LA STAMPA SABATO 5 MAGGIO 2007 PAGINA I
SETTIMANALE LEGGERE GUARDARE ASCOLTARE NUMERO 1562 ANNO XXXI
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FULMINI NICO ORENGO
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LAQUALITÀ CONTA PIÙ DEI NUMERI
TUTTOlibri Ansia da numeri. Già la si avverte. Signorine dell’Ufficio Stampa della Fiera che, agitate, telefonano per dire che la prevendita dei biglietti per il Lingotto è iniziata, notizia più importante che un convegno, un incontro con un autore si è aggiunto o è caduto. L’anno scorso le presenze dichiarate furono 300.000. Un vero record dal quale, serenamente guardare senza preoccuparsi se i visitatori quest’anno saranno di più o di meno. Non è il numero che porta l’allegria di organizzatori, assessori, presidenti al taglio della torta, ma la qualità della manifestazione.
DIARIO DI LETTURA
Umberto Eco: vivere fra cinquantamila libri Inaugurerà la Fiera il 9 «Vi racconto la mia passione di collezionista» SINIGAGLIA
P. XXIII
Fiera del Libro di Torino 2007 Il tema conduttore della 20ª edizione: una linea che è sempre più arduo definire, rispettare, varcare, cambiare
PENSARE I CONFINI Interventi GIORGIO FICARA LA LETTERATURA
GIORGIO BOATTI LA GEOPOLITICA
AUGUSTO ROMANO LA PSICHE
ENZO BIANCHI L’ETICA
PIERO BIANUCCI LA SCIENZA
MARCO BELPOLITI LE VISIONI
CLAUDIO GORLIER LE LINGUE
GIUSEPPE CULICCHIA I GIOVANI
La storia 1988 - 2006 ANNO PER ANNO
DAL SALONE IN RIVA AL PO ALLA FIERA DEL LINGOTTO
20 CRONACHE E IDEE
LUCIANO GENTA
anni con i ricordi di GIULIO ACCORNERO MARCELLO BARAGHINI GIUSEPPE LATERZA EDOARDO SANGUINETI ROMILDA BOLLATI ANGELO PEZZANA SERGIO FANUCCI
GIULIANO VIGINI ALBERTO CASTELVECCHI ROSARIA CARPINELLI CARLO FRUTTERO INGE FELTRINELLI ROBERTO CALASSO ROSELLINA ARCHINTO
ALBERTO ARBASINO PAOLO REPETTI GIAN ARTURO FERRARI DACIA MARAINI GINEVRA BOMPIANI ROBERTA EINAUDI A PAGINA XII - XIII
Agenda
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Tuttolibri
SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
E’ lontana l’Asia... Gentile Maestro, una mia amica che come me legge molto (ne abbiamo il tempo, ormai) mi ha regalato un romanzone di quasi mille pagine, di cui non le dirò né il titolo né l'autore. Ma fin dal primo capitolo mi sono resa conto che non sarei andata avanti, non me la sentivo. Il libro è scritto bene, a quel che mi pare, con una quantità di personaggi che s'intrecciano, si amano, si odiano eccetera. Ma tutto
Carlo Fruttero, Tuttolibri-La Stampa, via Marenco 32, 10126 Torino
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questo si svolge in una grande città asiatica lontanissima da me e dal mio mondo; e la cosa, invece di incuriosirmi, interessarmi, vedo che mi respinge, mi affatica. Tutti quegli strani nomi e nomignoli da tenere a mente... E quelle parole in corsivo, intraducibili, che devi andare a cercare nel glossario in fondo al volume. Non sono certo razzista, frequento senza pregiudizi i ristoranti «etnici» e nel mio piccolo cerco di dare una mano al Terzo Mondo. Ma quelle mille pagine mi spaventano. Che cos'è la mia? Semplice pigrizia, o diffidenza, o rifiuto dell'«altro», come sostiene la mia amica? Martina Celassi, Roma
Cara Martina, non si spaventi, di questi romanzoni etnici ne vedremo sempre di più. E' come la Cina, dove sono oggi in grado di fabbricare delle Ferrari identiche alle Ferrari, ma «false». Dev'essere questo che la frena, la disturba: il prodotto è buono, corre, va, ma noi abbiamo già guidato l'originale, Tolstoj e Dickens, Dumas e Proust, e le «vibrazioni», chiamiamole così, non sono le stesse. Anche in quelle terre un tempo remote e oggi a portata di Alitalia (salvo scioperi) anche lì ci sono evidentemente mogli infelici, mariti infedeli, zii perfidi, potenti criminali, fidanzati che non riescono a sposarsi, legati da trame complicatissime. Ed è perfetta-
mente naturale che anche lì nascano romanzieri che di fronte a una situazione kafkiana scrivano romanzi kafkiani, magari un po' prolissi. E via dicendo. Un Mallarmé sudanese? E perché no alla fine. Certo non sarà proprio la stessissima cosa, ma è pur sempre globalizzazione che fa comunque bene a tutti, dicono. In questo momento Adam e Alan due miei amici (inglesi, d'accordo; pazzi inglesi, se vuole) stanno montando con pochi soldi e molto entusiasmo un'opera come «Il flauto magico». Dove? In Cambogia, sulle gradinate di un antico tempio sperduto nella giungla. Se potessi non me la perderei una cosa così. Carlo Fruttero
PROSSIMAMENTE
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spite d’onore alla Fiera, la piccola Lituania, ricca di storia, sarà al Lingotto molto più che una invitata, per la gran parte del pubblico, «esotica». Nei tredici appuntamenti previsti, si faranno scoperte, incontri con personaggi di alto livello, si discuterà di religione, filosofia, musica, teatro, cinema, architettura, letteratura e poesia. DA VILNIUS A BOSE
Mentre con Diego Marani andremo alla «scoperta della lingua lituana», con il libro di Claudio Carpini sulla Storia della Lituania, ovvero nell’« identità cristiana e europea di un popolo» entreremo, attraverso il colloquio tra l’autore e Franco Cardini, nel cuore della singolare situazione di questo Paese in prevalenza cattolico tra vicini ortodossi e protestanti (vedi la Lettonia che abbiamo conosciuto tra le pagine bellissime di Marina Jarre). Incontro culminante, quello tra il Cardinale di Vilnius Audrys Juozas Bachis e Enzo Bianchi («Essere cristiani in Europa»). POESIA E JAZZ
Con Franco Quadri, Nekrosius il regista del «Cantico dei cantici», del «Don Juan» di Puskin, di «Amleto», del «Faust», parlerà del suo teatro, ben noto agli spettatori italiani più avvertiti; un testa a testa si svolgerà tra Gianni Rondolino e Jonas Mekas, uno dei massimi esponenti del «New American Cinema», fondatore della rivista cult «Film Culture». Altro giro, altri protagonisti: in due puntate l’incontro tra la poe-
sia, rappresentata da nomi ormai internazionali (Neringa Abrutyte, Gintaras Grajauskas, Kornelius Platelis e altri) con il jazz; gli scrittori tenteranno di rispondere a una domanda «tecnica» quanto planetaria: «L’individuo nella prosa lituana: moderno o postmoderno» compiendo anche un’incursione nella novellistica lituana guardando al passato. Personaggio di spicco politico, ma prima di tutto storica dell’architettura, Irena Vaisvilaite terrà la sua lectio magistralis sul barocco «al confine orientale» d’Europa. Last but not least, il grande omaggio di Paolo Fabbri, Massimo Leone e Kestutis Nastopka ad uno dei padri della moderna semiologia, «l’immortale» A. J. Greimas. Abbastanza perché la piccola Lituania dimostri quanto è grande.
NEKROSIUS E GREIMAS AL LINGOTTO MIRELLA APPIOTTI
A rappresentare la Lituania, paese ospite della Fiera, il regista del «Don Juan» e l’omaggio a uno dei padri della semiologia Tra i numerosi invitati stranieri Mustafa Barghouthi, il ministro per l’Informazione dell’Autorità Palestinese
andare a cercare e curare i malati nel campi profughi «da lì alla militanza politica il passo è breve. Il rapporto con Arafat, i contatti con Hamas, la delusione per il fallimento del programma di pace, la nuova Intifada e finalmente la speranza di una convivenza pacifica con la creazione di uno Stato palestinese indipendente o con un Unico Stato in cui le due parti vivano insieme in assoluta parità...». Utopia? Barghouthi, militante e pacifico, musulmano illuminato, non è né un illuso né un ingenuo. Ma lavora perché l’utopia diventi realtà. QUELLA BAMBINA DOWN
Il regista lituano Eimuntas Nekrosius
La Figlia del silenzio dell’esordiente Kim Edwards (Garzanti) è un altro di quei romanzi «fuori dalle righe» di cui certo si parlerà in Fiera anche se esce solo il 17 maggio. Trattasi di due gemelli separati alla nascita, il maschio sano, la piccola con handicap che il padre rifiuta, fa credere alla moglie sia morta ma che, allevata da una generosa single, tornerà ad incrociare la sua vita con quella della famiglia d’origine. Ispirato a una storia vera nei Sessanta quando i pregiudizi verso i «diversi» erano più forti. E adesso? I tre milioni di copie negli Usa grazie a un fortissimo passaparola, oltre a critiche entusiaste, non rivelano forse, oltre al talento dell’autrice, un grande senso di colpa collettivo? Il 22 maggio all’Istituto dei Ciechi di via Vivaio a Milano si aprirà un dibattito sul «senso della felicità, l’abbandono, l’adozione». Chi può ci vada. O almeno legga. In questo caso oltre che piacere è dovere. Sarà poi anche un affare editoriale, ma per una volta ben venga.
DA NORD A ORIENTE
Da Vilnius a Ramallah. Dalla relativa quiete di oggi in Lituania dopo tante vicissitudini) al dramma palestinese-israeliano. Con un libro d’eccezione (che segnaliamo tra i tantissimi che approderanno alla Fiera proprio per questa sua peculiarità) Restare sulla montagna (nottetempo) di un autore d’eccezione, Mustafa Barghouthi, presente al Lingotto venerdì con Vincenzo Consolo e Lorenzo Cremonesi. Attuale ministro per l’Informazione dell’Autorità Palestinese, candidato nel 2005 alla presidenza, Barghouthi in una conversazione con l’editore francese Eric Hazan che è una altrettanto eccezionale testimonianza della vita in Palestina, racconta la propria esperienza di medico all’ospedale di Gerusalemme sino al momento in cui decide di
PAROLE IN CORSO
SCRIVERE A
LA POSTA DI CARLO FRUTTERO
GIAN LUIGI BECCARIA
SE TUTTO E’ ALLARME
S
correndo, durante la settimana, i titoli dei giornali mi sono convinto sempre più dell'uso «ipereccitato» che oggi facciamo nella nostra lingua. Basta guardare anche ai titoli dei telegiornali. Certo, ciò è dovuto alle cose gravi che accadono nel mondo, guerre, disastri, malattie, maltempo, stragi. Ma sono le modalità dell'annunciarle che si sono evidenziate. Nei mass-media tutto è diventato allarme + x : allarme attentati, allarme kamikaze, allarme terrorismo, allarme ambientale, allarme nucleare, oppure emergenza + x: emergenza inquinamento, emergenza criminalità, emergenza droga, emergenza democratica, ecc. La tendenza è dovuta anche all'intenzione di smuovere chi legge. Come se si volesse spingere il lettore a fare o far fare qualcosa, a trarre delle conseguenze, ad agire. Il che è sempre stata una caratteristica dell'atto del comunicare, che non soltanto dà delle informazioni, ma induce a un'azione. Il parlato e lo scritto difatti possono essere considerati come forma di agire linguistico all'interno di una data situazione comunicativa. Noi rispondiamo molto spesso alle intenzioni, non già alle parole. Ci sono enunciati dotati di sola forza «pragmatica», e sono quelli che fanno in modo che chi ascolta faccia o capisca quello che il parlante vuole da lui, e quindi funzionano soltanto se sono intesi in modo non letterale. Se chiedi «sai l'ora?» non ti si deve rispondere «sì», ma si deve dire l'ora esatta («Sono le quattro e mezzo»). Se rispondi in forma letterale, fallisce l'atto linguistico. Comunque sia, le parole sono una sorta di azione. Provocano o vogliono provocare un effetto, una reazione, esercitare linguisticamente un controllo sulla realtà. Perciò il loro uso che si dice «drogato» o «ipereccitato» entra totalmente nella norma.
BLOC NOTES IN FIERA GUIDA
LIBRI ANTICHI
FUMETTI
OSPITI STRANIERI
WEB
= La Fiera del libro si svolge al
= Tre giorni dedicati ai libri
= Cade un altro confine. La
= Tra gli ospiti stranieri della
= Per la ventesima edizione
I biglietti e il sito Lingotto dal 10 al 14 maggio. Il 10, il 13 e il 14, apertura dalle 10 alle 22; l’11 e il 12 dalle 10 alle 23. Il biglietto intero costa 8 euro (era fermo a 7 dal 2002), il biglietto ridotto 6 euro (ragazzi tra gli 11 e i 18 anni, studenti universitari, visitatori oltre i 65 anni). Cinque euro il ridotto professionali (editori non espositori, scrittori, insegnanti, bibliotecari, librai, critici, consulenti editoriali). Biglietto ridotto junior: 2,5 euro (3-10 anni e alunni materne e elementari accompagnati dagli insegnanti). Abbonamento per 5 giorni a 19 euro. Ingresso gratuito per insegnanti e professionali il 14 maggio. Il sito è www.fieralibro.it; e-mail
[email protected].
Trenta cataloghi rari antichi&rari, per la prima volta alla Fiera. Da venerdì 11 a domenica 13, trenta antiquari in mostra: da Viglongo (le filologiche edizioni di Salgàri) a Pregliasco, da Gilibert a L’Arengario, da Freddi al Cartiglio, da Colonnese a Gonnelli. In programma, fra l'altro, due incontri. Venerdì 11, spazio autori C, ore 14,30: «Il libro antico, occasione e strumento di indagine» (con Gustavo Mola di Nomaglio e Maria Teresa Reineri). Sabato 12, spazio autori C, ore 10,30, «Come si conserva un libro antico?». Interviene Luciano Fagnola. I due appuntamenti sono a cura dell’Associazione Librai Antiquari Italiani.
Arriva Torino Comics tredicesima edizione di Torino Comic (la sua anima è Vittorio Pavesio) si tiene alla Fiera del Libro. In programma: venerdì 11, spazio autori D, incontro con il fumettista Guy Delisle (interviene Matteo Stefanelli); domenica 13, ore 15, «Dragonero. Presentazione del romanzo fantasy a fumetti» (Sergio Bonelli editore), con Luca Enoch, Giuseppe Matteoni e Stefano Vietti, ore 17 «Demian. Una nuova miniserie a fumetti» (Sergio Bonelli), con Pasquale Ruju, ore 18, premio Pietro Miccia, concorso per giovani autori di fumetti; lunedì 14, ore 14, Guida pratica al collezionismo di fumetti (con Salvatore Taormina).
Wilbur Smith all’Egizio Fiera, il re dei bestseller, alias Wilbur Smith. Lo scrittore sudafricano presenta il suo ultimo romanzo, «Alle fonti del Nilo» (Longanesi), domenica 13 maggio, ore 18,30, Museo Egizio, via Accademia delle Scienze, 6. Intervengono Alessandra Casella e Piero Soira. Dalla Cina arriva Mo Yan, l’autore di «Sorgo rosso». Dal Cile, Antonio Skármeta, l’autore del «Postino di Neruda»; dalla Svezia, Per Olov Enquist; dall’Olanda, Arnon Grunberg; dagli Stati Uniti, Percival Everett; dalla Spagna, Alicia Gimenez Bartlett; dalla Francia, Tahar Ben Jelloun, Laurent Gaudé, Eric-Emanuel Schmitt e Denis Guédj, con i suoi «gialli matematici».
Dossier speciale su lastampa.it della Fiera del Libro, con più di mille incontri, ospiti da tutto il mondo, il sito della Stampa offre ai suoi lettori un Dossier speciale collocato all’interno del canale Cultura&Spettacoli (all’indirizzo www.lastampa.it/dossier/fieralibro2007/) che permetterà agli utenti del Web di vivere online la manifestazione molto da vicino, con il vantaggio della diretta, della multimedialità e dell’interattività. Conterrà, in collegamento con il quotidiano e con Tuttolibri: la mappa e il programma della Fiera con gli appuntamenti giorno per giorno; gallerie di fotografie, contributi video e audio degli autori più prestigiosi, ma anche
video-reportage tra il pubblico e gli stand e i commenti più autorevoli delle grandi firme del giornale, oltre a vari approfondimenti e inchieste; nuove rubriche, come «Il libro del giorno» di Alberto Sinigaglia, che recensirà in esclusiva per il nostro sito le ultime uscite editoriali della rassegna; una serie di «booktrailer», novità assoluta per il nostro Paese, cioè - come per i film al cinema - brevi video di presentazione dei libri di prossima uscita; videoclip girati tra gli stand della Fiera inseguendo un testimonial come Bruno Gambarotta; interventi e contributi di giornalisti e collaboratori Cultura del nostro quotidiano, che per l’occasione si prepara a trasferire la redazione delle pagine dedicate alla rassegna all’interno dello stand della Stampa, che potrete vedere e ascoltare attraverso la webcam.
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Speciale Fiera
Tuttolibri
SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
I confini della letteratura In Occidente è stata spesso e ampiamente comunicativa,
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Quando Ernesto Ferrero, per la Fiera del Libro 2007, ha indicato il «confine» come tema di riflessione, di fatto ci ha invitati tutti a una metariflessione. Il «confine», labile quanto si vuole, minacciato quanto si vuole, ma oggi più che mai, è la letteratura. Certo, un confine eroso e sbocconcellato, che non ci custodisce quasi più, non ci fa sentire più a casa. Qualcuno anzi dice che ormai ci troviamo in una terra di nessuno e di tutti, dove i linguaggi dell'informazione con la loro assoluta potenza hanno snervato e vinto l'intenzione stessa di un'eventuale critica del linguaggio. Alla letteratura si dice addio e si cercano nel passato i prodromi della sua fine o della sua impotenza o deprezzamento («dévalorisation»: William Marx, L'adieu à la littérature, Paris 2006). La letteratura tace nella barbarie onniavvolgente dello spettacolo e dell'illusionismo mediatico (George Steiner, Le silence des livres, Paris 2006). La lettera-
gere il gesto arcaico di leggere letteratura di fronte alla possibilità di contenerne nello sguardo l'insieme ridotto? L'uomo tutto occhi e tutto carne, previsto e disdegnato da Cartesio nella Quinta Meditazione, colui che non sa «concevoir sans imaginer», è l'uomo d'oggi, il «nuovo barbaro» o «uomo meccanico» per Montale, colui che esteriorizza l'interiorità e l'umanità della lettura nella disumanità «interattiva» dello sguardo. Si potrebbe obiettare che se la barbarie vince sulla civiltà, i «mostri» sugli uomini, Elisa su Pamela, cioè se la letteratura è in difficoltà, la colpa è innanzitutto della letteratura. «La littérature perdit tout crédit et tout moyen de traiter la réalité», scrive William Marx nel suo libello; non ce la fa a seguire e sbrogliare le matasse dei dati che una realtà sempre meno reale le sottopone, incalzando di ora in ora, di minuto in minuto. Anzi, la letteratura è così debole e indigente, oggi, che il sistema della comunicazione può permettersi di produrne continue imitazioni e contraffazioni, o addirittura cancellarla e costruire letterature nuove di zecca. Che cosa sono questi innumerevoli libri di cantanti e presentatori (gli stessi che oggi, perlopiù, insegnano nelle università) se non comunicazione al quadrato e di fatto caricature di libri? Anche la comunicazione, come un tempo la letteratura, vuole essere tramandabile, ci sarà una nonna un giorno che racconterà alla nipotina le avventure di Fabio Volo come un tempo raccontava quelle di Barry Lyndon. Una «letteratura» vale l'altra. Il lettore del secondo millennio forse chiuderà un cerchio: l'«uomo che guarda» forse tornerà ad essere «uomo che legge», il gesto della lettu-
La profezia di Montale: fin quando non finirà l’immane male della storia, la pena dell’uomo, la poesia sopravviverà
Questo speciale di Tuttolibri per la Fiera del libro 2007 è stato realizzato in redazione da Nico Orengo, Luciano Genta e Bruno Quaranta, con la cura grafica di Marina Carpini. Le illustrazioni sono di Marco Cazzato (www.marcocazzato.it)
Forse il gesto della lettura (ma lettura di che?) sarà recuperato come ironica sigla consacrante dell'era post-letteraria
tura, semiviva com'è, deve essere salvata per salvare il nostro presente «dai suoi ingannevoli simulacri», scrive più acutamente Giulio Ferroni nel recente, e del tutto in tema, I confini della critica. Sia come sia, questa pochissima e debolissima letteratura che rimane o che deve essere salvata, non è stata mai del tutto forte, nel nostro Occidente. Roland Barthes amava ripetere che per i cinesi fin da principio la lingua della letteratura è stata estetica e la lingua dell'informazione funzionale, mentre qui, in Occidente, abituati come siamo non da oggi a considerare la più ampia comunicatività come un bene assoluto, la letteratura è stata spesso ampiamente comunicativa, ha passato spesso il confine. Così un grande sinologo dilettante, Eugenio Montale, innamoratissimo di Acque d'Autunno di Chuang tze e di quel pescatore di una lirica di Po Chu-i, che getta eter-
namente l'amo nel ruscello e non pesca niente, era nemico giurato di ogni comunicatività in poesia: la poesia, per lui, era innanzitutto un «fantasma sonoro», una «stregoneria» grazie alla quale delle idee ci vengono trasmesse necessariamente «attraverso parole che tuttavia non le esprimono». Una «stregoneria» che sarà «ancora possibile», leggiamo nel celebre discorso del Nobel (E'ancora possibile la poesia?, 1975), a patto che l'uomo non riesca «a liberarsi di tutto, anche della propria coscienza» e non «produca» arte come si producono oggetti di consumo «da usarsi e da buttarsi via in attesa di un nuovo mondo» perfettamente tecnologico. Chiedersi quale sarà il destino della poesia, aggiunge Montale, «è come chiedersi se l'uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte dal primo giorno della Creazione». Dunque la poesia, il «confine» che distingue e «rifiu-
ra (ma lettura di che?) sarà recuperato come ironica sigla consacrante dell'era post-letteraria. Eppure. Eppure la letteratura, quella vera, balbuzie, pietra d'inciampo sul sentiero piano dei linguaggi dei media, non diviene né si corrompe ma sta, insiste il vecchio Montale del Diario del '72. Da invenzione, forse, va trasformandosi in commento, appunti, note, secondo libro scritto nei margini del primo (c'è un'immagine bellissima in Charles Lamb: gli scrittori sono «cormorani da biblioteca»). Oppure, e infine, l'addio alla letteratura è un certo grado della letteratura stessa, e ciò che sembra perduto o in procinto di perdersi sta rientrando da una strettissima e scomodissima porta di servizio. In ogni caso, ci conviene attendere e curare e amare ciò che, obiettivamente, possediamo: una cosa dévalorisée, che non finisce. I miei più cordiali auguri alla Fiera del Libro.
