Rinascimento Slovacco

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RINASCIMENTO ARCHITETTONICO IN SLOVACCHIA ORIENTALE E SUOI ULTERIORI SVILUPPI (Per gli inizi della storia slovacca) NORMA URBANOVÁ Nell’attuale Slovacchia l’arte e l’ideale rinascimentale si fanno sentire per la prima volta già nella seconda metà del Quattrocento, penetrando da Buda, allora centro del potere regale. L’Accademia Istropolitana, la prima università sul nostro territorio, fu fondata nel 1465 sotto tale influenza, palesatasi più tardi anche nell’insegnamento delle scuole cittadine. Decisiva per l’affermarsi di quest’arte nuova in Slovacchia fu soprattutto la costruzione della reggia di Buda e della residenza regale estiva a Visegrád (Vyehrad), ambedue realizzate da artisti italiani. Gli architetti provenienti dall’allora Ungheria Superiore — tali mastri Johannes Brengyszein di Eperiesinum (Preov) e Stefano di Cassovia — , finiti i lavori, portarono con sé le nuove conoscenze sui modi, già rinascimentali, di lavorare la pietra, che avevano appreso dagli scalpellini italiani o dalmatici a Buda1. Scomparso Corvino, diversi tra loro entrarono a servizio delle gerarchie ecclesiastiche o scolpivano su richiesta delle importanti case nobiliari della Slovacchia orientale (l’Ungheria Superiore), i cui membri erano cortigiani del re. Non pochi di questi scalpellini comparvero così soprattutto nelle città minerarie medievali e in altre città fiorenti delle regioni storiche di Scepusio e di Saros. 1

Il mastro Johannes di Eperiesinum (di Preov), in qualità di magistrato e di sindaco negli anni 1486–1511, partecipe di varie trattative a Cassovia a Eger e a Buda, non poteva non accorgersi dei nuovi impulsi del primo Rinascimento italiano in queste città (essendo stato di professione costruttore). Le osservazioni sui viaggi si trovano nell’archivio provinciale di Stato (OKA) di Preov sotto il numero 598a (fond. mg. Preov) e in un libro contabile degli anni 1497–1513 conservato nello stesso archivio.

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Il primo risultato della collaborazione tra un architetto locale e scalpellini italiani è il palazzo municipale di Bartfa (Bardejov), costruito negli anni 1505–1509 — nel bel mezzo di questa interessante città. Le fondamenta e il pianterreno furono erette in stile ancora tardogotico dal mastro Alexander. Nel 1508 il maestro–scalpellino italiano Alexius, su ordinazione dell’amministrazione cittadina, scolpì le “finestre italiane”, allora in voga. Sotto questo nome si intendeva un’elaborazione completamente nuova degli stipiti, articolati anche internamente in maniera rinascimentale. Gli spazi interni furono corredati di portali e nella parte meridionale fu situato un balcone, rinascimentale anche questo, più una scala che portava al primo piano dov’erano gli uffici comunali. A terminare il palazzo municipale fu il costruttore Johannes Brengyszein di Eperiesinum, il quale nel 1509 riprese i lavori nello stesso stile tardogotico col quale erano stati iniziati2. Una tale simbiosi tra i due stili architettonici perdurò in Slovacchia fino agli anni ’30 del Cinquecento. Oltre al mastro Alexius nella regione sarosiense lavorava più o meno nello stesso periodo il mastro–scalpellino Vincenzo di Ragusa (Dubrovnik), autore anche lui di portali completamente rinascimentali nelle chiese di Brezovica, Raany e Sabinov, nonché dei lavori in pietra nella cattedrale vescovile di Roava (Rozsnyó) ordinati dall’arcivescovo di Strigonia Tommaso Bakócz e dal vescovo Szakmáry. Mentre Vincenzo di Ragusa negli anni 1513–1520 si trovava di passaggio in queste terre, il mastro Alexius o qualcuno dei suoi collaboratori a Bardejov si era probabilmente stabilito, perché lavori in pietra rinascimentali, con dettagli lavoratissimi e con la stessa morfologia presente nelle finestre e nei portali del palazzo municipale bartfense, si trovano anche nella cantina della città. Quest’ultima, costruita sullo scorcio del XV secolo, soltanto nella metà del XVI fu corredata di finestre con stipiti di eccezionale qualità, sui quali è scolpito 2

Per la pubblicazione dell’ordinazione delle “finestre italiane” da parte dell’amministrazione di Bartfa (Bardejov) cfr. V. Myskovszky, Bártfa középkori müemlékei. A városház és a város erödítményeinek mürégészeti leírása, Budapest 1880, p. 73. Vi si legge: «FECIMUS CONVENTIONEM CUM MAGISTRO ALEXIO HOC ANNO PRO FENESTRIS YTALICALIBUS IN ALTITUDINE TRIUM ULNARUM IN LATITUDINE DUARUM DEMPTIS UTROPOQUE MEDIIS INTER STITIIS VULGO PFOSTEN PRO HIS LABORIBUS SOLVIMUS».

