Generazione_3_0

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Intellighenzia (in russo интеллигенция, intelligencija; meno bene intellighentsia e intellighentzia, errati intellighèntsija, intelligentsia e intellighentia) è un termine per indicare in un determinato gruppo sociale (più o meno esteso, per esempio, un popolo, una parte politica, un credo religioso etc.) le persone più rappresentative, tra coloro che svolgono una attività intellettuale, sia essa di natura scientifica, artistica e amministrativa, tale da porli in un ceto culturale e creativo più elevato, con compiti anche organizzativi e direttivi del lavoro altrui. Secondo alcuni sociologi all'interno della intellighenzia possiamo quindi inserire gli intellettuali, ma anche i dirigenti, i funzionari dell'amministrazione pubblica, i politici, i medici ecc., mentre secondo l'opinione di altri sociologi vanno annoverati solo gli intellettuali in senso stretto. Sembra che il termine fosse usato inizialmente in Russia nella metà del XIX secolo ed era riferito agli intellettuali progressisti privi però di reale potere effettivo. Successivamente l'uso della parola si è esteso in gran parte del mondo e in diverse lingue per indicare il gruppo che ha la superiorità intellettuale o, a volte ironicamente, che ritiene di averla. (Da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

Noi, generazione 3.0, abitanti di un piccolo modo fatto di unione di spazio e tempo “Un giorno voi sarete l’intellighenzia della società” di Alessandro Thomas

La frase risuonava, nel silenzio generale e tra gli sguardi interrogativi o divertiti, in un’aula di un liceo classico di Roma, qualche anno fa. Ricordo che allora la cosa era fonte d’orgoglio - misto a scetticismo - ma in ogni caso, per quanto volesse essere stimolo ad impegnarsi, la frase portava la mente al futuro e a quello che avremmo voluto e creato per noi e per gli altri. Oggi di tempo ne è passato, non molto, ma in misura sufficiente per rendersi conto che la nostra generazione, la generazione di Wikipedia (trovo tutto, zero fatica, minimo indispensabile), la generazione di suoneriaallultimamodasolouneuro, delle veline e dei tronisti, delle chat, del “voi avete tutto, invece ai nostri tempi sì che si facevano i sacrifici…”, del devo trovare lavoro, dove si guadagna di più e chi conosco?, forse qualche problema ce l’ha. Nessuno ne ha mai scritto o si è mai fermato a riflettervi, come categoria autonoma: la nostra generazione, i trentenni di oggi, non sono storia, non hanno né nome né cognome, non hanno rappresentanti conosciuti né sono causa o effetto di qualcosa: semplicemente sono. Figli del benessere di un’Italia che oggi non c’è più e che anzi proprio oggi mostra il suo lato peggiore. Ci sentiamo nuovi, obbligati a tracciare un percorso ignoto, privo di regole perché nessuno ha mai affrontato quello che sta accadendo. Siamo il prodotto di un modello economico che vacilla e sprofonda dinanzi a ciò per cui non è preparato: il mondo unico, veloce, interconnesso e sconsideratamente privo di regole e determinismo, perfetta realizzazione di un battito d’ali di farfalla, che genera altrove cataclismi imprevedibili e diffusi.

1 Associazione Laureati Luiss – www.laureatiluiss.it – [email protected] - Tel. 0685225.282 – Orario Front Office Lun/Ven h. 9:30/13:00 - 14:00/17:30

Mentre a livello globale tutto si unifica e cambia, la prima legge della termodinamica appare sempre più quale legge universale: nulla si crea, nulla si distrugge tutto si trasforma. Il mondo è cambiato, noi siamo i primi a calcarne i passi, su un terreno ignoto e con gli occhi bendati dalle mani dei nostri vecchi, aggrappati alle proprie rendite di posizione, foriere di tanti errori nel passato, che pesano come macigni sul presente. Ci parlano di patto generazionale: e se non volessimo più essere parte del patto? E se non volessimo pagare per le scelte fatte quando i nostri genitori pensavano ancora a fare l’amore al drive-in? Posso premere control+alt+canc e ricominciare? Questo è il mondo che abbiamo creato, prego si accomodino lorsignori (e in bocca al lupo!).

