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LA STAMPA SABATO 3 MARZO 2007 PAGINA I
SETTIMANALE LEGGERE GUARDARE ASCOLTARE NUMERO 1553 ANNO XXXI
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FULMINI NICO ORENGO
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NELLA MORSA DI MAROSIA
TUTTOlibri Settecentodiciannove pagine fitte. Tante sono quelle del nuovo romanzo di Marosia Castaldi, «Dentro le mani le tue», pubblicato da Feltrinelli, senza serial killer, inseguimenti in autostrada, rapine in banca o dirottamenti aerei e kamikaze nelle torte di compleanno. No, ma emozioni, epifanie, vite dolenti, un flusso verbale, un monologare respingendo il tempo o dilatandolo fino a pagina settecentodiciannove, in una frase senza punto perché avrebbe potuto ospitarne ancora. A Londra si taglia «Guerra e pace». Qui si sequestra il lettore.
IL PERSONAGGIO
ANNI CINQUANTA
DIARIO DI LETTURA
SERRI
GAMBAROTTA
MORAZZONI
Il Nord-Est di Trevisan Nel «Ponte» i nervi fragili del nuovo boom P. III
Nella balera arriva il rock Con Mingardi ballando lungo la via Emilia P. V
In viaggio con i classici Girare il mondo con Proust e Petrarca
P. XII
Alcune delle immagini dall’album Rizzoli « Le donne che leggono sono pericolose». A destra «Fanciulla che legge», 1850, di Franz Ebyll
A sinistra in alto, «Anziana donna che legge», 1631, di Rembrandt. Qui a fianco «Fanciulla che legge», 1828, un dipinto di Gustav Adolph Henning, pittore classicista di Lipsia (1797 - 1869)
«Hotel Room», 1931, di Edward Hopper (1882 - 1967): il dipinto è a Madrid, nella Collezione Thyssen Bornemisza
Un album da 8 marzo Quando il libro è il primo amore, lei diventa... pericolosa
ATTENTI ALLE DONNE CHE LEGGONO
I libri meglio delle mimose: alla vigilia dell’8 marzo Rizzoli manda in libreria l’album «Le donne che leggono sono pericolose. Una storia della lettura in immagini dal XIII al XXI secolo» (pp. 154, €29), con riproduzioni a colori da Simone Martini a Van Gogh, da Fragonard a Vallotton, con testi di Stefan Bollmann e Elke Heidenreich. Anticipiamo qui la prefazione di Daria Bignardi. DARIA BIGNARDI
Un titolo come Le donne che leggono sono pericolose sembra portare con sé un sottotitolo invisibile: le donne che leggono sono delle rompiscatole. Già immagino i commenti maschili: «Perché le donne che leggono se ne vantano così tanto? Gli uomini non lo fanno». A dirla tutta non me lo immagino: l’ho sentito dire, veramente, da mio marito. Le donne che leggono sono pericolose soprattutto per se stesse. Ci sarà un motivo se la storia dell’umanità ha ritardato
la lettura alle donne: la natura sapeva che avrebbe complicato loro la vita. Comunque sia, pazienza: leggere è meraviglioso, è forse l’esperienza più emozionante della vita, quella che ti accompagna più a lungo, dall’infanzia alla morte. Io sono stata una lettrice compulsiva. A quattro anni leggevo. A otto avevo letto praticamente tutti i libri per bambini esistenti e a tredici la maggior parte dei classici russi e francesi. Ma avrei letto anche Dan Brown, se fosse esistito negli Anni Settanta e l’avessi trovato in casa: leggevo tutto. Dall’eti-
chetta dell’acqua minerale a Donna Letizia su Grazia di mia madre, alla Selezione del Reader’s Digest a cui era abbonata mia sorella. Un libro al giorno, cinque giorni la settimana, perché il sabato e la domenica andavamo in campagna. I libri erano per la casa, che stava dentro la città, che stava dentro la nebbia. C’era una grande nebbia a Ferrara ed era una bella scusa per starsene arrotolati sul divano a leggere. Venti libri al mese. Duecentoquaranta libri all’anno. E quando ero malata, cosa che succedeva spesso perché soffrivo di tonsillite, facevo le «orge», come diceva mia madre: uno, due, anche tre libri in un giorno. Prima dei diciotto anni avrò letto tremila libri. ma così: voracemente.
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Agenda
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Tuttolibri
SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
SCRIVERE A
LA POSTA DI CARLO FRUTTERO
L’Italiano di Manganelli Gentile Fruttero, «un italiano libero è un italiano che l'ha fatta franca». Questa massima un po' estremistica non è farina del mio sacco, me la riferisce un amico che però non ricorda dove l'autore (Giorgio Manganelli) l'abbia scritta. Io di Manganelli sapevo che è una figura importante della nostra letteratura e ho anche provato a leggere un paio di suoi romanzi, trovandoli troppo difficili per me. Ma ignoravo che fosse anche uno scrittore,
Carlo Fruttero, Tuttolibri-La Stampa, via Marenco 32, 10126 Torino
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per così dire, «di costume», come sembra indicare la battuta di cui sopra. Può darmi lei qualche notizia? Con stima. Giovanni Durci, Ancona
Gentile signor Durci, Manganelli, che incontravo qualche volta a Torino e Milano, era un personaggio leggendario per le sue mille fisime e stranezze. Timidissimo, riservatissimo, molto amato dagli amici, scrisse libri senza dubbio «difficili» ma di una sapienza e raffinatezza stilistiche ineguagliabili. Per molti è il massimo prosatore italiano del secolo scorso. E tuttavia, sorprendentemente, fu anche scrittore «di costume» appunto, un sarcastico fu-
stigatore del Bel Paese, nella linea di Longanesi, Montanelli, Fortebraccio, Flaiano e del nostro Gramellini. Collaborò a varie riviste e quotidiani, tra i quali anche questo, con brevi corsivi di iperbolica ferocia a commento di fatti e fatterelli quotidiani. Di lì certo viene quella massima da lei citata, anche se non saprei dirle la fonte esatta. Forse la troverà in un libretto di Manganelli appena uscito, Mammifero italiano (Adelphi, a cura di Marco Belpoliti) che raccoglie parecchie di quelle paginette scorticanti e divertentissime sui più diversi temi: le tasse, il latino, la Patria, la famiglia, il sedere, il calcio, la Chiesa, il divorzio ecc. Le garantisco che non tro-
verà niente di «difficile», il Manganelli giornalistico mette le sue doti d'acrobata a servizio pieno del lettore in teatro e le sue «trovate» non hanno mai nulla di compiaciuto. Sono invenzioni paradossali di suprema qualità comica e si può solo rimpiangere che oggi quella penna ilare e micidiale non sia più a nostra disposizione per presentarci da un'angolazione del tutto impensata le attuali miserie e follie nazionali. Ah, poter avere Manganelli su Follini il Clorofillo e l'ex top-model Sircana, i Dico Non Dico, e i soldati italiani in Afghanistan armati fino ai denti ma che non debbono sparare, per carità…. Carlo Fruttero
PROSSIMAMENTE
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appiamo davvero qualcosa dell’Islam? Centinaia di saggi, talvolta molto specialistici. Divulgazioni mediatiche, talvolta approssimative o svianti. Come rivolgersi, invece, al lettore comune, «ad ogni lettore, anche di conoscenze modeste» e accompagnarlo, «nell’assoluto rispetto dei canoni testuali, dentro la grande tradizione islamica»? E’ il problema che si è posto la Mondadori, in qualità di massima editrice italiana, quindi non solo «d’affari» ma anche di «servizio», una Rai di carta (come dovrebbe essere la Rai e spesso non è). Ergo la nascita tra pochi giorni, dopo un’incubazione iniziata subito dopo l’11 settembre, della collana per l’appunto «Islamica» diretta da due studiosi come Ali Amir Moezzi della Sorbona e Alberto Ventura dell’«Orientale» di Napoli. E dove l’esordio avviene con la storia del personaggio più affascinante, Vite antiche di Maometto, costruita con un intarsio di molte «voci» dai primi secoli islamici, un libro «che non ha equivalenti nell’editoria occidentale», come spiega Antonio Riccardi, direttore editoriale libri di Segrate. UNA SCOMMESSA
Ogni anno 4 volumi di testi arabi, persiani e turchi che la Mondadori, proprio per la filosofia del progetto (non solo letteratura ma «evento politico culturale»), manderà anche nella grande distribuzione. Per rivelare «agli occidentali, che non l’hanno mai conosciu-
ta, questa strepitosa ricchezza; e ai musulmani, che l’hanno quasi completamente dimenticata, quante ne siano le luci, le ombre e le sfumature». Maometto II e la sua Conquista di Costantinopoli nel 1453 di Tursun Bey, per la prima volta in lingua occidentale, è la seconda uscita della collana, cui seguiranno Il Cristo dell’Islam(titolo provvisorio)di Al-Hallaj (857-922 d.C.)uno dei più alti interpreti del Sufismo, messo a morte a Baghdad dai rigidi custodi dell’ortodossia con un supplizio diventato leggenda. Altro grande «classico», Il fruscio delle ali di Gabriele (titolo anch’esso non definitivo) dell’iraniano Sohravardi (1155-1191) che per il suo tentativo di far ritornare il pensiero filosofico alle sue origini sacrali, fu condannato e morì in carcere. Antonio Riccardi, nostra guida, sottolinea le «difficoltà di sesto grado che hanno dovuto superare i traduttori» (da Luca Berardi a Sergio Foti allo stesso Alberto Ventura) «quanto la meravigliosa leggibilità dei testi, alcuni dei quali potranno divertire anche i bambini». In sostanza una notevole apertura di credito al pubblico italiano.
L’ISLAM SPIEGATO A TUTTI MIRELLA APPIOTTI
Una nuova collana Mondadori, rivolta ad ogni lettore, anche di conoscenze modeste: ogni anno proporrà 4 volumi di testi arabi, persiani e turchi, l’esordio con le «Vite antiche di Maometto», mille voci dei primi secoli L’ascensione del profeta Maometto (Londra, British Museum)
LA BICI DI ELLIOT
FELTRINELLI BISTROT
L’uomo che pedala «sinonimo di libertà verso tracciati da percorrere all’infinito»: il bel logo della Elliot, nascente editrice romana «indipendente» (anche se di proprietà della Vivalibri) si addice al comitato editoriale di quarantenni che la conduce. Tutti piccoli guru dell’editoria, da Giovanni Arduino, già Sperling e scrittore, a Loretta Santini, ex Fazi, a Fe-
A Mestre, tra libri, musica, home video, videogame, al sesto piano del Centro Le Barche, il primo ristorante in un megastore della ormai immensa catena creata dall’editore di via Andegari. Buon cibo, buon bere, due chef internazionali. Dice la grande Inge: «Un successo strepitoso». Business, ma anche piccolo atout per la città brutto anatroccolo veneziana.
Attenti alle donne che amano i libri p
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Senza un piano, senza un criterio, senza un controllo, bulimicamente. Un vizio. Piacevole, come tutti i vizi, ma meno dannoso di altri. Le donne che leggono sono pericolose perché non si annoiano mai e qualunque cosa accada hanno sempre una via di fuga: se ne infischiano se le fai troppo soffrire perché loro s’innamorano di un altro libro, di un’altra storia, e ti abbandonano. Oggi non leggo più come a nove anni: non ho più tempo. Quando va bene leggo un libro la settimana e spesso nemmeno: solo in vacanza faccio le «orge» come quando da bambina avevo la tonsillite. [...] Le donne che leggono sono pericolose perché nutrono i lo-
ro sogni e non c’è nulla di più rivoluzionario di una donna che sogna di cambiare la propria vita: se lo fa, farà la rivoluzione, se non lo fa seminerà il terrore. NON AMO CHI NON LEGGE
Mia nipote Annalena ha ereditato i gusti di sua madre, mia sorella: adora «quel che non avevo mai letto prima, tutti i romanzi di Fruttero e Lucentini. E poi tutto Philip Roth e soprattutto Giorgio Bassani, che leggo e rileggo in continuazione da quindici anni». «Pensa», dice con orgoglio perché è antifemminista, «neanche una donna tranne Anne Tyler, quella di Quasi un santo. Le altre una noia. Italiane zero, anche se Elena Ferrante ha un suo morboso perché. Mary McCarthy, Il gruppo, figata assoluta, ma è un libro soltanto». Renata, la mia migliore ami-
lice di Basilio, ex Arcana (sigla storica con molti passaggi, ora da Fazi al nuovo gruppo), a Monica Capuani, giornalista e scrittrice, a Patrizia Renzi per l’ufficio stampa, persona molto stimata nel mondo editoriale. Gente che sa non solo come scrivere ma soprattutto come fare i libri. Partono in maggio, 25 titoli l’anno, narrativa straniera, saggistica, musica, teatro e arti visive, graphic novel, fumetti, dvd. Come si vede tutto, eccetto la narrativa italiana per ora rimandata e che per le sigle esordienti rappresenta sempre il traguardo-rischio più temuto anche se ambito. Ad aprire le operazioni, nella collana «Scatti», una Los Angeles un po’ punk un po’ glam di Angeli pericolosi della giovane Francesca Lia Block. Ripescaggi di culto come il romanzo del regista Sam Fuller The big red one sulla sua esperienza di soldato troveranno posto nei «Raggi», mentre tra gli «Antidoti» dominerà probabilmente Il piccolo libro del plagio di Richard A. Posner «pamphlet ironico ma non acido, caustico ma non inutilmente cattivo». Come caustici ma non cattivi saranno i 4 cavalieri di Elliot.
ca, è il suo opposto: legge quasi solo libri scritti da donne. Soprattutto romanzi spagnoli in lingua originale e romanzi indiani. Più sono lunghi più le piacciono: certi mattoni. E Francesca, che vorrebbe essere una fanciulla dell’Ottocento, fare conversazioni brillanti, cambiarsi d’abito per pranzo e organizzare battute di caccia alla volpe e invece lavora con me in televisione, legge solo in inglese e preferibilmente autrici inglesi: Vita Sackville-West, Virginia Woolf, Jane Austen... poi George Eliot, Edith Wharton, le sorelle Brontë, le prime cose di Antonia Byatt, Sue Townsend e la sua gloriosa serie di Adrian Mole... Non ho mai avuto un’amica che non leggesse: non potrei diventare veramente amica di una donna che non legge. Né amare un uomo che non legge, ça va sans dire...