esponendosi al rischio odierno di essere sommersa nell’ipnotica informazione globale
SOLO LA COSCIENZA SALVERA’ LA PAROLA GIORGIO FICARA
INCONTRI IL BUIO IN PAGINA E SULLA TELA Sul «Buio in arte e in letteratura» interverranno sabato 12, sala rossa, ore 19,30, Valerio Magrelli, Paolo Mauri e Nico Orengo. L’incontro muove dal libro di Paolo Mauri, critico letterario e storico della letteratura, appena edito da Einaudi, «Buio», «Quando si accendono le luci tutto ritorna banalmente normale: lo schermo bianco, il cinema ben noto, gli altri spettatori che si guardano intorno, l’uomo dei gelati... Si sente fortemente lo choc del passaggio. I sentimenti turbati si placano, pronti a rimettersi in moto non appena riprende la rappresentazione».
ta con orrore» produzione e comunicazione di massa, è innanzitutto espressione dell'invincibile pena degli uomini, dell'immane male della storia: finirà quando finirà quel male; si perderà nel momento in cui la storia stessa si perderà. Questa profezia di Montale, che riguarda al tempo stesso l'infelicità degli uomini e il permanere - storico - della consolazione, presuppone che la letteratura mantenga per sempre la sua saldezza di argine contro l'informazione. Ma se così non fosse? Se questo fragile mondo di carta e inchiostro si sommergesse una volta per tutte nella grande, ipnotica acqua dell'informazione globale, allora che fare? La stessa domanda, dal punto di vista del lettore, potrebbe essere posta in un altro modo: perché dovrei leggere, io, oggi, Pamela del Richardson e non piuttosto vedere Elisa di Rivombrosa? Perché nel mio mondo, qui e ora, dovrebbe reg-
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SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
che costituisce il loro unico orizzonte. Infatti, come ha spiegato Eric J. Leed nel suo magistrale saggio Terra di nessuno, che costituisce il miglior vaccino disponibile per trattare chi è colpito dalla «sindrome della frontiera da conquistare», i combattenti di quel conflitto, prigionieri nelle opposte trincee, conoscono la frantumazione dell'io e sperimentano come la difesa del «sacro suolo» della patria diventi claustrofobica reclusione in un sottosuolo buio e fangoso dove regna la regressione più brutale e vige il «capovolgimento» più traumatico della normalità. Nel medesi-
Dall’Anabasi al Nobel Ivo Andric che prefigurava il cozzo di nazionalismi e odi etnici dentro e fuori la Jugoslavia di Tito
UN PASSAPORTO PER OGNI CORTINA dover esibire alcun passaporto al posto di confine - fragili autori che cominciano a enfatizzare il ruolo della frontiera come luogo dove si gioca il destino della patria-nazione. Per l'Italia è il tema delle frontiere da ridefinire e spostare in avanti, per inglobare le «terre irredente». L'espressione più raffinata e contraddittoria di queste aspirazioni emerge nel libro di Scipio Slataper, Il mio Carso, dove lo scrittore triestino - pur consapevole della irriducibile diversità fra la propria formazione e gli umori nazionalisti che prendono forma nella redazione fiorentina de la Voce - articola la sua scelta a favore dell'interventismo italiano. Coerente fino all'estremo, Slataper muore, non ancora trentenne, in combattimento sul Podgora alla frontiera tra l'Italia e l'impero austro-ungarico. La generazione dei coetanei europei di Slataper, precipitata in quella «grande guerra» che in nome degli egoismi nazionali vorrebbe muovere frontiere e ridisegnare sovranità, conoscerà la terribile esperienza di essere inchiodata alle trincee, la sguardo fisso non tanto sul nuovo confine da espugnare quanto sulla «terra di nessuno»
INCONTRI IL DIZIONARIO DEI DIRITTI UMANI «Diritti umani» è la grande opera Utet che sarà presentata sabato 12, sala azzurra, ore 17,30. Intervengono, con il direttore della pubblicazione Marcello Flores, Daniela Colombo, Anthony Dworkin, Aryeh Neier, Gianni Riotta e Gustavo Zagrebelsky. «Diritti umani» si compone di un dizionario in due volumi (1500 pagine complessive, un atlante (anch’esso in due volumi, dove s’intrecciano piano tematico e piano storico-geografico, con carte, schemi e statistiche), documenti e letture (un’antologia: letture di taglio filosofico, morale, politico, giuridico), documenti fotografici, due dvd video, un cd-rom intertestuale che raccoglie dizionario e atlante.
Venerdì 11 ore 18,00 Sala Rossa
Sabato 12 ore 15,30 Sala Azzurra
Sabato 12 ore 20,00 Sala Book – Bookstock Village
Domenica 13 ore 11,00 Sala Azzurra
a cura di Editori Laterza
a cura di Editori Laterza e Fiera del Libro
a cura di Fiera del Libro
a cura di Editori Laterza
Un’estate a Teheran di Farian Sabahi
Confini. Finzione/Non-finzione. Scrittori tra narrazione e reportage
Le religioni della politica. Da Mussolini a Bush Lectio magistralis di
Emilio Gentile Introduce
Simonetta Fiori
Confini. Le vespe di Panama. Una riflessione su centro e periferia Lectio magistralis di
Zygmunt Bauman Introduce
Paolo Di Paolo
Ne discute con l’autrice
Cesare Martinetti
Intervengono
Mauro Covacich Massimo Gramellini Francesco Piccolo Coordina
Daria Bignardi
www.laterza.it
Stand L52-M51 • Padiglione 2 • Via Nizza, 280
LATERZA IN FIERA
T O R I N O
Che attorno al tema della frontiera sia da sempre in funzione una fabbrica narrativa, che non conosce né cassa integrazione né dismissioni, è cosa nota. Le pagine che narrano di confini oltrepassati e ridefiniti col sangue corrono nel corso dei secoli: da quelle lontanissime dell'Anabasi di Senofonte al Ponte sulla Drina di Ivo Andric, opera che valse all'autore, nel 1961, il Premio Nobel e che prefigurava il cozzo di nazionalismi e odi etnici operanti dentro e fuori le frontiere della Jugoslavia di Tito. Le frontiere che vengono contese, di generazione in generazione, prendono posto in infiniti racconti e romanzi e ancora di più in saggi, a cominciare dai lavori degli storici, poiché, come ha spiegato Raymond Queneau, in Una storia modello, essendo la storia la scienza dell'infelicità degli uomini, se non vi fossero frontiere vi sarebbe poco da raccontare: i popoli felici non hanno storia. La celebre pagine in cui Pierre Bezuchov, prigioniero dei francesi di Napoleone, intuisce l'assoluta fragilità delle
frontiere stabilite dai potenti e, guardando le stelle che brillano nel cielo di Mosca, occupata e incendiata, si riconosce nel mondo semplice e senza confini del soldato-contadino Platon Karataev, costituisce uno dei vertici della creazione di Tolstoj, ma rappresenta una minuscola particella nell'immenso canovaccio narrativo di Guerra e Pace. A scandire il ritmo dell'opera è l'avanzare e indietreggiare del fronte delle opposte armate, che nel loro spostarsi determinano le esistenze, e l'infelicità, di infinite moltitudini. Sul tema dei confini c'è un aspetto che non sempre viene messo in luce e riguarda l'immagine della frontiera non solo come fabbrica narrativa ma ancora di più come rappresentazione spettacolare: allestimento scenico che mira a mettere in evidenza le opposte sovranità territoriali, le ideologie in contrasto che modellano un determinato spazio. Per procedere a questo allestimento occorre ovviamente creare la giusta dose di pathos: vi provvedono - in quell' Europa di inizio Novecento in cui, come racconta Stefan Zweig ne Il mondo di ieri, è ancora possibile viaggiare senza
Editori
GIORGIO BOATTI
10-14 maggio 2007
una fabbrica narrativa che non conosce né cassa integrazione né dismissioni
Laterza
I confini della geopolitica Oltrepassati e ridefiniti con il sangue nei secoli,
mo spazio - la terra di nessuno appunto - si mescolano combattenti e caduti, in un intreccio che segna l'infrangersi della frontiera tra vivi e morti. Più tardi la natura della frontiera come luogo spettacolare, come palcoscenico drammaticamente efficace nel delineare la portata dello scontro tra opposte sovranità, è riaffermato dal termine «Cortina di ferro» utilizzato in Occidente a partire dal 1946, per designare il confine che separa l'Occidente dai Paesi del blocco comunista. La denominazione viene impiegata per la prima volta da Winston Churchill nel discorso tenuto il 15 marzo 1946 a Fulton (Missouri) che secondo molti storici dà formale inizio alla Guerra Fredda e dunque a un contrasto tra i blocchi che durerà quasi mezzo secolo. Affermando in quella occasione che «da Stettino a Trieste è calata una cortina di ferro» il leader inglese utilizza, e non a caso, un termine prettamente teatrale, poiché nella sua lingua curtain indica la barriera isolante, antincendio, che nei teatri separa il pubblico dal palcoscenico durante l'intervallo dello spettacolo. Non a caso la «cortina di ferro» e tutte le sue trasfigurazioni sul terreno reticolati, campi minati, Muro di Berlino, torrette di sorveglianza - fanno da sfondo alle creazioni delle spy-stories che, correndo lungo la seconda metà del Novecento, rappresentano la sintesi narrativa più efficace e riuscita della Guerra Fredda. In quelli che sono i capolavori di Le Carré il momento centrale della narrazione prende posto sempre lungo i varchi collocati sulla Cortina di ferro che separa i due blocchi. Emblematica, e anticipatrice della dissoluzione che verrà di lì a qualche anno del blocco socialista e degli imponenti apparati di sicurezza a difesa delle sue frontiere, è la scena nella quale Karla, il grande capo dell'intelligence sovietica, l'aria stanca e la tuta stropicciata da operaio, lascia clandestinamente Berlino Est per consegnarsi a George Smiley, l'agente inglese protagonista assoluto delle storie di Le Carré. Il passo di Karla, nota Smiley, è lento, affranto. Tutte le frontiere - non solo la Cortina di ferro - stancano e affaticano.
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Speciale Fiera
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SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
Ciò che nella modernità era vissuto drammaticamente, nella post-modernità è agito in modo ludico e disimpegnato
L’Aldilà nel fondo del nostro inconscio si difende dai tentativi dell'Io di ridurlo al linguaggio discorsivo
AUGUSTO ROMANO
In latino la parola limite, che è la linea che segna un confine, si dice anche modus, che deriva dalla radice indoeuropea med. Si tratta di una radice che designa nozioni molto diverse. Guarire (da med deriva medicus), prendere cura, ma anche meditare, riflettere, misurare (da cui il tedesco messen). Ciò che predomina è appunto la nozione di misura. Misura qui designa moderazione; modestus è colui che osserva la misura, cioè che pone ordine in una situazione disordinata. Ecco perché la radice med regge anche il significato di governare, nel senso di far fronte con mezzi sicuri a un problema preciso (da cui anche: trattare secondo le regole una malattia). In definitiva, med è la regola stabilita, non di giustizia ma di ordine. Per questo si apparenta anche al significato di ius, nel quale del resto è contenuta l'idea di confine (il punto dove finisce il diritto di un individuo e comincia quello di un altro). In questa «scienza dei limiti» confluiscono una pulsione conoscitiva ed una etica e normativa (est modus in rebus), ispirata ad un atteggiamento «apollineo», in cui prevale la spinta civilizzatrice e l'idea che perimetrare, tracciare confini, ricondurre all'ordine siano gesti di per sé salutari. Non c'è dubbio che per certi versi la psicoanalisi cada sotto questa categoria, sia per quanto riguarda la sistemazione teorica dei distretti della psiche, sia per le procedure operative (setting, interpretazione). Tutti sappiamo però che l'analisi non è solo questo: che il setting in certi casi viene sconvolto, che a volte le interpretazioni ammutoliscono, che l'ordine del discorso - l'ordine della vita - deve essere sovvertito. In altre parole, altrettanto importante dei confini e dei limiti è il loro attraversamento, e talvolta la loro rottura. E' questo del resto un tema tipico della modernità e della post-modernità, con la differenza che ciò che nella modernità era vissuto drammaticamente, nella post-modernità è agito in modo ludico e disimpegnato. Per restare nel campo delle scienze umane, basterà ricordare due autori, l'antropologo A. von Gennep e il filosofo e saggista G. Bachelard. Il primo (I riti di passaggio, Bollati Boringhieri) scrive: «Vivere significa disaggregarsi e reintegrarsi di continuo, mutare stato e forma, morire e rinascere; in altre parole, si tratta di agire per poi fermarsi, aspettare e riprendere fiato per poi ricominciare ad agire, ma in modo diverso. Sono sempre nuove le soglie da valicare...». Il secondo (La poetica dello spazio, Dedalo ) ha vigorosamente sottolinea-
I confini della psiche L’analisi è anche attraversamento,
e talvolta rottura, e sovvertimento, dell’ordine della vita
MAI CHIUDERE LA PORTA AL MITO to come la semplice opposizione geometrica tra il fuori e il dentro acquista significati aggressivi, in quanto possiede «l'affilata nettezza della dialettica del sì e del no che decide di tutto». E' così che i limiti diventano barriere. A questa enfatizzazione del conflitto, che contiene in sé un'opzione monistica, Bachelard oppone l'immagine dell'uomo come «essere socchiuso» e della porta come generatrice di una rêverie che si affaccia sul cosmo del socchiuso con le sue esitazioni, tentazioni, desideri... Torniamo ora alla psicoanalisi. Almeno tre sono i punti in cui essa manifesta in modo evidente l'importanza e l'utilità del travalicamento dei confini. Il primo riguarda i rapporti con altre discipline. Sin dalle origini, la psicoanalisi ha mostrato la fecondità de-
a cura di
ALDO GRASSO
Fare storia con la televisione L’immagine come fonte, evento, memoria
INCONTRI CORPO-ANIMA DI PAESE IN CITTA’ Corpo-Anima è fra i sentieri della Fiera, nell’area Bookstock. Giovedì 10, ore 13, «Il paese spensierato e quello no», con Enzo Bianchi e Francesco Piccolo. Venerdì 11, ore 18, Wladimir Kaminer e Giuseppe Culicchia a colloquio su «Berlino, città di frontiera». Domenica 13, ore 12, «Tra Occidente e Islam» con Pietrangelo Buttafuoco e Hamid Ziarati. Lunedì 14, ore 12, incontro con Samuel (Subsonica).
STEVEN LUKES
FRANÇOIS BŒSPFLUG PIERANGELO SEQUERI FRED HALLIDAY
Una visione radicale
La caricatura e il sacro
Il potere pp. 188 - € 16,00
Prefazione di Paolo Mieli
gli scambi con materie quali l'antropologia, la scienza delle religioni, la mitologia, l'iconologia. Basti pensare a Totem e tabu di Freud (Bollati Boringhieri), a La libido - simboli e trasformazioni di Jung (Bollati Boringhieri) o anche, di Jung e Kerenyi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia ( Bollati Boringhieri). Il senso di queste ibridazioni sta nell'esigenza di connettere la psicopatologia alle radici universali della condizione umana, sottraendola allo specialismo medico. Con il che viene indicata un'altra rottura di confini: quella tra normalità e patologia. Questa solidarietà tra psicoanalisi e scienze umane è la spia di quel recupero della dimensione mitologica, che rappresenta il secondo punto di rottura di confini: quello tra scienza e
mito. La psicoanalisi nasce, con Freud, in ambiente positivistico e quindi con ambizioni scientifiche, che ancor oggi qua e là sopravvivono. Ma già con Freud - e proprio con Totem e tabu, che Kerenyi definì come «un sostituto del mito biblico del peccato originale» - l'aspirazione all'oggettività scientifica si lascia persuadere dall' immaginazione mitica. Jung, con maggiore consapevolezza epistemologica rispetto a Freud, ha teorizzato la funzione di questo passaggio: «Che cosa noi siamo per la nostra visione interiore [...]può essere espresso solo con un mito. Il mito è più individuale, rappresenta la vita con più precisione della scienza. La scienza si serve di concetti troppo generali per poter soddisfare alla ricchezza soggettiva della vita singola [...]Nessuna scienza sostituirà mai il mito» (Ricordi sogni riflessioni, Rizzoli). In modo esplicito o implicito la psicoanalisi ha riconosciuto che ogni psicologia presuppone una antropologia, legittimando così non solo lo studio psicologico della mitologia ma anche la psicologia come produttrice di miti. Di conseguenza, non di rado il linguaggio «scientifico» si rivela essere l'involucro che nasconde e insieme fa trasparire il nucleo irrazionale che esso racchiude. Vi è in questo un fecondo ritorno alla psicologia prescientifica, che rappresenta una sorta di filone parallelo a quello degli studi psicologici ispirati alle scienze naturali. Del resto, già von Kleist aveva proposto di suddividere gli uomini in due classi: «quelli che si intendono per mezzo di metafore, e quelli che si intendono per mezzo di formule». Si potrebbe anche aggiungere che la letteratura psicoanalitica, con la sua insistenza sui «casi clinici» e sui sogni, e con le sue temerarie riflessioni teoriche, appartiene alla stessa temperie culturale in cui sono nati i grandi romanzi-saggio del ventesimo secolo (Mann, Broch, Musil...). La terza rottura di confini è quella che la psicoanalisi opera, nella teoria e nella terapia, tra conscio e inconscio. Sia che si ponga, con Freud, il compito di «colonizzare» l'inconscio (Introduzione alla psicoanalisi, Bollati Boringhieri), sia che, con Jung, riaffermi l'esigenza di un costante rinnovamento attraverso ripetuti processi di integrazione di conscio e inconscio (Introduzione alla psicologia analitica, Bollati Boringhieri), la riflessione psicoanalitica ha sempre tenuta aperta una porta su quell' aldilà che dimora nel fondo della nostra psiche e che sempre si difende dai tentativi dell'Io di ridurlo al linguaggio discorsivo.
Islam, ebraismo e cristianesimo a confronto
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VITA E PENSIERO
Pubblicazioni dell’Università Cattolica
☎ 02.7234.2335
www.vitaepensiero.it
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I confini dell’etica Proibito e permesso:
in questo senso un punto di arrivo e al contempo di partenza: non a caso uno stupendo volume - purtroppo mai tradotto in italiano e ormai esaurito anche nell'edizione originale francese: Le droit d'être un homme. Anthologie mondiale de la liberté (Unesco-Lattès 1968, a cura di Jeanne Hersch) - ha potuto raccogliere in occasione del ventesimo anniversario di quella Dichiarazione una ricchissima antologia di testi di ogni epoca, cultura e tipologia - dai codici legislativi alla poesia - a testimonianza di quanto alcuni principi che si sarebbero potuti pensare come figli dell'Occidente ebraico-cristiano siano in realtà da sempre patrimonio dell'intera umanità. E' quanto cerca di mostrare anche André Chouraqui non a caso tra i redattori della Dichiarazione universale - nel suo I dieci comandamenti: i doveri dell'uomo nelle tre religioni di Abramo (Mondadori 2001), affrontando la tematica dal rovescio della medaglia: i doveri che derivano per ciascuno dal suo appartenere all'unica umanità. Ma allora dal baratro dei campi di sterminio si alza una domanda terribile: chi è venuto meno in quell'immane
come cambiano nel fluire della storia
DALLA GENESI SI ARRIVA AI LAGER ENZO BIANCHI
Il discernimento etico attraversa l'intera Bibbia, fin dalle sue prime pagine: nel libro della Genesi l'albero della conoscenza del bene e del male è collocato assieme all'albero della vita al cuore di quel giardino dell'Eden che accoglie e rappresenta gli elementi fondanti la condizione umana. E, non a caso, la possibilità e capacità di scelta è posta in stretta relazione proprio con il concetto di limite e di confine. L'essere umano non accetta il limite - l'esortazione a rispettare un limite è la parola prima di Dio all'umanità: «potrai mangiare di ogni albero, eccetto uno» - e, rifiutando la propria condizione di essere limitato, subisce il «confino», l'espulsione al di là di una frontiera delimitata e invalicabile (cf. Gen 2,16; 3,2.23-24). Ma non è solo la tradizione biblica - e quindi quella ebraica e cristiana - a trasmettere il discrimine fondamentale tra bene e male, ma ogni ambito di pensiero umano, sia esso mitologico, religioso o semplicemente giuridico-legislativo, in ogni epoca e cultura, a qualsiasi latitudine e sotto qualunque regime politico e amministrativo, da quello tribale a quello statuale o sovranazionale. Naturalmente, nel fluire della storia e nel variare degli orizzonti, i confini dell'etica - il proibito e il permesso che dovrebbero rispettivamente mettere in guardia dal dannoso e incoraggiare al benefico - hanno conosciuto e conoscono spostamenti anche significativi, così come prescrizioni e divieti vedono la loro assolutezza assottigliarsi o scomparire a seconda di chi, quando e come compie o omette una determinata azione: così, per esempio, l'uccisione di un altro essere umano viene considerata universalmente un crimine, ma ci sono stati tempi e luoghi in cui poteva essere concepita come atto di culto e, ancora oggi, può di-
ventare una necessità in situazione di legittima difesa, un atto di giustizia nell'esecuzione della pena di morte o addirittura un sacro dovere quando viene compiuta indossando una divisa diversa da quella della vittima. Sempre l'essere umano si è dunque interrogato sul confine tra il bene e il male, cercando di fissare criteri per stabilire il limite tra giusto e ingiusto, tra diritto e sopruso, tra tentazione e ideale. Ma nel secolo da poco concluso questo interrogativo si è fatto lancinante essenzialmente per due ragioni: da un lato la progressiva emancipazione della tecnica dalla scienza e, quindi, dall'etica che abita quest'ultima; d'altro lato l'aver sperimentato nei due conflitti mondiali e nei genocidi che li hanno accompagnati, prece-
Cos’è giusto, cos’è ingiusto? Un interrogativo che nel ‘900 si è fatto lancinante: da un lato la tracotanza della scienza, dall’altro i genocidi
Tutto cominciò quando l’uomo mangiò il frutto vietato da Dio: ma non solo la Bibbia trasmette il discrimine fondamentale tra bene e male duti o seguiti il «male assoluto», l'abisso profondo di malvagità nel quale non ci si sarebbe potuto aspettare che l'uomo precipitasse. Se tutto ciò che è tecnicamente ed economicamente possibile diviene lecito e se nessun freno religioso, filosofico o ideologico trattiene il male che posso infliggere all'altro, allora chi può stabilire un confine invalicabile e come può difenderlo da quanti lo calpestano? Non a caso è proprio dopo la sciagura della seconda guerra mondiale e l'inferno della shoah che uomini di pensiero e di governo hanno avvertito il bisogno improcrastinabile di un soprassalto di umanità che desse consistenza e concretezza a un'etica universale che da qualche secolo si faceva strada all'interno e al di là di ambiti di pensiero diversi. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo proclamata nel 1948 è
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INCONTRI RUINI: TEOLOGIA E CULTURA Lectio magistralis del cardinale Camillo Ruini, venerdì 11, ore 16, sala gialla. Il tema è: «Teologia e cultura. Terre di confine». Intervengono Valter Danna e il cardinale arcivescovo di Torino Severino Poletto. Altri appuntamenti: alle 11, sala blu,
«Editoria e religione. Il nuovo portale Rebeccalibri» (Franco Garelli, Roberto Bava, Simonetta Pillon, Andrea Tenetti, Vittorio Sozzi). Alle 15, sala blu, «Storia della Lituania. Cultura e religione nell’ex Unione Sovietica» (con Franco Cardini, Irena Vaisvilaite e Claudio Carpini). Il 12 maggio, sala blu, ore 21: «Maschio e femmina li creò? La fine della differenza sessuale» (con Chiara Saraceno e Lucetta Scaraffia). Il 13, sala blu, ore 13, «Televisione ed educazione. Amore e sesso in Tv» (con Massimo Bernardini e Giorgio Simonelli).
tragedia, Dio o l'uomo? Sì, non possiamo fare a meno di chiederci, come invitava a fare Primo Levi, «se questo è un uomo», così come nessun credente può eludere la domanda che si è posta esplicitamente anche Benedetto XVI nel corso della sua visita ad Auschwitz: «Dov'era Dio?». E' forse questo l'ambito in cui, seppure come a tentoni, più è avanzata in questi ultimi decenni la riflessione sui confini tra il bene e il male, a cominciare da Il concetto di Dio dopo Auschwitz di Hans Jonas a Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt, non a caso costantemente riediti. Riflessione che, a partire dalle dimensioni cosmiche raggiunte dal male, non può non addentrarsi nella nostra quotidianità per scandagliarvi quella «banalità del male» che ancora la Arendt ha saputo far emergere dagli atti del processo al criminale di guerra Eichmann. Sì, perché nessuno di noi può affermare la propria estraneità assoluta al male che un altro essere umano è stato capace di compiere: gli orrori che sovente ci affrettiamo a definire «inumani», «bestiali» quasi a volerli esorcizzare - sono in realtà alla portata di uomini e donne come noi, sono, per riprendere nuovamente una espressione della Genesi, «accovacciati alla nostra porta». Allora i confini dell'etica sono là dove noi ogni giorno, coscientemente o incoscientemente ma sempre in modo «responsabile», li spostiamo: là dove ciascuno di noi con la propria condotta si erge a loro difesa oppure si rassegna a capitolare.
