31Allora
Giacobbe chiamò quel luogo Penuel "Perché - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva". Gen 32
Penuel S. Koder, La Creazione
"Volto di Dio"
Genesi 32, 25-31 Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli disse: "Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora". Giacobbe rispose: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!". Gli domandò: "Come ti chiami?". Rispose: "Giacobbe". Riprese: "Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!". Giacobbe allora gli chiese: "Dimmi il tuo nome". Gli rispose: "Perché mi chiedi il nome?". E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel "Perché - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva".
G. Moreau: Giacobbe e l'angelo.
Per introdurci.. Secondo la Bibbia il desiderio di incontrare Dio, di vedere Dio, di stare alla sua presenza è molto radicato nel cuore dell’uomo. Questo desiderio è un filo rosso che percorre tutta la Scrittura. Limitiamoci a due testi, l’uno tratto dall’Antico Testamento, l’altro dal Nuovo.
Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? (salmo 42)
Esodo 33.17-23 Disse il Signore a Mosè: "Anche quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome". Gli disse: "Mostrami la tua Gloria!". Rispose: "Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia". Soggiunse: "Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo". Aggiunse il Signore: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere".
Giovanni 14, 6-9 Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto". Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Come puoi dire: Mostraci il Padre? Chi ha visto me ha visto il Padre.
“ Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21)
Il cristiano condivide sempre, fino in fondo, l’inquietudine di ogni altro uomo: la ricerca di un volto, la contemplazione, l’assenza, la solitudine, l’angoscia, la paura, la tentazione di non sperare più, il senso dell’abbandono, la domanda del “perché”. Questa profonda solidarietà umana è la ragione che rende possibile a ogni uomo, credente e non credente, di ritrovare sé stesso nelle grandi pagine bibliche e allo stesso modo nell’arte di ogni tempo.
Cercatelo con gli occhi di carne attraverso gli avvenimenti della vita e nel volto degli altri; ma cercatelo anche con gli occhi dell’anima per mezzo della preghiera e della meditazione della Parola di Dio, perché “la contemplazione del volto di Cristo non può che ispirarsi a quanto di lui ci dice la Scrittura” (Novo millennio ineunte, 17)
Le immagini di Gesù La molteplicità delle immagini di Cristo manifesta la varietà dei tentativi fatti per comprendere l'inesauribile ricchezza della sua figura. Nello stesso tempo ogni immagine è leggibile come una strada che l'uomo percorre per comprendere se stesso: nei vari volti del Cristo l'uomo disegna il proprio volto. Vedremo ora come nei secoli è raffigurato Gesù, dividendone le immagini per tipologie.
Il Buon Pastore
Il pastore che porta sulle spalle un agnello non è una figura originale del cristianesimo. La si trova anche presso i popoli mesopotamici, presso i greci e presso le popolazioni che abitavano la Sardegna. Nell'arte romana la figura del pastore che porta l'agnello è simbolo dell'humanitas, della filantropia (amore per l'uomo); Bisogna aggiungere però che per Israele (e quindi per i cristiani) l'immagine del buon pastore ha un rilievo assolutamente originale. Essa esprime il rapporto esistente tra Dio e il popolo: Dio è il pastore del suo popolo. Così canta il salmista:
IL Signore è il mio pastore e nulla mi manca. Su prati d'erba fresca mi fa riposare; mi conduce ad acque tranquille, mi ridona vigore; mi guida sul giusto sentiero: il Signore è fedele! [ .... ] La tua bontà e il tuo amore mi seguiranno per tutta la mia vita; starò nella casa del Signore per tutti i miei giorni. Salmo 23,1-3.6
Il Messia è annunciato come il pastore che saprà riunire e portare verso la salvezza tutto il popolo di Dio. Gesù stesso usa questo linguaggio nel parlare di sé: lo sono il buon pastore. Il buon pastore è pronto a dare la vita per le sue pecore . Io conosco le mie pecore ed esse conoscono me Giovanni 10, 11-14
Questa infatti è l'immagine più antica (inizio III secolo) e più ricorrente nell'arte proto-cristiana. L'immagine è sempre di tipo simbolico: l'artista non ha l'intenzione di fare un ritratto fisico di Cristo: il pastore può avere i tratti di un giovane, senza barba, di bell'aspetto, e in tal caso è il segno della giovinezza ad indicare la divinità del Cristo: oppure viene rappresentato come un uomo maturo, con la barba, solenne, e in questo caso è la maturità che allude alla sua saggezza e alla sua grandezza. Il messaggio simbolico è comunque lo stesso: Gesù ritrova il peccatore pentito e lo porta verso la salvezza
Il Buon Pastore. Mosaico del VI secolo, Mausoleo di Galla Placidia in Ravenna.
