Atlante Geostrategico Israeliano Limes

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LA POTENZA DI ISRAELE

ATLANTE GEOSTRATEGICO ISRAELIANO

di Alfonso DESIDERIO

Come è cambiata l’importanza strategica della terra dal punto di vista israeliano. Dalla terra come sopravvivenza alla terra come carta negoziale. Dalla conquista dei baluardi strategici alla terra ristretta. Il ‘disimpegno’ e i tre cerchi della minaccia contro Israele.

N

EL 1948 LA TERRA PER GLI ISRAELIANI

è questione di sopravvivenza. Gli attacchi degli eserciti arabi costringono gli israeliani in una stretta fascia di territorio costiero (carta a colori 1). Le divisioni tra gli arabi e l’arrivo di armi e rinforzi nel corso della tregua consentono la vittoriosa controffensiva israeliana, che arriva fino alla cosiddetta linea verde, la linea di divisione dell’armistizio che diventa confine di fatto. Israele è riuscita a nascere e a sopravvivere, ma dal punto di vista strategico la situazione territoriale è insostenibile. La zona costiera, la più popolata, è sotto la minaccia ravvicinata di tutti i paesi vicini, a loro volta destabilizzati dalla sconfitta e dall’arrivo dei profughi palestinesi. La situazione cambia totalmente nel 1967. Con la guerra dei Sei giorni gli israeliani conquistano tre baluardi strategici: il Golan, la valle del Giordano e il Sinai (carta a colori 2). Il Golan è un’altura di 1.300 metri da cui è possibile controllare facilmente le zone limitrofe. Da qui si domina il lago di Tiberiade con le sue risorse idriche, fondamentali per una regione povera di acqua. È un baluardo contro la Siria, la cui capitale Damasco è ad appena 40 chilometri. La valle del Giordano è segnata dal fiume più importante dell’area. È una protezione contro gli attacchi da est verso lo Stato ebraico, in particolare contro offensive dalla Giordania o – attraverso il suo territorio – dall’Iraq o da altri Stati arabi. Questa serve ad evitare di essere intrappolati, come nel 1948-49, nella stretta fascia costiera, che nel punto più stretto è profonda appena 15 chilometri. Il terzo baluardo è la penisola del Sinai, pianeggiante e arida, dove gli israeliani intendono fermare possibili attacchi dall’Egitto, il più importante dei paesi arabi e fino ad allora la principale minaccia per Israele. Le forze israeliane conquistano Gerusalemme Est, che viene annessa allo Stato ebraico. Le altre zone conquistate, in particolare la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, non vengono annesse. Sono abitate da una popolazione araba caratterizzata da 125

1 - LA TERRA VITALE

Massimo arretramento israeliano (1948)

