirato? La decisione dell'azienda fu dovuta ai dati emersi da uno studio di tre anni, noto come “APPROVe”, volto a a valutare l’efficacia del trattamento di Vioxx, nel dosaggio di 25 mg, sul lungo termine, in particolare per la prevenzione delle recidive di polipi colorettali in 2600 pazienti, arruolati a partire dal 2000. Lo studio evidenziò un aumento del rischio relativo di problemi cardiovascolari, come infarti e ictus, a partire dal diciottesimo mese di trattamento continuativo nei pazienti che assumevano il Vioxx rispetto a quelli trattati con placebo. A rincarare la dose, secondo le stime della FDA, ci hanno pensato gli oltre 27mila infarti e casi di morte cardiaca improvvisa attribuibili al Vioxx. Un'editoriale del New England Journal of Medicine non risparmiò accuse sia alla casa farmaceutica sia all’Agenzia USA preposta al controllo sui farmaci. Per cominciare, i dati sottoposti dalla Merck all'FDA nel 1999, prima dell'approvazione del farmaco, erano incompleti e non revisionati. Per questo l'agenzia si sarebbe accorta dei potenziali rischi cardiovascolari del Vioxx solo due anni dopo. Due anni per riunire un comitato scientifico? E perché, una volta identificati i rischi attraverso lo studio denominato “VIGOR”, l'azienda non è stata incoraggiata dall'FDA a effettuare uno studio clinico di lunga durata, mentre la Merck continuava a rassicurare i medici sulla sicurezza cardiovascolare del farmaco? Esemplificativo in questo senso un comunicato stampa del 2001, nel quale la Merck riconfermava la favorevole sicurezza cardiovascolare di Vioxx, mentre lo studio VIGOR, sponsorizzato dalla Merck & Co stessa, aveva mostrato un aumento dell'incidenza di gravi eventi cardiovascolari nel 2,5% dei pazienti trattati con Vioxx: l'infarto miocardico si era presentato in 20 pazienti tra i 4027 del gruppo Vioxx e solo in 4 tra i pazienti trattati con il vecchio antinfiammatorio, il Naprossene. Queste scoperte furono tema di discussione all'FDA Arthritis Advisory Committee Meeting dell'8 febbraio 2001. Il 17 settembre 2001, l'FDA inviò all'allora Presidente e CEO di Merck & Co, Raymond V Gilmartin, una “lettera di avvertimento” sulle attività promozionali riguardanti il farmaco Vioxx. Secondo un altro articolo del New England Journal of Medicine, l'allarme potrebbe essere esteso all'intera classe di farmaci COX-2, compresi molti altri prodotti tutt'ora in vendita nelle farmacie. La conclusione del New England Journal of Medicine non lascia scampo: sia i dirigenti di Merck che quelli dell'FDA condividono la responsabilità di non aver assunto decisioni appropriate e di non aver salvaguardato la salute pubblica (Secondo
una ricerca di David Graham, dipendente della FDA americana, dal 1999, il farmaco Vioxx avrebbe fatto tra le 89mila e le 139mila vittime). Successivamente, la casa farmaceutica Wyeth è stata condannata da una giuria di Philadelphia a risarcire tre milioni di dollari ad una donna, che oggi ha 67 anni, che nel 2001 fu colpita da tumore al seno in seguito all'assunzione, per 5 anni, del Prempro, indicato per il trattamento dei sintomi della menopausa. È il secondo processo perso dalla Wyeth a Philadelphia, relativo agli effetti collaterali del suo farmaco. IMPRESE IRRESPONSABILI l'Interfaith Center on Corporate Responsibility (ICCR), un'organizzazione con sede a New York che raggruppa una coalizione di 275 investitori responsabili statunitensi, prevalentemente di ispirazione religiosa, che gestiscono fondi per 110 miliardi di dollari, ha dato i voti a Big Pharma (da 1 a 5). Sottoposte ad esame le maggiori imprese produttrici e distributrici di farmaci del mondo, nove delle quali statunitensi (Pfizer, Johnson & Johnson, Abbott, Merck, Bristol-Myers Squibb, Wyeth, Eli Lilly, Schering-Plough, Gilead Sciences), due britanniche (GlaxoSmithKline e AstraZeneca, che in realtà è anglo-svedese), due svizzere (Novartis e Hoffmann-La Roche), una francese (Sanofi-Aventis) e una tedesca (Boehringer Ingelheim). Le «materie» erano dodici, dalla produzione di pillole «tre in uno» contro l'AIDS ai programmi di ricerca per le malattie trascurate come la malaria, dall'accessibilità dei farmaci pediatrici all'apertura del monopolio sui brevetti, dalla comunicazione agli azionisti alla trasparenza verso il pubblico. I risultati dell'esame sono stati pubblicati lo scorso agosto nel rapporto «Benchmarking Aids. Evaluating Pharmaceutical Company Responses to