Una delle cose che più mi piacciono in questo libro è il racconto di dove leggono donne. Io da ragazza leggevo in poltrona come la fanciulla di Fragonard: ora leggo distesa sul divano, come Maria Adelaide di Francia ritratta da Liotard, ma senza cappellino. O ancor meglio come la signora tornata dal ballo di Ramón Casas y Carbo: abbiamo il divano verde salvia uguale, ma il suo è più pulito. Però non so come faccia la signora Vighi a leggere in poltrona con quel vestito da sera rosso, a momenti qualcuno le chiederà di uscire e addio lettura. COM’È TRISTE MARILYN
Mia suocera Alessandra legge su una sedia come l’Arlésienne di Van Gogh, col libro appoggiato sul tavolo. Renata quando può legge all’aperto e sogna, come la dama ritratta da Vittorio Matteo Corcos sulla panchina, alla quale assomiglia un sacco. Io invece leggo meglio al chiuso. E molto vesti-
ta. Non potrei mai leggere nuda come le ragazze di Roussel, Hopper o Vallotton. Meno che mai nuda e in piedi come la fanciulla ritratta da Albert Marquet. In costume da bagno nel bosco poi, come Marilyn Monroe ritratta da Eve Arnold, nemmeno morta. La foto della Monroe è forse l’unica immagine del libro che mi fa tristezza. Sarà che Marilyn legge l’Ulisse di Joyce, un libro che non ho mai amato, o che lo fa con tale evidente perplessità e incostanza, oppure è il suo abbigliamento improbabile... non posso fare a meno di pensare che se Marilyn avesse letto meno accidentalmente, senza far filtrare le sue letture da nessun Arthur Miller, avrebbe fatto una miglior fine. A letto, naturalmente, leggere è fantastico, soprattutto se si è malati, con le pile di libri che crollano tra le coperte, le tazze di camomilla, le medicine che profumano di canfora. Si passa dal libro al sonno e dal sonno al
LA RUPE TARPEA LUCIO CALPURNIO BESTIA
CHE NOIA SALIRE SUL SINAI
C’
è sempre qualcosa di goffo e persino di puerile nei sacerdoti laici quando, forse per dare prova di emancipazione, spiegano i testi sacri. Succede sovente che epigoni deviazionisti di un Norberto Bobbio si cimentino con le lettere ai Tessalonicesi, poiché la loro versatilità intellettuale non ammette che pochissimi vicoli a fondo chiuso. La più celebre illustrazione della Torre di Babele (di Pieter Bruegel il Vecchio) sulla copertina di Sottosopra (Mondadori, pp. 110, €12) fa capire immediatamente dove si stiano infilando Erri De Luca e Gennaro Matino. Passi per il secondo, parroco e prolifico teologo napoletano. Non ci sarebbe da ridire anche su De Luca, ex di Lotta Continua, spinto dal riflusso prima in fabbrica e poi nell'eremitaggio campagnolo e nella letteratura. Che in fondo è sempre meglio di alcuni compagni di rivoluzione riparati nel macrobiotico. Però, ecco, pure De Luca, nelle pagine di sua spettanza, occupandosi dell'alpinismo biblico e della nessuna corrispondenza con le carte geografiche (c'è e dov'è il Sinai?), propone lo stupore fanciullesco del non credente alle prese con la parola rivelata. Naturalmente non cede alla superstizione, non a quella, almeno, ma fa intendere che il pregiudizio finisce lì, e per il resto la magia è intatta. Un' operazione scontatella, venuta a noia, ma tutto sommato sopportabile. Perlomeno fino a quando non serve per un approccio filosofico con cui si riflette sul legno della croce patibolare del figlio del falegname, che sconfigge il metallo rude dell' aquila romana. E infine l'interpretazione della buona novella, il Vangelo, secondo la quale i lieti di Cristo sono i migratori respinti e i bombardati in casa. Chi era il primo comunista?
libro in un limbo meraviglioso di riposo, pigrizia e solitudine. La solitudine è essenziale per leggere. L’ideale è essere soli nella stanza: meglio ancora se tutti dormano ancora. Essenziali anche tazze e bevande: la mia tazza da tè preferita da lettura è stata per anni una tazza di Fornasetti a forma di gatto: poi qualcuno l’ha rotta e ora la mia preferita è una tazza russa di smalto blu coi bordi dorati. Ma invidio molto quella gialla del dipinto di Charles Burton Barber, Ragazza che legge con carlino. E le invidio anche il cane che le sta in braccio mentre legge e sembra leggere con lei. Strano che non ci siano gatti in questo libro: solo tre cani, qualche bambino, un paio di uomini, qualche amica. Libri, bambini, tazze da tè, amiche, vestiti, animali. Rari fidanzati. In questo libro di donne che leggono, c’è tutto il mondo delle donne. Dannate rompiscatole, è vero. E allora?
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Il personaggio
Tuttolibri
SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
mazzata e seppellita in giardino. Ma Thomas si chiama anche il protagonista, afflitto da una crisi di nervi, de Il ponte. Punto di riferimento narrativo costante è Thomas Bernhard. Trevisan, che rifiuta tutte le etichette, finisce per tornare in tutti i suoi libri in quell'asfittico territorio di produttività indefessa, di extracomunitari sfruttati, di pub per coppie scambiste e amanti del turn over erotico, di bar e ristoranti dove i cucchiaini sono tutti bucati in modo che non vi si possa sciogliere l'eroina. I rapporti familiari e di «buon vicinato» creano una rete di divieti, sono costellati di pensieri non detti, illazioni, strane proiezioni. E si fa presto, quando si è finiti nel buco nero della depressione, a essere identificati come assassini o folli (nelle pagine di Trevisan spesso si avverte la presenza di Patricia Highsmith, gran maestra nella plumbea atmosfera del sospetto). Sullo sfondo c'è sempre Vicenza, odiataamata città dove ci si ammazza di fatica e al posto dell'aperitivo si consuma crack, coca, marijuana. AL CINEMA CON GARRONE
Vitaliano Trevisan: «Altro che quattrini a fiumi. Nel Nord-Est la povertà è più diffusa di quanto in genere si pensi»
Trevisan Thomas, il protagonista del «Ponte», rinvia
a Bernhard: sullo sfondo c’è sempre Vicenza, odiata-amata città dove ci si ammazza di fatica, crack, coca, marijuana
“I NERVI FRAGILI DEL MIO NORD-EST” MIRELLA SERRI
«Non chiamatemi scrittore vicentino, veneto, nordestino. Chiamatemi narratore austroungarico». Un nostalgico del lontano passato asburgico, lo scrittore Vitaliano Trevisan? Macché. E' moderno, anzi modernissimo, ma non ama le etichette. Anche a costo di prendere le distanze dal ritratto assai lusinghiero che la critica gli ha cucito addosso: quello di sommo cantore - insieme ad Andrea Zanzotto, Marco Paolini, Gian Antonio Cibotto, Ferdinando Camon e Luigi Meneghello - di una provincia, bulimica e prosperosa, enfatizzata da villette, fabbrichette e tanta ricchezza. «Non voglio certo rinnegare le mie origini», osserva il narratore di cui è in libreria l'ultimo bellissimo romanzo, Il ponte. Un crollo, e che, tanto per rimarcare l'identità prealpina, indossa una giacca tirolese con bottoni in corno. «Viviamo di stereotipi. Si parla del
Nordest come di un mondo compatto, omogeneo. Un concentrato di esplosivo benessere. Combatto questi cliché. Altro che quattrini che scorrono a fiumi. Basta un esempio: la povertà, l'indigenza dalle mie parti sono molto più diffuse di quel che gli economisti non dicano». BABYSITTER E GELATAIO
Il romanziere, insomma, nonostante Vicenza gli abbia dato i natali, non vuole sentirsi incoronato come cittadino-simbolo di quel regno assai poco unito. E la sua mise altoatesina è una specie di bandiera mitteleuropea: Trevisan sembra l'ultima incarnazione di un Nordest molto kafkiano, costellato di regole ferree e di impensabili trasgressioni. Lui che per anni ha condotto un'esistenza assai libera detesta pure di sentirsi chiamare scrittore «irregolare», ovvero privo di regolare pedigree letterario. Trevisan è un outsider che, prima di approdare alla narrativa è stato lattoniere e babysitter,
gelataio in Germania e portiere di notte, disegnatore di interni e di barche a vela. Come romanziereha visto la luce a 33 anni. Thomas è il nome del protagonista di Quindicimila passi dove domina - come anche nei racconti di Shorts - il senso di un'oscura violenza che si esercita sugli uomini e sugli animali. In questo romanzo itinerante - il camminatore protagonista è ossessivamente stupito dal fatto che il numero dei passi che compie all'andata non coincida mai con quelli che impiega per il ritorno - la critica francese ha individuato un estremo iperrealismo. I giornali d'Oltralpe, dove è stato tradotto di recente («i francesi mi hanno forse capito più dei connazionali», osserva lo scrittore), hanno applaudito proprio la figura di Thomas, personaggio segnato da una furia estrema che vive in «un buco di provincia, pieno solo di persone ottuse e pericolosamentemalvage», con i genitori assenti, il fratello che è una sorta di alter ego conflittuale e la sorella morta am-
Lo scrittore si dichiara timidissimo, ma di recente è stato non solo sceneggiatore ma anche attore protagonista di Primo Amore di Matteo Garrone e di Riparo di Marco Simone Piccioni. Il ruolo che interpreta rientra nella categoria che lui più detesta, quella degli imprenditori. Vicentini, ovviamente. «In Italia si lamentano tutti in modo comunque insopportabile. Ma il modo di lamentarsi in assoluto più insopportabile di tutti è il lamento alla veneta. in particolare alla vicentina… Nessuno si lamenta in modo così fastidioso come, sempre e di continuo, i cosiddetti imprenditori vicentini», annota. Ancora in Francia, Trevisan è stato indicato come l'ultimo dei letterati libertari, come uno che procede alla maniera di Beckett, sapiente fustigatore di costumi. A far le spese dei suoi strali c'è il Sessantotto («Se un albero si giudica dai frutti e non dalle intenzioni, l'albero del Sessantotto lo si potrebbe usare benissimo come legna da ardere»), il Settantasette, gli intellettuali e i politici italiani: «veri maestri nell'arte del trasformismo, nessuno al mondo si trasforma più velocemente di un intellettuale italiano», scrive l'Antitaliano per eccellenza. Ma anche questa attribuzione non gli sta bene. «Questa definizione di antitaliano non mi convince», osserva Trevisan. «Preferisco quella di testimonial dell' italiano disperato. Che copre di invettive e si prende alcune licenze». Suoi numi tutelari sono Pier Paolo Pasolini, il saggista Giulio Bollati, autore di un memorabile saggio sui radicati difetti dei connazionali, Guido Piovene de Il viaggio in Italia. L'unica autorità di fronte alla quale Trevisan non si ribella e piega la testa è la loro, insieme a quella di grandi filosofi come Schopenhauer, Wittgenstein e anche Heidegger… Ma in generale, gli intellettuali, spiega lo scrittore, non hanno niente da insegnare o comunque da comunicare. «Quei tediosi intellettuali di sinistra europei, non sono nulla in confronto ai tediosissimi intellettuali di sinistra italiani, che infestano non solo le terze, ma anche le prime e le seconde pagine, e scrivono di tutto su
IL LIBRO
VITALIANO TREVISAN
Il ponte. Un crollo
EINAUDI - STILE LIBERO, pp. 153, €15
«Il ponte» congiunge alcune complicate esistenze: quella di un professore emigrato in Germania; quella di un ragazzino che vuole dimostrare al mondo di essere un piccolo grande eroe e finisce morto con la sua bicicletta abbandonata tra i rovi; e quella di un imprenditore vicentino capace di forzare tanti limiti. Anche quelli di velocità. Preda dell’ebbrezza del correre, Roberto, industrialotto dal curioso soprannome di Pinocchio o di Modesto, si schianta con la sua Ferrrari Testarossa. Thomas, il docente protagonista de «Il ponte», vede un altro se stesso proprio in suo cugino Pinocchio con cui ha condiviso la vita spericolata dei ragazzi nati negli Anni Sessanta. All’origine di tutto c’è l’errore originario, l’aver avuto i natali in quel maledetto buco di provincia e c’è una madre ossessionata dalle cure per il giardino che Thomas adora distruggere mentre compie efferate sevizie su animali vari. Ma nella storia rientra anche la morte oscura del ragazzino a cui Thomas ha fatto da ambiguo padre. E di oscuro in questo racconto c’è, anche, la nera bestia della depressione. [M. S.]
tutti e su tutto, con quel loro rivoltante italiano da terza pagina…».Non hanno saputo salvare la generazione che ha visto la luce negli Anni Sessanta e poi è finita nel baratro prima di compierne 30. L'unica loro forma di fuga da un individualismo sfrenato è stata la passione collettiva per l'alcol o per acidi e anfetamine e droghe varie. «Che c'è da stupirsi se abbiamo sperimentato di tutto? E poi non abbiamo deputati ed ex presidenti del Consiglio cocainomani?». Ogni opera di Trevisan rconta una follia che sempre e comunque, ci riguarda. Con un pizzico di horracor e di ironia, a volte esercitata pure sulle mode letterarie, come quella, oggi imperante, del noir. Un'ironia macabra che Trevisan non fa mancare nemmeno nel suo talento di scrittore di teatro. Tra un po’ porterà in giro per l'Italia due sue opere, Tre drammi brevi e Quattro stanze con bagno. Di queste stanze, due sono dislocate a Roma, una a Venezia. L'ultima?«E' l'obitorio».
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IV
Narrativa italiana Un disegno di Guido Scarabottolo, curatore della grafica Guanda
Guido Conti Una crisi familiare disegnata con icastica bravura
UNA PALLA CONTRO IL DISAMORE
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Guido Conti LA PALLA CONTRO IL MURO GUANDA, pp. 182, €14 ROMANZO
LORENZO MONDO
Guido Conti è scrittore versatile, dotato di una arguzia tagliente, disposto a lasciarsi contagiare dal surreale ed abbandonarsi agli estri della sua terra padana, che sa rappresentare anche con una felice, fisica aderenza. Ma nell’ultimo romanzo, La palla contro il muro, la Parma natìa è poco più di un nome, potrebbe essere una qualsiasi città della provincia italiana, eletta a scenario di un diffuso disagio esistenziale. La storia comincia con un furioso litigio tra moglie e marito - urla e cassetti rovesciati - per un paio di
mutande che non si trovano. E’ una situazione apparentemente comica che, insieme allo stesso pretestuoso indumento, fornisce la cifra miseranda di un rapporto che si sgretola. «Non avrei mai pensato - osserva il figlioletto Luca - che un paio di mutande potessero far separare mamma e papà». Guido Conti disegna con icastica bravura il contesto in cui matura la crisi familiare. Si comincia con le lunghe assenze del padre, perso dietro il lavoro straordinario che dovrebbe assicurargli una promozione e migliori condizioni di vita, con la stanchezza di una donna sempre più sola, divisa tra le cure della casa e l’impiego. Gli imperversanti quiz televisivi, più che una distrazione rappresentano un commento beffardo alle stente riunioni familiari. Poche e parsimoniose le evasioni da giornate sempre uguali: il gelato, una serata in pizzeria, le soste davanti alle agenzie di viaggio, sognando improbabili vacanze. E l’aggirarsi magari in un centro commerciale, dove «ti vien voglia di comprare tutto, non solo pasta, frutta, formaggi o dolci, ma pure le gomme della macchina in offerta, anche se non sai dove metterle, oppure il nuovo pigiamino del bimbo, anche se un bimbo non ce l’hai». Una avvilente ritualità, un cedi-
Degli Antoni La velocissima
«Notte di Peter Pan», noir d’antan
IL MUSICISTA NEL MIRINO DELL’EVASO p p p p p
Piero Degli Antoni LA NOTTE DI PETER PAN RIZZOLI pp. 275, €17,50 ROMANZO E’ il nuovo romanzo di Degli Antoni che ha esordito nel 2000 da Bompiani con «Gli uomini preferiscono le bionde», proseguendo con Fazi («La verità è un’altra», «L’udienza è tolta») e Rizzoli («Ghiaccio sottile»).
Tuttolibri
SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
mento a dozzinali feticci, mentre si perde la capacità di parlarsi, di custodire e riattizzare gli affetti d’un tempo. Si aspetta con impazienza che arrivino i lunedì a riempire, con una desolazione di segno diverso, i vuoti della domeniche. Avverti in queste vite il senso di una sofferenza resa più acuta da una aridità che non sa tuttavia credersi innocente. Testimone e vittima di un disamore che si tramuta in astio vendicativo è Luca, che riesce a strappare dalla madre pochi brandelli di tenerezza. Si sente spesso un ingombro e, dopo la separazione dei genitori, strumento di vicendevoli ricatti. Ma nei momenti di più acceso contrasto, ha l’impressione di essere addirittura invisibile, inesistente agli occhi dei suoi. La palla scagliata contro una porta virtuale sul muro della stanza vorrebbe richiamare l’attenzione su di sé e sulla propria infanzia sacrificata. Di qui l’attaccamento alla nonna materna, soprannominata Vaniglia perché si presenta avvolta da un incredibile profumo che sa di torta. E’ una donna impicciona e stravagante, entra ogni volta in famiglia come un temporale. Regola i suoi comportamenti e impartisce lezioni basandosi sugli oroscopi e sulle telenovelas, ma è la sola a manifestare una non episodica attenzione per il ragazzo. Luca, che registra con inesausto stupore le meschinità e le follie dei grandi, assolve quelle tutto sommato innocue della vecchia signora. La sua morte risulterà dolorosissima, restringe per Luca il campo degli affetti proprio mentre il padre esperimenta con un nuovo matrimonio le risorse della famiglia allargata: «Piansi per la solitudine di mamma. Piansi
Padre e madre contro, testimone e vittima del loro duello è il figlio: un quadro di fragili costumi tutte le mie rabbie e le mie paure, le botte ed i dolori. All'improvviso mi accorsi che stavo davvero diventando grande». Conti accompagna il ragazzo nella sua uscita dall’infanzia verso l’adolescenza con una vicinanza che, astraendo dal facile moralismo, apprezza il suo sguardo limpido, la volontà di capire, la sensibilità nei confronti di chi, tra le durezze e le contraddizioni della vita, si mostra più debole e ferito. E traccia di scorcio, con una amarezza velata dal sorriso, un quadro di fragili costumi e sterili sudditanze in cui molti potrebbero, con qualche brivido, riconoscersi.