1948-’49 la sopravvivenza I R A Q

S I R I A

Direttrici d’attacco arabe Milizie arabe

L I B A N O

Linea verde confini nel 1949

Damasco

Beirut

Profughi palestinesi Lago di Tiberiade

Haifa

Armi

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Tel Aviv

Amman

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T R A N S G I O R D A N I A

Mar Morto

Gerusalemme

o a n e r r e i t e d Eilat

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Suez

E G I T T O

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un forte incremento demografico. L’annessione cambierebbe gli equilibri interni dello Stato ebraico, che ha già al proprio interno una minoranza araba, composta dalle popolazioni locali che preferirono non prendere la via dell’esilio, e che pur considerati cittadini di serie B (non prestano servizio militare) hanno diritto di voto in Israele. Il 26 giugno 1967 il ministro della Difesa Yigal Allon presenta un progetto che diventerà famoso con il nome di Piano Allon e influenzerà tutti i negoziati successivi. Tale piano prevede una divisione del territorio occupato che escluda le zone ad alto incremento demografico palestinese e comprenda invece quelle di grande valore strategico, come la valle del Giordano. Le zone occupate non annesse diventano quindi una carta negoziale, da giocare al tavolo delle trattative per arrivare alla pace con i paesi arabi vicini e garantire la sicurezza non solo militare ma anche politica di Israele. Non sono d’accordo la destra israeliana e alcuni gruppi ortodossi, che danno il via alla creazione delle colonie in Cisgiordania e a Gaza, spesso favorite dai governi successivi, di qualunque colore politico essi siano. La terra come carta negoziale funziona solo con l’Egitto. Dopo la storica stretta di mano a Camp David nel 1978, l’Egitto fa la pace con Israele, il Sinai viene gradualmente restituito entro il 1982 (carta a colori 3). La zona rimane però smilitarizzata. Dal punto di vista strategico cambia poco. Con il miglioramento della tecnologia è sufficiente un Sinai smilitarizzato per garantire la protezione di Israele. Una forza di attacco egiziana dovrebbe attraversare la pianeggiante penisola sotto la minaccia dell’aviazione israeliana. La ricerca di una maggiore profondità territoriale, volta a garantire lo Stato d’Israele, continua nel 1982, dopo l’invasione del Libano, con la creazione di una fascia di sicurezza nel Libano meridionale, al confine con Israele. La svolta strategica avviene nel 1991. Mentre il quadro regionale è sconvolto dalla scomparsa dell’Urss, già alleata di diversi avversari di Israele, il governo di Gerusalemme scopre con la prima guerra del Golfo di essere vulnerabile ai missili di Saddam Hussein e di non poter reagire a causa della pressione degli Stati Uniti, alleati di molti paesi arabi proprio contro l’Iraq, che aveva invaso il Kuwait. La terra si è ristretta. I missili a medio e a lungo raggio, eventualmente dotati di testate chimiche, batteriologiche o nucleari, consentono anche a paesi lontani di colpire il territorio israeliano, scavalcando i baluardi strategici così faticosamente conquistati. Se sul piano regionale l’asse con la Turchia e l’indebolimento dell’Iraq di Saddam dopo la liberazione del Kuwait migliorano la situazione strategica di Israele, sul piano locale si fa strada la volontà di arrivare finalmente alla pace con i vicini arabi e di concedere per via negoziale ai palestinesi un proprio territorio. Le trattative, iniziate a Oslo nel 1993, portano alla pace con la Giordania (1994) e alla nascita dell’Autorità nazionale palestinese, un embrione di Stato palestinese che controlla una porzione dei Territori occupati, in parte direttamente e in parte indirettamente. Il processo negoziale non arriva però a conclusione. Falliscono sia le trattative con la Siria che il forcing di Clinton per concludere la fase finale dei negoziati a Camp David nel luglio del 2000. Nel settembre successivo scoppia la seconda Intifada.

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L’arma strategica degli attentatori suicidi, già utilizzata contro le truppe israeliane nel Libano del Sud dal partito/gruppo terroristico Õizbullåh, e impiegata nella seconda Intifada sia nei Territori occupati che in Israele, fino al cuore economico e politico del paese, apre una nuova fase strategica (carta a colori 4). I baluardi conquistati, l’assoluta supremazia militare, le paci sottoscritte in ambito regionale non servono a nulla contro i kamikaze che riescono a infiltrarsi in Israele, mentre i gruppi terroristici palestinesi tramite gli attentati dettano l’agenda politica e combattono anche una guerra civile all’interno del fronte palestinese e arabo. Il premier laburista Barak, dando seguito a una promessa elettorale e pur in assenza di un accordo con la Siria e gli õizbullåh libanesi, ordina nel 2000 il ritiro dal Libano del Sud, diventato nell’immaginario collettivo il Vietnam israeliano, un peso che una parte della società israeliana non vuole più sopportare. Prevale l’idea che non è possibile arrivare a un accordo con i palestinesi e gli arabi ed è necessario separare fisicamente i territori e garantire la sicurezza di Israele. Cominciano a concretizzarsi i progetti del muro o barriera di separazione nei Territori occupati. Dal punto di vista strategico è un ritiro e un trinceramento, anche a costo di lasciare i Territori abbandonati nelle mani dei propri avversari o in una situazione di anarchia e disordine, che favorisce i gruppi terroristici. La destra torna al potere in Israele, ma il trinceramento continua, anche se in un’ottica molto diversa. Nasce la dottrina del disimpegno, che evolve da quella del ritiro unilaterale puro e semplice 1. Il percorso del muro viene tracciato in modo tale da annettere di fatto il maggior numero di colonie ebraiche in Cisgiordania; da spezzettare i Territori in modo che un eventuale futuro Stato palestinese non possa rappresentare una minaccia e diventi una sorta di Bantustan; di assicurare un collegamento diretto con gli avamposti e gli insediamenti strategici nella valle del Giordano. Sharon decide però anche il ritiro dalla Striscia di Gaza e l’abbandono delle relative colonie. Per garantire la chiusura totale di quello che è considerato un territorio infido il premier del Likud arriva anche a ridiscutere gli accordi con gli egiziani sulla smilitarizzazione del Sinai. È necessario consentire il ritorno delle truppe egiziane nel Sinai per vigilare sul confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto e cercare di porre un freno al contrabbando di armi. Il Sinai smilitarizzato si è rivelato un baluardo strategico contro attacchi convenzionali, non contro le reti terroristiche e i loro contrabbandi. Nell’ottica di Sharon il trinceramento non è un ritiro, ma ha una valenza offensiva. Non ha alcuna intenzione di perdere il controllo di quei territori: grazie ai nuovi mezzi tecnologici è possibile colpire i nemici (vedi campagna omicidi mirati) nelle marche di frontiera senza avere militari sul campo. Il piano del governo Sharon per il ritiro da parte dei Territori occupati usa il termine «disimpegno». Non bisogna logorarsi impegnandosi nel controllo del territorio nemico con avamposti e forze di 1. Cfr. D. SCHUEFTAN, «The Separation Option», PeaceWatch, n. 298/2000, The Washington Institute for Near East Policy.

