Ancora Poesiie

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  • Words: 2,831
  • Pages: 16
ANTO NI O L U P O

Poesie d’amore Elegie e canti onirici

Prefazione

1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9)

Canto d’amore Quadro d’autore Oltre il presente Rosa di maggio Vespro Sabbia di fiume Cielo senza stelle La foresta incantata Se tu mi amassi 10) Fu solo amore 11)Le biblioteche 12)Atomi di memoria 13)Ebbrezze dei sensi 14) Le voci sensoriali 15)Essenze di dubbi 16)Contro l’immortalità 17)Echi d‘amore 18)Quel che resta di noi 19)Vanitas 20)Ecclesia 21)Creator mundi 22)Alma mater 23)Agnus Dei 24)Il serpente 25)Il risveglio di Eva 26)Il Diluvio 27)Gli Apostoli 28) La Resurrezione 29)Le colline della memoria 30)Il volo del macaleone 31)Tanto ci resta 32)Il dialogo con la colombaia 33)Nenie d’oltretomba 34)Iris di montagna 35)Profumi d’estasi 36)Un’alba di sogni 37)Ceneri d’imperi 38)Senza il canto di fringuelli 39)Il canto delle galassie 40)Et introibo ad altare Dei 41)Dies irae 42)Ex abundatia cordis

43)Le luci del ricordo 44)Il canto delle nuvole 45)Oltre le stelle 46)Il sonno del ciclamino 47)Il silenzio delle ombre 48)Un’ultima parola 49)Solitudine 50)Alma Venus 51)Sogni proibiti 52)Vetustas 53) Epistula

Prefazione Pubblicare una raccolta di poesie è sempre una sfida che mette in gioco il proprio essere, il proprio modo di esprimersi attraverso le innumerevoli contraddizioni del quotidiano. Nel bene e nel male, si scrive, si produce, si cerca di mettere a confronto la propria esperienza con quella degli altri. Sperando in un riconoscimento fine a se stesso se non in una gratificazione personale talvolta narcisistica, si va alla ricerca comunque di un minimo di consenso, che molte volte rimane inappagato. E’ il rischio che deve necessariamente correre chiunque si accinga a pensare di rendere pubblici i propri pensieri. Fortunatamente, nella stragrande maggioranza dei casi, le raccolte rimangono custodite gelosamente nei cassetti delle scrivanie in attesa che il giorno fatidico della pubblicazione arrivi. Nella migliore delle ipotesi si intende lasciare, in fotocopia, ai propri eredi il ricordo di un papà poeta o presunto tale perché lo si renda più profondo. La filosofia foscoliana è sempre valida. E non può essere diversamente. Ma la pubblicazione è tutt’altra cosa. E’anche un esporsi - e perché no?- al pubblico ludibrio, in cui talvolta critici avveduti scoraggiano anche chi timidamente dovesse accingersi ad elaborare un minimo pensiero da mettere in forma poetica. Tanto perchè ci si renda conto che l’autocritica - quando c’è - non è sufficiente per un minimo di revisione appunto critica. ! La raccolta “Poesie d’amore, elegie e canti onirici” nasce dopo la prima silloge “Canti onirici” pubblicata con le Euro Edizioni Aversa, Oria(TA), 2001. A sette anni di distanza l’autore sentiva il bisogno di riprendere, approfondendole alcune tematiche della prima raccolta. Di qua la necessità di dare ad alcuni suoi componimenti il titolo di canti. Canti nel sogno, appunto. Se la struttura metrica rimane essenzialmente invariata: allitterazioni, enjambement, rime interne, cadenza ritmica, versi liberi, le tematiche scelte sono incentrate, per lo più, su una analisi del sentimento universale per antonomasia, sia