“Tutto sotto il cielo” Dinanzi allo sconosciuto, preso atto che gli strumenti di ieri oggi non valgono più, si cerca di trovare nuove vie, con nuovi mezzi, non necessariamente tradizionali. Negli ultimi anni si è assistito al proliferare di organizzazioni per il governo globale: venuto meno il mondo bipolare e assistendo al crollo di quello unipolare che ha governato gli ultimi 20 anni, ci prepariamo all’era multipolare, in cui a dettar legge non sono più coloro che possiedono le armi, ma coloro che possiedono le risorse e sono capaci di influenzare il mondo: una sorta di soft-power, realizzato con una mano che agita acqua, luce e cibo dinanzi a una folla affamata. Glocalizzazione: governo dei bisogni di comunità locali che nuotano, indissolubilmente unite, in un unico lago, con l’acqua agitata e che sale inesorabilmente di livello. Tutto si velocizza, cancellando il concetto stesso di tempo. Oggi sembra che tutto sia contemporaneo e che non vi sia più un luogo in cui le cose accadono, e noi, i trentenni di oggi, tra i quali vi sono coloro che terranno le redini del mondo di domani, dobbiamo imparare, e alla svelta. Regole. Questo è il punto. Nessuno ha brevettato un manuale sulla vita, perché si dovrebbe anche affiancarvi un sistema che lo aggiorni senza soluzione di continuità, oggi per domani. La soluzione allora è muoversi per schemi e modelli che, tuttavia, mutano inesorabilmente al mutare delle persone, dei luoghi e del retroterra culturale. Oggi però, anche se non esiste un modello universalmente riconosciuto e condiviso di vita, esiste un forte collegamento tra i popoli, costituito da internet e dai mezzi di comunicazione, che permette di condividere - un po’ come amiamo condividere la nostra vita sui cd. social networks - bisogni, desideri e informazioni, come mai era stato possibile sino ad ora. Oggi più che mai è possibile passare ad un sistema che condivida il mondo anziché suddividerlo tra coloro che vi abitano, mettendo a frutto le esperienze, e gli errori, compiuti nel tempo e nello spazio, che alla nostra generazione appaiono indissolubilmente uniti. E’ necessario fondare un nuovo patto sociale, che riesca a conservare e ridistribuire il disponibile e creare sostenibilità del sistema nel lungo periodo. Il concetto cinese di “tutto sotto il cielo”1 esprime perfettamente tale pensiero. Mentre l’idea occidentale di “Stato” è fondata sul conflitto, in un sistema concepito come “un-paesetra-nazioni” sostanzialmente anarchico basato su rapporti di forza, ove tutto ciò che è considerato diverso è visto come una potenziale minaccia e va contrastato per garantire la propria sopravvivenza, nel sistema “tutto sotto il cielo”, al contrario, la concezione di base è quella di “un-paese-tra-nazioninel mondo”: si sostituisce la negazione dell’altro con la cooperazione, necessaria per la sopravvivenza

1

ZHAO Tingyang, “Tutto-sotto-il-cielo – Così i cinesi vedono il mondo”, in LIMES n. 4/2008, p. 47 e ss..

2 Associazione Laureati Luiss – www.laureatiluiss.it – [email protected] - Tel. 0685225.282 – Orario Front Office Lun/Ven h. 9:30/13:00 - 14:00/17:30

