Liceo Teorico Jean-Louis Calderon - Attestato di Lingua Italiana -
Timisoara 2008
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INDICE
* Introduzione * Capitolo 1 ~ Il Rinascimento 1.1. Generalità 1.2. Famiglia di Mèdici * Capitolo 2 ~ Donatello 2.1. Formazione 2.2. Grandi commissioni nella Firenze medicea (1428-1443) 2.3. A Padova (1443-1453) 2.4. Gli ultimi anni 2.5. Galleria * Capitolo 3 ~ Sandro Boticelli 3.1. Gli esordi 3.2. Gli affreschi della Cappella Sistina 3.3. La Primavera 3.4. Nascita di Venere 3.5. Pallade e il Centauro 3.6. Venere e Marte 3.7. La Madonna del Magnificat 3.8. Una crisi irreversibile 3.9. Galleria * Capitolo 4 ~ Sebastiano del Piombo( Sebastiano Luciani ) 4.1. A Venezia 4.2. A Roma 4.3. L'amicizia di Michelangelo 4.4. Gli ultimi anni 4.5. Galleria * Conclusione * Bibliografia
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INTRODUZIONE
Ho scelto di presentare un attestato sull’arte perché oggì sono pochi uomini che vanon a visitare un museo o leggono un libro d’arte e qusto e un dominio molto interessante e tutti dovrebbero sapere qualcosa dei meravigliosi dipinti, delle belle cattedrali o dei monumenti architetturali che rendono le cittá piú belle. Un periodo molto importante che ha contribuito allo sviluppo dell’arte e in Rinascimento che fu iniziato in Italia, precisamente a Firenze a partire dai primi anni del Quattrocento e da qui si diffonde nel resto d'Italia e poi in Europa convenzionalmente fino ai primi decenni del XVI secolo. Caratteristica peculiare del Rinascimento fu l'interesse per tutte le manifestazioni culturali del mondo antico, gli artisti rinascimentali si sentivano legati alla civiltà classica e consideravano il medioevo un'età di decadenza. L'arte rivolse il proprio sguardo al mondo classico non semplicemente per imitarlo, ma partendo da esso per creare qualcosa di nuovo. Molti artisti si recavano a Roma per studiare le opere classiche, mentre Firenze fu un centro molto fiorente grazie alla presenza di molte famiglie che commissionavano opere d'arte, in particolare la famiglia Medici. Partendo dal presupposti che l'arte classica è un'arte naturalistica, lo scopo dell'arte era imitare la natura, perciò, in questo periodo, si intensificano gli studi sulla natura. Da questi studi ne consegue un diverso modo di indagare la realtà che circondava gli artisti, ne sono il frutto la scoperta della prospettiva e dei colori sfumati, la ricerca di proporzioni perfette, lo studio approfondito della figura umana, applicato anche come regola di bellezza e perfezione, la concezione dell’individuo come misura e centro dell’universo. Pittori, scultori e architetti si avvalsero per la prima volta di ricerche di anatomia, ottica, matematica e geometria, trasponendone i risultati nella loro arte. Loro, come i navigatori e gli esploratori loro contemporanei, furono mossi da spirito d’avventura e desiderio di conoscenza. Donatello esercitò una grande influenza sui contemporanei per la carica espressiva delle sue sculture, inedita a quel tempo, e per i modelli e canoni stilistici attinti all’arte antica, che egli studiò approfonditamente recandosi in prima persona a Roma. La celebre statua bronzea del David (1430-1435 ca., Museo del Bargello, Firenze) fu la prima, dopo l’epoca classica, realizzata a grandezza quasi naturale e a tutto tondo. Le sue statue (in marmo, legno, terracotta) e i suoi bassorilievi, nei quali aveva introdotto l’uso della prospettiva, divennero punto di riferimento fondamentale per la scultura di tutto il Quattrocento e di buona parte del secolo successivo. Sandro Boticelli fu autore di dipinti ricchi di riferimenti mitologici e allegorici, come ad esempio la celebre Nascita di Venere (realizzata dopo il 1482 e conservata agli Uffizi di Firenze). Le sue scelte iconografiche evocano “il ritorno degli antichi dei”,ma un giorno cambia suo stile e all'abbandono dei soggetti mitologici corrisponde 3
un'indurimento delle forme, l'uso di un cromatismo più cupo, una mimica dei personaggi più patetica e un maggiore dinamismo nelle composizioni, anche se il carattere astratto delle sua produzione precedente è ancora presente. Sebastano del Piombo ci ha lasciato ottanta opere: ritratti a grandezza naturale, piccoli dipinti su lavagna, disegni preparatori e opere di confronto a testimonianza di un percorso che si presenta al pubblico come un vero e proprio viaggio iniziatico: dal calore cromatico degli inizi, all’astrazione geometrica e ai toni cupi dell’ultima parte della sua carriera. La monografica su Sebastiano Dal Piombo nasce da un progetto internazionale che ha coinvolto i maggiori esperti mondiali del Rinascimento. Il Comitato Scientifico include persone importante che l’hanno aiutato a fare posibile questo progetto : Miguel Falomir del Prado, Mauro Lucco dell’Università di Bologna e altri. Alla luce della rivalutazione avvenuta nel corso dei secoli, l’obiettivo è rendere merito ad uno dei più grandi artisti del ‘500 europeo, ancora poco noto al grande pubblico.
1. IL RINASCIMENTO
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1. 1. Generalitá
Il Rinascimento è un periodo artistico e culturale della storia dell’Europa, che si sviluppò tra la fine del Medioevo e l'inizio dell'età moderna. In quel periodo si instaurò un nuovo ideale di vita e il rifiorire degli studi umanistici e delle Belle Arti. Il rinnovamento culturale e scientifico iniziò negli ultimi decenni XIV secolo e nei primi del XV secolo in Italia, dove uno dei centri principali fu Firenze, per poi diffondersi nel resto d'Italia (soprattutto a Venezia e Roma), e, nel corso del XVI secolo, in tutta Europa. Nella scienza, teologia, letteratura nell'arte, il Rinascimento iniziò con la riscoperta di classici latini, conservati nei monasteri e nelle biblioteche degli eruditi, e di quelli greci diffusi nell'Impero Bizantino. Il termine "Rinascita" viene coniato da Giorgio Vasari nel suo tratto "Vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi nostri" per indicare un ciclo, da lui individuato, che partendo da Giotto e affermandosi con Masaccio, Donatello e Brunelleschi si libera dalle forme greco-bizantine per tornare a quelle latine, culminando nella figura di Michelangelo, capace di superare gli antichi stessi. Il Rinascimento ha alla base una nuova visione dell'uomo non più legato solo alla divinità, ma visto come essere del tutto naturale, che spazia liberamente e senza pregiudizi sull'ambiente umano in cui vive ed agisce. La natura, campo d'azione privilegiato dell'uomo, non è più corrotta dal peccato: si può quindi ben operare nel mondo e trasformarlo con la propria volontà. Tale natura, pur se libera da considerazioni religiose troppo anguste, libera dal peccato, spesso viene vissuta con un senso di tristezza e di rimpianto che contrasta con quello, squisitamente naturalistico, del mondo classico. La vita concepita solo naturalisticamente porta con sé lo spettro della fine del piacere della vita. La morte appare ora come fine naturale di una vita tutta naturale. Questo senso della morte così inteso lo ritroviamo nelle raffigurazioni pittoriche delle danze macabre. Qui vengono rappresentate tutte le classi sociali in ordine gerarchico e ciascuno dei ballerini dà la mano a uno scheletro e tutti insieme intrecciano una danza. Questo non vuol dire semplicemente che la morte eguaglia tutti gli uomini senza tener conto della loro condizione sociale, ma vuole far intendere soprattutto che la vita è sullo stesso piano della morte. Ogni uomo del Rinascimento tenderà a fare della sua vita un capolavoro, un pezzo unico, dalle proporzioni gigantesche come farà Michelangelo nella scultura e pittura , il Principe di Machiavelli nella politica, Leonardo con il suo genio incompiuto.