Il Buon Pastore. Affresco dalla Cripta di Lucina (IV secolo). Roma, Catacombe di San Callisto.
Il Maestro Uno dei nomi con cui la gente chiamava Gesù era rabbi (o anche rabbino): la parola maestro (didaskalos nel greco del Nuovo Testamento) è la traduzione del termine aramaico. Indubbiamente si trattava di un Maestro profondamente diverso dai maestri del tempo.
I due discepoli lo udirono parlare e così si misero a seguire Gesù. Gesù si voltò e vide che lo seguivano. Allora disse: «Che cosa volete?». Essi gli dissero: «Dove abiti, rabbi?» (rabbi vuol dire maestro). Gesù rispose: «Venite e vedrete». Quei due andarono, videro dove Gesù abitava e rimasero con lui il resto della giornata. Erano circa le quattro del pomeriggio. Giovanni 1, 37-39 Gesù terminò di lavare i piedi ai discepoli, riprese la sua veste e si mise di nuovo a tavola. Poi disse: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate Maestro e Signore, e fate bene perché lo sono. Dunque, se io, Signore e Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. lo vi ho dato un esempio perché facciate come io ho fatto a voi». Giovanni 13, 12-15
A questo titolo si lega un'immagine di tipo allegorico entrata ben presto nell'iconografia cristiana. Gesù viene rappresentato:
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Come un filosofo, un saggio. Negli esemplari più antichi come uomo barbuto, seduto su un seggio, parte dei busto e una spalla scoperti; nella mano sinistra un rotolo, la mano destra sollevata in gesto oratorio. • Il messaggio è che Cristo è il sapiente che possiede la vera saggezza. • Come un personaggio nobile, completamente vestito (indossa la toga o il mantello); il viso è solenne ed espressivo, imberbe e bello come un Apollo, o barbuto e solenne come Giove; è attorniato da discepoli o dagli apostoli. Il braccio levato verrà conservato, ma gli si attribuirà il significato di gesto di benedizione: lo si ritrova anche nelle immagini medioevali di Cristo Giudice, posto al di sopra dei portali delle cattedrali (il Beau Dieu di Chartres, di Amiens, di Reims). • In Traditio legis. È una scena che rifà al cerimoniale imperiale: Gesù porge in modo solenne il rotolo della Legge (simbolo della legge divina o della dottrina della fede), a Pietro, nominandolo così suo vicario.
Cristo con i discepoli. Affresco dalla Cripta di Ampliato (IV sec.) Roma, Catacombe di Domitilla.
Cristo e i Dodici. Mosaico, dalla Cappella di Sant'Aquilino (IV sec). Milano, Basilica di San Lorenzo.
Gesù Maestro. Pannello in avorio da un reliquiario italico (V sec.). Londra, British Museum.
