2005 Gennaio

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pro manuscripto te dimenticare, al “tutto copre” (I Cor 13,7) della carità di Dio. I reiterati interventi, che ricordano un passato negativo, non sono nella linea di Gesù. Possiamo comprendere perché non siano accettati. Gesù insegna nelle sinagoghe, sulla montagna, per la via della Galilea e della Giudea, nel tempio di Gerusalemme. Ogni posto anche per i genitori può essere utile all’ insegnamento. Il modo di esprimersi di Gesù, pur rifacendosi all’uso del suo tempo, è nuovo: parla un linguaggio vivo, immaginoso, concreto, breve, preciso. Evita ogni prolissità, spesso condensa in una frase tutto quanto deve esporre in un argomento. Così si deve fare anche in famiglia. Le cosiddette lunghe “prediche” non sono accettate dai nostri ragazzi: Bastano poche parole suggerite da un amore vero puro, disinteressato. Gesù usa anche il dialogo, alternando domande e risposte, fa uso di sentenze e, con gli scribi e i farisei, discute. Fra genitori e figli, siano essi piccoli o grandi, il colloquio non deve mai interrompersi; deve essere sempre aperto, sereno, costruttivo come fra amici. Avviene spesso che nelle famiglie qualcuno dei figli, anche dopo aver conosciuto una testimonianza dei genitori vissuta secondo il Vangelo, si allontani da loro e talvolta anche dalla fede. Pure con lui non è mai il caso di interrompere il rapporto, qualunque sia la strada che va percorrendo: fosse pure quella di ideologie lontane da Dio, fosse pure la via della droga, o di esperienze radicalmente in contrasto con l’insegnamento morale ricevuto in famiglia. Specie in occidente, siamo immersi in una società secolarizzata, in cui sono venuti meno importanti valori tradizionali, ma dove ne emergono altri, come una più forte coscienza della libertà personale, il gusto del progresso scientifico e tecnologico, il superamento delle barriere culturali e nazionali, una consapevolezza diversa da ieri dell’essere donna nella società, da parte delle ragazze, una semplicità di rapporti tra ragazze e ragazzi ecc. Occorre nei genitori una capacità di discernimento, nel dialogo con i figli, tenendo conto del contesto cambiato profondamente in cui vivono, e sapendo distinguere i “segni dei tempi” che certe loro esigenze nuove esprimono e vivere con loro anche la parola “ chi non è contro di noi è per noi” (Mc. 9,40). Gesù, nell’educare la gente, non teme di capovolgere la scala dei valori consueti, come quando annuncia le beatitudini (cf. Mt. 5.2 ss). Chiama beati, infatti, quelli

che non appaiono tali. Presenta una via difficile da percorrere, controcorrente con quanto offre il mondo. Anche noi dobbiamo avere il coraggio di dire ciò che veramente vale. Non bisogna illudersi che, presentando un cristianesimo languido, un Cristo inesistente, siano meglio accolte le nostre proposte. Dio si fa sentire nel cuore dei nostri figli. Ed essi reagiscono positivamente solo alla verità, quanto questa viene loro presentata, con un linguaggio ad essi accessibile e da essi accettabile, perché espresso da genitori che, prima di insegnare hanno fatto lo sforzo di capire e condividere profondamente le esigenze vere delle nuove generazioni. Il Vangelo ci mostra Gesù che parla “come uno che ha autorità” (Mt. 7,29). I genitori – fidandosi delle grazia che possiedono come talinon devono mai venir meno al loro compito di educatori. I figli, in fondo al cuore, li esigono così. Non per nulla essi li sanno giudicare anche spietatamente se hanno taciuto la verità. Gesù educa consegnando ai suoi il “suo” tipico insegnamento: “questo è il mio comandamento: che vi amate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv. 15,12). Gesù, precisando quel “come io vi ho amato”, si presenta come il maestro di tale amore. Questo deve essere l’insegnamento per eccellenza che deve dare un genitore ai propri figli, perché esso è la sintesi del Vangelo. E i genitori devono imitare così bene Gesù nel metterlo in pratica, da poter ripetere ai propri figli quel comando come proprio: Figlioli miei, amatevi come io ho amato voi. Nel prossimo numero di Gioite completeremo tale meditazione.

