17 | 10 | 2017 Prof. Rotella
Endocrinologia
CRITICITÀ NELL’OBESITÀ
L’obesità nel Sistema Sanitario Nazionale non è ancora riconosciuta come malattia anche se in realtà lo è e in molti casi può portare alla morte. Se ne conoscono tutti gli elementi fisiopatologici caratteristici, anche se ci sono molte disquisizioni sulle tecniche diagnostiche necessarie per definire l’obesità di un paziente. Per quanto riguarda l’entità del fenomeno: il 10% degli italiani è obeso, il 31% è in sovrappeso e quasi il 50% degli italiani ha problemi di peso. Ci sono alcune differenziazioni legate a: - età: sia l’obesità che il sovrappeso aumentano con l’aumentare dell’età; - sesso: non c’è differenza tra uomini e donne nel caso dell’obesità, mentre il sovrappeso è più frequente negli uomini; - istruzione: l’obesità è molto più diffusa nei soggetti che non hanno studiato rispetto ai più colti; - difficoltà economiche: l’obesità è maggiore tra gli indigenti rispetto ai più abbienti. Questo perché una dieta corretta (che comprenda verdura, pesce ecc…) è più costosa, chi non può permettersela mangerà molto pane e molta pasta ( che se in eccesso comportano uno sbilancio energetico importante ); - residenza: al sud l’obesità e il sovrappeso sono più frequenti rispetto al nord e questo a causa della differenza nel reddito e nell’istruzione. Per valutare l’obesità si utilizzano delle misure antropometriche che devono essere di semplice determinazione, non invasive, riproducibili nel tempo, affidabili, sensibili, predittive e a basso costo.
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Il sistema standard per definire l’obesità è l’indice di massa corporea BMI = peso in kg / altezza espressa in metri al quadrato. L’aumento del BMI comporta un amento di rischio di sviluppare diabete, infarto del miocardio, stroke, ipertensione, dislipidemia, cancro e osteoartrite, tutte patologie associate all’obesità. Per gli asiatici ci sono altri parametri da tenere conto ( slide sopra ). Importante: il BMI indica la massa corporea, ma due persone possono avere lo stesso peso ed essere una obesa e l’altra no ( una persona molto muscolosa può risultare obesa secondo l’indice di massa corporea anche se in realtà non lo è! ). Il BMI non può determinare con precisione la presenza di obesità ma è stata identificata una formula in grado di ricavare la percentuale di massa grassa dal BMI ( non la chiede all’esame): Quando pesiamo un paziente otteniamo il valore del peso “globale” ma non sappiamo il singolo contributo muscolare, adiposo o acquoso; lo stesso vale per la perdita di peso durante una terapia. Altro parametro determinante per valutare l’adiposità è la circonferenza vita: bisogna mettersi a fianco del paziente, localizzare l’ultima costa e l’estremità superiore della cresta iliaca. Il paziente assume una posizione a piedi uniti, braccia rilasciate lungo i fianchi e al termine di una normale espirazione si misura la circonferenza passante per il punto intermedio tra il margine inferiore della gabbia toracica e l’estremità superiore della cresta iliaca. La circonferenza vita varia a secondo del sesso: se è >94 nell’uomo e >80 nelle donne c’è aumentato rischio di comorbilità, se è >102 negli uomini e >88 nelle donne il rischio è molto alto. Ancora una volta ci sono valori di riferimento diversi per gli asiatici.
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La definizione dell’obesità è molto più precisa se combiniamo BMI con la circonferenza vita: un aumento della circonferenza vita in un soggetto normopeso rappresenta comunque un rischio cardiovascolare: il soggetto viene definito “obeso viscerale”.