stessa del sistema. Le differenze non vengono negate quanto piuttosto integrate in un insieme che tende all’armonia e al vantaggio reciproco. Il futuro pertanto probabilmente risiede in un modello che ricerchi l’equilibrio globale, mediante la cooperazione2, fondato sulla responsabilità sociale cui deve tendere ed essere informato ogni comportamento umano. Fallito il sistema comunista che, sebbene di nobili propositi, appiattiva e soffocava inesorabilmente l’individuo, e fallito quello del capitalismo e dell’individualismo selvaggio, che hanno distrutto risorse e creato stili di vita che imprigionano gli individui nei loro stessi bisogni, occorre fermarsi e riflettere sugli errori del passato. Gli Stati Uniti, emblema del capitalismo, della crescita, del benessere, in una parola del “sogno” di molti degli abitanti di questo pianeta, sono oggi una società profondamente iniqua. Come recentemente evidenziato da Paul Krugman3, le differenze tra i ricchi e i poveri sono progressivamente aumentate. Sebbene in termini assoluti il paese abbia continuato a crescere, la ricchezza accumulata si è via via concentrata nelle mani di pochi individui che hanno progressivamente incrementato i propri patrimoni a discapito di fasce di popolazione sempre più ampie, che si trovano al di sotto della soglia del reddito minimo e che non hanno accesso ai servizi pubblici di base tra cui, innanzitutto, l’assistenza sanitaria. Dinanzi ad una situazione come quella attuale, in cui il sistema è prossimo al collasso in quanto le risorse per il suo sostentamento sono sul punto di esaurirsi, occorre tornare all’origine di tutto: i nostri bisogni, cosa ha per noi ha veramente importanza e, soprattutto, quale mondo vogliamo. Occorre allora capire cosa non è funzionato di ciò che era stato programmato. Partendo dal principio del libero mercato che, mediante la competizione tra gli individui, ha spinto l’economia verso l’innovazione e la crescita, occorre controbilanciare l’interesse personalistico dei singoli mediante meccanismi redistributivi, o nuove forme d’impresa, che rimedino alle inefficienze del sistema capitalistico. Probabilmente non sono molti coloro che si fermano a riflettere sulla circostanza che non esiste solo l’accumulazione del capitale e il profitto quale fine ultimo cui deve tendere l’azione umana. Esistono anche sistemi d’impresa che riescono a creare valore economico, dando lavoro a coloro che in esse svolgono la propria attività e che in essa sono direttamente coinvolti, e che hanno come fine ultimo non quello di distribuire gli utili ma di investire gli stessi nell’attività dell’impresa stessa, che ha finalità sociali e di produrre esternalità positive per le comunità in cui essa opera. Sono molti gli esempi citabili, ma forse quello che più di ogni altro mostra la sostenibilità e il successo di tali progetti è rappresentato dall’esperienza di Muhammad Yunus4, ideatore del microcredito e di molte iniziative di “impresa sociale”5. Non si tratta, tuttavia, solo di porre rimedio a ciò a cui la “mano invisibile” non presta attenzione, tramite un rafforzamento del welfare. Si tratta di porre innanzitutto le premesse per un sistema economico autosufficiente e, primariamente, di creare la ricchezza necessaria al funzionamento di qualunque meccanismo assistenziale si voglia porre in essere. 2

Cfr. Amartya Sen, Ripensare l'economia globale all'insegna della cooperazione , secondo cui “ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare lo sviluppo sostenibile è una democrazia globale, intesa non come un unico Stato mondiale – prospettiva impensabile nell'immediato futuro – ma come un sistema che consenta il dialogo e la partecipazione tra i popoli di tutto il mondo” (http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Economia%20e%20Lavoro/risparmio-energetico/frontiere/economia-globalecooperazione.shtml?uuid=61aafc86-1deb-11de-b649-e38bead96d2b&DocRulesView=Libero&fromSearch). 3 Paul Krugman, La coscienza di un liberal, 2007. 4 Cfr. http://www.muhammadyunus.org/ 5 Per la disciplina giuridica italiana relativa all’impresa sociale, cfr. il D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 recante la "Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118".

