Aspen Institute Dopo La Crisi

  • Uploaded by: Iniziativa Ventunozerocinquantotto
  • 0
  • 0
  • July 2020
  • PDF

This document was uploaded by user and they confirmed that they have the permission to share it. If you are author or own the copyright of this book, please report to us by using this DMCA report form. Report DMCA


Overview

Download & View Aspen Institute Dopo La Crisi as PDF for free.

More details

  • Words: 1,554
  • Pages: 3
Incontro comune. Dopo la crisi: quale futuro per i nostri figli e nipoti?

Aspen Seminars for Leaders 

Incontro comune. Dopo la crisi: quale futuro per   i nostri figli e nipoti?  Venezia, 22‐24 maggio 2009    Con il contributo di Blue Panorama Airlines, Clessidra Sgr, Global Wood Holding,   Gruppo Coin, Sky Italia, Wind Telecomunicazioni.    Sintesi della discussione a cura di Daniele Barzaghi   

Durante gli Aspen Seminars for Leaders di Venezia si è ragionato intorno alle difficoltà che il mondo sta attraversando riflettendo sulle strategie migliori per superare questa fase di incertezza. È stato ribadito che una visione a lungo termine degli eventi è necessaria e, in questo senso, appare opportuno pensare al futuro, a quando cioè la crisi economica internazionale sarà superata. E occorre anche riflettere sul mondo che erediteranno le prossime generazioni e su come renderlo migliore. Per non correre il rischio di affrontare in astratto il problema, è indispensabile partire dai dati concreti degli ultimi mesi e dalle possibili soluzioni che in ordine sparso stanno affiorando. Con una nuova ambizione, però: puntare realmente al bene comune. Affinché la ripresa coinvolga tutti, compresi i ceti più deboli. Sebbene sia possibile immaginare che adeguati modelli sociali si imporranno in futuro, ciò non è sufficiente a dissipare i dubbi dell’oggi, l’incertezza ancora visibile in ogni settore. La storia è piena di periodi di cambiamento e la fase che il mondo sta attraversando non fa eccezione. La difficoltà nel prevedere le conseguenze della crisi internazionale, nel presagire quali saranno i mutamenti più profondi e quale la loro tempistica, non è diversa da perplessità di questo genere che l’uomo ha avuto in tutte le epoche. Il venir meno dei paradigmi economici che per decenni hanno assicurato lo sviluppo della società occidentale ha innescato un diffuso sentimento di paura; una paura che ha ben presto superato gli iniziali confini della finanza riversandosi sulla popolazione e traducendosi in atteggiamenti di chiusura, istintivi e irrazionali. In campo economico e sociale si è pensato a un nuovo protezionismo (dimenticando quanti danni abbia generato questo in passato) e, nel tentativo di salvaguardare il “proprio” (inteso sia come convincimenti, ma anche come beni materiali), si è preferito individuare il colpevole all’esterno: nell’“altro”, nel “diverso”, in tutto ciò che non rispondeva al “noto”. Il populismo cui si è aggrappata una popolazione impaurita non ha esitato a toccare le corde della xenofobia, pensando di trovare una soluzione alla crisi nella creazione di barriere, di muri. Comunque la si pensi, una cosa è certa: questa linea di condotta è risultata del tutto sterile. Il ritorno della politica È invece il momento di un ritorno alla politica intesa nel senso più alto del termine: è l’ora da parte delle istituzioni nazionali e internazionali, così come dei cittadini, di impegnarsi a costruire un bene comune, che superi i singoli interessi. Il richiamo alle “prossime generazioni” va inteso non come individualistica difesa dei propri figli e nipoti, bensì

© Questo documento è stato realizzato in esclusiva per Aspen Institute Italia

1

Incontro comune. Dopo la crisi: quale futuro per i nostri figli e nipoti?