SERGIO PENT
Sempre più spesso, nella narrativa recente, i bambini assurgono al ruolo di protagonisti di storie tese, serrate, emblematiche, in cui gli autori zampettano attorno al gioco delle emozioni per ricavare risultati caratterizzanti, dove gli adulti rivestono i panni di antagonisti disfattisti, in grado quasi unicamente di creare problemi insolubili. Dai personaggi di alta classifica di Ammaniti, passando per i torbidumi psicologici di Simona Vinci fino alle creature goticheggianti di Eraldo Baldini, il campionario è vasto e variegato. La dimensione letteraria determinante lascia il posto, quasi sempre, a una concatenazione narrativa destinata a creare tensione, suspense, all'interno di un dinamismo che mira dritto al cuore dei lettori in cerca di emozioni: d'altro canto, quasi tutti i romanzi italiani di successo hanno ormai la connotazione di solidi
PAROLE IN CORSO GIAN LUIGI BECCARIA
DOLLARO DI ZECCA TEDESCA
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nomi di città, o di luoghi, si sono sempre rivelati molto produttivi: dollaro, inglese d’America dollar, è un prestito dal ted. Taler (o meglio dal basso ted. däler), abbreviazione di Joachimstaler, a sua volta da Joachimstal («valle di Joachim»), valle boema dove nel Cinquecento c’era una zecca di monete d’argento, di talleri appunto; da Maiorca (anticamente Maiolica, o Maiorica, l’isola da cui giungevano ceramiche e stoviglie) nasce la parola maiolica; dal nome delle Fiandre viene il cagliaritano andai in Friandas, detto di chi va lontano e non fa più ritorno, ricordo di quando, ai tempi della dominazione spagnola in Sardegna, molti soldati partivano per le Fiandre, per non tornare più. Da nomi di città anche damasco, drappo di seta lavorato a fiorami; e baldacchino, alla lettera «stoffa di seta di Baghdad»; arazzo, dal nome della città francese Arras, famosa per i suoi tessuti. In Piemonte catalogna indica la coperta da letto invernale, perché le migliori provenivano dalla Catalogna. Da Bayonne, città di armaioli, deriva baionetta, e alla stessa città si lega il nome originario della maionese, bayonnaise «salsa di Bayonne», prima di diventare mayonnaise, da Mahón: si racconta che questa salsa preparata a fuoco spento (perché l’acceso attirava i colpi di moschetto del nemico) fosse preparata dal cuoco del maresciallo Richelieu durante l’assedio di Port Mahón, nelle Baleari. Pure la locuzione piemontese ’d la baiona, per indicare qualcosa di poco pregio, potrebbe alludere alla cattiva qualità di stoffe fabbricate a Bayonne.
B-movie in grado di intrattenere e convincere senza causare troppi strascichi di riflessione. L'occhiolino a una solida fiction deve averlo strizzato anche Piero Degli Antoni, al suo sesto romanzo in pochi anni, autore eclettico e mai ripetitivo, istintivo ma tutt'altro che banale, indirizzato comunque a una visione pragmatica dell'arte narrativa, tra disimpegno e voglia di raccontare storie magari non indimenticabili, ma in grado di avvincere e farsi spazio negli angoli morti del relax. Questa velocissima Notte di Peter Pan riacchiappa in un sol mazzo numerosi archetipi del cinema in bianco e nero e del più torbido noir d'antan: la villa solitaria in cima a una rupe a strapiombo sul mare - il Mar Ligure, di per sé assai poco ferale -, un ragazzino di dieci anni che vive solo col padre, musicista di fama in esilio dal mondo, uno sconosciuto che evade dal carcere e piomba in casa mettendo in pe-
Cacciatore Palermo tra i Mondiali
di calcio del ’78 e la strage di Capaci
UN FIGLIO TRA MAFIA E CAREZZE
p p p p p
Giacomo Cacciatore FIGLIO DI VETRO EINAUDI pp. 170, €14 ROMANZO
GIOVANNI TESIO
Sì, è convincente la seconda prova che il trentenne Giacomo Cacciatore pubblica da Einaudi, dopo la prima uscita due anni fa da Flaccovio. Questo Figlio di Vetro è un romanzo che riesce a bilanciare bene struttura e narrazione. Voglio dire che il modo di narrare - sempre un po' sbieco e «di lato», come se dipanasse una nebbia spessa - è ben agganciato alla realtà che finisce per mostrare. Ma il romanzo è poi anche convincente perché la narrazione passa attraversa gli occhi di un bambino che cresce e che diventa adulto cercando di aprire gli occhi che il padre lo ha convinto a chiudere in una specie di complice gioco dell'oblio. Tutto questo passando attraverso una terza persona che marca la calibrata necessità di distanziare il punto di osservazione e di ricondurre ogni volta la storia dentro il suo solco. Il figlio di Vetro si chiama Giovanni e ha con il padre, che fa il poliziotto, un rapporto di ammirazione e di complicità (il primo capitolo è in questo senso esemplare). Ma già anche mostra nel carattere
ricolo la loro vita. Qualcosa di «Cape Fear», se vogliamo, emerge dall'oscura strategia di vendetta che l'evaso sembra voler mettere in atto nei confronti di David, padre non proprio esemplare del piccolo Leonardo, ragazzo intelligente ma affetto da dislessia. IL VIAGGIO DELLE LANCETTE
L'azione non ha respiro, nel breve viaggio delle lancette tra le 21 di sera e le 5 di mattina di un giorno burrascoso, in cui le motivazioni di Roberto, il fascinoso delinquente, sembrano collegarsi al passato di David, al suo folgorante successo, con in mezzo la figura di Leonardo, al centro di un segreto che il lettore scoprirà strada facendo, ma senza troppe sorprese imprevedibili. Degli Antoni costruisce con abilità il suo plot, sbozza caratteri e psicologie con l'accetta dell'artigiano D.O.C., frulla i personaggi in un contesto romanzesco in cui melodramma
una disposizione a comprendere qualcos'altro che per ora gli sfugge, una tenacia e anche una resistenza, che lo condurranno ad aprire quegli occhi incantati dal gioco della finzione, qui emblematicamente legata alla presenza di un televisore (a colori). Siamo a Palermo e siamo vicino ai mondiali di calcio del '78, ma la vicenda arriva al 1992 e alla strage di Capaci. Mondo di mafia e di espressività cifrata. Mondo di violenze e devozioni, di carezze e sudditanze, di dolcezze emblematiche (la Pasticceria Francese, il diabete del padre) e di arroganze rituali. Ma tutto è narrato senza il corredo della prevedibilità o peggio della retorica civile. Una narrazione che potrebbe mettere a qualche prova il lettore frettoloso, perché si potrà sostenere a ben poco di esplicito, nonostante che tutto sia così inquietante e così vero, così trasparente e così nero. Figlio di Vetro, quindi, perché Vetro si chiama il padre di Giovanni; ma anche figlio di vetro, perché
Un bambino cresce e diventa adulto cercando di aprire gli occhi che il padre lo ha convinto a chiudere fragilità e separatezza sono costantemente in gioco. Ed è così che Giovanni, figlio di Vetro e figlio di vetro, comprende che il padre ha un' altra famiglia, un'altra casa, altri figli. Un padre che fa il doppio gioco: con l'istituzione (la spia per la mafia) e con la famiglia - la famiglia con cui sta - ma in cui l'altra famiglia entra attraverso allarmanti telefonate che mettono a prova la difficile convivenza. Ed è così che si mostra a poco a poco una miseria pronta a finire in tragedia. Ma anche - nella pagina finale - un' ambiguità che sfugge a troppo facili usi strumentali.
e luoghi comuni risultano sempre l'arma più convincente per acchiappar consensi. Le poche ore determinanti dell'azione incalzante si risolvono con un lecito lieto fine, adempiendo al compito di far voltare pagina per vedere cosa accade, a questo povero Leonardo forse un po' troppo presto accantonato per dar fiato alle rivelazioni fatali. Basta per porre la parola fine a un thriller psicologico di buon livello. Non basta - ma non era comunque nelle intenzioni dell'autore - per dare vita a un affresco esemplare sulle dinamiche del disagio infantile e sui deliri di onnipotenza di certi adulti irresponsabili. Ma questo è ormai il compito dei rari scrittori che osano misurarsi con una letteratura che suggerisce anziché urlare, destinata a quei pochi lettori che un libro hanno ancora voglia di interromperlo per rifletterci, e di riprenderlo in mano per cercare rifugio alle proprie umane insicurezze.
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Costume
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SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
Permette un ballo? Con Andrea Mingardi,
LETTURE IN ROSA
dalla vita reale, nelle sale da ballo Anni 50 lungo la via Emilia, alle discoteche virtuali
MIA PELUSO
COM’E’ ROCK LA BALERA BRUNO GAMBAROTTA
Storia di una città – Bologna – e di una regione – l'Emilia Romagna – fra le prime per la musica in Italia, nell' ultimo mezzo secolo, ad opera di un musicista che sa scrivere. Dalle balere alle discoteche, dalle orchestre dal vivo ai deejay, dalla vita reale alla vita virtuale. E' insieme autobiografia, romanzo di formazione e d'educazione sentimentale di un ragazzo che si affaccia alla vita nella Bologna del dopoguerra. Il risvolto di copertina c'informa che Andrea Mingardi è nato nel 1948 ma la data è sfasata rispetto ai fatti narrati che andrebbero a posto se l'anno fosse il 1940. Erano anni quelli in cui «l'inverno era l'inverno», e Frank Sinatra, «si presentò al Duse, fresco di matrimonio con Ava Gardner. Il pubblico non lo lasciava iniziare e in coro gridava “Ava, Ava...” Finché Frank non la fece salire sul palco la gente non smise». I ragazzi che amano la musica si buttano sul jazz in forza del teorema «Meglio Sten Kenton della Torrielli». Fino alla scoperta del rock; la loro via di Damasco fu il cinema Manzoni, nel pomeriggio in cui proiettarono per la prima volta Rock Around The Clock di Bill Haley. Provarono «una voglia quasi vandalica di sporcare il laccato perbenismo della musica del tempo (...) l'ipocrisia mielosa di milioni di testi crepuscolari e insipidi». Il libro si fregia di due prefazioni, la prima di Mina (un rapido flash) e la seconda di Francesco Guccini che rievoca i rituali delle balere, con le signorine sedute ai tavolini attorno alla pista. «Non sole, però, perché guardate a vista, guatate e sorvegliate dalle vecchie: nugoli di mamme nonne zie e vari altri gradi di parentela, lì apposta a controllare che tutto si svolgesse nella più assoluta pudicizia e castità». Caro Francesco, ti ricordi la brillantina solida che ci spalmavamo a chili sui capelli per incollarli al cranio? E il direttore di sala del Dopolavoro Ferrovieri che ogni tanti balli andava al microfono e annunciava «dama a scegliere»? Noi vivevamo nel terrore che una di quelle «vecchie» venisse a chiederci di farla ballare; perché la signorina poteva rispondere «No, grazie» all'invito del cavaliere, ma il giovanotto non poteva rifiutarsi, anche se la ragazza apparteneva alla tribù degli SDN (scherzi della
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Un diario tra madre e figlia = Ragazza alfa, Giulia Carcasi affronta con la grinta e la sensibilità proprie della sua generazione il difficile rapporto tra una madre e la figlia adolescente. In «Io sono di legno» (Feltrinelli, pp. 140, €11), suo secondo romanzo, la madre, violando il diario della figlia, ripercorre le difficili tappe della propria vita, ricavandone con sofferenza e amore la scoperta di un’identità che prevarica ogni differenza. Recide, come in un nuovo parto, il cordone ombelicale e osserva l’ingresso nel mondo del frutto del suo amore segreto.
IL LIBRO
Due donne che si amano = Un racconto che è un ANDREA MINGARDI
Permette un ballo, signorina? MONDADORI pp. 346, €16,50
Tra musica e sentimento, Mingardi rievoca i rituali delle balere
natura). C'erano poi le feste nella case, con lo sfigato di turno che cambiava i dischi e le ragazze che «per non sfiorarti la guancia, sembravano giraffe affacciate alla finestra». Andrea Mingardi ci proietta il film della sua progressiva vocazione per la batteria, quando a Igea Marina, nell' estate del '56 un batterista ferrarese scopre negli occhi del ragazzo la passione per il suo strumento e gli regala come viatico due bacchette usate. I primi gruppi giovanili avevano il permesso di esibirsi nelle sale quando l'orchestra titolare si prendeva una pausa. Il ragazzo Andrea entra in una queste sale: «Il cantante intonò Le foglie morte. Fui quasi certo che le avesse uccise lui». Alla band manca il batterista e Andrea, quasi costretto dagli amici, lo sostituisce, imboccando una strada che, passo dopo passo, lo porterà al professionismo. Abbandona la scuola che già era poco più di un optional e una promettente carriera di calciatore. Giocava come portiere e la madre, quando usciva di casa per gli allenamenti o le partite si raccomandava: «Non buttarti in terra per nessun motivo». I componenti della prima band, i Golden Rock Boys, avranno una divisa cucita con la stoffa da tappezzeria fornita da un genitore e poiché «il cantante non andava a tempo neanche con una pistola alla tempia», il nostro An-
Leggenda Tra Torino, il Musichiere e Portofino: i giorni di Buscaglione
LEO & FRED GEMELLI SWING
Leo Chiosso (a sinistra) con Fred Buscaglione
drea finirà per svolgere anche questo ruolo. Alle vicende musicali s'intrecciano le sentimentali e uno dei capitoli più godibili mette in scena l'invito a pranzo a casa della prima fidanzatina, con il padre direttore di banca che sogna per la figlia un marito con il posto fisso e disprezza i musicisti. Non è il solo: il conoscente, incontrando Andrea dopo un po' di tempo, domanda: «Cosa stai facendo?». «Canto, ho un'orchestra». «Ah, bello... e che lavoro fai?». POI ARRIVÒ LA TECHNO
Dopo i primi ingaggi e gli inizi picareschi (la prima trasferta è in un sanatorio) c'è la grande epopea degli Anni Sessanta sulla Riviera Adriatica, con le discoteche a cupola grandi come astronavi capaci di inghiottire tremila persone alla volta, le disinibite ragazze scese dalla Scandinavia. I Golden Rock Boys si sciolgono e nasce l'Andrea Mingardi Supercircus, destinato anch'esso a soccombere «nella battaglia sorda e senza quartiere fra i deejay e le orchestre». Al Rhythm'n'blues subentra la Tecno, con i tum tum martellanti e ipnotici. Mingardi ricostruisce con partecipe e amara precisione le dinamiche che portano un gruppo musicale a sfasciarsi, introduce il lettore al gergo dei musicisti. Per esempio la «cantante d'ascel-
BRUNO QUARANTA
E’ l’ultimo, generoso dono di Leo Chiosso. Postumo. Nel solco di un’amicizia indelebile, anzi: di una fratellanza, tra uno spartito e una sigaretta e un whisky. Fred Buscaglione (i giorni di Fred), parole e note, felicemente riappare, sbriciolando stereotipi, leggende sbiadite, polverosi c’era una volta. Leo&Fred, i gemelli «swing, ragazze, amicizia, divertimento», gli Anni Cinquanta che si scrollano di dosso le uggiose melodie, che strizzano l’occhio alla tenera notte d’oltreoceano (non alle «lagnosissime cover»), che artisticamente (e non solo) «smaniano», onorando, eccome, una vena pavesiana. Leo, scomparso l’anno scorso, oltre che paroliere esimio artigiano teatrale e televisivo, arpeggia gli inchiostri, Fred tende le corde vocali (da «Eri piccola così» a «Il dritto di Chicago» a «Che notte») nel cofanetto Mondadori così prezio-
la» è colei che «mentre canta muove il braccio a pompetta vicino e lontano dal fianco». E' dura la vita dei musicisti incalzati dalle mode che si rinnovano a ogni stagione e dalle nuove generazioni che sovvertano i canoni, infine dalla musica riprodotta e manipolata negli studi di registrazione. Resta nella memoria del lettore l'immagine del batterista del night che nella prospettiva di dover suonare per molte ore, rompe un uovo crudo sul bordo del rullante per berselo e tirare avanti, mentre sul palco avvengono «spogliarelli provocanti come una canzone di Cristina D'Avena». Come restano le forsennate discussioni degli adolescenti maschi sul sesso: Sergio la buttava sulla lotteria «E' vero che c'è solo uno spermatozoo che fa rimanere incinta?». Se questo libro è un film di Pupi Avati, ha un finale alla Fellini: Mingardi è a cena in un ristorante di Bologna con il produttore del suo ultimo disco e le rispettive signore; piacevolmente sorpresi dalla bravura del pianista bar gli mandano un frizzantino e scoprono che si tratta di un orchestrale dal passato glorioso, che si congeda con un «comunque, ci siamo divertiti». Infine chi ama la nomenclature folli non si perda le quaranta pagine di appendice con l'elenco dei locali e dei complessi.
so, così necessario, così appassionato, epperò mai giulebboso (libro+dvd, €19). Di capitolo in canzone, a dispiegarsi è una favola innanzitutto subalpina, torinese, la cuna - sotto la Mole - della bizzarra copia. «Però, che razza di stagione quella!». Leo Chiosso già l’aveva sottratta alle ruggini nei versi di Tempo stracciato, una lirica, in particolare, dedicata a F.B., «Piazza Cavour» (dov’era la materna portineria): «Soffia appena il vibrafono e preludia / nei pensieri di Lionel...». Nella copertina è il bandolo. Fred, come uscito da un cartoon, appoggiato alla Thunderbird rosa su cui si sfracellerà contro un camion il 3 febbraio 1960, a Roma, all’alba, ancora palpitanti le luci del night, nel cuore, inespugnabile, Fatìma, adorata e spinata moglie-bambola. Per Leo Chiosso la vita sarà sempre dimidiata: prima e dopo, quando Fred c’era e quando Fred non ci sarà più, o conti-
nuerà ad essere, a modo suo, ad ora incerta, di improvviso in improvviso, di flash back in flash back. I giorni di Fred («Io sono Ferdinando, ma mi piace che mi chiamino Fred, fa più America») debuttano negli Anni Trenta, un boulevard verso il Po, il dehors, il violino, le prime note di Stardust... Via via illuminandosi, sino a culminare nel pianoforte rosa, nella hit parade. Muove da una estravagante Torino, la recherche di Chiosso, dov’era il Faro, la casa di Fred e degli Asternovas, la sua orchestra, e il locale frequentato da Gianni Agnelli («Cavissimi, fatemi sentive le nuove canzoni»), e la cantina che ospitò la jam session Buscaglione-ArmstrongMinnelli. Quindi toccando, la meravigliosa carovana, Milano, Mario Riva, il Musichiere («Lì Fred diventò il grande Buscaglione»). L’apoteosi raggiungendo al Covo di Santa Margherita, a un accordo da «Love in Portofino»... Sì, quelli erano giorni...
amplesso lungo un anno tra due donne che si amano, si detestano e si rincorrono, nella prosa incantata e sospesa di «L’abbraccio» della “fata sapiente” Silvia Cossu (Marsilio, pp. 107, e 12). Le donne si conoscono con ansia tormentata e colpevole; l’una assume il ruolo della preda, consumata da un bisogno di annientamento; l’altra conduce il gioco distruggendo e distruggendosi; mentre il quotidiano segna puntelli che, lungi dall’essere consolatori, si dissolvono nella vertigine di una logorante sensualità.
