Prefazione di Edoardo Guglielmino ueste pagine ci danno, come se non esistesse una fitta serie di anni, una cronaca di soli accadimenti, spoglia di lusinghe retoriche, tanto da fornire al giovane lettore, come a chi viva in lontani ricordi, tutt'altra versione e voce della memorialistica della Resistenza. Quello che è veramente singolare è come questo libro, scritto da due autori, abbia una cifra stilistica non diversa, prossima alla omogeneità. Eppure Vincenzo Gueglio ha una scrittura quasi poetica ed Enrico Rovegno attinge alla sua narrativa più tormentata; ma è probabilmente lo stesso afflato che si riflette sul racconto, sulla narrativa. Campeggia in questo dire appassionato la figura di Naccari, bello, alto, un eroe greco, nella possanza e nel gesto, ma anche un semplice eroe di infinita bontà. Le gesta ingenue ma determinate dei ragazzi che approderanno alla "coscienza" partigiana sono descritte con efficacia e commozione. Le avventure di Naccari il marinaio hanno il respiro e la profondità dell'epica. Lame di ironia movimentano la cronaca, e la follia di Starace e degli altri gerarchi e federali si dilegua al sole che fa sudare i giovani in attesa del tronfio arrivo del Duce. Un linguaggio crudo che riflette la durezza della quotidiana vicenda che il comandante partigiano Virgola sorveglia con grande autorità. Un finale nel quale la scelleratezza della guerra non esclude la pietà, e il gemito di Piccolo, che sanguinava come un capretto appena sgozzato, mi ricorda il lamento di un antico guerriero ferito. Così Vincenzo Gueglio ed Enrico Rovegno ci consegnano pagine lontane mille miglia dal rischio di adagiarsi nella retorica che ha macchiato tanti tentativi letterari, specialmente in queste ultime stagioni.
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Sono queste, è vero, storie di Resistenza, ma diventano un bell'esempio di come, anche attraverso gli occhi chiari di Naccari, si possa conoscere la verità, non della vulgata resistenziale, ma della piccola grande storia di un gruppo di uomini che sognano la pace. E, tremenda, l'immagine della ragazza squartata dai fascisti, assume il valore di un sacrificio; così anche noi alziamo la figura della ragazza senza nome, la contadina che solleva le spalle, muore ma non tradisce.