Anno VIII - Gennaio 2005 - n. 1

Bollettino Mensile della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria - Silvi Marina www.gioiaesperanza.it

Un bambino, osservò per lungo tempo uno scultore all’opera. Quando finalmente intuì la sagoma del lavoro disse stupito all’artista: “ Come facevi a sapere che dentro quel pezzo di marmo c’era un cavallo?” Perché venga fuori quel capolavoro a immagine e somiglianza di Dio che è in ognuno di noi, occorrono numerosi colpi di cesello, di scalpello: tanto tempo e tanta pazienza in cui è necessario che noi rimaniamo fedelmente vicino al Signore. Le celebrazioni e le ricorrenze solenni, sono come dei colpi di martello che sgrossano la figura ma lasciano informe il lavoro se non sono seguiti dalla perseveranza nel quotidiano, perché è l’Artista che sceglie la modalità, il momento e il mezzo spesso sorprendente per

plasmarci, per raggiungerci in profondità. In tanti festeggiamo l’inizio di un nuovo anno, magari scegliendo una vacanza esotica che ohimè, è tragicamente evidente, non può rispondere al desiderio di felicità dell’uomo; pochi a cantare il Te Deum di ringraziamento per i doni ricevuti nell’anno trascorso. Tantissime luci colorate adornano le case e le strade del nostro paese; non sono altrettanti i cuori che si illuminano della presenza del Bambino. Trasportati dal sentimento in molti partecipiamo con devozione alla Messa di mezza-

notte ma poi…! Miracolosamente vediamo ogni giorno nascere e dipanarsi la vita, in tanti riprendiamo poi, solennità concluse, a tenere prigioniera l’ esistenza. nell’indifferenza e nello scetticismo. Da queste pagine tante volte ci raccontiamo che ogni Natale ha un prima e un dopo, ugualmente intensi e generatori di gioia, ma poi torniamo, se non proprio atei, un po’ avanti Cristo, popolo sotto la legge; senza passione e senza entu-

siasmo possiamo ritrovarci improvvisamente a vivere come se la Nascita fosse stata solo una rievocazione. Ci sarebbe poco da gioire specialmente in questi giorni… eppure chi ha figli lo sa, quando nasce un bambino sconvolge la vita! Nel nostro piccolo, come i pastori, per quello che abbiamo udito e visto di bello, non solo il venticinque dicembre ma in tutti i giorni della nostra vita in cui, abbiamo fatto posto a Gesù perché ci crescesse dentro, vorremmo parteciparlo a tutti. Funziona così da duemila anni la trasmissione della fede; fatta l’esperienza concreta di un avvenimento, una Presenza che è venuta, è “nata” è che abita permanentemente con noi, la si racconta a chi non ne è a conoscenza. E’ quello che ci dice l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera” Ciò che era fin da principio, …ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l' abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche

a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta.” Ma non è poi automatico che il dono sia accolto . “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l' hanno accolto.” E “i suoi” siamo noi, che strada facendo, man mano che la folla si dirada e la festa si spegne, rischiamo di lasciare Gesù a Betlemme senza accorgercene! E un po’ si capisce perché il Signore Gesù, diverse volte compiendo dei miracoli ordina di non dirlo; perché non è l’eccezionalità di un evento che ci cambia la vita ma il perdurare degli effetti.. “Signore, mostraci il Padre e ci basta» chiede Filippo, un segno che sia straordinario e definitivo, e il Signore lo rimprovera: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? “ Da tanto tempo…!Proviamo a pensare ai discepoli di Emmaus, due fra i tanti disillusi; proprio loro sceglie il Signore. Dove lo incontrano? Sulla strada. Cosa fa per loro? Niente di eccezionalmente solenne. Spiega loro le Scritture, spezza il pane, si comunica loro e poi scompare alla loro vista sensibile ma non dalla loro presenza; è né più ( se di più c’è!), nè meno che la S. Messa, momento privilegiato perché per loro, come per noi, gli occhi si aprano e poi ogni altra cosa abbia un senso e una conferma; la celebrazione gioiosa del Natale, della