3 Associazione Laureati Luiss – www.laureatiluiss.it – [email protected] - Tel. 0685225.282 – Orario Front Office Lun/Ven h. 9:30/13:00 - 14:00/17:30

La storia ci insegna che l’uomo più forte ha sempre sopraffatto il più debole, che lo sfruttamento delle risorse ha avvantaggiato colui che per primo vi accedeva, imponendo le proprie condizioni. Guerre, colonizzazioni, interessi economici particolari hanno caratterizzato il comportamento dell’uomo e si sono succeduti nel corso dei secoli, determinando una costante ricerca del profitto, della sicurezza e della prevalenza sugli interessi altrui. Sopraffare per non essere sopraffatti. L’oggetto delle brame degli Stati è stato sempre l’accesso alle risorse del pianeta, che sono quindi la base dal quale deve partire qualunque ragionamento di riforma. Oggi, dinanzi alla crisi economica devastante che sta sovvertendo il sistema economico globale, dinanzi alla crisi energetica che ha portato il petrolio a sfiorare i 150 dollari al barile nel corso del 2008 e dinanzi alle conseguenze del riscaldamento globale che minaccia l’esistenza stessa dell’uomo, occorre riflettere in maniera seria sul modello di sviluppo da intraprendere, posto che risulta ormai palese il fallimento delle scelte adottate nel passato, al fine di iniziare a percorrere la transizione verso un nuovo sistema socio-economico.

La terza rivoluzione industriale La soluzione prospettata da molti, esposta e oggetto di dibattito sui giornali, nei forum su internet e nei discorsi pronunciati dalla maggioranza dei politici a livello globale è quella di spostare l’attuale sistema economico verso un modello autosufficiente, basato sull’efficienza energetica, le energie rinnovabili e la progressiva, rapida, riduzione delle emissioni dei gas serra. Tale soluzione era già stata anticipata da Jeremy Rifkin, il quale in un libro6 che potrebbe essere quasi definito profetico, aveva anticipato, sin dagli anni ’80, molto di quanto sta accadendo oggi. In sostanza, il principio sostenuto dall’autore, che poi altro non è che l’applicazione delle leggi della termodinamica, è che la materia e l’energia nell’universo sono costanti. Esse quindi non possono essere create o distrutte, può solo essere cambiata la loro forma. Materia ed energia, infatti, si possono modificare in una sola direzione, da forme utilizzabili o disponibili a forme non più utilizzabili o indisponibili. Ogni processo umano utilizza energia e tale energia è destinata a non essere più disponibile, andando ad aumentare l’entropia nell’universo. Ciò è quanto è sempre accaduto nell’evoluzione dell’uomo, si tratta di un processo inesorabile che passa per progressivi stadi: diminuiscono le risorse, aumentano i consumi e il gioco non funziona più. Siamo oggi dinanzi ad uno di questi stadi di cambiamento, che Rifkin definisce “spartiacque entropici”: il modello di sviluppo economico attuale e i mezzi dai quali esso trae il proprio sostentamento sono all’apice del proprio percorso ed utilizzo. E’ necessario quindi un cambiamento. Come l'introduzione del motore a vapore nel Diciannovesimo secolo, della locomotiva e delle reti ferroviarie contrassegnarono l'avvento dell'era del carbone e della prima rivoluzione industriale, così l'introduzione del motore a combustione interna e l'inaugurazione di una infrastruttura di reti autostradali contrassegnarono nel Ventesimo secolo l'inizio dell'era petrolifera e della seconda rivoluzione industriale. Secondo l’economista, oggi è necessaria la costruzione delle infrastrutture indispensabili per la terza rivoluzione industriale, verso la sostenibilità e un uso razionale dell’energia. Le infrastrutture necessarie alla transizione consistono in reti elettriche integrate intelligenti, che siano basate su molteplici punti di produzione di energia che sostituiscano l’attuale sistema concentrato in pochi grandi centri di produzione, peraltro inefficienti anche dal punto di vista della sicurezza e continuità delle forniture.

6

Jeremy Rifkin, Entropia, ult. ed., 2004.