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l’anno 15563. Anche alcune case borghesi sono abbellite con dettagli in pietra databili in questi anni. In seguito alla rotta di Mohács, quando l’Impero ottomano si estese tanto da incorporare le parti centrali dell’Ungheria, compresa la capitale Buda (1541) e la metropoli ecclesiastica Strigonia (1543), una parte della provincia transdanubiana e l’odierna Slovacchia diventarono, sotto Ferdinando I, parte integrante dell’Impero asburgico. Questa situazione non solo indebolì, ma addirittura impedì, contatti diretti con l’arte italiana e dalmato–adriatica. A ordinare opere d’arte degne di questo nome erano le città diventate protestanti (siamo agli inizi del protestantesimo in Slovacchia) e perciò troppo lontane dal fermento rinascimentale del mondo italiano e latino. Se coltivavano rapporti con l’estero, era piuttosto con gli umanisti tedeschi. Nonostante un simile clima sociale, invece che di cessazione dei contatti con l’Italia sarebbe meglio parlare di contatti mediati. Il Principe Sigismondo, educato a Buda alla corte di Ladislao II Jagellone, trasferì in Polonia i modelli di cultura italianizzati della reggia di Buda. Il principe sposò più tardi la Bona Sforza, e così la sua reggia di Cracovia diventò centro di erudizione rinascimentale. Cracovia in quei tempi ebbe contatti molto stretti con le regioni della Slovacchia orientale, essendo questa attraversata dalle vie commerciali che portavano dal Baltico in Transilvania. Effetti positivi di simili contatti si avvertirono soprattutto nelle regioni scepusiense e sarosiense, nelle quali, nella seconda metà del Cinquecento, comparvero numerosi esempi di architettura rinascimentale riconoscibile dai bellissimi attici  frontoni ornati con la tecnica del graffito. Questi frammenti meritarono alla detta cultura architettonica il nome di “Rinascimento della Slovacchia Orientale”. Notevole esempio ne sono le case borghesi a Preov (Eperiesinum), capoluogo di ari (Saros). Con l’infiltrazione dei turchi nel bacino danubiano iniziarono gli assalti alle regioni limitrofe settentrionali soprattutto nella campagna slovacca (tra l’altro la popolazione era trascinata nell’entroterra turco e ivi asservita). In conseguenza di ciò si verificarono grandi sposta3 Le finestre si sono conservate nella parte posteriore di una casa borghese ridotta in cantina comunale negli anni 1488–1489. L’applicazione delle finestre è però posteriore a questa data.

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menti della popolazione dell’Ungheria settentrionale, ormai Slovacchia. La ricca nobiltà (soprattutto magiara meridionale, serba e croata) arrivava in questi luoghi acquistando vasti poderi. La minaccia turca dopo la presa di Buda e di Strigonia indusse soprattutto in Slovacchia meridionale alla rapida fortificazione delle città e dei castelli, modernizzando le mura esistenti o costruendone di nuove. Già nel 1531 l’imperatore scrive al suo ambasciatore a Venezia chiedendogli di ingaggiare per queste opere dei famosi costruttori italiani. I primi tra questi, di provenienza soprattutto lombarda e di mestiere militari, compaiono già nel 1533 a Vienna. Poco dopo già li vediamo lavorare nelle zone minacciate della Slovacchia: sotto la direzione dell’architetto imperiale Pietro Ferrabosco ricostruirono il castello di Bratislava (Presburgo). Gli architetti italiani riedificarono le mura della città di Levice/Léva, di Komárno/Komárom (Decius), Trenín (Nicola Bussi nel 1558), Zvolen (Sigismondo da Pratoveteri, 1553), di tre tra le più importanti città minerarie della Slovacchia centrale, cioè Banská Bystrica (Neosolium), Banská tiavnica (Schemnitz) e Kremnica (Giulio Ferrari, 1578–1590; Giovanni Mario Speciacasa, 1548, 1553). Insieme a loro arrivarono anche muratori, scalpellini e altri artigiani i quali spesso, una volta sposatisi e diventati membri delle arti locali, rimanevano in Slovacchia. La parte settentrionale della Slovacchia orientale, risparmiata dalla minaccia immediata, attraeva soprattutto la nobiltà, la quale nelle città opulenti di Spi spesso comprava 2–3 case medievali adiacenti trasformandole in seguito in palazzi a mo’ di quelli patrizi italiani: il cortile chiuso, rappresentativo non meno della facciata, con decorazioni a graffito, con una profonda loggia e terrazzini con ringhiere di ferro battuto o con balaustre che non di rado dimostrano il gusto dell’arte e della fantasia degli scalpellini italiani. Molti di questi palazzi si sono conservati soprattutto a Levoa (Leutschovia) e a Preov, considerato il centro del già ricordato “Rinascimento della Slovacchia Orientale”. Nella seconda metà del Cinquecento, sull’esempio dei castelli italiani, nasce in Slovacchia un nuovo tipo di casa signorile campagnola, il katiel’. Così come il termine, anche la disposizione del katiel’ è derivata dal modello italiano: un cortile chiuso ad arcate e quattro torri angolari (ciò in caso di necessità rendeva possibile la difesa). D’altra parte, rari sono ancora nel secondo Cinquecento i costrutto-