Gesù Re dei re
In questo caso l'artista ricorre ad una simbologia derivata dalla ritualità tipica della corte di un re o di un imperatore: le vesti, il trono, le insegne regali, gli assistenti al trono. Questo schema è stato utilizzato per almeno un millennio, dai tempi di Costantino fino alla fine del Medio Evo, per tutto il tempo cioè che la figura regale ha avuto un potere effettivo. Dio, quindi, è definito re dell'universo. La fonte deve individuare le ragioni per cui Cristo veniva celebrato "Re dei re, Signore dell'universo" e ancora una volta la Bibbia (dove il concetto di regno di Dio è fondamentale) e la tradizione dei primi secoli.
Rischiando forse di fare una semplificazione eccessiva, possiamo dire che sono due i tipi di immagini ricorrenti: - Gesù in trono, tra due angeli raffigurati come guardie imperiali (un esempio molto bello lo si trova a Ravenna in S. Apollinare Nuovo); - un grande busto di Gesù, con una mano levata in gesto benedicente e nell'altra il libro. Questa immagine di solito occupa il punto più importante della chiesa, la volta o l'abside, e Cristo è detto Pantocratore (colui che regna sull'universo, l'onnipotente). Quanto al volto di Cristo, il tipo più frequente è quello dell'uomo maturo, con la barba; a volte tuttavia Cristo è rappresentato senza barba, con il viso giovanile. La solennità, l'impassibilità, la rigidezza delle figure a noi possono apparire innaturali: per l'artista di allora questo è il modo di esprimere il rispetto e lo stupore di fronte all'assoluta grandezza del personaggio rappresentato.
Cristo in trono. Mosaico (VI sec.). Ravenna, Basilica di Sant'Apollinare Nuovo.
Cristo Pantocratore. Mosaico del XII secolo. Monreale, Duomo.
Nostalgia di un ritratto
A partire dal V secolo cresce in Oriente l'interesse per un'immagine di Gesù che lo rappresenti il più somigliante possibile. Il ritratto era considerato tanto più potente e miracoloso quanto più poteva essere detto vero, non fatto da mano d'uomo (in greco acheiropoieitós). Molte leggende si diffondono nei secoli seguenti e narrano di vere icone di Cristo: tra le più significative la leggenda della Veronica' e dei mandilion del re Agdar di Edessa. Uno degli esempi più belli di icona di Cristo è quella proveniente dal monastero di S. Caterina sul Sinai. Prodotta probabilmente a Costantinopoli, appartiene ad un esiguo gruppo di immagini scampate alla furia degli iconoclasti: venne riscoperta sotto strati di pitture successive.
Cristo archeopita
Abbiamo qui un volto umano determinato; ma in esso, come osserva André Grabar, «l'artista ottiene un effetto di distacco e di atemporalità, una espressione pittorica della natura divina». [ ... ] L'artista è riuscito a usare con tanta abilità «elementi astratti accanto a elementi più naturalistici», da riuscire ad «esprimere pittoricamente il dogma delle due nature di Cristo, la divina e l'umana» Cristo Pantocratore, S. Caterina del Sinai
Sacra Sindone, Torino
Il Figlio dell’Uomo Sul finire del Medio Evo matura una nuova sensibilità umana e religiosa che cerca con il Cristo un rapporto più personale e assume verso il mondo un interesse e una partecipazione nuova. Il Cristo non è più soltanto una figura inarrivabile nella sua maestà: acquista i caratteri di una presenza più immediata e i tratti di una più tranquilla bellezza. Per comprendere questo nuovo orientamento può essere utile pensare alla figura di Francesco d'Assisi. Si deve a Francesco d'Assisi la riscoperta della natura; egli introdusse nel mondo medioevale un gioire positivo del regno naturale, che aveva pochi precedenti [ ... ] Corollario diretto alla scoperta della natura [ ... ] era una nuova e più profonda coscienza dell'umanità di Cristo, come svelato nella sua natività e nelle sue sofferenze [...]. L'esperienza di Francesco come alter Christus, e particolarmente della sua conformità alla croce, servì a dotare la pittura e la poesia di un nuovo realismo, man mano che queste due si sforzavano di dare forma alla convinzione fondamentale che nelle sofferenze e nella morte di Gesù sulla croce si era manifestato il mistero sia della vita divina che di quella umana. J. Pelikan, Gesù nella storia