Due fratelli e un enigma = Per qual motivo un padre
privilegi un figlio sull’altro è un mistero che affonda le radici nell’episodio biblico di Caino e Abele. In «Lontano da niente» di Thomas Christopher Greene (Frassinelli, trad. G. Barbiani, pp. 304, €17) due fratelli cercano di sciogliere l’antico enigma ritrovandosi dopo una separazione voluta da quello diseredato. Li unisce e divide la donna desiderata da entrambi, che li ricambia di diverso amore; l’uno, la tranquillità del nido familiare; l’altro, il fascino di terre lontane. Aleggia nell’aria l’ombra di Nicholas Sparks.
Incontri scabrosi sotto le bombe = Singolare nella struttura e
seducente nella narrazione, «Turno di notte» (Ponte alle Grazie, trad. G. Dell’Acqua, pp. 414, €15) conferma il talento di Sarah Waters. Il romanzo procede a ritroso dalla Londra postbellica del 1947 all’infuriar della guerra nel 1944 alle fasi iniziali del conflitto nel 1941, quando si formano i nodi sui quali si aggroviglia la vicenda. Delicato come un’operetta edoardiana malgrado l’inquietante contesto storico e la scabrosità degli argomenti, «Turno di notte» abbraccia la storia delle avventure e degli amori di quattro donne e un ragazzo. In una Londra notturna squarciata dalla guerra, tra il bagliore degli incendi e i lampi della contraerea, Waters, sulla scia della raffinata tradizione omosessuale inglese, dà vita a donne che amano e si amano con sofferenza e pudore e a uomini capaci di sottili sensibilità, attraverso una minuziosa e affascinante descrizione di gesti e comportamenti e degli ambienti che fanno loro da specchio.
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VI
Narrativa straniera
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SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
La comunità portoricana nel Bronx è al centro del romanzo di LeBlanc, giornalista e sociologa
Una famiglia a caso Amore,
droga, guai, miseria, riti voodoo
NEL BRONX E’ BREVE L’ETA’ DELL’ORO MASOLINO D’AMICO
Adrian Nicole LeBlanc è una giornalista e sociologa americana che per undici anni ha seguito giorno per giorno o quasi le vicissitudini di un piccolo gruppo familiare portoricano del Bronx, leggi soprattutto ma non esclusivamente la parabola di Jessica, una ragazza molto bella, molto sexy e molto vitale. Incontriamo Jessica quando ha sedici anni verso la fine degli Anni Ottanta e la lasciamo quando ne ha trentatré, pesa parecchi chili di più, e dà una festa per celebrare il fatto che sua figlia Serena, sedicenne a sua volta, è riuscita ad arrivare vergine alla fatidica ricorrenza. Non era certo questo il caso di Jessica che, dopo varie esperienze sulle orme della propria adolescente e al-
trettanto disinvolta madre Lourdes, a quell’età aveva già raggiunto il traguardo di diventare una delle amiche fisse di un ammiratissimo e potente spacciatore di droga, non molto più anziano di lei. Costui, George detto Boy George, maneggiava enormi somme di denaro e possedeva una intera flotta di automobili sportive. Una festa natalizia che diede per i suoi sottoposti comprendeva una lotteria di Natale a beneficio degli invitati. «Il primo premio era una Mitsubishi Galant accessoriata; il secondo 10.000 dollari; il terzo un viaggio per due alle Hawaii; il quarto Disney World (...). George regalò a Snuff una Bmw nuova di zecca. A quattro dei suoi luogotenenti migliori regalò delle fibbie d’oro tempestate di diamanti, valutate 7500 dollari l’una. Jessica non vinse niente ma
Zarmandili Amore, ribellione,
repressione tra il ’63 e la rivoluzione
DALLO SCIA’ A KHOMEINI CRUDELE E’ L’IRAN p p p p
Bijan Zarmandili L’ESTATE CRUDELE FELTRINELLI pp. 182, €14 Il romanzo sarà presentato dall’autore, con Farian Sabahi, mercoledì 7 marzo, h. 18, alla Feltrinelli di Torino (piazza CLN). Zarmandili è nato a Tehran nel 141, dal 1960 vive a Roma. Ha scritto, tra l’altro, una biografia di Khomeini.
non stava pensando alle cose materiali. “Che me ne facevo di un premio? Avevo lui” disse». Questa età dell’oro occupa la prima delle cinque sezioni del libro, ma si interrompe di colpo quando Boy George è arrestato e condannato all’ergastolo; anche Jessica finisce in galera per nove anni, che sconterà fino in fondo. E poco dopo va dentro per un lungo periodo Cesar, fratello minore di Jessica, che stava iniziando una promettente carriera di spacciatore e rapinatore. Benché appena diciannovenne, Cesar ha già quattro figlie, due delle quali dalla poco più che bambina Coco, che per di più lascia incinta della terza. A questo punto la storia rallenta il passo e diventa la cronaca delle vicissitudini di Coco, che lotta contro la miseria più nera per tirare su le sue bambine a forza di sussidi e piccoli espedienti, sempre tenendosi in contatto con Cesar che spera
p Adrian Nicole LeBlanc p UNA FAMIGLIA A CASO
Amore, droga e guai nel Bronx p trad. Cristiana Mennella p ALET, pp. 486, €16 p ROMANZO
FARIAN SABAHI
L'estate è crudele è un romanzo d'amore, ribellione e repressione. I protagonisti sono i giovani iraniani Parviz e Maryam che scelgono di frequentare l'università a Roma. Sullo sfondo la Storia con le sue ideologie, che sconvolgono la loro vita e quella dei loro famigliari. Pagina dopo pagina, un senso d'angoscia pervade il lettore dell'ultima opera del giornalista Bijan Zarmandili. È ambientata tra il 1963 e la rivoluzione iraniana del 1979, troppo spesso definita «islamica» sebbene sia stato fondamentale il contributo della sinistra, massacrata nei mesi successivi al ritorno in patria dell' ayatollah Khomeini. Sono anni terribili, sia per l'Italia sia per l'Iran dello scià. Due Paesi che, come emerge dal romanzo, hanno tanto in comune. A cominciare dal tricolore dominato dal bianco, rosso e verde seppur disposti in modo diverso. Nel dopoguerra Roma e
un giorno di sposare; dal canto suo il detenuto le scrive spesso proiettando su di lei fantasie, speranze, gelosie, tenerezze e via dicendo. Coco lo idealizza fino a farsi tatuare il suo nome su di una coscia (i tatuaggi sono un grande riconoscimento di appartenenza in questa comunità, secondi solo alle targhette d’oro con catena), ma alla lunga resta incinta per la quarta volta grazie a un altro detenuto, suo antico flirt, che esce ben prima di Cesar. Allora Cesar la ripudia, pur continuando a gradire le rare visite delle sue figlie, faticosamente portate dalla leale Coco nei parlatori dei vari carceri dove viene trasferito. Intanto nel penitenziario di massima sicurezza dov’è stata confinata, spogliata di tutti i suoi privilegi di viziata pupa del boss, Jessica si ricicla in donna saggia e lavoratrice, nella speranza di poter un giorno, uscendo, vedersi riaffidare la figlia che la legge le ha tolto...
Scott Turow Il ritorno all’antico
amore: il legal thriller psicologico
IL GIUDICE COL PESO DEI RICORDI
COME UN SAGGIO ANTROPOLOGICO
Una famiglia a caso non è un romanzo-verità tipo, per intenderci, A sangue freddo di Truman Capote, ma piuttosto un saggio antropologico strutturato come una narrazione, dove le abitudini di una sub-popolazione che i newyorchesi doc sfiorano tutti i giorni ma della quale ignorano quasi tutto sono osservati con affascinata meticolosità. Nella sua ricerca capillare l’autrice ha registrato infinite conversazioni, ha seguito processi, ha consultato verbali di polizia, ha letto intere corrispondenze carcerarie, ha scrupolosamente annotato rituali (per esempio, Jessica ogni tanto ricorre a stratagemmi voodoo, il più semplice dei quali in caso di grane è mettersi un bicchiere d’acqua sotto il letto all’altezza del cuscino). Non c’è bisogno di leggere proprio tutto il volume per avere un quadro piuttosto netto dello spaesamento di gente che non ha più niente cui aggrapparsi, non convinzioni, non tradizioni, non leggi, non cultura, neanche più una lingua (la prigione è l’occasione per imparare le parole difficili), gente per cui il lusso più ingenuo e la droga sono da subito i soli ideali dove indirizzarsi - ma presso cui poi malgrado tutto sopravvive, unico elemento di coesione, un feroce amore per le proprie creature, nate di solito per caso o per sbaglio ma poi ostentate con fierezza e nei limiti del possibile protette: anche se il loro ingresso nel precario stile di vita degli immaturi genitori sembra poco evitabile.
Teheran si assomigliano. Le famiglie allargate iniziano a sfaldarsi. L'individuo comincia a contare qualcosa di più rispetto al passato. E negli Anni Sessanta l'emigrazione sembra, in Oriente come in Occidente, un passo obbligato per migliorare la propria condizione. Molti giovani italiani sono costretti a cercare lavoro al Nord, nelle industrie lombarde e alla Fiat di Torino e pure all' estero, in Germania. «Contadini trasformati troppo in fretta in operai», scrive Zarmandili descrivendo «un'Italia a disagio». Anche gli iraniani emigrano. Molti giovani, soprattutto maschi ma non solo, vengono in Italia a studiare. Alcuni a Roma, altri a Firenze, ovviamente dopo essere transitati dall'Università per gli stranieri a Perugia. Nel Bel Paese i giovani iraniani vivono gli anni di piombo, il terrorismo e la strage di Piazza Fontana che faticano a comprendere. Una tensione politica appena attenuata dai versi del-
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Scott Turow PROVA D’APPELLO Trad. di Nicoletta Lamberti MONDADORI pp.272, €18,50 ROMANZO
PIERO SORIA
Il passato è un fiume infinito che bagna continuamente la mente di Scott Turow. Le sue anse, i suoi gorghi, le sue secche hanno segnato gioventù, carattere, aspirazioni, vita. E, in età matura, è un ritorno continuo a quello scorrere ora tumultuoso ora quasi assente: sia che si tratti di antichi echi di rivoluzioni sessantottine nella Berkeley californiana, sia che riappaiano come vaghi sussulti di memoria in quelle fantastiche Try-City dell’immaginaria Kindle County che tanto ricordano la Chicago in cui oggi lo scrittore opera dall’inaccesibilità del suo prestigioso studio legale. Ed è proprio all’origine delle origini (il legal thriller) ed ai ricordi più sopiti, e in parte rimossi, a cui Turow si rifà con questa ultima Prova d’appello densa e, come al solito, elegante. Con un unico piccolo ed inevitabile neo: l’uso di una prima persona presente che, nella precisione infinita della nostra lingua, perde quel senso storico che possiede invece, e ambiguamente, l’inglese. Ma è ben poca cosa di fronte al lento scrosciare di una sto-
la poetessa Forugh Farrokhzad recitati dalla protagonista Maryam nei momenti più tragici. L'estate è crudele racconta la solidarietà e il tradimento, le difficoltà di vivere da clandestini, la fuga tra le montagne del Kurdistan e le torture inflitte dalla polizia segreta dello scià, la terribile Savak, a coloro che si oppongono ad una monarchia da qualche tempo diventata una dittatura sostenuta dagli Stati Uniti e da parte dell' Occidente. Soltanto l'epilogo ci riporta ai giorni nostri e all'attuale crisi sul nucleare. L’EZTERAB, L’ANSIA
Lo spettro della guerra che oggi incombe sugli iraniani rende ancora più greve il senso di disagio. Una sensazione che forse in italiano si tradurrebbe meglio con «ansia». O forse, suggerisce l'autore, è un'emozione che racchiude tutti questi sentimenti e che in persiano si chiama ezterab. Ed è proprio questo, che potrebbe sembrare
ria in cui azione, giudizio, minaccia ed etica si fondono sul filo di una realtà che giunge da lontano e che è il ritratto di un mondo puritano che riparte dagli eccessi per ritrovare in sé una sempre nuova verginità. George Mason è a uno di quei bivi della vita che si presentano tanto repentinamente quanto inattesi. La sua carriera è all’apice: da più di un decennio è giudice della Corte d’Appello. E, al massimo, può ottenere un facile reincarico per chiudere. Ma improvvisamente il destino, con la sua rozzezza, gli pone davanti due scalini: l’agguato di un brutto male ad addolorare il suo profondo amore per la moglie. E il giudizio, a moltissimi anni dai fatti e con esistenze ormai ben definite e sufficientemente oneste, di tre protagonisti di uno stupro non percepito come tale dalla vittima, al tempo molto giovane, e riemerso vivido in un laido filmino d’epoca. Ad ulteriore tormento di Mason, già angosciato da ri-
Un membro della Corte d’Appello all’apice della sua carriera affronta un caso di stupro che lo riporta al passato membranze cassate di quella sua prima volta così simile a quella dei violentatori, si addensa sulla sua testa una minaccia di morte che pare figlia della decisione che deve prendere in solitudine perché i suoi due giudici a latere sposano opinioni in assoluto contrasto. In sottofondo squarci di un’America marginale e violenta in collisione con le mille sicurezze borghesi ben più subdole dei tanti razzismi dichiarati e proclamati. Come di prammatica in Turow, è difficile trovare una parola o un’immagine fuori posto. E il suo racconto esce continuamente dal genere per gemmarsi di veri sapori letterari.
malinconia, che sembra animare l'autore: un iraniano giunto a Roma nel 1960, per motivi di studio, e oggi esperto di politica mediorientale. Bijan Zarmandili è ormai uno scrittore affermato, dopo il successo del romanzo La grande casa di Monirrieh, un quartiere della capitale iraniana che ritorna, come un cerchio che si chiude, anche in questa sua ultima opera. Zarmandili è un autore dai modi raffinati di cui si legge, nella biografia sulla quarta di copertina, che è stato per vent'anni fra i quadri dirigenti della sinistra iraniana in esilio. E forse L'estate è crudele non è solo fiction, ma anche un tributo ai rivoluzionari di sinistra che hanno contribuito a cacciare lo scià ma non hanno avuto, dal regime islamico che si è imposto nel 1979, né riconoscimenti né il diritto ad una lapide nel cimitero islamico perché marxisti. Un libro per non dimenticare che i cambi di regime non sempre vanno nella direzione desiderata.