4 Associazione Laureati Luiss – www.laureatiluiss.it – [email protected] - Tel. 0685225.282 – Orario Front Office Lun/Ven h. 9:30/13:00 - 14:00/17:30

La base della produzione elettrica dovrebbe derivare dalla conversione di milioni di edifici commerciali e residenziali in autentici impianti energetici, interconnessi con la rete, che forniscano energia, immagazzinata ove in eccedenza e ridistribuita all’occorrenza, lungo la rete stessa. In sostanza, la terza rivoluzione industriale porterebbe verso una nuova era di condivisione di risorse, in virtù della quale milioni di proprietari di casa e di aziende esistenti e nuove diventeranno produttori di energia. In tale ottica, sebbene ad emissioni zero per quanto riguarda i gas ad effetto serra, risulterebbe completamente esclusa l’opzione di produrre l’energia tramite centrali nucleari. Calcolando l’energia ed i costi necessari per la loro costruzione, il loro mantenimento e le spese per la costruzione di depositi per lo stoccaggio delle scorie radioattive (senza contare che l’uranio non è una fonte rinnovabile e anch’essa è in via di esaurimento, oltre ad essere detenuta da pochi paesi nel mondo), la quantità di energia potenzialmente prodotta sarebbe comunque nettamente inferiore a quella consumata per il processo produttivo. Il passaggio ad un sistema energetico fortemente basato sulle fonti rinnovabili, sostenuto da ingenti investimenti pubblici e privati, permetterebbe la creazione di milioni di posti di lavoro a livello globale, riconvertendo al tempo stesso settori industriali fortemente in crisi, come quello automobilistico. Gli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore dell’efficienza energetica, nello studio di nuovi materiali, processi industriali e tecnologie, avrebbero ricadute sull’intero sistema economico, dando vita ad una nuova rivoluzione tecnologica e contrastando il surriscaldamento globale. In sostanza, la ricetta per uscire dalla crisi è sempre la stessa: al pari di quanto avvenuto nella crisi del ’29, una politica economica di tipo keynesiano, con ingenti investimenti pubblici, rimetterebbe in moto l’economia. Il punto fondamentale è di orientare le scarse risorse finanziarie disponibili verso l’obiettivo di creare un sistema che permetta lo sviluppo di condizioni di vita favorevoli e stabili.

Soluzioni Nel documento “Green Investing – Towards a Clean Energy Infrastructure” pubblicato nel mese di gennaio 2009 dal World Economic Forum si sostiene l’indispensabilità, nel contrastare l’attuale crisi economica senza distruggere le risorse finanziarie necessarie al sostentamento dei bilanci pubblici nazionali, di indirizzare gli investimenti degli stati verso la risoluzione delle due maggiori problematiche odierne: l’approvvigionamento energetico e i cambiamenti climatici. L’attuale produzione di energia mondiale genera il 60% della quantità di CO2 immessa nell’atmosfera. Solo una completa ristrutturazione delle infrastrutture energetiche può contrastare l’attuale trend. L’International Energy Agency’s World Energy Outlook del 2008 stima che sia necessario investire ogni anno tra oggi e il 2030 circa 550 miliardi di dollari in energie rinnovabili ed efficienza energetica7. Si tratta di somme enormi che vanno al di là di qualunque budget statale e che pertanto presuppongono sforzi condivisi a livello globale.

7 Lo studio “How the World Should Invest in Energy Efficiency” pubblicato nel luglio del 2008 dal McKinsey Global Institute – Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), afferma che vi siano possibilità di investimento in progetti di efficienza energetica, in particolare nelle economie in via di sviluppo, per circa 170 miliardi di dollari all’anno, con percentuali medie di ritorno sull’investimento del 17%.

