Paolo

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Paolo, memorie vive e archeologia di Egidio Picucci La grande fama ha logorato la fisionomia di Saulo di Tarso, come una gran luce stinge e incrosta un ritratto. Anche se i cristiani l'hanno considerato il primo dopo l'Unico, pure lui ebbe un cuore di carne, come confessa allorché si accusa della viltà dimostrata a Damasco, allorché «i suoi discepoli di notte lo presero e lo fecero discendere dalle mura, calandolo in una cesta». Fu la prima avventura capitatagli nell'arco dei trent'anni di predicazione (dieci dei quali passati in carcere) iniziata ad Antiochia, dove fu chiamato da Barnaba perché gli desse una mano nella catechesi ai discepoli che, proprio lì, «furono detti cristiani». Era nato a Tarso, dove del suo tempo resta un reperto chiamato popolarmente «pozzo di Paolo»,

che si trovava nel quartiere ebraico della città. Quelli trascorsi ad Antiochia furono giorni belli, solari, in una città che non ha mai conosciuto (e non conosce) lotte di religione. Ieri vi convivevano cittadini di origine greca, romana, orientale e giudaica; oggi ci vivono pacificamente musulmani sunniti e aleviti, ebrei, cattolici, protestanti e ortodossi, in così perfetta armonia che hanno fuso le voci nel Coro delle civiltà di Antiochia, voluto dal valigi (prefettura) della città e che ha ridestato nei turchi il gusto della musica popolare.

È vero che, dei tempi di Paolo, in città resta in piedi solo la Grotta di S. Pietro, ma è viva come quando vi si riuniva la primissima comunità guidata dagii apostoli; viva grazie ai riti di Pasqua e di Natale che ortodossi e cattolici vi celebrano insieme, e ai pellegrini che vi arrivano da ogni parte del mondo. Erede di quanti contribuirono alla pacifica simbiosi delle culture aramaico-ellenistica-romana, Antiochia non è, infatti, solo dei suoi abitanti, ma di tutti i cittadini del mondo.

A Efeso, che era la città più bella di tutto l'Oriente, c'è ancora il teatro in cui gli argentieri chiesero la testa dell'Apostolo che, annunciando il vero Dio, minacciava di detronizzare la dea che li aveva arricchiti (fabbricavano statue della dea Artemide), ma non vi è rimasto neppure l'eco dell'infuocata arringa sindacale di Demetrio che ve li aveva riuniti.

Muta e slabbrata pure la torre in cui fu imprigionato Paolo, nascosta fra le artemisie e le fragole selvatiche che ammorbidiscono il monte sovrastante l'agorà. Scomparsa anche la piazza in cui furono bruciati gli strumenti dei maghi, che san Luca calcola valessero 50 mila dramme d'argento. Muta perfino la scuola di Tiranno, dove Paolo insegnò per due anni nelle ore più calde del giorno, nonostante dal muro «parli» una delle sue più antiche immagini, scoperta qualche anno fa. Vuota e grigia, infine, la Via Arcadiana aperta sul mare e che Paolo, barba gonfia di vento e bianca di salsedine, dovette percorrere più volte insieme ai macedoni Gaio e Aristarco, trascinati nel teatro a posto suo.

Efeso, la parte alta della città: di qui entrò san Paolo nella sua seconda visita alla città

Nella stessa situazione si trova Konya (l'antidiluviana Iconio), dove Paolo è meno ricordato di Mevlana, il fondatore dei dervisci danzanti e talmente tranquillo che aborriva persino la parola pace perché richiama la guerra.

La Chiesa di San Paolo a Konya - Aziz Pavlus Konya'nın Kilisesi

Senza parlare, poi, di Derbe e di Listri, un tempo città d'un certo rispetto della Licaonia, e oggi vive solo nelle brame inappagate degli archeologi che vorrebbero identificare anche le pietre sotto le quali sarebbe morto se i soliti discepoli non l'avessero soccorso in tempo.

Affresco con il volto di Paolo nel parco di Göreme, in Cappadocia

È stato invece «dissepolto» il Paolo di Yalvaç (Antiochia di Pisidia), grazie al direttore del museo che ha riportato alla luce la prima basilica a lui dedicata (incantevole il mosaico del pavimento), costruita probabilmente sul luogo in cui improvvisò - nella forma, se non nella sostanza - un discorso su cui modellò quelli che in seguito rivolse agli Ebrei. Le sue parole piacquero tanto che «il sabato successivo - annota san Luca - tutta la città corse ad ascoltarlo».

Vedute dei resti dell'antica Antiochi aid Pisidia (o Psidiia) aYALVAÇ

Altre piccole località sono ricordate per alcuni particolari coloriti: Attalia perché lì Marco abbandonò, con il cugino Barnaba, Paolo, preferendo tornare a Gerusalemme; Perge perché aprì il porto ai due missionari, facilitando l'annuncio del Vangelo in Anatolia; Troade perché il giovane Eutico durante il discorso di Paolo si addormentò sul davanzale di una finestra e cadde, morendo sul colpo, ma fu subito risuscitato dall'Apostolo che dimenticò di prendere il mantello; Mileto perché gli anziani venuti da Efeso piansero come bambini puniti sulle banchine di uno dei quattro porti cancellati dal Büyük Menderes (il fiume Meandro), perché sapevano di non rivedere più il proprio maestro. Ricordare che "il minimo fra tutti i cristiani", com'egli si autodefinisce, è vissuto come uno dei tanti missionari di oggi, muovendosi tra città e villaggi (c'è chi gli ha contato i chilometri percorsi, 15 mila circa), vuol dire ridimensionare la difficoltà creata dall'altezza del suo ingegno. Sapere, poi, che le definizioni che ne hanno dato gli uomini sono spesso negative - un avvocato ebreo lo definì «una peste»; i filosofi ateniesi «una cornacchia» - ma che Cristo lo chiamò «vaso di elezione», conforta e incoraggia i cristiani di oggi, soprattutto quelli esposti alla persecuzione che dilaga contro di loro in varie parti del mondo. (Avvenire, 24 Dicembre 2008)

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