Del Cristo si evidenziano sempre più i tratti umani: si narra della sua nascita, della sua infanzia, si privilegia il ricordo della sua sofferenza. L'immagine della croce diventa più frequente: Cristo vi appare morto, incoronato di spine. Continua però una concezione che fonde in una sola realtà il mondo sensibile e il cielo. Tutto è visto come inondato della luce di Dio: si ricordino i fondi color oro di tutti i quadri di questo periodo. L'attenzione per l'uomo cresce nel tempo fino a trovare il suo culmine nel periodo del Rinascimento. Il Cristo è rappresentato come l'uomo ideale e la perfezione della sua bellezza umana diventa il segno della sua divinità. Temi molto cari diventano la risurrezione, la trasfigurazione, l'ascensione. Anche il tema della sofferenza è presente, ma viene espressa in forme di grandissima compostezza: un esempio significativo a questo riguardo è la Pietà di Michelangelo (Basilica di San Pietro). Il tema delle sofferenze di Cristo e quello correlativo del peccato dell'uomo diventano centrali nel periodo della Riforma: per il mondo protestante, in particolare per il movimento calvinista, l'unica immagine accettabile era rimasta la croce e il crocifisso. A questo si unisce il forte fascino che esercitano sugli artisti le nuove tecniche espressive (la prospettiva e lo studio della riproduzione oggettiva della realtà)
«il più bello dei figli degli uomini» (Salmo 45).
Natività, Giotto, (1267 ca. 1337) cappella degli Scrovegni, Padova
Antonello da Messina (1430 ca.-1479), il salvatore del mondo. Londra, National Gallery.
Michelangelo, Pietà, Particolare
Cristo giudice L'attenzione al tema del giudizio divino compare presto nell'arte cristiana. Uno schema iconografico, inizialmente comune a tutta la Chiesa ma poi frequente solo nella Chiesa ortodossa, va sotto il nome di Deesis (il termine significa "intercessione"). Il Cristo è raffigurato in trono, con i caratteri dell'autorità di Dio; accanto a Lui, in atteggiamento di chi intercede per gli uomini, c'è la Vergine Maria e Giovanni il Battista; a volte ci sono anche gli altri apostoli. Non è una rappresentazione scenografica del giudizio, eppure è di grande effetto perché trasforma tutta l'assemblea che contempla quelle immagini (poste sull'iconostasi delle chiese ortodosse) nella folla degli uomini che attendono il giudizio finale. Deesis, S.Sofia, Constantinopoli
Michelangelo, Giudizio universale, particolare
In Occidente il tema del giudizio finale ha avuto uno sviluppo differente. Il giudizio di Dio, prende forma lo schema da noi più conosciuto: Gesù in trono, avvolto di luce, un braccio levato in gesto di benedizione (o di condanna), l'altro posato sul libro che è il codice su cui si basa la sentenza; a volte una spada esce dalla bocca del Cristo ed è rivolta verso i malvagi; attorno gli apostoli, gli angeli, le figure descritte nelle visioni apocalittiche; in basso le schiere dei salvati e dei dannati... Le immagini più antiche si trovano nelle miniature, poi nelle sculture che ornano gli ingressi delle cattedrali o in grandi affreschi medioevali; l'espressione artistica più alta di questo tema è certamente il giudizio universale che Michelangelo dipinse tra il 1535 e il Natale del 1541 nella Cappella Sistina in Roma.