1.2. La Famigia di Mèdici
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A Firenze, all’inizio del 15esimo secolo un padre e figlio uniscono una straordinaria ricchezza con la riscoperta della sapienza. Nasce una rivoluzione intellettuale e creativa: il Rinascimento. Nella vivace città commerciale di Firenze si costruiscono meraviglie architettoniche lungo il fiume Arno. Statue di marmo emergono di nuovo e l’arte e la scienza fiorisce. Questa è la fonte della rinascita – il Rinascimento umanista, uno dei periodi più creativi della storia. Al centro di questa rivoluzione vi è una sola famiglia: gli incomparabili Medici. Dalle loro origini di un vasto impero bancario, i Medici divennero la dinastia più potente d’Europa. Fu una famiglia ben capace all’uso delle buone maniere e patronaggio, e della destrezza, duplicità e crudeltà pur di ammassare ricchezze inestimabili e potere senza precedenti. Per oltre 300 anni furono Papi, Duchi, Regine e Cardinali - principi di altissimo livello culturale, politici di grande capacità, libertini di massima decadenza e tiranni di estrema crudeltà. I Medici hanno ispirato alcuni dei momenti più significativi della nascita dell’Europa moderna. Contro un retroscena Rinascimentale della Riformazione, della rivoluzione politica e dell’illuminazione scientifica, le fortune di questa famiglia aumentavano e diminuivano. Burattini e burattinai, causa e conseguenza. La storia dei Medici è nello stesso tempo il racconto delle persone da loro ispirate. Brunelleschi, Ghiberti, Michelangelo e Leonardo, Botticelli e Raffaello, Macchiavelli e Lutero, Copernico e Galileo. Gli artisti, scienziati e grandi pensatori i quali hanno trasformato un intera storia culturale. Ma questa esplosione di genio creativo e di sapienza trascinò nella sua scia grossi problemi – attentati, fondamentalismo religioso, la Riformazione Protestante e la brutalità della Controriformazione Cattolica. Incapaci di stare a passo con le conseguenze di quello che avevano scatenato, gli ultimi Medici furono eclissati dalla storia e di conseguenza finì la dinastia. La storia dei Medici è un filmato per televisione di proporzioni epici. Brutali rivalità di famiglia si intrecciano con momenti chiavi della storia europea. Il tutto si svolge nelle corti, cattedrali e nei palazzi dell’Europa rinascimentale. E’ una storia assetata di sangue ed ambizione, di trionfo, assassinio e rivendicazione. Ma è anche un racconto d’ispirazione, successo e rivoluzione culturale, della ricerca da parte dell’uomo della bellezza, perfezione, libertà e della ricerca intellettuale. Attraverso gli occhi dei Medici - i Padrini del Rinascimento - scopriamo la storia dell’inizio dell’epoca moderna.
2. DONATELLO
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2. 1. Formazione (1386-1428)
Donato di Niccolò di Betto Bardi è stato uno scultore italiano famoso che ha lavorato a Firenze, Prato, Siena e Padova ricorrendo a varie tecniche (tutto tondo, bassorilievo, stiacciato), con varie materie (marmo, bronzo, legno). Si staccò definitivamente dal gotico riallacciandosi e superando l'arte greca e romana sia formalmente sia stilisticamente; particolare fu la sua capacità di infondere umanità e introspezione alle opere. Nacque a Firenze nel 1386, figlio di Niccolò di Betto Bardi, cardatore di lana. La sua era una famiglia modesta: il padre, irrequieto, condusse una vita tumultuosa avendo partecipato prima alla rivolta dei Ciompi del 1378, poi ad altre azioni contro Firenze che lo portarono ad essere condannato a morte e poi perdonato con il condono della pena; un carattere molto diverso da quel suo figliolo così minuto, signorile, elegante e delicato tanto da essere vezzeggiato con il nome di Donatello, che, secondo il Vasari, venne educato nella casa di Roberto Martelli. Dal 1402 al 1404 fu a Roma assieme al Brunelleschi, a studiare l'"antico". Dal 1408 lavorò per l'Opera del Duomo di Firenze, per cui realizzò, nello stesso anno, il David marmoreo per uno dei contrafforti esterni: il volto inespressivo, con corona di amaranto (simbolo profano, qui usato da Donatello su un patriarca biblico) e le membra allungate sono di origine tardo gotica ma la posa di contrapposto, con il punto di appoggio su una sola gamba, a cui corrisponde un'opposta torsione del busto, e le mani, realisticamente atteggiate, indicano un attento studio dal vero dell'anatomia umana. Nel 1416 venne trasportato a Palazzo Vecchio e assunto come emblema della città (ora è conservato al Bargello). Nel 1417 completò il San Giorgio commissionata dall'Arte dei Corazzai. La scelta iconografica dipese dal fatto che i committenti volessero una figura in cui fossero presenti le armi e la corazza. La figura, leggermente ruotata intorno all'asse centrale, che fa perno sulle gambe a compasso, è costruita su tre ovali sovrapposti: il volto con le sopracciglia aggrottate, il busto e lo scudo, lo scatto della testa in direzione opposto al corpo serve all'artista ad animare maggiormente la statua. Il bassorilievo in pietra della base, forse di due anni posteriore, venne scolpito con la tecnica dello stiacciato; è uno dei primi esempi di prospettiva centrale a punto unico di fuga, con le orizzontali che convergono verso il gruppo centrale con la rappresentazione di san Giorgio che lotta con il drago con a destra la grotta e la principessa, desunta dai sarcofagi romani, e a sinistra il porticato costruito in prospettiva; se le linee del mantello, l'armatura preziosa del santo e il profilo delle ali aperte del drago, che tendono a focalizzare lo sguardo dello spettatore, sono particolari di gusto tardo-gotico, nuova è la concezione dello spazio, che sembra espandersi oltre la cornice del bassorilievo, pur tuttavia perfettamente definito da sicuri punti di riferimento, nuova è anche la funzione della luce che sbalza il punto focale dell'azione.