the Public Health Crisis in Emerging Markets». Nel lavoro curato da Dan Rosan, Kieran Hartsough e Lisa Sachs, la media complessiva di tutte le aziende su tutte le materie è pari a 2,7, che non sarebbe la sufficienza neanche nel tradizionale voto scolastico su base dieci. In questo caso, tuttavia, siamo in presenza di alcune tra le più tecnologicamente avanzate e, insieme, tra le più redditizie imprese mondiali, e quindi l'attesa era di uno standard molto più elevato. Invece, nessuna delle quindici raggiunge la media del 4, sei hanno appena la sufficienza con medie fra 3 e 3,5 e le altre sono decisamente insufficienti. Il miglior risultato è quello della Sanofi-Aventis, la compagnia francese che ha assorbito anche la tedesca Hoechst: la media è pari a 3,5, sostenuta soprattutto, spiega il rapporto, da un ottimo posizionamento nella ricerca e produzione di medicine per malattie trascurate come malaria e tubercolosi e da una politica di prezzi differenziati per reddito del paese ricevente (proprio di recente è stato annunciato che il laboratorio farmaceutico Sanofi-Aventis e la fondazione Drugs for Neglected Diseases Initiative, una fondazione senza scopo di lucro creata nel 2003 da Médecins sans Frontières, hanno avviato una collaborazione per la messa a punto di un trattamento contro la malaria, efficace, poco costoso, e soprattutto libero da brevetti. Si tratta dell'associazione di due farmaci già noti, Artesunate e Amodiaquine, da cui il nome ASAQ. Sarà proposto a prezzo politico a strutture pubbliche, enti internazionali e a ONG. Si prevede che una terapia costerà meno di 1 dollaro per gli adulti e mezzo per i bambini). La materia su cui l'industria farmaceutica va peggio è risultata essere quella dei brevetti: la media delle quindici aziende è pari a 1,6. Tra i risultati complessivi peggiori, quello della maggiore impresa mondiale del settore, la Pfizer (USA), che si ferma a 2,2. Particolarmente grave è risultato il “cartello” che impedisce ai paesi più poveri di auto-prodursi i farmaci salvavita e anti-AIDS, E che li costringe a dover comprare quelli prodotti da Big Pharma. Per la grande industria farmaceutica e i suoi azionisti, la partita riguarda un giro d'affari complessivo che supera i 400 miliardi di dollari, con utili netti di bilancio di oltre 50 miliardi di dollari l'anno. I primi dieci gruppi hanno movimentato nel 2005 un fatturato di 315 miliardi di dollari con 51 miliardi di utile, pari ad un margine del 16%. Ma chi sono i padroni di Big Pharma? Alcune famiglie storiche, come gli Hoffmann, che controllano ancora la Roche, i Sandoz, ancora presenti in Novartis, gli svedesi Wallenberg, in AstraZeneca, la fondazione Lilly, in Eli Lilly, o gruppi multisettoriali, come la Total (famiglie Frère e Desmarais) e L'Oréal (famiglia Bettencourt e Nestlé), maggiori azionisti di Sanofi-Aventis. Per il resto, si tratta di investitori istituzionali, in primo luogo banche e fondi di investimento, per conto di migliaia di piccoli risparmiatori. Pochi operatori dominano le maggiori imprese: la britannica Barclays Bank, la statunitense State Street, alcune case di fondi come Fidelity, The Capital Group, Wellington. E nel 60-70% del capitale che fa capo a fondi o investitori di Borsa, non mancano gli operatori italiani. Le grandi aziende farmaceutiche, spesso in linee di investimento «salute e ambiente», sono in portafoglio ai maggiori gestori nazionali di fondi. Eurizon (gruppo Sanpaolo-Imi, ora Intesa Sanpaolo) ha, tra l'altro, Novartis come secondo titolo del fondo azionario internazionale etico. Nord
Est Fund, delle Casse Rurali Trentine e BCC del Triveneto, investe nelle farmaceutiche, GlaxoSmithKline e Schering Plough in testa, il 14% dell'azionario globale. Etica sgr , la società del risparmio gestito di Banca Etica, che aderisce all'ICCR, ha in portafoglio Bristol-Myers Squibb, Johnson & Johnson, Sanofi-Aventis. CACCIATORI DI CORPI Sonia Shah è una rinomata scrittrice e giornalista d’inchiesta che scrive per The Washington Post, The Boston Globe, New Scientist e The Nation. Per questo libro - “Cacciatori di Corpi La Verità su Farmaci Killer e Medicina Corrotta”, Nuovi Mondi Media, 2007 (tit. or. “The Body Hunters” - si è guadagnata una prefazione scritta da John Le Carrè, che nel suo romanzo “Il Giardiniere Tenace” ha indagato e portato alla luce alcuni misfatti di Big Pharma. Sonia Shah alza il velo sui meccanismi della sperimentazione, su