che venga visto nel dialogo amoroso degli innamorati, con il raggiungimento della felicità, sia che venga interpretato come abbandono, dolore, rimorso, disperazione, rimpianto, espiazione. Nella prefazione ai Canti onirici, edizione 2001, l’autore così si esprime: “E’ notorio che canto vuol dire lamento, bisogno assoluto di esternare sentimenti che possono essere di odio, amore, rimpianto, desiderio, dubbi, estasi, attesa contemplazione, rasserenamento, quiete, ricerca di un mondo sognato, di una realtà sovrannaturale che riscatti l’uomo dalle quotidiane miserie, in cui, abitualmente, è costretto a vivere…..” (ibidem, pag. 4).. Si tratta, in definitiva, delle tematiche classiche, da Saffo a Catullo, da Petrarca a Beaudelaire. Cambia, in definitiva, la modalità di espressione, con le dovute distanze, ben inteso, rimane il riferimento all’esperienza personale, talvolta dolorosa, talvolta gioiosa, anche se prevale la prima. In verità, nella prima silloge, non manca “un’immagine estremamente variegata delle riflessioni sull’interpretazione dei dati della realtà ora in chiave ironica, ora in chiave simbolica o metaforica, ora in chiave più chiaramente ed esclusivamente lirica” (Canti Onirici, pag. 3). Si è voluto rifuggire, in questa seconda raccolta, dall’indulgere eccessivamente alla composizione sui temi in cui l’esistenza è vista solo come rabbia di vivere, analisi delle esperienze più frustranti, sottolineatura spropositata degli aspetti devastanti del mondo contemporaneo, come se la poesia fosse soltanto un muro del pianto metaforico. Si è voluto cercare, attraverso parametri più esaustivi, di cogliere, là dove è stato possibile, la grandiosità dei sentimenti, la gioia che può derivarne, la ricaduta positiva dell’esperienza vissuta, così in “Canto d’amore”, in cui si chiede all’amata, attraverso un imperativo categorico, di non vegliarsi senza un bacio, di sorridere all’amante, di piangere solo per amore, di non andar via da sola, di non restare con le proprie lacrime, di non chiedere che il proprio uomo l’abbandoni: “Non svegliarti senza un mio bacio/ Ancora/ Non sorridermi senza che m’ami/ Per nulla / Non piangere d’amore/ Per sempre/ Non andar via/ Da sola/ Non restare coi tuoi pianti/ Mai più/ Non chiedere ch’io parta/ Da ora.” L’ amore viene giurato per l’eternità: “Mille volte amore/ E poi ancora mille/ Per l’eternità” . Il debito verso Dino Campana resta insoluto, nella ricerca della propria identità, come esaurimento delle scorte che i sentimenti possono offrire. Fortunatamente, sono inesauribili, eterni, imprevisti, sempre freschi nella loro immortale genuinità, inattesi, affannosamente cercati. Il tema dell’al di là è visitato in varie occasioni. Già nella prima raccolta nella lirica “Dopo il ponte” la riflessione veniva affrontata in termini di serenità, di coinvolgimento della madre natura esternatrice di colori e profumi: “Dopo il ponte/ Non saremo più soli/ Ci credi?/ E il vento sentirai soffiare/ Impetuoso/ Come un uragano/ Arrabbiato/ …………………….Dopo il ponte/ Non più piangerai/ I segreti sapranno/ Gli amanti / Che liberi cantano/ Insieme/ Le nenie d’amore/ Nei sogni perduti………..” (pag. 8,9, ibidem).

La ricerca della parola è stata ridotta all’essenziale. Appare di tanto in tanto qualche arcaismo o un ricordo degli studi ginnasiali. Per il resto, il costrutto è relativamente e volutamente semplice perché si entri subito in contatto col pensiero dell’autore senza affannose ricerche ipotetiche del significato del verso. Il termine elegia è stato accuratamente scelto come componimento a matrice melanconica, in cui il dolore non è più amoroso , ma si estende ad altre esperienze, per lo più di stampo pascoliano. Per il resto, è legittima la pretesa di natura estetica, senza ambizione a diventare il vate di turno, se mai, vi è il desiderio di condividere passioni e riflessioni, canto corale in sintonia con quello che l’universo ci ha regalato di meglio. Canto d’amore