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I confini della scienza Dopo il senso di colpa dei fisici che idearono la bomba
atomica: ad entrare in scena sono adesso chimici, biologi, genetisti
MA LA FORMULA DELLA VERITA’ NON C’E’ PIERO BIANUCCI
La scienza è un’isola che si espande nell'oceano dell'ignoto. La sua superficie cresce continuamente, ma insieme si allunga la linea della costa, cioè il confine con il mistero. Non basta. Forse l'isola della scienza è un atollo: la sua espansione comporta l’allargamento del mare interno. Cioè l’incertezza sui fondamenti filosofici del sapere. Einstein provocatoriamente si domandava se la Luna esistesse anche quando non la guardiamo e dava per scontata la risposta affermativa. Oggi quel sano realismo appare meno sano. La scienza studia la realtà o i nostri modelli mentali? Dove passa il confine tra realtà e conoscenza? Il tema della Fiera del Libro 2007, visto con la lente della scienza, si offre a molti approcci. Scegliamone sette e partiamo dal più concreto.
Forse l'isola della ricerca è un atollo: a crescere, con la sua espansione, è l'incertezza sui fondamenti filosofici del sapere Confini di mercato. Con 10 milioni di copie, Dal big bang ai buchi neri di Stephen Hawking (Bantam Press 1988, edito in Italia da Rizzoli, ora nella Bur) segna il confine del maggior best seller scientifico. Riflessione e viatico per proseguire la lettura: il libro più venduto spesso è il meno compreso. Confini superati. Thomas Kuhn, filosofo della scienza, ha introdotto la distinzione tra «scienza rivoluzionaria» e «scienza normale». La prima supera i confini acquisiti e instaura paradigmi nuovi spazzando via le concezioni dominanti. E’ successo quando Copernico tolse la Terra dal centro dell'universo o Einstein intuì la teoria della relatività. E’ successo con la meccanica dei quanti e con la doppia elica del Dna. Tra le fasi rivoluzionarie si inseriscono ricerche di «scienza normale» entro il paradigma comunemente accettato, fino a quando affiora qualche punto debole che porta alla crisi e apre la via al paradigma successivo. Il libro-cardine di Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, risale al 1962. In Italia ar-
riva con Einaudi 17 anni dopo. Ancora oggi è una bussola per orientarsi nella storia della scienza. Confini come limite. Solo una scienza ingenua può aspirare alla Verità (a parte la matematica, che però si muove tra concetti da essa stessa creati, in un mondo tutto suo). Nel metodo scientifico - osservazione, ipotesi, esperimento - l’obiettivo non è la Verità ma la verificabilità. La corrente filosofica dell'empirismo logico distingue poi tra verificabilità forte, capace di asserzioni universali, e verificabilità debole, riferita a fatti empirici ma tale da consentire la previsione di altri fenomeni. Anche questo criterio però è sembrato troppo muscolare a Karl Popper, che al principio di verificabilità ha sostituito il principio di falsificazione: una tesi scientifica è tale solo se si può provare che è falsa. In sostanza, è impossibile arrivare a conclusioni di valore universale partendo da un numero finito - per quanto grande - di conferme particolari, mentre una sola smentita è sufficiente a dimostrarne la falsità. La logica della scoperta scientifica, testo base del pensiero di Popper, portato in Italia dall'editore Einaudi, risale al 1934. Lo stesso anno in cui il matematico Bruno de Finetti lavora al saggio L'invenzione della verità, sorprendente inedito pubblicato pochi mesi fa da Raffaello Cortina con una introduzione di Giulio Giorello. Da allora la filosofia della scienza ha fatto molta strada. Ma non è detto che sia andata più lontano.
INCONTRI IN BILICO FRA MICRO E MACRO Dei confini micro/macro discuteranno sabato 12 maggio, ore 11,30 alla Fiera del Libro l'astrofisico Franco Pacini (Università di Firenze) e i fisici teorici Sergio Fantoni, direttore della Scuola Internazionale Studi Superiori Avanzati di Trieste e Pietro Fré (Università del Piemonte Orientale). Un’ora prima, l’astrofisico Amedeo Balbi presenterà «La musica del big bang» (ed. Springer): nello scenario delle origini micro e macro coincidono.
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Confini raggiunti. Pur con tutta la cautela di Kuhn e di Popper, la scienza vanta una lunga serie di confini raggiunti. Galilei e Keplero hanno integrato Copernico, Newton ha dato pilastri matematici alla visione copernicana, Einstein ha incluso la concezione di Newton come un caso particolare nella teoria della relatività. Su un altro fronte, Darwin ha fondato l'evoluzione biologica: integrazioni e precisazioni venute in tempi recenti non fanno che rendere ancora più potente l'intuizione del grande naturalista inglese. Rimangono dunque da leggere capolavori del pensiero (e spesso anche della scrittura) come il Dialogo dei massimi sistemi di Galilei, L'origine delle specie di Darwin e l'esposizione divulgativa della relatività scritta dallo stesso Einstein. Confini cancellati. Fisica nucleare e cosmologia hanno abolito il confine tra estremamente piccolo ed estremamente grande. Non si può capire l'universo - la sua nascita, l'espansione, il destino finale - senza capire le particelle elementari. Per convincersene basta leggere La musica del Big Bang di Amedeo Balbi, appena uscito da Springer. Balbi ha lavorato a Berke-
Da Galilei a Keplero, da Copernico a Newton, da Darwin a Einstein, una lunga storia di mete raggiunte e superate ley con George Smoot (Nobel 2006) e prepara la missione spaziale europea «Planck» che darà gli ultimi ritocchi al quadro delle origini cosmiche. Confini dell'ignoto. L'universo osservato è solo il 5 per cento di ciò che esiste: da pochi anni gli scienziati sanno che il resto è formato da materia ed energia oscure. L’ultima sfida è comprenderne la natura. Siamo sulla battigia dell'isola, sull’attuale confine dell'ignoto. Ce lo spiegano tre libri affascinanti: L'universo strano di Tom Siegfried (Dedalo), La teoria del quasi tutto di Robert Oerter (Codice) e Oltre l'apparenza del mondo di Stephen Webb (Bollati Boringhieri). Confini etici. Prima la fisica, poi la chimica e la biologia hanno messo gli scienziati di fronte a responsabilità enormi. Distruggere la Terra e manipolare la vita oggi sono cose a portata di mano. La frontiera dell'etica incrocia quella della conoscenza. Sarà il confronto culturale dei prossimi anni. Molti ricercatori (non tutti) lo sanno. Di Roald Hofmann, premio Nobel per la chimica, l’editore Di Renzo ha appena pubblicato Se si può, si deve?, testo teatrale che discute le responsabilità sociali degli scienziati. E’ la storia di un chimico che si uccide dopo aver appreso che un gruppo di terroristi ha utilizzato una neurotossina di sua invenzione. Nel 1962 Dürrenmatt ci presentava il senso di colpa dei fisici ideatori della bomba atomica. Ora entrano in scena chimici, biologi, genetisti. I confini tra etica e scienza sono i più mobili.
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I confini della visione La novità del secolo scorso proviene dalla Gestalt, compresa
la risoluzione di un problema senza ricorrere al procedimento «per prove ed errori»
DAL RINASCIMENTO ALLO SPAZIO STELLARE MARCO BELPOLITI
Due linee di confine attraversano lo spazio definito dalle arti visive e dalle scienze della visione del Novecento partendo il campo in territori limitrofi e tuttavia contrapposti, definendo nel contempo regioni e province, zone immaginarie, eppure esistenti, in cui il lettore curioso può navigare anche in assenza di vento, usufruendo della manovra di bolina, così da zigzagare, muovendosi in diagonale. La prima si diparte dal figlio di una illustre casata di banchieri tedeschi, i Warburg, e taglia l'intero campo dello scibile mediante un atlante visionario e una corposa biblioteca.
La cultura visiva occidentale letta da Warburg oscillando tra emozione e razionalità Nato ad Amburgo nel 1866, Aby Warburg è insieme un uomo del passato e del futuro, eclettico e assai poco conformista, studioso di storia dell'arte, uomo ricchissimo che rinuncia alla primogenitura in favore del fratello minore in cambio di un assegno in bianco per comprare libri. Approdato in Italia per studiare l'arte fiorentina, incontra, prima nei trattati di pittura, poi negli affreschi e nelle tavole dipinte, il motivo della Ninfa danzante cui dedica i suoi studi successivi. La giovinetta avvolta da sottili veli, intravista da Aby, migra dai quadri del Quattrocento ai francobolli del XX secolo, e si trasforma in giocatrice di golf confermando la sopravvivenza degli antichi miti
dentro la modernità. Warburg elabora il concetto davvero rivoluzionario - rivoluzione inavvertita - di pathosformen, ovvero le forme attraverso cui si esprimono le emozioni umane studiate attraverso la gestualità del corpo. L'intera cultura visiva occidentale viene letta attraverso l'oscillazione continua tra due poli opposti: emozione e razionalità, eccitazione e contemplazione, già individuata da Nietzsche e che Warburg applica non solo all'arte rinascimentale, ma attraverso il suo atlante della memoria all' intero patrimonio visivo della cultura occidentale. Il modo con cui Warburg vive l'arte e il suo studio è così intenso e profondo che nel 1920, anche in seguito allo choc della Prima guerra mondiale, egli viene ricoverato in una clinica per malattie nervose diretta da Ludwig Binswanger da cui esce tre anni dopo grazie a una conferenza dedicata agli indiani Pueblo, Il rituale del serpente, in cui motivi antichi si mescolano alla cultura dei nativi americani. I testi di Warburg sono pubblicati in riviste specialistiche e raccolti in un libro, La rinascita del paganesimo antico e altri scritti (1989-1914) (Nino Aragno Editore 2004), solo dopo la sua morte, tuttavia, l'influsso che ha esercitato nella cultura visiva europea è eccezionale e questo grazie alla sua condizione di pensatore di frontiera, in continuo transito da una zona all'altra. Per Warburg ogni conoscenza è soggettivamente vissuta. La «scienza senza nome» fondata dal figlio del banchiere tedesco, morto nel 1929, si chiama iconologia ed è diventata, grazie ai suoi allievi - Panofsky, Saxl, Wind, Gombrich - una delle discipline più insegnate nelle università americane, passando da
INCONTRI I VOLTI NELL’ ARTE «Da Leonardo a Basquiat». Ovvero «tutti i volti dell’arte». E’ il viaggio nei ritratti compiuto da Flavio Caroli con Lodovico Festa in un libro appena uscito da Mondadori. Lo stesso Caroli, ordinario di Storia dell’Arte moderna a Milano, sia all’Università sia al Politecnico, terrà sul tema una conversazione giovedì 10 maggio, ore 11,30, sala gialla. Sui confini del bello e del brutto, domenica 13, ore 18, sala dei Cinquecento, lectio magistralis di Vittorio Sgarbi.
una visione innovativa, anzi, decisamente visionaria, a una scienza più normativa. La linea di confine di Aby Warburg congiunge i territori della filosofia e dell'arte, pesca nell'eredità culturale tedesca (Freud, Jung, il positivismo) e raggiunge anche quelli dell'inconscio. Un altro innovatore, ebreo anche lui, Walter Benjamin, in un saggio famoso, dedicato alla fotografia, Breve storia della fotografia (1931) (in Opere complete, vol. IV, Einaudi 2002), scritto dopo l'avvento delle avanguardie artistiche del Novecento, spiega la differenza che corre tra l'occhio umano e la fotografia, la loro differente natura. Benjamin conia una formula geniale il cui effetto culturale non è ancora cessato: inconscio ottico («La foto-
grafia gli rivela questo inconscio ottico, così come la psicoanalisi fa con l'inconscio istintivo»). Benjamin pratica la medesima «iconologia dell'intervallo» di Warburg e ne percorre la stessa zona di confine. L'altra linea di demarcazione della cultura visiva dell'ultimo secolo è rappresentato da una serie differente di ricerche nate nel medesimo paese, la Germania, e culminate come l'iconologia in America - il Nuovo Mondo come destino inesorabile del Vecchio. La psicologia della forma, la Gestaltpsycologie, nasce intorno al 1912 e discende da Kant e da Brentano, ma anche da Husserl, il filosofo che ha descritto una delle aree più importanti del visivo contemporaneo, la fenomenologia (Sartre, Merleau-Ponty e i suoi allievi).
PRIULI & VERLUCCA Fiera Internazionale del Libro 10-14 maggio 2007 Torino Lingotto Fiere Pad 2 Stand K52
Lunedì 14 maggio ore 17 Caffè letterario incontro con
Giuseppe Saglio e Cinzia Zola intervengono
Annibale Salsa
presidente del Club Alpino Italiano
Enrico Camanni
giornalista, scrittore, alpinista, dir. de L’ALPE
Alessandro Gogna
alpinista, scrittore e fotografo
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I nomi sono quelli di Koffa, Köhler e Wertheimer. Tutto quello che di nuovo c'è nel campo della percezione visiva nell'ultimo secolo proviene dagli studiosi della Gestalt, compresa la nozione di insight, ovvero la risoluzione di un problema pratico e teorico senza ricorrere al procedimento «per prove ed errori», ma ristrutturando, spesso grazie a una illuminazione, l'intero campo percettivo e mentale. Per quanto la Gestalt si sia sclerotizzata negli ultimi cinquant'anni, diventando sovente una dottrina meccanica, tuttavia essa spiega molti dei modi attraverso cui pensiamo lo spazio, vediamo e percepiamo, raccogliamo informazioni e le elaboriamo mentalmente: una conoscenza attraverso l'errore. Questa teoria del «campo psicologico», in apparenza così lontana dal-
Walter Benjamin spiega la differenza tra l'occhio umano e la fotografia, la loro differente natura le posizioni di Warburg, attraversa tuttavia il medesimo campo di lavoro ridefinendolo in modo simmetrico e parallelo. Le due teorie si presentano come sorelle gemelle nel tentativo di esplorare il problema della «forma», sforzo che finisce per ridefinire l'intero scibile umano. L'erede di questa ultima linea di confine, suo geniale innovatore, è il figlio di un ferroviere americano, nato nel 1905 nell'Ohio, ex disegnatore, poi ricercatore e docente: James J. Gibson. Il suo libro più importante, Un approccio ecologico alla percezione visiva, uscito nel 1979 (il Mulino 1999), pochi mesi prima della sua morte, ripensa una dottrina vecchia di un secolo e mezzo in modo originale attraverso la nozione di affordance e quella di layout. Gibson, un eccentrico e spesso incompreso studioso, è un mistico della visione, ma anche il padre delle ricerche percettive applicate a robot e sistemi elettronici. Egli rappresenta l'ultima frontiera d'una attività di pensiero che dalla Primavera del Botticelli arriva sino alle macchine a cui affideremo nel prossimo futuro l'esplorazione visiva e tattile dello spazio stellare.
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I confini delle lingue Già in pieno ‘800 il rifiuto
di far coincidere geografia e letteratura
LA FRONTIERA MOBILE VINCE OGNI BABELE CLAUDIO GORLIER
Il West, o la Frontiera: l’unico grande confine in movimento dei tempi moderni, dall’Oriente americano fino al Pacifico. Così - e sappiamo bene a che prezzo - si completarono gli Stati Uniti. Curiosamente, l’inglese non trovò una parola per definire gli spazi immensi del West, e si dovette ricorrere a un imprestito francese, negli Stati Uniti e in Canada: prairie, prateria. La appropriò anche Melville, in un paragone con il mare in un capitolo di Moby Dick, per decenni equivocato al punto che, nella classica traduzione di Cesare Pavese, il titolo si chiama «Preghiera» (ma nella sua, Ruggero Bianchi ha rimediato: «Prateria»). L’inglese d’America, del resto, provvide fin dagli inizi a coniare termini per così dire in proprio, e i confini degli Stati Uniti divennero una lingua: vicenda singolare, se teniamo presente che classici come Hawthorne pensavano di appartenere al grande territorio della letteratura inglese. I confini linguistici e letterari già in pieno Ottocento rifiutavano di coincidere. Ecco allora che un polacco, di nome Teodor Józef Konrad Korzeniowski, nato in Ucraina nel 1857, si trasferisce dopo lunghi viaggi per mare in Inghilterra, e adottata la nuova lingua diventa uno dei più grandi scrittori dei tempi moderni. Non basta: se da un lato Conrad rinnova profondamente
Conrad rinnova l’inglese innestandovi la sintassi polacca, ma i suoi modelli originari sono francesi l’inglese, innestandovi, a detta degli esperti, la sintassi polacca, i suoi modelli originari sono francesi, in particolare Flaubert, proprio sotto il profilo linguistico. Nello stesso secolo, uno dei maggiori romanzieri francesi adotta uno pseudonimo tedesco, Stendhal, e si proclama, in italiano, «milanese». Sta prendendo corpo il fenomeno che va sotto la definizione di «perdita del centro». In buona sostanza, il baricentro letterario si sposta dall’Europa per toccare nuovi confini. «Io partirò», proclama Stéphane Mallarmé, un professore di inglese radicato a Parigi, nella memorabile Brise marine, e sollecita l’approdo in una «natura esotica». Un viaggio mentale, quello di Mallarmé, ma Baudelaire trascorse una decina di mesi di viaggio «esotici» soggiornando alle Isole Mauritius, abitate da emigrati indiani di lingua francese: un esempio singolare di incrocio di confini. Si tratta proprio della natura in cui si articolano i romanzi di Conrad, o le avventurose fantasie
di Stevenson, a cominciare da L’isola del tesoro. Poi, sempre dall’Inghilterra, sopravviene prepotentemente Rudyard Kipling con la sua India, lui che definì appunto l’Inghilterra il paese straniero prediletto. E i russi? La lingua preferita degli aristocratici è il francese; Turgeniev, per questo motivo ironizzato da Dostoevskij, è imbevuto di francese, ma lo stesso debito dell’autore di Delitto e castigo non appare indifferente. Nel Novecento, il rimbalzo delle lingue madri e la loro fre-
Stendhal pseudonimo tedesco di uno scrittore francese che si proclama, in italiano, milanese quente metamorfosi dilaga. Il colonialismo inglese, francese e ispanico-portoghese produce nuovi confini linguistici e letterari affascinantemente bastardi. Trascuriamo magari il caso del francese del Québec, vera neolingua definita joual, dalla
parola che significa «cavallo», ma pensiamo all’India, ai Caraibi, all’Africa, all’Australia, alla Nuova Zelanda, allo stesso Canada anglofono. Torniamo un attimo alla Russia per estrapolare un caso unico: Vladimir Nabokov nasce a San Pietroburgo nel 1890, emigra in Europa dopo la rivoluzione, e alla fine si trasferisce negli Stati Uniti. Scrive in russo ma, a partire dagli Anni Quaranta, sceglie l’inglese, e tiene a definirsi «scrittore americano». L’autore di Lolita si afferma come uno dei supremi sperimentatori del secolo. In un’intervista gli domandai in che lingua sognasse, e lui esitò un attimo: «In inglese - mi rispose - ma occasionalmente in russo». La reinvenzione dei confini linguistici e letterari va sicuramente giudicata come uno dei fenomeni cruciali del nostro tempo, e rimette in gioco il principio stesso di «lingua madre», sostanziando un dibattito che da qualche anno anima la Fiera del Libro, che opportunamente quest’anno approfondisce le due facce di questa irresistibile
medaglia. A quale territorio appartiene il maori neozelandese Whiti Ihimaera, uno degli ospiti, con il suo peculiare inglese? O l’indiana Bapsi Sidwa, o l’americana Sandra Cisneros, con il suo anglo-ispanico? Ma pensiamo, riprendendo il di-
Sellerio Novità
Andrea Camilleri Le pecore e il pastore Da una nota a piè di pagina, il caso delle dieci monache, Sicilia anni Cinquanta, che si lasciarono morire per salvare il loro vescovo. Camilleri risale agli archivi e dona uno dei suoi indimenticabili affreschi di storia dell’iniquità e della sofferenza.