quel lungo e controverso processo necessario alla immissione in commercio di un farmaco. Si tratta di un punto nodale per le industrie: dai risultati della sperimentazione dipende il futuro di un farmaco. Ma, in Occidente, sempre meno persone sono disponibili a fare da cavie per i trial. La soluzione geniale è quindi quella di eseguire gli studi clinici più rischiosi su persone che si ritiene non abbiano niente da perdere, per esempio gli abitanti dei paesi in via di sviluppo. I giganti del farmaco bussano quindi alle porte di India, Cina, Russia alla ricerca di cavie umane, a buon mercato e soprattutto che non siano consapevoli dei propri diritti. D'altronde, per lanciare sul mercato un singolo farmaco un'azienda ha bisogno di più di 4000 pazienti, ciascuno sottoposto a più di 140 procedure mediche in oltre 65 diversi esperimenti. Per gli screening iniziali servono almeno 100mila persone. La spesa per ogni paziente che aderisce alla sperimentazione è di circa 1500 dollari e bisogna considerare che circa il 90 per cento dei farmaci non ottiene l'approvazione della Food and Drug Administration, il che si traduce in una perdita secca. Il risultato è che minimizzare i costi è una esigenza fondamentale. Ma tra i pazienti occidentali c'è sempre meno disponibilità a partecipare a un trial, anche dietro pagamento: meno di un americano su 20 sarebbe disposto a partecipare a una sperimentazione clinica e anche tra i malati di cancro (la categoria che avrebbe più da guadagnare dai nuovi trattamenti sperimentali) meno del 4 per cento partecipa come volontario. Per aggirare questo ostacolo le industrie si affidano alle CRO (Contract Research Organizations) che dietro un sostanzioso compenso forniscono soggetti e risultati. Come? Al di fuori degli Stati Uniti, perché alla FDA non interessa affatto dove si sia svolta la sperimentazione. La tendenza delle grandi multinazionali a condurre sperimentazioni sull'essere umano nei paesi in via di sviluppo è ancora all'inizio, ma i maggiori produttori mondiali già conducono tra il 30 e il 50 per cento dei loro esperimenti fuori dagli USA e dall’Europa Occidentale, e, secondo USA Today, avrebbero in progetto di arrivare al 67% per cento entro il 2006. D'altro canto, nei paesi più poveri ci sono orde di pazienti privati della possibilità di accedere a farmaci necessari alla loro sopravvivenza (proprio dall'oligopolio di Big Pharma) e ospedali strangolati dalla mancanza di denaro. Il paradosso è che in queste nazioni vengono sperimentati farmaci contro colesterolo, depressione e disfunzione erettile su persone che hanno bisogno, invece, di medicine per la tubercolosi e la malaria. Insomma, la sperimentazione è su di loro ma non per loro. Che avrebbero bisogno solo di molecole economiche e assolutamente non appetibili per le industrie. (Pubblicato su Ecplanet 01-06-2007) LINKS
Additives do cause temper tantrums 25 ottobre 2002 Banned food additives permitted in children's medicines 10 marzo 2007 FDA Releases Recommendations Regarding Use of Over-the-Counter Cough and Cold Products 17 gennaio 2008
Infant Deaths Associated with Cough and Cold Medications 12 gennaio 2007
80 percent of hospitalized kids prescribed off-label drugs aprile 2007 Farmaci sotto processo L'Espresso 03 marzo 2009 FDA Proposes to Strengthen Label Warning for Xolair 21 febbraio 2007
MHRA orders Pfizer to withdraw potentially misleading advertising on linezolid (Zyvox) 09 marzo 2007 I misfatti della Nestlé F.D.A. Leader Says Study Tied to Vioxx Wasn't Suppressed 18 novembre 2004 Researchers Warn of Dangers of Other Vioxx-Type Drugs 07 ottobre 2004 Former FDA Commissioner Accused in Criminal Case 05 marzo 2006 Wyeth faces thousands of Prempro lawsuits 27 aprile 2006 ICCR Benchmarks Pharma Responses to AIDS and Diseases of Poverty in Emerging Markets 18 agosto 2006
Body Hunting: The Outsourcing of Drug Trias 31 gennaio 2007 Rofecoxib - Wikipedia Off-Label - Wikipedia Action on Additives Guida all'uso dei farmaci per i bambini RIBN - Rete Italiana Boicottaggio Nestlé Centers for Disease Control and Prevention Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine Interfaith Center on Corporate Responsibility DNDi (Drugs for Neglected Diseases Initiative) Pediatria, farmaci, uso off label, progetto ARNO MHRA – Medicines and Healthcare products Regulatory Agency The Food Commission, campaigning for safer, healthier food in the UK Farmacovigilanza.net, effetti indesiderati da Farmaci - Adverse Drugs Reactions , ADR DRUGS, DOCTORS AND DINNERS