alcune caratteristiche importanti. Egli anzitutto da l’esempio, incarna egli stesso la sua dottrina. Non impone oneri che non porti egli per primo: “Guai a voi – dice – che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!” (Lc. 11,46). Gesù mette in pratica quanto poi chiede agli altri. Guardando a lui si può dedurre che il primo modo di educare anche per i genitori, non deve essere impegnarsi a istruire o correggere, ma vivere con totalità la propria vita cristiana. I genitori devono mettere in pratica essi stessi quanto poi chiedono ai figli. Domandano sincerità, impegno, lealtà, obbedienza, carità verso i fratelli, castità, pazienza, perdono ?. Che i figli possano costatare tutte queste qualità prima di tutto in loro. Nella madre e nel padre i figli devono trovare sempre dei modelli indiscutibili cui possano riferirsi. Un’altra caratteristica del modo di educare di Gesù è quella di intervenire I in aiuto dei suoi, concretamente, come quando ha sedato la tempesta sul lago ( c.f. Lc. 8,24). I genitori, che già naturalmente si prodigano per i loro figli, molto di più potranno fare, e soprattutto molto meglio, se innesteranno sul loro amore, l’amore soprannaturale: se ameranno con la carità di Dio, la carità di chi ama per primo, senza aspettarsi nulla. E’ un amore questo che non lascia mai indifferenti. Gesù poi da fiducia a chi deve istruire, come si può dedurre dalle sue parole all’adultera: “ Và – dice – e d’ora in poi non peccare più” (gv. 8.11). Egli crede alla possibilità che quella donna inizi una vita moralmente corretta: Le parole dei genitori devono sempre incoraggiare, essere cariche di speranza, positive, devono manifestare tutta la loro certezza nella ripresa dei propri figli. Gesù lascia libertà e responsabilità di decisione, come fa quando incontra il giovane ricco (cf. Mt. 19.16 ss). Non si devono mai imporre le proprie idee ma offrirle con amore, come espressione di

amore. I figli sono prima di tutto figli di Dio e non nostri. Non vanno trattati quindi come proprio possesso, ma come persone a noi affidate. Gesù non esita a correggere anche con decisione e forza, quando occorre. Dice a Pietro che lo voleva far desistere dall’affrontare la sua passione: “lungi da me, Satana ! Tu (…) non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini !” (Mt. 16,23). Anche la correzione è necessaria. E’ parte integrante dell’educazione: “chi ama suo figlio è pronto a correggerlo” (Prv 13,24), è scritto nel libro sacro dei Proverbi. Dio che formava lui stesso il popolo ebr eo, come un padre e come un maest ro, f aceva consistere la sua educazione nell’istruire e nel correggere. Guai se non si corregge ! Si sarà responsabili d’una tale omissione ! Fa sempre impressione una frase del profeta Ezechiele: “ (se) tu non parli per distoglie l’empio dalla sua condotta, egli (….) morirà per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te” (Ez. 33,8). E’ dovere dei genitori, dunque, la correzione. L’ammonimento dato con pace, con calma, con distacco pesa sulla responsabilità dei figli che se ne ricorderanno. Gesù mostra nella stupenda parabola dei figliol prodigo come è la misericordia del padre, e quindi anche la sua, verso coloro che ritornano al bene che si pentono. I genitori devono comportarsi con i figli come Dio si comporta con noi. La misericordia del padre e della madre in una famiglia deve arrivare a sapere veramen-