Cristo nell’arte contemporanea Siamo dunque arrivati all'età contemporanea: il rapporto istituzionale della grande arte con i temi sacri si affievolisce. In generale la religione cristiana, per l'arte, torna a essere un colossale problema privato; torna, se si può dire così, nelle catacombe dell'interiorità. Creativamente parlando, questo è il destino dell'uomo occidentale contemporaneo: la solitudine, e, nella solitudine, una speranza di salvezza, o almeno di poesia. L'era simbolista, negli anni Ottanta dell'Ottocento, apre un capitolo di insinuante spiritualismo largamente sensibile ai temi religiosi.
Paul Gauguin, Il Cristo giallo , 1889 il Cristo giallo di Gauguin ha immediatamente un'eco fortissima. «Una miscela inquietante e saporita di splendore barbaro, di liturgia cattolica, di sogno indio, di immaginazione gotica, di Simbolismo oscuro e sottile» Octave Mir-beau
L'omaggio più bello e più alto che l'artista fa a Gesù è il Cristo nell'orto degli ulivi (1889). Gauguin compie un passo in più nella identificazione della propria immagine con quella dell'artista maledetto e martire. «È il mio ritratto, che ho fatto in quel quadro. Ma ho voluto rappresentare anche la rovina di un ideale, un dolore sia divino che umano. Gesù è abbandonato da tutti, i suoi allievi lo lasciano. Il quadro è triste come la sua anima ».
Gauguin, Cristo nell'orto degli ulivi , 1889.
Il Novecento si apre infatti con l'«urlo originario» (per usare le parole degli espressionisti) di un pittore che è insieme frutto delle avanguardie e portatore di un fortissimo spirito religioso, Georges Rouault, appartenente al gruppo Fauves Per Rouault, si tratta di «fare un viaggio all'inferno, ma con la fede nella redenzione». Cristo oltraggiato, dipinto verso il 1912, è un'opera forte ed esemplare, che ci dice quanto Rouault influenzi i veri e propri espressionisti tedeschi. Il segno duro e sgorbiato di un artista che ha imparato il mestiere da un pittore di vetrate, argina una materia densa, tormentata e dolorosa.
Georges Rouault, Cristo oltraggiato, 1912
Quello è Gesù, un Gesù quasi privo di pupille, che forse non vede, perché ha racchiuso tutto il dolore del mondo dentro il suo corpicino emaciato.
L’ Icona: incontro degli sguardi
«Per incontrare la bellezza a volto svelato, per attingere alla ricchezza della sua grazia, occorre mediante una trans-ascendenza, mediante un superamento del sensibile e dell’intelligibile oltrepassare le porte del Tempio con l’icona. » Pavel Evdokimov
Il gioco simbolico dell’icona ci permette di “dis-velare il velato” e giungere a una visione “altra” e più “alta”, soprattutto se il “campo di gioco”della raffigurazione è l’ eikôn del Cristo, dove l'invisibile (Dio) si fa vedere . L’icona diventa veicolo di una sovrabbondanza di significato, simbolo di una Presenza e guida per la vita di quanti la contemplano. Una teologia ampiamente e finemente elaborata dell’icona sorge in Russia fra il XIX e il XX secolo: è un vero e proprio rinascimento dell’icona e un fiorire della sua ermeneutica. In questo contesto si pone l’opera di Pavel Florenskij (1882-1943)
« A dirla in breve, la pittura d’icone è una metafisica dell’essere – non una metafisica astratta ma concreta. Mentre la pittura a olio è più adatta a riprodurre la presenza sensibile del mondo, e l’incisione il suo schema razionalistico, la pittura d’icone sente ciò che raffigura come manifestazione sensibile dell’essenza metafisica » P. FLORENSKIJ
Iconostasi , Gerusalemme, Chiesa del Santo Sepolcro
L’oro, nell’interpretazione di Florenskij non è un colore; è cifra dell’altro, qualcosa di diverso dalla pura struttura metafisica delle cose: è il divino, è la luce della grazia divina che, nelle tracce dorate dei panneggi a lisca di pesce, penetra dentro il corpo santo raffigurato. « La luce [...] si dipinge con l’oro [...] mare di dorata beatitudine, lavata dai flutti della luce divina.