Alicia Giménez-Bartlett Nido vuoto Nuova avventura per Petra Delicado e il vice Garzón nelle strade di Barcellona: inseguendo una piccola ladra, con l’aiuto di un’altra bambina, scoprono il crimine più vigliacco. Un genio latino per il giallo, tra noir, commedia e genere comico-picaresco.
Budd Schulberg I disincantati «Conosco questo libro dal 1950, quando è uscito negli USA. Da allora, l’ho riletto ogni due anni, forse più spesso. Sono pochi i libri di cui posso dire lo stesso» (Anthony Burgess). Il romanzo sul tramonto della leggenda di Francis Scott Fitzgerald.
Toni Maraini La lettera da Benares Fosco Maraini, lo scrittore, il viaggiatore, l’orientalista: il personaggio, in un romanzo epistolare, fatto di lettere del padre mai spedite e risposte postume della figlia. E si apre l’archivio di una famiglia anglo-siculo-ungherese e un secolo d’Europa.
John Mortimer Nuovi casi per l’avvocato Rumpole Continua la serie dell’avvocato dell’Old Bailey, nata per il teatro e lanciata dalla televisione inglese. Thriller legali, di gusto ironicamente britannico e movimento da commedia, che rappresentano il variegato mondo di un’Alta Corte di Giustizia.
Maj Sjöwall, Per Wahlöö Il poliziotto che ride «Un classico del poliziesco. Gli autori hanno cambiato il genere. E chi scrive polizieschi dopo questi romanzi si ispira a loro in un modo o nell’altro» (Henning Mankell).
Maria Attanasio Il falsario di Caltagirone Il mistero umano di Paolo Ciulla, pittore, bohémienne, corridore di avanguardie, omosessuale, uomo candido; infine famoso falsario, per far del bene ai poveri e vendicarsi della vita beffarda. (Una storia che sarebbe piaciuta a Brancati).
Claudio Strinati Il mestiere dell’artista. Da Giotto a Leonardo Nasce l’artista, tra medioevo e rinascimento; nasce lo stile personale, «l’aria» inconfondibile del pittore che esce dall’anonimato della maniera. Una galleria del genio pittorico.
Giuseppe Zecchini Attila Il re degli Unni, «flagello di Dio» o eroe primigenio di una saga nazionale, in un documentato ritratto del personaggio storico che è insieme un ritratto dell’inquietudine del morente Impero.
Franco Farinelli L’invenzione della terra L’evoluzione della cartografia, dei modi di rappresentare la terra, racconta di un progressivo disincantamento: dal Mondo-Cosmo inseparabile dal suo senso e destino, alla Terra-estensione delle carte geografiche.
Alessandro Barbero Federico il Grande «Un re filosofo, un re illuminista, l’amico di Voltaire, ma anche colui che ha interpretato al peggio gli umori dell’Europa prerivoluzionaria. Una figura contraddittoria è quello che ci vuole per una bella biografia» (Sergio Valzania).
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scorso, all’immenso territorio africano che spazia dalla classicità di Senghor al lampeggiante moderno di Soyinka il quale ha sempre rifiutato ogni risolutiva sudditanza occidentale. L’India del resto è un territorio sconfinato con la sua cultura multili-
INCONTRI LINGUA MADRE VOCE DELL’IRAQ «Lingua Madre», la porta spalancata alle culture extraeuropee, allarga ancora i suoi confini. Saranno a Torino gli scrittori Sandra Cisneros (nata a Chicago da padre messicano e madre chicana); il maori Whiti Himaera (Nuova Zelanda); la vietnamita Monique Truong (la coppia Gertrude Stein-Alice Toklas raccontata dal loro cuoco vietnamita); la cinese Wei Wei, ora a Parigi, che rievoca un’infanzia durante la Rivoluzione culturale. E ancora: il poeta cheyenne Lance Henson (la cultura dei nativi d’America), dalle Isole Mauritius Nathacha Appanah, la rhodesiana Tsitsi Dangarembga, la sudafricana Sindiwe Magona, la camerunense Léonora Miamo, trasferitasi a Parigi. Indiani sono Tarun Tejpal, Bapsi Sidwa, Alka Saraogi, Anosh Irani e Laila Wadja. Dal mondo islamico: Fouad Al-Takarli, patriarca della letteratura irachena; i marocchini Bensalem Himmish e Aldelkader Benali; la siriana Maram el Masri. Isrealiani sono Rina Frank, Alon Altras (insegna nell’Università di Siena). Dalla Russia: Mikhail Shiksin, oggi in Svizzera. Da Los Angeles, il nigeriano Chris Abani. Mentre Alicia Gaspar de Alba è autrice di romanzi-documento sulle stragi di giovani donne alla frontiera tra Messico e Stati Uniti. Dall’Olanda, la somala Ayaan Hirsi Ali, perseguitata per la sceneggiautra del film sulla condizione delle donne nella società islamica «Submission» che costò la vita la regista Theo van Gogh.
gnue, dall’ hindi all’inglese totalmente riposseduto. E’ l’India di Whitman, Passage to India, una pregnante poesia appropriata da E. M. Forster nel titolo del suo ormai classico romanzo. Lo scompaginamento dei confini, la loro reinvenzione, possono acquistare addirittura contorni drammatici. Penso a un altro polacco, uno del Novecento, che conobbi assai bene, Jerzy Kosinski. Nato nel 1933, trasferitosi negli Stati Uniti, prese a scrivere in inglese, con uno stile lineare, opposto al lussureggiante Conrad: penso a L’uccello dipinto. Mi spiegò il suo tormentoso passaggio di confine, tale da portarlo nel 1991 al suicidio. In un mondo riplasmato (odio il termine «globale») le cittadinanze letterarie e linguistiche impongono un costante ripensamento. Quali sono il confine originario o il nuovo
Per Kipling «non c’è né Est né Ovest, né confine né stirpe quando due uomini forti si confrontano» confine di Milan Kundera? Come vedete, il discorso si punteggia di interrogativi, con un capitolo a parte, magari, per Kafka. Ho a portata di mano un paio di risposte. Una si trova in un ampio saggio di Salman Rushdie, pubblicato anche in italiano. L’indiano islamico trapiantato in Inghilterra, come il caraibico V. S. Naipaul che ha cancellato la sua Trinidad - sostiene che scrittori come lui non scrivono l’inglese degli inglesi: «Non possiamo, non vogliamo, e questo ci rende liberi». Ci viene in soccorso, ancora una volta, l’incomparabile Kipling. Andiamo a rileggerci la sua folgorante Ballata dell’Est e dell’Ovest: «Non c’è né Est né Ovest, né confine né stirpe né nascita quando due uomini forti si confrontano, anche se vengono dagli estremi della terra». Nonostante la conflittualità che divampa, è a quel confronto che dobbiamo rivolgerci.
Speciale Fiera
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SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
XI
I confini dei giovani Dalle scolastiche schede di lettura, capaci di azzerare qualsiasi piacere, alle famiglie senza biblioteca: gli ostacoli da rimuovere
SONO I CLASSICI L’ULTIMA ZATTERA GIUSEPPE CULICCHIA
Sorpresa: contrariamente ai luoghi comuni, oggi come oggi i ragazzi in Italia leggono. Perfino più degli adulti. Stando a una ricerca presentata dall'Associazione Editori alla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna, a seconda delle fasce d'età i lettori fino a 15 anni fanno registrare un indice di lettura superiore di 7 o 10 punti rispetto alla media nazionale. E non è poco. Questi dati confermano ancora una volta come si debba diffidare delle generalizzazioni (vedi alla voce bullismo e simili) e dovrebbero semmai farci riflettere su come quei lettori in più si perdano successivamente per strada, fino a incrementare nei casi limite il numero dei contagiati in età matura da quella bruttissima malattia che è l'analfabetismo di ritorno. Non dispongo di dati sui titoli letti dai ragazzi. Ma una più che decennale frequentazione di scuole medie superiori e università in veste di autore invitato o magari addirittura adottato, come nel caso dell'iniziativa «Adotta uno Scrittore» promossa ogni anno dalla Fiera del Libro, mi
Si può partire dall’ultimo bestseller: da Moccia arrivare al Grande Gatsby, da Stephen King a «Delitto e castigo» di Dostoevskij ha permesso innumerevoli volte di stupirmi: perché nelle classi italiane, al contrario di quanto si potrebbe pensare stando ai notiziari televisivi o alle classifiche di vendita, non si legge solo l'ultimo best-seller scritto a uso e consumo dei ragazzi, e non si comprano unicamente i testi che da sempre vengono consigliati con variazioni non di rado minime per le letture più o meno estive, ma ci si imbatte molto più spesso di quanto non si sarebbe portati a credere in veri e propri cultori della vita e delle opere di personaggi come Jean Arthur Rimbaud o Edgar Allan Poe, e in insospettabili divoratori dei romanzi di Dickens. Naturalmente, lo confermano i docenti anche perché in fondo è nell'ordine delle cose (in termini di numeri, in ogni tipo di mercato vince di norma il prodotto medio), si tratta bene o male di eccezioni. Tanto più lodevoli in un'epoca in cui le nuove tecnologie sottraggono, non solo ai giovani ma a tutti noi, sempre più ampi margini di tempo. Se da un lato dunque l'obiettivo che dovremmo darci è prima di tutto quello di non scialacquare quella vera e propria ricchezza che in prospettiva è per il Paese non tanto il celebre «tesoretto» ma il pubblico dei giovani lettori, dall'altro non si deve rinunciare alla speranza di guadagnarne di nuovi: i ragazzi che non leggono o che leggono solo il minimo indispensabile, per cui la lettura costituisce appunto una sorta di confine, una barriera che li separa dai loro interessi. E di sicuro i luoghi in cui intervenire sono due: la famiglia, dove sarebbe bene circolassero più libri, così che anche a un ragazzo poco propenso alla lettura possa capitare anche per caso o per noia di prenderne uno in mano, e la scuola. Personalmente, visti i risultati del Metodo Montessori e dei suoi epigoni e/o derivati, auspico l'adozione del Metodo Mastrocola. O comunque il ritorno all'idea che per ottenere qualsiasi risultato, in qualsiasi ambito, è necessaria una cosa che si chiama disciplina, come postula Bernhard Bueb nel suo pamphlet (Rizzoli). Perché è profondamente vero quello che scrive l'ex preside del collegio di Salem: i giovani alla disciplina hanno diritto. E hanno diritto anche alla fermezza, e alla severità, di modo che poi anche ribellarsi abbia un altro gusto (oggi che i genitori si fanno «le canne» con i figli, e fanno i turni per scarrozzare la prole minorenne in discoteca perché già a 14 anni si rincasa se va bene alle 3 di notte, e a scuola va di moda la
«autogestione concordata»: auguri). Bisogna insomma ripartire dai fondamentali. Non ci si alza da tavola finché tutti non hanno finito di mangiare. Insegnanti e genitori non sono amici. Se non si studia, si viene bocciati e si è costretti a ripetere l'anno. E se si prende un brutto voto, non si torna a scuola la mattina dopo con papà e mamma per lapidare l'insegnante. Quanto ai libri, se da un lato prima o poi bisognerà sgravarli definitivamente dal peso di cose come le famose schede di lettura, capaci di azzerare sul nascere qualsiasi piacere e qualsiasi buona intenzione, dall'altro non si vede perché rinunciare a priori, come oggi avviene in molti casi, a far apprezzare i classici. Intendiamoci: l'ultimo best-seller va benissimo, perché costituisce comunque un utile esercizio di lettura, attività che costa
INCONTRI BOOKSTOCK VILLAGE 0-20 ANNI Bookstock Village è lo spazio della Fiera dedicato ai giovani da zero a vent’anni (i lettori di domani) e alle loro culture. Coincide con il quinto padiglione: 5000 metri quadrati dove si reinventa il fortunato Spazio Ragazzi. In dialogo saranno Enzo Bianchi e Federica Pellegrini (su corpo e anima), Nando Dalla Chiesa e Paolo Sorrentino («La mafia non esiste!»), Luciano Gallino e Luca Mercalli (tra società tecnocratica e mutamenti climatici), Pietrangelo Buttafuoco e Hamid Ziarati (Islam e Occidente). Altri ospiti, altri temi: Darwin Pastorin (il football), Jacopo Jacoboni (l’eterna campagna elettorale), Massimo Gramellini e Alessandro Rosina, fantasista del Torino (sogni e realtà), Piero Bianucci e Francesco Erbani (il futuro che ci aspetta), Bjorn Larsson (verso l’isola del Tesoro).
impegno, e a cui ci si deve abituare. Ma perché non accompagnare i ragazzi nel percorso che si può costruire tra gli amori adolescenziali di Moccia e Il Grande Gastby di Fitzgerald, tra l'ultimo film sui pirati interpretato da Johnny Depp e l'Isola del Tesoro, o tra il tal romanzo di Stephen King e Delitto e castigo di Dostoevskij? Insomma: riprendere in mano i classici, da Omero al '900. Una manifestazione come la Fiera del Libro, è evidente, non può sostituirsi né alla famiglia né alla scuola. Però nell'arco di cinque giorni può cercare di dare degli impulsi, mettere addosso delle curiosità. Per il pubblico cui è destinato «Bookstock» - che la Fiera mi ha affidato - ho immaginato una serie di dialoghi che affrontassero tra gli altri temi come l'incombere dei mutamenti climatici e la relazione tra tecnologia e democrazia, l'uso intelligente delle fonti di energia e la tutela del territorio, l'Italia dei divertimenti di massa e quella che sceglie la dimensione del ritiro spirituale, l'ex campionato di calcio più bello del mondo e l'eterna campagna elettorale, la presenza diffusa dell'illegalità nel Paese e il nostro rapporto con l'Islam, la mancata realizzazione del dettato della Costituzione e gli Anni di Piombo, la condizione di precario e la rincorsa al ruolo di Velina, il lavoro e i sacrifici necessari alla realizzazione dei propri sogni, che si tratti di scrivere o di giocare al pallone, e ancora Berlino come metropoli di confine per eccellenza e il viaggio ai confini della realtà nel mondo dei ricchi che divorano le risorse del pianeta. Senza stendere un elenco di libri e di autori da leggere, perché per questo esistono in commercio eccellenti antologie spesso adottate nelle scuole, ma nella speranza che nei giorni della Fiera del Libro ci sia tra i ragazzi in visita chi voglia fermarsi ad ascoltare, darsi il tempo per riflettere, e poi approfondire attraverso la lettura. Ecco come spero possa funzionare Bookstock, malgrado oggi tutti noi si sia sempre meno abituati ad ascoltare, riflettere e approfondire: adulti compresi, che in quello che fino alla passata edizione si chiamava «Spazio Ragazzi » saranno i benvenuti.
Speciale Fiera
XII
Un’avventura cominciata nel 1988 Venti protagonisti, tra editori e scrittori,
ritrovano nella memoria personaggi, episodi, atmosfere, pagine curiose GUIDO ACCORNERO
MARCELLO BARAGHINI
GIUSEPPE LATERZA
EDOARDO SANGUINETI
ROMILDA BOLLATI
Così ho acceso la candela
Bella, visionaria, eccitante
Urge un panino per Sartori
L’intervista impossibile a Freud
L’avventura un po’ pazza con Giulio
C
on i libri della Scala d’Oro, da ragazzo e da adolescente, grazie ai prestiti di una vicina di casa, passando da Tolstoi a Dostoevskij, da Remarque a T. Mann, nacque il mio amore per la lettura. La proposta per una fiera libraria, di Pezzana, nell’87, fu decisiva. Le indispensabili verifiche che feci con Gianni Merlini, Luciano Mauri, Valentino Bompiani e Giulio Bollati mi resero ragionevole il rischio finanziario che affrontavo per il Salone. Con un certo brivido torno ai momenti in cui sognavo che i libri esposti fossero pari al diametro della Terra e che «la candela accesa» col Salone «non si sarebbe spenta mai». Dopo dieci anni, affiancato da eccellenti collaboratori e responsabili letterari, l’avventura finì per me! Ogni avventura ha le sue storie incredibili e irrinunciabili: la prova contraria non è parte della nostra vita. Con mio piacere, durante un recente convegno, è stato detto che con il SdL si era data una nuova visibilità nazionale culturale a Torino: spero sia così!
B
ella, visionaria ed eccitante la Fiera delle origini, che, mentre faceva toccare con mano ad un popolo di lettori che non esistevano solo Mondadori ed altri grossi editori, consentiva a Stampa Alternativa di battezzare i primi libri «MilleLire», fino ad allora venduti solo sui marciapiedi: fatto sta che il primo giorno li vendemmo tutti quanti. Poi, al Lingotto l’aria è cambiata e la Fiera è diventata bazar di cineserie, gelateria, rifugio per cattivi editori a pagamento e passerella per chi ha già scalato classifiche, salotti e talk show. Io personalmente ritorno sul marciapiede che non ho mai abbandonato per proporre nuove provocazioni e nuovi sogni ad occhi aperti.
C
hi conosce Giovanni Sartori sa che non è facile impegnare il suo tempo. Eppure quando gli proposi di venire alla Fiera di Torino a presentare il libro di Paolo Sylos Labini Berlusconi e gli anticorpi accettò seduta stante. Il suo aereo deve atterrare a Caselle nel primo pomeriggio, ma la partenza viene ritardata. All’ora dell’incontro la Sala Rossa è gremita e dopo un po’ la gente comincia a spazientirsi. Sylos Labini e David Lane, il giornalista dell’Economist,che coordina il dialogo, sono già seduti sul palco. Sto quasi per annunciare che l’incontro è annullato quando squilla il cellulare. E’ l’inconfondibiletimbro di voce di Sartori: «Sto arrivando, sono stanco e affamato... se non mi dai qualcosa da mangiare, non parlo!». Corro al bar della Fiera e porto il primo panino che trovo a Sartori che se lo mangia seduto fuori dalla sala, in mezzo agli sguardi della gente incuriosita. Quando entriamo si è rinfrancato. Sylos da lontano lo vede, sorride e gli fa un largo saluto, il pubblico esplode in un grande applauso.
N
el 2006 al Lingotto per i 150 anni dalla nascita di Freud. La Bollati Boringhieri che sta ottimamente programmando, per questo suo «autore» di punta, una serie di manifestazioni, mi chiede di organizzare una lettura commentata di passi significativi dell’opera dell’inventore della psicoanalisi. Mi ricordo allora di una «intervista impossibile» che avevo, in anni ormai lontani, realizzato insieme a Paolo Bonacelli il quale interpretava il protagonista e che aveva avuto un certo successo anche editoriale. Decidiamo di riproporla dal vivo. Bonacelli, contentissimo, arriva da Londra apposta per questo appuntamento. Mettiamo su una specie di spettacolino bizzarro e curioso: che sorprende e diverte.
S
ono trascorsi quasi vent’anni. Eppure ricordo come se fosse ieri l’emozione del momento in cui Giulio e io ci siamo trattenutidavanti allo stand della casa editrice Bollati Boringhieri che era nata esattamente un anno prima (il 20 maggio 1987). In quel momento tutti e due abbiamo pensato all’avventurastraordinaria e al contempo un po’ pazza in cui ci eravamo lanciati. Ne abbiamo sorriso consapevoli entrambi - pur da due diversi punti d’osservazione- che era un passo da fare, un viaggio che avrebbe riservato attimi faticosi ma anche esperienze uniche e arricchenti. La Fiera del libro è legata anche un ricordo per me tristissimo, alla morte di mio fratello Giulio, otto anni dopo. La sera precedente la sua morte ero infatti al Lingotto dove mi aveva pregato di sostituirlo in una cena con Rossana Rossanda, Marco Revelli ed altri amici. Il dolore fu fortissimo e il ricordo lo riacutizza, lo lenisce solo la consapevolezzache il nostro viaggio nel mondo dell’editoria è sempre stato come lui lo voleva: libero e indipendente.
Ricordi quella
Fiera... ANGELO PEZZANA
SERGIO FANUCCI
DACIA MARAINI
ALBERTO CASTELVECCHI
ROSARIA CARPINELLI
Quando lanciai la sfida
Astronave, musica e minigonne
La voglia di festeggiare Sofri
Dietro i banchi che flirt
Falcone ucciso a Capaci
D
a una felice intuizione ad un successo che dura da vent’anni, e, cosa rara per Torino, una istituzione che non ha preso il volo per altri lidi. Quando vent’anni fa, spinto e motivato dalla mia professione di libraio, lanciai agli editori italiani la sfida del Salone del Libro, molti erano gli scettici, a Torino poi, dove credevamo di essere, a Milano? Invece tenacia, lavoro duro e fiducia in se stessi, hanno fatto sì che oggi, con il rinnovato nome di Fiera, l’appuntamento torinese sia uno degli avvenimenti culturali più significativi del mondo culturale. Se ci fosse una sfilata per il «Book Day», ebbene, a quella, parteciperei con entusiasmo.
E
ra maggio ‘96, avevo riprodotto la plancia dell’astronave Enterprise in uno stand di 200 mq con tanto di appassionati vestiti da capitano Kirk e compagni. In quell’anno arrivai a vendere 120 mila copie dei romanzi della serie Star Trek, mostrando così l’esistenza di un mercato di nicchia significativo. Attorno all’astronave quattro casse mandavano musica a tutto volume e cinque splendide ragazze in minigonna facevano da cassa, era un modo insolito e originale per vendere libri ma molto efficace e divertente. Fu allora che, in un pomeriggio della Fiera del Libro, Giulio Einaudi riuscì ad avvicinarsi al mio stand e a non capire il mio stile, un po’ blasfemo e stravagante, di fare l’editore. Non mi strinse la mano: rimase a distanza e scosse la testa in segno di diniego. E fu in quel momento e in quel gesto che capii di essere sulla strada giusta e i numeri di oggi, il mio progetto e la stima che ho dal mondo editoriale ne sono un’ulteriore conferma.
O
vunque si festeggiano i libri io sono contenta. Ci sono milioni di feste che propongono cibi e bevande. I libri sono il cibo della mente, senza libri si muore come si muore senza mangiare e senza bere. Io ricordi ne ho tanti: tra i più teneri la presentazione di un libro di Sofri mentre lui era in prigione. Si festeggiava il suo pensiero, di cui ci nutriamo. Ricordo la grande voglia di discutere, di capire, di apprendere dei nostri giovani che affollano con passione commovente le sale della Fiera, che si raccolgono attorno a scrittori più noti e meno noti chiedendo le parole per dire la loro curiosità, la loro indignazione, i loro desideri. Lo scrittore non è migliore o più bravo di altri, ma possiede le parole per dire le cose. Le parole sono mattoni con cui si costruiscono le case, e molti ti chiedono mattoni perché case ce ne sono poche.