tutt’altra cosa di guardarlo in città, dove regnano le luci, i rumori… stare in silenzio disteso su un prato e ascoltare i suoni che il creato ti offre… apprezzare quello che Dio ci ha donato attraverso un fiore che sboccia, uno scoiattolo che salta di ramo in ramo! Vedere finalmente la gran ricchezza che il Creatore ci offre e dar importanza a tutto ciò! Amare la natura è sentire il bisogno di starci a contatto come d’altronde è normale: quando si vuole bene ad una persona è logico volerci stare insieme, passarci del tempo… Perciò indirettamente amiamo anche Dio: le piante, gli animali, gli uomini… tutto quello che c’è su questa terra è opera Sua e rispettando il creato si ama Lui, perché le cose che ci vengono regalate sono il segno che qualcuno ci vuole bene. Così noi decidiamo liberamente d’essere Scout e di seguire questa grande avventura e così facendo, rispettando la legge che noi abbiamo scelto, impariamo ed osserviamo anche quest’articolo di essa che c’invita a apprezzare, amare la natura che Dio ci ha donato.

Come promesso in un precedente numero di Gioite, in occasione della Festa della Famiglia, approfondiamo uno dei temi trattati nel Convegno “ L’educazione in famiglia”. L’articolo sul Family point, si concludeva con l’affermazione che “Uno solo è il maestro” quindi come contributo a questa giornata speciale per la nostra comunità, riportiamo la prima parte del discorso di Chiara Lubich al Congresso Famiglia-Educazionetenutasi a Castel Gandolfo (Roma) il 2.5.87. Se quasi venti anni fa i temi trattati erano per quella epoca “attuali”, pensiamo lo siano ancor di più oggi, in una società che non riconosce più la famiglia come valore centrale e costitutivo di se stessa. Noi, come giovane coppia partecipammo a questo Congresso. Quanto ascoltato e più volte riletto e meditato ci ha aiutato nel difficile compito di genitori. Un “mestiere” che non si impara se non vivendolo; per una coppia cristiana avere come modello Gesù Maestro è

Parlando di educazione è logico che ci si trovi di fronte a due soggetti: l’educatore, il maestro, che ha da insegnare, da educare, e il discepolo che deve essere educato. C’è, a proposito dell’educatore, o del maestro, una frase di Gesù nel Vangelo che fa pensare e può essere di luce anche nell’educazione che si deve impartire in famiglia. Essa dice: “Uno solo è il maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt. 23.8). Per Gesù non esiste che un solo maestro e questi è lui stesso. Con ciò egli non nega la presenza di una autorità, di una paternità. Ma essa deve essere interpretata non come dominio o potere, bensì come servizio. Perché nel servizio, che è amore, non è solo l’uomo che agisce, ma Cristo stesso in lui e Cristo resta così il primo maestro. Se Gesù è il maestro, un dovere dei genitori cristiani sarà quello di guardate a Lui per imparare come educare. Ma che tipo di educatore era Gesù ? I n Gesù come maestro emergono

Santa Pasqua, dell’amministrazione dei Sacramenti, di un evento luttuoso, della vita. Momento in cui Lo riconobbero e ardeva loro il cuore nel petto; cosa augurarci di meglio per questo nuovo anno, anno dell’Eucaristia se non che, con Lui teniamo acceso in noi, lo stesso ardore, ad ogni passo. Pur nella specificità delle strade che nella nostra comunità ci vengono proposte; nell’Agesci, nell’Azione Cattolica, nel gruppo dell’animazione della preghiera o del servizio, nella catechesi parrocchiale, nell’animazione liturgica ma essendo membra vive del Suo unico corpo, d’incontrare Gesù più spesso che sia possibile nella sobrietà sorprendente, nello stupore semplice, nell’intimità costante, nella familiarità quotidiana con la SS. Eucaristia che ci fa tutti uno in Lui.

