Sole24ore: Non Sprecate I Soldi Del Ssn Per L'omeopatia

  • July 2020
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22 MEDICINÆ

28 lug.-3 ago. 2009

In occasione dei Mondiali di nuoto di Roma una giornata dedicata ai tumori della pelle

Melanoma, prevenire si può Casi in aumento in tutto il mondo - Cruciale il controllo dei nei

I

tumori della pelle sono in aumento in tutto il mondo, colpiscono il 60% dei soggetti di carnagione bianca oltre i 40 anni. I più comuni sono il carcinoma e il melanoma cutaneo. Quest’ultimo è il tumore della pelle a più elevata aggressività biologica e, a differenza degli altri tipi di neoplasie cutanee, può insorgere su un nevo preesistente o sulla cute sana e può comparire raramente anche nelle sedi non esposte ai raggi solari. In Italia colpisce 13 persone su 100mila, in prevalenza tra i giovani: oltre il 50% dei casi viene diagnosticato entro i 55 anni. L’incidenza negli ultimi 10 anni è raddoppiata, la mortalità è però rimasta stabile. Il carcinoma nelle sue varie forme è invece la neoplasia più diffusa: dal 1985 al 2005 i casi sono cresciuti del 133%, legati a un’esposizione al sole prolungata e intensa negli anni per motivi lavorativi o ricreativi, ma anche all’aumento della vita media e ai casi di immunodeficienza. I tumori cutanei, infine, fanno parte di alcune sindromi genetiche legate alla scarsa capacità delle cellule a riparare i danni del Dna. La terapia delle neoplasie cutanee è essenzialmente chirurgica. Negli ultimi 10 anni non vi sono

stati grandi progressi nella terapia medica delle fasi avanzate di melanoma, pertanto la migliore arma per ridurne la mortalità resta la diagnosi precoce e la prevenzione primaria: sensibilizzazione sui fattori di rischio a partire dalla scuola e corretta protezione dal sole. Per lottare insieme contro l’aumento delle neoplasie cutanee l’Istituto dermatologico Santa Maria e San Gallicano di Roma, in collaborazione con il Village Roma ’09 e l’Accademia dermatologica romana (Adr), ha organizzato il 24 luglio l’iniziativa «Un tuffo nella prevenzione: no al tumore della pelle». Una giornata dedicata all’informazione sulla prevenzione dei tumori della pelle durante i Mondiali di nuoto, al Foro Italico di Roma. La mancanza di una corretta informazione espone a comportamenti a rischio e a ritardi nella prevenzione. La cultura della pelle abbronzata a tutti i costi ed errori informativi potrebbero aver influito sull’incidenza dei tumori cutanei, un gruppo eterogeneo di neoplasie molto diffuso. La cheratosi attinica rappresenta uno stadio precoce di un tumore che può diventare molto aggressivo come il carcinoma squamo cellulare: le richieste di visita per tale problema sono al quarto

posto presso la struttura di dermatologia oncologica del San Gallicano, ma solo il 25% dei pazienti è consapevole che può essere un tumore al primo stadio. Autoesame, fotoprotezione e controlli dermatologici periodici sono le armi vincenti per la prevenzione: per esempio insegnare al proprio partner a osservare il nostro corpo e a essere attento a eventuali cambiamenti delle macchie sulla pelle; educare i bambini fin dalla tenera età a esporsi correttamente al sole; saper bloccare il proprio “cronometro” che registra la dose di cumulo dei danni (la nostra pelle mantiene la memoria storica di tutte le scottature); “gareggiare” nell’osservare le alterazioni della cute propria, dei nostri familiari e amici. La prevenzione secondaria,

cioè la diagnosi precoce, è oggi molto più efficace grazie all’utilizzo di metodiche non invasive come la dermatoscopia e la videodermatoscopia digitale che consentono di ingrandire come un microscopio posto sulla pelle le strutture sottostanti dell’epidermide. Tale metodica ha migliorato del 35% la diagnosi di melanoma nella sua forma classica (piano pigmentata) e del 24% circa quella delle lesioni non pigmentate (pink lesion), le più difficili da diagnosticare anche per un occhio esperto. È importante ricordare che i danni solari possono emergere anche dopo molti anni sulle zone più esposte come il cuoio capelluto, il volto, il dorso, il decolleté ed il dorso delle mani. Tra i tumori cutanei il melanoma è la forma biologica più aggres-