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Tra il 1415 e il 1426 scolpì cinque statue per il campanile del duomo: il Profeta imberbe, il Profeta barbuto (entrambi del 1415), il Sacrificio di Isacco (1421), il Profeta Abacuc (detto per il cranio calvo lo "Zuccone", 1423-1425) e il Profeta Geremia (detto "Francesco Soderini", 1423-1426). Donatello caratterizzò i profeti del campanile secondo il modello classico dell'oratore. In queste statue, veri ritratti non idealizzati con i lineamenti contratti e disarmonici, l'imponenza e la dignità sono date dai gesti pacati e dal forte effetto chiaroscurale dei mantelli. Nel 1425 circa realizzò il Crocifisso ligneo di Santa Croce a Firenze. In questo il Cristo era colto nel momento dell'agonia: occhi semiaperti, bocca dischiusa, corpo sgraziato. Nel 1427 fu a Pisa dove con eseguì i pannelli marmorei del monumento funebre per il cardinale Rainaldo Brancacci della chiesa di Sant'Angelo a Nilo a Napoli. Per il fonte battesimale del Battistero di Siena, tra il 1425 e il 1427, fornì il rilievo con il Banchetto di Erode e le statue della Fede e della Speranza. Il rilievo era costruito con la tecnica dello stiacciato eccetto le figure del proscenio, fuse a bassorilievo, in modo da creare un più forte stacco rispetto ai piani arretrati, la scena venne costruita su una serie di arcate a cannocchiale, in primo piano il moto di orrore che si propaga tra gli astanti alla vista della testa recisa del Battista, presentata a Erode, le arcate aperte servono ad introdurre ad altri ambienti che, a loro volta, si aprono su altri ambienti ancora più arretrati, allo stesso modo non serrando ai lati la scena e coprendo dai bordi del rilievo alcuni personaggi del proscenio fa in modo che il tutto sembra espandersi indefinitamente ai lati e verso il fondo, aggiungendo un tipo di spazio diverso da quello rinascimentale, finito e misurabile, che qui è presente grazie al pavimento regolare, uno spazio indefinito, tipico della pittura fiamminga.
2. 2. Grandi commissioni nella Firenze medicea (1428-1443)
Del 1430 circa è il David bronzeo del Bargello. Questa opera fu realizzata per il cortile di palazzo Medici su commissione di Cosimo de' Medici, e rappresentava rappresentare sia l'eroe biblico simbolo delle virtù civiche, sia il dio Mercurio che contempla la testa recisa di Argo. Donatello qui diede un'interpretazione intellettualistica e raffinata della figura umana, il fregio con putti dell'elmo di Golia deriva forse da un cammeo delle raccolte medicee. La statua del David fu progettata per poter essere vista da più punti; si ispira all'arte ellenistica: corpo nudo (per la prima volta raffigurato a tutto tondo dopo l'età classica), con sbandamento dell'asse, daga come terzo appoggio, piede sulla testa di Golia; volto molto pensoso, corpo morbido e vivace, come ritratto dal vivo; allegoricamente rappresenta la ragione che trionfa sulla forza bruta e sull'irrazionalità
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Tra il 1421 e il 1428 lavorò nella Sagrestia Vecchia in San Lorenzo realizzando le porte bronzee con rilievi raffiguranti Profeti e Padri della Chiesa, Santi e Martiri, le quali sono sormontate rispettivamente da lunettoni con i santi Cosma e Damiano, patroni dei Medici e i santi-protomartiri Stefano e Lorenzo, infine otto tondi in stucco a rilevo policromo sotto la cupola, quattro con scene della Vita di san Giovanni: san Giovanni evangelista immerso nell'olio bollente, san Giovanni evangelista a Patmos, san Giovanni evangelista resuscita Drusiana, morte e ascensione di san Giovanni evangelista e altri quattro con gli Evangelisti: Giovanni, Matteo, Luca e Marco. Nel 1438 realizzò la statua lignea di San Giovanni Battista per la chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia.
2. 3. A Padova (1443-1453)
Nel 1443 fu a Padova chiamato dagli eredi del capitano di ventura Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, morto nel 1443, per realizzare il monumento equestre del condottiero, morto in quell'anno, nella piazza antistante la Basilica del Santo, in bronzo e completato nel 1450; l'opera, prima di essere iniziata necessitò di un beneplacito concesso dal Senato veneto, poiché l'opera venne concepita come un cenotafio, cioè un monumento funebre per qualcuno sepolto altrove, volto a celebrare la fama del morto. Per la Basilica del Santo realizzò la recinzione del coro e un Crocifisso bronzeo. Tra il 1446 e il 1450 realizzò l'altare maggiore della Basilica del Santo con sette statue a tuttotondo: Madonna col Bambino, i santi Francesco, Antonio, Giustina, Daniele, Ludovico e Posdocimo, e quattro rilievi con Episodi della vita di sant'Antonio. Nel rilievo con la Presentazione dell'ostia alla mula, lo spazio venne spartito da tre archi in scorcio non proporzionati con le dimensioni dei gruppi delle figure, in modo da sottolineare la solennità del momento. Nel rilievo con la Guarigione del giovane posseduto dall'ira, la scena è inserita davanti a un grandioso proscenio paesisticoarchitettonico. Gli altri due rilievi sono la Guarigione del cuore dell'avaro e il Miracolo del figlio pentito. Nella Deposizione in pietra, sempre per l'altare del Santo, rielaborò il modello antico della morte di Meleagro; lo spazio viene annullato della composizione rimangono solo il sarcofago e le figure in modo da accentuare la drammaticità dell'episodio, anche grazie alla mimica facciale e alla gestualità esasperate, che stravolgono i personaggi rendendoli singolarmente irriconoscibili, tanto da creare uno schermo unitario di figure dolenti sconvolte nei lineamenti che riduce i volti a maschere di dolore e costruisce i corpi e le vesti con angoli acuti.