“...Giacché ti sta tanto a cuore camminare con una buona guida, in questo santo viaggio della devozione, cara Filotea, prega Iddio, con grande insistenza, che ne provveda uno secondo il suo cuore; e poi non dubitare: sii certa che, a costo di mandare un Angelo dal cielo, come fece per il giovane Tobia, ti manderà una guida capace e fedele. Quando l’ avrai trovato, non fermarti a dargli stima come uomo, e non riporre la fiducia nelle sue capacità umane, ma in Dio soltanto, che ti incoraggerà e ti parlerà tramite quell’ uomo, ponendogli nel cuore e sulla bocca ciò che sarà utile al tuo bene; devi riporre in lui una fiducia senza limiti, unita ad un grande rispetto; deve essere un’ amicizia forte e dolce, santa, sacra, degna di Dio, divina, spirituale. A tal fine, scegline uno tra mille, dice Avila; io ti dico, uno tra diecimila: sarà per noi un tesoro di sapienza nelle afflizioni, nelle tristezze e nelle cadute; sarà il balsamo per alleviare e consolare i nostri cuori

nelle malattie spirituali; ci proteggerà dal male e ci renderà stabili nel bene; e se dovesse

colpirci qualche infermità, impedirà che diventi mortale e ci farà guarire”. Questo meraviglioso brano è tratto da “Filotea”, il capolavoro letterario di S. Francesco di Sales, che, circa un anno fa, la mia migliore amica mi ha regalato, pregandomi di leggerlo e di meditarlo con grande attenzione. Proprio in questi giorni, a conclusione di un periodo piuttosto difficile, ho deciso di riprenderlo tra le mani, perché mi è stata data la possibilità di comprendere

come l’ uomo non sia “onnipotente”, come l’ uomo che crede di poter far tutto da sé, sia in realtà una creatura estremamente fragile e vulnerabile. Ed ecco perché da millenni il genere umano cerca Dio. Fino a quando Dio stesso non si è messo sulle tracce dell’ uomo ed è divenuto nostro fratello. Anche al termine della sua esperienza terrena, il Signore ha scelto di non lasciarci mai soli: e quali sono i modi attraverso i quali noi possiamo scorgere la Sua presenza nel mondo? L’ Eucaristia innanzitutto, cibo spirituale e vincolo d’ amore perfetto; ma non dimentichiamo che Gesù continua a parlarci, ad ammaestrarci e a rendere vivo l’ insegnamento del Suo Vangelo, per bocca dei ministri, dei sacerdoti, dei vescovi e del Santo Padre, vere e proprie “bussole” del popolo cristiano, che perennemente ci additano la Stella Polare. Essi offrono quotidianamente servizio alla Chiesa, aiutano i fedeli a percorrere la via della santità, amministrano i Sacramenti, fanno sì che ogni uomo raggiunga la gloria che il Signore ha preparato in paradiso, dispensando esortazioni ed ammonimenti, confortando chi è nel dolore. “Il

nemico di Cristo è l’ uomo misura di tutte le cose”, ha detto di recente don Giussani, fondatore del movimento Comunione e Liberazione; in questo tempo di Natale, a noi è affidato il sorprendente compito di crescere e amare il bambino Gesù. Ma potremo realizzare questo m er av i gl ioso proposito solo se il Signore tornerà ad essere il sovrano incontrastato della nostra vita, solo se il nostro cuore sarà tempio dello Spirito Santo, se sapremo prestare ascolto e mettere in pratica le parole dei ministri che Dio ci ha affidato, perché è Egli stesso che parla a noi attraverso l’