siva. A differenza dei carcinomi, si presenta soprattutto in relazione a esposizioni al sole intense e intermittenti quali “i mordi e fuggi del week-end”, la pratica di sport stagionale all’area aperta o nei soggetti che hanno subito scottature solari nell’infanzia o nell’adolescenza. Inoltre, sono a rischio i soggetti con fototipo chiaro che si abbronzano poco e si scottano con facilità; l’avere numerosi nevi e uno o più casi di melanoma in famiglia costituisce un’importante condizione di predisposizione al melanoma cutaneo. Presso la struttura da me diretta di Dermatologia oncologica dell’Istituto San Gallicano in collaborazione con la cattedra di genetica medica dell’Università “La Sapienza”, sono in corso da oltre 15 anni studi sulle mutazioni dei geni più implicati in questa neoplasia. La guarigione arriva al 95% dei casi quando la patologia è individuata allo stadio iniziale; negli stadi più profondi la sopravvivenza si riduce di oltre il 50%. L’American Academy of Dermatology ha affiancato alla regola dell’Abcde (asimmetria, bordi, colore, dimensioni ed evoluzione) l’acronimo Harmm per allertare i soggetti che devono essere più coinvolti nella prevenzione del melanoma: History, storia

personale o familiare di melanoma; Age, età sopra i 50 anni; Regular, assenza o ritardo di una regolare visita dermatologica; Mole changing, cambiamento dei nei; Male gender, sesso maschile. Siamo di fronte a un problema di salute pubblica che può essere affrontato a 360 gradi. La medicina del lavoro, a esempio, potrebbe fare molto inserendo il controllo dermatologico nei programmi di screening e prevedendo l’educazione alla fotoprotezione soprattutto per i “lavoratori outdoor”. Di grande aiuto è la biologia molecolare che studia la tipizzazione del melanoma e quindi la possibilità di terapie più mirate. Le nuove ricerche in campo di foto-protezione condurranno alla formulazione di filtri solari in grado di riparare il danno che i raggi ultravioletti procurano al Dna delle cellule cutanee, a metodi di valutazione biologico-molecolare del rischio e all’implementazione di messaggi corretti e continuativi per incidere stabilmente su comportamenti e stili di vita. Caterina Catricalà Direttore del Dipartimento di Dermatologia oncologica Irccs San Gallicano - Roma © RIPRODUZIONE RISERVATA

CONSULTA DELLE SOCIETÀ SCIENTIFICHE PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

I

l tema dell’omeopatia, dei suoi presupposti e delle documentazioni relative alla sua efficacia, è recentemente tornato alla ribalta mediatica. La Consulta delle società scientifiche per la riduzione del rischio cardiovascolare ritiene quindi necessario precisare la sua posizione in merito. Inquadramento storico. L’omeopatia è una cosiddetta “medicina alternativa”, sviluppata all’inizio dell’Ottocento. In quel periodo le conoscenze scientifiche erano molto arretrate rispetto alle attuali: anche la chimica e la fisica, nell’accezione moderna, erano solo agli esordi. Le terapie del tempo, del tutto empiriche, erano spesso pericolose (si pensi all’abuso del salasso). La scuola viennese propugnava il “nichilismo terapeutico”: per dirla con Skoda, clinico medico a Vienna attorno alla metà dell’Ottocento, «Quanto di meglio si può fare in medicina interna è il non fare nulla». Se in questo contesto storico la somministrazione di rimedi costituiti esclusivamente da acqua (come sono i medicinali omeopatici) poteva avere almeno il vantaggio di inibire l’uso di interventi terapeutici pericolosi per il paziente, è ovvio che nel mondo moderno, dove i farmaci di efficacia documentata sono numerosi, l’omeopatia va considerata nella più benevola delle ipotesi inutile. Poiché inoltre l’omeopatia è rimasta sostanzialmente invariata dalla fine del Settecento (e totalmente immodificata nei suoi principi fondamentali), non è difficile realizzare quanto essa sia ormai del tutto inadeguata a

«Non sprecate i soldi del Ssn per l’omeopatia» convivere con le conoscenze scientifiche moderne. Prove di efficacia dell’omeopatia. È necessario innanzitutto premettere che non esiste alcun modo di accumulare conoscenze che non passi attraverso il metodo sperimentale. Nel caso della farmacologia e della terapia, l’uso di studi controllati, condotti con metodologia corretta, se possibile contro placebo, rappresenta l’unico approccio accettabile. L’idea di fondo dell’omeopatia (similia similibus curantur), di per sé non facilmente verificabile, si declina nell’uso di principi estremamente diluiti, sottoposti a preventiva “dinamizzazione”, i cui possibili effetti terapeutici sono invece in teoria facilmente verificabili mediante studi adeguati. È importante sottolineare che i medicinali omeopatici non sono stati sottoposti, tranne che in un numero piccolissimo di studi, a prove di questa natura, anche per la “resistenza” del mondo dell’omeopatia, secondo il quale i pazienti non sono raggruppabili in gruppi omogenei. Dei pochi studi controllati condotti, la maggior parte ha fornito risultati negativi (gli effetti rilevati non sono risultati distinguibili da quelli del placebo). Va anche ricordato che trattamenti del tutto inefficaci possono sembrare superiori al placebo, per motivi puramente casuali, in un limitato numero di casi (fino a 1 su 20, se si assume come limite di significatività statistica, come è d’uso, un valore del cosiddetto “p” <0,05).