2. 4. Ultimi anni (1453-1466)
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Tra il 1453 e il 1455 realizzò la Maddalena lignea del Museo dell'Opera del Duomo, in cui la bellezza fisica è negata, privilegiando i valori espressionistici; il corpo scheletrico è reso informe dalla massa di capelli; traspare dal volto inciso la fatica, il dolore, l'animo stanco. Soprattutto in età avanzata, egli lasciò ogni modello precostituito per rappresentare i sentimenti più profondi dell'animo umano. Del 1455-1460 circa è il gruppo con Giuditta e Oloferne. Il gruppo bronzeo rappresenta Giuditta velata, che dopo aver fatto ubriacare Oloferne, si appresta a decapitarlo, nel basamento vi sono tre bassorilievi con putti vendemmianti e scene di ebbrezza. Forse il gruppo statuario era impiegato come fonte da vino: infatti agli angoli del cuscino si trovano quattro fori. La statua, iniziata per la Cattedrale di Siena, venne posta nel giardino del palazzo Medici in via Larga, infine sistemata a palazzo Vecchio, dopo il sacco del palazzo in seguito alla seconda cacciata dei Medici. Forse venne realizzato su commissione di Piero de' Medici detto il Gottoso, in memoria di Cosimo il Vecchio. L'opera è firmata OPUS DONATELLI FLO sul cuscino, ruotato rispetto al basamento in modo che i loro angoli non coincidono, creando un effetto di movimento. La struttura dell'opera è piramidale, con al vertice il volto della ieratica Giuditta e la lama della spada retta dal braccio destro dell'eroina piegato a novanta gradi, altro punto focale del gruppo è la testa di Oloferne in cui convergono le diagonali del gruppo. L'opera è attraversata da diversi valori simbolici: come simbolo religioso (la continenza che abbatte la lussuria), come celebrazione della potenza dei Medicea e infine come emblema comunale (la repubblica che abbatte i tiranni). Visse a Siena fino al 1461, dove realizzò il San Giovanni Battista per il Duomo e i modelli (perduti) per le non eseguite porte. Ultima commessa fiorentina furono i due pulpiti bronzei per la chiesa di San Lorenzo, opera realizzata con la partecipazione di aiuti (Bartolomeo Bellano e Bertoldo di Giovanni), ma da lui progettata in tutte le sue parti. In quest'opera si accentuata la carica religiosa che spinge le figure verso un'estrema drammaticità, realizzata attraverso la tecnica del non-finito, in cui alcune parti delle figure sono appena sbozzate. Nel cosiddetto Pulpito della Resurrezione, con episodi della vita di Cristo e santi, tra un fregio rilievo con motivi decorativi vegetali e eroti vi sono cinque formelle a rilievo: quella col Martirio di san Lorenzo , di mano di Donatello e situato al centro, è costruita con un punto di vista ribassato, per drammatizzare maggiormente l'evento; mentre le restanti scene, a cui collaborarono sia il Bellano che Bertoldo di Giovanni sono: Pie donne al sepolcro, Discesa di Cristo al Limbo, Resurrezione di Cristo e Ascensione di Cristo. Il Pulpito della Passione, con episodi della passione di Cristo entro un fregio a rilievo con motivi decorativi, presenta le scene della Crocifissione, realizzato in collaborazione col Bellano, la scena della Deposizione dalla croce, sicuramente autografa, dove la Maria dolente è un richiamo alle pleurant francesi, la Deposizione di Cristo nel sepolcro, eseguita da Bertoldo di Giovanni su progetto di Donatello, l' Orazione di Cristo nell'orto eseguita da Bartolomeo Bellano su progetto di Donatello e il rilievo con Cristo davanti a Pilato e Cristo davanti a Caifa, aiutato qui da Bartolomeo Bellano. 10
Morì a Firenze nel 1466. Venne sepolto nei sotterranei della basilica di San Lorenzo, vicino a Cosimo il Vecchio, nella singolare e prestigiosa collocazione al di sotto dell'altare.
2. 5. GALLERIA
Madonna col Bambino
Marzocco
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Madonna Pazzi
Crocifisso
Banchetto di Erode
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San Giovanni Evangelista
David bronzeo
Maria Magdalena
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3. SANDRO BOTTICELLI 3.1. Gli esordi
Sandro Botticelli nacque in Borgo Ognissanti, ultimo di quattro figli maschi e crebbe in una famiglia modesta ma non povera, mantenuta dal padre, Mariano Filipepi, che faceva il conciatore di pelli ed aveva una sua bottega nel vicino quartiere di Santo Spirito. Il fratello Antonio era un orefice di professione, per cui è molto probabile che l'artista abbia ricevuto una prima educazione presso la sua bottega, mentre sarebbe da scartare l'ipotesi di un suoi tirocinio avvenuto nella bottega di un amico del padre, un certo maestro Botticello, come riferisce il Vasari nelle Vite, dal momento che ancora oggi non esiste alcuna prova documentaria che confermi l'esistenza di questo artigiano attivo in città in quegli anni. Il nomignolo pare invece che fosse stato inizialmente attribuito al fratello Giovanni, che di mestiere faceva il sensale e che nella portata al catasto del 1458 (la dichiarazione dei redditi dell'epoca), veniva chiamato vochato Botticello, poi esteso a tutti i membri maschi della famiglia e dunque adottato anche dal pittore. Il suo vero e proprio apprendistato si svolse comunque nella bottega di Filippo Lippi dal 1464 al 1467 circa; risalgono infatti a questo periodo tutta una serie di Madonne che rivelano la diretta influenza del maestro sul giovane allievo. Sandro doveva essere rimasto molto impressionato dagli affreschi da lui eseguiti nel Duomo di Prato (145264), ma il suo vero punto di partenza fu la Madonna con il Bambino e due angeli (1465) conservata agli Uffizi, perché queste sue prime composizioni riprendono quasi fedelmente il modello proposto da Filippo. La primissima opera attribuita a Botticelli è la Madonna col Bambino e un angelo (1465 ca.) dell'Ospedale degli Innocenti, in cui le somiglianze con la contemporanea tavola del Lippi sono davvero molto forti, anzi sembra una copia o un omaggio; la stessa cosa vale per la Madonna col Bambino e due angeli (1465 circa) oggi a Washington, con la sola variante dell'angelo aggiunto alle spalle del Bambino. La componente verrocchiesca infatti appare chiaramente in un secondo gruppo di Madonne realizzate tra il 1468 e il 1469, come la Madonna col Bambino e angeli (1468 circa) al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli; i personaggi sono disposti prospetticamente davanti al limite frontale del dipinto, inteso come "finestra", mentre l'architettura sullo sfondo definisce la volumetria dello spazio ideale entro cui è inserita 14
l'immagine. La composizione si sviluppa quindi per piani scalari, svolgendo una mediazione tra lo spazio teorico reso dal piano prospettico e quello reale costituito dai personaggi in primo piano. L'accentuato linearismo, inteso come espressione di movimento risulta altrettanto evidente, così come le meditazioni sulla concezione matematica della pittura, di grande attualità in quegli anni, con gli studi di Piero della Francesca; la stessa soluzione venne riproposta in altre opere dello stesso periodo, con la sola variazione dei termini architettonici in naturalistici.
