Vannutelli - I Conflitti Nei Contratti Nazionali E Internazionali

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GA

Giustizia Alternativa Novembre-Dicembre 2009

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I conflitti nei contratti nazionali e internazionali Bisogna costruire durante la fase di negoziazione del contratto, quando il clima è orientato positivamente, la clausola multi-step, che consiste in tre fasi. Le prime due sono propedeutiche - ed obbligatorie - rispetto alla fase finale consistente nell’adire il tribunale competente o il collegio arbitrale di Luigi Vannutelli

N

ella definizione di contratto il concetto di conflitto è implicito; l’accordo presuppone per definizione il suo contrario: il disaccordo. È evidente e da tutti riconosciuto che il venditore vorrebbe piazzare la sua merce al prezzo più alto possibile ed il compratore, dal canto suo, farà di tutto per ottenerla al prezzo minore possibile. Già questa banale osservazione contiene in sé i termini di un potenziale conflitto, la cui soluzione è normalmente ottenuta attraverso la negoziazione e la dinamica delle leggi economiche e di mercato. Nel mondo del business i contratti hanno sempre – o quasi sempre – un’articolazione abbastanza complessa. Le obbligazioni reciproche delle parti non si limitano ad un semplice scambio, bene contro prezzo pattuito, ma contengono una serie di prestazioni e di comportamenti che divengono sempre più complicati quanto più l’oggetto del rapporto contrattuale presenta contenuti complessi o nei quali vi siano elementi di tecnologie avanzate (si pensi, ad esempio, alla clausola di garanzia la cui complessità è evidentemente funzione della complessità del bene oggetto del contratto). Ma quando, come molto spesso avviene, il rapporto contrattuale non si esaurisce con il puro scambio bene contro prezzo, ma instaura tra le parti un rapporto di tipo continuativo, a medio o lungo termine, aumenta il rischio e la probabilità di incorrere in conflitti che, partendo da una semplice divergenza di opinioni, può facilmente degenerare in conflitto e in contenzioso conclamato. Quanto sopra esposto sarebbe già sufficiente a consigliare alle parti che si accingono a stipulare un contratto di prestare grande attenzione alle clausole di prevenzione e di gestione dei conflitti. In pratica, però, questo avviene molto poco. Nella definizione e stesura del testo contrattuale si fa molta attenzione a tutto ciò che riguarda gli aspetti economici, alle caratteristiche tecniche dei prodotti o dei servizi oggetto del contratto, ma relativamente poca attenzione ai conflitti. Nella maggior parte dei casi, i testi contrattuali si limitano alla elezione del foro competente – generalmente quello del contraente più forte – o, in altri casi meno frequenti, ad una clausola compromissoria che prevede un arbitrato e questo spesso senza neppure precisare quale tipo di arbitrato – rituale o irrituale – aumentando di conseguenza i motivi e le occasioni di criticità nel momento in cui il conflitto da ipotetico diviene attuale e reale. A tutte le criticità insite in ciascun rapporto contrattuale si aggiungono quelle derivanti dalle diversità che sono molteplici: diversità di lingua, di cultura e quindi di mentalità che rendono la negoziazione più complessa. Alle molteplici diversità che devono essere gestite nella formazione di un contratto internazionale si aggiungono le diversità dei sistemi giuridici vigenti nei paesi delle parti contraenti ed in quello (o quelli) dei paesi nei quali l’esecuzione dl contratto dovrà aver luogo, più quello del paese nel quale l’eventuale conflitto che dovesse sorgere tra le parti dovrà essere risolto per via giudiziaria. Uno degli elementi rilevanti nella impostazione di un contratto internazionale è la scelta della legge – o, meglio, delle leggi – da applicare al contratto. È stato usato il plurale (leggi) perché, in effetti, potrebbero essere più di una. Occorre innanzitutto definire quale sia la governing law, cioè la legge o meglio l’ordinamento giuridico al quale le parti intendono fare riferimento per la gestione e l’esecuzione del contratto. A questo si può aggiungere, in casi abbastanza frequenti, anche la compliance with

law, cioè la legge alla quale l’esecuzione del contratto dovrà comunque uniformarsi. Questo è il caso di contratti, ad esempio, tra un contraente italiano ed uno americano per l’installazione o la manutenzione di impianti in un paese terzo. Chi deve eseguire i lavori dovrà ovviamente uniformare le proprie attività alla legislazione vigente nel paese di esecuzione. Infine le parti devono anche scegliere e concordare il foro competente, cioè il tribunale al quale le eventuali controversie dovranno essere sottoposte. È importante rilevare che non necessariamente – e non automaticamente – il foro competente è quello della governing law. In linea teorica, è possibile che, in assenza di precise disposizioni contrattuali al riguardo, una controversia contrattuale possa essere demandata alla competenza di un tribunale di un paese diverso da quello della governing law. In tal caso il giudice dovrà decidere applicando (e interpretando) norme di legge di un altro paese.