Q
uando arrivi ti senti come un maniaco del cioccolato in visita alla fabbrica Willy Wonka. Ti piace tutto, ma anche quest’anno il tempo non ti basterà: per questo la Fiera è come una soap televisiva, solo che invece di una puntata al giorno ne va in onda una all’anno. Amici, nemici, fidanzamenti e divorzi, tradimenti improvvisi, nostalgie (cinque minuti di conversazione con Luciano Mauri valevano per una vita). Torino è anche una scuola di educazione sentimentale, una commedia galante, e il genere letterario più praticato tra le quinte è il flirt. Qui i Don Giovanni conoscono i loro castighi: dieci anni fa mi piaceva da morire una collega, che oggi dirige una casa editrice molto specializzata in cinema. Lei per prendermi in giro mi fa: «Per risparmiare sugli alberghi, noi dormiamo sotto i banchi, allo stand. Vuoi venire più tardi?». Il guaio è che io, svelto come una trota di fiume, abbocco sempre. Vi lascio immaginare gli sghignazzi che si sentivano per tutta la città, quella sera, fino ai Murazzi...
T
ra i primi ricordi, un viaggio di ritorno in treno dal Salone del 1992. E’ il pomeriggio del 23 maggio, lo sguardo perso di un ferroviere, il silenzio oppressivo in corridoio, solo all’arrivo a Milano la terribile notizia: Giovanni Falcone ucciso a Capaci con la moglie e tre uomini della scorta. Resta l’orgoglio di aver pubblicato il suo testamento spirituale, il libro-intervista a Marcelle Padovani, Cose di cosa nostra. E nel 1995 la Sala dei 500 si riempie di gente venuta ad ascoltare Eric Hobsbawm, in occasione dell’uscita del Secolo breve. A discorrere con lui di Destra e Sinistra, Cardini, Scalfari e Beniamino Placido, quell’anno direttore del Salone. In tempi più recenti, maggio 2006, Filippo Timi salta su un tavolo colmo di libri nel piccolo stand d’angolo della Fandango e con il suo monologo getta nel caos il traffico degli inconsapevoli visitatori del Padiglione Uno. La Fiera è anche questo: improvvisazione e genio.
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SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
XIII
Il filo del racconto Da una cena al Lingotto a un’«apparizione», a un certo
modo di tenere in mano il libro nelle testimonianze raccolte da Mirella Appiotti CARLO FRUTTERO
ROBERTO CALASSO
INGE FELTRINELLI
ROSELLINA ARCHINTO
ALBERTO ARBASINO
Mi tolgo il cilindro dati i tempi
Natalia, frivola e divertita
L’Avvocato, Spadolini e gli azionisti
Gli epistolari nello stand di marmo
Sotto la Mole le mie piccole vacanze
N
on c’è forse parola che più di «Fiera» strida se messa accanto alla parola «libro», che chiama a sé raccoglimento, solitudine, silenzio. Eppure una volta dentro lo sterminato labirinto, qui sospesa cattedrale, là curva calcistica, a me viene naturale immaginare tutti quegli espositori in tricorno e codino, arrivati qui dritti dalle fiere tedesche e olandesi del Settecento, quando i libri erano ancora pochi, costavano molto, e tuttavia cominciavano a «fare mercato», scendendo allegramente tra le cipolle, le pere, i cavolfiori. E i clienti, in parrucca e spadino, credevano fermamente che col tempo, con la diffusione crescente e ormai inarrestabile di quelle pagine, le cose nel mondo sarebbero andate meglio. Non fu così, come ben sappiamo. Ma passando tra i miei compagni di viaggio nei secoli, non ce n’è uno davanti al quale non mi tolga il tricorno, o il cilindro, o la bombetta, o il borsalino. Non si poteva fare di più, dati i tempi, dati gli uomini.
A
ll’inizio c’era un’aria di grande curiosità, come se un Salone del Libro fosse di per sé qualcosa di alquanto esotico. Tanto più a Torino… E anche un tono di vaga e irragionevole euforia. Ricordo Natalia Ginzburg, insolitamentefrivola e divertita, che lottava vanamente con la portiera di una macchina e spiegava che lei non era adatta per capire certe cose, mentre ci avviavamo al ricevimento di apertura del Salone, fra i nobili e possenti alberi dei giardini di Palazzo Reale. E poi Brodskij che leggeva troppo rapidamente, con un passo febbrile e trascinante, al Teatro Regio. E approfittava di ogni pretesto per cogliere il fascino architettonico di Torino, con la sua squadratura militare. E l’apparizione di Padre Pozzi, che con la sua sola presenza bastava a disarmare ogni banalità. E James Hillman, Wendy Doniger, Cesare Garboli… E poi tante fisionomie ignote, in giro per gli stand, di persone che si rallegravano nel trovare un libro che cercavano da anni o di cui non sapevano nulla… E poi…
U
n episodio per me indimenticabile al primo Salone nell’87. La sera della vigilia, quando, come in tutte le mostre, si è ancora nel caos. Vedo spuntare due personaggi eccezionali, Agnelli e Spadolini: quest’ultimo ha appena ricevuto la copia staffetta di La storia del Partito d’Azione di Giovanni De Luna, ristampato da noi. Ne parliamo, poi loro se ne vanno. L’indomani aprendo La Stampa vedo già e con enorme sorpresa l’articolo del futuro presidente del Senato su questo importante saggio. «Ma come ha fatto Spadolini a scriverlo in così poche ore?», mi chiedo. «Gente come noi si sveglia presto, alle sei siamo già in giro», mi spiegherà l’Avvocato. Incontri come questi ne ho avuti moltissimi, in vent’anni. E li avremo anche tra pochi giorni, nel nostro nuovo stand (che non assomiglierà più a un «pollaio»!)
A
nch’io non posso non ritornare all’87. Era appena nata la mia rivista Leggere di cui ero molto fiera e solo da un anno, dopo aver dedicato la mia casa editrice esclusivamente ai libri per i bambini, avevo varato gli «Epistolari». Per me era l’inizio di una nuova vita, un periodo entusiasmante. Al Salone, non ancora al Lingotto, mi fu assegnato uno stand tutto di marmo, bellissimo dove, ad un certo punto, anch’io ho ricevuto la visita di Spadolini con Gianni Agnelli. Guardavano libri e rivista, commentavano, sembravano stupiti. Conservo ancora le foto di quell’incontro, mi si vede con una faccetta felice...
D
a mezzo secolo Torino e Libri sono per me inseparabili. Correva infatti il 1957, quando i migliori patroni - Pietrino Bianchi , Roberto Longhi e Anna Banti, Mario Pannunzio, Paolo Milano, e altri - giudicarono:è l’ora di fare un libro. Dunque Einaudi; e Calvino come editor. Un pacco di racconti, in gran parte inediti, sulla fine del dopoguerra.E lui: «Lo so che a un giovane autore piange il cuore per ogni esclusione.Ma il libro d’esordio dev’essere breve, sennò non ti leggono e non ti recensiscono.Poi però t’aspettano al varco del secondo libro, dove non hai potuto più mettere tutta la tua vita. Ma tu non preoccuparti:il secondo è già qui, negli altri racconti. Non si butta via niente». Ecco dunque Le piccole vacanze, apparse nei «Coralli» perché Italo disse: «Questo ha già ventisette anni, non si può mettere in una collana di giovani debuttanti».E nessuno rise. Più tardi, sempre da Einaudi, incominciòun vero sodalizio con Elena De Angeli, editor mirabile. Il mio più bel giro al Salone torinese fu fatto con lei.
PAOLO REPETTI
GIAN ARTURO FERRARI
GIULIANO VIGINI
GINEVRA BOMPIANI
ROBERTA EINAUDI
Letture impervie, immagino
Cercava un’aria di Langhe
L’ismo trovato in Alice
Come tricicli sperduti
Lo zio non amava i noiosi
E’
il mio primo Salone del libro, sono editor di Theoria ma con mansioni anche da fattorino: il mio compito è allestire lo stand. Arrivo un po’ tardi ma ci danno tempo fino a mezzanotte. Niente colla e chiodi, niente istruzioni, Ikea non c’è ancora. Devo solo assemblare dei cubi di gomma nera. Fatico fino a tarda notte e vado via convinto di aver fatto un buon lavoro, ma con un leggero senso di claustrofobia.Il giorno dopo arrivo allo stand prestissimo per mettere in mostra i nostri libri, classici di storia della scienza e romanzi gotici con le bellissime prefazionidi Malcolm Skey. Però c’è qualcosa che non va. I libri possono essere osservati e sfogliati solo da giocatori di pallacanestro alti non meno di due metri. Mi accorgo di aver allestito lo stand in verticale invece che in orizzontale, in effetti assomiglia a un bunker. Mentre me ne sto lì preso dallo sconfortosi avvicina quel meraviglioso gentlemen dell’editoriache si chiama Paolo Boringhieri, e mi dice con tono educato: «Bello stand, letture impervie, immagino».
M
i disse che mi aveva visto a una trasmissione televisiva. Pensai che si trattasse di un manoscritto: poesie o una narrazione lirica della propria adolescenza. Aveva un fisico fuori moda, era un po’ grossa, come la protagonista di Happy Days di Beckett. Invece no, cercava un libro. Sapeva l’autore, uno sconosciuto, e il titolo in cui c’entravano le colline, un’aria di Langhe e Pavese minore. Ma non sapeva l’editore. Le dissi che mi spiaceva, ma... eccetera.. Insistette. Cercai uno stand dove ci fosse un Catalogo dei libri in commercio. Ma nel Catalogo non c’era né l’autore né il titolo. «Ma qui dentro inquisì - quanti libri ci sono?». Dissi che non lo sapevo di preciso. «Ma in tutto continuò - quanti libri ci sono?». Già più sul sicuro spiegai la differenza tra in commercio e fuori commercio, tra le varie lingue, per poi aprire la vertiginosa prospettiva di tutti i libri mai esistiti. Era delusa e rassegnata. «Ah - disse - e io che credevo che qui ci fossero tutti i libri del mondo...».
D
i primo acchito mi viene in mente un signore - sarà stato una quindicina d’anni fa - venuto al nostro stand per cercare disperatamente un saggio di cui sapeva l’argomento ma di cui aveva solo una vaghissima idea del titolo (si ricordava solo che conteneva qualcosa di simile a «ismo» e non sapeva altro). Cercando in «Alice» - il servizio d’informazione elettronica su tutti i libri in commercio che allora veniva svolto per conto del Salone -, eravamo riusciti a trovargli quello che cercava. Mi pare di ricordare che fosse un libro che aveva direttamente o indirettamente a che fare con il costruttivismo. È stata una bella soddisfazione. Per lui e per noi.
C
redo di essere andata al Salone di Torino nell’87, l’anno dell’apertura. Avevo passato sei mesi a Parigi e, tornando in Italia, raggiunsi là mio padre. Mi ricordo di aver attraversato caracollando l’unica sala piena di grandi editori (era lui che caracollava, io gli andavo dietro). Ci sono tornata nel 2003, il primo salone da quando era nata nottetempo. Ci siamo iscritti all’ultimo, perché qualcuno ci ha detto che era imperdibile, e ci siamo trovati come tricicli sperduti in un parco di Ferrari. L’impressione di inadeguatezza è stata molto forte, quasi definitiva. E allora sono andata in cerca di altri tricicli, e ne ho trovato uno, insperato: il piccolo valoroso editore di «Sensibili alle foglie». Dietro al suo banchetto c’era Renato Curcio, da solo, con i capelli grigi, i gesti modesti, i libri ospitali. Gli ho lasciato un libro nostro e dopo un po’è arrivato lui con i suoi. Un altro modo di traversare il Salone, non caracollante, piuttosto un piccolo trotto. Dopotutto, ci si poteva anche sentire a casa.
T
ra i miei ricordi più vecchi riguardo alla Fiera del libro, c’è una visita fatta accompagnando mio zio Giulio. Era molto omaggiato mentre passava tra gli stand, ma lui era interessato soprattutto a visitare gli stand più piccoli, di piccoli editori a me sconosciuti, dove si fermava dando subito del tu, interessandosi del lavoro, della grafica, commentando le copertine. Mi ha sempre colpito il suo modo di tenere in mano un libro simile al tocco di un medico o di un ostetrico che visita un neonato. I suoi interlocutori sembravano intimiditi, ma lui li incoraggiava a raccontare, pur non risparmiando critiche, la peggiore delle quali era sentirsi dire «che noioso». Con la sua aria falsamente svagata era attentissimo e curioso di tutto e di tutti. Mi ha sorpreso, ricordo, la domanda fatta a un piccolo editore, di cui non ricordo il nome. «Ma tu sei contento? Tu e i tuoi collaboratori siete felici del lavoro che fate insieme?». La felicità del fare, ecco quello che è importante quando si lavora insieme.
Speciale Fiera
Tuttolibri
SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
XV
La storia Ripercorriamo attraverso Tuttolibri origini, protagonisti e percorsi del «Salone»
ideato da Accornero & Pezzana, l’iniziativa che ha fatto di Torino la capitale della lettura
VENT’ANNI BEN PORTATI «Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita». Per una volta si può smentire il celebre incipit del romanzo di Paul Nizan Aden Arabia. Quelli della Fiera sono vent’anni ben portati, ripercorsi in una mini antologia, avendo per fonte (quasi) esclusiva gli speciali del nostro supplemento, che l’ha accompagnata fin dalle origini. Di questo ventennio (la parola qui si può “revisionare”) cerchia-
1988 SI COMINCIA E NON SAI QUANTO SIA SEXY
S
i aprì il 19 aprile a Torino Esposizioni il primo Salone del libro, ideato da Guido Accornero e Angelo Pezzana, logo di Armando Testa, vetrina di 500 editori, ospite d’onore il Nobel Brodskij, quattro miliardi di investimento, un successo (insperato) con 100 mila visitatori, biglietto d’ingresso 5000 lire. Così sulle pagine di Tuttolibri lo accolsero Carlo Fruttero e Franco Lucentini: «Questo primo Salone del Libro che sta per aprirsi a Torino ha finito per suggerirci, anzi in un certo senso ci ha imposto, un curioso esperimento struttural-linguistico. Da settimane ne sentivamo parlare un po’ da tutti e un po’ in tutti i modi, non solo a Torino, non solo in Italia; e quei discorsi, quegli accenti, quel lessico, ci ricordavano qualcosa d’altro, vagamente ma insistentemente. Perplessità, eccitazioni, sillogismi, moralismi, pudori, deplorazioni, perorazioni, crudezze che suonavano al nostro orecchio “già sentite”, che ruotavano intorno al problema con movenze colloquiali allusive, elusive, di cui la griglia di riferimento ci restava sulla punta della lingua, come avviene quando si stenta a identificare un’azione mimica sulla scena. «E poi, di colpo, l’illuminazione. Abbiamo provato a sostituire la parola “libro” con la parola “sesso”, e tutto si è chiarito. «“Ma mia cara ragazza, il libro (il sesso) è una cosa importantissima, cruciale, che coinvolge l’intera personalità!”. «“Sa com’è, il lavoro, gl’impegni... alla fine uno non trova mai il tempo per il libro (il sesso), purtroppo”. «“Durante il giorno, per forza, ci sono tante altre cose che mi tengono occupato, ma la sera, anche se sono stanco, il libro (il sesso) per me è una necessità as-so-lu-ta, mi distende, mi rilassa, mi aiuta a dormire”. «“Guardi, se un domani dovessi per ipotesi rinunciare al libro (al sesso), mi sparerei, lo dico seriamente”. «“Non facciamola tanto complicata: il libro (il sesso) è una merce come qualsiasi altra, in definitiva”. «“Per me, non esagero, il libro (il sesso) è una passione totalizzante, è di lì che mi sono sempre venuti gli stimoli, le curiosità, le avventure, le vere soddisfazioni della vita”. «“Sarò cinico, sarò riduttivo, ma il libro (il sesso) è il modo migliore per passare piacevolmente un paio d’ore”. «“Cosa vuole, con l’età il libro (il sesso) diventa un po’ impegnativo, la televisione stanca meno”».
mo di offrire il filo dei temi conduttori, il laboratorio di idee, lasciando alla critica dei topi pettegolezzi, mondanità e polemiche. Il bambino, superate le crisi di crescita, è oggi un robusto giovanotto. Cosa farà da grande? Non è il caso che ingrassi. La sfida sarà sui contenuti, non sulla quantità. Varcare altri confini, avendo presente il senso del limite. La qualità val bene una «crescita zero». Luciano Genta
Il disegno di Claudio Parmiggiani per il nostro speciale in occasione della prima Fiera del Libro, 1988
1989 MERAVIGLIA: RITORNA LA MARCIA DEI 100 MILA
L
a formula ha funzionato: editori, scrittori e lettori gomito a gomito e un fitto programma di mostre e convegni, curato da Adalberto Chiesa. Si replica dal 12 al 18 maggio. Così, su Tuttolibri, Giorgio Calcagno commentò la scommessa vinta: «Chissà se tornerà al Salone del libro, quest’anno, la signora che l’anno scorso cercava I misteri dell’unghia nera. E chissà se ha messo da parte altri denari la bambina che si era presentata con quaranta pezzi da 500 lire
1990 ORMAI STA BENE SULLE RIVE DEL PO
S
alone anno terzo, dal 18 al 22 maggio, grande festa di inaugurazione al Castello di Rivoli con il Nobel spagnolo Cela. Gli editori sono saliti a 800; tra gli invitati stranieri Amado, Derrida, Gadamer, Glucksmann, Hillman, Heller, Savater, Vernant. Alla guida sempre Accornero, che dichiara, in un’intervista ad Alberto Papuzzi: «La prima edizione era una sfida, la seconda ha confermato la bontà dell’idea. Con la terza edizione si avvia un consolidamento». Scrive alla vigilia Nico Orengo, su La Stampa: «Da domani apre la più grande libreria d’Italia. Anzi: la libreria Italia. Apre senza polemiche, in un clima sereno. Ormai sono gli editori a volerla. E non c’è più quel “desiderio rivendicativo” dell’editoria milanese a portarla sotto la Madonnina o Canale 5. Ormai sono tutti d’accordo, sta bene a Torino, sulle rive del Po [...] Il pericolo di una crisi d’identità sembra dunque fugato. Ma un rovello ancora turba le notti degli organizzatori e gli appassionati del perfezionismo sabaudo. E’ quello che va sotto il titolo di “tema portante”. Nato come motivo conduttore del Salone, come invito agli editori per appoggiarci altre iniziative, è finito per essere trascurato, come lo fu l’anno scorso il rapporto fra “libro e cinema”, o in sottofondo quest’anno con la musica. Dalle iniziative dei singoli editori s’è capito che ognuno vuol crearsi il proprio “tema”, la propria “cassa di risonanza”.» Fra gli stand, tre sole piccole lamentele: «temperatura da sauna, servizi igienici sgarruppati, pochi telefoni pubblici, spesso muti».
per regalare un libro alla nonna. La gente che non legge ma che potrebbe leggere, che forse ha voglia di leggere, che un giorno o l’altro leggerà è una popolazione clandestina, silenziosa, sfuggente all’identikit: e sicura. «Nessuno sapeva, l’anno scorso, quando si aprirono le porte del Salone, che si era messa in moto, a Torino, una marcia dei centomila. Chi erano? Professionisti, studenti, feticisti dell’edizione rara e divoratrici di romanzi. Ma ci dovevano essere, infiltrati, gli avamposti dei non lettori. Quinte colonne sparse, non spaurite, nel grande alveare gutenberghiano. L’esperienza del libro - novissima cosa - per molti doveva cominciare di lì. [...] «Quanti torneranno, nel nuovo Salone? Le analisi ci dicono che la percentuale di lettura cresce perché crescono i lettori giovani. Passano direttamente dalla scuola alla società dell’informazione, il libro, per molti, può cominciare a essere un be-
ne di prima necessità. Nel 1988 il 53 per cento dei libri, in Italia, è stato acquistato dal pubblico sotto i 35 anni, che corrisponde a poco più di un terzo della popolazione adulta. La fascia di età sopra i 55 anni, che rappresenta il 30 per cento della popolazione, ha più tempo e più denaro, ne ha acquistato appena il 15 per cento. «E’ lì, fra quei ragazzi che crescono, il serbatoio per i lettori di domani. Ma è anche lì che si decide la sorte del libro. [...] «Il Salone, l’anno scorso, ha portato alla ribalta i piccoli editori, che vendevano i libri dimenticati dai grandi, e rispondevano alle curiosità del nuovo pubblico. Era un incontro fra il lettore ignorato e il libro nascosto, che finalmente avevano la possibilità di trovarsi. Quando questi lettori saranno venuti alla luce, potranno cambiare radicalmente la carta geografica della nostra cultura. Qualcuno, là dove si decidono i titoli e le tirature, dovrà pur tenerne conto».