Tutte queste componenti confluirono nella sua prima commissione pubblica, che gli venne affidata nel 1470, anno in cui decise finalmente di aprire una sua bottega; si tratta di una spalliera allegorica, realizzata per il Tribunale della Mercanzia di Firenze raffigurante la Fortezza. Il pannello doveva inserirsi all'interno di un ciclo ordinato a Piero Pollaiolo che infatti eseguì sei delle sette Virtù previste nel 1469, ma a causa del mancato rispetto dei termini di consegna gli venne revocato l'incarico consentendo a Botticelli di subentrare al collega. Egli accolse lo schema presentato dal Pollaiolo nelle sue linee generali, ma impostò l'immagine in modo del tutto diverso; al posto dell'austero scranno marmoreo usato da Piero, dipinse un trono riccamente decorato e dalle forme fantastiche che costituiscono un preciso richiamo alle qualità morali inerenti all'esercizio della magistratura, in pratica un'allusione simbolica al "tesoro" che accompagnava il possesso di questa virtù. L'architettura viva e reale si unisce alla figura di donna che vi è seduta sopra, solida, plastica, ma soprattutto di estrema bellezza; sarà proprio la continua ricerca della bellezza assoluta, al di là del tempo e dello spazio, che porterà Botticelli a staccarsi progressivamente dai modelli iniziali e ad elaborare uno stile sostanzialmente diverso da quello dei suoi contemporanei, che lo rende un caso praticamente unico nel panorama artistico fiorentino dell'epoca. Botticelli scelse la grazia, cioè l'eleganza intellettuale e la squisita rappresentazione dei sentimenti ed è per questo che le sue opere più celebri saranno caratterizzate da un marcato linearismo ed un intenso lirismo, ma soprattutto l'ideale equilibrio tra il naturalismo e l'artificiosità delle forme. Prima di produrre quegli autentici capolavori della storia delle arti egli ebbe però modo di ampliare la sua esperienza con altri dipinti, che costituiscono il necessario passaggio intermedio tra le opere degli esordi e quelle della maturità.
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3. 2. Gli affreschi della Cappella Sistina
Tra il 1481 e il 1482 Botticelli partecipò alla decorazione della Cappella Sistina; il ciclo prevedeva la realizzazione di 10 scene raffiguranti le Storie della vita di Cristo e di Mosè ed i pittori si attennero a comuni convenzioni rappresentative in modo da far risultare il lavoro omogeneo,come l'uso di una comune scala dimensionale, una comune struttura ritmica e una comune rappresentazione paesaggistica; inoltre utilizzarono accanto ad un'unica gamma cromatica le rifiniture in oro in modo da far risplendere le pitture con i bagliori delle torce e delle candele. Secondo il programma iconografico voluto da Sisto IV, i vari episodi vennero disposti in modo simmetrico per consentire il confronto concettuale tra la vita di Cristo e quella di Mosè, in un continuo parallelismo tendente ad affermare la superiorità del Nuovo Testamento sul Vecchio e a dimostrare il materialismo e il dispotismo della religione ebraica rispetto allo spiritualismo ecumenico che invece caratterizzava il cristianesimo. Botticelli si vide assegnati proprio gli episodi più significativi a questo riguardo, perché erano quelli che meglio si prestavano a ribadire certe contrapposizioni e analogie tra le figure cardine delle due religioni. Botticelli realizzò in tutto tre scene: Le prove di Mosè, Le Tentazioni di Cristo e La Punizione di Qorah, Dathan e Abiram.
3. 3. La Primavera
Le fonti hanno ormai largamente confermato che il dipinto venne eseguito per Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici (1463-1503), cugino del Magnifico; gli inventari di famiglia del 1498, 1503 e 1516 hanno anche chiarito la sua collocazione originaria, dal momento che l'opera viene menzionata tra quelle presenti nel Palazzo di Via Larga prima di essere trasferita nella Villa di Castello, dove il Vasari rifersice di averla vista nel 1550. Questa scoperta è stata molto importante anche ai fini della datazione, fino ad allora fissata al 1478, permettendo di avanzare nuove ipotesi che posticiperebbero la sua esecuzione di alcuni anni e fornirebbero altre possibili interpretazioni sul significato della scena rappresentata da Botticelli. Qui di seguito vengono sommariamente riassunte quelle che hanno riscosso maggior credito tra gli storici dell'arte.
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3. 4. Nascita di Venere
Contrariamente alla Primavera, questo dipinto non è citato negli inventari medicei del 1498, 1503 e 1516 (relativi appunto al solo palazzo di Via Larga), ma sempre grazie alla testimonianza del Vasari nelle Vite, sappiamo che si trovava nella Villa di Castello nel 1550 quando egli vide le due opere esposte insieme nella residenza di campagna del ramo cadetto della famiglia. Restando dunque incerta la sua collocazione originaria, si tende generalmente ad escludere che essa sia stata eseguita per Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici e che lui o i suoi discendenti l'abbiano acquistata in seguito per trasferirla nella villa in un periodo compreso tra il 1498 e il 1540. Stando alla teoria che vorrebbe la Primavera eseguita intorno al 1478, la datazione delle due opere non coinciderebbe, mentre aderendo a quelle proposte più di recente, il divario si assottiglierebbe notevolmente, rendendole praticamente contemporanee; difficilmente comunque si può sostenere che Botticelli abbia concepito i due dipinti entro il medesimo programma figurativo. L'opera si ritiene essere stata realizzata in un periodo compreso tra il 1482 ed il 1484, mentre per quanto riguarda l'interpretazione, molti storici sembrano concordare sul legame strettissimo tra il dipinto ed un passo delle Stanze del Poliziano, in cui viene descritto un rilievo figurato posto sulla porta d'ingresso del "palazzo di Venere": La nascita di Venere sarebbe pertanto la nascita dell'Humanitas, l'allegoria dell'amore inteso come forza motrice della Natura e la figura della dea, rappresentata nella posa di Venus pudica (ossia mentre copre la sua nudità con le mani ed i lunghi capelli biondi), la personificazione della Venere celeste, simbolo di purezza, semplicità e bellezza disadorna dell'anima.
3. 5. Pallade e il Centauro
Il primo è Pallade che doma il centauro (1482-84), anch'essa citata tra le opere presenti nel palazzo di Via Larga negli inventari medicei insieme alla Primavera; in base al pensiero neoplatonico, supportato da alcuni scritti di Marsilio Ficino, la scena potrebbe essere considerata come l'Allegoria della Ragione, di cui è simbolo la dea che vince sull'istintualità raffigurata dal centauro, creatura mitologica per metà uomo e per metà bestia. È stata però proposta anche un'altra lettura in chiave politica del dipinto, che rappresenterebbe sempre in modo simbolico l'azione diplomatica svolta da Lorenzo il Magnifico in quegli anni, impegnato a negoziare una pace separata con il Regno di Napoli per scongiurare la sua adesione alla lega antifiorentina promossa da Sisto IV; in 17
questo caso, il centauro sarebbe Roma e la dea la personificazione di Firenze (va notato infatti che essa porta l'alabarda ed ha la veste decorata con l'insegna personale di Lorenzo), mentre sullo sfondo si dovrebbe riconoscere il Golfo di Napoli.