umanità di queste persone. Come il santo Francesco di Sales ci insegna, non poniamo la nostra fiducia nelle loro capacità umane ma nella grazia del Signore che abbonda in coloro che compiono la Sua volontà. Lo stesso Francesco, nella sua grandiosa opera di evangelizzazione nella Francia tra XVI e XVII secolo, aveva un solo desiderio: ricondurre a Dio le anime perdute di quegli uomini spaventati e confusi dalle eresie che, copiose, fiorivano nell’ Europa tardo rinascimentale. Ed è per questo che nelle sue opere egli si rivolgeva soprattutto agli umili, alla gente semplice, che, disorientata, cercava una guida sicura per restituire nuovo vigore e nuovo senso ai valori umani e alle verità del cristianesimo. Francesco, considerato come il padre della spiritualità moderna, ha avuto il merito di influenzare le maggiori figure non solo della società e della cultura francese, ma anche di tutto il Seicent o europeo, riuscendo a convertire al cattolicesimo persino alcuni esponenti del cal v i n i sm o . Nato nel castello di Thorens nel 1567, in Savoia (Francia), da una famiglia di antica nobiltà, egli ricevette un' accurata educazione, coronata dagli studi universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova. Proprio nel corso della fre-

quentazione accademica divennero preminenti i suoi interessi teologici, fino alla scelta della vocazione sacerdotale. Spinto da un enorme desiderio di salvaguardare la cristianità, mentre imperversava la riforma portata avanti da Calvino e dai suoi seguaci, Francesco chiese udienza al vescovo di Ginevra, affinché lo destinasse a quel territorio, simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori. Una volta insediatosi nella città, cominciò a discutere senza alcun timore di teologia con i protestanti, desideroso di ricondurre quante più anime possibili alla Chiesa e al Padre. Inoltre, il suo pensiero costante era rivolto alla condizione dei laici; si preoccupò enormemente di sviluppare una predicazione e un modello di vita cristiana che fossero conformi anche alle esigenze delle persone comuni, quelle immerse nella difficile vita quotidiana. Proverbiali i suoi insegnamenti pervasi di comprensione e di dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi fosse sempre la presenza di Dio. Non per nulla, molti dei suoi insegnamenti sono intrisi di misticismo e di nobile el evazi on e spi r i t u al e. Grazie ai suoi enormi sforzi e ai grandi successi ottenuti in termini pastorali, divenne a sua volta vescovo di Ginevra, dove introdusse le riforme del Concilio di Trento. Morto a Lione il 28 dicembre 1622 per un attacco di apoplessia, venne dichiarato santo nel 1665 e successivamente proclamato dottore della Chiesa nel 1877. Il popolo cristiano ne celebra la memoria il 24 gennaio, giorno in cui il suo corpo venne riportato ad Annecy per la definitiva sepoltura.

Salve a tutti. Sono una Scout dell’Agesci, che è una compagnia Cattolica e per raggiungere un particolare obiettivo ho il compito di scrivere alcuni articoli sul tema, su questo giornalino. Ho pensato subito che molti non hanno la minima idea di cosa siano gli Scout e quindi magari potrei sfruttare quest’occasione per farli conoscere. Ho anche pensato però che perfino per me sarebbe noioso spiegare per filo e per segno quello che facciamo, perché lo facciamo, come mai ci vestiamo in un certo modo… poi non è facile spiegare e far capire il valore di certe cose; com’era scritto in un giornalino dell’associazione tempo fa “…se vuoi capire minimamente cos’è l’essere Scout quest’avventura devi vivertela sulle spalle!”. Non è facile, per qualcuno che non la vive, capire la gioia che si prova cantando, o la tristezza che si prova quando un amico passa dal gruppo in cui stai in un altro; anche se quel qualcuno non lo vedi solo alle riunioni del sabato ma tutti i giorni! Perciò, potrei far capire chi siamo, dalle cose che seguiamo, ad esempio la nostra legge. L’articolo di essa di cui mi piacerebbe “parlare” è il sesto “ La Guida e Lo Scout amano e rispettano la natura”. Come tutti voi sapete gli scout vivono a stretto contatto con la natura. Giochiamo con lei, la facciamo parte della nostra vita quotidiana perché si è Scout con o senza divisa! Lei ci da anche moltissime emozioni: guardare il cielo stellato in montagna è

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