Nei pochissimi studi controllati effetti non distinguibili da quelli del placebo

Le metanalisi, che valutano il complesso degli studi pubblicati, dimostrano in maniera inequivocabile che gli effetti dei medicinali omeopatici non sono distinguibili da quelli del placebo. Pericolosità “culturale” dell’omeopatia. Immaginare che l’uso di sostanze diluite in modo tale da non prevedere (statisticamente) la presenza di alcuna molecola “attiva” nel medicinale somministrato al paziente, e che lo scuotimento più o meno prolungato di queste soluzioni (“dinamizzazione”) possa modificare la loro azione sull’organismo umano, è del tutto incompatibile con le attuali conoscenze di chimica e fisica, che si sono invece dimostrate in grado di descrivere in modo estremamente preciso e accurato i fenomeni naturali. La diffusione di un simile approccio di pensiero, come peraltro di tutti quelli che ritengono di spiegare i fenomeni del mondo del reale in base a leggi o regole non verificabili sperimentalmente, rallenta lo sviluppo di quella “cultura della conoscenza”, di matrice galileiana, che ha permesso, negli ultimi secoli, il progresso della qualità e della quantità della vita media che è sotto gli occhi di tutti. Specie tra le persone meno attrezzate sul piano culturale, questo approccio concorre inoltre a mantenere un atteggiamento irrazionale, e non critico, ai problemi (di qualunque natura) e alle loro possibili soluzioni: con un “costo” sociale e umano difficile da documentare ma certamente molto elevato. Riteniamo utile ricordare che in molti articoli sull’omeopatia si sottolinea il grande numero delle persone che ne seguirebbero, in parte maggiore o minore, i dettami: in realtà

questa osservazione non può e non deve sostituire le evidenze scientifiche; è facile poi obiettare che analogo è il numero degli italiani che frequentano “maghi” secondo i dati forniti dall’Istat e che, nonostante ciò, non crediamo sia opportuno suggerire alla popolazione di frequentarli. Pericolosità “medica” dell’omeopatia. Se è ovvio che la tossicità dei medicinali omeopatici è virtualmente nulla, altrettanto chiaro che l’uso di medicinali omeopatici in condizioni patologiche gravi ma trattabili può ritardare, talvolta in modo irreversibile, l’adozione di trattamenti efficaci. Costi dei medicinali omeopatici. I costi di vendita al pubblico dei medicinali omeopatici sono più bassi dei farmaci di più recente commercializzazione, anche se sono più elevati (e spesso molto più elevati) dei costi di somministrazione di prodotti fuori brevetto di efficacia e sicurezza ben consolidate. Va tuttavia considerato che mentre nel caso dei farmaci efficaci tali costi coprono una ricerca difficile e onerosa (si pensi ai costi dei grandi trials controllati di intervento), e la sintesi di molecole spesso molto complesse, nel caso dei medicinali omeopatici la ricerca è di fatto scarsa o nulla, e i costi dei principi impiegati trascurabili nella larga maggioranza dei casi. Se in un libero mercato tali costi possono essere tollerati qualora il paziente se ne faccia liberamente - e coscientemente - carico, non è accettabile che risorse del Ssn vengano distratte per acquisirli

nell’attuale fase di drastica contrazione delle risorse disponibili. In conclusione dunque: ● l’omeopatia non dispone di prove di efficacia che ne giustifichino l’inserimento tra le prestazioni erogate dal Ssn utilizzando risorse dei contribuenti; ● l’omeopatia, per i suoi principi fondanti, del tutto incompatibili con le conoscenze di chimica-fisica accumulate negli ultimi due secoli, rappresenta un ostacolo di grande pericolosità concettuale alla diffusione, tra il pubblico, di un approccio razionale alla ricerca e al mantenimento nel tempo del benessere e della salute; ● la ridotta pericolosità “diretta” dei medicinali omeopatici (ovvia, considerando che essi sono indistinguibili dall’acqua) e il sistematico sfruttamento dell’effetto placebo, che può paradossalmente essere utile nel caso di patologie banali comunque destinate all’autorisoluzione, non compensano il fatto che l’approccio omeopatico può ritardare, nel caso invece di patologie di rilievo, l’utilizzo di farmaci efficaci e talora salvavita; ● il costo dei medicinali omeopatici, pur inferiore a quello dei farmaci più moderni, è del tutto ingiustificato alla luce dell’irrilevante costo dei principi attivi impiegati e dell’assenza di una ricerca significativa nel settore.

I costi sono spesso superiori a quelli di off patent di uso consolidato

Andrea Poli Giuseppe Mancia Alberico L. Catapano per la Cscv © RIPRODUZIONE RISERVATA

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