Consumers International, una federazione internazionale che raccoglie 220 associazioni di consumatori di tutto il mondo, ha pubblicato un rapporto intitolato “Drugs doctors and dinners How drug companies influence health in the developing world”, che racconta come i malati dei paesi in via di sviluppo siano diventati una miniera d'oro per le aziende farmaceutiche: per accaparrarsi nuova clientela, i colossi del farmaco non esitano a corrompere i medici dei paesi in via di sviluppo, dove purtroppo molto malattie debellate in Occidente sono ancora vive e vegete e dove per guarire, chi è malato è disposto a mandar giù di tutto; oltre alle cene, ai medici vengono “regalati” condizionatori d'aria, computer, automobili, tessere di club esclusivi, notti in hotel a cinque stelle durante i congressi, ecc. La collusione tra medici e case farmaceutiche, spiega il rapporto può portare a «prescrizioni ingiustificate o errate che mettono a serio rischio la salute dei pazienti, a volte anche con effetti fatali». “Big Pharma”, ovvero le grandi industrie che controllano il mercato dei farmaci, «a suon di regali sta cambiando le abitudini prescrittive dei medici nei Paesi in via di sviluppo». E la metà dei medici non lo nega: secondo il rapporto, il 50 per cento dei dottori ammette di sentire questa pressione. «La mancanza di regole – spiega Richard Lloyd, direttore generale di Consumers International – rende questi mercati un facile bersaglio per le tecniche di marketing delle multinazionali». «L'unica maniera per assicurare che i pazienti ricevano dai medici un trattamento razionale e imparziale – dicono dalla federazione dei consumatori – è che i governi mettano al bando completamente la pratica dei regali». Nel frattempo, per chi volesse dare un contributo alla campagna, Consumers International invita a mandare una mail a
[email protected]. Un'indagine pubblicata lo scorso aprile sul New England Journal of Medicine - condotta dall'Institute for Health Policy, dal Massachusetts General HospitalPartners Health Care System, dalla Harvard Medical School di Boston, dall'università di Melbourne e dalla Yale University fra la fine del 2003 e l'inizio del 2004, su un campione di 3.167 medici appartenenti a sei specialità diverse (cardiologia, anestesiologia, medicina generale, medicina interna, chirurgia e pediatria) - ha evidenziato come anche negli Stati Uniti esista un legame a doppio filo fra camici bianchi e industrie farmaceutiche: circa il 28% dei medici infatti riceve da Big Pharma somme di denaro per consulenze di vario genere, mentre ben il 94% intrattiene rapporti con le principali aziende farmaceutiche. Secondo la ricerca, cene, pranzi, serate di gala, corsi di aggiornamento “offerti” e, in qualche caso - uno su quattro nel dettaglio - anche veri e propri pagamenti in denaro sarebbero la normalità per i medici d'oltreoceano. A saltare agli occhi è l'altissima percentuale di medici che vanta una qualche relazione finanziaria con almeno un'industria farmaceutica. Al di là di cene “sovvenzionate” o di campioncini di prodotti in omaggio, oltre un terzo degli intervistati ha dichiarato di ricevere rimborsi per la partecipazione a congressi e meeting (35%), mentre il 28% ha ammesso di percepire somme di denaro per consulti, letture o per il coinvolgimento di pazienti in trial clinici. Tra i vari specialisti presi in esame, i cardiologi sono quelli risultati più coinvolti in questi meccanismi, il doppio rispetto ai medici di famiglia, che però sono quelli che ricevono più visite da parte degli informatori scientifici: 16 al mese contro le 10 degli internisti, le 9 dei cardiologi, le 8 dei pediatri, le 4 dei chirurghi e le 2 degli anestesisti. Tutto questo, nonostante, nel 2002, la Pharmaceutical Research and Manufacturers of America (PhRMA), ossia la Farmindustria d'oltreoceano, abbia varato un nuovo codice deontologico che vincola i rapporti fra medici e industrie per tutelare il beneficio per i pazienti. E anche l'American Medical Association (AMA) e l'American College of Physicians, le due principali associazioni mediche, hanno adottato norme simili. Regole però che non sono seguite nei fatti: l'83% degli intervistati ha detto di aver ricevuto regali e il 7% biglietti per match sportivi o serate culturali; il 18% ha dichiarato di aver ricevuto denaro per un consulto scientifico, il 16% per fare da chairman in un convegno, il 9% per
