Notizie Storiche Della Casata Rusconi

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Giancarlo Bronzi Rusconi

Notizie storiche della Casata Rusconi

Giancarlo Bronzi Rusconi

Notizie storiche della Casata Rusconi

COMUNE DI BUDRIO

Si ringrazia sentitamente la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna per il sostegno destinato all’opera, ed il Comune di Budrio per il patrocinio alla sua divulgazione.

Ha curato i testi il giornalista Pier Luigi Trombetta Consulente storico Vittorio Di Cesare

Via Riva Reno, 61 • 40122 Bologna Tel. 051 6564311 • Fax 051 6564350 [email protected] • www.avenuemedia.it

Stampa: Tipografia Negri - Bologna

Copyright 2001 - Bronzi Rusconi, Bologna Edizione fuori commercio. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Dedicato a mia figlia Anna Maria Bronzi Rusconi

Indice PRESENTAZIONE Il cognome di famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. CAPITOLO 1 Le origini del cognome “Rusconi”

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pag.

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CAPITOLO 2 Il Barbarossa e i Ghibellini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.

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CAPITOLO 3 Tra Signoria e Papato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.

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CAPITOLO 4 La famiglia Rusconi a Bologna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.

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CAPITOLO 5 Parenti illustri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.

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CAPITOLO 6 Ricordi di nobiltà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.

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APPENDICE Dimore e araldica dei Rusconi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.

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PRESENTAZIONE

IL COGNOME DI FAMIGLIA

Il cognome di famiglia

Q

uesto libro è nato con il preciso intento di onorare i nostri Avi di una parte della Casata Rusconi di Bologna, risalendo da nostro padre e nostra zia, dal nostro nonno e bisnonno, arrivando fino a toccare tutti gli altri antenati. È nato anche per raccontare la loro interessante storia e per lasciare, a coloro che continueranno la discendenza, una traccia, la più chiara e completa possibile, del loro passaggio terreno. Sono state riportate notizie della vita e delle vicende così come sono state vissute dai nostri Avi, inquadrando personaggi e momenti storici nazionali ed esteri che li hanno visti coprotagonisti. Il libro è il frutto di due anni di ricerche storiche, divise tra Bologna, Como, Roma ed in sostanza prende in considerazione la storia bimillenaria dei Rusca Rusconi, quello che nostro padre e nostra zia ci raccontavano a noi bambini e ragazzi e, in ordine cronologico, le illustri personalità imparentate con il ramo bolognese dei Rusconi. Insomma, per distrarci un attimo dalla tecnologia d’Internet, dalla velocità e dalla frenesia della vita di questa società sempre più superficiale, ci siamo calati nella tranquillità di un mondo dai ritmi certo meno ossessivi del nostro, nel quale la tradizione e la parola data o una stretta di mano contavano più di ogni altra cosa. Per non dimenticare il nostro passato, le antiche radici, che sono poi le nostre radici. Il libro, soprattutto, tiene fede ad una promessa. Una promessa sbocciata nel 1980, quando nostro padre, Carlo Antonio Bronzi, malato e amareggiato da una serie di disavventure nei suoi affari, ci lasciò. Nostro padre e la sorella Caterina erano nati fuori dal matrimonio e da piccoli abitavano in via delle Casse, nel centro storico di Bologna, con la madre, nostra nonna Margherita, dama di compagnia della moglie del nonno, la contessa Giulia Verzaglia. Nonna Margherita aveva dato il proprio cognome

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Presentazione

Bronzi a nostro padre e alla zia Caterina, come usava e ancor usa per le donne non sposate che oggi siamo soliti chiamare “ragazze madri”. E noi figli scoprimmo nei cassetti della scrivania del babbo le prove di una battaglia ostinata, ma discontinua, e per forza di cose votata all’insuccesso, condotta contro la burocrazia locale e nazionale per ottenere il diritto al cognome Rusconi, così com’era nell’esplicita volontà testamentaria di suo padre. Quando intraprese la sua battaglia per ottenere il cognome del padre l’Italia era ancora retta dalla monarchia e le leggi di allora impedivano tassativamente qualsiasi rivendicazione che potesse in qualche modo alterare un albero genealogico gentilizio, considerato ciò appannaggio esclusivo della corona. L’Italia divenne Repubblica, ma mio padre era già preso dal lavoro e dalla vita che gli avrebbe portato una famiglia numerosa. A tutto ciò va sommato che nell’ultima parte della sua esistenza terrena non godè di buona salute. È allora che siamo subentrati noi figli nel prendere il testimone e ingaggiare quella battaglia interrotta da nostro padre. E la battaglia per ottenere l’agognato cognome è stata lunga, difficile ed ha visto anche una complessa ricerca storica, sulle tracce dei nostri Avi, che ha messo in campo ricercatori araldici, come lo Spreti e il Litta, ma soprattutto Alberto Pio Rusconi, parente letterato, ed amico in particolare del bisnonno, Carlo Giacomo. Nel 1874 diede alle stampe il volume “Memorie storiche della casata Rusca Rusconi” e sia nostro padre che noi figli, da quest’importante testo, abbiamo attinto le notizie relative alla storia antica della Casata Rusconi fino alla metà dell’800. Abbiamo inoltre ritrovato testamenti olografi, notizie da Gazzette cittadine dell’epoca, documenti da archivi, parrocchie e Curie, sia a Bologna, che a Como e, come detto, in altre città. Alla fine abbiamo vinto, poiché adesso abbiamo tutte le carte in regola, avendo ottenuto il riconoscimento (nel gennaio del 2001), da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, di un nostro diritto: aggiungere al nostro cognome Bronzi quello di Rusconi. Così, come voleva nostro nonno.