La massa corporea è variegata: è composta da massa magra, massa grassa e acqua. Quando perdiamo peso possiamo avere diverse situazioni a seconda del compartimento interessato: - deperimento se perdiamo massa magra; - disidratazione se perdiamo acqua; - demineralizzazione se perdiamo massa ossea; - emaciazione se perdiamo grasso di struttura; - dimagrimento se perdiamo grasso di deposito. Importante distinguere il grasso di deposito ( soprattutto il viscerale, che si misura con la circonferenza vita ) e la quantità di muscolo; una dieta senza esercizio fisico fa perdere più facilmente muscolo rispetto al grasso di deposito. Come valutare la composizione corporea? TC e RMN forniscono misure dirette ma non sono applicabili su larga scala per costi e nel caso della TC, anche per l’esposizione a radiazioni. Un altro sistema è la DEXA: metodica per la misura dei solidi corporei tramite emissione di raggi ad alta energia, in grado di fornire una mappa di distribuzione e superficie dei diversi distretti corporei in funzione della maggiore o minore attenuazione legata alla densità. Rispetto alla TC valuta la FM ( fat mass ) con la stessa precisione, è più rapida, l’esposizione a radiazioni è minore ma è sempre costosa e richiede un personale tecnico, quindi non si può applicare nella pratica quotidiana. Ciò che si può fare è la bioimpedenziometria corporea, praticata su tutti i pazienti in ambulatorio: * (slide) relativamente non costosa: un apparecchio per la bioimpendenziometria corporea può costare al massimo 10.000 euro mentre gli apparecchi nominati prima costano
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centinaia di migliaia di euro.
* si posizionano due elettrodi su una mano ( uno all’articolazione del polso e l’altro all’articolazione tra metacarpo e falangi ) e due elettrodi sul piede ( uno alla caviglia e l’altro all’articolazione tra metatarso e falangi ). Ritornando alla precisione del BMI, nei soggetti obesi ( BMI> 30 ) ha alta specificità ( 97% ) ma bassa sensibilità ( 42% ) nell’individuare l’eccesso di massa grassa. Se non utilizziamo anche altri parametri, come la circonferenza vita o la biompendeziometria corporea, non siamo in grado di porre una diagnosi di certezza. Ad esempio, soggetti che hanno un BMI di 25, quindi normopeso, potrebbero comunque avere una percentuale di massa grassa superiore alla norma ( obesità viscerale ). Oltre alla massa grassa, ci interessa anche la massa magra.
Il BMI fa una curva a U, cioè il rischio di mortalità aumenta per valori alti e bassi di BMI ( fra i magri ci sono portatori di tumori, anoressici, casi di malassorbimento ecc..); Per quanto riguarda FMI, il rischio di mortalità è direttamente correlata con l’aumento della massa grassa. Il risultato eclatante è relativo alla massa magra, FFMI: c’è una correlazione inversa tra quantità di massa magra e mortalità, chi ha poca massa magra ha rischio maggiore di mortalità. Questo perché il tessuto muscolare è un organo fondamentale nel metabolismo energetico ma anche nella locomozione e nella possibilità di avere una vita normale. 131
A causa dell’aumento dell’età media della popolazione e della prevalenza dell’obesità abbiamo la cosiddetta obesità sarcopenica: persone obese con tanto grasso e poco massa magra.
Studi hanno dimostrato che una ridotta massa muscolare è un fattore predittivo negativo in termini di risposta ad interventi di modifiche di stile di vita: se un soggetto è obeso e lo mettiamo solo a dieta, questo perderà ancora di più la poca massa magra che ha. L’intervento più importante sarà quello di preservare e ricostituire la massa magra con lo sport, associato alla dieta ( seconda per importanza ). Fra i fattori di rischio cardio-vascolare abbiamo ipertensione, ipercolesterolemia, sedentarietà, fumo, obesità, diabete, ma il principale è il NO five-a-day, cioè consumare meno di 5 porzioni di verdura e frutta al giorno ( ad esempio, due porzioni di frutta e 3 verdura ). Frutta e verdura contengono una serie di vitamine anti-ossidanti e altre sostanze che riducono l’infiammazione di basso grado che si sviluppa nel corpo e che porta alla formazione della massa grassa. Le verdure sono importanti anche perché rallentano l’assorbimento di nutrienti, impedendo picchi di glicemia ( pericolosi nello stimolare la secrezione