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terra, così come fatto finora. Bisogna invece colpire anche preventivamente gli avversari nei Territori con mezzi ad alta tecnologia (per esempio aerei senza pilota) e tenere sotto controllo i confini e i relativi passaggi per monitorare i canali di approvvigionamento. Il disimpegno viene effettuato non per essere assediati, ma per assediare gli avversari, anche se la differenza può essere molto sottile e discutibile. La tecnologia ha cambiato la rilevanza di molti baluardi strategici. I satelliti hanno molto potenziato le capacità di osservazione e di comunicazione. È il caso del Golan, la cui importanza strategica viene ridimensionata sul piano difensivo e che rimane una carta negoziale, se non per quella parte che serve ad assicurare il controllo delle risorse idriche del lago di Tiberiade. Nell’ottica di alcuni analisti israeliani il Golan però rimane importante per tenere sotto schiaffo e sotto pressione Damasco accusata di sostenere le reti terroristiche 2. Cambia anche il ruolo della valle del Giordano, finora considerata una regione vitale e fondamentale per la sicurezza di Israele nell’immaginario collettivo 3. Un attacco convenzionale da quel lato, dopo la pace con la Giordania, è diventato improbabile. Ma la valle acquista la funzione di barriera nei confronti delle enclavi palestinesi abbandonate a se stesse e di controllo sui trasporti attraverso il Giordano effettuati dai gruppi terroristici. Mantiene in parte anche una valenza strategica tradizionale: l’espansione urbana nella striscia costiera, cuore vitale israeliano, ha ridotto al minimo gli spazi. Non c’è la possibilità materiale neppure di schierare un esercito. In questo senso la valle del Giordano rimane insostituibile nell’eventualità pur improbabile di un attacco portato da lontano contro la volontà giordana. Se sul piano locale la terra ha riconquistato in modo diverso il valore che aveva prima degli anni Novanta, sul piano regionale il territorio continua a diventare sempre più stretto, a causa dei missili balistici e delle armi di distruzione di massa. Secondo il leader laburista Benjamin Ben-Eliezer, all’epoca ministro della Difesa, Israele deve fronteggiare tre cerchi di minaccia. Violenza e terrorismo nelle immediate vicinanze; forze armate convenzionali nella fascia dei paesi confinanti; dittature ed estremismi, appena oltre la linea dell’orizzonte 4. Se la seconda guerra del Golfo ha eliminato il tradizionale nemico iracheno, ecco emergere l’Iran con il suo programma missilistico e nucleare e in futuro l’Arabia Saudita o qualche altro importante paese musulmano probabile preda di gruppi terroristici o comunque colluso con essi. Si comincia anche a discutere sull’opportunità che Israele rinunci all’arma nucleare per evitarne la proliferazione nella regione e creare una zona denuclearizzata mediorientale.

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2. Scambio epistolare dell’autore con l’analista strategico-militare israeliano Ron Tira. 3. Sul dibattito sull’importanza strategica della valle del Giordano si veda S. BROM, «Is The Jordan Valley Truly a Security Zone for Israel?», Strategic Assessment, n. 4/2001, Jaffee Center for Strategic Studies, Tel Aviv, http://www.tau.ac.il/jcss/sa/v3n4p6.html, e E. KAM, «The Jordan Valley: An Area of Vital Security to Israel in a Changing World», Strategic Assessment, n. 4/2001, Jaffee Center for Strategic Studies, Tel Aviv, http://www.tau.ac.il/jcss/sa/v3n4p3.html 4. B. BEN-ELIEZER, «Israeli Defense Policy: Responding to Challenges Near and Far», intervento al Policy Forum del Washington Institute for Near East Policy, 6/2/2002, http://www.washingtoninstitute.org

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