L'effetto dell'alimentazione sulla riproduzione Da molti anni ormai è nota la stretta interazione esistente tra nutrizione e riproduzione. Gli stessi elementi necessari al mantenimento corporeo, alla crescita ed alla produzione di latte acqua, energia, proteina, minerali e vitamine - sono impiegati anche per assicurare una normale capacità riproduttiva. L'impatto dello stato nutrizionale della bovina può evidenziarsi sulla sfera riproduttiva, influenzando i seguenti fattori: • Percentuale di concepimento • Sviluppo e crescita del feto • Facilità di parto Squilibri alimentari durante la gravidanza possono condurre a nascita di vitelli deboli e/o malformati, aborti (soprattutto in caso d'ingestione di alimenti estrogenici o ammuffiti) e malattie metaboliche quali chetosi, dislocazione dell'abomaso, collasso puerperale, sindrome della vacca grassa; tuttavia ci preme ora esaminare in dettaglio l'effetto dei vari parametri nutritivi sulla capacità di riproduzione della bovina. Energia All'insorgere della lattazione, la produzione di latte ha la massima priorità rispetto ai nutrienti disponibili: per tale motivo i componenti della razione vengono totalmente utilizzati ed in più l'animale deve necessariamente mobilizzare le riserve corporee in grado di fornire energia. Tale situazione è aggravata da inappetenza, con conseguente scarsa ingestione di sostanza secca e perdita di condizione corporea. Si verifica perciò un bilancio energetico negativo, che è al suo massimo fra il terzo ed il dodicesimo giorno dal parto, per poi annullarsi a circa 72 giorni. Questa situazione è causa di scarsa fertilità nella bovina, per ritardo della ripresa di un normale ciclo estrale ed aumento nell'incidenza di calori silenti: in altre parole, maggiore è l'entità di questo bilancio negativo, più lungo è l'intervallo parto-prima ovulazione e maggiore sarà il tempo necessario perché l'utero sia pronto a garantire la sopravvivenza di un ovulo fecondato. La portata di questo bilancio energetico negativo può essere monitorata dal rilevamento del B.C.S. Nelle bovine che mobilizzano eccessive riserve corporee nelle prime fasi di lattazione, si hanno tempi più lunghi per la comparsa della prima ovulazione e del primo calore e livelli più bassi di concepimento, come risulta dalla seguente tabella: Condizione corporea
N° totale di servizi
N° totale di gravidanze
Servizi per concepimento
Percentuale di concepimento
Aumento peso
1368
911
1.50
67 %
Perdita peso
544
234
2.32
44 %
University of Kentucky
Fonte:
In una scala di B.C.S. che varia da 1 a 5, le bovine non dovrebbero perdere più di 1 unità e dovrebbero partorire con una condizione corporea pari a 3.0 - 3.5 (vedi lo specifico articolo nel settore "Gestione") La perdita di condizione corporea raggiunge il picco tra la quarta e la sesta settimana, per poi iniziare a risalire dalla settima - dodicesima settimana. Oltre al B.C.S. è possibile impiegare altri indicatori per monitorare la durata del bilancio energetico negativo e la scarsa assunzione di sostanza secca: un aumento di corpi chetonici ematici, degli acidi grassi non esterificati del siero e del beta-idrossibutirrato è indicativo di una situazione energetica negativa.
Il seguente grafico mostra chiaramente le relazioni tra assunzione di sostanza secca, condizione corporea e produzione di latte:
Come si può notare, le tre curve sono in contrasto e mettono la bovina in una condizione difficilmente risolvibile: di base, qualunque intervento che limiti il bilancio energetico negativo sarà utile a ridurre l'intervallo parto - prima ovulazione e a migliorare la percentuale di concepimento nei primi cicli estrali. Tutto questo implica non solo la distribuzione di una razione corretta, ma anche un'adeguata gestione aziendale (disponibilità d'acqua, corretta costituzione della foraggiata, idoneo raggruppamento delle bovine "superfresche" e fresche). Per quanto riguarda la razione, si raccomanda di usare solo foraggi d'ottima qualità, per stimolare l'assunzione di sostanza secca, ma soprattutto l'obiettivo deve essere quello di aumentare la concentrazione energetica della razione stessa, traguardo ottenibile somministrando glicole propilenico o altri additivi glicogenici; l'aggiunta di grassi è invece sicuramente negativa se eseguita nel primo mese di lattazione, poiché si riflette negativamente sull'assunzione di sostanza secca. Proteina L'effetto delle proteine alimentari sulla fertilità è piuttosto complesso. In generale, quantità inadeguate di proteina hanno ripercussioni negative tanto sulla produzione di latte che sulla sfera riproduttiva (aumento di calori silenti), ma anche gli eccessi - soprattutto di quelle solubili e degradabili - sono da evitare. In questo caso, infatti, si possono ritrovare nel sangue alti livelli d'urea e/o ammoniaca, in dipendenza dal bilancio tra le varie frazioni proteiche presenti nel rumine e dalla disponibilità di carboidrati fermentescibili. Incrementi nelle concentrazioni d'urea nel latte o nel plasma sono altamente correlate ad una diminuzione dei livelli di fertilità; un'alta percentuale di urea nel sangue può interferire con l'azione del progesterone sul microambiente uterino, causando condizioni non ottimali per lo sviluppo e la sopravvivenza embrionale. Un eccesso proteico in razione può deprimere il tasso di fertilità del 20% ed è oltretutto negativo dal punto di vista economico; un tasso ureico nel sangue (BUN) eccedente 20 mg./100 ml. può diminuire le possibilità di concepimento delle bovine. La necessità di detossificare l'ammoniaca derivante dall'urea in eccesso ha inoltre un costo energetico che può aggravare il bilancio negativo: in pratica un eccesso proteico in razione ha bisogno di energia extra per essere normalmente neutralizzato. (vedi anche lo specifico articolo nel settore "Gestione")
Minerali Carenze e squilibri dei minerali sono spesso responsabili di problemi della sfera riproduttiva. Tra i macrominerali , particolarmente importante è una carenza di fosforo, che conduce a ridotta fertilità, basse percentuali di concepimento, diminuzione dell'attività ovarica, cicli estrali irregolari ed aumento nell'incidenza di cisti ovariche. Per quanto riguarda i minerali in tracce, la seguente tabella ne mette in risalto gli effetti sulla riproduzione: Microminerale
Effetti
Selenio
Ritenzioni di placenta, metriti, morte embrionale precoce
Rame
Morte embrionale precoce, ridotta attività ovarica, ritardi dell'estro, ridotte percentuali di concepimento
Zinco
Ritardi nella maturità sessuale, anomalie del feto
Iodio
Morte embrionale precoce, aborti, ritenzioni di placenta
Manganese Cobalto
Scarso sviluppo follicolare, ritardi nell'ovulazione, calori silenti, scarse % di concepimento Calori silenti, ovaie non funzionali, ritardo nella maturità sessuale
Vitamine Vit. A: i principali problemi associati a mancanza di questa vitamina si evidenziano con ritardata maturità sessuale, aborti, ritenzioni di placenta, metriti. Il beta-carotene, precursore della Vit. A, si è rivelato efficace nel migliorare le performances riproduttive delle bovine. Vit. D: necessaria per il normale metabolismo di calcio e fosforo, ha un ruolo d'indiretta utilità sulla sfera riproduttiva. Vit. E: strettamente correlata al selenio, il suo ruolo nella riproduzione non è ancora perfettamente chiarito, anche se è noto che previene le ritenzioni placentari, ovviamente nocive alla fertilità della bovina. Da rilevare che la mancanza di selenio rende inefficace la supplementazione della razione con Vit.E. Conclusioni Da quanto su esposto, risulta chiaro che nelle lattifere l'alimentazione è strettamente correlata alla riproduzione: carenze nutrizionali, eccessi o squilibri alimentari sono fattori in grado di alterare le normali potenzialità della sfera riproduttiva. Una razione bilanciata in tutti i suoi componenti, basata su foraggi di alta qualità e concentrati complementari può contribuire a ridurre i problemi riproduttivi, ma è indispensabile anche una buona gestione della razione stessa, controllando in laboratorio i parametri nutritivi dei foraggi ogniqualvolta questi vengano sostituiti come tipo o qualità e controllando che le bovine assumano effettivamente la foraggiata distribuita. Nella prima parte della lattazione, è importante adottare tutte quelle strategie che inducano la bovina alla massima assunzione di sostanza secca, mentre in lattazione avanzata è opportuno curare la condizione corporea degli animali: le riserve di grasso che si costituiscono in questo periodo saranno impiegate nella lattazione successiva con una maggior produzione di 680kg. di latte e potenzieranno le performances riproduttive. Per aumentare le possibilità di un rapido ristabilirsi delle capacità di concepimento dopo il parto è perciò consigliabile: • Distribuire una razione bilanciata • Impiegare foraggi d'ottima qualità • Massimizzare l'assunzione di sostanza secca, soprattutto nelle primissime fasi di lattazione (vedi lo specifico articolo in questo settore) • Ristabilire una giusta condizione corporea nella seconda fase di lattazione
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L'alimentazione della bovina ad alta produzione
Com'è noto, la produzione di latte nelle nostre bovine è in costante crescita (2-3% all'anno). Di questa aumentata capacità produttiva sono responsabili non solo il miglioramento genetico (3340%), ma anche e soprattutto le tecniche di alimentazione e gestione aziendale (60-67%). Il momento di maggior attenzione va riservato a quel periodo della vita della bovina che va dai 60 giorni precedenti il parto (fase di asciutta) fino ai 60 successivi (fase di prima lattazione) ed i fattori chiave da tenere in considerazione sono i seguenti: • cambiamenti nelle condizioni corporee (variazioni di BCS) • disordini metabolici da minimizzare • stimolo all'assunzione di sostanza secca • buona partenza della lattazione • ottimizzazione di longevità e salute Asciutta Il programma adottato in questa fase avrà importanti effetti sul successivo ciclo produttivo; sarà quindi opportuno fornire all'animale foraggi a fibra lunga (all'uno % P.V.) per mantenere il grado di riempimento e la funzionalità ruminale e limitare il fieno di leguminose ad una quantità pari alla metà della S.S. totale da foraggio. Anche il silomais va limitato nella stessa misura, per evitare un eccessiva assunzione di energia e mantenere le dinamiche ruminali. In razione occorre mantenere almeno 1 kg. di cereali, come supporto per microelementi e vitamine, tuttavia è possibile raggiungere livelli più elevati, a seconda delle condizioni di crescita, di B.C.S., della qualità ed assunzione del foraggio e dello stress ambientale. Vanno inoltre valutati i seguenti aspetti: • non distribuire fieni o foraggi ammuffiti, in quanto responsabili di una depressione del sistema immunitario, con scarsa resistenza alle malattie. Inoltre i foraggi scadenti limitano l'assunzione di S.S. e dei nutrienti necessari • la distribuzione di limitati quantitativi di silomais mantiene e stimola la funzionalità delle papille ruminali e consente di interagire con i componenti proteici e minerali (calcio e potassio) presenti in razione • le asciutte non dovrebbero perdere peso in questa fase, poiché ciò aumenta l'incidenza della steatosi epatica; le bovine troppo magre non devono comunque guadagnare più di 0.2kg / giorno (1/2 punto di B.C.S.) durante l'asciutta La razione per il periodo di transizione Si tratta in sostanza di un programma alimentare che fa da ponte tra la tradizionale razione dell'asciutta (alta in fibra) e quella della bovina fresca (ad alto contenuto proteico ed energetico, con minori quantità di fibra lunga). Questo tipo di alimentazione perciò è assai importante per sostenere le alte produzioni di latte immediatamente successive al parto e per prevenire o minimizzare i disordini metabolici. Si può facilmente stabilire l'inadeguatezza della razione di transizione esaminando questi fattori: • l'assunzione di S.S. dopo il parto è troppo bassa
• sono frequentemente presenti casi di acidosi o disappetenza, soprattutto nelle bovine più giovani • sono presenti disordini metabolici quali statosi epatica, chetosi, ipocalcemia, collasso puerperale, dislocazione dell'abomaso ecc. Affinchè le bovine traggano il massimo beneficio da questa razione, il programma di alimentazione adottato in questa fase va messo in atto preferibilmente tre settimane prima della data prevista per il parto. Linee guida • Studi americani dimostrano che nei cinque giorni precedenti il parto si verifica un vertiginoso calo nell'assunzione di S.S. (da 11-13 kg. all'inizio dell'asciutta fino a 8-9 kg.), per cui è opportuno che la concentrazione della razione sia elevata. • Durante la prima fase dell'asciutta, la bovina riceve un tipo di razione che riduce la lunghezza della papille ruminali a meno di 0.5 cm., mentre, nelle prime fasi di lattazione, le papille ruminali si allungheranno fino a 1.2 cm. - per effetto degli alti livelli di carboidrati fermentescibili distribuiti - aumentando così la superficie ruminale, l'assorbimento degli acidi grassi volatili e riducendo lo stato iperacido del rumine stesso. Questo processo di adattamento delle papille richiede 4-6 settimane, cosa di cui tener conto nella formulazione della razione di transizione. • A causa della razione impostata per le fresche, è necessario l'orientamento della popolazione microbica ruminale verso la prevalenza dei microrganismi utilizzatori di amido e fibra. Bovine che possano disporre di alti livelli di proteina non degradabile nella razione di transizione, avranno cali di peso inferiori nel dopo-parto e migliori performances produttive. Le bovine ad alta produzione iniziano a sviluppare una condizione "fisiologica" di steatosi epatica circa 10 giorni prima del parto, che negli animali in buona salute si riduce dopo l'evento; nelle "vacche-problema" invece i livelli lipidici nel fegato rimangono elevati, sfociando poi in disordini metabolici. • Una distribuzione di livelli piuttosto alti di Vit. E (1000 U.I. al giorno) nelle asciutte consente di ottenere basse conte di cellule somatiche, di diminuire i rischi di mastite e di aumentare i livelli di questa vitamina nel sangue del feto e nel colostro. La capacità immunitaria nella bovina che partorisce è messa a dura prova dai cambiamenti ormonali, dalla pervietà del tratto riproduttivo e dai rischi d'infezioni mastitiche: l' integrazione della razione con vitamine e microelementi (zinco, rame e selenio) può contribuire a potenziare le difese. • L'ipocalcemia (livelli ematici totali di calcio inferiori a 8 mg./dl.) è un problema che può arrivare ad interessare il 75% delle vacche ad alta produzione, con conseguente insorgere di altre manifestazioni patologiche (ritenzione placentare, insufficiente involuzione uterina, dislocazione dell'abomaso). L'introduzione nella razione di transizione dei sali anionici può aiutare a minimizzare questo problema. Per soddisfare i fabbisogni della bovina in questa delicata fase, è possibile seguire alcune strategie alimentari, per es. • somministrare 3-5 kg. dell'unifeed impiegato nel gruppo delle fresche, in aggiunta alla dose di fieno impiegato nelle prime fasi di asciutta e di almeno 1kg. del mix di cereali (concentrato) usato nel periodo di immediato preparto • distribuire la razione impiegata in asciutta, più 2-3 kg. del concentrato usato nell'immediato preparto Strategie per il postparto I primi 60 giorni dopo il parto sono estremamente critici, sia per quanto riguarda la salute della bovina, sia per la resa economica della lattazione. Vi sono numerosi aspetti che vanno controllati con attenzione: • il picco massimo di produzione si verifica a 50-60 giorni dal parto la carenza massima d'energia si verifica nelle prime tre settimane dal parto • la chetosi tende a presentarsi in 1/3 delle bovine ad alta produzione e può evolvere in steatosi epatica, se non opportunamente curata; tuttavia è l'acidosi il principale disordine metabolico nelle vacche fresche
• le bovine sane dal punto di vista riproduttivo presentano un ciclo estrale a 15-25 giorni dal parto • le condizioni di energia nelle prime tre settimane dal parto influenzano lo sviluppo follicolare 60 giorni dopo Assunzione di S.S. Se il programma alimentare durante le due fasi dell'asciutta è ottimale, la bovina fresca di parto passerà senza problemi alla razione delle fresche; bisogna però tener conto che l'assunzione di sostanza secca si riduce del 18% circa nel postparto (vedi tabella 1), per cui la concentrazione della razione deve necessariamente tener conto di questo fatto. Sarà perciò indispensabile mettere in atto tutte le strategie possibili per aumentare l'assunzione di S.S., quali l' utilizzo dell'unifeed, l'uso di foraggi di altissima qualità, l'ottimizzazione delle funzioni ruminali tramite il corretto bilanciamento tra proteina degradabile e carboidrati non strutturali, la distribuzione ad libitum in mangiatoia di alimento sempre fresco ed appetibile, così che le bovine siano indotte a mangiare frequentemente (soprattutto in condizioni di stress termico). Tab.1:assunzione prevista di S.S. in manze di primo parto e vacche di parti successivi Settimane
Primipare
Vacche adulte
Kg.S.S./capo/giorno 1
14
16
2
16
19
3
17
21
4
18
22
5
19
24
Perdita di condizione corporea: come detto, la bovina presenta bilancio energetico negativo nel postparto, poiché i fabbisogni per la produzione di latte eccedono l'effettiva assunzione d'energia. La perdita di peso dovrebbe essere limitata ad un massimo di 1 kg. al giorno (60-90 kg. di perdita di peso in totale oppure di 1-1.5 punti di B.C.S.), e le condizioni di ritorno a bilancio energetico positivo dovrebbero ripresentarsi a 60 giorni dal parto. A seguito, sono elencati alcuni consigli per minimizzare i problemi derivanti dalla condizione corporea: • le bovine non devono essere né troppo grasse (BCS>4),né troppo magre (BCS<3): nel primo caso infatti l'appetito e l'assunzione di S.S. possono essere compromessi, mentre l'animale troppo scarno non ha le necessarie riserve energetiche corporee. In generale , 1 kg. di grasso corporeo mobilizzato può sostenere sotto il profilo energetico una produzione di latte di 7 kg. circa. • l'aggiunta alla razione di 0.45-0.7 kg. di grasso può supplire alla carenza energetica, tuttavia tali integrazioni hanno sempre un effetto negativo sull'assunzione di S.S. • la bovina che mobilizza riserve corporee necessita di integrazioni proteiche per bilanciare l'energia liberata dalla perdita di peso. Tali fonti proteiche dovrebbero essere derivate dall'alimentazione come proteina by-pass a profilo aminoacidico bilanciato.