Giancarlo Giacomo Filippo Bronzi Rusconi

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CAPITOLO I

LE ORIGINI DEL COGNOME “RUSCONI”

Le origini del cognome “Rusconi” origine presunta, e si sottolinea presunta, della casata Rusconi, secondo la storiografia ufficiale, prendendo in esame storici come Litta, Crollalanza, Alfredo Rusconi, ma principalmente l’opera letteraria di Alberto Pio Rusconi “Memorie storiche della casata Rusca Rusconi”, sarebbe romana. Risalirebbe alla gens ricordata da Cicerone nel “De Oratore” il cui principale esponente era Publio Pinario Rusca, patrizio romano arrivato a Como, al seguito di Giulio Cesare, nell’anno di Roma 539.

L’

Figlio di Alfonso Rusconi, Alberto Pio Rusconi, nato a Bologna il 23 Febbraio 1848, riportò da Como attestati di nobiltà. Pio IX nel 1868 gli confermò l’antico titolo comitale di famiglia di Marchese per le prove esibite porte, generazione per generazione, alla cancelleria degli ordini equestri. Fu commendatore al Sacro Militare Ordine Gerosolimitano, scrisse un’opera, del “Santo Sepolcro”, fu Cameriere segreto di Cappa e Spada di sua santità Pio IX. Pubblicò le memorie storiche del casato Rusca Rusconi, con appendici di tavole illustrative nel 1874. Fu decorato con medaglia dalla regia accademia araldica, fu membro delle società storiche lombarda e comasca.

Como era stata fondata dai Galli Insubri Orobi, ma conquistata nel 196 a.C. dai Romani; questi ne fecero una colonia che si chiamò “Comum”. Il nome della gens Pinaria, giunta al seguito del grande Cesare, cui si deve anche la colonia di Bellinzona, continuò ad affiorare nella cronaca della città lacustre, probabilmente legata ad una carica guadagnata in seguito a qualche fatto notevole compiuto da questo antenato durante la conquista della Lombardia da parte delle legioni romane di Cesare. Il nome Rusconi, secondo quanto affermano gli storici, è di certo derivato dal cognome Rusca, che a sua volta deriva dal latino “ruscus”, ovvero “mirto

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Le origini del cognome “Rusconi”

selvatico”. È probabile così che il Casato sia quindi d’origine romana, come sostengono molti storiografi e scrittori, tra i quali Gaudenzio Merula, facendolo derivare dalla gente patrizia Pinaria. Per scrivere la storia di questo Casato, ci si è rifatti anche alla genealogia tenendo conto principalmente di quello che risulta da autentici documenti, o da quello che è stato trovato nelle cronache lombarde e negli Archivi Municipale e Notarile di Como, Governativi, Civico e Notarile di Milano. Etimologia di un cognome Certamente gli appartenenti a questa famiglia furono sempre promiscuamente detti RUSCA, RUSCHI, RUSCONI ed è difficile stabilire quale sia, delle tre varianti, il vero cognome. In latino poi, talvolta, sono nominati Rusconi o Ruscones. Nei documenti originali spicca Bernardo Ruscone, Rettore o Podestà nell’anno 1159 e un Giovanni Rusca, Console comasco nel 1182, ancora un altro di nome RUSCA con il cognome RUSCONI vivente nel 1176, e tutti gli appartenenti a questa famiglia. Furono uomini che si distinsero durante le guerre tra Guelfi e Ghibellini e in uno stesso documento si trova un fratello detto RUSCA, un altro RUSCONE, collettivamente de’ RUSCONI, ed anche la medesima persona, ora chiamata in un modo o nell’altro. È difficile determinare il significato vero di questo cognome. Si pensa, come già anticipato, che derivi da ruscus, rusco o mirto selvatico, che è nello stemma gentilizio, ed allora pare che da Rusco Ruscone sia stato tramandato il vero cognome; ma le foglie di rusco non si trovano nello stemma di famiglia che intorno a secolo XVII. Si pensa così che vi fossero le condizioni per l’analogia al cognome, poiché prima c’erano altri segni, come vedremo parlando dello stemma. Un’altra ipotesi dell’etimologia deriverebbe da un soprannome della voce celtica “rusk”, che nel linguaggio dei Celti invasori dell’Insubria significava “scorza”. Anche nel dialetto comasco si dice rusca la corteccia grossa degli alberi d’alto fusto. Comunque siano andate le cose, col passare del tempo e della storia, ad alcuni membri della famiglia è stato attribuito il cognome RUSCA e ad altri RUSCONI.

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Le origini del cognome “Rusconi”