Icona della S. Famiglia
Nel suo grembo ‘viviamo, ci muoviamo ed esistiamo’, questo è lo spazio della realtà autentica ». P. Florenskij
L’icona permette di toccare il divino e infonde la luce nella vita umana e aiuta l’uomo a percepirsi come immagine di Dio. Il valore più grande dell’iconografia consiste nella possibilità di raccogliere insieme, di unire ciò che è eterno e temporale; incarnare l’incorruttibile in ciò che subisce morte e passa. « non esiste altrove nulla di simile quanto a potenza e a bellezza artistica » (Evdokimov) « Se esiste la trinità di Rublév, l’icona della trinità di Rublév, esiste pure Dio » (P. Florenskij ) Icona della Trinità, dipinta da Andrej Rublév agli inizi del secolo XV
L’equivoco della bellezza Come la bellezza può salvare il mondo? Solo in Cristo rifulge la bellezza dell’Essere di Dio, e solo in Cristo questa bellezza diviene esperienza umana. Una bellezza, segnata dal dolore, che nel dolore acquisisce la sua più compiuta ed umana verità. Come può il Figlio dell’Uomo apparire glorioso e sfigurato insieme? È la bellezza che si cela nelle smorfie del dolore quella che mi apre alla Luce divina? Icona della crocefissione - particolare
« L’essere dell’uomo è l’immagine di Dio, e poiché il peccato ha compenetrato tutto il “tempio” del creato, secondo l’Apostolo la persona non soltanto non è l’espressione esterna, ma anzi cela quest’essere. Come il peccato s’impadronisce della persona, il volto cessa d’essere la finestra da cui si effonde la luce di Dio. Viceversa la sublime ascesa spirituale accende nel volto uno sguardo luminoso, cancellando tutta la tenebra»
P. FLORENSKIJ
Se è vero che la bellezza salverà il mondo, allora questa bellezza non potrà essere altro che la manifestazione dell’Invisibile nelle cose visibili; sarà l’incontro fra l’esperienza estetica, etica e religiosa. Questo incontro si esperisce nell’icona, in una lotta tra lo Sguardo di santità dei “vivi testimoni” dell’invisibile e la larva del male. Questa lotta è contro ciò che è inautentico, che seduce e inganna, contro il “sensuale” che allontana dall’essere “a immagine di Dio”.
Di qui : L’icona ci invita a vedere l’invisibile, «cercare attraverso il visibile, malgrado il visibile, il recupero di una dimensione invisibile»; e così ci costringe a un rimando alla salvezza, intesa in senso simbolico di una unità che conserva in sé il segno di una frattura che ci dischiude un mondo, un altro mondo, un aldilà. Proprio nel verbo salvare è espresso il concetto di interezza e di integrità. Salvare, dunque, per restituire integrità alle parti che tendono a dissociarsi, per ricomporre la totalità. Quest’idea di armonizzazione, di costituzione di un ordine ed equilibrio, appartiene proprio al concetto convenzionale di bellezza. Possiamo pensare a un’altra idea di bellezza che non abbia nella propria essenza l’armonia, la simmetria e l’ordine? È su questo che Florenskij ci interroga ancora, quando scrive la sua “prospettiva rovesciata”.
Nelle varie stagioni dell’arte coesistono due modalità espressive differenti, una di natura imitativa della realtà e l’altra di natura simbolica, due modi di vedere e rappresentare ai quali corrispondono “due esperienze del mondo”, l’una “interiore”, l’altra “esteriore”. La “prospettiva rovesciata” è un procedimento simbolico, sintetico, corrisponde ad una determinata concezione della vita e dell’umana esperienza del mondo. L’icona ci chiede di cambiare il nostro sguardo sul mondo, di rinnegare la simmetria e il calcolo della visione prospettica, e di correre con gli occhi per “altre vie”, e miracolosamente riesce a non farci sentire a disagio. Madre di Dio della Tenerezza di Vladimir Inizio del XII secolo
Due grandi autori: Congdon e Rupnik Prenderemo ora in esame due autori contemporanei: William Congdon e padre Marko Ivan Rupnik, hanno messo dello “spirituale” nella loro arte, vivendo il dramma della croce l’uno e la sacralità visionaria del Cristo l’altro. Seguiremo questo ordine anche per presentarne e metterne a confronto le opere.