partecipare ad un comitato di esperti e il 3% per reclutare pazienti da inserire nelle sperimentazioni cliniche. Il 26% infine ha ricevuto rimborsi per le spese sostenute per partecipare a congressi e convegni scientifici. HEALTH CARE SYSTEM Stesso ospedale, stesso medico: nel giro di due anni, prima il marito e poi la moglie sono morti perché, secondo quanto si sostiene in una denuncia presentata dai familiari, il medico del pronto soccorso che visitò sia l'uno sia l'altra non avrebbe capito quali fossero le condizioni dei coniugi, costretti a recarsi al pronto soccorso perché in preda a lancinanti dolori. E li ha dimessi troppo rapidamente. Sotto accusa sono finiti, in seguito alla una denuncia presentata da Pietro Alberta, il pronto soccorso dell'ospedale Villa San Pietro sulla Cassia (a Roma) ed un medico, A. G.. Pietro Alberta ha scritto nella denuncia di aver trasportato alle 13,27 in ambulanza la madre Gabriella Pellegrini, di 64 anni, all'ospedale perché in preda lancinanti dolori al petto e al braccio sinistro. Al pronto soccorso, la donna è stata affidata al dottor A. G. che l'ha sottoposta ad elettrocardiogramma e ad altri esami dimettendola alle 15,40, nonostante lamentasse ancora dolori, consigliandole una pillola di Coefferalgan. «Intorno alle 22,30 circa - si legge nella denuncia - la situazione è precipitata; ricevevo una telefonata da mia sorella con la quale però non riuscivo a parlare perché la stessa lasciando la cornetta iniziava ad urlare mamma, mamma». Il decesso della Pellegrini veniva accertato dal medico della Asl dottor Giovanni Consolo alle ore 00,05 del 29 maggio scorso. È a questo punto che Alberta si è ricordato che il padre Umberto era stato ricoverato al pronto soccorso dell'ospedale Villa San Pietro il 12 febbraio del 2005, alle 23,36, per un forte mal di testa e anche allora affidato al dottor A. G.. «Il medico - è scritto nella denuncia - lo dimise all'1,37 del 13 febbraio 2005 nonostante i dolori fossero persistenti, tanto che il 14 successivo fu nuovamente trasportato in ospedale dove un altro medico, Barbara Caracciolo, diagnosticò un aneurisma cerebrale. Il 22 febbraio successivo, dopo essere stato operato al San Filippo Neri, il paziente morì». Al magistrato, Pietro Alberta ha chiesto di accertare le cause della morte della madre e di stabilire «le eventuali responsabilità del medico A. G. che con estrema disinvoltura l'ha dimessa senza disporre accertamenti medici approfonditi». Chiede inoltre che vengano svolti accertamenti anche sulla morte del padre. La moglie era morta da poche ore e lui era sconvolto. Così è sceso nel garage e ha atteso il medico che l'aveva curata. Con un cacciavite lo ha colpito alla testa convinto che fosse lui il responsabile di quella morte e poi si è fatto arrestare. Protagonista Donato Ruggero, un anziano di 74 anni di Lecce, accusato di tentato omicidio per aver ridotto in fin di vita il primario di cardiochirurgia della clinica Città di Lecce, il primo centro cardiochirurgico della Puglia. L'aggressione è avvenuta nel garage della casa di cura: Giampiero Esposito, 49 anni, sposato e padre di un figlio di 11 anni, è stato colpito all'arcata sopraccigliare destra. Le sue condizioni, parse subito gravi, sono ulteriormente peggiorate: la punta del cacciavite si è fermata a pochi millimetri dal tronco encefalico causando una emorragia. L'aggressore è originario di San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi, come sua moglie, Maria Ligorio di 75 anni, morta in terapia intensiva dopo 50 giorni di ricovero. Il presidente del Gruppo romagnolo Villa Maria (di cui fa parte Città di Lecce hospital), Ettore Sansavini, ha espresso in una nota “sconcerto per la brutale aggressione assolutamente ingiustificabile”. Nel nostro Paese, si rischia maggiormente la vita in una corsia d'ospedale che in un'autostrada affollata. Per ogni americano che muore a causa di un incidente stradale, ce ne sono almeno due che perdono la vita a causa di un errore medico. «Gli errori medici in USA - dice Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Bergamo - hanno ucciso nel 2005, 90 mila pazienti; nello stesso anno i morti per incidenti stradali sono stati 45 mila, 42 mila quelli per tumore al seno, e 16 mila i morti per Aids». Le proporzioni, grosso modo, possono rispecchiare la realtà italiana.