Una Casata che ha fatto storia La storia è formata dalle singole vicende di uomini i quali, come infiniti tasselli di un puzzle, creano l’intricato sviluppo di fatti e avvenimenti che ne determinano il corso principale. La famiglia Rusca-Rusconi s’inserì a sua volta nella storia con uomini le cui azioni contribuirono a formare il processo di unificazione dell’Europa. Tra i vari rami del nostro albero genealogico, emergerebbero un santo, uomini d’arme, un arcivescovo, vari reggenti imperiali della città di Como, fino al trasferimento di un discendente della nostra famiglia in Emilia, prima a Cento e successivamente, agli inizi del Settecento, a Bologna, dando vita ad altri illustri uomini di lettere e di scienza, autorità in campo civile, militare e persino religioso. Una svolta che appare da queste ricerche evidenzia il passaggio dei Rusconi emiliani alla fazione Ghibellina. Uno dei Rusca o Rusconi comaschi, Lotario I, nel 1176 salvò la vita in battaglia a Federico Barbarossa che, per riconoscenza e gratitudine, fece aggiungere al proprio stemma, sormontato dal mirto selvatico o rusco e dall’aquila imperiale, le strisce a bande bianche e rosse. Il blasone ricordava così lo stendardo di Porta Comasina da Lotario Rusca strappato ai milanesi, la parte Guelfa, o meglio papalina che s’opponeva all’imperatore. Da questo uomo d’arme discendeva dunque la frangia dei Rusconi, quella emiliana (ne esiste anche una a Venezia) che si rifugiò all’ombra delle chiavi incrociate che ancora ornano la facciata di Palazzo d’Accursio. Alla fine del 1600 da Como, il figlio del Conte Domenico Rusconi, Carlo Antonio, detto “Seniore”, venne a Bologna dando così origine al ramo bolognese che ci appartiene. Molti furono i personaggi della Casata Rusconi di gran rilievo: da Sant’Eutichio di Como, a Lamberto Vescovo di Milano nel 921. Nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini si crearono vari rami delle casate Rusconi che s’insediarono a Como, Milano, Venezia, Ravenna. L’imperatore Federico Barbarossa nel 1159 nominò vari Podestà come Bernardo e Giovanni a Como. I Rusconi furono poi sacerdoti, gonfalonieri, militari di alto grado, scrittori, poeti, valorosi eroi e cardinali.

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Le origini del cognome “Rusconi”

Ebbero grandi proprietà terriere, ville, castelli, e manieri. In molti batterono moneta propria in varie regioni di residenza. Tanti furono al servizio dei papi, dei re, di imperatori stranieri: dal Barbarossa, come visto, a Napoleone Bonaparte (Figure 1 e 2). Si imparentarono, come conveniva, con altre casate creando nuove famiglie nobili: Visconti, Sforza, Orange, Asburgo e altri. Molto importanti furono le donazioni che mano mano la storia scorrendo lasciava a memoria del loro passaggio nel territorio. I Rusconi furono tuttavia pronti a servire il nuovo imperatore e re d’Italia Napoleone I quando, nel 1811, l’anno prima di Waterloo, il grande corso venne a completare le razzie già avviate con la prima campagna d’Italia. Da rilevare, a proposito dei Bonaparte, che Napoleone III, il protagonista di Solferino e Sedan, dalle carte da noi trovate, risulta esser stato ospite proprio di un marchese Rusconi nella grande villa di Mezzolara di Budrio. I conflitti europei L’inizio della storia di questa Casata parte, come abbiamo visto, da Como, città della Lombardia, all’estremità sud-ovest del lago omonimo. Patria di Plinio il Vecchio, di Plinio il Giovane, di Paolo Giovio, di papa Innocenzo XI (Odescalchi), di Alessandro Volta, di Sant’Elia, fondata dagli Insubri Orobi, fu conquistata nel 196 dai Romani, i quali ne fecero una colonia che si chiamò “Comum”. Questa città del nord Italia formò politicamente la famiglia, le dette l’imprinting, registrandone i membri tra le famiglie più importanti esistenti ancora dopo l’epoca delle devastazioni dei Goti e degli Unni, quando Como divenne possedimento longobardo. In questo contesto si inserisce la nascita dello Stato Pontificio, ovvero l’insieme dei domini territoriali soggetti alla sovranità del pontefice. Nei secoli IV-VII, grazie a numerosi lasciti testamentari e a donazioni imperiali, si formò una vasta proprietà fondiaria della chiesa romana chiamata “patrimonium Sancti Petri”. La mancanza di una autorità civile in Italia e la lontananza dell’imperatore d’Oriente, fortificarono l’autonomia del papato che, soprattutto con papa

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Le origini del cognome “Rusconi”

FIGURA 1 Monete e sigilli Rusca Rusconi (Archivio Storico Rusconi di Pio Alberto Rusconi).

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Le origini del cognome “Rusconi”

FIGURA 2 Stampa antica raffigurante le case dei Rusconi a Castel Civiglio (CO) dall’Archivio Pio Alberto Rusconi.

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Le origini del cognome “Rusconi”

Gregorio I Magno (590-604), si assunse la responsabilità amministrativa dell’Italia centrale. In seguito i pontefici, sentendo il proprio potere minacciato dall’espansione dei Longobardi, dalla loro conversione e dall’affermazione di una struttura statale, si allearono con i Franchi. Nel 754 papa Stefano III e Pipino il Breve, re dei Franchi, come vedremo anche in seguito, stipularono un accordo (patto di Quierzy), secondo il quale i Longobardi sconfitti dovevano cedere le terre dell’Esarcato e della Pentapoli al Papa. Dopo la discesa in Italia di Carlo Magno (774), al papa vennero ceduti i territori dell’Emilia, della Tuscia, i ducati di Spoleto e Benevento, la Corsica, la costa veneta fino all’Istria. Successivamente il potere papale venne indebolito da una serie di fattori tra cui la diffusione del particolarismo feudale, l’elezione diretta del papa da parte del popolo romano, le lotte tra le famiglie patrizie. Ottone I riaffermò allora l’autorità imperiale sui territori e sulla scelta del papa stesso. Per riconquistare l’autonomia perduta i papi, nell’XI secolo, cercarono l’appoggio dei Normanni, cui papa Niccolò II infeudò l’Italia meridionale (1059) e dell’autonoma formazione comunale dell’Italia centro-settentrionale. Innocenzo III a sua volta respinse ogni ingerenza imperiale sui territori della Chiesa e si dedicò alla riorganizazione dello Stato. Ma l’autonomia comunale e la nascita delle signorie costrinero i papi a rifugiarsi ad Avignone (130877) mentre a Roma lo Stato Pontificio si disgregò sotto la proclamazione della repubblica da parte di Cola di Rienzo. L’iniziativa della ricostruzione fu del cardinale Albornoz che stabilì un corpus legislativo unico per tutto lo Stato (1357) e costrinse le varie signorie, con la diplomazia e con la guerra, a riconoscere l’autorità papale. Il ritorno dei papi a Roma segnò l’inizio dello scisma d’occidente (1378-1417). Nella nuova situazione di anarchia alcune signorie si affermarono in tutta la loro potenza ed autonomia. Solo con Martino V le signorie riconobbero, seppur formalmente, l’autorità del papa. Nel XV secolo lo Stato Pontifico si affermò in Italia con una cre-