Non svegliarti senza un mio bacio Ancora Non sorridermi senza che m’ami Per nulla Non piangere che d’amore Per sempre Non andare via Da sola Non restare coi tuoi pianti Mai più Non chiedere ch’io parta Da ora I tuoi baci sono fragole di fresco Nel tuo giardino colte Di notte I tuoi sorrisi, perle d’oriente Dei miei desideri Il tuo pianto è quello dell’universo Ormai La tua partenza senza fine Addio Il tuo amore finito per sempre Speranza senza ritorno Amore, amore, amore, amore, amore Mille volte amore E poi ancora mille Per l’eternità

Quadro d‘autore Ho dipinto un quadro d’autore per te Senza cornice Non ho messo i fiori di aprile Per te La luna era nascosta Non c’eri Ho solo ritratto il tuo volto Fanciulla E i tuoi sorrisi erano smeraldi smarriti Da tempo I tuoi capelli ho dipinto Ebano raro e prezioso I tuoi occhi ho ritratto Col verde del salice La tua bocca di miele Col rosso di sera L’ho firmato col sangue Dell’anima mia

Oltre il presente

I

Non correre. Fermati un istante Un momento soltanto Ti prego Una parola ho da dirti Attendi E poi vai via Se credi Vi sono raggi di sole inattesi Vi sono profumi d’estate nascosti E more di bosco mature Mirtilli di ambra dipinti Fringuelli con ali di giada E gocce di zaffiro Aspettano. Non correre sempre. Attendi Un’ora di adesso

E’ nulla se vuoi che sbocci La rosa che ami Rosa di maggio L’ho colta stanotte Per te L’ho messa sul tuo davanzale Per te Le ho tolto le spine Per te Te l’ho regalata Perché Al risveglio ti ricordi Di me Non ho più parole Per dirti Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo Quando non mi sorridi Mi vedi Mi aspetti Mi odi Mi tocchi Mi baci E piangi ancora di felicità

Vespro Ti ho atteso. Invano. Ho chiesto a Ivana dov’eri. Mi ha detto che sei partita. Ieri. Alfonso mi disse ch’eri triste Da tempo Da quando ci siamo lasciati Oramai. Un vespro di un aprile lontano Addio dicesti Giovanni ricorda così

Ma è vero che più non ci sei? Non l’hai mai detto Lo sai Che dirti adesso non so Attendo che torni Per dirti di nuovo Sei mia, sei mia

Sabbia di fiume Mi attendevi pensosa sul greto Nel giorno più triste per me Guardavi lontano tra faggi dorati Tra canti e lamenti di merli Sapevi che ero partito Lontano, lontano Per mai più ritornare? Ti ho tradito Lo so Un amaro rimorso La mente mi turba Che dirti ancora Mia amata Lasciata Sulla sabbia di un fiume Che solo fu nostro L’ho vista di nuovo La sabbia Non è per niente la stessa Ohimé Mi manca il tuo viso Il tuo gaio sorriso Di quando t’amavo Adesso lo so Ma è tardi, lo sai Ti ho perso per sempre, per sempre Né mai più ti ritroverò

Cielo senza stelle L’ho guardato di notte Il tuo firmamento Cercavo un astro lontano La stella che tu m’indicavi Per dirmi che nostra Ormai da tempo non era Invano Lontano scorgevo una nube Era l’alba di un giorno un po’ strano Vedevo il tuo volto Pensavo Ma vero non era Un’amara illusione Si rilevò La nube scomparve In timida pioggia Versò Il tuo viso Poi, andò via Portata dal vento Con te Dal vento, dal vento.

La foresta incantata Sono andato con Sasof nella pineta maremmana per fargli vedere il luogo del tuo amore perduto. C’era anche Irina Boenko che ironica mi sorrideva . Te la ricordi Irina la moscovita, bionda e occhi cerulei?. Anche lei, lo sai, è molto attraente. Me n’ ero innamorato, all’ombra d’un pino gigante . Mai nulla ne volle sapere.