insulinica ). L’obesità viscerale è causa di molti fattori legati al rischio cardiovascolare: iperinsulinemia, insulino-resistenza, diabete di tipo 2 e IGT, ipertensione arteriosa, trombofilia, riduzione delle HDL, aumento delle LDL, aumento dei trigliceridi, steatosi epatica. Il criterio diagnostico per la sindrome metabolica SM maggiormente utilizzato nella pratica di tutti i giorni è NCEP-III del 2001, secondo il quale è necessaria la presenza di almeno tre dei seguenti fattori: - obesità addominale: waist>102 cm in maschi e >88 in femmine; - trigliceridi > uguale a 150 mg/dL; - HDL <40 mg/dL nei maschi e <50 mg/dL nelle femmine; - PA > uguale130/85 mm Hg; - Glicemia a digiuno >uguale 110 mg/dL ( >uguale a 100 nel 2004 );
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L’International Diabetes Federation ha coniato una nuova classificazione, per risolvere il problema delle differenze tra le diverse razze, che mette come punto centrale l’obesità centrale. In questo studio per la determinazione della SM sono stati utilizzati entrambi i criteri, quelli dell’International Diabetes Federation e quelli dell’NCEP-III: si osserva che, utilizzando il sistema IDF, la percentuale dei soggetti con SM aumenta notevolmente con l’aumentare dell’età, tale che a 70 anni circa il 65% dei soggetti ne risulta affetto. E’ evidente che sia poco realistico, altrimenti basterebbe conoscere l’età del paziente per fare diagnosi! Osservando questo grafico, che confronta il tasso annuale di incidenza di diabete rispetto ai criteri di NCEP-III e IDF, si osserva che NCEP-III è altamente risolutivo per individuare la probabilità del soggetto di sviluppare diabete; se in ambulatorio si fa diagnosi di SM senza diabete, siamo in grado di determinare la probabilità di sviluppare il diabete negli anni successivi. IDF invece non contribuisce nella predittività. 133
Lo stesso avviene per la comparsa di morte ( per tutte le cause ) nei soggetti con DM di tipo 2 che hanno la sindrome metabolica: nell’asse dell’ordinata c’è la sopravvivenza cumulativa e nell’ascissa c’è il tempo. Chi non ha SM ( IDF-/ATPIII- ) ha sopravvivenza discreta ma chi riceve diagnosi con ATP-III ( IDF-/ ATP-III+ o IDF+/ ATP-III+ ) ha un tempo di sopravvivenza dimezzato ( un soggetto diabetico con sindrome metabolica ha un elevato rischio di morire ).
La diagnosi di SM serve per gestire con più attenzione le problematiche dei soggetti in sovrappeso. Il tessuto adiposo aumenta con l’accumulo dei trigliceridi: inizialmente si ha obesità ipertrofica, cioè aumentano le dimensioni delle cellule adipose, poi obesità iperplastica. Contemporaneamente si attivano i processi infiammatori, i macrofagi dallo stato M2 si trasformano in M1 ( attivi ), le cellule T CD4+ si trasformano in CD8+; si instaura un’infiammazione di basso grado che, associata alla necrosi degli adipociti, comporta la liberazione di elevate quantità di adipochine pro-infiammatorie. Il tessuto adiposo è un organo endocrino e produce moltissime citochine: Da segnalare sono adiponectina, amiloide A, TNF-alfa, resistina, RBP4 in quanto agiscono direttamente peggiorando l’insulino-resistenza. 134
Anche il tessuto muscolare produce varie sostanze che hanno un’azione autocrina, paracrina ed endocrina. Fra le più importanti ricordiamo: - FGF21: il più potente fattore che cura la sindrome metabolica; - irisina: converte il tessuto adiposo bianco in “brite”, attiva la proteina disaccoppiante di tipo 1 e migliora la secrezione insulinica del pancreas. Camminare molto fa liberare irisina che, aumentando la UCP-1, aumenta i cicli futili quindi il consumo energetico. Il Waist ( circonferenza vita ) è correlato anche a fattori circolanti, ad esempio l’Hypertriglyceridemic Waist, con valori cut-off diversi da quelli della SM ( vedi slide ). I soggetti diabetici ed obesi hanno grave carenza di vitamina D poiché, essendo liposolubile, viene sequestrata dal grasso. Questa carenza si ripercuote non solo sul metabolismo calcio-fosforico ma anche sull’apparato cardio-circolatorio, sul rene, fegato e sistema immunitario. Regolazione del bilancio energetico e controllo neuroendocrino dell’apporto alimentare: Il bilancio energetico è più importante del controllo neuroendocrino della fame e della sazietà. Si ingrassa perché si mangia più di quanto si consuma: se aumentiamo il tessuto adiposo diminuiamo il tessuto muscolare, che è quello responsabile del consumo energetico. Per questo nel sarcopenico c’è una riduzione del metabolismo. L’attività fisica è poco diffusa nella popolazione ed è una pratica che va incrementata. Si consiglia di fare almeno 10000 passi al giorno. Uno studio del 2003 rivela che uno stile di vita più attivo ( meno di 10 ore di TV alla settimana e più di 30 minuti al giorno di camminata veloce ) potrebbe ridurre l’incidenza di obesità del 30% e l’incidenza di diabete del 43%. Per quanto riguarda l’obesità infantile, oggi 1 bambino su 4 è obeso. Fin dall’età pediatrica bisogna educare il bambino all’esercizio fisico e ad un’alimentazione sana. L’attività fisica ha solo effetti positivi: aumenta la massa magra, aumenta l’insulinosensibilità, aumenta il dispendio energetico, riduce il rischio cardiovascolare e migliora l’umore. Gli effetti negativi ( traumi e “dipendenza” ) sono del tutto casuali. Fisiologia dell’esercizio fisico: Nel muscolo scheletrico ci sono due tipi di fibre: - fibre di tipo I (a contrazione lenta): aumentano l’insulinosensibilità, aumentano GLUT4 (ulteriormente in risposta all’esercizio fisico), aumentano la capacità ossidativa, aumentano la vascolarizzazione capillare. Non vanno incontro a iperplasia ma ad ipertrofia;
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- fibre di tipo II ( a contrazione rapida ) sono responsabili della potenza esplosiva (ad esempio salto in alto, muro a pallavolo): si distinguono in IIa e IIb. Le IIa sono ossidative e hanno una maggiore insulinosensibilità, viceversa le IIb hanno minore insulinosensibilità e sono dette glicolitiche. Se un soggetto fa un esercizio aerobico senza andare in debito di ossigeno, aumenta la vascolarizzazione delle fibre muscolari, aumenta l’esposizione ai substrati energetici e all’insulina, aumenta il numero dei mitocondri e quindi gli eventi ossidativi. Le fibre muscolari di tipo IIb si trasformano allora in IIa che hanno il 300% in più di mitocondri. L’esercizio aerobico fa dispendere energia anche mentre si dorme dal momento che sono più abbondanti i mitocondri. L’uomo ha poco tessuto adiposo bruno, a livello del quale avviene la termogenesi: l’attivazione dei recettori beta3 adrenergici determina lipolisi, termogenesi ed espressione della UCP-1. Le proteine disaccoppianti modulano il flusso di idrogenioni all’interno della membrana mitocondriale: il gradiente protonico non viene più sfruttato per sintetizzare ATP ma l’energia ottenuta viene dispersa sotto forma di calore. Diminuendo la sintesi di ATP diminuisce anche quella dei trigliceridi. L’esercizio fisico aumenta l’espressione intramuscolare di FDNC5 ( membrane protein fibronectin type III domain containing 5 ) da cui deriva, mediante clivaggio, la miochina irisina; questa stimola la trasformazione del tessuto adiposo bianco in brite, con un’aumentata espressione di UCP-1. Nel 2002 fu descritta per la prima volta la MET, unità di dispendio energetico: energia spesa stando seduti tranquillamente, equivalente al consumo di circa 3,5 mL di ossigeno per kg di peso corporeo, in un minuto, in un adulto di peso normale. La capacità di fare esercizio fisico è il più potente predittore di mortalità rispetto ad altri fattori di rischio cardiovascolari. Questo è stato dimostrato valutando il consumo di ossigeno in MET durante un esercizio fisico di un gruppo di persone tra i 45 e 50 anni. Il gruppo è stato suddiviso in tre categorie in base ai MET consumati durante l’esercizio fisico: > 8 MET, tra 5 e 8 MET e <5 MET. Al gruppo è stato raccomandato di continuare l’esercizio fisico nel tempo e dopo 14 anni è stato visto che circa il 50% dei soggetti appartenenti alla categoria <5 MET erano morti, mentre della categoria >8 MET 90% erano ancora vivi. Il consumo di ossigeno durante uno sforzo massimo è dimezzato nei soggetti obesi rispetto ai normopeso: 17.82 ml/min per kg di peso corporeo nell’obeso, 30.1 nel normopeso. Per capire l’entità del danno cardiorespiratorio nel soggetto obeso basti pensare che il test del consumo di ossigeno sotto sforzo viene usato anche per valutare se un soggetto affetto da cardiomiopatia dilatativa è pronto per il trapianto di cuore: la soglia in questo caso è 12, non è troppo distante dal valore dell’obeso.