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Le origini del cognome “Rusconi”

scente autonomia e un solido prestigio. I maggiori papi del Rinascimento vennero decisi dalle signorie più potenti che miravano in tal modo a ritagliarsi delle signorie ereditarie all’interno dello Stato Pontificio (Urbino, Parma e Piacenza), oppure ad assumerne la gestione diretta, come Giulio II (1503-13) che rese lo Stato Pontificio una forte signoria da Roma a Bologna. Durante i secoli XVI-XVII lo Stato si ingrandì ulteriormente annettendo Ravenna (1529), Ferrara (1598), Urbino (1631) e Castro (1649). I papi della controriforma organizzarono lo Stato Pontificio secondo una linea assolutistica e centralizzata sul modello delle grandi monarchie dell’epoca. Soppresso da Napoleone (1809), lo Stato Pontificio tornò in auge nel 1815 col congresso di Vienna. Sconvolto dai moti risorgimentali, fu necessario l’intervento austriaco per ristabilirvi l’ordine. L’azione riformistica di Pio IX non impedì la crisi rivoluzionaria del 1848-49 che richiese nuovamente l’intervento straniero, francese ed austriaco. Da quel momento il potere papale dipese solo dalle congiunture politico-militari. Nel 1859-60 la sconfitta austriaca nella valle padana e la necessità di fermare Garibaldi che dal sud risaliva minacciando Roma, condussero alla perdita di Emilia, Romagna, Marche e Umbria annesse al Piemonte. Lo Stato Pontificio conservò il Lazio, grazie al sostegno di Napoleone III. Tuttavia nel 1870 le truppe italiane poterono entrare in Roma decretando così la fine dello Stato Pontificio. Il papa non riconobbe l’occupazione avviando così la «questione romana» che trovò soluzione solo grazie ai Patti Lateranensi (1929) che restituirono alla sovranità pontificia il territorio della Città del Vaticano. Tornando ai Longobardi, questi erano un popolo di stirpe germanica, migrato dalle rive del Mare del Nord verso l’Europa meridionale nel IV secolo d.C. Particolarmente bellicosi, nel 566-567 abbatterono i Gepidi sotto la guida di Alboino. Nel 568 invasero l’Italia settentrionale e centrale, condotti da Alboino, creando il primo regno longobardo con capitale Pavia, e causando la rottura dell’unità politica italiana. Inoltre, l’ordinamento politico-amministrativo romano fu completamente sovvertito dalla composizione del loro regno, suddiviso in ducati semiautonomi (Benevento, Friuli, Salerno).

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Le origini del cognome “Rusconi”

I Longobardi, fino alla promulgazione dell’editto di Rotari, si attennero alle proprie consuetudini, tra cui la faida e il guidrigildo. Buona parte delle proprietà terriere dei romani fu confiscata a favore dei nobili Longobardi. Ad Alboino, ucciso nel 572, successero Clefi (572-74), Autari (584-90), primo marito di Teodolinda; Agilulfo (590-615), secondo marito di Teodolinda, convertitosi al cattolicesimo; Adaloaldo (615-25), Arioaldo (625-36), marito di Gondeberga che, rimasta vedova, sposò Rotari, duca di Brescia. Quest’ultimo fu eletto re e nel 645 promulgò il famoso Codice o Editto. Seguirono Rodoaldo (652-53), Ariberto I (653-61), i cui due figli Godeberto e Bertarido divisero il regno in senso longitudinale. Grimoaldo usurpò il trono (662), ma Bertarido lo riconquistò nel 671 e regnò fino al 688 (dal 618 si associò il figlio Cuniperto). Altri re dei Longobardi furono Astolfo e Desiderio: Astolfo (749-56) conquistò Ravenna e minacciò Roma; in conseguenza di ciò il papa Stefano III, succeduto a Zaccaria (741-752, fu proclamato santo) chiamò in Italia i Franchi, che scesero guidati da Pipino Desiderio, detto “Il Breve”, consolidando l’alleanza franco-papale. A papa Zaccaria successe in verità il sacerdote romano Stefano che però morì tre giorni prima di essere stato consacrato vescovo. Si elesse perciò un diacono romano dello stesso nome. Durante il pontificato di Stefano III il contrasto con i Longobardi divenne più cruento. Nel 752, il loro re Astolfo diede a Roma l’ultimatum per ottenere un riconoscimento della propria autorità. Il papa chiese aiuto a Pipino chiedendo di essere accolto nel regno dei Franchi. Il re approvò la richiesta e nell’ottobre del 753 Stefano partì da Roma. Questo viaggiò nel territorio dei Franchi fu il primo viaggio di un papa in Occidente. A Quierzy, nei presi di Laon, nella Pasqua del 754, venne stipulato un patto di amicizia fra papato e regno dei Franchi. Pipino il breve elencò al papa i territori da togliere ai Longobardi. Erano le basi per la costituzione dello Stato della Chiesa. Stefano consacrò Pipino e i suoi figli, Carlo e Carlomanno, re dei Franchi conferendo al re dei Franchi il titolo di Patricius Romanorum. Significava l’affidamento del protettorato su Roma e sulla chiesa occidentale. Nelle campagne militari del 754 e del 756 Pipino sconfisse Astolfo e diede al