E’ stato meglio così, amore mio. Se m’ avesse amato, mai più da te sarei venuto. Mai più avrei rivisto i capelli corvini più neri dell’ebano, i tuoi occhi di smeraldo mai visto. Il rubino, Il rubino delle tue labbra l’ho cercato da allora. Inutilmente. Portavi un vestito d’ametista su scarpe topazio o acquamarina? Non ricordo, ohimé, sciagurato. Vedemmo un ruscello d’onice tra salici piangenti e sagome di merli granati. Il becco era zaffiro, le zampe berillo violetto. Tutte le pietre preziose del mondo erano là per te. Ma non c‘eri, non c’eri. L’avevo inventata per te la foresta incantata. Mi aveva tradito un sogno premonitore. Saresti partita per sempre per non rivederti mai più! Se tu mi amassi Ho incontrato Robert ieri sera. Veniva d’Antibes. Portava Fragonard da te preferiti. E’ cambiato di molto. Portava con sé Madeleine, la bruna di Nizza. Picasso fu il pittore di cui parlammo la notte d’agosto. Le ultime zagare incensavano un’aria di fuoco, tra gli ulivi dormienti del sud. Ho parlato di te e poi ancora di te. Gli dissi che forse saresti tornata.

Da me. Ancora da me, che non meritavo. Mi chiese perché mi avevi lasciato. Gli dissi che fu un capriccio inatteso. Ancora non so, mi chiedo che male ti ho fatto. O meglio, lo so. Ma se ancora m’amassi ti direi che sei una farfalla con ali d‘opale e occhi ametista e dita di porfido. Farei un dipinto su un arancio dell’orto in cui sei stata, sussurrando canzoni di miele con Venere che ancora mi parla di te.

Fu solo amore Ho aspettato invano. Un’eternità, se credi. Mi guardavi dal balcone dei gerani. Mi guardavi perplessa. Non era sicura di me. La tua veste d’ambra, la ricordi? Ne ho ancora un brandello. Ricordo d’un solo momento. Abramo lo dice sovente. Anch’io t’amavo. Allora. Poi ci fu quel destino crudele. Chi mai l’avrebbe pensato?Non ti ho più rivista. Gli iris di Van Gog si misero d’un tratto a fiorire. Ma tu non tornavi. Si erano appassiti i gerani. Gli iris olandesi tornarono sfioriti nei quadri. I secoli m’ hanno visto aspettarti. Inutilmente. Quei papaveri non li ho visti mai più. E’ rimasto il rosso delle tue labbra. Dei tuoi ciclamini non ho che i tuoi occhi. Dei pompelmi dell’orto, i tuoi minuscoli seni. Dei tuoi amplessi una stretta nel cuore. Oramai.

Un’ultima parola Un’ultima parola voglio dirti stamattina. Quando il vento soffierà senza di noi La rosa sboccerà nel tuo giardino La pioggia canterà la sua canzone Il tuono romperà il suo silenzio Un lampo l’azzurro si vedrà Un’arida alba nascerà Ti cercherò nell’alone della luna Nei petali delle begonie Nel soffio della tramontana Nell’ombra dei miei sogni Omai svaniti

Solitudine Ha cercato conforto in Mozart, poi con Matisse. Modigliani l’ invitava coi suoi nudi. Divini. L’attrasse per un momento un Van Gog sconosciuto. Lesse infine le Sacre Scritture. Abramo gli consigliò di soprassedere. Era lei che lo cercava. Ostinatamente. Isaia gli disse di tacere. Fu solo Giovanni che disse: “Datti pace, non cercare altrove. E’ qui davanti a te ad aspettarti”. O mia solitudine. Dea incontaminata. Luce dei suoi desideri, credeva in te. Alma Venus

Alle quattro del mattino del quindici maggio ha guardato un cielo d’opale. Venere lo spiava pensosa. Che cosa sarebbe stato di lui senza di lei? Gli chiese silenziosa in un notturno di Chopin. Non ebbe risposta. Almeno così pensava. Passò ad un requiem di Amedeo, ma solo un rondò l’ avvinse allora. Un minuetto maestoso lo conquistò. Fuggì insoddisfatto nel dolore. Solo le tue braccia consolarono il suo sonno inquieto.