Dinamiche ruminali: Le papille ruminali tendono ad allungarsi progressivamente con l'uso di razioni contenenti carboidrati ad alta fermentescibilità (cereali). Se il cambiamento di razione è troppo repentino, sono possibili rischi di acidosi, soprattutto nelle manze di primo parto. Risulta utile l'impiego dell'unifeed, ed è necessario mantenere alti livelli di ADF ed NDF in razione, aggiungendo 2-3 kg. di fieno /capo ed evitando gli eccessi di carboidrati fermentescibili. Un pH ruminale inferiore a 6 riduce la crescita microbica e la digestione della fibra, influenzando negativamente il bilancio tra gli acidi grassi volatili ruminali. Si ricorda inoltre che l'acidosi può provocare anche laminiti e fenomeni di alterazione dello zoccolo.
Impiego di additivi nella razione di transizione e del postparto: se economicamente
giustificato, l'uso di additivi nella razione può essere di beneficio sotto vari punti di vista. Si
ricorda che l'uso dei sali anionici è da riservare agli animali in asciutta, mentre i tamponi sono idonei per quelli in lattazione. (per ulteriori informazioni , cfr. l'articolo sugli additivi, nella sezione "alimentazione") La niacina (6 - 12 gr./capo/giorno) minimizza i rischi di chetosi nel postparto, stimolando al contempo l'assunzione di S.S. Gli animali che di preferenza vanno trattati con niacina sono quelli con precedenti manifestazioni di chetosi, le vacche con produzioni maggiori di 35Kg. e quelle con B.C.S. in asciutta maggiore di 3 Il glicole propilenico, somministrato una settimana prima del parto in dosi di 0.25 - 0.5 kg /giorno, riduce i rischi di steatosi epatica, aumenta i livelli ematici di glucosio e minimizza l'insorgenza della chetosi.
I sali anionici, inclusi in razione in dosi di 200-250 gr. di miscela (es. cloruro di calcio, cloruro di ammonio e magnesio solfato) aiutano a prevenire condizioni di ipocalcemia e collasso puerperale. Il livello in calcio della razione dovrebbe essere aumentato fino a 180 gr. di calcio totale, con un minimo di 50 gr. proveniente d fonti inorganiche. Bisogna tenere presente che tali sali sono di sapore sgradevole e richiedono perciò un a gestione attenta della razione.
Le colture di Lieviti vengono usate per stabilizzare l'ambiente ruminale ed il suo pH e per stimolare i batteri utilizzatori di fibra. (dosi: da 10 a 120 gr. al giorno).A differenza dei tamponi, non influenzano il bilancio anionico/cationico della razione e sono inoltre di sapore gradito agli animali.
I tamponi sono in grado di stabilizzare il pH ruminale su valori pari a 6 - 6.3 Sesquicarbonato e bicarbonato di sodio sono quelli più comunemente usati, in dosi che variano da 120 a 250 gr. /giorno, oppure in combinazione con l'ossido di magnesio (alcalinizzante), in ragione di 2-3 parti di bicarbonato su una di ossido. Possono essere utilmente impiegati in tutti i casi di inappetenza, scarsa assunzione di S.S., eccessiva umidità della razione, forte impiego di silomais o di cereali. Cliccando qui si aprirà la pagina con le tabelle dei fabbisogni che NRC (revisione 2001) prevede per le bovine ad alta produzione.
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enzimi e vitamine, riduzione del pH. Un'ulteriore distinzione li divide in tre categorie: • Probiotici: microorganismi vivi e selezionati (batteri e lieviti) in grado di migliorare le performances degli animali • Pre-probiotici: sostanze che favoriscono la moltiplicazione e l' attività della microflora digestiva, ad es.lisati proteici, lieviti morti, frutto-galattooligosaccaridi • Parabiotici: sostanze che aumentano la protezione della mucosa intestinale e le difese immunitarie, come ad es.le glutamine, i manno-oligo saccaridi e gli estratti di lieviti Il prodotto più comunemente usato nell'alimentazione delle bovine è dato dai lieviti. Lieviti Le colture di lieviti manifestano la loro azione aumentando la quantità di batteri ruminali, stimolando la crescita dei cellulosolitici: aumenta così la digeribilità della fibra e la produzione d'aminoacidi da parte dei microrganismi ruminali, con riflessi positivi sul contenuto in grasso e proteina del latte prodotto. I lieviti in sé apportano proteine d'alta qualità, vitamine del gruppo B e vitamina D e sono in grado di tamponare il pH ruminale aumentando l 'attività dei batteri utilizzatori di fibra. Oltre a ciò alcune ricerche indicano che un lievito in particolare, il Saccharomyces cerevisiae, è capace di stimolare i microrganismi ruminali utilizzatori di acido lattico, con effetti preventivi rispetto all'insorgenza di acidosi. Il periodo migliore per l'impiego dei lieviti va dalle due settimane che precedono il parto fino alle quattro successive allo stesso, momento in cui risulta indispensabile stabilizzare la flora ruminale per consentire alla bovina di superare senza problemi il passaggio a diete ad alto contenuto energetico; i lieviti sono inoltre d'uso comune nelle razioni distribuite nei momenti di stress da caldo, quando è importante mantenere livelli sufficienti d' ingestione di sostanza secca e favorire la digeribilità della fibra. Le dosi d'impiego variano da 10 a 120 gr. secondo la concentrazione della coltura di lieviti. Estratti fungini Si tratta di sostanze non contenenti cellule vive che sono ottenute per fermentazione; prodotte per lo più da Aspergillus oryzae, vengono commercializzate sotto forma di estratti secchi su un base veicolante (es. crusca). Questi estratti sono in grado di stimolare i batteri utilizzatori di fibra, stabilizzando il pH ruminale, la loro somministrazione è raccomandata durante l'uso di razioni ad alto contenuto di cereali, in condizioni di basso pH ruminale e nei periodi di caldo; le dosi d' impiego sono di 3 gr. capo / giorno.
La seguente tabella riassume le dosi d' impiego per gli additivi trattati, ad eccezione dei tamponi, per i quali cfr. la tabella alla fine del relativo paragrafo.
Prodotto
Dose d'impiego capo / giorno
Beta - carotene
200 - 300 mg.
Biotina
10 - 20 mg.
Colina
30 gr.
Niacina
6 - 12 gr.
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Calcio (% S.S.)
0,5 - 0,6
0,6 - 0,7
Fosforo (% S.S.)
0,25 - 0,3
0,3 - 0,35
Magnesio (% S.S.)
0,20 - 0,25
0,25 - 0,30
Potassio (% S.S.)
0,8 - <1,520
0,8 - <1,2
Zolfo (% S.S.)
0,16 - 0,15
0,20 - 0,25
Sodio (% S.S.)
0,10 - 0,25
0,10 - 0,15
Cloro (% S.S.)
0,20 - 0,50
0,20 - 0,25
Ferro (ppm)
40 - 80
40 - 50
Manganese (ppm)
44
44
Zinco (ppm)
70 - 80
70 - 80
Rame (ppm)
11 - 25
11 - 25
Selenio (ppm)
0,30
0,30
Cobalto (ppm)
0,20
0,20
Iodio (ppm)
0,50
0,50
Vit. A (UI/giorno)
100.000
150.000
Vit. D (UI/giorno)
20.000
30.000
Vit. E (UI/giorno)
400 - 600
fino a 2000
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Come aumentare l'assunzione di sostanza secca Gli allevatori si chiedono spesso perché sia così importante massimizzare l'assunzione di Sostanza Secca (S.S.): più alimento la bovina ingerisce, più aumentano le opportunità di sfruttare il suo potenziale di produzione lattea. Il grafico che segue chiarisce questo concetto:
I valori impiegati nel grafico sono quelli teorici per una bovina di 650 kg. di peso vivo; dando per scontato che la razione sia bilanciata per quanto concerne l'energia, si può facilmente capire come i primi 6 kg. di S.S. che l'animale ingerisce siano impiegati per il solo mantenimento, mentre ogni kg. in più consumato fornisce gli elementi necessari alla produzione di 2,5 kg. di latte. Si può quindi affermare la correttezza di quest'equazione: PIU'ALIMENTO = PIU' LATTE L'assunzione di S.S. è anche importante ai fini del mantenimento di una corretta condizione corporea (utile alla riproduzione) e di uno stato generale e ruminale di perfetta efficienza. L'assunzione di S.S. viene quindi calcolata per determinare la quantità di cibo assunta dalla bovina e si può definire come la quantità d'alimenti che la vacca consuma dopo che è stata tolta tutta l'acqua dal cibo contenente umidità (es. insilati). Questa definizione rende possibile un confronto nell'assunzione d'alimenti in razioni di diverso tipo (es. una razione a fieno con una ad insilato). L'assunzione di S.S. è regolata da diversi fattori di tipo alimentare e gestionale che passeremo in rassegna separatamente.