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La soglia aerobica AT in un soggetto normale non allenato e nell’obeso è diversa: il valore corrispondente all’intersezione tra le due curve di flusso è 2,5 nel soggetto normale e ampiamente <2 nel soggetto obeso. Vuol dire che l’obeso non può eseguire uno sforzo troppo intenso perché supera la soglia aerobica, finendo in debito di ossigeno e rendendo l’esercizio inefficace per la sua salute.
Meccanismi di regolazione della fame e della sazietà
Principalmente concentrati a livello centrale: a livello ipotalamico ci sono due centri, quello della sazietà e della fame. Il corpo non sa quanto della propria massa corrisponde a grasso di riserva o a tessuto muscolare e la perdita di peso viene intesa come un fattore perturbante l’omeostasi, anche se in un soggetto obeso è positiva. La regolazione più classica della sazietà è rappresentata da segnali metabolici ascendenti, che raggiungono i centri della fame e della sazietà ipotalamici per poi arrivare alla corteccia. L’ipotalamo ha un ruolo centrale nella regolazione dell’assunzione di cibo ma si tratta di un sistema complesso, che coinvolge diverse vie centrali e periferiche. Le aree ipotalamiche coinvolte nell’assunzione di cibo sono:
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In queste aree si incrociano varie sensazione di ordine metabolico o centrale. Le aree ipotalamiche non regolano da sole la fame ma è coinvolta anche la periferia: abbiamo organi periferici e segnali periferici. Gli organi periferici sono fegato, pancreas, intestino, tessuto adiposo e ghiandole surrenali mentre i segnali periferici sono glucosio, colecistochinina, GLP-1, afferenze vagali, insulina, grelina, leptina e cortisolo. Cortisolo e grelina determinano fame mentre gli altri sazietà. Vari fattori esterni contribuiscono alla regolazione a livello centrale: emozioni, caratteristiche del cibo, le abitudini alimentari, abitudini comportamentali. Le aree corticali e le aree olfattive e gustative possono stimolare l’ipotalamo mediante vie che passano attraverso il nucleo accumbes, l’area tegmentale ventrale, l’amigdala, determinando un senso di fame o di sazietà. Le aree sottocorticali sono tutte dominate dalla corteccia e tra queste abbiamo il network serotoninergico: la serotonina ha varie funzioni tra cui quella di indurre il senso della sazietà. La serotonina sopprime l’assunzione di cibo interagendo soprattutto con un recettore post-sinaptico 5HT1D, concentrati nel nucleo ipotalamico mediale. Alcuni farmaci antidepressivi agiscono sul sistema serotoninergico contribuendo a diminuire la sensazione della fame. Poi c’è il network simpatico noradrenergico: la noradrenalina stimola l’assunzione di cibo nel nucleo paraventricolare (attraverso recettori alfa 2 ), mentre nell’ipotalamo laterale inibisce l’assunzione di cibo ( attraverso recettori beta ). I neuroni noradrenergici del PVN sono stimolati dall’ipoglicemia e funzionano quindi come glucorecettori: ecco perché il soggetto con ipoglicemia ha fra i sintomi anche il senso di fame.