Non è un caso se nel mondo si moltiplicano le denunce ai medici: solo in Italia, dove, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, il sistema sanitario è tra i migliori al mondo (?), ogni anno sono 15 mila i medici che affrontano cause di risarcimento avviate dai pazienti. Di questi, due terzi vengono assolti «per non aver commesso il fatto». Ma questo non toglie che, come fa notare Lorenzo Menicanti, cardiochirurgo del Policlinico San Donato (Milano), «otto chirurghi su dieci sono o sono stati indagati». In Cina è stato condannato a morte per corruzione Zheng Xiaoyu, l'ex capo dell'Istituto per i Farmaci e la Salute Pubblica, l'authority cinese per la sicurezza degli alimenti e dei farmaci: era stato accusato di avere preso tangenti e non avere svolto i suoi doveri pubblici, ha detto l'agenzia ufficiale Xinhua, citando la Prima Corte del Popolo di Pechino. Xiaoyu, 63 anni, è stato condannato alla pena capitale per aver accettato tangenti fino a 632.000 dollari in cambio della concessione di licenze farmaceutiche per medicinali adulterati. Nello scandalo sono coinvolti anche il figlio e la moglie. Negli ultimi anni in Cina sono morte decine di persone a causa della scarsa qualità dei farmaci. L'anno scorso, un antibiotico non adeguatamente sterilizzato, lo “Xinfu”, causò la morte dei 11 persone. Ma lo scandalo più clamoroso risale al 2005, quando nella provincia dell'Anhui, una delle più povere del Paese, 13 neonati nutriti con un latte in polvere privo di proteine morirono per malnutrizione. Gli scarsi controlli su alimenti e medicinali stanno mettendo a repentaglio anche l'export cinese. Gli Stati Uniti hanno messo sotto accusa alcuni ingredienti di cibi per cani e gatti, rivelatisi tossici. Il caso più grave è venuto alla luce a Panama, dove si indaga sulla morte di 101 persone a causa di uno sciroppo per la tosse contenente glicoldietilene, un antigelo industriale tossico. Lo stesso componente è stato trovato anche nei dentifrici. Le dimensioni dello scandalo sono tali che gli Stati Uniti hanno proibito l'importazione di questi prodotti. La malasanità, nella Cina del boom economico, dove spesso chi non paga non è curato (ma che comunismo è?, ndr), è arrivata al punto che ogni giorno, in circa 30 ospedali cinesi, pazienti infuriati aggrediscono il personale medico e devastano le strutture, lamentando che sono stati curati tardi e male. Come risponde il governo: invece di migliorare la sanità, aumenta la presenza della polizia. Il ministro cinese della Sanità ha chiesto espressamente alla polizia di proteggere ospedali e medici. Nel solo 2006, ci sono state quasi 10mila aggressioni di pazienti infuriati, con un danno alle strutture ospedaliere di oltre 200 milioni di yuan (circa 26 milioni di dollari) e 5.519 feriti tra il personale medico. Il pronto soccorso di un ospedale di Guangan (Sichuan) ha rifiutato la lavanda gastrica e ha lasciato morire un bambino di 4 anni (aveva ingoiato un pesticida) perché la famiglia non ha potuto pagare in anticipo la cura (circa 70 euro). Nell'ospedale Shanxia a Shenzhen (Guangdong), il direttore sanitario ha detto al personale di indossare elmetti per timore dell’aggressione dei parenti che chiedevano un risarcimento per la morte di un paziente non ben curato. Mao Qunan, portavoce del ministro, ha chiesto alla polizia di intervenire per “fermare la violenza” e “proteggere il personale ospedaliero e le strutture”. Nel dicembre 2005, da un'indagine a cura del servizio sanitario, è risultato che circa il 48,9% dei cinesi non va in ospedale quando sta male perché le cure ospedaliere “sono troppo costose”. Le spese statali per la