Fattori alimentari Qualità della fibra: è intuitivo che foraggi d'alta qualità consentono alla bovina di assumere un'elevata quantità di sostanze nutritive ad ogni boccone, soddisfando in tal modo le sue esigenze; se il fieno viene raccolto a stadio di maturazione troppo avanzata sarà incrostato di lignina, rallentando così la velocità di passaggio dei vari alimenti nel rumine e deprimendo perciò l'assunzione di S. S. In effetti, la relazione tra NDF ed assunzione di S.S. è piuttosto complessa, poiché la quantità d'alimenti ingeriti dipende anche dalla produzione lattea della bovina; bisogna pertanto cercare di massimizzare l'assunzione di foraggio, soddisfando al contempo le richieste energetiche necessarie a sostenere la produzione lattea e gli eventuali cambiamenti di P.V. Oltre al grado di maturazione ed al tipo d'essenza foraggiera (graminacee o
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manza gravida nel momento di sviluppo del feto. Spesso nelle manze che ricevono razioni povere in proteina (ed energia) si nota la presenza d'ovaie ed utero non adeguatamente sviluppati, con ritardi nel raggiungimento della maturità sessuale. Fosforo: la sua carenza porta a disappetenza o alterazioni del gusto, ritardata maturità sessuale ed assenza di segni indicativi dell'estro. Il fosforo favorisce il trasferimento dell'energia nei tessuti corporei e la razione dovrebbe contenerne almeno 0.26-0.30 % Poiché spesso il contenuto in fosforo dei foraggi è piuttosto scarso, la razione andrebbe integrata con fosfato bicalcico o integratori minerali; anche i mix di cereali possono essere una buona fonte di tale elemento. Iodio: una sua mancanza causa calori silenti, ridotto grado di concepimento e ritenzione di placenta. Manganese: i sintomi più frequenti della mancanza di quest'elemento sono dati da irregolarità o assenza del ciclo estrale, riassorbimento del feto, scarso sviluppo mammario, mancanza di produzione lattea, nascita di vitelli deboli o poco vitali. Zinco: la sua carenza comporta un abbassamento del livello di fertilità ed una predisposizione alle infezioni. Vit. A: le manze esposte a carenza di Vit. A possono abortire nella seconda metà di gravidanza e presentare calori silenti e riduzione del grado di fertilità. Se la carenza è marcata, ci può essere anche mancanza d'ovulazione e incapacità delle uova fecondate ad impiantarsi nell'utero. C'è inoltre una maggior predisposizione alle infezioni (cosa accertata anche per la carenza di Vit. E). Sodio: disappetenza, crescita stentata e scarsa produzione di latte, sono sintomi di una prolungata mancanza di sale, comune soprattutto in animali alimentati con foraggi di cattiva qualità: in tal caso può essere utile un'integrazione della razione con cloruro di sodio (15-30 gr.). Acqua: da tenere presente che il consumo d'acqua dipende da vari fattori, non solo ambientali (temperatura elevata), ma anche alimentari ( aumentando il sodio e la proteina sulla s.s. cresce il fabbisogno per questo elemento). Homepage © 2005 EOS Editrice © Tutti i diritti sono riservati
Fabbisogni e qualità dell'acqua per la bovina L'assunzione d'acqua e la sua qualità sono due aspetti nutrizionali spesso ingiustamente trascurati, eppure importantissimi, considerando non solo che l'acqua è il costituente più abbondante (86 - 88%) del latte prodotto, ma anche il ruolo che essa ha in tutte le reazioni biochimiche. L'acqua agisce infatti come un naturale "lubrifcante" aiutando l'assunzione degli alimenti, favorisce l'escrezione di sostanze nocive, svolge un ruolo regolatore della temperatura ed è infine un "tampone" fisiologico per il mantenimento del pH ottimale nei fluidi corporei. Bisogna inoltre considerare che le riserve organiche dirette a cui la bovina può attingere sono praticamente nulle: una perdita di acqua superiore al 10% porta l'animale a morte, ma anche un'assunzione ridotta provoca immediati cali nella produzione lattea e nell'intake alimentare, come evidenziato dal grafico seguente:
Andamento della produzione di latte e dell'assunzione di sostanza secca in bovine private dell'acqua per tre giorni (lattazioni comprese fra i 20 ed i 60 giorni)
I fabbisogni quantitativi d'acqua sono la risultante di vari fattori, tra cui: • Caratteristiche intrinseche della bovina (età, peso, fase di lattazione o di asciutta, livello produttivo, attività fisica, stato di salute) • Composizione della razione e suo contenuto in umidità • Fattori climatico-ambientali, come ad es. la temperatura, l'umidità e la velocità dell'aria • Le tecniche gestionali ed il tipo di stabulazione In media il fabbisogno idrico della vacca in lattazione è pari a 4-4.5 litri per kg. di sostanza secca, ingerita con una temperatura pari a 15 °C; tale quantità va maggiorata del 30% se la temperatura è di 20 °C, del 50% se la temperatura è di 25 °C, per arrivare ad un aumento del 100% se la temperatura è pari a 30 °C, situazione assai frequente nei nostri climi durante la stagione estiva. Una stima più precisa può essere fatta applicando il seguente calcolo, che tiene conto di alcuni dei parametri più sopra elencati:
FABBISOGNO ACQUA (litri/giorno)
= 15.99 + 1.58 x assunzione S.S. (kg/giorno) + 0.9 x produzione latte (kg/giorno) + 0.05 x assunzione Na (g/giorno)
+1.2 x media settimanale temperatura minima (°C) La tabella che segue mostra i fabbisogni indicativi d'acqua per bovine di età diverse, stimati a temperature ambientali tra 10-27 °C: Età della bovina
Fabbisogni idrici (litri/capo/giorno)
Vitella 1 mese
5 - 7.5
Vitella 3 mesi
8 - 11
Vitella 6 mesi
14 - 18
Manza 15-18 mesi
22 - 27
Manza 18-24 mesi
27 - 37
Vacca in lattaz. (13.5 kg.latte/giorno)
55 - 65
Vacca in lattaz. (23 kg.latte/giorno)
91 - 102
Vacca in lattaz. (36 kg.latte/giorno)
144 - 159
Vacca in lattaz. (45 kg.latte/giorno)
182 - 197
Vacca asciutta
34 - 49
Fonte:
Grant mod. 1993
Per quanto riguarda le vitelle, durante il periodo di alimentazione liquida, esse ricevono normalmente acqua sotto forma di sostituti del latte, tuttavia alcune ricerche hanno dimostrato che in questa fase alimentare l'aggiunta di acqua oltre a quella già presente nella normale dieta accelera il momento del passaggio ad un'alimentazione solida e consente di raggiungere pesi maggiori in minor tempo. Come detto in precedenza, i fabbisogni idrici vengono variamente influenzati dai seguenti fattori: • Composizione della razione e suo contenuto di umidità: logicamente il consumo di foraggi freschi ed acquosi riduce il fabbisogno di liquido della bovina, che cresce con l'aumentare della concentrazione salina e proteica della razione. Se la bovina consuma razioni ad alto contenuto fibroso, il fabbisogno idrico aumenta a causa delle perdita d'acqua con le deiezioni. In caso di unifeed, si è rivelata vantaggiosa l'aggiunta di acqua fino ad un'umidità totale del 55-57% della razione, al fine di aumentare l'assunzione idrica da parte della bovina e di ridurne le possibilità di scelta tra i vari componenti della foraggiata. • Temperatura ambientale: essendo l'acqua l'elemento che maggiormente contribuisce a dissipare la sensazione di calore, si intuisce facilmente che maggiore è la temperatura, maggiore è il consumo idrico, come evidenziato anche dalla tabella che segue; a parità di temperatura, conta anche il livello di umidità ambientale: i consumi idrici calano con l'aumento dell'umidità. Caratteristiche bovina -
Temperatura ambientale 21 °C
32 °C
Litri acqua al giorno
In lattaz. P.V. 450 kg. prod. latte 20 litri /giorno
97
114
In lattaz. P.V. 650 kg. prod. latte 30 litri /giorno
119
137
Fonte:
Smith 2002
•Temperatura dell'acqua d'abbeverata: le bovine preferiscono acqua a 20-22 °C circa; in periodi di elevato stress termico, gli animali più produttivi possono beneficiare di una refrigerazione dell'acqua fino a 10-15 °C, tuttavia è opportuno in questo caso valutare il rapporto costo/beneficio di tale operazione. •Stato fisiologico e sanitario: negli animali giovani l'accrescimento di peso e la formazione di nuovi tessuti implicano un aumento del fabbisogno idrico; del pari, il consumo di acqua aumenta in caso di lattazione ( ed è tanto maggiore quanto più latte viene prodotto) e di gravidanza. Per quanto riguarda lo stato sanitario della bovina, è noto per esempio che le esigenze idriche aumentano in caso di febbre e/o diarrea. • Qualità dell'acqua di abbeverata: data l'importanza che i parametri qualitativi (salinità, durezza, pH, inquinamento da sostanze chimiche o da alghe e batteri, ecc.) esercitano sul consumo volontario, si riserva a questo argomento una trattazione più approfondita nella seconda parte dell'articolo. Comportamento di abbeverata nelle bovine Ovviamente è necessario fornire agli animali acqua pulita e qualitativamente adeguata più volte al giorno, prendendo in considerazione il comportamento spontaneo delle vacche. Questi animali infatti tendono ad abbeverarsi più volte al giorno, quasi sempre in concomitanza con la distribuzione della razione o dopo le varie operazioni di mungitura (il 30-50 % circa del fabbisogno quotidiano viene assunto entro un'ora dalla mungitura), e la quantità di abbeverata varia tra 4 e 18 litri al minuto. Alcuni studi americani indicano che la lunghezza della vasca di abbeverata dovrebbe garantire almeno 6 cm. per ogni animale, per un totale ottimale di 60-80 cm. La profondità dell'acqua dovrebbe essere di circa 8 cm, per consentire alla bovina di immergere il musello di almeno 2.5-5 cm. In sostanza, dovrebbe essere presente una vasca di dimensioni 90x60 cm. ogni 20 capi. I punti di abbeverata dovrebbero essere distribuiti in prossimità (15 metri circa) della corsia di alimentazione, ed all'uscita della sala di mungitura. Le bovine sono in grado di abbeverarsi tanto dalla vasca quanto dall'abbeveratoio a bacinella, ma in quest'ultimo caso esse bevono più lentamente, per cui il tempo trascorso ad abbeverarsi sarà più lungo e più frequente: è bene assicurarsi che il flusso di acqua alle bacinelle sia costante e sufficiente, per evitare cali di produzione. Per le manze è bene mettere a disposizione un punto di abbeverata ogni 20 capi, con almeno due abbeveratoi per gruppo.
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Qualità dell'acqua
A differenza di quanto accade per l'acqua impiegata per l'uomo, i cui parametri qualitativi sono fissati dalla legge n. 31 del 2/02/2001, per gli animali non è stata stabilita ufficialmente alcuna normativa in tal senso; tuttavia studi e ricerche hanno individuato per la qualità dell'acqua alcuni intervalli entro cui è opportuno attenersi, onde evitare problemi produttivi e sanitari per i
bovini. Le principali caratteristiche da prendere in considerazione per stabilire la qualità delle fonti idriche sono illustrate nella seguente tabella: Chimiche
Batteriologiche
Fisiche
pH
Carica batterica totale o C.B.T.
Colore
Durezza
Presenza/assenza Coliformi
Odore
Solidi disciolti totali (TDS)
-
Limpidezza
Nitrati e nitriti
-
-
Solfati e cloro
-
-
Harris e VanHorn, 1992
Fonte:
Parametri chimici • pH: è la misura l'acidità o l'alcalinità di un mezzo; a pH 7 l'acqua è neutra, al di sotto di tale valore è acida, al di sopra alcalina. Gli specifici effetti di questo parametro sull'assunzione volontaria, la salute e la produzione degli animali non sono ancora pienamente conosciuti, ma l'intervallo più idoneo per questa misura è compreso tra 6.5 ed 8.5. Valori minori o maggiori possono comportare turbe metaboliche e della fertilità, diarrea, scarso indice di conversione della razione e ridotta assunzione di acqua ed alimenti; in caso di acque fortemente acide si possono manifestare inoltre fenomeni di demineralizzazione e fragilità ossea, nonché turbe digestive ed urinarie. • Durezza: espressa solitamente come la somma dei sali di calcio e magnesio presenti nell'acqua, questo parametro classifica le acque come "dure" o "dolci", in base alla concentrazione espressa in milligrammi di sali per litro, come risulta dalla tabella: Durezza (mg/lt)
Definizione dell'acqua
0-60
Dolce
61-120
Moderata
121-180
Dura
>180
Molto dura
Harris e VanHorn, 1992
Fonte:
La durezza dell'acqua non rappresenta di per sé un grosso problema per il bestiame, ma acque troppo dure possono essere scarsamente digeribili e soprattutto provocare incrostazioni di calcare all'interno delle tubature, con compromissione di un regolare flusso di liquido agli impianti di abbeverata. Un sistema per risolvere questo problema è dato dall'impiego di addolcitori, funzionanti sul principio dello scambio ionico in ciclo sodico, tuttavia questo rimedio, aumentando il sodio presente nell'acqua , può causare qualche inconveniente quando la salinità sia già naturalmente alta. • Solidi totali disciolti o TDS: è la misura di tutti costituenti anionici (solfati, nitrati) e cationici (sodio, potassio, calcio e magnesio) disciolti nell'acqua e fornisce un utile strumento per individuare l'idoneità dell'acqua per il consumo da parte del bestiame. Per quanto riguarda l'acqua fresca, questa misura è equivalente alla salinità e viene espressa in mg/litro. La tabella che segue mostra i possibili intervalli di TDS ed i relativi effetti sugli animali:
TDS (mg/lt)
Effetti sugli animali
0-1000
Ottima, nessun problema
1000-3000
Buona (nessuna influenza su salute e produzione, qualche caso di diarrea temporanea nei soggetti più giovani)
3000-5000
Sufficiente (soddisfacente, eccetto qualche caso di diarrea nei soggetti non abituati a berla)
5000-6000
Insufficiente (da usare solo per bovini adulti, evitando il consumo in animali gravidi, in produzione e per i vitelli)
7000-10000
Pericolosa (non idonea per l'abbeverata, i vitelli e gli animali gravidi ed in produzione ne risentono negativamente)
>10000
Inaccettabile (da evitare in ogni caso per possibili danni cerebrali)
Waldner e Looper, 2003, modificata
Fonte:
• Nitrati e nitriti: una moderata tossicosi da nitrati provoca turbe della fertilità, aborti, riduzione della crescita nel giovane bestiame, disturbi digestivi, ridotto impiego della vit.A e cali produttivi, tuttavia il reale pericolo deriva dal fatto che i nitrati vengono convertiti nell'organismo in nitriti, composti che riducono la capacità del sangue di trasportare ossigeno ai tessuti, provocando fenomeni di dispnea, difficoltà respiratorie, cianosi oculare e del musello, sangue di color cioccolato per la presenza di metaglobina. Da ricordare inoltre che gli effetti negativi dei nitrati presenti nell'acqua e nei foraggi si assommano. I limiti raccomandati nell'acqua di abbeverata (mg/lt) sono perciò i seguenti: Nitrati
Nitriti
Utilizzo
0-44
10
Nessun problema
45-132
11-20
Nessun problema se la razione è bilanciata e bassa in nitrati
133-220
21-40
Problemi se il consumo è prolungato nel tempo
221-660
41-100
Pericolosa (non adatta all'abbeverata)
661-800
101-200
Alte probabilità di esiti mortali
>800
>200
Da evitare assolutamente
Waldner e Looper, 2003
Fonte:
• Solfati e cloro: per quanto riguarda i solfati, non sono certi i limiti di sicurezza nell'acqua, tuttavia è bene attenersi a valori inferiori a 500 ppm per i vitelli e a 1000 ppm per il bestiame adulto. I solfati presenti possono avere effetto lassativo, causando diarrea, cali nell'assunzione idrica e carenza di rame. Il cloro ed i cloruri non sono fonte di particolari problemi per l'acqua di abbeverata, ma possono conferire un sapore estremamente sgradevole, riducendo perciò il consumo volontario; inoltre va tenuto in considerazione anche il potere corrosivo di queste sostanze sui metalli.