IL CONTRATTO Gli elementi rilevanti nella impostazione di un contratto internazionale sono le scelte della legge e del foro Nell’ambito della scelta della governing law, la discriminante più rilevante si ha tra i paesi con ordinamenti giuridici di common law (Gran Bretagna, Usa e molti altri) e ordinamenti di civil law (Europa continentale più molti altri paesi di tradizione latina diretta o indiretta). Le differenze tra i due sistemi giuridici sono tali da determinare anche diverse modalità ed attenzioni nella redazione e nel linguaggio dei documenti contrattuali. La scelta concordata della governing law è un fatto puramente negoziale: è evidente che sarà il contraente più forte a determinare tale scelta; l’altro contraente – più debole – non ha normalmente altre alternative che accettare consapevolmente – cioè conoscendo le situazioni a cui va incontro – o rinunciare al contratto. È opportuno rilevare che anche in situazioni di ordinamenti giuridici simili, ad esempio tra due paesi entrambi di civil law, il problema della scelta si pone egualmente, anche se sia pure in misura meno rilevante. Sarà compito degli esperti contrattuali delle parti stabilire gli opportuni accordi, tenendo sempre presente che, per forza di cose, sarà il contraente più forte ad avere l’ultima parola. Una tipologia molto frequente nei contratti nel mondo del business, a livello sia nazionale che internazionale, è costituita dai contratti che istituiscono tra le parti un rapporto a medio o lungo termine. Si tratta di uno spettro molto ampio di contratti, dalla somministrazione ai servizi di manutenzione, ai rapporti di franchising, ai contratti di consulenza o di sviluppo e aggiornamento software, fino ai contratti cosiddetti di outsourcing nelle varie e diverse tipologie che questa denominazione può assumere. Caratteristica comune a questi contratti è, appunto, la durata e quindi – necessariamente – la necessità di adeguamento dinamico del rapporto contrattuale in funzione del mutare di esigenze, necessità e priorità dei contraenti, così come dei progressi tecnologici che in tempi ormai brevissimi richiedono aggiornamenti, spesso anche molto rilevanti, per mantenere la concorrenzialità e non essere

esclusi dal mercato. In altre parole, in tutti questi contratti, le modifiche in corso d’opera non sono più eccezioni, ma costituiscono la regola alla quale i contraenti devono adeguarsi; occorre dunque saper gestire la necessaria incertezza insita in tale genere di rapporti. Necessaria incertezza significa anzitutto prevedere tutto il prevedibile, ma in più fissare dei canoni di comportamento tra le parti su come rinegoziare contenuti, termini e condizioni del contratto. Questo obiettivo non è semplice, ma è possibile raggiungerlo con una approssimazione accettabile attraverso una serie di previsioni contrattuali la cui negoziazione deve essere affrontata nella fase formativa del contratto. In estrema sintesi, si tratta di impostare una architettura contrattuale basata su allegati tecnici opportunamente strutturati e tali da poter essere modificati in tempi successivi, concordando modalità e procedure più semplici rispetto ad una revisione del testo contrattuale. In più, le parti devono prevedere strutture di controllo della esecuzione, riunioni periodiche di monitoring e procedure di revisione. A tutto questo si dovrà aggiungere un accurato sistema di comunicazioni in modo da creare un work flow documentato e riversato in un repository che costituirà quindi un archivio dinamico di tutte le vicende contrattuali intercorse tra le parti. Sulla base di lunghi anni di esperienza sul campo, mi sento di raccomandare di costruire, nella fase di negoziazione del contratto, cioè quando il clima è orientato positivamente, la cosiddetta clausola multi-step. Essa consiste in tre fasi, molto ravvicinate tra loro, in cui le prime due sono propedeutiche – ed obbligatorie – rispetto alla fase finale consistente nell’adire il tribunale competente o il collegio arbitrale, nel caso in cui la parti optino per quest’ultimo.