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SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
VII
IN MOSTRA
L'"ENFER" DELLA BRAIDENSE Catalogo dei libri Fondo Riserva Erotica a cura di A.R. Zanobi e G. Valenti pref. di Daniela Gallingani introd. di Attilio Mangano FRANCO ANGELI, p.222, € 22
Il libro sarà presentato l’8 marzo a Milano, h.18 alla Biblioteca Braidense (via Brera, 28), in occasione della omonima mostra (aperta fino al 21 marzo, dal lunedì al venerdì 9,30 -13, pomeriggio su appuntamento - tel. 0286460907 - ; sabato 9,30 -13). «Nudo sdraiato a braccia aperte» (1917 - 1918), di Amedeo Modigliani: va in mostra alla Braidense la collezione di libri erotici donata nel 1902 dal Camillo Bianchi
I classici dell’eros Il catalogo di un fondo alla Braidense, la letteratura libertina oggi soppiantata dalla pornografia
IL BIBLIOFILO VA ALL’INFERNO GIUSEPPE MARCENARO
Camillo Bianchi? Chi era costui? Morì il 10 luglio 1902. Abitava a Milano, Montenapoleone numero 6. Custodiva una raccolta di libri «audaci». Con un regolare testamento l'oggetto del suo voyeurismo scivolò discreto nelle felpate sale della Biblioteca Braidense. Il bibliofilo milanese, protetto dalla riservatezza di chi ritiene una colpa il maneggio di libri licenziosi, emulava ben altri clamorosi guardoni di birichinate stampate. Ad esempio Henri Spencer Ashbee, più noto come Pisanus Fraxi. Quando volle offrire a pubblico godimento la collezione dei suoi libri erotici, per qualità e quantità riuscì a mettere in imbarazzo l'impassibile direttore della biblioteca del British Museum. Molto rumore fece l'affaire che portò al sequestro, da parte del governo francese, di una collezione di libri osceni appartenenti a certo mon-
sieur Bégis. Dopo trent'anni di cause e dopo la caduta di Napoleone III che, a parte le marachelle compiute con la contessa di Castiglione, era un fanatico bacchettone, Bégis ebbe la soddisfazione di una sentenza a lui favorevole. Per rientrare in possesso dei suoi libri avrebbe dovuto però presentarne un elenco circostanziato. E come avrebbe potuto dopo tanto tempo ricordare autori, titoli, editori? Il povero Bégis rinunciò ai suoi libri che furono avviati a far compagnia, con altri tarati dal medesimo vizio, in un ambulacro sottochiave dove, nel 1913, li sorprese Guillaume Apollinaire quando compilò il catalogo L'Enfer de la Bibliothèque Nationale, lista di libri folli e socialmente pericolosi. Definizioni ben lontane dall'illuministica sentenza dell'abbé Grégoire: «Le opere erotiche servono alla storia dell'umanità, dei costumi, delle consuetudini e delle arti. Sulla scorta di queste edizioni un osservatore acuto giudica sovente il secolo che le ha viste nascere».
L'abbé Grégoire era un uomo della Rivoluzione: sostenitore delle avanguardie, proteggeva gli ebrei e la «gente di colore»; difendeva il patrimonio artistico contro il vandalismo e voleva si creassero biblioteche pubbliche. D'altra parte il suo secolo, il Settecento, fu quello che produsse la maggiore ondata di libertinaggio stampato dove si pavoneggiarono Voltaire, Diderot, Crébillon, Retif de la Bretonne, Mirabeau col suo molto rimarchevole Erotika Biblion; poi Rousseau, che non smise di esibire onanismi stampati, e il più celebrato di tutti, Donatien Alphonse François de Sade, il Divin Marchese. Il vertice del collezionismo libresco scollacciato fu toccato tuttavia nel XIX secolo quando il rigore moralistico costrinse gli amateurs a fornicare con i libri proibiti nel più sotterraneo segreto; nonostante leggi che avevano abolito, già dal Settecento, il reato di «possesso di materiale pornografico». La massoneria dell'erotismo veniva frequentata allora da insospettabili signo-
ri che, scegliendo il complice silenzio delle loro biblioteche, con il medesimo ardore con cui si abbandonavano all' oppio, arrotavano gli occhi procurandosi iperorgasmi mentali, ai quali cooperavano, tipo sontuosi ruffiani, editori «alla macchia» che stampavano le eccitazioni di Jouy, librettista di Rossini, e «a tempo perso» autore di Sappho ou les lesbiennes; de Musset, Gamiani ou deux nuits d'excès; Mérimée, Venere d'Ille; compresa la bella pattuglia di grandissimi: da Baudelaire fin all'iperbolico Sonnet du trou du cul di Verlaine. Quella fu l'epoca «gloriosa» che rese ancor più ricercati i già rari classici licenziosi dei secoli passati: i Sonetti lussuriosi dell'Aretino e gli autentici capolavori letterari di Ferrante Pallavicino: La retorica delle puttane e l'Alcibiade fanciullo a scuola, ammiratissimo quest'ultimo da Wilde che, per non essere da meno nella partita, pare scrivesse febbrilmente lo smisurato Teleny, sul quale ancor oggi si discute se attribuirlo al sublime Oscar o a qualche anonimo della combriccola del garofano verde.
Il secolo che produsse più libri proibiti fu il ’700, da Voltaire a Sade, ma il collezionismo si affermò nell’800, allora nacquero gli arcani «enfers» Curiosa metafora della vita umana, la collezione di libri sexy è una singolare forma di accumulo delle diversità. Aggiungere un pezzo alla raccolta schiude strade verso infiniti moltiplicati. Un catalogo di edizioni erotiche, specialmente quando inventaria quelle introvabili - impresse magari in sei copie
- accresce vapeurs di cupidigia, sollecita una licantropia che spinge alla ricerca di ardori nuovi. Suscitatori di effervescenze lascive, per il bene generale, «quei libri» furono accortamente rinchiusi: ecco il senso degli «Inferni», luoghi di frequentazioni arcane cui erano ammessi esclusivamente gli studiosi il cui fine era diagnosticare l'insanità che aggrediva chi osasse sbirciare le pagine maledette, indugiando nella loro lettura e facendosi scaldare dalle più che esplicite illustrazioni. L' elenco più antico che si conosca di un Enfer è il Catalogus bibliothecae publicae Moeno-Francofurtensis, compilato nel 1728. Il più recente quello della Braidense, pubblicato in questi giorni, che accoglie rarità bibliografiche di grande pregio. Oggi queste bibliografie al calor bianco fanno soltanto sorridere. Così come si guardano, con sconfinata tenerezza, vignette e schizzi, un po' da vecchio casino, che mostrano spericolati invarigolamenti; e con distacco, le illibate tavole di Félicien Rops, un tempo infami. Ed è fuori tempo massimo aspirare a viaggi eccitanti indugiando sui libertinacci del Settecento e dell'Ottocento. Argomento hard a parte quelli erano comunque autentici scrittori che esaltavano il satanismo sessuale del lettore con la perfezione dello stile, quella forma della scrittura persasi ormai per strada, non soltanto nelle divagazioni erotiche. Gli Enfer non hanno più ragione d'esistere. Bastano le librerie. Iperbolici mercatoni propongono forme libresche fatte di incommensurabili scemenze, mèlange di insopportabili pastiches dichiarati illusoriamente letteratura. La «pornografia» dei nostri anni.
20 milioni di lettori in tutto il mondo
B ORIS
Akunin L ' F E INCHIESTE DELL ISPETTORE ANDORIN
Le inchieste dell'ispettore Fandorin
B ORIS
Akunin IL MARCHIO DEL FUOCO ROMANZO
CHIEDI AL TUO LIBRAIO LE ALTRE INCHIESTE DELL’ISPETTORE FANDORIN IN EDIZIONE TASCABILE
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VIII
Storie
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SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
Globalizzazione Economia
e cultura di una materia prima
IL COTONE DENTRO LA PLASTICA ALDO RIZZO
p Erik Orsenna p VIAGGIO
NEI PAESI DEL COTONE
p trad. di Francesco Bruno p PONTE ALLE GRAZIE p pp.245, €14
Oltre ai titoli citati nella recensione qui a fianco (il romanzo «Madame Ba» e il saggio sulla Corrente del Golfo) di Orsenna sono in libreria tre belle storie per ragazzi: «La grammatica è una canzone dolce», «I cavalieri del congiuntivo»,«Ultime notizie dagli uccelli» (ed. Salani)
A volte capita di leggere un libro insolito, che non ti aspetti. Perché apri un testo che si annuncia leggero e poco dopo sei sommerso dalla noia. O prendi un saggio di economia e ti ritrovi a leggerlo come un romanzo. Questo secondo caso è meno frequente, ma si dà, soprattutto se il libro porta il nome di Erik Orsenna, accademico di Francia e insieme grande divulgatore, notevole scrittore, vincitore del Prix Goncourt. Orsenna aveva già «raccontato», in Ritratto della Corrente del Golfo, la storia, geofisica, economica, politica e culturale, di quel fenomeno oceanico, climaticamente vitale per l’Occidente, attraverso una miriade di storie e di personaggi ad esso legati nel corso del tempo. Oppure il dramma, ma anche le potenzialità, dell’Africa, in un romanzo, o una storia romanzata, come Madame Ba (entrambi
Sulla scia di Mattei L’esperienza
dei tecnici italiani, fra Iran e Nigeria
NEI CANTIERI DEL PETROLIO GIORGIO BOATTI
Ci si ricorda di loro, dei nostri tecnici che lavorano sulle piattaforme petrolifere e nei campi di estrazione del gas naturale sparsi per il pianeta, giusto quando - come sta accadendo in Nigeria vengono coinvolti in conflitti dei quali si era ignorata, o sottovalutata, la portata. Come quello che, da anni ormai, vede in azione i guerriglieri del Mend (Movement for the Emancipation of the Nigerian Delta) che stanno utiliz-
zando il drammatico sequestro di tecnici dell'Eni per denunciare la politica di sperpero e corruzione con cui il governo di Lagos gestisce le ingenti risorse energetiche del Paese. Sono migliaia i nostri compatrioti sparsi nel mondo sul fronte del petrolio e chi vuol conoscerne la vita quotidiana può ora fare utile riferimento al bel libro Acqua in mano, appena pubblicato negli Oscar Mondadori (pp. 265, €10,40). Lo ha scritto Guido Manfredonia, tutta una vita trascorsa nell'Agip, che dà voce al rac-
tradotti da Ponte alle Grazie). Ora è la volta del cotone, della sua storia e dei suoi, o meglio nostri, problemi. Perché il cotone? Perché è una delle più antiche e sofisticate materie prime del mondo. Sofisticata perché malleabile e duttile, al punto che oggi, con le modificazioni genetiche, ma non solo, concorre, oltre che alla produzione tessile, a quella delle cose più varie, dall’olio di semi al sapone e ai cosmetici, dai concimi alla glicerina esplosiva. E soprattutto, cooptata dall’industria petrolchimica, è parte fondante dell’universo, purtroppo diventato indispensabile, ma ambientalmente ultranocivo, delle materie plastiche. Quanto all’essere, il cotone, antico nel tempo, nell’uso fattone dagli uomini, Orsenna svela o ricorda che i primi a notare «un arbusto i cui rami finiscono con dei fiocchi bianchi» e a fare «conoscenza con la dolcezza del cotone», rispetto alla ruvidezza di allora della lana, furono i soldati di Alessandro Magno in India. Seguirono gli arabi, che gli diedero anche il nome (qutun), poi gli europei con le crociate, finché la rivoluzione industriale inglese, con le sue nuove macchine per filare e tessere, non lo volle come propellente dello sviluppo, al prezzo dell’importazione degli schiavi africani nelle colonie, o ex colonie, d’America. E questa provocò una guerra civile americana, durante la quale l’impero britannico si rifornì in India e in Egitto... Inutile proseguire, questa è già una storia, o preistoria, della globalizzazione.
conto di un ben riuscito personaggio, Anacleto Botta, marchigiano, appartenente alla covata di tecnici reclutati nel corso nella grande stagione impressa da Mattei all'Eni. Con una narrazione incentrata - non accade spesso di questi tempi - sul tema del lavoro, Acqua in mano pone al centro un «uomo di cantiere» e la sua esperienza, dalla Tunisia alla Libia, dall'Iran alla Nigeria. Una traiettoria nella quale si rispecchiano le vicende personali e l'orgoglio professionale dei tanti tecnici inquadrati sotto le bandiere del «cane a sei zampe». Il libro è denso di riferimenti a personaggi (compresi alcuni presidenti dell'Eni) e a contesti e luoghi cruciali. Vi si spiega, tra l'altro, come sono nati, a metà degli Anni Sessanta, i primi campi Eni di Ebocha e Mbede in Nigeria: uno scenario che aiuta a contestualizzare i fatti in corso nel gigante petrolifero africano.
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La storia attuale, dal punto di vista del cotone, sopravanzato dal petrolio e da altro, ma pur sempre materia basilare del commercio e dello sviluppo (o del sottosviluppo, da chi, nelle aree più povere, non sa o non può farne un uso adeguato), Orsenna la racconta attraverso un viaggio in quattro continenti, cinque se al Nord si aggiunge il Sud America, cioè il Brasile. Qui l’analisi del fenomeno economico è un tutt’uno con la descrizione di ambienti e personaggi, dai contadini del Mali a quelli dell’Uzbekistan e della Cina, dal patetico ma dignitoso e orgoglioso direttore di un semideserto Museo del cotone, al Cairo, al capo della «lobby» cotoniera degli Stati Uniti, la più potente del mondo, che da Memphis, Tennessee, con i suoi collegamenti col Congresso di Washington, difende gli interessi di tutta la «filiera», dal piantatore al distributore e al consumatore, sfidando l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc, meglio nota, nella sigla inglese, come Wto), che chiede la fine delle sproporzionate sovvenzioni alla produzione americana (che, così sorretta, arricchisce i produttori, ma inflazionando l’offerta, riduce il prezzo internazionale, con grave danno, per dire, dei contadini del Mali). La conclusione «tecnica» del viaggio di Orsenna è che la globalizzazione può essere ingiusta, ma è inevitabile. Inutile affidarsi alle utopie, come un rapporto diretto tra i produttori e i consumatori, saltando le multinazionali che servono il mercato mondiale. Premere, questo sì, sull’Omc, o Wto, con-
Un affascinante viaggio di Orsenna: commercio e industria dei «fiocchi bianchi», specchio di sviluppo e sottosviluppo tro le sovvenzioni, anche europee, e contro il «dumping» sociale della Cina, che fa lavorare anche i bambini, per invadere a basso costo i mercati tessili internazionali. E indurre gli europei, a partire dai francesi, a lavorare di più e a coordinarsi meglio. Ma c’è una conclusione anche, come dire, letteraria, o umanistica, del viaggiatore che ha esplorato il mondo, o una sua parte sensibile se non cruciale, e ha inteso raccontarla più ancora che spiegarla. E il racconto è intrigante, sereno e a volte ironico, come non ci si aspetterebbe, evidentemente a torto, da un accademico di Francia.