PREMIO DI CULTURA “FRONTINO MONTEFELTRO” - Fondato da Carlo Bo nel 1981 XXVI Edizione 2007 È bandito per le sezioni: Narrativa (Euro 5.000) Saggistica Ambientale (Euro 2.500) Cultura Marchigiana (Euro 2.500) Le opere, edite in volume, devono pervenire al Comune di Frontino (PU), CAP 61021 entro il 31 maggio 2007. Tel. 0722.71131-71135
[email protected]. La Giuria è presieduta dal Rettore dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
XVI
Speciale Fiera La storia Dopo 4 edizioni il passaggio da Torino Esposizioni alla fabbrica del Lingotto,
con «genio e regolatezza», e finalmente si intravede il traguardo di una Fondazione
1991 UMORISMO IN VETRINA E CONSIGLI DI BARICCO
P
er il quarto anno a Torino Esposizioni, dal 16 al 20 maggio, 840 editori, nuovo consulente culturale «il giovane Alessandro Baricco», star ospite Vargas Llosa. Così in un’intervista a Tuttolibri il presidente Accornero riassume il cammino percorso: «Nell’88 c’erano l’entusiasmo e l’ansia del debutto, avevamo tutto da scoprire, è stata la sagra dell’improvvisazione, ma anche un successo insperato, con 100 mila visitatori. L’anno dopo abbiamo commesso un gravissimo errore, la psicosi del record: ci siamo ingranditi e dispersi troppo, a scapito della qualità. Già l’anno scorso è iniziata la svolta: proposte selettive, meno dibattiti e conve-
I
l Salone compie cinque anni e cambia casa: da Torino Esposizioni al Lingotto, in via Nizza 294, porte aperte dal 21 al 26 maggio. «La nuova sede - scrivevamo su Tuttolibri - ha il fascino del Monumento, archeologia industriale (“maestosità e euritmia” dicono i manuali di architettura) e preistoria della lotta di classe (roccaforte operaia, organismo regolato da macchine e lancette, etica austera quanto feroce, nelle pagine di Gobetti e Gramsci, in quel lontano ‘23). Richiamerà i 100 mila visitatori che per 4 anni hanno affollato Torino Esposizioni, sulle rive del Po,
FIERA INTERNAZIONALE DEL LIBRO Lingotto Fiere • Padiglione 2 • Stand J32-K31 10 • 14 maggio 2007
L’ALLEGRIA DI PLACIDO, L’AUSTERITÀ DI BILANCIO
OMAGGIO AL CINEMA CHE COMPIE UN SECOLO
tra il verde del Valentino?». Accornero ci scommette: «Abbiamo mantenuto la promessa: una sede più ampia e ospitale, con parcheggi e servizi. Il vecchio Salone appariva come un villaggio, con la sua piazza centrale, con gli stands dei grandi editori, e i corsi e le vie laterali per i più piccoli. Il nuovo sarà invece una città policentrica, con tanti quartieri, dove gli editori, grandi e piccoli, si mescoleranno». Così, Oddone Camerana rie-
vocava la vocazione del Lingotto: «Nato 70 anni fa ora brucia le tappe verso il suo nuovo assetto definitivo. Ma il suo destino di luogo di spettacolo in senso lato - mostre, esposizioni, congressi, concerti - non solo è in linea con la vocazione fine secolo e fine millennio di questo nostro mondo di sfogare senza limiti la voglia e la capacità di avere e fare spettacolo. Lo è anche nell’eredità genetica trasmessa attraverso l’architettura di questo edificio in cui è scritto quell’embrione di spettacolarizzare la produzione che fu il suo carattere originario». Non a caso, il tema dell’anno, scelto dal nuovo consulente culturale Sapo Matteucci, è «Il genio e la regolatezza».
l sesto Salone, dal 20 al 25 maggio, si annuncia molto placido. Placido nel significato di tranquillo e un po’ anche dimesso, obbligata scelta di austerità, per tagli al bilancio (un 30%), risparmiando anche su tartine e dolcetti della serata inaugurale. E placido nel senso di Beniamino Placido, neoregista dei dibattiti, che in un’intervista a Mirella Serri, nonostante tutto, lancia come parola d’ordine l’allegria: «Io sono una persona allegra per natura e l’idea che la cultura sia spesso e volentieri concepita come qualcosa di noioso se non addirittura di tetro e di malinconico, mi fa rabbrividire... Il libro non è un dovere ma una bella emozione. Si paga con un po’ di fatica. Ma anche giocare a tennis costa fatica... Leggere dà la carica. Il volume di cui si è appena letta la parola “fine”, anche quando si conclude con il suicidio di Anna Karenina, dà una sferzata di vitalità». Che il clima generale del Paese comunque non sia dei migliori, lo si rileva anche dal commento di Gianni Vattimo: «Il Salone, di cui quest’anno si dice che sia molto più austero e meno rampante, non soffre in realtà solo dell’inerzia di Torino né solo dell’aria di crisi che ha colpito tanti settori dell’economia del Paese; ma anche, anzitutto, della “recessione intellettuale” che si manifesta nel nostro clamoroso disavanzo sia in termini economici, di import-export librario, cinematografico, artistico, sia come vera e propria mancanza di creatività da parte di intellettuali, artisti, saggisti e cultori di scienze umane. [....] Può persino darsi che una certa maggior sobrietà e austerità del Salone, dopo anni di boom e di vitalità un po’ disordinata, ci faccia capire che quel che conta davvero, nei libri, è la loro intatta e ineguagliata potenza di parlare all’anima, il loro essere, alla lettera, l’ultima risorsa cui possiamo ricorrere per non perderci».
novità
in libreria dal 10 maggio
novità
il Mulino
1994
cora che finanziario, pare quello di identità. [...] Torino cos’è? Un Salone mercato? Un Salone vetrina? Come Salone mercato ha saputo trasformare l’incontro in enorme libreria. [...] Come Salone vetrina ci porta libri che dal salone si aspettano un lancio per le classifiche dei più venduti [...] Come Salone laboratorio di idee, questo di Torino, sembra incerto sulla posizione da prendere. [...] «Forse un coordinamento sarebbe necessario, necessario un tema unificante. Puntare, che so, su quel pubblico che non legge, cercare il volto di chi si astiene. Indagare la scuola. Dotare il salone di un programma concordato con gli editori, che si sviluppi oltre i suoi giorni d’apertura, così da dargli un carattere di laboratorio permanente».
1992 LA NUOVA CASA È L’ANTICA OFFICINA
1993
gni. Adesso miglioreremo ancora: un salone a tema, un solo convegno, o meglio un ciclo di lezioni, sull’umorismo: perché sulla chiacchiera e sulla mondanità deve prevalere il confronto di idee fra autori e lettori. E abbiamo dato più spazio alla scuola, dove si formano i lettori». E’ un anno di svolta, decisivo per mettere a fuoco l’identità del Salone. Scrive Nico Orengo nel suo commento su Tuttolibri: «Il vero problema è che il Salone mostra qualche affanno. Ancora non si è arrivati a trasformarlo in Fondazione, come le istituzioni cittadine avevano promesso, e il peso, finanziario e organizzativo, finisce col gravare sulle spalle del suo inventore, Guido Accornero, e su pochi sponsor dalla borsa non pingue. «Ma il problema, prima an-
François Ost
I
A
ccornero, «che voci maliziose della vigilia avevano dato per traballante», finalmente può annunciare: «La Fondazione - l’organismo che darà radici e stabilità al Salone è cosa fatta». La settima edizione, dal 19 al 24 maggio - osserva Nico Orengo - «arriva dopo gli inizi di un anno non facile per i librai e gli editori, le elezioni politiche prima, quelle europee fra poco, i Mondiali di calcio subito dopo, “distrazioni” forti per chiunque». Beniamino Placido, confermato tutor culturale, ha puntato su un omaggio al cinema che sta per compiere un secolo. «Oggi scrive su Tuttolibri Gianni Rondolino - noi vediamo in larga misura attraverso quello che possiamo chiamare lo sguardo filmico. Non solo, ma leggiamo anche, in alcuni casi, come se vedessimo un film: per quella trasformazione della parola in immagine, della narrazione verbale in serie di inquadrature e sequenze, che è propria del linguaggio cinematografico». E Lietta Tornabuoni fa osservare come «in principio il cinema ci ha cambiato fornendo modelli di comportamento, di linguaggio, d’eleganza, di gestualità, di seduzione a milioni di persone d’ogni Paese ancora impacciate e inesperienti di vita sociale o amorosa, ancora sfornite di formule, stilemi, e luoghi comuni quotidiani, ancora disarmate di fronte alle parole e alle situazioni della modernità. I divi soprattutto hollywoodiani sono stati non solamente o non tanto idoli internazionali, quanto maestri di disinvoltura, professori di uso del mondo, insegnanti di know how e di passepartout: portatori di segni fisici e verbali omologanti ovunque le convenzioni comportamentali, fornitori di risposte alle Grandi Domande dell’Esistenza (cosa mi metto, come lo faccio, che gli dico, farò brutta figura?)».
Tre illustrazioni di Stefano Faravelli per lo speciale Fiera di TuttoLibri 1992
appuntamento in fiera
Walter Santagata
Mosè, Eschilo, Sofocle
La fabbrica della cultura
Venerdì 11 maggio 2007 ore 17 Padiglione 2 Ritrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del paese Spazio Autori Calligaris B
All’origine dell’immaginario giuridico pp. 248, € 15,00
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I Santi patroni
Le conseguenze di un bacio
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Maria Antonietta Trasforini
Nel segno delle artiste
Donne, professioni d’arte e modernità pp. 232, € 15,00
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Il furore e il silenzio
Vite di Gioachino Rossini pp. 528, € 29,00
L’episodio di Francesca nella «Commedia» di Dante pp. 312, € 17,00
Incontro con
Carlo Augusto Viano autore di
Stagioni filosofiche La filosofia del Novecento fra Torino e l’Italia Ne discutono insieme all’autore
Alberto Papuzzi e Gianni Vattimo
Tuttolibri
SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
XVII
La storia Si raggiunge il traguardo dei dieci anni, raddoppiando
gli editori (da 550 a 1200) e il pubblico (oltre 200 mila visitatori)
1995 IL 95% DEL ’900 CON LE LETTURE DI BOBBIO
O
ttavo Salone, dal 18 al 23 maggio, il primo con la neonata Fondazione che lo àncora a Torino, intitolato al «Novantacinque %», tanto è trascorso del nostro secolo e quel che resta conviene dedicarlo a verifiche e bilanci, come abbiamo consumato (bene? male?) il Novecento: questo il filo conduttore di convegni e incontri scelto da Beniamino Placido. Il logo è un Dick Tracy che conta le ore, il fumetto di Chester Gould rivisitato dalla pop art «rivelazione-rivoluzione» del modi di guardare, vedere, rappresentare la cultura del «secolo breve», con Roy Lichtenstein invitato d’onore. Tra gli ospiti chiamati a delineare la loro biblioteca ideale
del ‘900, Norberto Bobbio, che in un’intervista ad Alberto Papuzzi dichiara: «Io appartengo a una generazione che è stata costretta a interessarsi di democrazia dal momento in cui ha capito che la dittatura fascista portava l’Italia alla catastrofe». Tra i suoi maestri, il filosofo indica Stuart Mill e Tocqueville, Kelsen e Popper e «fuori dalle opere disciplinari», Masse e potere di Canetti, che gli ha fatto «vedere la politica anche come volto demoniaco del potere». Ma Bobbio non si ferma alle letture d’obbligo per i suoi studi: «Sono stato un lettore piuttosto disordinato, leggevo di tutto un po’. Leggevo anche molti romanzi. Credo che ci siano poche persone che abbiano letto tanti romanzi di Balzac come me. Nella biblioteca della casa di camopagna c’era la Pléiade dove l’opera di Balzac occupa molti volumi. Adesso di romanzi ne leggo meno. Ma lettore disordinato sono rimasto». Intanto gli editori sono saliti a 900, i visitatori a 150 mila e nel corso degli anni è salito pure il prezzo del biglietto, dalle iniziali 5.000 lire, raddoppiate l’anno scorso, ora si è arrivati alle 12.000.
1997 orta con dieci candeline per il Salone dal 22 al 27 maggio, e per la prima volta un Paese straniero ospite d’onore, la Francia. «Diciamocelo francamente scrive su Tuttolibri Giorgio Calcagno - nessuno ci avrebbe scommesso su, all’inizio. Ci credeva forse Angelo Pezzana che aveva lanciato l’idesa. Ci doveva credere, facendo coraggio a se stesso, Guido Accornero, che l’aveva raccolta e messa a segno. Nessun altro. Il progetto era stato guardato con diffidenza da una parte del mondo editoriale, visto con distacco dall’opinione pubblica, atteso con cautela dalla stampa. Ma come, a Torino, quando la capitale dell’editoria è a Milano. Ma come, far pagare un biglietto per vedere i libri? quando la gente non entra
in libreria nemmeno gratis. Una ipotesi folle, non funzionerà». Accanto un grafico dimostra che l’incredibile si è avverato: la crescita progressiva dei visitatori, dai 100 mila dell’esordio ai 156 mila del 1994 (con un solo calo nel ‘90, a quota 90 mila) fino ai 232 mila del ‘96. Con parallelo aumento degli editori, dagli iniziali 553 fino a 1250, con uno spazio per gli stand quasi triplicato, da 17.500 a 46.484 metri quadri. Altrettanto impressionanteil moltiplicarsi degli incontri (da 18 il primo anno a 184 l’anno scorso). «Torino può dunque esibire questo fiore in più - scrivono Fruttero e Lucentini - un’intuizione intelligente che dopo 10 anni è diventata, come sempre, una verità ovvia». Con un tale “avvenire” alle spalle, il magister idearum Beniamino Placido si permette di proporre come ambizioso tema dell’anno nientemeno che «l’immortalità». Tuttolibri lancia il tradizionale referendum tra i lettori che proclamano «eterno del ‘900» Primo Levi. Giulio Einaudi ne ripercorre il cammino di uomo e scrittore, ricorda l’ultimo incontro, due giorni prima della tragica dipartita: «Cosa avvenne, nelle ore seguenti, nel suo animo schiacciato, non è dato sapere».
mini dicevano di serie A. Non sarebbe difficile tracciarne una mappa. Confusione di ruoli, ricerca di identità? Provocatoriamente, sensibilmente, questo tema forte, “Il secolo delle donne?”, appare come il tentativo di interrogarsi su un secolo, a parità di sessi». Tra gli ospiti, Claire Bretecher, la disegnatrice francese
dei Frustrati e di Agrippine, una matita tenera e insieme crudele, che in un’intervista a Enrico Benedetto racconta: «Per le donne la nevrosi è uno stato di natura. Inutile provare a eliminarla. Fa parte del nostro mondo come l’inquinamento. Anche quando ci siamo messe a scopare in giro, negli Anni 70, quella liberazione era in definitiva prigionia. Mica male, comunque, poter imbarcare maschi non stop: bisogna pur dirlo in tempi calamitosi come questi. Invece, ecco le femministe di ieri cercare spasmodicamente un principe azzurro per le loro grazie residue. E invidiarmi il marito carino che mi ritrovo. [...] Il femminismo aveva e ha tuttora le sue bravi ragioni. Smascherare l’uomo virtuale che popola la fantasia di noialtre ragazze. Ma non si può dire che quelle denunce servissero a molto. Conscie, le autrici hanno preso a razzolare male». Nel refendum di Tuttolibri per eleggere la più bella del ’900 i lettori hanno votato la Lara del Dottor Zivago, seguita da Micol (Il giardino dei Finzi Contini) e Angelica (Il gattopardo).
DECENNALE, NEL NOME DI PRIMO LEVI, IMMORTALE
T
1996 LE DONNE, L’ALTRA METÀ DEL SECOLO
L
e donne protagoniste del nono Salone, dal 16 al 21 maggio. Beniamino Placido ha proposto il tema con un punto interrogativo: «Il secolo delle donne?». Così commenta Nico Orengo su Tuttolibri: «Per coglierne l’interesse basterebbe ribaltare il titolo con il termine “uomo”, ne verrebbe fuori tutta la sua schematicità ristretta, maschilista. Quel “donna” accoglie tutto, fa da specchio, parla di sé e dell’altro. Fa riflettere. Può farci pensare, ad esempio, che in letteratura quella femminile è sempre stata, o per molto tempo considerata, di serie B. Una letteratu-
ra per il mercato, per le grandi tirature. L’uomo faceva invece la letteratura di serie A, quella lucida, razionale. Poi si è assistito a una “femminilizzazione” della scrittura maschile, per ragioni di lettura, per ragioni di mercato. Anche molte scrittrici hanno cercato una scrittura “al maschile”, un cammino verso quella letteratura che gli uo-
Santa, martire, pazza, vergine. Chi è davvero Athena? “L’Amore arriva, si insedia e dirige tutto. Solo le anime molto forti si lasciano trasportare. E Athena era un’anima molto forte.”
Il nuovo romanzo di Paulo Coelho www.lastregadiportobello.it
XVIII
Speciale Fiera La storia Dopo 11 anni Accornero lascia la sua
creatura, parte la Fiera di Picchioni e Ferrero
1998 POLEMICHE, CAMBI, GUAI: UNA BELLA ODISSEA
F
iliamo al Salone, titola Tuttolibri: l’undicesimo - dal 21 al 25 maggio (i giorni della Sindone e della visita di papa Wojtyla) - con quattro fili (azzurro, rosso, verde e giallo) per definire i quattro filoni dei dibattiti, anch’essi tornati nelle sale colorate tra gli stand: il sacro, la letteratura di fine secolo, il Sud America e il thriller. Vigilia in affanno: Beniamino Placido ha lasciato il posto di consulente a Bea Marin e a un «comitato di esperti», non proprio in sintonia; Accornero, per guai di bilancio, «ha fatto un passo a lato nella gestione, pur restandone l’anima». Commentando le consuete polemiche (a che serve? dove vuole arrivare? non è meglio farlo a Milano? o farlo itinerante?), Edmondo Berselli osserva: «Non c’è da appassionarsi troppo al destino del Salone. L’importante è di non sovraccaricarlo di intenzioni, per quanto nobili. Funziona fintanto che è una fiera, una festa, una gran confusione, una lotteria di libri. Finché insomma è popolare. Perché alla fin fine la pretesa di creare il consumo
di massa con operazioni di élite, be’ non ha l’aria di essere una grande idea». Proposta di un «uso disincantato del libro» cui perviene attraverso una riflessione sul rapporto tra mercato asfittico («quello librario è l’unico settore industriale che non è diventato un’area di consumo di massa») e pubblico incolto (almeno secondo i pessimisti, «il lettore è un povero idiota, incapace di tutto, che va accompagnato passo passo in un mondo ostile»). Per Berselli «una delle ragioni per cui i libri non si comprano e non si leggono consiste proprio nell’aura sacrale che i bibliofili attribuiscono alla carta stampata. Bisognerà capire che l’amore per i libri non si tramette a comando, che la devozione sacerdotale per il possesso di una biblioteca è un vizio individuale che non diventerà mai
1999 CHE SFIDA MOBY DICK, RACCONTA L’AVVOCATO
A
nno dodici, si cambia: il Salone diventa Fiera, con un nuovo logo sempre disegnato da Testa. Accornero lascia la sua creatura (accasciata dal rosso dei bilanci), la guida
Il disegno di Altan per la copertina del nostro speciale Fiera 1999
una virtù di massa. Dopo di che, si potrebbe cominciare a far capire che i libri sono un oggetto secolarizzato, che non è necessario adorarli, ma che conviene usarli. Ho imparato da Eco che i libri vanno maltrattati, sottolineati, le pagine piegate: me ne sono convinto molto tardi ma adesso mi accorgo di quanto sono comode certe sottolineature e certe orecchie nelle pagine». Tra le novità, uno «Spazio under 16», un’area riservata alle riviste e un «Caffè letterario»; ospite d’onore il neo Nobel ‘97 Dario Fo, l’ospite straniero è ancora la Francia. Per il suo referendum Tuttolibri domanda «Di che mito sei?» e i lettori scelgono Ulisse, mentre si avvia l’odissea nel web di Internet e Stefano Bartezzaghi avvisa: urge «integrare la lettura che umetta il pollice e la lettura che sposta il mouse». passa a Rolando Picchioni, neosegretario della Fondazione del Libro dall’ottobre ‘98. Arriva Ernesto Ferrero, nuovo direttore editoriale, con due «consulenti» d’eccezione, Giuseppe Pontiggia ed Emilio Tadini. Dal 12 al 16 maggio sarà «la Fiera delle passioni» titola Tuttolibri in copertina, illustrata da Altan. Prima fra tutte la passione del leggere: «L’emozione scrive Nico Orengo - gioca un ruolo fondamentale nell’apprendimento e allora un’attenzione tutta particolare va indirizzata allo scoccare di quella scintilla che può segnalare la nascita di un futuro lettore. Proprio ai bambini e dunque alla famiglia la Fiera di quest’anno ha voluto
dedicare una forte attenzione». Tuttolibri domanda a scrittori, artisti, scienziati, imprenditori come abbiano coltivato il piacere della lettura e quali siano stati i migliori libri della loro vita. «Da bambino leggevo Salgari, da ragazzo Moby Dick» racconta Giovanni Agnelli in una intervista a Lietta Tornabuoni che spiega: «pochi romanzi risultano formativi come “quel libro malvagio” di Herman Melville, avventura della conoscenza ma anche del nichilismo sull’oceano vasto come il mondo, con il segreto della realtà affidato alla grande balena bianca e alla natura onnipotente, con la sfida irriducibile tra Moby Dick e il capitano Achab, figure mitiche
del romanzo americano. Al lettore adoolescente del romanzo piacevano soprattutto la grandezza shakespeariana, il romanticismo byroniano, la tenacia d’una battaglia mai abbandonata, lo spirito e la prassi della lotta. Adesso i gusti dell’avvocato Agnelli sono cambiati ma non radicalmente, non del tutto. E’ ancora la grandezza di fatti che portano gli uomini all’estremo sottoponendoli a prove cruciali e a prezzi terribili da pagare per vincere ad attrarlo nella lettura di Stalingrado di Antony Beevor [...] E’ il desiderio di riflettere sulla propria storia e dei propri coetanei a portarlo alla lettura delle memorie di Isaiah Berlin fitte di personaggi che Agnelli
ha conosciuto o incontrato nel corso del tempo [...] Soprattutto, per svago, infine l’avvocato legge ora Le stanze di Indro Montanelli: libro regalatogli dall’autore durante i festeggiamenti per il novantesimo compleanno del giornalista italiano più famoso». In Fiera Tuttolibri porta «C’era una svolta» il gioco che invita i lettori a inventare nuovi personaggi e cambiare i finali delle fiabe. Daniel Pennac, intervistato da Enrico Benedetto, ricorda che senza le favole moriremmo: «Salvo eccezioni. Ieri, in treno, il mio vicino spiegava brandendo un bilancio: “Io faccio solo letture utili”. Non sa che viviamo grazie al sogno».
Nelle migliori edicole e librerie
In questo numero: Editoriale Marta Dassù e Lucia Annunziata
TransLatin Watch Il continente a una svolta Idea America Latina: l’era dei governi populisti Sergio Romano, Moisés Naim, Hector E. Schamis, Carlo Jean, Rodrigo de Rato y Figaredo, Ian Bremmer, Philippe C. Schmitter, Luis E. Giusti L., Francisco Rodriguez, André Urani, Jonathan Power, Gabriele Garibaldi, Arturo Valenzuela, Lucía Dammert, Roger F. Noriega, Julia E. Sweig, Ted Galen Carpenter, Carlo Secchi
Scenario Europa: l’era dei governi impopolari Larry Siedentop, Silvio Fagiolo, Mark Leonard, Michael Stürmer, Paolo Scaroni, Daniel Vernet, Miguel Ángel Quintanilla Navarro, Angel Ubide, Ivan Krastev
Forum Italianos Massimo D’Alema, Beppe Severgnini, Roberto Toscano, Giuseppe Schlitzer, Antonella Mori, Claudio Bisogniero
Macro Riccardo Perissich, Federico Fubini
Le letture di Aspen Valentina Pisanty
Per informazioni e abbonamenti Tel: 02.3022.5680
Tuttolibri
SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
XIX
La storia Si comincia il nuovo secolo interrogandosi su scontri e incontri tra civiltà e culture
e sul futuro ecologico del pianeta (mentre uno spazio verde copre l’assenza di Mondadori)
2001 a natura, l’ambiente, il paesaggio: la Fiera quattordicesimna edizione dal 17 al 21 maggio, per madrina Inge Feltrinelli, paese ospite l’Olanda - ha un cuore verde. Per Tuttolibri, il direttore Ernesto Ferrero spiega cosa significa questa scelta, «oggi che il sentimento del paesaggio sembra ridotto agli imbonimenti degli spot pub-
blicitari (la carota della Natura per il bastone del Consumo), alle cartoline del turismo di massa, o ai vagheggiamenti di un certo ambientalismo semplificato (natura buona contro Artificio cattivo). Ha scritto Italo Calvino: “... La vera descrizione d’un paesaggio finisce per contenere la storia di quel paesaggio, dell’insieme dei fatti che hanno lentamente contribuito a determinare la forma con cui esso si presenta ai nostri occhi, l’equilibrio che si manifesta in ogni suo momento tra le forze che lo tengono insieme e quelle che tendono a disgregarlo”... Geografia come Storia, come scrittura di percorsi umani, work in progress. Paesaggio come tempo pietrificato, memoria da ricuperare, interrogare. La sua decrittazione richiede acume di semiologo, pazienza d’antropologo, profondità di storico».
nella congerie del pianeta. «E’ bello che sia Torino a ospitare questo dibattito, perché di tutte le le nostre città Torino è certo quella che di più, e più drammaticamente, si sta battendo per diventare capitale multietnica, ma senza smarrirsi, senza perdere il passato. Un luogo bizzarro, magico, dove ci sono già scrittori italiani di etnie lontane, e dove, tra non troppi anni, sentirete un arabo, un cingalese, un filippino, bere un bicerin lagnandosi piano: “Non ti pare che la vecchia Torino sia ormai perduta, neh?”». Tra gli stand, un giardino fiorito, a ombreggiare l’assenza di Mondadori. Serata inaugurale con George Steiner («Abbiamo
più che mai bisogno di libri, ma anche loro hanno bisogno di noi. Qual più bel privilegio di porci al loro servizio?»). Tra gli ospiti il Nobel Walcott, Okri, Pamuk, Matvejevic e lo storico Hobsbawm che presenta la sua Intervista sul nuovo secolo. Ad Alberto Papuzzi dichiara: «La globalizzazione ha aumentato la distanza fra la nostra realtà e le decisioni soprattutto di carattere economico... Un enorme problema: la grande disuguaglianza, all’interno di uno stesso Paese e soprattutto a livello internazionale, fra ceti che possono godere vantaggi economici e tecnici e miliardi di persone che non hanno accesso a queste risorse».