5 Associazione Laureati Luiss – www.laureatiluiss.it – [email protected] - Tel. 0685225.282 – Orario Front Office Lun/Ven h. 9:30/13:00 - 14:00/17:30

Molti sono i progetti in energie rinnovabili portati a termine e molti sono in corso di realizzazione. La sostanziale interazione tra il settore pubblico, con incentivi all’utilizzo di determinate tecnologie e il sostegno al prezzo dell’energia prodotta mediante fonti rinnovabili8 ha fortemente incrementato la propensione degli investitori privati verso il settore delle energie “pulite”. Tuttavia, l’attuale proporzione di energia prodotta mediante fonti rinnovabili rispetto a quella generata mediante l’utilizzo di combustibili fossili è ancora particolarmente ridotta e sicuramente non in linea con le esigenze sopra esposte. Rimane infatti ancora forte il disincentivo all’investimento dovuto ai costi ancora non competitivi delle fonti rinnovabili rispetto al costo dell’energia prodotta mediante l’uso del petrolio e del carbone. Sebbene il WilderHill New Energy Global Innovation Index (NEX), che misura le performance economiche delle 90 maggiori aziende a livello mondiale che operano, in diversi mercati, nel settore delle energie rinnovabili, evidenzi la circostanza che negli ultimi 6 anni tale settore è cresciuto del 75% con una percentuale di ritorno dell’investimento del 9.8% - percentuali non comparabili con alcuno degli altri indici di mercato - l’attuale fase di stretta sul credito e l’abbassamento del prezzo del petrolio hanno diminuito fortemente la percentuale dei nuovi investimenti. E’ ancora necessario quindi il supporto pubblico per l’incentivazione degli investimenti privati. Va certamente nella corretta direzione l’attuale riduzione a livello globale dei tassi d’interesse, ma rimane irrinunciabile una decisa politica fiscale che preveda investimenti in infrastrutture e ricerca, creando nuovi posti di lavoro per ingegneri, tecnici, ricercatori e operai dei cantieri che saranno posti in essere. Dalla riqualificazione in termini di efficienza energetica degli edifici pubblici, al sostegno della ricerca in materia automobilistica al fine di sviluppare auto elettriche o tecnologie ibride e di tecnologie di produzione energetica, alla creazione di un sistema di trasposti pubblici efficiente ed alimentato elettricamente, sino ad un modello di riciclo dei rifiuti che riesca a riutilizzare praticamente tutti i materiali di scarto: molte sono le possibili politiche perseguibili a livello pubblico. Occorre altresì tenere conto che, mediamente, il settore pubblico, nelle economie sviluppate, muove una percentuale variabile tra il 35% e il 45% dell’economia: ciò potrebbe costituire un incentivo all’innovazione e all’investimento da parte di investitori privati, qualora si prevedesse una certa misura di acquisti garantiti dal settore pubblico, che costituirebbe pertanto un mercato rilevante. Non da ultimo, la semplificazione normativa a livello nazionale e l’uniformità di procedure autorizzative e regolamentari a livello regionale e di enti locali, nonché la creazione di sistemi di incentivazione chiari e definiti nel tempo, fornirebbero il quadro all’interno del quale guidare gli investimenti privati, rendendo i processi di investimento e realizzazione degli impianti efficienti e privi di inutili appesantimenti burocratici. Oltre agli incentivi statali, agli investimenti privati e alla creazione di infrastrutture dal parte degli stati stessi, rimane fondamentale, almeno nel lungo periodo e nell’ottica del livellamento dei costi di produzione tra energie prodotte da fonti rinnovabili ed energie derivanti dai combustibili fossili, lo sviluppo dei cd. carbon markets. Tali mercati si basano sull’attribuzione di un prezzo alle emissioni di gas a effetto serra. In sostanza, essi hanno ad oggetto la commercializzazione del diritto ad emettere gas ad effetto serra: coloro che possono ridurre facilmente le proprie emissioni hanno l’incentivo a farlo, potendo “vendere” le proprie quote ai soggetti interessati. I principali mercati sono quello europeo (European Union Greenhouse Gas Emissions Trading Scheme – EU ETS) e il meccanismo previsto dal Protocollo 8 Per quanto concerne l’energia prodotta mediante il fotovoltaico, in Italia vige il cd. “conto energia”, previsto dal Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 19/02/07, in base al quale il gestore della rete elettrica nazionale (GSE) premia con tariffe incentivate l’energia prodotta mediante impianti fotovoltaici, per un periodo di venti anni.