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ri italiani di architettura sacra. Si possono considerare eccezione i fratelli Ludovico e Bernardo Pello di Lugano4, i quali, conformemente all’accordo stretto nel 1564 con l’amministrazione municipale di Bartfa (Bardejov), ricostruirono in stile rinascimentale la facciata delle cappelle della chiesa medievale di Sant’Egidio, erigendovi gli attici. La ricostruzione, purtroppo, dopo il terremoto nel XVIII e dopo un grande incendio nel XIX secolo non si è conservata. L’emigrazione italiana non era rappresentata solo da costruttori e scalpellini. Insieme a essi arrivano i commercianti. Come testimoniano gli atti notarili, i nuovi arrivati si stanziarono anche in altre città della Slovacchia orientale. Così a Cassovia (Koice), che era il centro amministrativo dell’Ungheria Superiore, nell’agosto 1580 troviamo iscritto nel numero dei cittadini Bartholomaeus Muzzanus, muratore di Udine, nel dicembre 1603 Francesco Thomazi, già cittadino veneziano, nel maggio 1609 Georgius Pitrilla, discendente degli scalpellini italiani di Spiské Vlachy (per la storia della fondazione della colonia medievale italiana di Spi Vlachy si veda il precedente numero di questo almanacco). Nel 1618 ebbe la cittadinanza cassoviana un certo Joannes Tassi, senza dubbio di origine italiana, nel dicembre 1625 Cornelius Gatti, farmacista5. L’affluenza dei commercianti nel XVII secolo, tanto dai paesi confinanti quanto da quelli occidentali, si spiega con la possibilità di arricchirsi facilmente in questa regione relativamente calma che riforniva il Nord europeo del famoso tokai, coltivato ancor oggi nel Sud della Slovacchia orientale, in una zona che porta lo stesso nome. Per potersi naturalizzare, il nuovo arrivato doveva provare la propria identità, dimostrare di essere incensurato e comprare una casa in città. Per fornire queste prove necessitava di due testimoni, cosicché accanto al nuovo iscritto troviamo i nomi dei suoi compatrioti. Nell’ultimo quarto del secolo, in seguito alla soppressione della nobiltà protestante insorta, cui seguì l’inizio della ricattolicizzazione, vediamo arrivare a Preov dei ricchi commercianti italiani — Petrus Frigeri e Petrus Juliani —, probabilmente in compagnia di altri italiani al 4 Dell’accordo di lavoro concluso coi fratelli Pello s’è conservato l’originale nel Libro di contabilità della città di Bardejov, anni 1552–1578, oggi depositato in OKA Bardejov, fond. mg. 5 AMK (Archivio della Città di Koice), Neo Concivium ab Anno 1580 ad 1667, H III/2 civ.