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Le origini del cognome “Rusconi”

papato le terre conquistate che comprendevano il Ducato di Roma, l’esarcato di Ravenna e la Pentapoli. Con ogni probabilità venne scritto in questo periodo il documento pontificio, tramandato dalla storia come “donazione di Costantino”, secondo il quale l’imperatore avrebbe scritto questo documento indirizzato a papa Silvestro I e gli avrebbe regalato Roma e tutto l’Occidente. Della donazione di Costantino si avvalsero i papi a sostegno delle loro pretese temporali, finché il cardinale Niccolò Cusano e Lorenzo Valla ne dimostrarono la falsificazione avvenuta nell’VIII secolo. Desiderio fu l’ultimo fu l’ultimo re dei Longobardi (756-74), insieme al figlio Adelchi. Nel 774 Carlo Magno si proclamò infine re dei Longobardi, dividendo in contee il nuovo regno.

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CAPITOLO 2

IL BARBAROSSA E I GHIBELLINI

Il Barbarossa e i Ghibellini

I

Rusca scelsero lo stendardo del Barbarossa, sebbene qualche membro della famiglia fosse a Milano. Prova ne è il fatto che pur non esistendo prove sufficienti per attribuire al Casato addirittura un santo, SANT’EUTICHIO, morto nel 539, e GIOVANNI, entrambi Vescovi di Como, è forse vero che LAMBERTO fu Arcivescovo di Milano dal 921 al 932. E sicuramente questi nomi dimostrano l’esistenza della famiglia Rusca prima dell’avvento del Mille. La famiglia sopravvisse agli incalzanti avvenimenti che travolsero l’Italia dalla caduta dell’Impero Romano, ed alle confische longobarde nonostante le vicissitudini del tempo. Como fu completamente distrutta dai lombardi, alleatasi al Barbarossa contro Milano, ed i Rusca, s’allearono all’imperatore diventando fedeli Ghibellini, per restare tali fin sotto i Visconti e gli Sforza. I Guelfi e i Ghibellini erano fazioni politiche medievali, nate in Germania nel XII secolo e poi diffuse in Italia nei due secoli successivi. I nomi derivavano da quello tedesco dei Welfen, Guelfi, che sosteneva la casa di Baviera e di Sassonia nella lotta al trono imperiale contro i duchi di Svevia, ai quali apparteneva il castello di Weiblingen (italianizzato in Guaibelinga, da cui Ghibellini). Questi nomi si diffusero in Italia e vennero inizialmente a designare le due fazioni politiche dei sostenitori del papato (Guelfi) e dell’imperatore (Ghibellini), distinzione molto spesso fittizia, a copertura di più ristretti interessi politici di singole famiglie all’interno dei vari Comuni. Federico I Barbarossa (Weiblingen 1122 - fiume Salef, in Cilicia 1190) imperatore del Sacro Romano Impero dal 1152 al 1190, condottiero che fece la fortuna dei Rusca, varò un programma politico consistente nel rafforzamento dell’autorità imperiale, sia nei confronti dei grandi feudatari tedeschi,

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Il Barbarossa e i Ghibellini

schierati in Guelfi, come Enrico il Leone, e in Ghibellini, sia dei Comuni italiani e del papato. In Italia, Barbarossa con la prima dieta di Roncaglia (dicembre 1154), ristabilì i rapporti con i Comuni, che avevano acquisito sempre maggiore autonomia giurisdizionale, recuperando i diritti usurpati (iura regalia). Molti consensi, tuttavia, ricevette in Italia, e fu incoronato re di Italia a Monza, il 17 aprile 1155. È in questo contesto che s’inserisce la vita, e la morte, di alcuni Rusca dell’originale casato comasco. EQUITANIO, fu ucciso nel 1125 in un duello svoltosi durante la guerra che combatterono per dieci anni i comaschi contro i milanesi. Fu annoverato fra i più cospicui cittadini morti in quella guerra. LAMBERTO, valoroso capitano dei comaschi; morì in guerra intorno al 1127. BERNARDO, Podestà di Como. Nel marzo del 1159 ottenne un riconoscimento ufficiale dall’Imperatore Federico Barbarossa. ADAMO, fratello del già citato Bernardo. Monaco dell’ordine dei Benedettini, nel 1173 fu Abate di Sant’Abbondio e regalò dei terreni a quel monastero. RUSCA DE’ RUSCONI, figlio di GIOVANNI, fu chiamato di Bellinzona, forse perché era nato in quella città quando, probabilmente, vi si era rifugiata la famiglia durante un periodo tumultuoso in patria. Questo personaggio favorì la discesa in Italia dell’esercito imperiale. Nel 1176 aprì il passaggio delle Alpi quando venne per combattere, unito ai comaschi, la Lega Lombarda. I rapporti tra imperatore e papato s’incrinarono presto per la questione del prevalere del potere temporale dei papi su quello spirituale. Con la seconda dieta di Roncaglia (novembre 1158) fu imposta ai Comuni la restituzione dei diritti regi e l’insediamento di un podestà imperiale, che li facesse rispettare. Ma presto i principali Comuni insorsero, non volendo sottostare alle imposizioni dei funzionari imperiali tedeschi. Costretto a intervenire con un imponente esercito, Federico distrusse le città ribelli, come Crema (1160) e Mila-