TERRE PROMESSE ELENA LOEWENTHAL
BENJAMIN A SANREMO L’intellettuale tedesco vi soggiornò fra il 1934 e il 1938: lì si era formata negli anni del fascismo una comunità ebraica tanto piccola quanto cosmopolita, la cui storia è ora ricostruita
La moglie di Benjamin, Dora Keller, con il figlio Stefan Michael, nel 1925
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n fondo, perché non approfittare dell'impareggiabile ribalta mediatica che si offre proprio in questi giorni a Sanremo e alla Riviera dei fiori, per gettare un'occhiata a questi luoghi da una prospettiva diversa, nel tempo e nell'animo? Perché non cogliere l'occasione del festival più sonoro che ci sia per un viaggio diverso, ma sempre in questo splendido angolo di mondo? Che ha una sua storia tutta particolare, sommessa e inafferrabile, eppure profonda tanto da segnare - più la memoria che il terreno vero e proprio - e soprattutto da destare il bisogno di ripercorrerla, questa storia. Così ha fatto, con una dedizione tenace e sobria, con una grande cura per le fonti e la verità storica, Paolo Veziano nel volume appena pubblicato da Diabasis, Sanremo. Una nuova comunità ebraica nell'Italia fascista. 1937-1945 (pp. 273, €21). Il saggio è arricchito da una prefazione di Alberto Cavaglion e un contributo di Giulio Schiavoni su Walter Benjamin a Sanremo. Perché sì, il grande intellettuale ebreo tedesco morto suicida, forse per paura forse per coraggio, a Port Bou fra Spagna e Francia, trascorse molto tempo a Sanremo, fra il 1934 e il 1938. Soggiorni lunghi e a più riprese, alla pensione Villa Verde, gestita dalla sua ex moglie Dora Sophie Keller. Qui lei viveva con l'unico figlio messo al mondo da Walter, Stefan Michael. Qui, forse, Benjamin lasciò
dei suoi scritti mai più ritrovati. Ma questa in fondo è sola una remota ipotesi. Una storia vera e propria è quella di una piccola e composita comunità ebraica giunta qui con il favore del clima, del paesaggio, dell' atmosfera umana: «Chi, oggi, voglia compiere un viaggio nei luoghi dell'ebraismo sanremese, non troverà oggi in città la consueta sinagoga trasformata in museo, ma dovrà intraprendere un percorso così intimo e segreto che nessuna guida turistica può indicare: un viaggio nella memoria e nell' animo di chi ha occultamente e concretamente aiutato gli ebrei, e di coloro che con commozione e riconoscenza ricordano di avere beneficiato della loro generosità». L'indagine di Veziano parte da lontano, dai documenti ufficiali, dai provvedimenti del fascismo, per arrivare passando per archivi e tracce diverse, nel cuore di questa comunità tanto minuscola - poche decine di anime - quanto cosmopolita - giunta in Riviera sull'onda dell'odio da tutta Europa. E così, senza quasi soluzione di continuità, per queste anime il luogo di villeggiatura diventò in quegli anni luogo di rifugio. Fino alla retata del 25 novembre del 1943, al piccolo campo di concentramento di Vallecrosia, ai disperati viaggi della speranza avanti e indietro sul confine francese. Con commozione pacata, con competenza sofferta, Veziano segue passo a passo ognuna di queste storie: quelle a lieto fine e quelle finite come milioni di altre nei campi della morte.
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Scienza
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SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
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BLOC NOTES EXCELSIOR
Nel segno di Flaubert = Esordisce con Flaubert la
UN’ALTRA VITA GENTILE JUNIOR A PIENO MERITO
Da sinistra. Fermi, Carrara e Rasetti sulle Alpi Apuane, nei primi Anni Venti: la foto è conservata presso la Fondazione Galilei di Pisa
Franco Rasetti La vita centenaria del ragazzo di via Panisperna, compagno di Fermi: rifiutò Los Alamos, studiò la flora alpina
ALLA BOMBA PREFERÌ I FIORI PIERO BIANUCCI
Amava i fiori, il fisico Rasetti, ex ragazzo di via Panisperna, detto «il cardinale vicario», il più rispettato dopo Fermi, che infatti nel gioco dei soprannomi era «il Papa». Amava i fiori al punto che passò gli ultimi decenni della sua vita di scienziato a catalogarli. Ormai lontano dall’esplorazione del nucleo atomico che aveva vissuto da protagonista accanto ad Amaldi, Segré, Majorana, Pontecorvo, Wick, Persico, D'Agostino e Giovannino Gentile, il fisico Rasetti cercava rifugio nella immobile silenziosa bellezza del mondo vegetale. I fiori delle Alpi, che pubblica nel 1980, diventa un best seller. Il paziente esercizio di classificazione è la miglior metafora della razionalità rarefatta, quasi maniacale, che lo aveva sempre contraddistinto. Tra le migliaia delle sue foto della flora alpina, una è rivelatrice: quella della Saxifraga florulenta, erbacea d'alta montagna che colonizza il terriccio avaro tra le rocce al margine delle nevi, il ritratto più difficile, perché la Saxifraga impiega quarant'anni a crescere, fiorisce una sola volta e muore. Ci vuole una determinazione testarda per fissare lo schiudersi dei suoi petali, e forse anche uno struggente e ben dissimulato amore della vita. Gli Anni 30 dell'Istituto di fisica di via Panisperna a Roma sono mitici. Lì, al secondo piano della palazzina, un gruppetto di giovani geniali scoprì la radioattività artificiale, contribuì alla comprensione dei nuclei atomici, elaborò la prima teoria dell'interazione debole e individuò i «neutroni lenti» come proiettili ideali per la fissione dell'uranio, scoperta che permise a Fermi di costruire, nel 1942, la prima pila atomica. Tutti quei «ragazzi» si sono raccontati o sono stati raccontati da colleghi e storici. Tutti tranne uno. Mancava una biografia di Franco Rasetti (a parte una, uscita solo in Canada vari anni fa). Valeria Del Gamba ha riempito questo vuoto scrivendo un libro sobrio in uscita da Bollati Boringhieri: notizie fitte e
IL LIBRO
VALERIA DEL GAMBA
Il ragazzo di via Panisperna BOLLATI BORINGHIERI pp.168, €19
Fu un pioniere degli studi sulla fusione nucleare Per scelta pacifista abbandonò la fisica atomica, diventò geologo, paleontologo, botanico precise, aneddoti e battute essenziali, misurate sottolineature per far emergere dai fatti il personaggio, la scelta saggia di mettere in appendice una serie di testimonianze di coloro che conobbero Rasetti, con una discrezione ormai sconosciuta in un tempo che ha perso il pudore del privato. Rasetti se n'è andato il 5 dicembre 2001 a 101 anni. Vita secolare segnata da un gran rifiuto: non volle partecipare alla costruzione della bomba atomica nei laboratori ultrasegreti di Los Alamos. Scelta pacifista. Ma bisogna intendersi. Rasetti non coltivava un pacifismo buonista. Detestava la guerra innanzi tutto perché gli appariva il modo più stupido di affrontare i conflitti. E si tenne alla larga dal club atomico certo per scelta etica e razionale, ma
anche perché nel frattempo la fisica stava diventandogli estranea, mentre lo attraevano la geologia, la paleontologia e infine la botanica. Fiori, licheni e farfalle erano già la sua passione da bambino, a sei anni sapeva a memoria centinaia di nomi scientifici. Non si pentì del no alla bomba, anzi se ne convinse sempre più: «Per quanto perverse fossero le potenze dell’Asse, era evidente che l’altro fronte stava sprofondando in un livello morale (o immorale) simile nella condotta di guerra, come testimonia il massacro di 200 mila civili giapponesi a Hiroshima e Nagasaki». Nel 1954, quando Fermi muore consumato dal cancro, Rasetti non va al suo capezzale. Niente di personale. Da goliardi avevano combinato scherzi leggendari, erano stati grandi amici e lo erano ancora. Ma le loro strade da tempo avevano cominciato a divergere per motivi contingenti ed esistenziali. Non si vedevano dal 1940, eppure Rasetti pensava che non sarebbe mancata, prima o poi, l'occasione di una rimpatriata. Sbagliava. Quanti di noi hanno rimorsi per errori di questo tipo? Nato il 10 agosto 1901 a Pozzuolo Umbro, provincia di Perugia, Rasetti si iscrisse a ingegneria a Pisa, per poi passare a fisica attirato da Fermi, che era di 45 giorni più giovane di lui. La carriera: laurea con lode nel 1922, cattedra di spettroscopia a Roma nel 1930, centinaia di pubblicazioni scientifiche, soggiorni di studio in California con Millikan e a Berlino con Lise Meitner, che avrà un ruolo decisivo nella scoperta della fissione dell'uranio, porta d'ingresso all'era degli ordigni nucleari. Un lavoro di Rasetti sull'effetto Raman negli spettri delle molecole di idrogeno, azoto e ossigeno (1928-30) fu determinante per dirottare la ricerca sui nuclei atomici, la svolta che porterà al successo internazionale il gruppo dei «ragazzi». Rasetti sarà ancora un pioniere nello studio dei muoni e infine della fusione nucleare, negli Anni 50, quando la fisica non l'appassionava più e semmai affidava la sua fama a ricerche sui fossili di trilobiti, artropodi marini vissuti 500 milioni di anni fa.
Defilato, timido, di carattere dolcissimo, tra i «ragazzi di via Panisperna» c'era anche Giovannino Gentile, figlio di Giovanni, filosofo dell'idealismo organico al regime fascista. Cognome scomodo, reso ancora più imbarazzante dal diminutivo del nome. Una ascendenza che ha alimentato pettegolezzi e giudizi ingiusti. In realtà Giovannino Gentile fu tra i migliori fisici teorici della sua generazione, meritò la cattedra che gli fu assegnata nel 1937 e nella sua breve vita (1906-1942: morì di setticemia per un banale ascesso dentario) produsse lavori scientifici tuttora interessanti, oltre a intrattenere rapporti con personaggi come Heisenberg, Sommerfeld e Einstein. A ristabilire la verità dei fatti provvede ora il documentato libro di Paolo Simoncelli Tra scienza e lettere. Giovannino Gentile (e Cantimori e Majorana) edito da Le Lettere (pp. 176, €16,50). L'episodio più controverso è quello del concorso universitario. Si è detto che Majorana fu messo in cattedra «per chiara fama» fuori concorso per sgomberare il campo a Giovannino Gentile, e che Majorana ne fu così offeso da essere indotto a un suicidio mascherato da «scomparsa». Anche Leonardo Sciascia, oltre a fantasticare sulla scomparsa di Majorana senza prove documentarie, insistette molto su questo presunto atto di servilismo in omaggio a un potente del regime. In realtà è ora documentato che Majorana, già vittima di una grave depressione, in un primo tempo non voleva concorrere alla cattedra; quando si decise a farlo, era già scaduto il termine per presentare i titoli, e quindi solo la formula della «chiara fama» risultava legalmente praticabile. Pochi giorni dopo la nomina di Majorana, la commissione si riunì per espletare il concorso e promosse nell'ordine Giancarlo Wick, Giulio Racah e Giovannino Gentile. I cui meriti scientifici sono al di sopra di ogni dubbio, e semmai furono offuscati soltanto dalle pressioni piuttosto goffe, come si può verificare leggendo questo libro - dell'illustre padre filosofo. [p. b.]
Dopo un lungo soggiorno all'Università Laval in Canada, nel 1967 Rasetti ritorna in Italia e prende casa a Roma. Non è ricco, per cavarsela vende a 25 mila dollari la sua collezione di trilobiti. Poi arrivano gli «anni di piombo». Nel 1977, inquieto per il terrorismo, si trasferisce in Belgio. L'ultima stagione è rattristata da fasi depressive. Gli è accanto Marie Hennin Donnay, che aveva conosciuto in Canada e sposato nel 1949. Una unione tardiva eppure lunga grazie all'anagrafe benigna. Un rapporto sereno. Ma anche alle donne Rasetti guardava con occhio un po' troppo razionale. Il fisico George Owen ce lo descrive mentre al tavolino di un bar esamina un trilobita, ignaro di una bella ragazza attratta dalla sua linea elegante, slanciata, asciutta.
casa editrice Excelsior 1881, nel ricordo di «Ballo Excelsior» di Romualdo Marenco, che debuttò alla Scala l’11 gennaio 1881. A centocinquant’anni dall’apparizione di «Madame Bovary», ecco una raccolta di pagine inedite, intime, private: «Vita e lavori del rev. P. Cruchard» (traduzioni di Chiara Pasetti, note di Yvan Leclerc, pp. 164, €13,50). In anastatica, la casa offre - agli amici - «Come si seducono le donne» di Filippo Tommaso Marinetti, uscito nel 1918 per i tipi delle edizioni (anch’esse) Excelsior. GRINZANE
Tra Italia e Spagna = E’ stata intitolata ieri,
all’Università di Salamanca, un’aula al premio «Grinzane Cavour». Dopo la cerimonia, si sono approfondite le figure di «Beppe Fenoglio e Cesare Pavese: scrittori oltre il tempo» e si è svolto il convegno «Percorsi letterari tra Italia e Spagna». Oggi si festeggiano i sessant’anni dei «Quaderni ibero-americani», giunti al centesimo numero. A dirigerli, Giuseppe Bellini e Giuliano Soria. BOLL
Un viaggio di servizio = Ritorna, per i tipi di Marcos
y Marcos, «Termine di un viaggio di servizio» di Heinrich Böll (traduzione di Marianello Marianelli e Marlis Ingenmey, pp. 251, €15). E’ «un cioccolatino esplosivo», come avverte lo scrittore. Un militare, durante la leva, frange l’insensatezza dei giorni dando fuoco a una jeep. Segue il processo, a cui il potere «democratico» vuol mettere la sordina. SAGGI
Futuro e sviluppo = Lo sviluppo incalza, ma le
risorse naturali scarseggiano. Di qui un conflitto destinato a caratterizzare il ventunesimo secolo. «Per un futuro equo» quale la via da seguire? E’ il tema dell’omonimo rapporto del Wuppertal Institut (Feltrinelli, traduzione di Paola Olivieri, pp. 291, €28). Le dimensioni sociali dello «Sviluppo sostenibile» sono esplorate in un saggio di Luca Davico, docente al Politecnico di Torino, per i tipi di Carocci (pp. 201, €18,50). «Che cosa c’è davvero dietro/dentro il concetto di sviluppo sostenibile? Quali effetti produce sul piano sociale, culturale, politico, economico ecc.? E, ancora, quali implicazioni esso presenta per le scienze sociali?». TRENTENNI
Generazione smarrita = A trent’anni, un tempo, si
lavorava e si avviava una famiglia. Oggi, a trent’anni, la maturità è ancora lontana, a dominare sono i dubbi, le inquietudini, la fuga dalle responsabilità. Alla «Generazione smarrita» è dedicata l’analisi di Bernadette Bawin-Legros (Nuovi Mondi Media, pp. 164, €16,50).
NA
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Passato e presente
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SABATO 24 FEBBRAIO 2007 LA STAMPA
Colonialismo e rivolte La tratta dei neri nel contesto dell’economia globale
UNA SCHIAVITÙ CON CAFFÈ E ZUCCHERO MARCO AIME
Cullandoci comodamente sul luogo comune di «italiani brava gente», abbiamo sviluppato una consolante abitudine a pensarci fuori dalle grande nefandezze che la storia ci racconta. Poi scopriamo che il nostro colonialismo non era solo fatto di strade e scuole, che non è tanto vero che non siamo razzisti e ora possiamo anche scoprire che mercanti e banchieri italiani del XVI secolo fornirono capitali e tecnologia ai portoghesi per fondare un impero commerciale africano, così come fornirono anche marinai per colonizzare il Brasile e gettare le prime fondamenta del sistema schiavistico atlantico. A raccontarci che anche noi siamo coinvolti in quella feroce macchina che fu il commercio negriero è Olivier Pétré-Grenouilleau, uno storico che affronta la tratta degli schiavi in chiave globale, legandola agli sviluppi e alle relazioni delle principali economie degli stati nazionali. L'affresco che ne emerge è ricco e dettagliato e contribuisce a sfatare anche alcuni luoghi comuni, che spesso avvolgono questo fenomeno. L'idea di schiavitù affonda le radici nell'antichità e la pratica di assoggettare uomini e donne ai propri voleri ha accomunato popoli e civiltà diverse. In molti casi si trattava di schiavi domestici, che peraltro facevano parte della famiglia. Ciò che ha caratterizzato la tratta dall'Africa è però la forte strutturazione in sistema e lo sradicamento dello schiavo dal proprio contesto di origine. UN «COMMERCIO TRIANGOLARE»
Pétré-Grenouilleau mette in luce alcuni punti che hanno caratterizzato la tratta degli schiavi. Primo, per esistere un sistema di tratta necessita di estese reti di approvvigionamento, rotte consolidate e appoggi locali. Il che presuppone l'esistenza in loco di un'ideologia preesistente, che legittimi la schiavitù. Un altro elemento caratteristico è la dissociazione completa tra il luogo di produzione e quello di utilizzazione dei prigionieri: dall'Africa gli schiavi vengono spediti in Medio Oriente, nelle Americhe, in India, in Cina. Lo schiavo deportato viene a perdere ogni legame con la
propria origine, con il territorio, con i suoi genitori, i suoi avi e altrettanto perde ogni diritto verso la sua prole, che è appannaggio del padrone. Lo schiavo è colui che non ha più né ascendenza né discendenza. Un altro elemento importante va però tenuto in considerazione, un fenomeno di così vasta scala e durata non poteva nascere, svilupparsi e mantenersi in vita senza il consenso di entità politiche accomunate da interessi convergenti. Nello specifico le entità politiche in questione erano europee, americane e africane. Il celebre «commercio triangolare» arricchiva commercianti, guerrieri, imprenditori di tutte e tre le sponde coinvolte. I regni costieri africani catturavano e vendevano schiavi, questi venivano deportati nelle Americhe, di qui prodotti tipici arrivavano in Europa, dall'Europa armi, alcol e altri generi raggiungevano l'Africa.