« Nella misura in cui Cristo aveva salvato la mia vita dal naufragio e adesso era la mia Verità, la Sua figura cominciava a prevalere su qualsiasi altra fonte di ispirazione. L’incontro con Cristo mi fa scoprire che il suo dramma di croce è pure mio.»
William Congdon , Crocefisso 2,1960
«..E questo mi porta al Crocifisso tramite un ritorno alla figura, figura mai più da vedere o dipingere disgiunta dalla croce. Mi interessava non la figura in sé ma la figura come Croce, in ciò che la Croce fa del corpo di Cristo .. Il Crocefisso non è altro che la nostra carne sofferente/peccante... E’ la mia carne Crocefissa!»
William Congdon, Crocefisso 1b ,1960
« il nero è per me origine di luce; è la morte cristiana; non è superficie; non è solo supporto; io vivo per il nero – perciò è sempre carico di luce »
William Congdon, Crocefisso 46 ,1969
Crocifisso 90 (1974) la figura non ha più articolazioni anatomiche, il tutto è una larva,
quasi il bozzolo di quella nuova creatura che esploderà con la resurrezione. Anche il rapporto cromatico è ribaltato: corpo scuro, fondo luminoso. Egli resta inchiodato a quel Crocifisso che vive e soffre il dramma della Croce ieri come oggi, a Bombay in India nei corpi accasciati nelle strade della città, fatti larve, non più uomini, come recita il Salmo 22 ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. 8 Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo 15 Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere. 7
«[il Crocifisso 90] è tutto una piatta schiacciata colata di lava secca, ma calpestata come se il traffico del “peccato” l’avesse da eternità passato sopra, finché il corpo, ciò che era corpo, è diventato macchia. È la strada di Bombay, è il mondo che continuamente schiaccia il Cristo»
William Congdon, Crocifisso 90 ,1974
Il Figlio, nello splendore rosso della sua divinità, è ricoperto del blu dell’umanità. Si abbassa, si umanizza nella sua Chiesa, eppure rimane sempre l’Onnipotente. Con uno sguardo forte, ma misericordioso, ha un volto d’uomo. Per questo in Lui diventa visibile il Padre, quel Dio che nessuno ha mai visto (cfr. Gv. 1,18). La ferita sul costato di Cristo è bianca, trasfigurata. Se in Cristo crocifisso la ferità è il segno del peccato dell’umanità, in Lui risorto le ferite non più rosse di sangue, ma sono ormai trasfigurate dall’amore, rese bianche, perché l’amore è più forte del peccato. Si vede anche una croce: vista dalla prospettiva di Cristo sta alle sue spalle, ma vista dalla nostra gli sta davanti. Noi uomini, di fatto, vediamo la morte davanti a noi, mentre in Cristo la morte è già superata e gli sta alle spalle. P. M. Ivan Rupnik, Cristo Misericordioso che ben conosce il patire
Preghiera A tutti i cercatori del tuo volto mostrati, Signore; a tutti i pellegrini dell’assoluto, vieni incontro, Signore; con quanti si mettono in cammino e non sanno dove andare cammina, Signore; affiancati e cammina con tutti i disperati sulle strade di Emmaus; e non offenderti se essi non sanno che sei tu ad andare con loro, tu che li rendi inquieti e incendi i loro cuori; non sanno che ti portano dentro: con loro fermati perché si fa sera e la notte è buia e lunga, Signore. David Maria Turoldo