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Il Barbarossa e i Ghibellini

no (1162), dopo un assedio di due anni; altre, come Pavia e Como, accettarono i voleri dell’imperatore. Ancora una volta emerse la fedeltà delle famiglie ghibelline comasche, tra le quali i Rusconi, nonostante gli avvenimenti precipitassero creando il paradosso dei due papati. Lo scontro con il papato si era inasprito con il nuovo papa Alessandro III, cui l’imperatore preferì l’antipapa Vittore IV, provocando uno scisma. Alessandro III (1159-1181, sepolto a Roma nella Basilica Lateranense), al secolo Rolando Bandinelli, senese, fu eletto papa il 7 settembre 1159 e prese il posto dell’inglese Adriano IV che prima di morire firmò ad Agnani un patto con la Lega delle città lombarde promettendo di scomunicare l’imperatore. Ciò anche se in precedenza Adriano IV aveva incoronato Federico Barbarossa a Roma, in San Pietro, imperatore. A seguito dell’incoronazione, dato che il Barbarossa non era in grado di sostenere una spedizione militare contro i Normanni, Adriano IV si occupò personalmente delle operazioni di guerra. Ma dopo qualche successo iniziale, il papa subì una grave sconfitta e nel giugno del 1156 fu costretto a firmare il trattato di Benevento con il normanno Guglielmo I il Malo, a cui conferì dignità regia. Nella dieta di Bencon (1157) scoppiò una lite in merito ai rapporti tra papa e impero; il legato pontificio Rolando Bandinelli (futuro Alessandro III) mandò al cancelliere imperiale Rinaldo di Dassel, un documento che proveniva da Roma. Nella carta era scritta la qualifica “beneficium” per il titolo imperiale conferito a Federico da parte del pontefice durante l’incoronazione. Ronaldo aveva giustamente tradotto la parola beneficium in “feudo” e non in “concessione” il che suscitò un putiferio. Un altro conflitto tra papa e imperatore si verificò durante la dieta di Roncaglia (1158), quando Federico, forte di una carta dei diritti sovrani imperiali, ebbe la pretesa di ottenere da Roma le stesse condizioni che avevano avuto Carlo Magno e gli Ottoni. Iniziarono lunghe trattative che però non portarono a nulla di buono e portarono invece, come detto, alla firma di Anagni. Tornando ad Alessandro III la sua elezione fu non poco contrastata. La maggioranza, che aveva approvato la politica di Adriano IV, spinse al trono ponti-

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Il Barbarossa e i Ghibellini

ficio il cardinale Rolando Bandinelli, ma prima della sua consacrazione una minoranza filoimperiale favorì invece l’elezione a futuro papa il cardinale Ottaviano che si fece chiamare Vittore IV. E quando i sostenitori del Bandinelli vollero mettergli sulle spalle il piviale, Ottaviano e i suoi seguaci interruppero la cerimonia strappando il manto papale. Come già successo nel 1130 il mondo cristiano si trovò così a dover scegliere quale fosse il papa legittimo. La prima mossa di Alessandro fu allora di scomunicare il “collega” e antipapa Vittore. L’imperatore, come si suol dire, colse la palla al balzo e con il pretesto dei brogli, che avevano caratterizzato l’elezione, diede la sua disponibilità in qualità di mediatore tra le fazioni in lotta. Ma Alessandro lanciò la scomunica contro Federico Barbarossa perché l’imperatore non aveva nessun diritto di giudicare un pontefice. Nel 1160 si convocò un Sinodo a Pavia, con l’intento di assemblea dell’intera cristianità. Il Sinodo decise a favore di Vittore scomunicando Alessandro. I cistercensi dell’abbazia di Citeaux si schierarono a favore dI Alessandro, mentre Cluny appoggiò Vittore. Nell’aprile del 1164, quando morì Vittore, Rinaldo di Dassel nominò come successore Pasquale III, cui seguiranno altri antipapi. L’epoca storica di Alessandro fu perciò un periodo caratterizzato da scismi con la differenza, rispetto ai precedenti, che nessun Papa poté risiedere a lungo a Roma. I Comuni si schierarono apertamente con Alessandro III, simbolo della lotta contro l’imperatore, e formarono leghe antimperiali (Lega veronese 1164, Lega cremonese 1167), confluite nella fondazione della Lega Lombarda, dopo il Giuramento di Pontida (7 aprile 1167). Le tensioni in Italia costrinsero Alessandro III a trovar rifugio in Francia, ma durante il suo “esilio” si verificò un mutamento di umori nell’opinione pubblica. Fu invocato il suo ritorno e poté rientrare in città il 6 novembre del 1165. Nell’autunno del 1167 il Barbarossa scese per la quarta volta in Italia e conquistò Venezia. Alessandro, nel mentre, si mise al sicuro a Benevento, ma una epidemia di peste scoppiò tra le fila dell’esercito di Federico (ne fu vittima anche Rinaldo di Dassel) che costrinse l’imperatore a ritirarsi. In Germania, intanto, si era scatenato un conflitto con Enrico di Baviera, che impedì una nuova discesa di Federico in Italia fino al 1174. La Lega lombarda, fusa con la Lega veronese, costruì la piazzaforte di Alessandria per con-