Parametri batteriologici • Carica batterica totale: per le acque destinate al lavaggio degli impianti la C.B.T. deve essere relativamente bassa, per quelle di abbeverata il numero totale di batteri deve essere minore di 1.000.000/100 ml. • Presenza/assenza di Coliformi: un indicatore più adeguato del livello di inquinamento biologico è costituito dalla presenza o assenza di Coliformi totali e fecali e di Streptococchi fecali. Se presenti in eccesso, questi microorganismi possono provocare nelle bovine disturbi quali diarrea cronica o intermittente, disappetenza, chetosi, danni epatici, predisposizione alle infezioni. Per
evitare problemi, è opportuno attenersi ai limiti esposti in tabella: Specie batteriche
Vitelli
Bovini adulti
Coliformi totali (in 100ml)
<1
<15
Coliformi fecali (in 100ml)
<1
<10
Streptococchi fecali (in 100ml)
<3
<30
Waldner e Looper, 1999
Fonte:
Il rapporto tra Coliformi fecali e Streptococchi fecali fornisce inoltre alcune indicazioni per risalire alla fonte d'inquinamento dell'acqua: se tale rapporto è inferiore ad 1, l'inquinamento non deriva da fonti umane, se è maggiore di 2.5 invece sì, se il rapporto è compreso tra i valori suddetti, siamo in presenza di inquinamento misto. Un altro pericolo per l'acqua di abbeverata è rappresentato dalla alghe azzurre, delle quali si sono identificate sei specie tossiche, capaci di svilupparsi soprattutto negli impianti con acque basse o esposte al sole. L'irradiazione con raggi ultravioletti può sterilizzare l'acqua più efficacemente rispetto al trattamento clorato (0.3-0.7 ppm), che desta qualche perplessità soprattutto per una possibile inibizione dell'attività dei batteri ruminali ed un diminuito utilizzo della fibra in razione.
Parametri fisici Odore, sapore e limpidezza dell'acqua di abbeverata sono caratteristiche, talvolta anche di stima immediata, utili ad individuare l'entità di contaminazione dell'acqua di abbeverata; è comunque evidente che, al di là delle valutazioni organolettiche "in campo", è opportuno testare spesso in laboratorio la qualità dell'acqua, soprattutto in caso di sbalzi climatici come un lungo periodo di siccità o di piovosità elevata.
Le analisi da effettuare I tests da eseguire per una prima valutazione comprendono la C.B.T., i Coliformi totali (eventuale identificazione dei ceppi coinvolti), il pH ed i Nitrati. In seguito, in base ai risultati ottenuti, può essere opportuno prendere in considerazione anche acidità totale, durezza, salinità, T.D.S. ferro,magnesio, rame, solfati e cloruri, presenza di metalli tossici (arsenico, cromo, mercurio, bario, fluoro, molibdeno, cadmio, piombo e stronzio) Infine sarà bene accertare la presenza di pesticidi, erbicidi e solventi di varia natura. La seguente tabella illustra il tipo di analisi da richiedere ed i possibili effetti dei vari elementi riscontrati sui bovini:
Analisi
Problemi possibili
pH
Sotto 6.5, sopra 8.5
T.D.S.
>3000mg/lt
Alcalinità totale
>5000 ppm
Solfati
>250 mg/lt possono avere effetti lassativi >1000 mg/lt probabile problema
Fluoro
>1.5 ppm (chiazze dentarie)
Calcio
>500 ppm
Magnesio
>125 ppm (può essere lassativo)
Ferro
>0.3 ppm (possibile sentirlo al gusto)
Manganese
>0.05 ppm (possibile sentirlo al gusto)
Rame
>0.5 ppm
Arsenico
>0.20 ppm
Cadmio
>0.05 ppm
Mercurio
>0.01 ppm
Piombo
>0.10 ppm
Nitrati (NO3)
>100 ppm
Nitrati (N)
>23 ppm
Nitriti (NO2)
>4 ppm
Solfuro d'idrogeno
>0.1 ppm (possibile sentirlo al gusto)
Cromo
>1.0 ppm
Cobalto
>1.0 ppm
Nickel
>1.0 ppm
Bario
>10 ppm
Zinco
>25 ppm
Batteri totali/100 ml
>1.000.000
Coliformi Totali/100 ml
>1 per i vitelli; > 15 per le bovine
Coliformi Fecali/100 ml
>1 per i vitelli; > 10 per le bovine
Streptococchi Fecali/100 ml
>3 per i vitelli; > 30 per le bovine
Fonte: adattata da Ruppel (1994), Adams (1986), Grant, Beede (1992), Mancl (1995) N.B. ppm = parti per milione, mg/lt = milligrammi per litro Homepage © 2006 EOS Editrice © Tutti i diritti sono riservati
L'acidità nel latte destinato alla caseificazione ed i tracciati LDG
L'attitudine del latte alla caseificazione è legata a numerosi fattori, dalla cui interazione dipendono in ultima analisi le caratteristiche tipiche di ogni formaggio. Un importante parametro che viene normalmente preso in considerazione è l'acidità del latte stesso. Risulta determinante una prima distinzione tra pH del latte ed il suo grado di acidità: mentre il pH è semplicemente la misura della concentrazione degli ioni idrogeno presente nella soluzione, il grado di acidità del latte è dato dalla somma delle funzioni acide apportate dalle proteine (caseina) e dai sali minerali (fosfati e citrati), oltre che dagli acidi organici e da composti inorganici: in altre parole quanto più il latte abbonda in questi costituenti, tanto più elevato sarà il suo tenore di acidità. Questo tipo d'acidità è detta "titolabile" e viene espressa in gradi Soxhlet (°SH) o Dornic (°SH/50), definiti come millilitri di Soda 0.25 N necessari per neutralizzare con fenolftaleina 100 millilitri di latte (1 grado Soxhlet equivale a 2.25 gradi Dornic). Da quanto detto, ne emerge che acidità °SH e pH non sono quindi misure sovrapponibili, tanto è vero che, a differenza di quanto accade per il pH, a valori bassi di gradi °SH corrisponde una bassa acidità; in altri termini, ad un pH elevato corrisponde una bassa acidità °SH. A titolo esemplificativo, un latte "normale" dovrebbe possedere pH pari a 6.5 - 6.7, mentre il suo valore espresso in °SH/50 dovrebbe essere 3.2 - 3.8 . La seguente tabella mostra la correlazione tra pH ed °SH/50 del latte: pH
°SH/50
6,65 - 6.75
2.8 - 3.0
6,55 - 6.65
3.0 - 3.2
6.50 - 6.55
3.2 - 3.5
6.45 - 6.50
3.5 - 4.0
6.40 circa
4.0 - 4.5
6.30 circa
4.5 - 5.0
Questa tabella mostra invece i valori di riferimento in gradi °SH e °SH/50 per il latte normale, ipoacido o iperacido: °SH
°SH/50
Acidità
7 -8
3.2 - 3.8
Normale
<7
<3.2
Latte ipoacido
>8.5
>3.8
Latte iperacido
L'acidità va misurata nel latte appena munto o refrigerato a temperature inferiori a 16°C, poiché i suoi valori tendono ad aumentare molto velocemente se la materia prima viene conservata a temperature ambientali elevate, o in caso di carica microbica alta. Per la corretta valutazione è inoltre necessario che i recipienti e le condutture dell'impianto di mungitura siano pulite e non inquinate da germi proteolitici. Comunque venga misurato, il valore di acidità del latte è un parametro importante, poiché influenza l'attitudine dello stesso alla coagulazione, condizionando la riuscita ottimale della cagliata. L'acidità del latte del singolo animale è elevata nelle prime settimane della lattazione, negli animali affetti da chetosi subclinica ed è più alta nelle primipare rispetto alle bovine di parti successivi; i valori tendono a scendere negli ultimi due mesi della produzione lattea e quando la bovina sia affetta da malattie croniche o da mastiti, anche subcliniche. Acidità bassa (inferiore a 3.2) Il latte ipoacido presenta bassi livelli di fosforo, indipendentemente dalla disponibilità di quest'elemento nella razione; il latte ipoacido inoltre ha un tenore proteico piuttosto scarso
(inferiore al 3.2%). Il suo utilizzo nella caseificazione ha come risultato una scarsa velocità di formazione del coagulo e lo spurgo del siero dalla cagliata risulta difficoltoso. A parte che dall'alcalosi ruminale, il latte ipoacido può essere causato da problemi alimentari, quali squilibri tra Calcio e Fosforo, carenza di vitamina D, oppure da eccessi di principi alimentari altamente fermentescibili. Acidità alta (superiore a 3.8) Il latte iperacido dà una cagliata troppo asciutta, con conseguenti difetti nel formaggio (crepe, gessatura, sapore amaro ecc.) ed è causato da situazioni gestionali (presenza di molti animali pluripari, oppure molte bovine in fase finale di lattazione), da cause ambientali (temperature esageratamente elevate, condizioni di caldo-umido estivo) o da errori alimentari (carenza di energia, di proteine o di fosforo). La seguente tabella riassume le principali cause di variazioni d'acidità nel latte: Acidità bassa (inferiore a 3.2)
Acidità alta (superiore a 3.8)
Eccesso proteico e/o carenza energetica
Carenza di energia
Ultima fase lattazione
Prima fase di lattazione
Squilibri Ca/P
Carenza di P
Cambiamenti improvvisi della razione
Intossicazioni
Bovine di seconda e succ. lattazioni
Bovine primipare
Mastiti (anche subcliniche)
Acidosi o chetosi
Temperatura ambientale elevata
--
Stress
Stress
Disinfettanti o detergenti nel latte
--
Scarsa igiene mungitura (inquinamento da proteolitici)
Inquinamento da bacilli latto-produttori
L'acidità del latte è inoltre un parametro correlato alla razza bovina che lo produce, come si può osservare dalla seguente tabella: Frisona
Bruna
Reggiana
Modenese
Acidità*
°SH/50
I
3.31
3.47
3.47
3.73
Acidità
°SH/50
I
3.29
3.45
3.33
3.59
Acidità
°SH/50
S
3.20
3.26
3.45
3.71
Tempo coagulazione (r)
Minuti
I
16.5
16.3
16
17.9
Tempo rassodamento (k20)
Minuti
I
14.1
8.9
7.7
10.5
Consistenza coagulo (a30)
Minuti
I
22.2
28.2
30.7
25.4
Tempo coagulazione (r)
Minuti
S
17.9
16.7
14.0
19.0
Tempo rassodamento (k20)
Minuti
S
13.0
8.6
9.7
11.3
Consistenza coagulo (a30)
Minuti
S
20.3
27.3
33.3
23.7
(Da "rivista della Razza Bruna - Mariani P. - 2002)
* latte di vacche dal 4° al 7° mese di lattazione
I latte individuale S latte di stalla Come si nota dall'analisi dei dati tabulati, il latte della Razza Modenese è caratterizzato da un'acidità notevolmente più elevata (circa 3/10) rispetto a quello ottenuto dalla Bruna o dalla Reggiana, mentre il latte derivante dalla Razza Frisona ha spesso caratteristiche di ipoacidità ed alcalinità. Come precedentemente detto, il latte ipoacido, carente in fosforo e/o caseina, è scarsamente reattivo alla coagulazione, poiché dà cagliate di scadente qualità. Il tracciato lattodinamografico (LDG) L'esame del latte effettuato con uno strumento detto "lattodinamografo" fornisce un tracciato che identifica le caratteristiche d'idoneità del campione alla caseificazione. Il tracciato - tipo rappresenta graficamente tre parametri fondamentali per riconoscere la qualità del latte: • Tempo di coagulazione r: si misura in minuti, ed è rappresentato dal tempo che intercorre dall'aggiunta del caglio fino all'inizio del processo di coagulazione • Velocità di formazione del coagulo k20: va dall'inizio della coagulazione fino al momento in cui la cagliata raggiunge una consistenza standardizzata (con un'oscillazione di 20 mm. sul dinamogramma) • Consistenza del coagulo a30, che viene misurata in millimetri (oscillazione sul dinamogramma a 30 minuti dall'aggiunta del caglio)
Naturalmente ogni campione di latte fornisce tracciati diversi, in base alle sue caratteristiche intrinseche; la seguente tabella riassume i principali tipi di latte, suddivisi per attitudine alla caseificazione secondo i vari parametri lattodinamografici:
Parametri lattodinamografici
A
B
C
D
E
F
Tempo coagulazione r (minuti)
Normale
Lento
Rapido
Molto rapido
Lento
Molto lento
Velocità formazione coagulo k20 (min)
Normale
Elevata
Lenta
Elevata
Lenta
Molto lenta
Consistenza coagulo a30 (mm.)
Normale
Elevata
Scarsa
Molto elevata
Bassa
Inesistente
Attitudine
Ottimale
Buona
Discreta
Buona
Mediocre
Inadatto
(Da "rivista della Razza Bruna - Mariani P. - 2001)
r : tempo di coagulazione in minuti primi k20 : tempo che impiega la cagliata a raggiungere una resistenza meccanica tale da produrre uno spostamento di 20 mm. a30 : consistenza del coagulo a 30 minuti, espresso in millimetri Ogni lettera maiuscola identifica un tipo di latte avente proprietà diverse: A: latte con buone caratteristiche, idoneo alla caseificazione B: latte a lenta coagulazione, ma con buona velocità di presa del coagulo e consistenza finale della cagliata relativamente elevata. Questo latte è tipico di bovine a fine lattazione ed è ricco in caseina. C: dopo una prima fase con tempo di coagulazione rapido, segue un rallentamento nella velocità di formazione del coagulo, con una consistenza finale della cagliata piuttosto scarsa. Questo latte è piuttosto frequente in bovine ad inizio lattazione e si presenta generalmente povero in caseina. D: le fasi di caseificazione si svolgono molto velocemente ed il coagulo raggiunge un'altissima consistenza. Questo è un tipo di latte leggermente acido e/o molto ricco in caseina. E: in questo caso si ha un tempo di coagulazione lungo, con bassa velocità di presa e scarsa consistenza finale della cagliata. In genere è il latte tipico di bovine affette da mastiti settiche e disordini secretori, con elevato numero di cellule somatiche. Altre cause sono la predisposizione genetica, l'ipoacidità, stress ambientali, errori alimentari e patologie in essere. Oltre a ciò, questo è anche un reperto tipico nel latte da lattazioni eccessivamente prolungate. F: in questo caso si hanno lunghissimi tempi di coagulazione, bassissima velocità di presa e scarsissima consistenza finale della cagliata; questo è il quadro tipico in caso di mastiti con elevata conta di cellule somatiche e latte fortemente ipoacido. Ovviamente un latte con queste caratteristiche è totalmente inadatto alla caseificazione. La seguente figura mette in relazione le varie tipologie di latte sopra esaminate con i relativi tracciati lattodinamografici.