I TITOLI
IN CERCA DI MANODOPERA
Lo dimostra la storia dello zucchero. Fino al Medioevo, lo zucchero era rarissimo e faceva la sua comparsa solo sulle tavole dei nobili. A partire dal 1700, grazie ai sempre maggiori commerci internazionali, cominciarono ad arrivare in Europa tre bevande: il caffè, originario dell'Abissinia, il tè, proveniente dall'Asia e il cioccolato, che arrivava dalla Mesoamerica. Tutte e tre queste bevande avevano bisogno di zucchero e la domanda iniziò a crescere, in seguito al diffondersi, soprattutto nell'Europa del Nord di locali come le sale da tè ed i caffè. Nelle Americhe e in particolare nell'area caraibica c'erano molte piantagioni di canna da zucchero, ma mancava la mano d'opera in quanto gran parte delle popolazioni locali erano state sterminate dai colonizzatori europei. Per rispondere alla domanda di zucchero, olandesi, portoghesi, inglesi e francesi, pensarono di andare a cercare braccia per lavorare in Africa, per trasportarle nelle Americhe. Fu questa una delle ragioni che diede inizio la tratta degli schiavi, una tragedia che vide tre decine di milioni di giovani e donne africani strappati alle loro case per essere imbarcati su nave negriere. Un tragedia che fece dire a Bernardin de Saint-Pierre, scrittore e viaggiatore francese del 1700: «Non so se caf-
Indians Da Cavallo Pazzo a Cochise
e Toro Seduto, ritratti con vizi e virtù
UNA SPOON RIVER DELLE PRATERIE PER I PELLIROSSE p p p p
Un manifesto per la pubblicità del cacao nella Francia Anni 20 (ill. da «NégriPub», ed. Somogy, Parigi 1992)
Fabio Galvano INDIANS UTET LIBRERIA pp. 391, €24,50
p Un’opera che intreccia la docu-
mentazione del saggio e la svelta prosa giornalistica sforzandosi di cancellare vecchi e nuovi stereotipi senza cadere nelle trappole di certo politically correct falso come le carte da gioco d’un gambler da saloon
O. PÉTRÉ-GRENOUILLEAU
La tratta degli schiavi Saggio di storia globale trad. di Rinaldo Fagioni IL MULINO, pp. 472, €29.
C. L. R. JAMES
I giacobini neri La prima rivolta contro l'uomo bianco trad. di R. Petrilli e F. Del Lucchese DERIVE E APPRODI, pp. 365, €25
Il saggio di Pétré-Grenouilleau, storico bretone, è uscito da Gallimard nel 2004. Quello di Cyril Lionel Robert James risale al 1938: è tra le opere maggiori di James, originario di Trinidad (1901 1989), storico e critico marxista, autore anche di «Marinai, rinnegati e reietti», uno studio su Melville riproposto nel 2003 da Ombre Corte
RENATO RIZZO
Non è una figurina leggendaria accesa nella memoria dei bambini che hanno giocato e ancora giocano agli indiani o di noi, bambini cresciuti, che gli indiani abbiamo imparato a conoscerli, a temerli o ad amarli leggendo Zane Grey, se non addirittura Salgari, o vedendo i film di John Ford e dei suoi succedanei. Il suo grado di notorietà, nel termometro della civiltà dei consumi che insegue il potere evocativo d’un gesto o d’un appellativo, è prossimo allo zero. Niente a che vedere con Pontiac, capo degli Ottawa e eroe delle guerre coloniali di fine ‘700, che ha ricevuto dall’America l’onore di trasformarsi in una marca di berline o con la tribù dei Cherokee, diventata marchio d’un fuoristrada di lusso. Lui, Tecumseh, con il suo nome che significa Pantera Accovacciata, è arrivato solo a battezzare il motore d’un tosaerba. Eppure, tra i grandi capi americans, quest’uo-
fè e zucchero siano essenziali alla felicità dell'Europa, so però bene che questi due prodotti hanno avuto molta importanza per l'infelicità di due grandi regioni del mondo: l'America fu spopolata in modo da avere terra libera per piantarli; l'Africa fu spopolata per avere braccia necessarie alla loro coltivazione». Gli interessi economici dei numerosi stati coinvolti nella tratta, potevano essere perseguiti anche grazie a una sorta di accondiscendenza, se non di approvazione da parte di intellettuali e religiosi. Sia il mondo cristiano sia quello musulmano, nonostante l'enunciazione di principi egualitaristi e per quanto riguarda l'Islam, il divieto di porre in schiavitù un altro musulmano, hanno sempre ampiamente tollerato le pratiche schiavistiche, senza mai opporsi in modo netto, se non per voce di qualche singolo esponente. INTELLETTUALI AMBIGUI
Neppure gli intellettuali più avanzati dell'epoca dei Lumi, contraddicendo spesso le proprie idee, si sono mai lanciati in aperte battaglie contro la schiavitù, mantenendo atteggiamenti spesso ambigui. Lo stereotipo del nero come essere inferiore, più vicino allo stato animale che a quello umano, è il prodotto di una lunga costruzione iniziata nell'antichità, e che permane tuttora, che ha in molti casi offerto una sorta di scusa non solo ai fautori dello schiavismo, ma anche a coloro che, se da un lato non l'approvavano, dall'altro nemmeno lo accusavano fi-
mo che sapeva mescolare il pragmatismo e visioni sciamaniche correndo dietro al sogno d’una grande nazione indiana nella regione dei Grandi Laghi e nell’Ohio, merita un posto di primo piano. Se esistesse uno Spoon River dei guerrieri rossi l’epigrafe della sua lapide urlerebbe: «Ci lasceremo distruggere senza combattere rinunciando alle case, alle terre che ci ha lasciato il Grande Spirito, alle tombe dei nostri morti e a tutto ciò che ci è sacro? So che con me griderete “Mai, mai”». Tecumseh, inaspettato statista e stratega, è uno dei 20 «ritratti» attraverso cui Fabio Galvano, giornalista e scrittore nel libro Indians - disegna quattro secoli di guerre indiane: un interminabile scorrere di lune durante il quale, nel solo Nord America, i nativi, straziati dal genocidio, passarono da 8-12 milioni a 237 mila. Questo capo che rifiutava l’uso della tortura e sapeva essere magnanimo, ma anche bellicoso - sembra in-
no in fondo. Questo spiega anche il lungo travaglio che ha segnato la nascita dell'ideologia abolizionista che, sostiene l'autore, è soprattutto un'idea occidentale e non ha mai trovato un equivalente nel mondo africano e orientale. IL GIACOBINO DI SANTO DOMINGO
Non sarebbe, forse, dello stesso parere Cyril R. L. James, autore di un interessante libro, edito nel 1938 e oggi riproposto in una versione arricchita e aggiornata, il cui titolo, I giacobini neri. La prima rivolta contro l'uomo bianco, è piuttosto esplicito. Il libro narra e analizza, con passione politica e precisione storica, le vicende della colonia francese di Santo Domingo, quando nel 1791, la popolazione nera, schiava, si ribellò contro i possidenti bianchi. A capeggiare la rivolta era Toussaint Louverture, ex schiavo, alfabetizzato, una figura complessa che porta i suoi alla vittoria, accettando l'aiuto degli spagnoli. Compreso che la Spagna non avrebbe abolito la schiavitù, si allea alla Francia, contro gli spagnoli stessi, ma questo non basterà a salvarlo dalla prigione in cui gli stessi francesi lo rinchiuderanno nel 1801, per ordine di Napoleone, che nel frattempo aveva ristabilito la schiavitù. Toussaint morirà nel 1803. L'anno successivo la sua isola natale diviene indipendente. Due libri che parlano di vicende, che spesso tendiamo a non far coincidere con la modernità e che, invece, ci sono dentro. Completamente.
carnare l’intento perseguito dall’autore: colmare l’«abisso tra l’indiano maestro di vita, d’amore familiare, di profondo senso della natura, di culto della terra e del cielo, addirittura, di ecologista ante litteram e l’indiano del quale si diceva che “l’unico buono è quello morto”». L’ULTIMO LIBERO FU ISHI
E vediamoli da vicino, con i loro vizi e le loro virtù, questi personaggi di storia e di leggenda: Cavallo Pazzo che faceva impennare il pony incitando i suoi: «Coraggio, è un bel giorno per morire»; Toro Seduto, il più grande dei grandi, il Sioux che dopo essersi coperto di gloria in 63 battaglie, accettò per 50 dollari alla settimana d’esporsi agli insulti lanciati in una lingua che, peraltro, non comprendeva - degli spettatori nel Wild West Show di Buffalo Bill. Salvo poi tornare tra i suoi per sostenerne le rivendicazioni e morire in combattimento; Cochise e Mangas Coloradas, che scatenavano la
loro furia nelle notti di luna piena, la tristemente famosa Apache Moon; Geronimo, così amato che i cantastorie non accettarono mai l’idea della sua capitolazione perché, dicevano, «nessuno può imprigionare il vento». I titoli di coda di questa cavalcata lunga quattrocento anni scorrono sulla figura emaciata d’un altro uomo delle praterie che pochi scrittori hanno raccontato e nessun bambino ha mai sognato d’immedesimare: Ishi, l’ultimo pellerossa libero, catturato nel 1911. Erano trascorsi 21 anni dal massacro di Wounded Knee che sancisce, storicamente, la fine delle guerre indiane. Ma Ishi, la storia non la conosceva: rimasto solo dopo che malattie e battaglie avevano azzerato la sua tribù, sopravvisse nelle pieghe d’un territorio non ancora occupato dai bianchi. Stava cercando cibo alla periferia di Oroville quando lo presero. Morì nel 1916 a Berkelkey, di tubercolosi.
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La classifica AI PUNTI LUCIANO GENTA
10 + CON IL GIOCO DI ALEX
Tuttolibri
SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
U
n bestseller solo al comando, mezzo bestseller distanziato di quasi 50 punti e un gruppo di inseguitori con poche speranze. Per di più Moccia, in copie vendute, vale la metà della settimana scorsa. Fate un po’ i conti. Ma senza lamenti. I numeri sono quelli che sono: il volume d’affari dell’editoria libraria mondiale ricorda Raffaele Cardone in Tirature ‘07 - è di 69 miliardi di euro: «All’incirca quanto il fatturato della Nestlé, o della Sony». Benvengano i bestsellers, qualunque siano, ovunque arrivino. In Cina ad esempio dati diffusi dall’Associazione editori italiani durante
la missione a Pechino che si è conclusa ieri - il libro più letto nel 2006 era il Codice da Vinci. E non certo per mancanza di concorrenti: là si contano 573 case editrici, di cui 220 a livello nazionale, anche se quelle grandi, con più di mille titoli l’anno, sono solo il 5%. E di titoli ne escono ogni anno circa 220 mila con oltre 6 miliardi di copie vendute (ma la metà sono testi scolastici). Non sembra che manchi l’offerta: è la domanda che arranca, cristallizzata intorno ad autori e titoli «evento». Così, qui da noi, anche questa settimana, due sole novità fra i primi 10: il solista Del Piero e la coppia Guccini-Macchiavelli. Cogliamo l’occasione
XI
per fare il gioco di Alex, che non racconta solo i segreti del calcio ma offre le classifiche dei suoi gusti. Ecco un nostro «10 +», dandoci come regola di scegliere tra i nuovi ingressi e i titoli che pur non apparendo in tabella risultano tra i 20 più venduti di ogni genere: Turow Prova d’appello; Amos Oz Non dire notte; Le Clézio L’africano; Romano Compagni di scuola; Ichino I nullafacenti; Lazar Democrazia alla prova; Pavone Prima lezione di storia contemporanea, Szymborska Due punti; Kapuscinski In viaggio con Erodoto e, last but not least, Zagrebelsky Imparare la democrazia. Fate il vostro gioco, magari fuori classifica.
I PRIMI DIECI
1
Il colore del sole
MOCCIA RIZZOLI
CAMILLERI MONDADORI
DEL PIERO MONDADORI
VARGAS EINAUDI
GUCCINI; MACCHIAVELLI MONDADORI
1. Scusa ma ti chiamo amore 100 Moccia [1] 18,00 RIZZOLI
2. Il colore del sole Camilleri 14,00 MONDADORI
3. Tango e gli altri Guccini, Macchiavelli
21 [6] 19 [3] 18 [5]
16,00 ADELPHI
28 [3]
3. Nei boschi eterni Vargas
24 [2]
13,00 MONDADORI
17 [4]
11,00 SELLERIO
5. Hannibal Lecter Harris
10 [5]
10,80 EINAUDI
6. Prova d’appello Turow
9 [-]
11,00 FELTRINELLI
11 [3]
4. Inchiesta su Gesù Augias; Pesce
10 [6] 7 [-] 7 [4]
7 [10]
8. Innocente. Una storia vera Grisham
12,50 EINAUDI
6 [6]
8. Il principe nero Greene; Massignani
5 [-]
15,00 FELTRINELLI
9. La democrazia che non c’è Ginsborg
38 [4]
5 [9] 5 [10]
1. L’ombra del vento Ruiz Zafon
Ragazzi 12 [1]
12,00 MONDADORI
2. Rivergination Littizzetto
11 [1]
2. Il mio nome è rosso Pamuk
3. L’Italia spensierata Piccolo
11 [2]
3. Neve Pamuk
12 [2]
4. Predatore Cornwell
8 [7]
6 [5]
7 [3]
5 [-]
5. Il passato è una terra straniera 5 Carofiglio [-] 6. Proibito parlare Politkovskaja
4 [-]
7. Non siamo nati per soffrire Morelli
5 [4]
3 [-]
5 [6]
3 [-]
8. Lo strano caso del cane ucciso... 5 Haddon [-] 9. Il castello bianco Pamuk
3 [-]
5,50 ADELPHI
10. La masseria delle allodole Arslan
5. Una notte al museo. La storia 3 Goldman [4] 6. Principesse Autori vari
3 [9]
7. L’incanto del buio. Fairy Oak. Vol. 2 3 Gnone [-] 8. Sei ciccia per gatti Geronimo 2 Tortuga [-] 13,50 PIEMME
5 [-]
9,80 EINAUDI
10. Due punti Szymborska
4 [6]
15,90 DE AGOSTINI
9,80 EINAUDI
9. 365. Una ricetta al giorno Fagioli (cur.)