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trapporsi al più fedele sostenitore dell’imperatore, il marchese del Monferrato. Quando Federico ritornò con l’esercito, nel 1174, fallì l’assedio di Alessandria, non riuscì a realizzare accordi diplomatici (Montebello 1175) e, senza gli aiuti di Enrico il Leone dalla Germania, perse clamorosamente anche lo scontro di Legnano (29 maggio 1176). Le città della Lega lombarda inflissero all’esercito imperiale una pesante sconfitta, e il Barbarossa decise di lasciar perdere l’antipapa per arrivare ad una riconciliazione con Alessandro. Così nella pace di Venezia (21 luglio 1177) Barbarossa riconobbe, senza nessuna riserva, Alessandro come papa legittimo e a sua volta venne prosciolto dalla scomunica. E dopo una tregua di sei anni, con la pace di Costanza (25 giugno 1183) accettava le libertà comunali, pur concedendole come un privilegio imperiale. Un membro della famiglia Rusca di Como diventò un personaggio chiave di questa politica. Nella Sala Regia del Vaticano un affresco di Vasari raffigura la scena della riconciliazione fra papa e l’imperatore di fronte alla basilica di san Marco alla presenza del Doge. Si può osservare Alessandro III che appoggia orgoglioso il suo piede sul collo del Barbarossa. Si racconta che in quell’occasione il papa avrebbe detto: “Calpesterò il serpente, come pure il leone e il drago!”. L’esperienza dello scisma servì ad Alesandro III che nel Concilio Lateranense del 1179 ratificò la pace di Venezia e deliberò la norma in base a cui, da allora in avanti, l’eletto doveva avere il consenso, come papa, dai due terzi dei cardinali votanti. Questa disciplina dell’elezione papale è tuttora in vigore. GIOVANNI, Console di Como dal 1128 (gli Annali di Padova, nel 1162, lo danno Pretore di quella città; nel 1194, in una pergamena del Museo Diplomatico di Milano, è chiamato Podestà milanese) nel settembre del 1196 firmò un trattato di pace coi milanesi a seguito di controversie territoriali. Fu di nuovo Console del Comune lombardo nel 1198, e andò a Milano a stipulare una convenzione. Stilò la pace fra Lodi e Milano, e ratificò, per parte dei milanesi, l’alleanza con i Marchesi di Monferrato. L’anno seguente, essendo Podestà di Milano, scrisse a papa Innocenzo III raccomandandogli, a nome di quella città, che confermasse Ottone di Baviera “Re dei Romani”. Papa Innocenzo III (1160/1161 – 1216, sepolto a Roma

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nella Basilica Lateranense), al secolo Lotario dei Conti di Segni, fu eletto papa l’8 gennaio del 1198. Fu uno dei papi più illustri che vanti la Chiesa da lui portata a potenza internazionale mediante una vasta azione religiosa e politica. A Bologna era stato allievo del famoso canonista Uguccione e a Parigi del teologo Pietro di Corbeil. Lavoratore tenace, con uno spiccato senso dello humor, si dimostrò uomo molto intelligente rispetto agli uomini di quell’epoca. Tuttavia il suo Pontificato manifestò, probabilmente come nessun altro, la debolezza e la forza del papato come situazione di potere. La forza stava nella formulazione della dottrina cristiana, la debolezza nell’attuazione della dottrina stessa. Quando non era ancora papa si mise a ristrutturare l’intera Curia romana, estirpando parassiti e scansafatiche, e razionalizzando al meglio l’intera organizzazione ecclesiastica. Si sentiva in tutto e per tutto il rappresentante di Cristo in terra, inferiore a Dio, ma superiore agli uomini. Per conseguenza si sentì giudice delle vicende europee, cambiando il papato in una potenza leader. All’inizio del suo pontificato iniziò a riprendere i territori ingiustamente espropriati allo Stato Pontificio: il ducato di Spoleto, e la marca di Ancona furono reinseriti nelle competenze ecclesiastiche. Nel 1201, alla morte di Enrico VI, la Germania doveva scegliere il suo successore e Innocenzo III si dichiarò a favore di Ottone di Brunswick. Dopo l’assassinio di Filippo di Svevia, Ottone fu riconosciuto da tutti come candidato alla successione imperiale e così fu. Innocenzo III nel 1209 lo incoronò a Roma. Ma Ottone nel 1210, contravvenendo ad una politica in pratica concordata, si preparò ad attaccare il regno di Sicilia di Federico II, che godeva della tutela papalina, e Innocenzo lanciò la scomunica contro l’imperatore. Ottone fu deposto e sostituito con Federico II, riconosciuto dai principi tedeschi nel 1215. Con tale atteggiamento il papa contribuì però a causare il rischio di una unificazione del regno di Sicilia con l’impero, anche se obbligò Costanza, regina di Sicilia a riconoscere la sovranità pontificia. Un grande merito di Innocenzo III fu l’aver accolto le idee di povertà di san Francesco e san Domenico in un periodo in cui il mondo ecclesiale era contrario ad accettarle. Giotto, nella chiesa superiore di San Francesco di Assisi, ha rappresentato il poverello che appare in sogno al papa nell’atto di sostenere sulle spalle la Basilica del Laterano in procinto di crollare.