Data l'importanza della qualità della materia prima, si può evitare la produzione di latte di tipo E o F applicando alcune strategie gestionali: • Curare la selezione genetica, in quanto alcune bovine presentano una predisposizione alla
produzione di latte non idoneo alla caseificazione • Curare l'igiene mammaria, poiché il latte mastitico o prodotto da mammelle con disordini secretori è di qualità non idonea alla caseificazione; utili strumenti di miglioramento possono essere l'analisi del Linear Score dell'allevamento e delle singole bovine, nonché la manutenzione programmata dell'impianto di mungitura e l'adozione di opportune misure terapeutiche ed igieniche nella stalla • Curare la razione, analizzandone l'adeguatezza alle varie fasi produttive delle bovine ed evitando squilibri e/o carenze delle varie componenti alimentari • Curare le condizioni di benessere delle bovine, evitando o minimizzando le situazioni di forte stress ambientale (condizioni di caldo - umido e/o temperature troppo elevate, scarsa igiene dei ricoveri e delle zone di passaggio, maltrattamenti da parte del personale ecc.) e stress gerarchico tra gli animali stessi (formazioni di gruppi non omogenei per età o stadio di lattazione, competizione alla mangiatoia ecc.)
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Il tenore proteico del latte A seguire vengono passate in rassegna diverse variabili in grado di influenzare la percentuale proteica del latte, ricordando comunque che solo un elevato livello genetico della mandria può rendere ragione di un effettivo aumento della proteina nel latte prodotto. · Proteina e produzione: com'è noto, questi due parametri sono in antitesi tra loro ed è quindi assurdo pensare di poter ottenere contemporaneamente elevate produzioni giornaliere con una proteina pari al 3.5!! Poiché l'industria di trasformazione è orientata al pagamento della qualità soprattutto per quanto concerne la percentuale proteica, è sicuramente preferibile concentrare i propri sforzi per aumentare questo parametro · Proteina e stadio di lattazione: la percentuale proteica del latte - che all'inizio della lattazione dovrebbe essere intorno a 3.2 - scende gradatamente sino a toccare il livello più basso intorno al cinquantesimo giorno di lattazione, pressappoco in corrispondenza al picco produttivo (anche in tale fase comunque non dovrebbe mai essere inferiore al 2.9%) per poi risalire sino a valori che possono arrivare al 3.8%: un indice di squilibrio metabolico a livello ruminale è dato proprio dalla mancata risalita della curva proteica al decrescere della curva di lattazione. E' quindi conveniente per l'allevatore programmare i parti distribuendoli quanto più possibile omogeneamente lungo l'arco dell' anno; questo accorgimento consentirà di mantenere la percentuale proteica del latte entro livelli accettabili, senza incorrere nel pagamento delle penali applicate dai caseifici
· Proteina, razza e stagione: è stata rilevata una maggiore percentuale proteica nel latte di razze colorate (Bruna alpina, Jersey, Guernsey) rispetto alla Frisona, come risulta anche dalla seguente tabella: Razza
Proteina Grasso RapportoProt/Grasso
Frisona
3,2
3,66
.87
Bruna
3,57
4,06
.88
Jersey
3,75
4,69
.80
Guernsey
3,54
4,53
.78
Per quanto concerne la stagione, il contenuto in proteina nel latte è in genere maggiore durante i mesi autunnali ed invernali · Proteina e cellule somatiche: il numero di cellule somatiche presente nel latte
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Il tenore lipidico del latte La quantità di grasso presente nel latte dipende da svariati fattori di tipo alimentare, manageriale e genetico; per maggior chiarezza passiamo dapprima in rassegna le cause non nutrizionali che possono influenzare la percentuale lipidica. Razza e selezione genetica: com' è noto vi sono notevoli differenze tra razza e razza per quanto riguarda l'attitudine alla produzione di grasso; basti confrontare la media percentuale della Jersey (4.9) o della Bruna (4.0) rispetto alla Frisona (3.5-3.7) L'uso di tori miglioratori, facilmente individuabili esaminando le classifiche diffuse dalle associazioni di razza, consente all'allevatore di individuare i riproduttori più vantaggiosi a questo riguardo. Un altro utile accorgimento laddove vi siano problemi di scarso tenore lipidico del latte è dato dall'introduzione di qualche soggetto delle razze prima citate, senza dimenticare comunque che per la Frisona la maggior produzione quantitativa durante la lattazione assicura una massa lipidica decisamente maggiore. Stagione: è piuttosto comune durante la stagione calda rilevare un calo del tenore lipidico; in effetti, temperature elevate associate ad alta umidità possono far diminuire l'ingestione di sostanza secca, soprattutto quella da foraggi e fibra. Considerato che la percentuale di grasso può ridursi di 0.4 unità già a temperature superiori a 20°C, è opportuno adottare provvedimenti atti a ridurre lo stress termico, fornendo agli animali un buon sistema di ventilazione ed ombreggiamento e distribuendo la foraggiata nelle ore più fresche. Stadio di lattazione: è noto che la composizione del latte negli animali freschi presenta un tenore in grasso e proteina elevato, valore che decresce al picco di lattazione, per poi risalire gradualmente. Ovviamente non c'è da preoccuparsi riscontrando valori in grasso pari a 3.3-3.5 se la maggior parte delle bovine sia sotto ai 120 giorni di lattazione, in caso contrario è opportuno un controllo dell'alimentazione e del management aziendale. Età della bovina: gli animali oltre la quinta lattazione hanno valori di percentuale lipidica in calo di circa 0.2 unità. Alte conte di cellule somatiche: le mastiti cliniche e subcliniche possono essere causa d'abbassamento della percentuale lipidica del latte di circa 0.2 unità. Pratiche di mungitura, conservazione e campionamento: la percentuale di grasso nel latte aumenta costantemente dalle prime alle ultime fasi di mungitura; è buona norma quindi assicurarsi che quest'operazione venga svolta nel modo più completo possibile, rispettando i tempi ossitocinici e sforzandosi di mantenere uguali intervalli tra le mungiture (una frazione di tempo più lunga del solito può infatti determinare un calo della percentuale lipidica). Anche un congelamento o un eccessivo scuotimento del latte nel tank o nelle condutture dell'impianto produrrà analisi "false", con un tenore lipidico inferiore a quello reale. Per finire, è bene controllare sempre come viene eseguita la raccolta dei campioni: questi ultimi devono essere conservati in idoneo contenitore, a temperatura inferiore a 4.4°C, evitandone il congelamento; inoltre i contenitori vanno sempre riempiti al massimo per evitare scuotimento se il latte non viene mantenuto alla temperatura suddetta. Se il campione viene raccolto dal tank, il latte di massa dovrebbe essere agitato per almeno 5 minuti prima della raccolta, tenendo conto che più grosso è il contenitore, più bisogna prolungare i tempi di scuotimento. CAUSE ALIMENTARI La maggior parte degli acidi grassi presenti nel latte deriva in larga quota dall'acido acetico e beta- idrossibutirrico del rumine e in minima parte dai
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Le cellule somatiche nel latte DEFINIZIONE Nel latte sono presenti due categorie di cellule: - cellule epiteliali: provenienti dalla desquamazione della mucosa che riveste internamente la mammella; questo tipo di cellule si riscontrano normalmente e non rivestono un significato patologico - globuli bianchi o leucociti: presenti nel latte proveniente da mammelle sane in concentrazioni inferiori a 200.000 cellule/ml. Questo numero aumenta considerevolmente in situazioni patologiche quali la mastite, potendo raggiungere e superare il milione/ml. Tipo di cellule
% Cellule (intervallo)
Epiteliali
0 -7
Macrofagi
66 - 88
Linfociti
10 - 27
Neutrofili
0 - 11
I leucociti includono i macrofagi, i linfociti ed i neutrofili polimorfonucleati; ognuna di queste categorie ha funzioni specifiche a) macrofagi: sono il tipo cellulare predominante nel latte normale e rappresentano il 30 - 74% delle cellule totali in latte di mammelle sane; nel caso d'infezioni mammarie hanno il compito di fagocitare e distruggere i batteri, ma soprattutto di favorire la migrazione dei neutrofili polimorfonucleati dal sangue verso il latte b) linfociti: organizzano e coordinano l'attività delle altre cellule coinvolte nel sistema immunitario di difesa c) neutrofili polimorfonucleati: sono la maggioranza dei leucociti presenti nel latte da mammelle infette; sono in grado di riconoscere ed inglobare i batteri distruggendoli (fagocitosi) In genere la loro concentrazione nel latte aumenta 12 - 24 ore dopo l'iniziale infezione batterica, tuttavia alcuni microorganismi come Escherichia coli possono suscitare una risposta più rapida. Alcuni fattori sono in grado di aumentare lievemente il numero di cellule somatiche del latte: 1°) età e stadio di lattazione - lo SCC aumenta con l'aumentare dell'età dell'animale ed in genere dopo la quarta lattazione. Elevate SCC possono verificarsi nell'ultima fase di produzione (durante gli ultimi 15 - 30 giorni, con una netta prevalenza di macrofagi e cellule epiteliali) e per alcune settimane successive al parto, indipendentemente dall'esistenza di un'effettiva infezione mammaria: questo fenomeno rientra nel potenziamento spontaneo delle difese immunitarie in preparazione al parto stesso 2°) stress e stagione - si è ipotizzato un aumento (peraltro contenuto) di SCC in bovine sottoposte a stress di vario genere e durante il periodo dell'estro; è comunque certo che i livelli di SCC sono in genere bassi in un ambiente pulito, asciutto e confortevole. Il clima gioca un ruolo rilevante nel controllo della mastite: nella bovina esposta ad alte temperature ed eccessiva umidità aumenta la suscettibilità verso nuove infezioni. Anche una corretta gestione aziendale è molto importante: improvvise variazioni della razione, squilibri alimentari, somministrazione d'alimenti (in particolare insilati) avariati o mal fermentati, maltrattamenti sono alcune tra le possibili cause di un elevato conteggio cellulare
3°) ferite alla mammella - danni al tessuto mammario derivanti da ferite possono innalzare temporaneamente lo SCC anche se non sono seguiti da infezioni; perciò è essenziale cercare di prevenire eventuali cause di ferite (pavimentazioni scivolose, spigoli taglienti ecc.) 4°) cause indirette - un metodo di mungitura inadeguato o scorretto facilita la trasmissibilità d'infezioni mammarie, contribuendo ad aumentare lo SCC Anche una manutenzione trascurata della mungitrice (risciacquo della mammella per mancato allontanamento del latte, fluttuazioni nel livello del vuoto, deterioramento delle guaine ecc.) ha effetti negativi sulla conta cellulare, è perciò opportuno un controllo completo ogni sei mesi oppure ogni mille ore circa di funzionamento dell'impianto. Fin qui abbiamo esaminato alcune possibili cause d'innalzamento della SCC, ma da quanto esposto in precedenza è chiaro che la causa più frequente di quest'aumento è un'infezione della mammella, in altre parole una mastite sostenuta da batteri patogeni contagiosi (Staphylococcus aureus, Streptococcus agalactiae) o ambientali; poiché il numero di cellule è strettamente associato alle infiammazioni ed allo stato sanitario della mammella, la conta delle cellule somatiche (SCC) è internazionalmente accettata come valutazione della qualità del latte. Importanza del rilevamento dello SCC: uno SCC da considerarsi normale deve essere inferiore a 200.000 cellule/ml (nelle manze di primo parto i valori sono addirittura nell'ordine delle 100.000 cellule/ml) Conteggi più elevati sono indice di una possibile infezione mammaria e vengono associati non solo a diminuite produzioni di latte, ma anche a difetti qualitativi dello stesso, soprattutto per quanto riguarda la caseificazione (questo fenomeno è dovuto ad un aumento nel latte d'enzimi proteolitici e lipolitici derivanti dai leucociti). SCC medio 200.000 400.000 800.000 1.600.000 3.200.000
Kg. latte persi/capo/giorno 1,30 2,00 2,70 3,40 4,00
Relazione tra SCC e Linear Score (LS): la presenza in una stalla di poche bovine con elevata conta cellulare può influenzare la valutazione dello SCC nel latte di massa che rappresenta una media del latte ottenuto in allevamento, fornendo pertanto valori lontani dalla realtà. Per ovviare a quest'inconveniente si può adottare il Linear Score o LS: questo sistema rapporta su una scala lineare da 1 a 9 i conteggi cellulari, cosa che implica raddoppiamento del numero di cellule somatiche per ogni aumento di un punto nel LS. Linear Score- LS
SCC - Media
SCC - Intervallo
0
12.500
0 - 17.000
1
25.000
18 - 34.000
2
50.000
35 - 70.000
3
100.000
71 - 140.000
4
200.000
141 - 282.000
5
400.000
283 - 565.000
6
800.000
566 - 1.130.000
7
1.600.000
1.131 - 2.262.000
8
3.200.000
2.263 - 4.525.000
9
6.400.000
4.526 e oltre
modo d'impostazione, il Linear Score offre alcuni vantaggi rispetto allo SCC: 1. presenta meno variabilità da mese a mese nell'arco di una lattazione
Dato il
2. presenta un'ereditabilità maggiore (il 25%) rispetto alla conta delle cellule somatiche 3. è un metodo più semplice per il confronto tra vari allevamenti per quanto riguarda la sanità della mammella. Altrettanto non si può dire per lo SCC, in quanto questo valore può essere fortemente alterato dalla presenza di pochi soggetti con conte molto alte. Obbiettivi del programma di controllo: l'uso del sommario mensile del LS o dello SCC sui campioni di latte ottenuti da ogni singola bovina rende ragione dell'efficacia del programma di controllo seguito. Non è possibile indicare con sicurezza un valore di LS che permetta di separare gli animali sani da quelli infetti, ma per un primo approccio negli allevamenti-problema sarà utile prendere in considerazione le bovine con LS pari o superiore a 5, tenendo conto che le vacche di prima lattazione dovrebbero presentare LS pari od inferiore a 3 (questo gruppo d'animali, infatti, non ha ancora subito le eventuali condizioni sfavorevoli d'allevamento) Più in generale, si può affermare che un buon traguardo per l'allevamento è avere il 90% delle bovine con un LS inferiore a 5. Punti del programma di controllo - Identificazione dei soggetti infetti: è possibile individuare gli animali ammalati basandosi sui monitoraggi mensili dello SCC o del LS; entrambi forniscono indicazioni sul tipo d'infezioni a lunga durata causate da batteri contagiosi, ma sono meno utili per quanto riguarda l'individuazione delle infezioni di tipo ambientale che possono passare inosservate se i test vengono eseguiti con cadenza mensile. Per identificare correttamente il tipo di batteri è perciò necessaria una coltura microbiologica dei campioni di latte da bovine con LS superiore a 5 - Analisi della gestione aziendale: in caso di conte cellulari elevate è necessario controllare anche il metodo e la routine di mungitura nonché lo stato manutentivo della macchina mungitrice. Come detto in precedenza è opportuno curare anche l'ambiente in cui vivono le bovine, impiegando materiali da lettiera di tipo inorganico (sabbia, materassini ecc.) in caso d'infezioni ambientali, assicurandosi comunque che le superfici con cui la mammella viene a contatto siano quanto più possibile asciutte e pulite. - Trattamento in lattazione: benché il momento migliore per trattare le bovine infette sia l'asciutta, può essere necessario anche un trattamento in lattazione, soprattutto se i conteggi cellulari elevati siano causa di perdite economiche per l'allevatore. Muovendosi sull'esame del più recente SCC, dei risultati dell'analisi colturale del latte e dello stadio di lattazione, è necessario identificare le bovine da trattare. Gli animali a fine lattazione possono essere messi in asciutta anticipatamente e trattati con antibiotico. Per le bovine ad inizio o metà lattazione con elevati conteggi è opportuno separare il latte prodotto da quello di massa, tenendo conto che un alto LS ad inizio lattazione seguito da progressivo calo può essere una spia di problemi gestionali durante l'asciutta. L'aumento delle cellule durante la lattazione è invece associato ad infezioni da batteri patogeni contagiosi e può derivare da problemi nell'impianto o nelle tecniche di mungitura. - Trattamento in asciutta: in tale periodo le cure usate risultano di maggiore utilità, in quanto eliminano le infezioni preesistenti e prevengono le nuove. Nella fase iniziale di questo periodo la mammella è particolarmente esposta ai rischi d'infezione: poiché il trattamento selettivo (effettuato solo su vacche ad alto LS) presenta una percentuale di fallimento del 20-40%, è opportuno trattare tutte le bovine indistintamente. - Eliminazione degli animali infetti: questo procedimento può rendersi necessario nel caso di bovine con mastiti croniche o che comunque non rispondono al trattamento in asciutta; anche se buone produttrici, queste vacche sono in ogni caso un serbatoio di batteri e possono instaurare un circolo vizioso di reinfezioni in allevamento.