Sogni proibiti Contava le ore notturne inutilmente. L’avrebbe svegliato inorridito il canto d’un gallo mattutino? Nell’orto si festeggiava la primavera il tredici di aprile. Un po’ in ritardo, in verità. Solo i colombi stavano appollaiati in una gabbia stretta. Un astro stentava a far capolino. Un iris impigrito si svegliava chiedendo aiuto ad un narciso nano. La fresia sonnecchiava nella sua veste bianca. Matteo giaceva nel caldo del suo letto sperando nei suoi sogni proibiti. Era un dolore atroce che lo costernava. Non se l’era mai sognata la sua felicità. Vetustas Sarebbe venuta all’improvviso, senza dir niente? Non lo sperava. L’immaginò indolente, claudicante o cieca nel suo cappotto nero. Uno scialle di dolore l’avvolgeva. Un fiore sbiadito nelle mani. Un collana di latta al collo austero. Aveva gli occhi grigi di un gattino, un basco di lana sulla testa calva. Ma sorrideva. “Non temere” gli disse di mattina. “Andremo insieme verso l’al di là dove il tuo corpo alloggio più non ha. Solo il tuo ricordo la nebbia schiarirà”. Epistula L’ ho scritta per te questa mattina Mentre dormivi ancora Non so cosa sognavi Forse un abbraccio O una carezza sola Lo sguardo d’un attimo O nulla più Ho riflettuto un momento solo Complice un fuoco lento D’un camino antico Volevo dirti Quando ti svegli cosa farai? Sarai come un raggio di luna sbiadita Oppure una gazza innamorata? O forse una tortora spaventata? Un agnello tremante O tigre di sangue assetata?

Una coniglia incinta Nella conigliera ? Nulla di tutto questo. Sarai un petalo di fiordaliso All’alba di un nuovo giorno Che verrà.

Il canto delle nuvole Nell’enciclopedia di Diderot Non vi è descrizione alcuna Del canto delle nuvole E nemmeno in quella di Larousse E neanche nella Britannica Persino ad Alessandria Se ne dimenticarono Harvard non ne ha mai palato Vi è solo un progetto Alla Sorbona in corso di registrazione Ma dicono che il docente è folle Ché le voci delle nubi Le sentirono soltanto I profanatori delle piramidi Di Cheope e Miicerino Temendone gli effetti E Didone abbandonata

Ma il canto delle nuvole Anch’io l’ascoltai Dimentico ‘Eratostene Immerso nell’ambra Delle sirenette Oltre le stelle Oltre i buchi neri Oltre le supernove Oltre il Monte Bianco Oltre l’Himalaia Oltre tutti gli oceani Oltre i tifoni e gli uragani Oltre il volo dei gabbiani Delle aquile Oltre i petali dei fiori d‘amarena Oltre i geni e gli alberi genealogici Oltre i profumi delle petunie Dei garofani e delle viole e delle rose Del tuo giardino Oltre il respiro affannoso Oltre le memorie Oltre le catacombe ed i martiri di Otranto Oltre le preghiere di Santa Chiara Oltre le estasi di San Bernardo Oltre i minareti di Damasco Oltre il muro del pianto di Gerusalmme Oltre Atlantide Vi è solo il magico attimo Che li rende oltremodo Universali ed eterni E tu Donna lo sai. Giovane flautista Giovane volesti Al nobile suono darti Arte sublime Di tempi senza fine Anche l’amore

Dimenticar volesti E gli amici E gli altri studi Le promesse, le speranze I sogni, persino, abbandonasti Nuova vestale Della eterna religione Il tuo canto Nell’universo va Oltre le lingue E limiti Della storia O di immensi continenti Gloria te dolce fanciulla Nell’alto dell’etere supremo.

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