6 Associazione Laureati Luiss – www.laureatiluiss.it – [email protected] - Tel. 0685225.282 – Orario Front Office Lun/Ven h. 9:30/13:00 - 14:00/17:30

di Kyoto, nell’ambito del quale i governi, per rispettare gli impegni assunti, possono sviluppare, alternativamente o cumulativamente, dei progetti in paesi in via di sviluppo (Clean Development Mechanism) o nei paesi sviluppati (Joint Implementation Mechanism), ottenendo dei crediti (Certified Emissions Reductions) valevoli a diminuire la propria percentuale di gas ad effetto serra emessi in termini assoluti. Per quanto riguarda il protocollo di Kyoto, il principale problema, al momento, è l’incertezza circa il suo futuro. Il protocollo di Kyoto scade nel 2012 e a Copenhagen nel mese di dicembre 2009 è previsto il negoziato per il suo rinnovo. Il sistema europeo, al contrario, è stabile e stabili sono gli impegni assunti dagli Stati membri dell’Unione, che hanno assunto l’obbligo, entro il 2020, di ridurre del 20%, rispetto ai livelli del 1990, l’emissione di gas ad effetto serra, di aumentare al 20% la produzione nazionale di energia derivante da fonti rinnovabili e di migliorare del 20% l’efficienza energetica, rispetto al consumo totale di energia. Un altro meccanismo per imporre un prezzo alle emissioni e così disincentivarle, oltre che innestare meccanismi virtuosi di riconversione dell’economia, potrebbe essere, come suggerito da Lester R. Brown9, fondatore e presidente dell’Earth Policy Institute, quello di spostare la tassazione dal lavoro alle attività inquinanti e distruttive dell’ambiente. Ad esempio, si potrebbe stimare il valore di un albero in termini di servizi resi, come l’assorbimento dell’anidride carbonica, il controllo delle inondazioni o delle slavine in montagna: tutti costi indiretti da aggiungere al costo del legname. Diventerebbe così economicamente vantaggioso riciclare. Occorre infatti ragionare, nel valutare i costi dell’investimento pubblico, su quali siano i benefici in termini assoluti dell’investimento medesimo. Non è in gioco infatti la sola indipendenza energetica o lo stimolo necessario ad uscire dalla crisi economica attuale. Vi sono effetti indiretti “virtuosi” derivanti da un investimento nelle energie pulite e dalla conseguente riduzione dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Quanto costa il passaggio di un uragano? Quanto costa un’inondazione? Quanto costa la progressiva desertificazione? A quanto ammontano le spese sanitarie per una popolazione che si ammala sempre di più? Cinicamente, al di là di qualunque visione utopica di un mondo perfetto, pulito e felice, ai governi basterebbe fare una valutazione seria sulla comparazione di costi e benefici di un certo tipo di investimenti, per trarre le proprie conclusioni.

Conclusione e inizio Il tentativo di rivitalizzare una bolla che ormai è collassata, mediante incentivi al mercato automobilistico e una spesa indirizzata alla costruzione di infrastrutture di vecchia generazione, che non tengano conto dei cambiamenti climatici in corso, la costruzione di nuove centrali basate su combustibili fossili o peggio ancora, nucleari, potrebbero costituire un palliativo momentaneo per l’attuale situazione economica, che tuttavia disperderebbe le poche risorse finanziarie disponibili. Quando l’economia ripartirà, avremo di nuovo i paesi emergenti, la Cina in testa, che assorbiranno risorse, riportando il prezzo del petrolio ai livelli dell’estate del 2008. Allora forse sarà economicamente vantaggioso produrre energia da fonti rinnovabili, anche senza gli incentivi statali, ma avremo perso un’occasione preziosa per apportare i cambiamenti necessari alla sopravvivenza delle nostre famiglie e avremo disperso risorse preziose per sostenere ulteriormente un modello di sviluppo che è già morto.