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La mastite subclinica La mastite è ancora oggi una delle principali cause d'eliminazione d'animali nell'allevamento, nonché un costo (peraltro evitabile) per l'allevatore. Una stima approssimativa ci dice che - a livello mondiale - il costo medio annuo per bovina si aggira sui 140 €, cifra imputabile alle seguenti voci: • • • • •
Calo quantitativo della produzione di latte Minor valore qualitativo del latte, a causa delle variazioni negative nella sua composizione Spese per trattamenti veterinari Perdite di latte scartato perché non idoneo Eliminazione degli animali infetti
Nella stragrande maggioranza dei casi (1:50), la mastite si presenta in forma subclinica. Anche se le manifestazioni sono meno clamorose, le perdite economiche dovute a questo tipo di patologia sono notevoli, per la difficoltà di individuarla e curarla in tempo utile, per la necessità di diagnosticarla con tecniche di laboratorio, nonché per le variazioni che la malattia induce nella composizione del latte: diminuzione del lattosio e della caseina, aumento delle cellule somatiche, presenza di coaguli di fibrina e siero in quantità superiore alla norma. Cambiamenti nel latte con SCC alto Costituente
Latte normale
Latte con alto SCC
Grasso Lattosio Proteina totale Caseina totale Proteina del caglio Sieroalbumina Lattoferrina Immunoglobuline Sodio Cloro
3.5 4.9 3.61 2.8 .8 .02 .02 .10 .057 .091
3.2 4.4 3.56 2.3 1.3 .07 .10 .60 .105 .147
Potassio
.173
.157
Calcio
.12
.04
(%)
Inoltre, se lo stato d'infiammazione sussiste nel tempo (essenzialmente per la mancanza di segni clinici evidenti nel latte, come fiocchi, pus, ecc.) si può avere una fibrosi del tessuto della mammella (a volte rilevabile anche al tatto sotto forma d'indurimenti e noduli) a scapito del tessuto secretivo, e quindi minor produzione di latte. Il controllo della mastite subclinica è più importante del semplice trattamento dei casi clinici e questo per due ragioni:
• •
Le bovine con mastite subclinica sono dei "serbatoi" di microrganismi che possono scatenare l'infezione in vacche sane. La maggior parte dei casi clinici inizia come subclinici: la cura di questo tipo di mastite è perciò essenziale per la riduzione dei casi clinici.
Microrganismi coinvolti I ceppi più comuni coinvolti nelle forme subcliniche sono rappresentati da Staphylococcus aureus, Streptococcus agalactiae ed alcuni microrganismi ambientali del genere Streptococcus. Anche i microrganismi del genere Mycoplasma, Pseudomonas, Nocardia e Prototheca possono causare incrementi nello SCC, mentre altri ambientali (es. Escherichia coli, Klebsiella) sono più difficili da individuare tramite SCC, poiché l'aumento provocato è di breve durata. In genere i più comuni agenti della mastite subclinica sono gli Stafilococchi coagulasi negativi, opportunisti che solo raramente danno luogo a forme cliniche acute. I microrganismi responsabili della mastite contagiosa, come S. aureus, S. agalactiae e Mycoplasma sono spesso causa di mastiti subcliniche, con alte percentuali di quarti infettati e SCC del latte di massa pari o superiore a 500.000 cell./ml. La risposta del sistema immunitario della bovina è data da un aumento delle cellule somatiche nel latte, come si rileva dalla seguente tabella: Tipo di cellule
Latte normale (%)
Mastite subclinica (%)
Neutrofili 0 - 11 % > 90% Macrofagi 66 - 88 % 2 - 10 % Linfociti 10 - 27 % Cellule epiteliali 0-7% 0-7% SCC o conteggio delle cellule somatiche Per la definizione dello SCC e la sua relazione con il Linear Score, si rimanda all'articolo " le cellule somatiche nel latte" in questo sito. LS
Media SCC (cell./ml)
Intervallo(cell /ml)
Perdite previste di latte (kg. per lattaz.) Prima lattazione Seconda e succ.
0 12.500 0 - 17.000 0 0 1 25.000 18.000 - 34.000 0 0 2 50.000 35.000 - 70.000 0 0 3 100.000 71.000 - 140.000 90 180 4 200.000 141.000 - 282.000 180 360 5 400.000 283.000 - 565.000 270 540 6 800.000 566.000 - 1.130.000 360 720 7 1.600.000 1.131.000 - 2.262.000 450 900 8 3.200.000 2.263.000 - 4.525.000 540 1080 9 6.400.000 >4.526.000 630 1260 Importa qui rilevare che il latte con SCC troppo alto comporta penalità per i produttori, in quanto poco idoneo alla caseificazione e responsabile di una ridotta "vita di scaffale" dei prodotti lattiero-caseari. Come già detto in precedenza, le sintesi di lattosio, grasso e proteina sono molto ridotte in presenza di una mastite, fatto evidenziato anche dal grafico seguente:
E' logico quindi che aumenti anche modesti (>100.000/ml) nello SCC della singola bovina siano causa di ridotta produzione casearia. L'entrata in vigore del DL 54/97, che ha recepito la Direttiva CEE 92/46, ha stabilito che -per commercializzare il latte prodotto - il livello massimo di cellule somatiche presenti per ml deve essere pari a 400.000 ( come media geometrica di almeno tre prelievi in tre mesi consecutivi). Per la produzione di latte pastorizzato d'alta qualità questo valore scende a 300.000 per ml (DM 185/91). REQUISITI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE CRUDO DI VACCA (NORMATIVA COMUNITARIA 92/46 G.V. recepita dal DPR 14.01.1997 N. 54) REQUISITI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE CRUDO DI VACCA Per la produzione di: latte alimentare trattato termicamente, latte fermentato, cagliato, gelificato o aromatizzato e di creme Tenore in germi (1) a +30°C non superiore per 100.000 ml Tenore in cellule somatiche (2) non superiore 400.000 per ml Residui di medicinali veterinari LMR(3) Reg. (Cee) 2377/90 Per la produzione di: prodotti a base di latte Fino al 31/12/97 dall'1/1/98 Tenore in germi (1) a +30°C non superiore per 400.000 100.000 ml Tenore in cellule somatiche non superiore per ml 500.000 400.000 Residui di medicinali veterinari LMR(3) Reg. (Cee) 2377/90 Per la produzione di: prodotti al "latte crudo" Tenore in germi (1) a +30°C non superiore per 100.000 ml Tenore in cellule somatiche non superiore per ml 400.000 n (unità campionarie)=5 m (valore min di batteri)=500 Staphylococcus aureus per ml M (valore max di batteri)=2.000 c (unità camp tra m e M)=2 Residui di medicinali veterinari LMR (3) Reg. (Cee) 2377/90 (1) Germi: media geometrica di 2 prelievi al mese per 2 mesi. (2) Cellule somatiche: media geometrica di 1 prelievo al mese per 3 mesi. (3) Limite massimo di residui. REQUISITI MINIMI DEL LATTE CRUDO DA DESTINARE ALLA PRODUZIONE DI LATTE ALIMENTARE VACCINO (LEGGE 169/89)
REQUISITI MINIMI DEL LATTE CRUDO DA DESTINARE ALLA PRODUZIONE DI LATTE ALIMENTARE VACCINO (LEGGE 169/89) Latte trattato Latte di "alta termicamente qualità" (DPR.54/97) (D.M.185/91) Residui di composizione Peso specifico a + 10 °C non inferiore a 1.030 1.030 Materia grassa non inferiore in % 3,0 3,5 Materia proteica non inferiore g/litro 28 32 Materia secca sgrassata non inferiore in % 8,5 8,5 Indice crioscopico non superiore a - 0,520 - 0,520 Requisiti igienico-sanitari Tenore in germi (1) a +30°C (per ml.) non 100.000 100.000 superiore Tenore in cellule somatiche (2) (per ml.) non 400.000 300.000 superiore Contenuto in acido lattico non superiore in ppm 30 (3) Residui in chemio-antibiotici pencilline in ug/ml 0,004 0,004 inferiori altri non rilevabili non rilevabili (1) Germi: media geometrica di almeno 2 prelievi al mese per 2 mesi. (2) Cellule somatiche: media geometrica di ica di almeno 1 prelievo al mese per 3 mesi. (3) Parametro non richiesto. Il latte proveniente da quarti sani presenta uno SCC inferiore a 200.000 cellule/ml. ( in molti casi addirittura inferiore a 100.000 cell./ml.) In pratica, qualunque bovina che abbia uno SCC> 300.000 cellule/ml. deve essere posta sotto stretto controllo, poiché questo valore è di per sé un indizio di probabile mastite subclinica. Interpretazione del LS: come si evince dalla tabella di correlazione tra SCC e LS, questi due parametri sono entrambi espressione del numero di cellule somatiche presenti nel latte. Merita un chiarimento la distinzione tra SCC del latte di massa ed individuale: infatti il primo è un indizio di base della presenza di mastite subclinica nella stalla e l'allevatore che dispone del dato SCC effettuato sul latte di massa, potrà rendersi personalmente conto di quanti animali affetti da mastite subclinica siano presenti confrontando la seguente tabella: SCC latte di massa
% di vacche infette
0 - 99.000 100.000 - 199.000 200.000 - 299.000 300.000 - 399.000 400.000 - 499.000 500.000 - 599.000 Oltre 600.000
6% 17 % 34 % 45 % 51 % 67 % 79 %
D'altra parte questo dato può fornire un'indicazione solo generica sullo stato di salute delle mammelle, mentre non è in grado di individuare le "vacche-problema" né i fattori che contribuiscono a provocare una carica elevata; inoltre è di scarsa efficacia per quanto riguarda il monitoraggio delle mastiti di tipo ambientale. Lo SCC o meglio ancora il LS effettuato sui campioni della singola bovina dimostra invece l'efficacia delle procedure di controllo della mastite adottate in allevamento: basti considerare per es. che l'80% degli animali con LS 5 hanno uno o più quarti
infetti, mentre si può ritenere efficace un programma di cura che porti ad avere almeno il 90% delle bovine in stalla con LS minore di 5. Il dato individuale inoltre identifica gli animali da eliminare. Il parametro che si riferisce alle cellule somatiche (SCC o LS) possiede un efficacia solo se valutato con costanza nel tempo: è chiaro che un'analisi sporadica non può fornire informazioni utili né all'andamento della mastite subclinica, né all'efficacia delle eventuali cure adottate. Sarà quindi necessario: • • • • •
Un controllo mensile della SCC nella stalla: l'identificazione delle vacche con valori superiori alla norma consente di individuare bovine con uno o più quarti infetti (SCC>300.000) Un campionamento dai quarti potenzialmente infetti per identificare l'agente responsabile ed applicare la cura più appropriata L'uso di corrette procedura di mungitura e la revisione di routine dell'impianto stesso La valutazione del trattamento per gli animali asciutti: il confronto tra LS prima della messa in asciutta e ad un mese dal parto può rendere mostrare l'efficacia dei trattamenti impiegati L'eliminazione di quegli animali che comunque non rispondono ai trattamenti effettuati
E' importante ricordare che le forme subcliniche di mastite rispondono meglio alla prevenzione che non alla cura, anche se il costo della prevenzione in sé può essere alto, soprattutto se effettuato in periodi in cui sembra che la stalla - apparentemente non abbia grossi problemi.