3. 6. Venere e Marte
È una lettura essenzialmente in chiave filosofica quella invece proposta per un'altra allegoria raffigurante Venere e Marte, distesi su un prato e circondati da un gruppetto di satiri giocherelloni; la fonte d'ispirazione di Botticelli sembra ragionevolemente essere il Symposium di Ficino, in cui si sosteneva la superiorità della dea Venere, simbolo di amore e di concordia, sul dio Marte, simbolo di odio e discordia (era infatti il dio della guerra per gli antichi). I satiri sembrano tormentare Marte disturbando il suo sonno, mentre ignorano del tutto Venere, vigile e cosciente; questa scena sarebbe la figurazione di un altro degli ideali cardine del pensiero neoplatonico, ossia l'armonia dei contrari, costituita dal dualismo Marte-Venere, anche se il critico Plunkett ha messo in evidenza come il dipinto riprenda puntualmente un passo dello scrittore greco Luciano, in cui viene descritto un altro dipinto raffigurante Le nozze di Alessandro e Rossane. L'opera potrebbe dunque essere stata realizzata per il matrimonio di un membro della famiglia Vespucci, protettrice dei Filipepi (come dimostrerebbe l'inconsueto motivo delle api in alto a destra) e quindi questa iconografia sarebbe stata scelta come augurio nei confronti della sposa.
3. 7. La Madonna del Magnificat
Lo spirito filosofico che pare avvolgere tutte le opere di Botticelli nella prima metà degli anni '80, si estese anche a quelle di carattere religioso; ne è un significativo esempio il tondo con la Madonna del Magnificat, eseguita tra il 1483 e il 1485 e dove secondo André Chastel egli cercò di coniugare il naturalismo classico con lo spiritualismo cristiano. La Vergine è al centro, riccamente abbigliata, con la testa coperta da veli trasparenti e stoffe preziose ed i suoi capelli biondi si intrecciano con la sciarpa annodata sul petto; il nome del dipinto deriva dalla parola "Magnificat" che compare su un libro retto da due angeli, abbigliati come paggi che porgono alla Madonna il
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calamaio, mentre il Bambino osserva la madre e con la mano sinistra afferra una melagrana, simbolo della resurrezione. Sullo sfondo si intravede un paesaggio attraverso una finestra di forma circolare; la cornice di pietra dipinta schiaccia le figure in primo piano, che assecondano il movimento circolare della tavola in modo da far emergere le figure dalla superficie del dipinto, come se l'immagine fosse riflessa in uno specchio convesso ed allo stesso tempo la composizione è resa ariosa grazie alla disposizione dei due angeli reggilibro in primo piano che conducono attraverso un'ideale diagonale verso il paesaggio sullo sfondo.
3. 8. Una crisi irreversibile
Ma proprio a partire da questo periodo la produzione del pittore iniziò a rivelare i primi segni di una crisi interiore che culminerà nell'ultima fase della sua carriera in un esasperato misticismo, volto a rinnegare lo stile per il quale egli si era contraddistinto nel panorama artistico fiorentino dell'epoca. Un ripiegamento verso un più marcato plasticismo delle figure, l'uso del chiaroscuro e l'accentuata espressività dei personaggi è già ravvisabile nella Madonna Bardi (1485 ca.), ma è nell'Incronazione della Vergine (1488-90) che la meditazione religiosa di Botticelli si fa più profonda, arrivando addirittura a riproporre un arcaico fondo dorato in alto, proprio dietro alla scena dell'incoronazione. Il vero "spartiacque" tra le due maniere però è la cosiddetta Calunnia eseguita tra il 1490 e il 1495, un dipinto allegorico tratto da Luciano, e riportato nel trattato dell'Alberti che alludeva alla falsa accusa rivolta da un rivale al pittore antico Apelle, di aver cospirato contro Tolomeo Filopatore. La complessa iconografia riprende anche stavolta fedelmente l'episodio originale e la scena viene inseritra all'interno di una grandiosa aula, riccamente decorata di marmi e rilievi e affollata di personaggi; il quadro va letto da destra verso sinistra: il re Mida (riconoscibile dalle orecchie d'asino), nelle vesti del cattivo giudice, è seduto sul trono, consigliato da Ignoranza e Sospetto; davanti a lui sta il Livore, l'uomo con il cappuccio nero e la torcia in mano; dietro a lui è la Calunnia, donna molto bella e che si fa acconciare i capelli da Perfidia e Frode, mentre trascina a terra il Calunniato impotente; la vecchia sulla sinistra è la Penitenza e l'ultima figura di donna sempre a sinistra è la Verità, con lo sguardo rivolto al cielo, come a indicare l'unica vera fonte di giustizia. Nonostante la perfezione formale del dipinto, la scena si caratterizza innanzitutto per un forte senso di drammaticità; l'ambientazione fastosa concorre a creare una sorta di "tribunale" della storia, in cui la vera accusa sembra essere rivolta
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proprio al mondo antico, dal quale pare essere assente la giustizia, uno dei valori fondamentali della vita civile. È una constatazione amara, che rivela tutti i limiti della saggezza umana e dei principi etici del classicismo, non del tutto estranea alla filosofia neoplatonica, ma che qui viene espressa con toni violenti e patetici, che vanno ben oltre la semplice espressione di malinconia notata sui volti dei personaggi delle opere giovanili di Botticelli. È dunque il segno più evidente dell'infrangersi di certe sicurezze fornite dall'umanesimo quattrocentesco, a causa del nuovo e turbato clima politico e sociale che caratterizzerà la situazione fiorentina dopo la morte del Magnifico nel 1492; in città imperversavano infatti le prediche di Girolamo Savonarola, che attaccò duramente i costumi e la cultura del tempo, predicendo morte e l'arrivo del giudizio divino e imponendo penitenza ed espiazione dei propri peccati. Nel 1497 e 1498 i suoi seguaci organizzarono diversi "roghi delle vanità", che non solo dovettero impressionare molto il pittore, ma innescarono in lui grossi sensi di colpa per aver dato volto a quel magistero artistico così aspramente condannato dal frate. Savonarola venne giustiziato il 23 maggio 1498, ma la sua esperienza aveva inferto dei colpi così duri alla vita pubblica e culturale fiorentina, che la città non si riprese mai del tutto. Nel 1504 egli venne incluso tra i membri della commissione incaricata di scegliere la collocazione più idonea per il David di Michelangelo; la sua fama è ormai in pieno declino anche perché l'ambiente artistico non solamente fiorentino è dominato dal già affermato Leonardo e dal giovane astro nascente Michelangelo. Morì solo ed in povertà il 17 maggio 1510 e fu sepolto nella chiesa di Ognissanti a Firenze.