9

Cfr. altresì, Lester R. Brown, Plan B 3.0: Mobilizing to Save civilization, 2009 (http://www.earth-policy.org/Books/PB3/index.htm).

7 Associazione Laureati Luiss – www.laureatiluiss.it – [email protected] - Tel. 0685225.282 – Orario Front Office Lun/Ven h. 9:30/13:00 - 14:00/17:30

Il recente discorso del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama10 e gli ultimi dati sugli stanziamenti del governo federale statunitense11 pongono le premesse per i nuovi investimenti necessari, ma nulla può essere fatto se non a fattor comune. Sembra, tuttavia, che non vi sia condivisione di vedute con l’altro principale produttore di CO2 a livello mondiale: la Cina12. Il vice ministro dell'Ambiente Pan Yue ai margini della recente Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese, organo di supervisione i cui incontri annuali si tengono in parallelo al Congresso Nazionale del Popolo - il più alto organo del potere statale in Cina -, ha affermato che il progetto sul PIL verde - progetto varato nel 2004 con l'obiettivo di stimare il prezzo pagato dalla Cina sul fronte ambientale in cambio dello sviluppo economico e di contenere le emissioni inquinanti - è stato cancellato e non verrà ripreso in tempo brevi. Secondo l'unico dei rapporti sul progetto reso pubblico, quello del 2006, solo nel 2004 i costi dell'inquinamento si sarebbero aggirati intorno ai 510 miliardi di yuan (pari a quasi 60 miliardi di euro), circa il 3% del PIL cinese. Si tratta, all’evidenza, di costi che avrebbero potuto essere limitati, liberando risorse indirizzabili altrimenti. La nostra, che aspira ad essere la generazione della terza rivoluzione industriale, e che spera di riuscire a condividere questo piccolo mondo fatto di spazio e tempo indissolubilmente uniti, intravede un possibile futuro, basato tuttavia su presupposti totalmente differenti da quelli dell’era petrolifera, la quale volge rapidamente verso la propria conclusione. Spetta a coloro che sono il frutto dell’era petrolifera e del profitto fine a se stesso, e che da essa hanno tratto sino ad ora grandi benefici, comprendere che dalle scelte di oggi dipende molto di quello che accadrà nel prossimo futuro. Il modello di sviluppo da molti atteso presuppone non più una infinita crescita dei consumi, impossibile nel lungo periodo, quanto piuttosto la conservazione delle risorse disponibili e un loro efficiente sfruttamento e riutilizzazione. In termini economici si tratta di raggiungere una stabilizzazione o, meglio, decrescita nei consumi, che verrebbero compensati dall’efficientamento dei livelli attuali. A ciò non corrisponderebbe, come invece ci hanno insegnato, una diminuzione del benessere collettivo. L’economia e il benessere infatti sarebbero sostenuti dalla creazione di nuovi settori industriali e nuovi posti di lavoro, investendo in un’economia che inneschi un nuovo ciclo economico virtuoso, con esternalità positive per tutti.

10

Remarks on Jobs, Energy Independence, and Climate Change, East Room of the White House, January 26, 2009. Il budget stanziato per promuovere le energie pulite e una maggiore efficienza energetica ammonta nel complesso a 55 miliardi di dollari fra finanziamenti e incentivi fiscali e darà lavoro a 3,5 milioni di persone, di cui il 90% nel settore privato. 12 Sulla necessaria cooperazione tra Stati Uniti e Cina in materia energetica e di cambiamenti climatici, vedi “Common Challenge, Collaborative Response. A Roadmap for U.S.-China Cooperation on Energy and Climate Change” pubblicato nel mese di gennaio 2009 dalla Asia Society e dal Pew Center on Global Climate Change. 11

8 Associazione Laureati Luiss – www.laureatiluiss.it – [email protected] - Tel. 0685225.282 – Orario Front Office Lun/Ven h. 9:30/13:00 - 14:00/17:30

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