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NPY,sintetizzato nel nucleo arcuato dell’ipotalamo, è il più potente agente oressizzante; risponde sia al digiuno che alla restrizione calorica. La sua somministrazione intracranica determina uno stato di obesità. NPY non ha funzione solo sul sistema della fame ma agisce anche sulla regolazione di altri sistemi, come quello pressorio. Il tentativo di trovare farmaci che inibissero la sintesi del NPY si è dimostrato fallimentare proprio a causa dei pesanti effetti collaterali. Ci sono vari stimolatori e inibitori della secrezione del NPY: tra gli inibitori ci sono insulina e leptina, tra gli stimolatori ci sono i glucocorticoidi. Importante ricordarli perché li utilizzeremo per curare le più disparate malattie: a lungo andare aumentano la sensazione della fame stimolando la secrezione di NPY. C’è un solo glucocorticoide di sintesi poco attivo nella stimolazione del NPY e dell’insulinoresistenza (quindi diabete), il deflazacort, non molto utilizzato semplicemente perché non è rimborsabile ma ha molti meno effetti collaterali. La grelina è una proteina prodotta dallo stomaco, potente segnalatore di fame; i suoi effetti sono in parte mediati dall’NPY. Tende a far diminuire il dispendio calorico riducendo l’attività fisica. Gli endocannabinoidi sono prodotti in molte aeree del SNC dove i loro recettori ( specie CB-1 ) sono ubiquitari. CB-1 sono attivati da numerosi neuropeptidi, specie NPY e beta-endorfine. Facilitano il consumo di cibo rispondendo al digiuno, indipendentemente da NPY; la loro azione è potenziata da NPY e beta-endorfine ed è inibita dalla leptina.
La leptina ha un’azione anoressizzante dimostrata solo nei topi ob/ob, che hanno mutazione nel gene della leptina ( non la producono ): l’obesità, l’infertilità e l’iperfagia che ne derivano si correggono con somministrazione di leptina. Questo purtroppo è vero solo nel topo: il deficit di leptina negli umani è molto raro, non si può curare l’obesità somministrandola. Come mai l’uomo produce tanta leptina senza avvertire senso di sazietà? Non è ancora chiaro ma probabilmente ci sono meccanismi recettoriali e post-recettoriali che inducono nel soggetto obeso una sorta di leptina-resistenza. Oggi come oggi non ci sono possibilità terapeutiche legate all’azione della leptina. Nel sistema gastro-intestinale, dall’esofago fino al colon distale, vengono prodotti molti peptidi che contribuiscono a regolare il senso della fame e della sazietà. Tra questi ci sono la grelina, vista
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prima, e la colecistochinina: prodotta in risposta al pasto dall’intestino tenue, attiva i segnali di sazietà ( forse inibendo la produzione di beta-endorfine/ meccanismo periferico? ). Riduce la motilità e rallenta lo svuotamento gastrico, attiva la contrazione della colecisti e la secrezione pancreatica, aumenta la motilità del colon, favorisce la memoria ( del cibo? ). Tuttavia, anche il controllo esercitato dalla colecistochinina è fisiologico, nel senso che non sono state trovate alterazioni negli obesi. Molto importante è invece il GLP-1: ormone gastrointestinale prodotto a partire da pro-glucagone in risposta al pasto, stimola la secrezione di insulina indotta dal glucosio e inibisce l’appetito per azione diretta sull’ipotalamo ( PVN ). E’ utilizzato da molti anni nella terapia del diabete mellito; nei soggetti diabetici provoca anche perdita di peso per anoressia. Dopo l’assunzione del cibo, il GLP-1 viene prodotto dalle cellule L dell’intestino e le sue azioni sono: • stimolazione della secrezione di insulina in modo glucosio-dipendente ( senza dare ipoglicemia ); • soppressione della secrezione di glucagone; • rallentamento dello svuotamento gastrico: effetto anoressizzante in quanto il soggetto si sente precocemente pieno • riduzione dell’introito di cibo; • miglioramento della sensibilità insulinica; I fattori periferici di regolazione dell’appetito sono: § metabolici: glicemia, corpi chetonici e scorie azotate agiscono direttamente sul SNC mentre i livelli intraepatici di glucosio, le riserve epatiche di glicogeno, l’ossidazione intraepatica di FFA agiscono tramite il fegato; § nervosi: la distensione delle pareti gastriche attiva delle afferenze vagali che dallo stomaco raggiungono il SNC dando una sensazione di sazietà; dato che questo meccanismo impiega circa 20 minuti, la sua azione anoressizzante vale solo per chi mangia lentamente ( un soggetto vorace in 20 minuti mangia primo, secondo e dolce ); § endocrini: importante è l’insulina che ha un’azione bifasica. Stimola l’appetito abbassando la glicemia ma al contempo inibisce l’appetito a livello del SNC, che raggiunge attraverso specifici trasportatori a livello della barriera emato-encefalica.
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