sanità sono passate dal 6% del bilancio negli anni ‘80 e ‘90 al 4% del 2002, pari a 120 miliardi di yuan per il 2006 (circa 9 euro all'anno per persona). LE VIE DEI FARMACI Non solo il dialogo tra medici e pazienti sui farmaci e sui possibili effetti collaterali è del tutto insufficiente, ma il 90% dei medicinali prescritti è griffato. È quanto emerso da un'inchiesta sull'uso dei farmaci e sul rapporto medici-pazienti che Altroconsumo ha condotto su 2265 italiani, campione rappresentativo della popolazione adulta del nostro Paese. L'inchiesta rientra in un'indagine che ha coinvolto più di 10100 cittadini europei, condotta da associazioni di consumatori indipendenti in Europa. “In Italia tre quarti degli intervistati - si legge nel comunicato di Altroconsumo - segnala di aver fatto le più recenti visite mediche presso il Servizio Sanitario nazionale, più spesso per uno specifico problema di salute. Un quarto del campione si fa visitare per un check-up generale, il 17% per farsi rinnovare la prescrizione delle medicine. Metà del campione è uscito dal consulto del medico con una ricetta, in media con la prescrizione di due farmaci. L'11% dichiara di aver ricevuto una prescrizione di 4 o più medicinali”. Ma la cosa più sorprendente è che il 54% della totalità degli intervistati dichiara di non aver ricevuto alcuna informazione sul costo della cura, e il 39% non ha ricevuto informazioni sui possibili effetti collaterali. Il 90% dei farmaci prescritti, inoltre, è di marca. Eppure, l'80% del campione dichiara di considerare il medico di famiglia la fonte di informazione principale, a fronte di circa il 40% che dichiara di rivolgersi anche al farmacista. Il 7% dei pazienti che ha avuto una prescrizione non ha comprato il farmaco. Per circa un terzo di questi, perché lo aveva già a casa, mentre per altri perché il farmaco era troppo caro. Il 17% degli intervistati giudica comunque troppo elevato il prezzo dei farmaci. Inoltre il 10 per cento è insoddisfatto del contenuto della confezione del farmaco prescritto, eccessivo in quantità rispetto alle esigenze della cura. Il 26% degli intervistati dichiara di buttare in pattumiera i farmaci scaduti e il 19% di gettarli nello scarico dei sanitari. “Nel complesso, l'indagine dimostra che l'informazione offerta ai pazienti è inadeguata - rileva l'associazione - il cattivo uso delle medicine alcune volte dipende dalle iniziative individuali e da libere interpretazioni dei singoli pazienti, legate anche alla sensazione di non gestire adeguatamente la malattia, non riuscire a interpretare i disturbi oppure il ciclico comparire o scomparire dei sintomi. La poca informazione genera scarsa fiducia nella terapia: un dato che i medici non dovrebbero ignorare”. Inoltre, i farmaci griffati triplicano la spesa. Prescrivendo il medicinale di marca invece del generico corrispondente - ha calcolato l'associazione - la spesa di una famiglia italiana tipo aumenta di almeno il 45%. La spesa complessiva passa in un anno da 763 a 950 euro (+25%), con ricadute anche per il SSN. Ma se il medico sceglie sempre di annotare in ricetta il farmaco più caro e più “di moda”, allora la spesa complessiva triplica, lievitando a 2.020 euro in un anno. Negli Stati Uniti, appena reduci dal ritiro forzato dal mercato di alcuni sciroppi per la tosse venduti come “per bambini” ma in realtà mai passati attraverso i necessari protocolli sperimentali, le case farmaceutiche sono terrorizzate dalla richiesta della Food and Drug Administration (FDA), l'agenzia americana che dovrebbe vigilare sui farmaci, di vietare sciroppi per la tosse di qualsiasi tipo ai bambini al di sotto dei 6 anni e di rendere molto più severe le norme per i bambini dai 6 ai 12 anni. Oltre ad essere scarsamente efficaci questi prodotti - secondo la FDA essendo venduti liberamente nei banconi dei supermercati ed essendo percepiti come relativamente innocui, spesso sono la
