Paolo e in non credenti Written by Paolo Sacchi Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, 5-26 ottobre 2008, Proposizione 13: Parola di Dio e legge naturale «Alla luce dell’insegnamento della Sacra Scrittura, come è ricordato soprattutto dall’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani (cfr. Rm 2, 14-15), è bene ribadire che questa legge (la legge naturale) è scritta nel profondo del cuore di ogni persona e ognuno può averne accesso. Essa possiede come suo principio basilare che si deve “fare il bene ed evitare il male”; una verità che si impone con evidenza a tutti e da cui scaturiscono altri principi che regolano il giudizio etico sui diritti e sui doveri di ciascuno. È bene ricordare che anche nutrendosi della Parola di Dio la conoscenza della legge naturale aumenta e permette il progresso della coscienza morale. Il Sinodo, pertanto, raccomanda a tutti i Pastori di avere una particolare sollecitudine perché i ministri della Parola siano sensibili alla riscoperta della legge naturale e alla sua funzione nella formazione delle coscienze». Il tema della legge data da Mosè al popolo ebraico domina il pensiero di Paolo. In essa infatti è contenuta la volontà di Dio, osservando la quale non solo i figli di Israele, ma anche i credenti in Cristo, da lui giustificati, possono salvarsi. Ma in che cosa consisteva la legge al tempo di Paolo? E soprattutto, per lui, quale rapporto aveva questa legge con la natura, che nel mondo greco era ritenuta come la legge fondamentale a cui ogni essere umano deve ispirare la sua condotta morale? Paolo richiama l’attenzione sulla natura specialmente quando parla dei gentili che non sono stati ancora raggiunti dal vangelo (cfr. Rm 2,14-16 e il passo parallelo di 2,25-29). In questo contesto egli non sviluppa il tema di una «rivelazione naturale» disponibile a tutta l’umanità, ma piuttosto sottolinea l’esistenza di una pratica della legge anche da parte dei non evangelizzati. Di riflesso, però, egli suppone, da parte di tutti, la conoscenza dei principi fondamentali dell’agire umano, mettendola implicitamente in rapporto con la natura e con la ragione (cfr. Rm 1,18-32; 7,7-25). L’uso in questo contesto del termine natura ha aperto la porta a un universo di pensiero che aveva già suscitato grande interesse nella filosofia greca. Nella recezione del testo paolino questo termine è stato esplicitato e caricato di un significato molto più preciso, diventando lo strumento mediante il quale tutti gli uomini conoscono la volontà di Dio e si sentono a essa vincolati. Il pensiero della grande patristica è stato sintetizzato da Tommaso d’Aquino, secondo il quale la legge naturale coincide quanto a contenuto con la legge e il vangelo nella misura in cui questi esprimono i primi principi, cioè la regola d’oro, oppure i due precetti complementari dell’amore di Dio e del prossimo e i precetti morali (decalogo). Secondo lui, il compito della legge positiva divina consisterebbe semplicemente nell’offrire un aiuto ai singoli affinché non errino, a motivo della consuetudine di peccare, circa i principi generali e le soluzioni pratiche da essi ricavate. Il testo di Paolo dice però qualcosa di più. A proposito di quanti non sono stati ancora raggiunti dall’annunzio esplicito del vangelo ma praticano la legge, egli afferma che anche a loro Dio conferisce la salvezza escatologica. Purtroppo questo dato non è normalmente riconosciuto oggi dagli esegeti, che tendono a escludere nel testo ogni riferimento oggettivo alla salvezza dei non evangelizzati. Ciò è dovuto al fatto che questo testo si situa all’interno di una sezione in cui Paolo descrive la situazione di peccato in cui è venuta a trovarsi tutta l’umanità prima di Cristo (Rm 1,18 - 3,20). Ora, però, questa interpretazione riduttiva non è per nulla la più antica e neppure la più ovvia. Si rende quindi necessario rivisitare il testo alla luce di una comprensione più approfondita dello sfondo biblico-giudaico sul quale esso è stato composto. La presente monografia intende
dimostrare come per Paolo anche i non evangelizzati che praticano la legge della natura sono salvati, come i credenti in Cristo che partecipano alla vita della Chiesa. In questa ottica è possibile a tutti gli uomini di buona volontà affrontare insieme, su un piano di parità, i grandi problemi odierni, soprattutto quelli riguardanti l’origine e la fine della vita umana. Alessandro Sacchi, Paolo e i non credenti, Paoline Editoriale Libri, Milano 2008, pp. 392.