CERCANDO LA NATURA OLTRE IL GIARDINO
L 2000 TERZO MILLENNIO, SOCIETÀ GLOBALE
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redicesima edizione, dall’11 al 15 maggio, comincia il terzo millennio, ne vedremo «Di tutti i colori» titola Tuttolibri. Tema conduttore è la società multietnica. Così lo pre-
senta Gianni Riotta: «Molti temono nel nostro tempo la perdita di identità. Sono i parrucconi che difendono il latino delle accademie. Sono i seguaci di Haider, in culotte e cuoio. Sono i ragazzi e le ragazze colorate che tirano sassi a Seattle. Sono i neonazisti d’America e i Talebani afghani. Gente perbene e malfattori, colti e ignoranti, ricchi e poveri, uniti solo da un obiettivo. Difendere il proprio essere nell’epoca globale di Internet e dintorni. «Noi, e crediamo anche Ernesto Ferrero e gli altri organizzatori della kermesse torinese, non siamo nella falange di coloro che temono per la propria identità nel 2000. Tutto al con-
trario. [...] Un saggio brillante, presto invecchiato, predicava lo scontro tra le civiltà, e un pamphlet bizzarro lo scontro tra Jihad, la guerra santa e il mondo omogeneo del fast food. Trattasi di bubbole: colte, patinate, diffuse online, ma vere, chiare, bubbole a 24 carati. «Lo scontro culturale del mondo di oggi, di cui le giornate torinesi saranno teatro vivo, è tra due diverse concezioni della vita e della cultura. Tra chi vede nella propria identità un diamante freddo e inflessibile, da difendere a tutti i costi, e chi invece è disposto a perdere un’oncia, a contaminarlo, mischiarlo, arricchirlo, per integrarsi e rafforzarsi
Invitata a scegliere il suo «giardino letterario» preferito, Marella Agnelli non ha dubbi: «E’ Il giardino di Elisabeth, il romanzo di Elisabeth von Arnim che racchiude non solo il mondo della natura (una natura nordica, siamo in Pomerania), ma la vita dell’autrice. ... Elisabeth è stata la prima donna a “fare” un giardino, impresa sino allora abitualmente affidata solo ad architetti, dimostrando una sorprendente capacità, anche nella descrizione, di entrare nei dettagli pur non essendo una specialista: mai pedante, anzi divertente, da quella gran donna che era». Natura a parte, consueta giungla di dibattiti. Tra i libri presentati in anteprima Editori italiani ieri e oggi (Laterza), da cui è tratto l’intervento del «gran capo» Mondadori Gian Arturo Ferrari, anticipato da Tuttolibri: «Non sono molto d’accordo sull’identificazione tra editoria di progetto ed editoria a vocazione pedagogica, di pedagogia nazionale, volta alla “formazione” dei lettori... Di editori di progetto io ne ho visti, da lontano, solo due: l’Einaudi degli Anni 50 e 60 e l’Adelphi dalla metà degli Anni 60 alla metà degli Anni 80. Un sistema di inclusioni ed esclusioni feroci, una vera indifferenza al lato economico, considerato subordinato e servile, una fede assoluta, titanica, in se stessi e nel nucleo delle proprie certezze... Oggi non vedo nulla del genere all’orizzonte e non so neppure se quel modello potrà mai ripresentarsi. Non ha più dunque molto senso la contrapposizione con l’editoria commerciale».
XX
Speciale Fiera La storia Un passaggio decisivo, nell’anno d’avvio della moneta europea, mentre
il mondo affronta lo choc delle Torri Gemelle e l’Italia si divide su Berlusconi
2002 RITROVARE IL TEMPO, CON L’EURO DOPO L’ 11/9
C
ome passa il tempo... «Giù al Valentino - ricorda Nico Orengo -, fra stand di marmi, entusiasmo e un po’ di improvvisazione nacque il primo Salone del Libro. Oggi la Fiera compie, al Lingotto, i suoi quindici anni. Di tempo ne è passato, fra alti e qualche basso, la festa intorno al libro, ad autori, editori e lettori è cresciuta, si è aperta ad ospiti stranieri. E’ un adolescente in crescita, che quest’anno affronta un tema importante, uno di quelli da spremer le meningi e far venire le rughe: sì, lui, il tempo». Tuttolibri propone un suo viaggio del tempo nel romanzo, nella storia, nella scienza, nell’anima. «Senza il tempo scrive Marco Belpoliti non sarebbe pensabile nessuna forma di narrazione. Il romanzo ha bisogno del tempo: del suo e del nostro... La letteratura del ‘900, con Proust, Joyce, Kafka è diventata la vera macchina che manipola, dilata o comprime a piacere ogni minuto, ritrova il passato, inventa il futuro, infrange ogni sequenza cronologica, lineare ed esatta (come
l’arte ha fatto con lo spazio), si immerge in un flusso interiore ininterrotto... Ma oggi si profila un ritorno all’ordine: forse perché abbiamo sempre meno tempo, forse perché sempre più il tempo è denaro». Quanto al denaro la quindicesima edizione - dal 16 al 20 maggio, madrina Elvira Sellerio, oltre 1000 editori, ospite straniero la Catalogna -, è la prima con la nuova moneta unica europea: biglietto a 7 euro (l’anno scorso erano 12.000 lire). E quanto all’ «ordine», è la prima dopo lo schock dell’11 settembre, l’attentato dei fondamentalisti islamici alle Torri gemelle di New York. In Fiera Samuel Huntington presenta i nuovi scenari internazionali, di fronte all’incombente «scontro di civiltà». Quanto poi alla più modesta scena politica di casa nostra, Pier Luigi Battista, su La Stampa, osserva che «sono finiti gli anni del lamento di destra. Da lustri ormai la Fiera veniva accompagnata dai mugugni e dalle proteste di una cultura politica genericamente etichettata come “di destra” incline a immaginare la kermesse il luogo deputato della “egemonia culturale della sinistra”... Nel ‘94 la Fiera si trasformò in una chiassosa tribuna della “nuova resistenza” a Berlusconi. L’anno scorso, il centro destra aveva appena vinto le elzioni e nelle sale del Lingotto venne messo in scena lo sconforto della sinistra all’indomani della disfatta». Invece quest’anno sarà la Fiera «delle scelte bipartisan», inaugurata dal presidente del Senato Marcello Pera. Si segnala «una nuova atmosfera ecumenica, un’attenzione “pluralista”».
2003 I COLORI, SFUMATURE DELLE IDEE E DEL CUORE
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n Lingotto arlecchino, dal 15 al 19 maggio, invita a raccontare i colori. «Il logo che la Fiera si è dato 5 anni fa, sette barre di colore che sono altrettanti dorsi di libri - scrive su La Stampa Ernesto Ferrero - e lo stesso motivo conduttore dell’edizione 2003, i colori, ci ricordano che l’immagine della realtà è fatta di milioni di sfumature diverse. I buoni libri fanno proprio questo: si occupano di sfumature, e ci aiutano a distinguerle. Tuttolibri affronta il tema con i suoi collaboratori, a Massimo Gramellini tocca il «rosa», colore simbolo della posta del cuore: «Faccio questo mestiere da cinque anni - scrive -. Giornalismo dell’anima. Consiste nel leggere emozioni, sceglierne una la settimana e pubblicarla dopo averle cambiato i nomi, talvolta anche quando i protagonisti non me lo chiedono. E’ il mio modo di difendere coloro che scrivono dagli sguardi dei pettegoli e dal demone del narcisismo, di ribadire la differenza che passa tra chi si affanna in tv a strepitare i suoi guai spesso inventati e chi invece li affi-
da al silenzio senza faccia di un pezzo di carta o di una e-mail... Ho indossato il giubbotto antiproiettile che infilo sempre sopra le emozioni quando entro nella città delle parole assediata da solitudini, sogni e tradimenti... Ho sfogliato le prime lettere: parlavano di amori scaduti, adolescenti imbranati, sensi di colpa assortiti...». La Fiera, giunta alla sedicesima edizione - madrina Rosellina Archinto, Paese ospite il Canada - , «è ormai tra i simboli conosciuti e vitali di una Torino non più soltanto città fabbrica scrive su Tuttolibri Marcello Sorgi - ma anche multiculturale e multietnica fabbrica di idee, di iniziative, di futuro: pensate a due occasioni formidabili come le Olimpiadi del 2006 e i centocinquant’anni dell’unità d’Italia del 2011, per i quali, incoraggiati dal presidente Ciampi, già fervono i progetti... Il salone nato nel 1988 ha fatto di Torino una “capitale del libro”, resistendo alle reiterate polemiche sulle ipotesi di trasferimento a Milano: la città laboratorio ha prevalso, forte di una tradizione editoriale che va da Pomba alla Einaudi, alla Utet, a Paravia, a Bollati Boringhieri. E che la Fiera sia un perno di questo laboratorio è provato dalle attività permanenti con le quali durante l’anno coinvolge scuole e musei. Non è forse soltanto una coincidenza che con la Fiera sia cresciuta a Torino una nuova generazione di scrittori: Torino può vantare il maggior numero di esordienti nell’ultimo decennio, indipendentemente dalla prima scuola di scrittura italiana, la Holden di Baricco».
«Sei libri» opera di Salvo per la copertina dello speciale Fiera 2003
Tuttolibri
SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
XXI
La storia Torino «capitale mondiale del libro» guarda già al nuovo traguardo del 2011,
Tuttolibri festeggia i suoi 30 anni, i visitatori superano l’impensabile quota 300 mila
2005 LA MAGGIOR ETÀ E SOGNI NON SOLO OLIMPICI
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ompie 18 anni la Fiera (dal 5 al 9 maggio) e si abbandona al sogno, con l’ottimismo della volontà: il manifesto «Tutti i libri del mondo /non è un sogno» invita a scoprire il Lingotto e a prepararsi a Torino capitale mondiale del libro 2006. La scelta del tema indica che si accetta la sfida, che si è pronti a «bandire la parola impossibile», proclama il napoleonico direttore Ernesto Ferrero, con all’occhiello una rosa di carta Allemandi . Intervistato da Gabriella Bosco, Marc Augé, l’antropologo dei non luoghi, dice:
«La mia capitale del libro sarebbe una città in cui fermarsi a leggere, pensare, magari scrivere, e poi ripartire... Torino si presta a comporre la propria passeggiata come se si scrivesse un libro: flânerie, lecture et on repart». E Giuseppe Culicchia si augura che «chi verrà nella Torino 2006 e vedrà i torinesi leggere nella metroplitana o nei caffé o nelle piazze o nei parchi godrà di questa visione inedita: la sfacciata, almeno per gli abitanti di questa città, ostentazione di leggere un libro. Altro che veleggiare sullo yacht di Briatore». Tuttolibri offre in copertina una poesia di Alda Merini: «Sogno, limite estremo della paura / dove s’affaccia la nostra infanzia / mutevole ragazza che geme: / sogno, finestra dell’amore / come angelica perfezione / tu non vedrai mai i passi della memoria / né la morte che accompagna le speranze / se Lui non si fa vedere. / Ma chi è quel Lui che entra nelle nostre stanze / se non la tene-
2004 LEGGI CHE TI PASSA, LA RIVINCITA DEL COMICO
F
orse per scaramanzia, per la sua edizione n. 17 la Fiera - dal 6 al 10 maggio - ha scelto la comicità, l’umorismo, la satira, con lo slogan «Leggi che ti passa». Commenta su Tuttolibri Carlo Fruttero: «Raccontare un libro che ti ha fatto ridere è un po’ come raccontare un fuoco d’artificio, o lo vedi coi tuoi occhi o altrimenti restano solo scintille nel buio». Poi, ripercorrendo i suoi umoristi preferiti, dal Jerome K. Jerome di Tre uomini in barca a Wodehouse a Dorothy Parker, osserva: «sono racconti che si assaporano come chicche prelibate, ora dolcissime al palato, ora piccanti, ora amarognole, sempre comunque preziose per risollevare il morale di chi legge. Sarebbe allora questo in conclusione lo scopo dell’umorismo in letteratura? Avrei non poco imbarazzo a rispondere. E’ un po’ come per le barzellette, tutto dipende dalla verve (dallo stile) di chi le racconta. La minuziosa descrizione di una mostruosa macchina di tortura non parrebbe aver nulla di esilarante, così a prima vista. Ma se è Kafka che la mette in piedi...». Su La Stampa Ernesto Ferrero motiva così la scelta del tema: «Ironia e satira servono a rendere più vivibile una società. E inversamente: l’incapacità di sorriso corrisponde a una lettura rigi-
Uno dei disegni di Irene Bedino per lo speciale Fiera 2005
da, bloccata della realtà. Chi non possiede il minimo senso dell’umorismo è un talebano potenziale, pericoloso a sé e agli altri. Negli ultimi tempi il comico si è preso una rivincita anche troppo clamorosa, al punto che l’antico eccesso di deprecazione si è rovesciato in un consumo di massa: impazzano le barzellette, si ride e sghignazza senza guardare troppo per il sottile». E proprio su questo insiste Marco Belpoliti, ancora su Tuttolibri: «Oggi che la comicità è ovunque, che il comico sembra diventato la forma stessa dell’espressione sociale nella politca come nella pubblicità, nel discorso pubblico come in quello privato si capisce quale abissale distanza vi sia tra il discorso sovversivo (quello teorizzato da Bachtin, studiato da Camporesi, narrato da Celati, messo in scena da Scabia) e la comicità quale mezzo per far cassetta o, peggio ancora, come sistema consolatorio di un’intera società che cerca
di ridere continuamente di se stessa, incapace di vedersi allo specchio se non attraverso le fattezze edulcorate e normative dei propri comici, siano essi una maschera televisiva o un politico che racconta barzellette». Madrina della Fiera è Martina Mondadori, bisnipote di Arnoldo, che in un intervista ad Alain Elkann si sofferma sul difficile rapporto tra i giovani e i libri: «Se dovessi pensare a un modo per incentivare la lettura, credo che la forza dell’esempio in casa sia fondamentale. E’ importante vedere i genitori con un libro in mano e sentirli parlare di libri». Il paese ospite è la Grecia, tra i suoi scrittori Vassilis Vassilikos. L’autore di Z. L’orgia del potere dichiara a Cesare Martinetti: «Ho dei legami forti con Torino. Gramsci e Pavese. Da un punto di vista politico io sono sono gramsciano. Poi Italo Calvino... E poi la cosa più importante, la Juve...: tutta la Juventus, sempre, è un concetto, un’idea».
bra che dà luce, / se non il sogno che si raccomanda / se non la parola che uno non dirà mai / neanche dopo la morte». Protagonista della serata inaugurale, al teatro Carignano, è la poetessa polacca Wislawa Szimborska, premio Nobel 1996, da illustre sconosciuta (quando Brodskij la citò nel suo discorso d’apertura del primo Salone del libro) diventata una «scrittrice di culto». Il suo traduttore e critico Pietro Marchesani su Tuttolibri spiega «il fenomeno» come sintesi di più fattori: «la straordinaria capacità di aderire al reale... l’uso del linguaggio della modernità, cioè della complessità... un fortissimo senso della propria individualità e al tempo stesso della condivisione... una raffinata sapienza linguistica e letteraria e una non comune capacità di dialogo, di interrogarsi sul mondo... conservando quell’inesauribile stupore dei bambini piccoli... Ogni sua poesia è per il lettore una voce che gli dà voce». Tra le nuove iniziative della Fiera - quest’anno senza madrina (non è stato possibile a Romilda Bollati accogliere l’invito), paese ospite il Portogallo, grande festa d’apertura nella suntuosa reggia di Venaria - c’è «Lingua madre», in collaborazione con la Regione Piemonte: una cinquantina di scrittori e studiosi africani, asiatici, latinoamericani per conoscere le radici di chi proviene da mondi considerati «altri». E poi, aspettando le Olimpiadi, un ciclo di incontri che affrontano il tema della competizione in tutte le sue forme.
2006 E’ STATA E SARÀ UNA LUNGA AVVENTURA
E’
stata fin dall’inizio e sarà un’avventura. Il tema della diciannovesima Fiera, dal 4 all’8 maggio, è insieme una diagnosi e un augurio: «Il senso dell’avventura - osserva Ernesto Ferrero su La Stampa è il tratto distintivo della società umana. E’ la curiosità, la voglia di andare oltre, di mettersi alla prova, di sfidare le proprie capacità e tutto quello che ci appare ostile». Tuttolibri svolge il tema nelle sue multiformi diramazioni, dalla letteratura alla scienza, dall’arte al cinema e ne mostra la complessità e le metamorfosi. Scrive ad esempio Lietta Tornabuoni: «L’avventura quasi non c’è più: gli effetti speciali sostituiscono l’ignoto, lo spavento, lo spirito di scoperta, l’ardire umano. Tutto il cinema mondiale si è puerilizzato, l’avventura si frammenta in sottogeneri: fantasy, thriller, azione, film derivati da fumetti. Soprattutto horror, divenuto il prediletto dell’esplorazione nell’atrocità e dei ragazzi amanti dell’estremo». L’anno felix per Torino, insieme capitale mondiale del libro e sede delle olimpiadi invernali, coincide con i trent’anni di Tutto-
libri, festeggiati in Fiera con un reading, guidato da Alberto Sinigaglia, fra Giulio Anselmi e Arrigo Levi, che con Carlo Casalegno varò nel 1976 il primo numero del nostro supplemento. Trent’anni ripercorsi scegliendo e leggendo per ognuno un libro da non dimenticare. Serata inaugurale al Palaisozaki con «Bookstock», notte bianca di reading e musiche firmata Baricco-Vacis. Ospite annunciato, atteso e non pervenuto il Nobel Saramago (mentre Coehlo sarà inseguito e coccolato dai fans come una star). Madrina Elda Tessore, prezzo invariato a 7 euro, ma per la prima volta dalle origini obbligo di biglietto (a 5 euro) anche per i «professionali» (librai, insegnanti, bibliotecari, traduttori, consulenti editoriali) con immediati malumori: «Ma come, proprio quest’anno, quando la promozione del libro, visto che Torino ne è la capitale mondiale, dovrebbe essere al massimo?». Nonostante ciò, è stato un trionfo: a conti chiusi, 300 mila visitatori, superata ogni previsione anche ottimistica, 80 mila in più (cioè ben il 40%) dello scorso anno, e in aumento anche le vendite, tutto esaurito in molti degli 800 incontri. «Perché stupirsi? si domanda infine Ferrero tracciando un bilancio per La Stampa -. Le trivelle della Fiera e di altri eventi hanno rivelato giacimenti di lettori che fino a ieri sembravano impensabili. Adesso si tratta di servirli sempre meglio, di non lasciare cadere quello che con un po’ di enfasi potremmo anche chiamare il nuovo Rinascimento del libro». E allora: che l’avventura continui, oltre i confini, con buoni venti.
Classifica
XXII
AI PUNTI LUCIANO GENTA
UNA FEDE O MOLTI MISTERI
Tuttolibri
SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
V
ista la data, parafrasando il poeta, si potrebbe dire: «Ei sta. Siccome immobile, dando un vital respiro». Ratzinger primeggia su Odifreddi (che per sua fortuna nessuno ancora ha paragonato a Toni Negri). Anche se il valore in copie vendute scende rispetto alla settimana scorsa poco sopra le 15 mila e così gli altri punteggi possono, in percentuale, riprendere quota. In alternativa alle certezze della fede, le novità tra i primi 10 offrono misteri. Innanzitutto quelli che deve risolvere la detective di Alicia Giménez Bartlett, seconda assoluta. «E’ attaccabrighe, ribelle, anarchica, testarda e, se mi
perdonate l’espressione, una gran rompiballe... Eppure tutti noi la apprezziamo. Dirò di più, siamo tutti un po’ innamorati di Petra, e la ragione di questo nostro amore è che rappresenta l’essenza di quel che una donna deve essere»: così il commissario capo descrive la poliziotta Petra Delicato alla sua festa di matrimonio, con cui si conclude l’indagine di Nido vuoto. Già, ecco la sorpresa: la Montalbano spagnola, femminista libertina, convola a giuste nozze, e per questo è molto piaciuta agli atei baciapile del Foglio che l’hanno subito aggregata al Family Day. L’altro nuovo ingresso (Saviano e la Nafisi sono due ritorni) è il settimo posto di Stephen
Meyer con il seguito della quadrilogia iniziata da Twilight, gli amori proibiti tra la diciottenne Bella, di nome e di fatto, e l’irresistibile vampiro Edward: una passione che ha contagiato migliaia e migliaia di giovanissimi fans nei blog della Rete. Il successo del romanzo indica tra l’altro che i mass media possono «fare squadra», senza fagocitarsi. E conferma inoltre che la classifica ragazzi è sempre più «per bambini». Gli adolescenti ormai si dividono tra «mocciosi» e «antimocciosi», sempre più precocemente, come mostra un titolo in ascesa (ora 15˚): Ho dodici anni, faccio la cubista, storie vere di bulli e pupe in discoteca. Gesù, che gioventù.