causa di effetti collaterali da uso improprio e da sovradosaggio assolutamente non banali, come malesseri, allucinazioni ed in alcuni, per fortuna rari casi, persino la morte. Il mercato legato ai medicinali “sintomatici” (come gli sciroppi per la tosse) per i più comuni malesseri invernali è enorme e il divieto che sta per essere emanato sarebbe un danno economico enorme. In Italia, una recente disposizione dell'EMEA (l'Agenzia Europea del Farmaco) ha drasticamente ridotto l'utilizzo sui bambini dei farmaci mai testati specificamente sui bambini stessi. Uno dei paradossi dei farmaci cosiddetti “per bambini” infatti è che spesso non sono altro che farmaci per adulti a ridotto dosaggio. Ma l'organismo di un bambino e di un adulto sono profondamente diversi e non è detto che ridurre i dosaggi sia sufficiente per rendere sicuro l'impiego di un determinato principio attivo. Tre delle maggiori case farmaceutiche, GlaxoSmithKline, AstraZeneca and Roche, hanno deciso di costituire un consorzio di ricerca pubblico-privato per valutare la sicurezza dell'uso delle cellule staminali per future terapie. Si tratta di un segnale del crescente interesse di Big Pharma nel controverso campo della medicina rigenerativa, da cui finora l'industria farmaceutica si è tenuta a distanza. Per finanziare il primo anno di sperimentazioni, ciascuna azienda ha sborsato 200 mila dollari, mentre il governo inglese destinerà un milione e mezzo di dollari per la ricerca. Come primo obiettivo, il consorzio, chiamato “Stem Cells for Safer Medicines” (SC4SM), ha quello di sviluppare nuovi test di tossicità epatica, la principale causa di fallimento dei farmaci, sviluppando cellule del fegato dalle staminali umane embrionali. A lungo termine, il consorzio si prefigge di convertire le staminali in ogni altra cellula del corpo, in particolare in cardiomiociti (le cellule del cuore). Le case farmaceutiche hanno specificato che non faranno studi direttamente sulle ricadute terapeutiche delle cellule staminali per curare le malattie, sebbene sia aperta la collaborazione con ricercatori che operano in questo settore. Si prevede che presto si uniranno all'iniziativa anche altre industrie e aziende biotech. “Perché nel sud del mondo ci sono ogni anno quindici milioni di persone che muoiono a causa di malattie che sarebbero facilmente curabili?”. Questo è l'interrogativo ai quali i due registi Michele Mellara e Alessandro Rossi tentano di rispondere con quest’accurata indagine - “Le Vie Dei Farmaci” (Italia, 2007, Mammut Film) - un documentario capace di far luce sui meccanismi che si celano dietro al monopolio planetario diretto da Big Pharma (il cartello delle 5 multinazionali produttrici più importanti), responsabile, in maniera più o meno diretta, del perdurare di emergenze sanitarie solo apparentemente irrisolvibili. Mostrando i legami tra WTO, grandi case farmaceutiche e governi dei paesi sviluppati, focalizzando la propria attenzione sul meccanismo-trappola dei “TRIPS” (brevetti internazionali creati appositamente per salvaguardare gli interessi di Big Pharma).
(Pubblicato su Ecplanet 04-11-2007) LINKS
Drug companies attacked over gifts for Third World doctors 31 ottobre 2007 Big Pharma Spends More On Advertising Than Research And Development, Study Finds ScienceDaily 07 gennaio 2008 How the Drug Industry Deceives Doctors Muore dopo la visita accadde già al marito Repubblica 30 maggio 2007 Muore moglie, massacra il primario Repubblica 24 maggio 2007 China food safety head executed BBC News 10 luglio 2007 Lethal drug probe in China: the case of Xinfu clindamycin From China to Panama, a Trail of Poisoned Medicine New York Times 06 maggio 2007 Toxic Cough Syrup Causes Deaths in Panama 06 maggio 2007 Toxic Toothpaste Made in China Is Found in U.S. New York Times 02 giugno 2007 Hospital staff shed helmets after 2 days China Daily 27 dicembre 2006 Altroconsumo Consumers International Stem Cells for Safer Medicines Drugs, Doctors and Dinners (pdf) Le vie dei farmaci - Mammut Film AMA - American Medical Association The New England Journal of Medicine Pharmaceutical Research and Manufacturers of America (PhRMA)
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