Come usare il LS per ridurre la mastite Se la stalla presenta un alto numero di cellule somatiche, dato rilevabile dallo LS O SCC effettuato sul latte di massa, il primo passo da compiere è capire quanti animali sono effettivamente responsabili di questa anomalia: se le bovine che contribuiscono ad un alto LS sono poche, è consigliabile prenderne in considerazione gli SCC individuali e campionarne il latte per analisi colturali. Se invece sono molti gli animali responsabili dell'alto LS, il successivo passo consiste nel distinguere tra alte percentuali di nuove infezioni o alte percentuali di casi cronici. Il grafico seguente può chiarire meglio la situazione su esposta:
Cosa fare 1. Trattamento in asciutta - lo scopo principale di questo trattamento è prevenire la comparsa di nuove infezioni in stalla, oltre naturalmente al recupero produttivo della bovina infetta. Inoltre, dal momento che l'animale non è in produzione, non c'è una diffusione delle infezioni dovuta appunto alle operazioni di mungitura. Il problema maggiore di questo intervento è però la necessità di asciugare l'animale e di poter agire solo in un periodo di tempo limitato; questo trattamento tuttavia presenta un tasso di guarigione piuttosto elevato, poiché elimina le infezioni precedenti e ne previene di nuove. La terapia è perciò molto efficace, anche perché i prodotti usati allo scopo posseggono un maggior periodo di permanenza in mammella. 2. Trattamento in lattazione - questa terapia si rende necessaria per gli animali all'inizio o nel pieno della fase produttiva: attendere la fase d'asciutta è comunque sconsigliato, poiché ci sono seri rischi di diffusione della mastite al resto dell'allevamento. In questa situazione, l'ultimo LS disponibile può aiutare il tecnico e l'allevatore ad individuare gli animali da trattare, prendendo in considerazione anche altri fattori, tra cui i risultati dell'analisi colturale del campione di latte, la produzione, lo stadio di lattazione e l'età delle bovine. In una bovina che presenti LS maggiore di 5 più volte nel corso della lattazione, questo dato fornisce indicazioni sulla cronicizzazione dell'infezione. Un alto LS ad inizio lattazione, seguito da un calo può indicare problemi gestionali in asciutta, tra cui l'impiego di un trattamento curativo inadeguato; un LS in aumento durante la lattazione è indice della presenza di mastite da patogeni contagiosi e può essere uno spia di scarsa igiene in mungitura, di problemi dell'impianto stesso, di tecniche non corrette o ricoveri inadatti. Il trattamento degli animali in lattazione va continuato per più giorni, rispettando i tempi di sospensione: anche se in apparenza sembra che gli svantaggi siano notevoli, è provato che le perdite economiche iniziano a minimizzarsi già dalla lattazione in corso. 3. Scelta degli animali da trattare - bisogna innanzi tutto considerare il soggetto: se si tratta di una bovina ad inizio od a fine carriera, se presenta una cronicità della mastite, se ha un potenziale genetico più o meno elevato. In genere gli animali giovani, di 1° o 2° lattazione sono soggetti a mastiti subcliniche non croniche: il trattamento è consigliabile per ammortizzare i costi di mantenimento con una piena produttività ed anche perché queste bovine in generale rispondono molto bene alla terapia. Per le bovine di lattazioni successive (dalla 3° in poi) studi americani rilevano una maggior incidenza delle mastiti con l'avanzare dell'età dell'animale. L' alto SCC in bovine "anziane" è dovuto probabilmente ad un'accresciuta risposta leucocitaria data dal cronicizzarsi delle infezioni. In questi casi è senz'altro consigliabile eliminare questi animali, poiché raramente si riscontra una buona efficacia dei trattamenti ed inoltre tali soggetti possono essere un "serbatoio" di contagio per l'allevamento. 4. Stabilire un idoneo ordine di mungitura - i soggetti con un alto LS vanno equiparati a bovine con mastite clinica; è necessario pertanto mungere per ultimi questi animali, per evitare la diffusione dell'infezione nelle bovine sane. Selenio, vitamina E e salute della mammella I livelli di selenio possono essere direttamente correlati alla mastite subclinica: uno studio dell'università della Pennsylvania ha riscontrato concentrazioni notevolmente basse di questo elemento in stalle dove lo SCC era maggiore di 700.000 cellule/ml. Lo SCC medio effettuato sul latte di massa diminuisce all'aumentare del selenio plasmatico. D'altra parte, se la razione è deficitaria per questo elemento, un'integrazione di Vitamina E distribuita in asciutta riduce l'incidenza di mastite subclinica al momento del parto. Per concludere, sia la vitamina E che il selenio giocano in sinergia un ruolo importante nel promuovere i meccanismi di difesa della mammella. Per un risultato ottimale, è necessario assicurare in razione il massimo apporto possibile di selenio, sia alle bovine in lattazione che alle asciutte. Animali alimentati con foraggi conservati possono richiedere supplementi di vit. E maggiori di 1000 UI (500 UI per le bovine in
lattazione) per massimizzare i meccanismi immunitari della mammella nel periodo immediatamente successivo al parto.
Procedure da adottare 1. Identificazione delle vacche infette: ciò è reso possibile dall'analisi dello SCC o dello LS individuale; come detto in precedenza, questo dato è affidabile solo se valutato con costanza nel tempo. 2. Identificazione dei principali agenti responsabili della mastite: è opportuno prendere campioni da vacche con LS pari o maggiore a 5; capire quali siano i microrganismi coinvolti fornisce al veterinario indicazioni sulle cure più efficaci. 3. Analisi della gestione aziendale: è necessario analizzare le pratiche e la routine di mungitura. Le mammelle vanno pulite, disinfettate ed asciugate e gli animali vanno stimolati per ottenere un completo rilascio del latte; le bovine vanno munte completamente, ma bisogna evitare la sovramungitura. Al termine, , sia che l'applicazione avvenga con il "dipping" che con lo spray, bisogna disinfettare la mammella con opportuni antisettici. 4. Controllo dell'impianto: da effettuarsi a scadenze regolari, in quanto il cattivo funzionamento può danneggiare i tessuti sensibili della mammella; oltre al monitoraggio effettuato dai tecnici APA, è opportuno stabilire regolare assistenza anche da parte della casa produttrice dell'impianto. 5. Gestione dell'ambiente di stalla: la lettiera deve essere pulita e rinnovata frequentemente; le zone di stabulazione ed i recinti non devono essere fangosi, ma privi di pozzanghere e zone a ristagno. Se la mastite è di tipo "ambientale" è necessario usare materiale da lettiera di tipo inorganico (sabbia) o cuccette con materassini in gomma. 6. Trattamento delle vacche in asciutta: al momento dell'asciugatura, è opportuno dopo un'accurata pulizia - trattare gli animali con appositi antibiotici in tutti i quarti ed alloggiarli in zona separata da quella destinata alle bovine in lattazione. Se il veterinario lo consiglia, può risultare utile un supplemento integrativo con Vit. E e selenio Checklist Segue una lista di controllo che l'allevatore può utilizzare come raccolta di dati da sottoporre al veterinario o al tecnico che segue l'allevamento. Preparazione delle bovine alla mungitura • • • • • •
Gli animali sono preparati con salviette monouso? Viene applicata una soluzione igienizzante alla mammella? Viene usata una tazza per esaminare i primi getti di latte (eventuali anomalie)? La mammella viene lavata ed asciugata prima della mungitura? Le mammelle sono pulite quando si applica il gruppo di mungitura? Se si usa il "pre - dipping" il prodotto impiegato ricopre totalmente la mammella? E viene asportato completamente prima dell'applicazione del gruppo mungitore?
Modalità di mungitura • • • •
I gruppi vengono applicati entro 2 minuti dopo l'inizio della preparazione? I gruppi vengono applicati in modo adeguato (in modo delicato e con minima perdita di vuoto)? I gruppi sono allineati in modo corretto? Esiste un apparecchio per determinare il flusso di latte?
• • • • •
Il vuoto viene tolto prima di rimuovere i gruppi di mungitura? Gli stacchi automatici sono usati in modo adeguato e le bovine sono munte completamente? Esiste un corretto ordine di mungitura (prima le manze, per ultime le bovine con alto SCC ed infette)? I capezzoli sono disinfettati immediatamente dopo la rimozione dei gruppi? Le bovine possono accedere ad una razione fresca, così da rimanere in piedi per un certo tempo dopo la mungitura?
Controllo dell'impianto •
Negli ultimi 6 mesi l'impianto è stato sottoposto a verifiche da parte di un tecnico specializzato?
Ambiente di stalla • • • • • • •
Le asciutte sono completamente separate dalle vacche in lattazione? Gli edifici della stalla sono adeguatamente ventilati? Gli edifici sono adeguati per dimensione? (annotare lunghezza, larghezza ecc.) La lettiera sembra idonea? E' asciutta e pulita? (annotare il tipo di lettiera usato) Il letame viene asportato giornalmente? Le zone d'esercizio (recinti all'aperto, passaggi ecc.) sono fangose, con pozzanghere o ristagni? La zona riservata alle asciutte ed alle manze presenta i problemi su esposti oppure è adeguata?
Gestione aziendale • • • • • • • • •
Lo SCC viene regolarmente e costantemente esaminato per tutte le bovine in stalla? Le condizioni generali degli animali risultano accettabili? In quali gruppi d'animali si verificano più frequentemente le mastiti cliniche (annotare separatamente i casi nei gruppi: fresche, asciutte, manze di primo parto, grandi produttrici, gruppo misto tra i precedenti) Risultati delle analisi del latte di massa negli ultimi 6 mesi (annotare: data, tipi di microrganismi riscontrati e SCC di massa) Le vacche asciutte sono trattate con prodotti antibiotici adatti? (annotare nome del prodotto) Le vacche in lattazione con mastite clinica vengono trattate con prodotti antibiotici adeguati? (annotare il nome del prodotto) I tempi di sospensione sono rispettati? Il latte prodotto da animali trattati viene esaminato per la presenza di residui prima della consegna? Le vacche acquistate vengono esaminate con opportuni test per la mastite prima della loro immissione in stalla?
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Le mastiti ambientali Descrizione Le mastiti ambientali si caratterizzano per essere solitamente di tipo clinico acuto, anche se in alcuni casi possono manifestarsi come subcliniche. In modo abbastanza anomalo, anche in stalle ben gestite, che presentano bassi conteggi di cellule somatiche (minori di 200.000-300.000), si possono sviluppare mastiti da ambientali, piuttosto difficili da diagnosticare anche a causa della loro breve durata. Generalmente vi sono periodi ben precisi nella vita della bovina in cui si nota la comparsa di questo tipo di patologia, la seguente tabella li riassume: Periodo
N° casi senza trattamento N° casi con in asciutta trattamento in asciutta
Primi 10 giorni in asciutta
Molti
Pochissimi
Da 2 a 3 settimane in asciutta
Pochi
Pochi
Fine dell'asciutta
Molti
Molti
Periparto
Molti
Molti
Nel caso d'infezioni da ambientali, i quarti infetti si gonfiano ed il latte prodotto diventa acquoso; la temperatura corporea può aumentare e l'animale perde appetito e, di conseguenza, peso. Le perdite economiche sono notevoli, dovute per la maggior parte ai costi risultanti dalla ridotta produzione e dall'accantonamento del latte infetto, nonché ai maggiori costi per accresciuto lavoro, cure e spese veterinarie. Per le lattazioni successive alla prima, le perdite si raddoppiano; inoltre, le bovine che sviluppano mastite clinica presentano un immediato calo produttivo e non ritornano ai precedenti livelli di produzione per almeno i due mesi successivi alla comparsa della malattia. Di seguito vengono elencati alcuni indizi di un probabile problema di mastite ambientale in stalla: - Un numero troppo alto di bovine che presentano mastite nella prima fase di asciutta - Un numero eccessivo di animali che sviluppano mastite nei primi 30-60 giorni dopo il parto (superiore al 20%) - Aumento dello SCC della mandria - Aumentata incidenza di mastiti in assenza di casi da Staphilococcus aureus e Streptococcus agalactiae - Aumento dei casi di mastite clinica, anche con una corretta terapia in asciutta: spesso, infatti, una mastite sostenuta da streptococchi ambientali ed acquisita in asciutta, sfocia in una mastite clinica al parto Tipo di microrganismi coinvolti
Le mastiti ambientali sono causate da due diversi gruppi di batteri: i Coliformi e gli Streptococchi ambientali (o fecali). Alcune considerazioni valgono per entrambi i gruppi, ad es. si possono trovare comunemente nell'ambiente di stalla su vari tipi di lettiera, letame, sudiciume, acqua ecc. Dal momento che questi microrganismi si sono adattati a diversi substrati, non hanno alcuna dipendenza diretta dall'animale per la loro sopravvivenza e propagazione: in questo differiscono dai contagiosi, che vivono di preferenza sopra o all'interno della bovina stessa. Coliformi Questa categoria include due gruppi predominanti: Escherichia coli e Klebsiella spp. con alcune caratteristiche in comune, tra cui la gram-negatività. I coliformi trovano un idoneo terreno di sviluppo sul letame depositato dagli animali in stalla. Vivono normalmente nel tratto gastro-intestinale dei bovini e si rinnovano in continuazione. Klebsiella spp. sono microrganismi legati al terreno e si trovano frequentemente nei materiali da lettiera provenienti dal legno, quali segatura, trucioli ecc. Condizioni ambientali caldo umide favoriscono un rapido sviluppo di questi microrganismi nelle aree in cui vivono le bovine, soprattutto in condizioni d'affollamento eccessivo. Il metodo migliore per prevenire o controllare lo sviluppo di questi microrganismi è l'impiego di sabbia come materiale da lettiera, ma occorre comunque una buona manutenzione per evitare che un suo eccessivo imbrattamento con le deiezioni fornisca substrato utile alla crescita. Ancora una volta è necessario ribadire che una pulizia costante ed accurata della stalla è il miglior sistema per tenere sotto controllo questo tipo di batteri. Un numero anche relativamente basso di coliformi penetrati in mammella è già sufficiente a creare mastiti di notevole entità, con fenomeni di endotossiemia, aumento della temperatura corporea e marcato calo nelle produzione di latte; inoltre, essendo gram-negativi, questi batteri non rispondono alla terapia antibiotica comunemente adottata in caso di mastite. Il trattamento comporta in genere un aumento del numero di mungiture, per allontanare la maggior quantità possibile di tossine batteriche e l'uso di farmaci anti-infiammatori per ridurre la temperatura ed il gonfiore mammario. Spesso vengono utilizzate anche soluzioni ipertoniche saline per via parenterale, in modo da aumentare il passaggio di fluidi in mammella, con conseguente allontanamento delle tossine. Le bovine con infezioni da coliformi rispondono con elevati SCC in tempi brevi. Recentemente sono stati prodotti vaccini in grado di minimizzare la severità di nuove infezioni da coliformi: in sostanza si tratta di fornire al sistema immunitario della bovina la possibilità di riconoscere le sostanze-chiave che compongono i batteri e di sviluppare perciò anticorpi capaci di combatterli. L'efficacia di questi vaccini in un programma di prevenzione di routine sull'intera stalla è riconosciuta per controllare le mastiti sostenute da coliformi, Klebsiella ed altri gram-negativi. Anche una corretta gestione della mungitura può contribuire a ridurre il numero di coliformi presenti in stalla: è essenziale che la mammella pronta per essere munta sia pulita, igienizzata ed asciutta. Per raggiungere questo scopo, occorre usare un prodotto pre-dipping capace di eliminare efficacemente i batteri, con un tempo di contatto sul derma di 30 secondi, e successivamente rimuoverlo ed asciugare perfettamente la mammella. Streptococchi ambientali Questa specie di batteri opportunisti si trova comunemente nel letame, sulla lettiera, nel suolo, sul pelo, negli scoli uterini ecc. Gli esami di laboratorio identificano alcune specie, tra cui più frequentemente Streptococcus uberis e S. dysgalactiae. Le mastiti causate da questi microrganismi sono in genere di tipo clinico; inoltre i batteri tendono a concentrarsi in forti quantità nel latte d'animali infetti che non vengono identificati come tali, con aumento delle conte batteriche nel latte di massa.