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servizio dell’imperatore, esecutori delle sue disposizioni6. Il numero degli artigiani italiani stanziatisi a Cassovia riprese a crescere soltanto nella seconda metà del XVIII secolo. Pare che l’una dopo l’altra arrivassero intere famiglie, almeno a giudicare dal numero dei nuovi cittadini cassoviani registrati nel 1750 (Johannes Antonius Novelli, Laurentius Fidicini, Franciscus Xaverini) e nel 1754 (Johannes Novelli e Joannes Adriani). I registri tacciono sulla loro professione. Conosciuta è soltanto quella di Antonius Ferrarius di Lugano, scalpellino, diventato cassoviano nel 1770. Anche se ne mancano le prove, è indubbia la sua partecipazione all’abbellimento di diversi palazzi in città, specie se, come risulta dai documenti, fu lui l’autore delle sculture che adornano la porta occidentale della città, costruita sotto la sua direzione negli anni 1783–85 in occasione della visita dell’imperatore Giuseppe II7. Antonius Ferrarius è però conosciuto anche per aver collaborato col mastro Joannes Anton Krauss alle decorazioni di pietra del palazzo municipale di Cassovia. Krauss a sua volta aveva collaborato col pittore barocco Joannes Lucas Kracker alla costruzione di quell’unico insieme che è il convento premostratense di Jasov. Negli anni 1779– 1780, seguendo i disegni di Krauss, Ferrarius scolpì i bassorilievi che oggi decorano la facciata del municipio barocco di Koice8. A cavallo dei secoli XVIII e XIX nuovi immigranti arrivano a Cassovia da Milano. Il mastro stagnaio Petrus Kruvelli ottenne la cittadinanza a due anni dal suo arrivo, nel 1792. Nel 1804 si naturalizzò a Cassovia un altro stagnaio milanese, Marcus Maulini, che ebbe per testimone il signor Stephano Agnelli. Il direttore dell’appena fondata fabbrica di porcellana Osvaldo Pierotti di Venezia era iscritto nel numero dei cassoviani nel 1805. Il suo nome ricomparve negli stessi atti notarili dopo 6

Cfr. il «Libro di tasse degli anni 1663–1714», oggi conservato nell’Archivio Provinciale di Stato (OKA) di Preov, fond. mg. di Preov. Ne risulta che Petrus Frigelli possedeva due case nella piazza nel I rione (nn. 101b, 111) e ugualmente Petrus Juliani, le case del quale erano nella piazza nel III rione (nn. 76 e 78). Ambedue erano grossisti. 7 Cfr. il registro cittadino del 12 marzo 1784 e il registro dell’anno 1785 conservato nell’Archivio della Città di Koice (AMK). Antonio Ferrari di Lugano è registrato anche nel sommario di tasse degli anni 1780–1789, come proprietario di una casa in via Albetina, n. 33 (già via Forgách). Morì a Cassovia il 12 febbraio 1810. 8 La maggior parte della letteratura sull’argomento afferma, basandosi sui tratti caratteristici del suo stile, la sua partecipazione alla decorazione del municipio. Vedi V. Luxová, Jasov e l’opera di J. A. Krauss, in Raccolta di saggi sulla storia delle arti figurative in Slovacchia, Bratislava 1965.

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due anni insieme a quello dello stagnaio Kruvelli, ambedue testimoni di un altro nuovo arrivato, Carlo Balamanno di Cisacio (?), diventato a sua volta, nel 1810, testimone dello stagnaio Yosephus Bizelli di Cusania in Italia. L’ultimo tra gli italiani arrivati nella prima metà del XIX secolo di Rovoredo, iscritto il 26 settembre 1811, fu Joannes Gralderoni9. Gli artigiani e imprenditori italiani vissuti a Cassovia erano inseriti in un ambiente plurinazionale, dove, insieme a slovacchi, tedeschi, magiari, austriaci, svizzeri, vivevano gli emigrati dalla Polonia, Boemia, Moravia, e dove ognuno portò un po’ della cultura della propria madrepatria. Non dissimile era la situazione nelle altre città dell’odierna Slovacchia, soprattutto in quelle minerarie della Slovacchia centrale e a Presburgo, dove era possibile non soltanto avere ordinazioni abbastanza importanti dai cittadini agiati, ma anche lavori lucrosi per la Corte. Quest’ultima non di rado sosteneva con donazioni la costruzione o ricostruzione particolarmente di architetture sacre. In tali occasioni spesso compaiono architetti o stuccatori italiani, che arrivavano insieme alle loro famiglie10. A Cassovia, nuovamente, si vedono mastri scalpellini e scultori che prendono parte ai vasti lavori di restauro del duomo di S. Elisabetta: per dieci anni, dal 1880 al 1890, vi lavorò lo scultore Anselmo Andreetti, dal 1890 al 1896 lo scultore e restauratore Pietro Argenti. I fatti riprodotti nel presente articolo non sono però che la minima parte di quello che o è già conosciuto o richiede ulteriori approfondimenti. Sono tanti i destini degli italiani, soprattutto degli artisti, che attendono soltanto di essere studiati e conosciuti.

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Archivio della Città di Koice (AMK), Protocollum Neu–civium, 1781–1926. I gesuiti di Tyrnavia (Trnava) impiegarono per esempio Giovanni Pietro Giorgioli, originario dell’Italia settentrionale, il quale dipinse il soffitto della biblioteca del collegio gesuitico. 10

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