4. Eldest. L’eredità. Vol. 2 Paolini
3,50 WALT DISNEY ITALIA
6,00 MONDADORI
8. Chisciotte e gli invincibili De Luca; Testa; Mirabassi
5 [3]
9,00 MONDADORI
10,00 MONDADORI
7. Vai Pantani! con DVD Bergonzi; Cassani; Zazzaroni
3. Salviamo la balena bianca Stilton
15,90 FABBRI
7,40 BUR - RIZZOLI
6. La classe fa la ola mentre... Beer (cur.)
2. Arthur e il popolo dei Minimei 6 Besson [2]
8,20 PIEMME
6,00 MONDADORI
5. Volammo davvero Fond. Fabrizio De André
8 [1]
18,00 MONDADORI
12,80 EINAUDI
4. E’ facile smettere di fumare... 7 Carr [8]
1. Il piccolo principe Saint-Exupéry 7,00 BOMPIANI
11,80 EINAUDI
18,50 SITCOM
10. Opus Dei segreta Pinotti 11,50 BUR RIZZOLI
1. 10+. Il mio mondo ... Del Piero
22,00 FANDANGO LIBRI
8,00 EINAUDI
5 [-]
Tascabili
20,00 MONDADORI
19,00 MONDADORI
9. Chi ama torna sempre indietro 6 Musso [7] 10. Non dire notte Oz
5 [8]
17
ROTH EINAUDI
10,00 RIZZOLI
7. Sull’amore Crepet
10
18
SAVIANO MONDADORI
10,80 BUR RIZZOLI
6. Esportare la libertà Canfora
HOSSEINI PIEMME
AGNELLO HORNBY FELTRINELLI
10,00 EWI
5. Compagni di scuola Romano
FALCONES LONGANESI
Everyman
9,00 LATERZA
12,00 MONDADORI
17,50 SONZOGNO
9 [-]
3. Una vita con Karol Dziwisz
Il cacciatore di aquiloni
Gomorra
15,00 MONDADORI
16,50 MONDADORI
18,60 MONDADORI
9 [7]
11 [1]
17,00 MONDADORI
14,50 SPERLING & KUPFER
10 [8]
2. Il mondo secondo Fo Fo; Manin
28
Boccamurata
14,00 MONDADORI
17,00 RIZZOLI
4. Everyman Roth
7. Io & Marley Grogan
11 [2]
13,50 GUANDA
18,50 MONDADORI
7. Notte prima degli esami oggi 13 Luca e Azzurra [-] 8. Testimone inconsapevole Carofiglio
2. Il cacciatore di aquiloni Hosseini
19,00 MONDADORI
16 [4]
1. La scomparsa dei fatti Travaglio
5
35
La cattedrale del mare
9
19
Varia
15,00 IL SAGGIATORE
13,50 EINAUDI
15,50 MONDADORI
6. Ritorno a Baraule Niffoi
35 [1]
15,80 EINAUDI
15,00 FELTRINELLI
5. Gomorra Saviano
1. La cattedrale del mare Falcones
17,50 PIEMME
17,50 MONDADORI
4. Boccamurata Agnello Hornby
Saggistica
18,60 LONGANESI
52 [2]
8
21
Tango e gli altri
Narrativa straniera
4
38
10 +. Il mio mondo in un numero
Nei boschi eterni
Narrativa italiana
10. Io sono di legno Carcasi
7
24
3
52
Scusa ma ti chiamo amore
6
9. Stagioni Rigoni Stern
2
100
9. Principesse. Libro puzzle Autori vari
2 [-]
7,90 WALT DISNEY ITALIA
5 [10]
7,80 BUR RIZZOLI
10. Eragon. L’eredità. Vol. 1 Paolini
2 [7]
18,90 FABBRI
LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALL’ISTITUTO DEMOSKOPEA DI MILANO, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 120 LIBRERIE A ROTAZIONE, DI CUI 80 EFFETTIVE. SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LA CIFRA FRA PARENTESI, SOTTO IL PUNTEGGIO, INDICA LA POSIZIONE IN CLASSIFICA NELLA SETTIMANA PRECEDENTE. LA RILEVAZIONE SI RIFERISCE AI GIORNI DAL 17 AL 23 FEBBRAIO
L’
oroscopo cinese sbaglia, quello che si è appena concluso non era l'anno del cane. Deve proprio essere stato l'anno del lupo. Orde di titoli lupeschi, più mansueti qui da noi, da Maurensig a Fred Vargas al noiosissimo cinese Jiang Rong, e invece aguzzi e aggressivi in Gran Bretagna. Subito dietro ai soliti noti (James Patterson, Thomas Harris, Sophie Kinsella), razzia la classifica Wolf of the Plains di Conn Iggulden. Raschiata fino allo stremo la saga di Giulio Cesare, tradotta da Piemme, ecco che s'inizia quella di Gengis Khan. Insieme al fratello Hal, Iggulden ha anche scritto The Dangerous Book for Boys, bestseller da innumerevoli settimane, 540.565 copie vendute, agli ultimi conteggi. Sia benedetto The Bookseller, che accanto alle classifi-
che solite espone anche quelle riservate ai piccoli editori. E come sempre, e come ovunque, tanti i libri interessanti fuori dalle major. Al primo posto, ci risiamo con i lupi, ecco The Tenderness of Wolves di Stef Penney, che ha vinto a sorpresa il Costa Book of the Year Award. SE LO STREGA FOSSE UN CRODINO
Parentesi: per trentacinque prestigiosi anni, il premio si è chiamato Whitbread; adesso che è cambiato lo sponsor cambia anche il nome, come se lo Strega fosse all'improvviso il Premio Crodino... Tornando alla Penney: la storia del romanzo è bella, la storia della sua autrice è bellissima. The Tenderness of Wolves racconta di una caccia all'uomo nello sterminato Nord canadese, a metà Ottocento. Atmosfere impeccabili, descrizioni precisissime del paesaggio: eppure Stef Penney, trentenne di
CHE LIBRO FA... A LONDRA GIOVANNA ZUCCONI
E’ IL TEMPO DEI LUPI Aguzzi e aggressivi: subito dietro ai soliti noti (James Patterson, Thomas Harris, Sophie Kinsella), razzia la classifica «Wolf of the Plains» di Conn Iggulden
Edimburgo, non è mai stata in Canada, e men che meno nelle sue immense praterie innevate, perché soffre di agorafobia. Grave. Dopo anni di cure e di sforzi, è riuscita a spingersi fino alla British Library, a pochi minuti da casa, per documentarsi per il romanzo. In una notevole intervista a The Scotsman (Vive sola? «No». Con un partner, o una partner? «No». Allora con amici, oppure familiari? «No». Vive sola, dunque. «No». Insomma! Abita con i suoi personaggi? «Scriva quello che vuole, tanto non leggo mai niente che mi riguardi») dice che le hanno consigliato di parlare della sua malattia, perché il «caso umano» tira sempre molto, è ottima pubblicità, e in più un altro candidato al premio è malato di cancro. Da dietro gli occhialoni neri, lei sibila: «Ho venduto un libro, mica me stessa». E invece, dicono gli esperti, i «casi umani» funzionano davve-
ro, più che mai. Traumi, disgrazie, sfortune e sofferenze (spesso infantili, quasi sempre per lettrici) dominano in 11 tascabili bestseller su 100, nel 2006. Titoli: Sickened di Julie Gregory (Tea), Ugly di Constance Briscoe (Corbaccio), tutta Torey Hayden (idem), Don't Tell Mummy di Toni Maguire eccetera. Sulla scia della chick lit di Bridget Jones & C, il genere è chiamato mis lit (mis sta per misery, cioè infelicità). Le librerie hanno etichettato appositi scaffali: «Painful lives» da Waterstone's, «Real Lives» da Borders. SALVATE MARTIN AMIS
Il Guardian ha definito Martin Amis «il più grande scrittore inglese vivente». Indignata, una lettrice ha scritto: «Se lo dite ancora una volta, mi ammazzo. Che qualcuno lo pensi, è sufficiente a far emigrare in Uruguay tutti quelli che amano la letteratura. Per piacere, salvatemi la vita: non fatelo più».
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XII
Diario di lettura
Marta Morazzoni
Tuttolibri
SABATO 3 MARZO 2007 LA STAMPA
Vita. Marta Morazzoni è nata a Milano nel 1950 e vive a Gallarate dove insegna lettere in una scuola superiore. Laureata in filosofia con Remo Cantoni alla Statale di Milano, ha tenuto rubriche di critica teatrale su riviste specializzate.
Opere. Il suo primo libro, i racconti de «La ragazza col turbante», esce nel 1986. Premio Campiello con « L'invenzione della verità» (1988), premio selezione Campiello con «Casa materna» (1992). L’anno scorso, da Guanda, è uscito «La città del desiderio, Amsterdam»..
LE SUE SCELTE
f
FRANCESCO GUICCIARDINI
Storia d’Italia
GARZANTI 3 voll. pp. CXXIV + 2394, €32.54
Le «chiare, fresche, dolci acque» del Petrarca a Vaucluse, in Provenza, una delle mete letterarie di Marta Morazzoni
“GIRO IL MONDO CON PROUST E PETRARCA” MARTA MORAZZONI
Ho l'impressione di averlo fatto fin dal principio e continuerò in questo modo fino alla fine: sondare il terreno intorno alle radici affioranti e tastare il tronco forte della letteratura, cioè fuor di metafora leggere quello che tutti conosciamo per studio e per fama e, in ragione di questa presunta conoscenza, non affrontiamo che per antologia. C'è un po' di snobismo in questo? forse, ma anche una bella soddisfazione per non essere rimasta sulla porta ad accontentarmi di quel che si intravede. O forse, se vogliamo girare la medaglia, potrei dirmi che in fondo alla base di tutto ci sia una inconfessata insicurezza critica che si è appoggiata alle cose riconosciute, confermate dalla tradizione e dalla sapienza altrui, sicché le certezze dei grandi classici sono diventate un bastione difensivo dalla cui altezza osservare il resto del paesaggio più sfumato della letteratura contemporanea. Forse è andata così e forse no, ma di certo tra gli undici e i quattordici anni, in tempi quindi non sospetti, avevo una passione per la storia e per la mitologia e mi ricordo ancora un libro, Il filo di Arianna, antologia dei miti greci ad uso delle scuole medie, che mi aveva conquistata. Fu su quella scia che trovai allora molto affascinante e coinvolgente leggere l'Iliade e l'Odissea; so che sembra poco credibile e soprattutto in controtendenza con la convinzione che la scuola induca al rifiuto e all'antipatia per tutto quello che
propone. E non si tratta di una considerazione ricavata dai miei studenti di oggi; mi sono imbattuta in adulti che, con vero o simulato rammarico, dicevano: «Se non mi avessero fatto leggere il Manzoni a scuola, chissà? forse mi sarebbe piaciuto». Si vede che ero una ragazzina fortunata, e mi andò molto bene che Omero mi piacesse oltre il profitto scolastico, perché ho cominciato da lì a fidarmi della base della «pianta letteratura» e a pensare che sapere le cose dalle fonti, dagli autori, fosse un vantaggio e un piacere. Andò così, appunto, anche all'incontro con Manzoni, poi con Dante e via leggendo e studiando: la direzione
«Ho fatto un sacco di viaggi per aver letto: i libri sono come gli stivali dalle sette leghe, consiglieri segreti» era tracciata. È curioso, visto col senno scolastico di oggi, quanto io mi sia fidata dei miei maestri e di quelli che da loro mi venivano indicati come maestri! Non che negli anni del liceo abbia letto la Storia d'Italia del Guicciardini, ma quegli stralci che ci proponevano dall'antologia mi parevano un impegno preso o piuttosto un appuntamento con data da destinarsi. Così quando il tempo del liceo e dell'università furono acqua passata, mi dedicai con comodo e con emozione alle incalzanti cadenze beethoveniane dello storico fiorentino che ho sempre preferito a Machiavelli. E ho letto la
sua Storia d'Italia con vera passione, la stessa che ha accompagnato, ma qui il ritmo era mozartiano, le note dell'Orlando furioso. Ammetto che mi piacerebbe lasciarmi andare a percorrere l'elenco di questi compagni di viaggio, consiglieri segreti e suggeritori del passo successivo, anche perché sarebbe una ricapitolazione della mia vita fin qui. Fino a Erodoto. Adesso sono giusto approdata a lui, passando per la storia delle guerre del Peloponneso del suo collega Tucidide. Ma a loro sono arrivata anche per via di turismo. Due viaggi nel Peloponneso, nell'Attica e nella Focide mi hanno fatto venire voglia di sapere come hanno raccontato loro, i Greci, la loro storia, quando era forse ancora cronaca o quando, nel caso di Erodoto, il mito era un vicino di casa del dato storico e della conoscenza scientifica. E, a proposito di questa prossimità, cosa dire dell' emozione che abbiamo provato nel cercare, e trovare! il trivio più famoso della letteratura? C'è una strada che da Delfi scende verso Tebe e si incrocia con la via di Daulio; c'è, e quando Sofocle ha scritto la tragedia di Edipo ha pensato che lì Edipo e Laio, col marchio del destino addosso da anni e in qualche modo stanchi di portarlo, si sono finalmente incontrati. Onore alla guida Lonely Planet, che è meno colta e ponderosa della storica Guida Touring, ma ha il pregio di certe estemporanee suggestioni. E onore soprattutto al benzinaio, sulla via da Osios Lukas a Dìstomo, che ci ha aiutati a districarci tra la superstrada Atene-Delfi e la vecchia provinciale che sale a Dau-
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«È curioso, visto col senno scolastico di oggi, quanto io mi sia fidata dei miei maestri. Non che negli anni del liceo abbia letto la Storia d'Italia, ma quegli stralci che ci proponevano dall'antologia mi parevano un impegno preso o piuttosto un appuntamento con data da destinarsi. Così quando il tempo del liceo e dell'università furono acqua passata, mi dedicai con comodo e con emozione alle incalzanti cadenze beethoveniane dello storico fiorentino che ho sempre preferito a Machiavelli».
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ERODOTO
Le Storie Edizioni UTET, GARZANTI, MONDADORI
«Adesso sono giusto approdata a lui, passando per la storia delle guerre del Peloponneso del suo collega Tucidide. Ma a loro sono arrivata anche per via di turismo. Due viaggi nel Peloponneso, nell'Attica e nella Focide mi hanno fatto venire voglia di sapere come hanno raccontato loro, i Greci, la loro storia, quando era forse ancora cronaca o quando, nel caso di Erodoto, il mito era un vicino di casa del dato storico e della conoscenza scientifica. Che emozione trovare il trivio più famoso della letteratura!»
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HALLDOR LAXNESS
Gente indipendente IPERBOREA pp. 656, €23,50
«In realtà non voglio entrare nel merito di cosa sia classico per me, so che mi perderei, e al massimo potrei procedere per esempi: è stato il caso di Laxness, l'islandese autore di Gente indipendente, un libro cattivo che ho molto amato e mal digerito, ed è stato il caso di Cao Xueqin con Il sogno della camera rossa una lunga storia di cui mi sono rimaste dentro voci e figure e impressioni che non saprei condurre a un intero organizzato, ma solo a macchie di luce e di colore».
lio. A chi mi ha obiettato che così si uccide il fascino dell'altrove che alimenta il mito, mi sento di obiettare a mia volta che l'invenzione mitica ha radici in terra: mettere i piedi su quella terra mi rafforza, non meno di quanto succeda al pellegrino compostelano che va a venerare il luogo, a sua volta illusorio, della tomba di Santiago Matamoro, oggi così straordinariamente di moda. Insomma di storia in storia, e credendoci con un pizzico di ironia, si fa un po' di strada. Ma per tornare a Erodoto e Tucidide, o a Montaigne, tanto per fare un salto avanti tra le mie preferenze e passioni, sono, parafrasando il titolo di uno strano film inglese di Davis, di tanti anni fa, «Voci lontane… sempre presenti». Ecco, sono queste voci che mi canticchiano dentro e fanno le sirene quando leggo le storie letterarie di oggi, alcune intriganti e inquiete, alcune assolutamente banali, alcune già classiche, se si può suggerire qui questo termine che rimane sempre un po' in sospeso nella sua definizione. In realtà non voglio entrare nel merito di cosa sia classico per me, so che mi perderei, e al massimo potrei procedere per esempi: è stato il caso di Laxness, l'islandese autore di Gente indipendente, un libro cattivo che ho molto amato e mal digerito, il caso di Cao Xueqin con Il sogno della camera rossa, una lunga storia di cui mi sono rimaste dentro voci e figure e impressioni che non saprei condurre a un intero organizzato, ma solo a macchie di luce e di colore. Piccoli passi o stivali dalle sette leghe: i libri, quando mi piacciono, hanno la facoltà di inchiodarmi a loro e buttarmi fuori verso il mondo. Ho fatto un sacco di viaggi per aver letto: Den Haag la devo a Proust, e la Provenza a Francesco Petrarca, cui devo anche la mia personale salita al Monte Ventoso. E quando ho visto la gente immersa nelle acque puzzolenti e risanatrici di un fiumiciattolo vicino a Saturnia, fuori dall' eleganza dei bagni organizzati, ho pensato che Dante deve essere passato di lì, a suo tempo, e aver visto questo stesso paesaggio umano, che poi ha collocato in certi passi dell'Inferno. Ho letto per aver fatto dei viaggi: Daphne du Maurier dopo una vacanza in Cornovaglia, lo Stevenson di Ragazzo rapito dopo un giro nelle Highlands scozzesi. E il Viaggio in Portogallo di Saramago, per vedere se le sue strade coincidevano o si incrociavano di tanto in tanto con le mie. Poi però succede che in certi casi le coincidenze paiono essere state così puntuali, così perfette da lasciare sconcertati! Per esempio, Pianto Romano non so se sia tanto famosa, è una località in Sicilia, una collinetta di fronte alla piana di Calatafimi. Si chiama così perché una volta una tale famiglia Romano ci aveva piantato delle viti. Ci siamo capitati per puro caso, ci ha incuriosito il nome e la freccia un po' sbilenca che mandava verso una strada stretta con curva a gomito. Da lì, dalla cima di Pianto Romano, seduta sui gradini del sacrario che ricorda i morti della campagna garibaldina del 1860, ho guardato giù nella pianura in una giornata di canicola che poteva favorire le allucinazioni. Erano le due del pomeriggio e non c'era, giustamente, un'anima in giro, e io che non sono affatto risorgimentale di spirito, ho avuto in quell'assoluto silenzio la sensazioni dei rumori e dei colori e della polvere della battaglia. Allora mi è venuta voglia che qualcuno me la raccontasse, un po' da storico e molto da appassionato per scalfire di più quella freddezza che il calore di luglio aveva cominciato a intaccare. E ho trovato il Bianciardi di Da Quarto a Torino. Non poteva andarmi meglio!
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