Le strategie di controllo per questi microrganismi sono simili a quelle impiegate per i coliformi, tendendo a ridurre l'esposizione della bovina in tutte le zone frequentate (aree di riposo e di mungitura, recinti per l'asciutta ecc.). Le mastiti sostenute da questo tipo di batteri si manifestano soprattutto alla messa in asciutta e nel periparto. Il livello produttivo raggiunto al termine della lattazione, la cessazione delle due mungiture quotidiane e la scarsa igiene dei ricoveri destinati alle bovine in questo periodo sono fattori concomitanti che scatenano le mastiti ambientali; oltre al trattamento dei quarti all'asciugatura, è molto importante trattare la bovina nelle prime 2-3 settimane d'asciutta, per permettere alla mammella di chiudersi completamente, diventando perciò assai resistente alle infezioni. Quando si avvicina il momento del parto, invece, il tessuto produttivo della mammella inizia a svilupparsi e possono verificarsi anche lievi perdite di latte; gli animali in questo stadio subiscono un notevole stress, e sono sensibili a tutte le malattie mastiti incluse - a causa della depressione delle difese immunitarie. A tutt'oggi non esistono purtroppo vaccini contro gli Streptococchi ambientali, anche se numerose ricerche si stanno sviluppando in questa direzione. La miglior possibilità di controllare il numero di questi microrganismi è ancora una volta affidata alla pulizia delle aree e dell'impianto di mungitura, facendo pre-dipping con un prodotto a rapida azione, ed ad una corretta gestione delle zone destinate alle bovine asciutte, nonché naturalmente alla terapia al momento dell'asciugatura. In questa fase può risultare utile l'impiego di un sigillante da applicare all'estremità del capezzolo, per evitare l'ingresso di batteri nel canale e ridurre il rischio di nuove infezioni. Fattori rischio d'insorgenza I batteri ambientali, come detto in precedenza, sono opportunisti in grado di vivere su diversi substrati. I principali serbatoi sono feci, urina, scoli vaginali, derma del ventre e della mammella per quanto attiene agli animali; lettiera, sala-parto, sala di mungitura, ricoveri delle asciutte e delle manze, corridoi di passaggio e spostamento per quanto riguarda invece le strutture di stalla. Data la grande varietà di substrati, è praticamente impossibile eliminare completamente gli ambientali da una stalla, quindi il controllo ed il contenimento a bassi livelli di tali microrganismi deve orientarsi su programmi di prevenzione che limitino il più possibile l'esposizione ed il contatto della mammella a questi batteri. Una corretta gestione aziendale è quindi il fattore chiave nel controllo di tali mastiti, cosa evidenziata anche dalla seguente tabella: Fattori
Casi di mastite in %
Impianto di mungitura
6%
Stalla ed ambiente
25 %
Genetica
20 %
Gestione aziendale
49 %
Fonte: Dr. Nelson Philpot, Presidente Philpot and Associates International, Homer, La.
Come si nota dall'esame della tabella, problemi ambientali, gestione aziendale e strutture di stalla sono responsabili al 75% delle mastiti ambientali, ed è perciò logico focalizzare gli interventi su questi punti. Controllo e prevenzione Un'efficace azione di controllo di queste mastiti si attiva su due fronti: - diminuendo l'esposizione della mammella ai patogeni ambientali - aumentando le difese immunitarie della bovina
In sintesi, vengono qui di seguito elencati i principali punti a cui prestare attenzione: 1. Fornire un ambiente di vita che minimizzi l'esposizione delle bovine a condizioni di sporco: è perciò importante l'igiene delle principali strutture di stalla, curando la pulizia e la manutenzione della lettiera, fornendo alle bovine cuccette o recinti correttamente dimensionati, evitando i fenomeni di sovraffollamento e competizione gerarchica. Le zone di passaggio e vicino agli abbeveratoi devono essere quanto più possibile prive d'aree fangose ed umide, soprattutto in condizioni d'elevata temperatura ambientale. E' opportuno ricordare che la quantità di sporco presente sui piedi dell'animale è strettamente correlata al livello di contaminazione fecale della mammella: per tale motivo è consigliabile curare l'igiene ambientale e far muovere le bovine in maniera tranquilla. Se è possibile, è opportuno tenere gli animali in piedi per almeno trenta minuti dopo la mungitura, al fine di evitare risalite dei batteri ambientali attraverso il canale del capezzolo ancora aperto. 2. Attuazione di un efficace trattamento in asciutta: dal momento che il periodo d'asciutta è il più propizio all'instaurarsi d'infezioni da ambientali (fino a cinque volte più facilmente che in lattazione), è raccomandabile effettuare una terapia antibiotica in asciutta. L'uso a scopo preventivo del vaccino è efficace solo nelle mastiti ambientali sostenute da Escherichia coli, mentre è inutile contro gli Streptococchi. Nelle prime due settimane del periodo dell'asciutta può essere efficace un trattamento con un sigillante del capezzolo, da ripetere negli ultimi quindici giorni precedenti il parto. Prima di applicare il sigillante, è però importante assicurarsi che la bovina non sia già infetta (presenza di mastite nell'ultima fase di lattazione). 3. Tenere registrazioni accurate degli esiti dei trattamenti: è importante per ogni caso di mastite clinica conoscere: il tipo d'antibiotico usato, la dose e la data della cura, la durata del periodo d'accantonamento del latte, ecc. 4. Stabilire un corretto ordine di mungitura: è opportuno mungere separatamente sia le vacche infette che quelle trattate, tramite formazione di gruppi o l'uso d'unità di mungitura separate 5. Usare una routine di mungitura adeguata: è essenziale lavorare su mammelle ragionevolmente libere da fango e deiezioni (una regolare tosatura può risultare utile in tal senso). Prima della mungitura è opportuno lavare la mammella con sola acqua e poi asciugarla perfettamente con carta o tessuto a perdere. L'asciugatura è essenziale, poiché i batteri ambientali sono veicolati proprio dall'acqua. Se la stalla è in buone condizioni igieniche, si può sostituire al lavaggio un "pre-dipping" con idonei disinfettanti, con tempi di contatto di almeno 30-45 secondi. Anche in tal caso è comunque indispensabile un'attenta asciugatura della mammella, anche per evitare che eventuali residui di disinfettante finiscano nel latte. Effettuate queste operazioni, è bene attaccare i gruppi di mungitura entro 1-1.5 minuti e quindi rimuovere i prendicapezzoli dopo aver interrotto il vuoto, per evitare riflussi di latte sulla mammella. Dopo la mungitura si può effettuare il "post-dipping", arrivando ad almeno metà/due terzi della superficie mammaria; in ogni caso è consigliabile mantenere le bovine in piedi per almeno mezz'ora, magari distribuendo la foraggiata o del fieno. Naturalmente è indispensabile anche una regolare manutenzione dell'impianto di mungitura, ponendo particolare attenzione al livello del vuoto, ai pulsatori, ai filtri dell'aria, alle guaine ecc. In genere, si raccomanda un controllo dell'intero impianto ogni tre mesi, oppure ogni 500 ore di mungitura. 6. Controllo delle mosche: questi insetti sono spesso responsabili della diffusione di batteri che possono colonizzare eventuali lesioni cutanee della mammella e dei capezzoli. E' noto inoltre che l'incidenza di mastiti ambientali è più elevata in estate ed autunno, in parallelo al ciclo d'infestazione da mosche: è quindi raccomandabile cercare di agire soprattutto sui luoghi di riproduzione degli insetti (avanzi di cibo in putrefazione, letame ecc.) 7. Precauzioni particolari per le primipare: molto spesso le manze presentano mastiti al momento del parto o nella prima fase di lattazione; queste bovine non dovrebbero essere sistemate con le asciutte più anziane, dal momento che l'ambiente comune può scatenare l'insorgere di nuove infezioni. Questi animali possono essere sottoposti allo
stesso trattamento antibiotico per l'asciutta a 60 giorni circa dalla data prevista del parto, oppure alla cura antibiotica per la lattazione 7-14 giorni prima del parto, controllando il latte 3-5 giorni dopo per accertarsi della presenza d'eventuali residui: in entrambi i casi, i trattamenti vanno effettuati sotto stretto controllo veterinario. Un'altra possibilità è mungere le manze da 1 a 3 settimane prima del parto, tenendo presente che i vitelli che nasceranno andranno immunizzati con colostro proveniente da vacche più anziane. 8. Alimentazione: è consigliabile integrare la razione con supplementi di vitamina E, selenio, vitamina A e ß-carotene e bilanciare l'apporto di zinco e rame per coprirne il fabbisogno. Il trattamento congiunto di iniezioni di selenio (4.5 mgr. / 45 kg. di peso corporeo, 21 giorni prima della data prevista per il parto) e integrazioni di vit.E (pari ad almeno1000 U.I. /giorno in asciutta e 500 U.I./giorno in lattazione) si è rivelato utile nel diminuire l'incidenza della mastiti cliniche, soprattutto negli animali di prima lattazione. Il selenio può anche essere aggiunto alla razione delle asciutte (3 mgr./capo/giorno) e delle fresche (6 mgr./capo/giorno) ed in associazione alla vit. E riduce anche l'incidenza di metriti, cisti ovariche e ritenzioni di placenta. 9. Limitare i fattori di stress: fornire alle bovine un'ambiente privo di stress, soprattutto in prossimità del parto, è utile non solo per ottenere alte produzioni, ma anche per limitare l'insorgere di mastiti. Lo stress causa infatti nella bovina il rilascio di cortisone, con conseguente effetto negativo sulle difese immunitarie. Per tale motivo, è consigliabile evitare il sovraffollamento, le competizioni alla mangiatoia, lo stress da caldo, la formazione di gruppi non omogenei per età (primipare e vacche di lattazioni successive) ecc.
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Le mastiti nelle manze
Contrariamente a quanto si riteneva fino a pochi anni fa, le mastiti nelle manze gravide ed in età fecondativa sono piuttosto diffuse: queste infezioni possono durare a lungo e sono associate ad alte conte delle cellule somatiche; sono probabilmente la causa di uno sviluppo non corretto della mammella durante la gestazione ed influenzano negativamente la produzione di latte dopo il parto. Nelle secrezioni mammarie di manze non fecondate o gravide sono spesso presenti almeno 8 ceppi di Stafilococchi - Staph. chromogenes, Staph. Hyicus e Staph. Aureus i più frequenti -fra questi i livelli d'infezione al parto dovuti a Staph. Aureus variano tra 0.7 e 7.6% dei quarti. Altri batteri spesso presenti sono quelli coagulasi-negativi (14.4 - 53% dei quarti) ed i coliformi e streptococchi ambientali (2 - 11% dei quarti).
Questo comporta logicamente un aumento dei conteggi delle cellule somatiche, ma anche -a livello mammario - una forte infiltrazione leucocitaria, con aumento del tessuto connettivo a scapito di quello ghiandolare: questo aspetto spiega perché le infezioni che si verificano in manze in età molto giovane possano influenzare negativamente le sviluppo della ghiandola mammaria e la produzione delle future lattazioni. Lo Staph. aureus e gli altri tipi di stafilococchi possono essere isolati in manze anche di giovane età, le sedi elettive sono costituite da narici, mucosa orale e vaginale. Le azioni di succhiamento e leccamento tra vitelle trasmettono questo genere d'infezione. Anche le mosche possono essere un veicolo d'infezione da Staph. Aureus, per cui è opportuno adottare un programma di controllo di questi insetti. Mycoplasma spp. sono stati invece isolati in vitelle alimentate a latte che presentano infezioni alle giunture ed alle orecchie, mentre i patogeni ambientali si sviluppano a livello mammario nel periodo immediatamente precedente al parto, a causa di esposizione degli animali a letame contaminato. Infine la prevalenza di mastiti sostenute da streptococchi ambientali è associata all'età della manza al momento del parto. Trattamento con antibiotici L'infusione intramammaria di antibiotici nella fase di preparto si è rivelata una procedura utile ed efficace nel ridurre l'incidenza delle mastiti, sia nelle primipare fresche che nelle fasi successive della lattazione. Un aspetto negativo di questo tipo di trattamento è la presenza di antibiotici nel latte, soprattutto negli animali che partoriscono prima della data prevista. Tuttavia, usando alcuni tipi di antibiotici, come ad es. la cloxacillina, il problema può essere risolto: uno studio dell'Università del Tennessee (S.P.Oliver 2000) dimostra come già a tre giorni dal parto il latte di tutte le bovine trattate con questo antibiotico una settimana prima dell'evento fosse libero da residui. Oltre a ciò, bisogna considerare i vantaggi economici di questi trattamenti: lo stesso studio sopra citato dimostra come si ottengano quantità di latte significativamente più
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