I PRIMI DIECI
1
2
100
3
36
4
32
5
26
25
Gesù di Nazaret
Nido vuoto
Gomorra. Viaggio nell’impero economico
Il cacciatore di aquiloni
Leggere Lolita a Teheran
BENEDETTO XVI RIZZOLI
GIMÉNEZ BARTLETT SELLERIO
SAVIANO MONDADORI
HOSSEINI PIEMME
NAFISI ADELPHI
6
7
24
8
20
9
19
10
17
15
I love shopping per il baby
New moon
Le pecore e il pastore
Perché non possiamo essere cristiani
Il ritorno del maestro di danza
KINSELLA MONDADORI
MEYER LAIN
CAMILLERI SELLERIO
ODIFREDDI LONGANESI
MANKELL MARSILIO
Narrativa italiana 1. Gomorra... Saviano
Narrativa straniera 32 [3]
15,50 MONDADORI
2. Le pecore e il pastore Camilleri
19 [1] 14 [-]
18,00 RIZZOLI
8 [5]
18,00 FELTRINELLI
4. New moon Meyer
20 [-]
6 [-]
7. La ragazza di polvere Connelly
12,00 SELLERIO
8. Non dire notte Oz
14 [3] 14 [7]
14,00 MONDADORI
9. Jezabel Némirovsky 16,50 ADELPHI
6 [6]
15,00 GARZANTI
10. La tredicesima storia Setterfield
3. Inchiesta su Gesù... Augias; Pesce
9 [3]
4. Senti chi parla Giordano
8 [-] 7 [-]
18,00 MONDADORI
6. La scomparsa dei fatti Travaglio
7 [5] 6 [-]
3. Del perché l’economia... Milani
5 [-]
6 [-]
4. E’ facile smettere di fumare... 5 Carr [3]
6 [4]
5. 10+ il mio mondo in un... Del Piero
5 [2]
5 [-]
3. La masseria delle allodole Arslan 4. Mattatoio n. 5 Vonnegut
6. Il collo mi fa impazzire... Ephron
5 [6]
8 [3] 6 [5]
4 [-]
7. La versione di Barney Richler
3 [4]
8. Maigret e il ladro indolente Simenon
4 [6]
3 [-]
9. Il giorno della civetta Sciascia
4 [-]
3 [8]
16,00 FELTRINELLI
10. Se questo è un uomo Levi
4. Via dei Matti Endrigo; Costa
3 [-]
5. Ci vuole un fiore Rodari; Endrigo
3 [-]
6. Il mostro di Lago Lago Stilton
3 [-]
7. Una truffa coi baffi Stilton
3 [-]
6,50 PIEMME
4 [-]
8. Le due guerriere Troisi
3 [2]
17,00 MONDADORI
4 [-]
7,50 ADELPHI
10. Alejandro Jodorowsky Baresi
4 [3]
6,50 PIEMME
8,00 ADELPHI
9. Tutto il Grillo che conta Grillo
3. Un ponte per Terabithia Paterson
7,90 GALLUCCI
10,00 ADELPHI
8. Quelli che corrono Baldini
4 [4]
7,90 GALLUCCI
6,00 MONDADORI
7. TFR e fondi pensione Cesari
2. Ritorno a Rocca Taccagna Stilton
16,00 MONDADORI
5. I fermenti lattici dello yogurt... 5 Mist & Dietnam (cur.) [-] 6. Le uova del drago Buttafuoco
6 [1]
8,20 PIEMME
10,00 TEA
13,00 FELTRINELLI
10. Quello che non si doveva... Biagi; Mazzetti
12 [1]
7,00 FELTRINELLI
13,00 MONDADORI
9. Così parlano le stelle Hack; Gjergo
2. L’ombra del vento Ruiz Zafon
1. Il piccolo principe Saint-Exupéry 7,00 BOMPIANI
10,00 BUR RIZZOLI
8,80 IL MULINO
8. Modus vivendi. Inferno e... Bauman
25 [-]
12,00 MONDADORI
10,00 FELTRINELLI
7. Infedele Hirsi Ali
6,00 RIZZOLI
8 [1]
14,00 MONDADORI
17,00 SPERLING & KUPFER
11 [4]
2. L’amore è un dio Cantarella
10,00 EWI
5. Storia nera. Bologna la... Colombo
1. Leggere Lolita a Teheran Nafisi
Ragazzi
10,00 ADELPHI
13,00 KOWALSKI
14,00 LATERZA
12 [6]
1. Lavoratori di tutto il mondo... 15 Ovadia [-]
13,00 FELTRINELLI
18,50 RIZZOLI
15,00 FELTRINELLI
6 [7]
17 [2]
15,00 IL SAGGIATORE
19,90 PIEMME
6 [-]
2. Perché non possiamo... Odifreddi
17,00 CAIRO PUBLISHING
15 [5]
Tascabili
15,50 EINAUDI
17,50 MONDADORI
5. Il ritorno del maestro di danza 15 Mankell [-] 6. La cattedrale del mare Falcones
100 [1]
17,00 MONDADORI
18,60 LONGANESI
17,00 MONDADORI
10. Il segreto di Ortelia Vitali
24 [1]
18,50 MARSILIO
6. La leggenda dei monti naviganti 7 Rumiz [4]
9. Il colore del sole Camilleri
3. I love shopping per il baby Kinsella
1. Gesù di Nazaret Benedetto XVI
14,60 LONGANESI
17,80 LAIN
17,50 EINAUDI
8. Ragionevoli dubbi Carofiglio
26 [2]
18,00 MONDADORI
4. Scusa ma ti chiamo amore 13 Moccia [2]
7. Il gioco dell’universo Maraini; Maraini
2. Il cacciatore di aquiloni Hosseini
Varia
19,50 RIZZOLI
17,50 PIEMME
14,00 EINAUDI
5. Manituana Wu Ming
36 [-]
13,00 SELLERIO
10,00 SELLERIO
3. Mi fido di te Carlotto; Abate
1. Nido vuoto Giménez Bartlett
Saggistica
9. I due liocorni Grotti
3 [7]
7,90 GALLUCCI
4 [4]
9,80 EINAUDI
10. La setta degli assassini Troisi
2 [8]
17,00 MONDADORI
LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALL’ISTITUTO DEMOSKOPEA DI MILANO, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 120 LIBRERIE A ROTAZIONE, DI CUI 80 EFFETTIVE. SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LA CIFRA FRA PARENTESI, SOTTO IL PUNTEGGIO, INDICA LA POSIZIONE IN CLASSIFICA NELLA SETTIMANA PRECEDENTE. LA RILEVAZIONE SI RIFERISCE AI GIORNI DAL 21 AL 27 APRILE.
C
he cosa sappiamo, sul tema «Lituania e libri»? Non moltissimo, ammettiamolo pure. Sappiamo che i sommi poeti polacchi Adam Mickiewicz e Czeslaw Milosz erano nati in terra lituana, che però all'epoca era russa. Che è di origini lituane pure Hannibal the Cannibal - tanto che all'uscita del film l'eroe nazionale Sarunas Marciulionis, campione di basket e star dell'Nba, mandò una lettera indignata a Ridley Scott, a Sir Anthony Hopkins e anche allo scrittore Thomas Harris. Che l'Ubu Roi di Alfred Jarry càpita in Lituania, dove non succede mai niente, nevica e basta: per fortuna un orso irrompe in scena, e viene ucciso e mangiato crudo dagli astanti. Che Vilnius compare nel bel libro di Susi Brescia Tu mi dai il male (Nutrimenti), sull'amore finito tragicamente tra Marie Trintignant
e Bertrand Cantat dei Noir Désir. Che nelle Correzioni di Jonathan Franzen, Chip finisce in Lituania per una losca faccenda. E che anche Marko Ramius (Sean Connery!), eroe della Grande fuga dell' Ottobre rosso di Tom Clancy, è mezzo lituano. Insomma: poche nozioni, e confuse. Per fortuna alla Fiera del Libro di quest'anno, come già a Francoforte nel 2002, la Lituania è il Paese ospite, e ne sapremo finalmente di più. *Nel frattempo. I lituani sono 3,7 milioni, in maggioranza cattolici, parlano la più antica lingua indeoeuropea vivente (assomiglia al sanscrito). È l'unico popolo che ha eretto monumenti ai distributori di libri, eroi della resistenza ottocentesca contro i russi: quando lo zar impose l'alfabeto cirillico, contrabbandavano volumi in alfabeto latino, e venivano fucilati. A Vilnius c'è anche un monumento a Frank Zappa,
CHE LIBRO FA... IN LITUANIA GIOVANNA ZUCCONI
L’EDEN DEI LETTORI Nel Paese ospite della Fiera, oltre 500 case editrici per 3,7 milioni di abitanti, un bestseller è tale se vende 5-6 mila copie in un paio di mesi: amatissima Jurga Ivanauskaite, «signora del punk»
ma questo non c'entra. Prima repubblica sovietica a dichiararsi indipendente, nel 1990 la Lituania aveva 6 case editrici, ovviamente statali, e ovviamente sottoposte a censura: adesso sono oltre cinquecento; e molti scrittori, non più stipendiati pubblici, si sono dovuti arrabattare. Nel 1991 i titoli pubblicati furono 2500, con tirature oltre le 10 mila copie (25 milioni di libri venduti in totale, equivalenti in Italia a qualche centinaio di milioni...): nel 2005 oltre 4000 i titoli, ma con crollo della tiratura a 1.874 copie in media. Significa che un bestseller è tale se vende cinque o seimila copie nel giro di un paio di mesi. Vanno bene gli stranieri: Milan Kundera, Umberto Eco, Alessandro Baricco, e ultimamente Robin Sharma capolista con Il monaco che vendette la sua Ferrari. Vendono decine di migliaia di copie vari, tosti volumi di storia patria. Ed esistono anche romanzi popolari all'
americana, in cui gli eroi fanno mucchi di quattrini con traffici illeciti: anche questa è una reazione alla narrativa sovietica. * Quanto alla letteratura-letteratura, dopo l'indipendenza la scena è stata dominata da tre scrittori: Ricardas Gavelis, classe 1950, fece scandalo con Vilnius poker; Jurgis Kuncinas, anche traduttore di Günter Grass; e soprattutto Jurga Ivanauskaite, l'anticonvenzionale «signora del punk» e seguace del Dalai Lama, morta in febbraio, a quarantacinque anni: molto amata, e anche molto tradotta (Italia esclusa). Nel 1993 La strega e la pioggia venne proibito: vendita ammessa solo nei pornoshop, perché raccontava dell'avventura erotica di un prete (con flashback su una strega medievale e su Maria Maddalena: molti anni prima di Dan Brown). Fu un bestseller formidabile, dal quale è appena stato ricavato un film.
Diario di lettura Umberto Eco
Tuttolibri
SABATO 5 MAGGIO 2007 LA STAMPA
Sarà Umberto Eco, l’autore de «Il nome della rosa», a inaugurare la ventesima edizione della Fiera del Libro di Torino. La manifestazione, reading e musica sul modello di «Bookstock», la «notte bianca» del 2006, è in programma il 9 maggio, nel padiglione 5 del Lingotto. Conduce Marino Sinibaldi, la regia è di
XXIII
Gabriele Vacis. I biglietti, gratuiti, sono in distribuzione (dal 2 maggio) presso Atrium, in piazza Solferino a Torino. Umberto Eco pubblicherà in autunno, per i tipi di Bompiani, il suo nuovo libro «Dall’Albero al labirinto»: vi raccoglie tutti i suoi saggi di storia della semiotica, dal Medioevo ai giorni nostri.
“ASPETTO SEMPRE I TRE MOSCHETTIERI”
edizione, ho un buon incunabolo della Divina Commedia. Dovessi proprio aggiungere qualcos'altro dovrei sostituire con la prima edizione la mia anastatica di Topolino agente della polizia segreta. Ma parliamo dei Promessi sposi. È un libro che tutti odiano perché sono stati costretti a leggerlo a scuola. Invece a me lo ha regalato mio padre quando facevo la prima media. Non avendolo letto per obbligo, mi era piaciuto moltissimo e da allora è uno dei libri che rileggo di più. Il Cyrano, poi, letto verso i tredici anni, può farti impazzire. Ancora adesso, non appena in qualche paese lo rimettono in scena, vado a vederlo e giudico la nuova esecuzione (ovviamente anticipandomi in silenzio tutte le battute) come se fossi un degustatore di vini. Quando ha pensato che avrebbe scritto un romanzo?
«Ho iniziato a scrivere racconti e romanzi tra gli otto e i quindici anni, poi ho smesso, per riprendere solo alle soglie dei cinquanta. Ho iniziato a scrivere romanzi così. Prendevo un quaderno, e scrivevo il frontespizio. Il titolo era di tipo salgariano, come
Umberto Eco sarà il protagonista della serata inaugurale della Fiera,il 9 maggio, padiglione 5 del Lingotto
Eco nella sua biblioteca: un’avventura di lettore cominciata nell’infanzia ammirando le edizioni di Dumas con le incisioni di Lenoir ALBERTO SINIGAGLIA
Sul leggio monastico di legno, lo splendido falso che ha recitato nel film Il nome della rosa, gli spartiti di Bach e Telemann attendono la sera per essere eseguiti, la sera al flauto dolce. Non si sa donde arrivi lo Schubert che Umberto Eco, smanettando al computer, ascolta beato: «Ho passato una vita a comperarmi radio intercontinentali, quando tornavo dagli Stati Uniti o dal Brasile, per ascoltare la musica che sentivo là. Con Internet ti sintonizzi su Radio Classique di Parigi, sulla radio di New York, senti i commenti sulla temperatura, ti sembra di essere in albergo». Lo studio era la cappella di questa casa di pietra del 1600 al confine tra l’alto e il basso Montefeltro, «un punto in cui gli storici locali suppongono che vivesse il Veltro dantesco». Alle pareti 10 mila libri. «A Milano ne ho 30 mila, 10 mila in altri posti: in tutto dovrei averne un cinquantamila». Profumo di lavanda dai cespi fioriti sotto la finestra dalla quale si spazia su un paesaggio collinare e pre montano. Pecore in basso e «una vecchissima pseudopiscina diventata uno stagno autociclato: ninfee, trecento pesci rossi, figli e nipoti di quattro vinti al luna park, e rane, rospi, salamandre. Qui di notte si lavora bene, sentendo un lontano abbaiare di cani nella valle, in un silenzio assoluto. Sto finendo di mettere a posto i miei saggi di storia della semiotica, dal Medioevo ai giorni nostri, e li sbatto tutti in un volume che uscirà in autunno da Bompiani e si intitolerà Dall’Albero al labirinto», confida il professore mentre continua a smanettare cercando in rete qualcosa su un libro del 1503: Margarita Philosophica di Gregor Reisch. Qual è stato il suo primo incontro con un libro?
«Mio nonno paterno era un tipogra-
fo che, andando in pensione, si era messo a rilegare libri. Ricordo di alcune visite a casa sua quando avevo circa sei anni: curiosavo su un tavolone e vedevo le edizioni ottocentesche di Dumas con le incisioni di Lenoir. Credo che nasca di lì il mio interesse per la letteratura d’appendice. Poi non saprei se ho cominciato con Pinocchio o con Salgari. Mia nonna materna che aveva nel comodino vecchie edizioni che andavano dal Piccolo Alpino di Salvator Gotta a Balzac e ad alcune riduzioni per ragazzi di Gargantua e Don Chisciotte, più naturalmente Il piccolo
«In uno scaffale ho le prime edizioni dei libri che considero più miei: dai Promessi sposi a Topolino, mi manca D’Artagnan» lord e Incompreso. Invece ricordo che, direi intorno ai sette o otto anni, ho scoperto in cantina una cassa di libri che probabilmente mio nonno non aveva fatto in tempo a rilegare prima di morire e che forse nessuno aveva mai richiesto indietro. Si andava da molte annate del Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure di terra e di mare alla Origine delle specie di Darwin. Di quella cassa non è rimasto più nulla, salvo due edizioni popolari, una de Il Milione e una dell’Uomo che ride. Avevo talmente letto e riletto, e imprestato agli amici, tutti quei fogli slegati, che deve essere andato tutto in pezzi. Per il resto della vita, faticosamente, esplorando bancarelle e cataloghi di libri usati, ho ricostruito quasi completamente il contenuto di quella cassa». Leggeva anche i giornalini?
«Ho memoria vivissima del primo racconto sul Corriere dei Piccoli, che evidentemente mi leggeva mia mamma, perché era del 1936, e io allora avevo solo quattro anni. Ma è il ricordo anche del mio primo turbamento
sessuale, di fronte alla moglie bianca di un ras etiopico salvata da un coraggioso avanguardista fuggendo sugli alberi. Ne parlo ne La misteriosa fiamma della regina Loana, dove riporto anche l’immagine. Poi nel 1941 avevo chiesto di avere anche Il Vittorioso, mentre la famiglia nicchiava perché era a fumetti e non con le didascalie come il Corrierino, e la cosa era giudicata diseducativa. Invece Topolino e L'Avventuroso li avevo in prestito solo dagli amici». L’autore, i testi che l’hanno definitivamente instradato?
«So benissimo di dire qualcosa di molto snob, ma sono stato grandemente influenzato dai libri scolastici. Anche questi li ho poi ricomprati tutti e mi sono accorto che ricordavo pagina per pagina il mio libro di lettura della prima classe. È forse un libro scolastico che mi ha iniziato al problema della morte. A quell’epoca, da bravi Balilla, eravamo educati a concepire l’amore per la patria come tributo di sangue, a non inorridire ma anzi a eccitarci di fronte a una campagna allagata di sangue. D’altra parte anche le copertine (di origine francese) del Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure mi parlavano degli orrori della guerra e di massacri e torture in paesi esotici, per non dire di Salgari. Però sul libro di lettura della quinta classe avevo letto un racconto, Loma Valente. Era un episodio eroico della guerra di Spagna: un battaglione di Frecce Nere dà l'assalto a un cocuzzolo, una loma in spagnolo, e un plotone è comandato da un atleta bruno di ventiquattro anni, Valente, che in patria studiava lettere e scriveva poesie, ma aveva anche vinto i Littoriali per il pugilato, e si era arruolato volontario in Spagna, dove c'era "da combattere anche per i pugili e per i poeti". Il racconto descrive le varie fasi di questa eroica impresa, i rossi ("maledetti, dove sono? perché non vengono fuori?") sparano con tutte le loro armi, a scroscio, Valente è quasi sulla cima, e un colpo
TUTTOlibri RESPONSABILE: NICO ORENGO. IN REDAZIONE: LUCIANO GENTA, BRUNO QUARANTA.
secco in fronte gli riempie gli orecchi di un terribile frastuono: "Poi, buio. Valente ha il viso sull'erba. Il buio ora è meno scuro; è rosso. L'occhio dell' eroe più vicino a terra vede due o tre fili d'erba grossi come pali... Che cosa significa morire? E' la parola, di solito, che fa paura. Ora che muore, e lo sa, non sente né caldo, né freddo, né dolore". Sa solo che ha fatto il suo dovere e che la loma che ha conquistato porterà il suo nome. Quelle poche pagine mi hanno raccontato per la prima volta la vera morte e mi hanno mostrato come non fosse affatto eroica, per quanti sforzi l'autore facesse. Quell'immagine dei fili d'erba grossi come pali mi avevano ossessionato a tal punto che varie volte, in campagna, mi ero sdraiato con il viso quasi schiacciato sull'erba, per vedere davvero quei pali». Quali sono stati i libri della sua vita? Quali rilegge?
«Se qualcuno nella propria vita avesse avuto sempre lo stesso o gli stessi libri sarebbe un idiota. Ogni periodo
«Alla lettura devo anche il mio primo turbamento sessuale: un racconto sul Corriere dei Piccoli, la moglie bianca di un ras etiopico» di una vita viene segnato da libri diversi. Se vuoi però possiamo cercare un indizio nella mia passione bibliofila. Ho uno scaffale in cui ho messo insieme una serie di prime edizioni, e sono quelle dei libri che considero più "miei". La serie comprende I promessi sposi (sia la primissima edizione detta Ventisettana che la Quarantana, dopo la risciacquatura dei panni in Arno), Sylvie di Nerval, Pinocchio, Cyrano de Bergerac, À rebours di Huysmans, l’Ulysses e il Finnegans Wake di Joyce. Se trovassi la primissima edizione vi aggiungerei I tre moschettieri. E naturalmente, se non la prima
Gli scorridori del Labrador o Lo sciabecco fantasma. Poi scrivevo in basso il nome dell'editore, che era Tipografia Matenna (audace ircocervo composto da "matita+penna"). Quindi collocavo ogni dieci pagine una illustrazione, sul tipo di quelle di Della Valle o Amato per le edizioni di Salgari. La scelta dell'illustrazione determinava la storia che avrei poi dovuto costruire. Di questa scrivevo alcune pagine del primo capitolo. Ma, per fare qualcosa di editorialmente corretto, scrivevo a stampatello, senza potermi consentire correzioni. Ovvio che dopo alcune pagine abbandonassi l'impresa. Così sono stato, a quell'epoca, solo l'autore di grandi romanzi incompiuti». Va in libreria?
«Malauguratamente sempre meno perché ricevo decine di libri omaggio ogni giorno. Debbo fare un lavoro terribile solo per decidere quali tengo, quali sposto in campagna, quali regalo agli studenti (nella mia Scuola Superiore di Bologna c'è un tavolo con un cartello "Prendi un libro e scappa", e ogni volta che si sa che arriva una nuova serie di scatoloni si forma una coda di studenti famelici, che fanno a gara a chi arraffa subito i pezzi migliori). Così elaboro la falsa persuasione di sapere che cosa è uscito, mentre non è vero, perché una specialità degli uffici stampa delle case editrici è di mandarti di tutto, anche i libri di cucina, ma mai quelli che veramente possono interessarti. Questo riduce le mie andate in libreria, anche perché non ne posso più di vedere libri. Per cui quando ho bisogno di qualcosa di specifico compero su Internet. In libreria ci vado se mai solo per chiacchierare col libraio, ma è un'altra faccenda». Chissà quante volte le hanno chiesto: «Mi consiglia tre libri per cominciare a fare una biblioteca a mio figlio?»
«Mi rifiuto di rispondere. Questo figlio deve farsi una biblioteca da solo. Nota bene che questo vale anche se il figlio ha tre anni. Ho visto col mio nipotino. Accade che gli porto quattro libri per bambini (anche di quelli me ne arrivano in omaggio) convinto che tre siano divertentissimi e l'altro troppo difficile anche come stile di disegno, o in ogni caso irrilevante. E poi scopro che è proprio il quarto quello che gli piace di più. In ogni caso se il bambino è piccolo, almeno per la generazione di oggi c'è un genere che li fa diventare pazzi: libri di dinosauri».
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