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3. 9. GALLERIA
Madonna con Bambino e Angeli
Ritratto di Giuliano de'Medici, 1478
Venere e Marte
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Nascita di Venere
Nastagio degli Onesti, primo episodio, Madrid, Museo del Prado
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Pallade e il Centauro
La Primavera, Firenze, Uffizi 23
Madonna del Magnificat, 1483-85, Firenze, Uffizi
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4. SEBASTIANO DEL PIOMBO (SEBASTIANO LUCIANI)
4. 1. A Venezia
Nasce da Luciano Luciani a Venezia nel 1485, secondo la testimonianza di Vasari, che lo dice morto a sessantadue anni nel 1547. Ancora il Vasari riporta che la sua prima professione fu quella di musicista «perché oltre al cantare si dilettò molto di sonar varie sorti di suoni, ma sopra il tutto il liuto, per sonarsi in su quello stromento tutte le parti senz'altra compagnia [...] Venutagli poi voglia, essendo ancor giovane, d'attendere alla pittura, apparò i primi principii da Giovan Bellino allora vecchio. E doppo lui, avendo Giorgione da Castel Franco messi in quella città i modi della maniera moderna, più uniti e con certo fiammeggiare di colori, Sebastiano si partì da Giovanni e si acconciò con Giorgione, col quale stette tanto che prese in gran parte quella maniera». Nel Ritratto di giovane donna di Budapest, del 1508 circa, se i riferimenti a Giovanni Bellini e al Giorgione consistono, rispettivamente, nello scalare i piani della rappresentazione e nell'osservazione precisa dell'epidermide, si mostra la caratteristica del Luciani: il contrappuntare gli elementi della composizione, qui mettendo in relazione gli opposti moti del braccio e della testa. Tra il 1508 e il 1509 dovrebbe aver realizzato le quattro ante d'organo nella chiesa di San Bartolomeo di Rialto, commesse da Alvise Ricci, vicario della chiesa dal 1507 al 1509: in esse la critica vede la fusione di colore e spazio del Giorgione e l'esaltazione delle forme potentemente costruite già in sintonia con le conquiste del primo classicismo tosco - romano; purtroppo le ridipinture ed i "restauri" in chiave giorgionesca che si sono susseguiti nel tempo hanno confuso e spento gli squillanti, "fiammeggianti" colori di Sebastiano. Al 1510 data la tavola della Salomé della National Gallery di Londra, mentre tra il 1510 e il 1511 realizza la Pala di san Giovanni Crisostomo, commissionata per testamento, il 13 aprile 1509, da Caterina Contarini Morosini affinché fosse eseguita dopo la morte del marito Nicolò, deceduto nel 1510. I santi rappresentati sono, da sinistra, Caterina, Maddalena, Lucia, Crisostomo, Nicola, Giovanni Battista e Liberale. Il Vasari l'attribuì in un primo tempo (1550) al Giorgione ma nella redazione delle vite del 1568, ammettendo lo sbaglio, restituì la paternità a Sebastiano. La critica successiva si divide, volendo alcuni vedere nel dipinto almeno l'ideazione del Giorgione. 25
Ma già secondo un'esame stilistico, la struttura compositiva dell'opera appare estranea alle intenzioni del maestro di Castelfranco, non interessato a legare le figure in composizioni armoniche, in «masse articolate, serrate nella loro complessità, ma individuate in un movimento potenziale» (Pallucchini 1944) come qui è mostrato nel rapporto contrappuntato fra i due santi a destra, il Battista e Liberale. Un'altra sostanziale differenza sta nella creazione di uno spazio unitario e grandioso, tratto che lo differenzia da Giorgione, impegnato piuttosto nello sviluppo di un nuovo rapporto con la natura. Inoltre la datazione del testamenti dei committenti (in particolare quelli di Nicolò, datati fra 4 e 18 maggio 1510) fugano la presenza di Giorgione, morto nell'ottobre 1510, al quale sarebbe rimasto ormai pochissimo tempo per prendere parte all'impresa considerando anche quanto bisognasse attendere per attingere ai crediti di un lascito testamentario ed allestire il lavoro per una pala di grandi dimensioni (GentiliBertini 1985). La novità della composizione è nell'esclusione della visione frontale delle pale tradizionali e, a giudizio del Lucco, nel tono dimesso e sereno delle figure inserite in un pacato paesaggio crepuscolare: Crisostomo, addirittura, ha deposto mitria e pastorale e legge tranquillamente. L'ultima notizia dell'attività artistica veneziana di Sebastiano è documentata da Marcantonio Michiel che nel suo quaderno del 1525 annota di aver visto in casa del patrizio Taddeo Contarini la tela dei cosiddetti "Tre Filosofi" di Giorgione "finita" da Sebastiano.
4. 2. A Roma
Nella primavera del 1511 «spargendosi la fama delle virtù di Sebastiano, Agostino Chigi sanese, ricchissimo mercante, il quale in Vinegia avea molti negozii, sentendo in Roma molto lodarlo, cercò di condurlo a Roma, piacendogli oltre la pittura che sapesse così ben sonare di liuto e fosse dolce e piacevole nel conversare. Né fu gran fatica condurre Bastiano a Roma, perché, sapendo egli quanto quella patria comune sia sempre stata aiutatrice de' begl'ingegni, vi andò più che volentieri. Andatosene dunque a Roma, Agostino lo mise in opera e la prima cosa che gli facesse fare furono gl'archetti che sono in su la loggia, la quale risponde in sul giardino dove Baldassarre Sanese aveva, nel palazzo d'Agostino in Trastevere, tutta la volta dipinta; nei quali archetti Sebastiano fece alcune poesie di quella maniera ch'aveva recato da Vinegia, molto disforme da quella che usavano in Roma i valenti pittori di que' tempi». Sono lunette affrescate nel palazzo della Farnesina con soggetti mitologici, tratti dalle Metamorfosi di Ovidio: Tereo insegue Filomela e Progne, Aglauro ed Erse, Dedalo e Icaro, Giunone, Scilla taglia i capelli a Niso, La caduta di Fetonte, Borea 26
rapisce Orizia, Zefiro e Flora e una Testa gigantesca che sono certamente conclusi nel gennaio 1512; mesi dopo aggiunge un Polifemo sotto la lunetta del Dedalo e Icaro. Del 1512 è il ritratto degli Uffizi chiamato Fornarina e il Ritratto del cardinale Ferry Corondolet e del suo segretario di Madrid; qui, se l'impostazione del personaggio è raffaellesca, l'atmosfera che promana dal paesaggio dorato e dalle costruzioni nel fondo è veneta.