come più ampia salvaguardia di quelli di tutti; anche di quanti, lontani e stranieri, non si conosceranno mai. In questo senso, oggi che sono state superate le alternative all’economia di mercato, è doveroso ribadire una preminenza della politica sulle logiche economiche, del ritorno dello Stato senza una sua onnipotenza. In questa crisi è cambiata l’idea stessa della liceità di un intervento pubblico negli affari. È la società a richiederlo. La riduzione della crescita che probabilmente accompagnerà i prossimi anni imporrà un ruolo attivo del settore pubblico e una maggior regolamentazione fiscale, al fine di combattere le disuguaglianze e riprendere a parlare di valori collettivi. Ribadita la necessaria libertà da lasciare al mercato, si è ormai concordi nel regolarne maggiormente i meccanismi, arricchendoli di nuove sensibilità sociali e civili. Un approccio multilaterale alle questioni appare il più indicato. Anche in politica estera, dove il coinvolgimento dei Paesi emergenti è già avvenuto nel decisivo passaggio dal G8 al G20. Nel mondo vivono oggi 7 miliardi di persone, di cui 1,2 miliardi stanno bene, 1,2 miliardi rischiano di morire di stenti e gli altri sono sulla soglia della sussistenza minima. Un intero pianeta è pronto all’emigrazione: miliardi di persone potrebbero potenzialmente iniziare a spostarsi, generando migrazioni bibliche. Le persone pensano ormai in termini globali: curiosità, capitali, produzioni di beni e servizi, e se non riescono a sopravvivere nella propria terra d’origine cominciano a pensare che la felicità sia “altrove”. In un sistema internazionale sempre più interattivo, dove il superamento dei confini natii è abituale (oltre che sdoganato concettualmente), il progresso sarà gestibile soltanto attraverso tassi di sviluppo veloci nelle nuove economie. Le sperequazioni degli ultimi decenni non saranno più tollerabili. Trent’anni fa appena il 16% degli abitanti del mondo aveva un tenore di vita paragonabile a quello odierno degli occidentali. Tra trent’anni sarà il 60% a pretenderlo. E ciò che determinerà la vita delle prossime generazioni (anche in Occidente) saranno le soluzioni attraverso le quali si soddisferanno tali esigenze. Già oggi i popoli sono interdipendenti e così le loro economie (divenute per questo più volatili). Per questo è necessario cominciare a parlare di redistribuzione. Idee per una nuova governance È fondamentale porre le basi per un nuovo sistema globale, che non punti a difendere lo status quo dei paesi privilegiati. Questa dovrà essere la missione della prossima generazione. Il G20 di Londra (che rappresentava il 90% della ricchezza del pianeta e il 60% dei suoi abitanti) ha cominciato a parlare a questa diversa realtà e perciò ha dato il senso di un mondo che torna a essere regolato. L’importanza di tale avvenimento va ampiamente comunicata, al fine di creare presso le popolazioni un forte consenso su questi temi, di modo che si arrivi a pensare a questi mutamenti non in termini di sacrificio, ma come scintilla di una trasformazione positiva i cui effetti ricadranno sulle vite quotidiane. La grandiosità delle Olimpiadi cinesi o, ancor di più, l’importanza delle elezioni indiane parlano di un mondo ormai mutato, in cui sono cambiati i riferimenti. È sufficiente guardare le relazioni geopolitiche che interessano il continente africano: dei suoi 53 Stati, 51 hanno cambiato i propri referenti internazionali. E lo stesso sta facendo l’America Latina. Le istituzioni internazionali e nazionali dovranno farsi carico di un profondo lavoro di adattamento, e una rinnovata fiducia nel metodo del dialogo (si pensi alla svolta imposta dalla nuova amministrazione degli Stati Uniti guidata da Barack Obama) potrà dare centralità a organismi fondamentali come le Nazioni Unite. Cioè strutture internazionali da non intendere più come campi di battaglia per gli equilibri planetari bensì organismi aperti alle collaborazioni: enti utili proprio a partire dai vantaggi che

© Questo documento è stato realizzato in esclusiva per Aspen Institute Italia

2

Incontro comune. Dopo la crisi: quale futuro per i nostri figli e nipoti?

portano ai Paesi meno ricchi e sviluppati, per superare una visione imperialistica e piramidale del mondo. A tal fine diventano importanti anche le aggregazioni regionali o continentali, che contribuiscono a ridurre gli attriti tra posizioni troppo diverse. La sfida dei prossimi anni sarà trovare una combinazione tra i migliori valori della società di mercato (dinamismo, innovazione e iniziativa personale) e nuove sensibilità (attenzione alla solidarietà, alla redistribuzione e lotta alle sperequazioni), a cominciare dai comportamenti dei singoli. Nel 2009 non è morto il capitalismo: si è esaurita la visione liberista del mondo. Prima della crisi economica internazionale, le persone ragionavano su cosa facesse lo Stato per loro. Oggi l’approccio sta variando: si pensa a cosa ciascuno possa fare per gli altri. L’uomo torna a concepire se stesso come un individuo non più legato al contingente, ma collocato nel tempo: ricomincia ad agire per il futuro della comunità. I frutti arrivano quando si è seminato. I sistemi di welfare, che molto hanno dato in termini di diritti e servizi, hanno in parte svilito l’idea della società come successione di uomini (e di generazioni) nel tempo, della progettualità a lungo termine. Il cittadino riteneva di aver adempiuto i propri doveri già soltanto pagando le tasse. Non potrà più essere così, a partire da un necessario coinvolgimento degli anziani - sempre più sani e longevi - in attività non propriamente lavorative ma di chiara utilità. All’interno di questo quadro internazionale, lo Stato italiano non può esimersi dal sostenere l’economia nazionale, con chiare scelte preventive, come la valorizzazione delle specificità: si pensi al settore manifatturiero che nell’area compresa tra il Nord Italia e la Germania rappresenta il 29% dei Pil (in Gran Bretagna, uno dei Paesi più colpiti dalla crisi, non supera il 12%). In questo senso l’accento deve essere posto ancora una volta su settori come la meccanica, la moda, l’alimentare, senza dimenticare i comparti più innovativi quali le bioscienze o le tecnologie utili alla produzione energetica (è iniziato il ciclo delle Energy technologies) o alla tutela ambientale. E serve anche una valorizzazione del ruolo delle scuole, un assiduo impegno da parte degli imprenditori, ma soprattutto una chiara direzione da parte dello Stato. Compito dei politici sarà portare i cittadini ad avere fiducia nelle reali possibilità di cambiamento, al fine di non generare una società basata sulla paura, ma crearne una nuova, ottimista, che guardi al futuro con fiducia, convinta di possedere le capacità per superare la crisi.

© Questo documento è stato realizzato in esclusiva per Aspen Institute Italia

3

Related Documents

La Crisi 2009
April 2020 8
Aspen Plus
June 2020 18
Dopo Keltieker
November 2019 10
Bdem Aspen
October 2019 16

More Documents from ""