LA PROCEDURA DI MEDIAZIONE La durata è breve, in media intorno ai quattro mesi, con probabilità di successo intorno al 70-80 per cento La prima fase, detta anche escalation, consiste nel demandare la soluzione della divergenza di opinioni tra i responsabili di progetto, una volta accertata la non risolvibilità al loro livello (non si tratta, quindi, di contenzioso già conclamato), ai livelli aziendali superiori di ciascuna delle parti, sino ad arrivare ai massimi vertici delle due parti. Questa clausola ha la caratteristica di essere valida per non essere sperabilmente mai usata. La fase successiva, che si attiva nel caso di mancato raggiungimento dell’accordo nella fase precedente, consiste nell’attivazione della procedura di mediazione, attraverso l’intervento di un terzo neutrale scelto dalla organizzazione di mediazione (Adr) che dovrà essere stata già identificata dalle parti e indicata nel contratto (si sottolinea che questa identificazione è fondamentale e necessaria). L’intervento del terzo neutrale ha l’obiettivo di provocare una negoziazione assistita, attraverso contatti riservati con ciascuna delle parti, sia separatamente che congiuntamente, allo scopo di facilitare, e trovare, la composizione del conflitto senza la definizione di un vincitore e di un vinto (win-win). È opportuno, meglio necessario, fissare un limite temporale per l’attuazione e la conclusione di questa seconda fase. Normalmente viene

usato il termine di quattro mesi, trascorsi i quali senza risultato positivo la parte che ne ha interesse può adire il giudice ordinario o dare inizio al procedimento arbitrale se previsto in contratto. La clausola di escalation sopra descritta trova utile applicabilità nei contratti internazionali a medio e lungo termine, a condizione che sussistano due condizioni di base. La prima è che le parti contraenti siano società di una certa dimensione, all’interno di ciascuna delle quali vi sia una organizzazione ed una scala gerarchica che renda possibile, appunto, la escalation; questo è il caso della maggior parte delle aziende multinazionali. La seconda condizione, che peraltro dovrebbe essere valida per tutti i contratti, è che i contraenti abbiano avuto l’accorgimento di precisare e di identificare, in fase di negoziazione e di stesura del contratto, le funzioni – e le persone, negli allegati – che hanno la responsabilità della esecuzione del contratto, dai project managers alle altre figure professionali coinvolte – e responsabilizzate – nelle attività generate dal rapporto contrattuale. Questa attenzione ha anche una particolare rilevanza nella impostazione del sistema di comunicazioni tra le parti e nella creazione del repository di cui si è fatto cenno in precedenza. La clausola di mediazione (Adr) nei contratti internazionali svolge una funzione molto rilevante per la corretta prevenzione di contenziosi che, altrimenti, potrebbero essere anche disastrosi per le parti coinvolte. Si aggiunga che è anche abbastanza probabile che nello scenario internazionale si trovi una maggiore conoscenza e cultura della mediazione, il che facilita l’accordo, in fase negoziale, di tale clausola. Infine, considerando che la durata di una procedura di mediazione è breve – in media intorno ai qattro mesi – e che le probabilità di successo della mediazione si aggirano intorno al 70-80 per cento dei casi iniziati, appare evidente la validità di tale scelta. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Luigi Vannutelli, consulente contratti Ict. Laureato in giurisprudenza (diritto comparato ItaliaUsa), ha maturato una esperienza di lavoro all’Ibm dove, in qualità di specialista in contrattualistica, ha ricoperto diversi ruoli nell’ambito delle negoziazioni a livello sia locale che internazionale. Dal 1981 al 1985 ha fatto parte della task force a Parigi per la difesa della Ibm nel procedimento antitrust promosso dalla Commissione delle Comunità europee, che si è concluso con successo per la Ibm. Dal 1995 svolge attività di consulente sia nei confronti di clienti per negoziazioni contrattuali che come docente per corsi di formazione. Nel settore accademico, tiene seminari presso le università di Verona, di Torino e il politecnico di Milano. Attualmente, fa parte dello staff docente della facoltà di legge di Milano-Bicocca dove sta svolgendo un corso per il dipartimento di informatica giuridica. È socio del Clusit, associazione italiana per la sicurezza informatica.

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