4. 3. L'amicizia di Michelangelo
Il Ritratto d'uomo, nel Museo di Budapest dal 1895, allora attribuito a Raffaello e per questo motivo pagato una somma enorme, se mantiene la sintesi compositiva fra scuola romana e veneta, mostra la tendenza in atto nella ritrattistica del Luciani alla semplificazione nei particolari e nella stesura cromatica. Verso la metà del secondo decennio il suo stile diviene la più valida alternativa a quello di Raffaello e la competizione con l'Urbinate diviene esplicita: alla fine del 1516 il cardinale Giulio de' Medici commissiona due pale d'altare per la sua sede vescovile di Narbonne, una a Raffaello, che eseguirà la Trasfigurazione e l'altra a Sebastiano, che conclude nel 1519 La resurrezione di Lazzaro, ora alla National Gallery di Londra. La corrispondenza di Leonardo Sellajo con Michelangelo riporta alcuni termini della competizione: nel gennaio del 1517 scrive che Raffaello mette «sottosopra el mondo perché lui non la faccia per non venire a paraghoni»; a settembre scrive che Sebastiano «fa miracholi di modo che ora mai si può dire abbia vinto»; Raffaello non ha neanche cominciato la sua tavola e nel luglio del 1518 Sebastiano scrive a Michelangelo di aver rallentato il lavoro perché «non voglio che Rafaello veda la mia in sino lui non ha fornita la sua». Finita nel maggio 1519, l'opera è esposta nel Palazzo vaticano una prima volta a dicembre «con grande sua laude et di tutti et del Papa» e ancora, il 12 aprile 1520, a confronto con l'incompiuta Trasfigurazione di Raffaello, morto sei giorni prima. Il 6 aprile 1520 muore Raffaello: Sebastiano comunica la notizia il 12 aprile a Michelangelo, raccomandandosi per ottenere la decorazione della Sala dei Pontefici in Vaticano che tuttavia non otterrà. Accetta la commissione di una tavola e di completare la decorazione della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, sotto le figure di Raffaello, ma Sebastiano, temendo il confronto, indugia finché gli eredi di Agostino Chigi si stancano: «E così allogata a Francesco Salviati la tavola e la cappella, egli la condusse in poco tempo a quella perfezzione che mai non le poté dare la tardità e l'irresoluzione di Sebastiano, il quale, per quello che si vede, vi fece poco lavoro, se bene si trova ch'egli ebbe dalla liberalità d'Agostino e degli eredi molto più che non se gli sarebbe dovuto quando l'avesse finita del tutto; il che non fece, o come stanco dalle
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fatiche dell'arte, o come troppo involto nelle commodità et in piaceri». In dicembre gli nasce il figlio Luciano cui Michelangelo fa da padrino. Nel 1525 completa anche la Flagellazione di Cristo di Viterbo e il Ritratto di Anton Francesco degli Albizzi di Houston; dell'anno successivo sono i ritratti di Andrea Doria, di Clemente VII e di Pietro Aretino: «lo fece sì fatto che, oltre al somigliarlo, è pittura stupendissima per vedervisi la differenza di cinque o sei sorti di neri che egli ha addosso: velluto, raso, ermisino, damasco e panno, et una barba nerissima sopra quei neri, sfilata tanto bene che più non può essere il vivo e naturale. Ha in mano questo ritratto un ramo di lauro et una carta dentrovi scritto il nome di Clemente Settimo e due maschere inanzi, una bella per Virtù e l'altra brutta per il Vizio. La quale pittura Messer Pietro donò alla patria sua, et i suoi cittadini l'hanno messa nella sala publica del loro consiglio, dando così onore alla memoria di quel loro ingegnoso cittadino e ricevendone da lui non meno». Durante il Sacco di Roma, nel maggio 1527 Sebastiano si rifugia dapprima in Castel Sant'Angelo; nel marzo del 1528 è attestato a Orvieto e nel giugno è a Venezia, dove l'11 agosto procura la dote per la sorella Adriana e poi è testimone alle nozze del pittore Vincenzo Catena. Fra molte esitazioni torna a Roma alla fine di febbraio 1529: della fine di quest'anno dovrebbe essere il Cristo portacroce del Prado, visto quasi frontalmente a tre quarti di figura, in una composizione spoglia e con larghe zone d'ombra, in sintonia col nuovo clima spirituale venuto a crearsi col Sacco e precorrendo la pittura sacra dell'epoca del Concilio di Trento.
4. 4. Gli ultimi anni
Al Luciani è prevalentemente attribuito il Ritratto del cardinale Reginald Pole, ma con le autorevoli eccezioni del Longhi e dello Zeri, che lo danno a Perin del Vaga, in virtù dell'intellettualistico raffaellismo del dipinto. Solo nel 1540 finisce la Pietà, ora a Siviglia, commissionata da Ferrante Gonzaga nel 1533 per farne dono a Francisco de los Cobos, cancelliere dell'imperatore Carlo V. Ancora intorno al 1540, secondo la moderna critica, «condusse con gran fatica [...] al patriarca d'Aquilea un Cristo che porta la croce, dipinto in pietra dal mezzo in su, che fu cosa molto lodata, e massimamente nella testa e nelle mani, nelle quali parti era Bastiano veramente eccellentissimo». La citazione del Vasari è stata ricondotta al Cristo portacroce di Budapest. È una figura rappresentata con la massima essenzialità - manca anche la corona di spine - come a voler offrire la raffigurazione del dolore in sé stesso, universale perché colto nella sola espressione della sofferenza; il Cristo, tutt'uno con la croce, emerge violentemente dallo spazio buio e amplificato, protendendo le dita nervose davanti agli occhi dello spettatore. Per Federico Zeri, vi è «un senso di gravezza 28
asciutta e dolorosa, un concentrarsi sul tema sacro con intenti inequivocabilmente meditativi, che segnano un distacco ben risoluto dalla libera idealizzazione formale dei suoi dipinti giovanili». Il pittore è sepolto a Roma nella chiesa di Santa Maria del Popolo.
4. 5. GALLERIA
Cristo portacroce, Budapest
Cardinale Reginald Pole, San Pietroburgo
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Cristoforo Colombo, New York, Metropolitan
Martirio di sant'Agata, Firenze
Resurezione di Lazzaro, Londra, National Gallery
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Ritratto d'uomo, Budapest, Szépmuvészeti Museum
Pietà
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CONCLUSIONE
Il Rinascimento fu un secolo che soprattutto attraverso l’arte, ha aperto all’uomo moderno un orizzonte nuovo, una prospettiva prima inimmaginabile. Nel Rinascimento tale atteggiamento mentale culminò nel culto del bello e nella ricerca del nitore della forma. L'uomo del Rinascimento sentiva di poter forgiare la propria storia, forzando il corso degli eventi, sotto l'impulso delle passioni e degli interessi umani. L'uomo, infatti, non si era creato un sistema morale avulso da presupposti religiosi e quindi dovette affrontare il dissidio tra la riscoperta della propria individualità e libertà, le imprescindibili leggi della natura e la volontà divina.
Rinascimento non è rinascità dopo la morte, non è luce dopo il buio, ma è sicuramente una fase fondamentale per la storia della cultura italiana, e non solo, date le lunghe e larghe ripercursioni che i prodotti del pensiero e del gusto quarto-cinquecenteschi italiani hanno avuto a livello europeo e mondiale nei secoli successive. Il Rinascimento visto a mezzo millennio di distanza, può forse apparire una parziale utopia, le cui premesse di armonia universale e di recupero di una civiltà governata dalla serenità del pensiero hanno trovato solo in parte realizzazione: tuttavia, con la meravigliosa testimonianza della pittura ,resta nella storia del mondo una delle epoche più esaltanti dello spirito e della mente dell’uomo.
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BIBLIOGRAFIA
• • • • •
ro.wikipedia.org http://it.encarta.msn.com/encyclopedia_761554529/Rinascimento_(arte).ht ml http://www.babelearte.it/glossario.asp?id=144 http://www.info.roma.it/evento_dettaglio.asp?eventi=1008 http://www.italica.rai.it/index.php?categoria=arte&scheda=sebastianodelpi ombo_1485_1547
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