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Ma la grande aspirazione di Innocenzo III fu quella delle crociate. Nel 1204 la quarta crociata, della quale i veneziani approfittarono per scopi politicocommerciali, portò la conquista di Costantinopoli. Dopo il saccheggio e la devastazione della città si volle instaurare un impero latino con una impostazione ecclesiastica. La cosa però contribuì a peggiorare ulteriormente i rapporti tra Oriente e Occidente. Tuttavia Innocenzo III approvò l’unificazione della chiesa romana con quella greca. Fu in questo contesto che a Venezia arrivarono da Costantinopoli i celebri cavalli di bronzo che si trovano sulla facciata della Basilica di San Marco. Fu la crociata nel 1208 avviata contro gli Albigesi che danneggiò non poco il prestigio del papato e rappresentò una pesante contraddizione con l’apertura verso gli ordini religiosi ispirati alla povertà e alla questua. Il top del pontificato Innocenzo III lo raggiunse con il quarto Concilio Lateranense nel 1215. Si trattò del primo Concilio universale dell’Occidente medioevale e i temi proposti furono principalmente due: le crociate e le riforme della Chiesa. Fu proibita la fondazione di nuovi ordini religiosi e si fissò l’obbligo della confessione e della comunione almeno una volta l’anno. Innocenzo III morì all’età di 56 anni. Un altro Rusca, ADAMO, Podestà di Como nel 1191, resse la repubblica al posto dei Consoli. La riappacificazione tra Como e Milano, o almeno una tregua in quello che era stato un secolo di guerra feroce, si rispecchia ancora una volta nella vita e nelle cariche di alcuni membri della famiglia Rusconi. GIOVANNI, Console di giustizia ratificò nell’aprile 1201 il trattato di pace fra Como e Bormio, e nel marzo 1202 pronunciò la sentenza, in merito ad una controversia giurisdizionale, fra il Capitolo della Metropolitana di Milano e la città di Como. Nel 1221 fu testimone della conferma degli antichi privilegi imperiali concessi a Como, fatti dal Gran Cancelliere dell’Impero (Figura 3). Una investitura lo dice figlio di Lotterio. Fu Podestà di Padova nel 1218 e nel 1222, ed è molto lodato nelle cronache di quella città. Nel 1221 fu Podestà di Ferrara per la seconda volta. La famiglia iniziava a spostarsi, prestando i suoi membri alla politica di unificazione della storia italiana.

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FIGURA 3 Antica stampa del 1220 raffigurante la città di Como, “antico dominio dei Rusconi” (tratta da: ALBERTO PIO RUSCONI, “Memorie storiche della casata Rusca Rusconi”).

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GIACOMO, giurò la concordia stipulata nel 1219 fra Como e il Vescovo di Coira. LOTTERIO, ossia LOTTARIO figlio di un altro LOTTERIO Console del Comune di Como trattò con i milanesi una cessione di territorio nel 1197: fu Podestà di Chiavenna attorno al 1215. Andò Legato ed Ambasciatore in Valtellina per la sua patria nel 1220, mentre l’anno prima era stato Podestà di Como. Un certo Rusca GUAGINA, GUAZZA GAVAZZA o GUAITA o GUATINA, fu Podestà di Milano nel 1226 e nel 1238. Nel 1226 andò a Piacenza a placare le discordie insorte fra nobili e plebei, e riformò il governo di quella città. REMEDIO, nel 1234 Podestà di Genova eseguì felicemente alcune spedizioni militari. NICOLÒ, figlio di GIOVANNI, come ambasciatore e consigliere dei Sindaci di Como giurò la pace coi milanesi nel 1219; mentre lo si trova testimone di un atto importante nel 1220. GIOVANNI e PIETRO figli di LANFRANCO nel maggio 1283 furono testimoni dell’atto di sottomissione che i comaschi fecero a Rodolfo d’Asburgo, re dei Romani. Si cambiava bandiera, ma non indirizzo politico. Rodolfo I d’Asburgo, (1218-1291), primogenito del conte Alberto IV d’Asburgo (nel 1273, eletto re dei Romani, incoronato ad Aquisgrana), riorganizzò l’amministrazione, moderò i feudatari, ottenne la sottomissione di Ottocaro II re di Boemia, e quando questi nuovamente si ribellò lo vinse e uccise a Dürnkrut. Con altre guerre vittoriose si impossessò di importanti territori in Germania e fondò su solide basi la potenza della sua Casata, alla quale tentò di legare ereditariamente la Corona di Germania. Alcuni Rusconi rivestirono cariche importanti in questo contesto.

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GIACOMO, fu podestà di Novara nel gennaio 1281, nel dicembre 1282 e nel 1314; Podestà di Milano nel settembre 1323. BELLOSSO, fu uno dei quattro Podestà di Como nel luglio 1292, carica cui si contrapponeva quella di Capitano del popolo, che nei Comuni italiani del Medio Evo, erano il sinonimo del magistrato che rappresentava e capeggiava le corporazioni popolari. Tale carica fu istituita a tutela delle libertà democratiche al fine di bilanciare il potere del podestà, anch’esso elettivo, che in genere favoriva eccessivamente i nobili o l’alta borghesia. Ancora oggi a Como vi è una via dedicata alla famiglia Rusconi, che deve il nome alla famiglia capofila della fazione ghibellina della città, risultata alla fine trionfante sull’opposta parte guelfa capeggiata dai Vittani. I Rusconi acquisirono quindi nel corso del Trecento una sorta di signoria sulla città, ceduta nel 1335 all’ormai soverchiante potenza milanese dei Visconti. Anche dopo di allora, comunque, la famiglia comasca mantenne un ruolo centrale nella vita politica e sociale del capoluogo lariano, nonché nel contesto culturale, come dimostra l’elegantissima e aggiornata ricostruzione del palazzo familiare, eseguita nel 1514 in stile rinascimentale. Anche nei secoli più recenti i Rusconi si distinsero per l’operato di una nutrita serie di religiosi, giureconsulti e intellettuali. Come la contrada intitolata agli storici rivali Vittani, quella dei Rusconi risulta una delle più antiche e stabili denominazioni toponomastiche del centro cittadino, attestata fin da Benedetto Giovio (B. GIOVIO, “Historie patriae libri duo”, pag. 230). Non esistono quindi dizioni alternative, se non un’oscura annotazione nella visita fiscale del 1560 che asserisce che la Torrazza “guarda nella contrada di S.ta Margarita ossia nella contrada di Rusconi”. La fama della contrada impedì anche il sorgere di eventuali toponimi minori, nonostante l’esistenza in zona di alcune osterie abbastanza note.

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CAPITOLO 3

TRA SIGNORIA E PAPATO

Tra Signoria e Papato

n quel tempo l’Italia passò decisamente ad un cambiamento di assetto territoriale di grande importanza. Nacque la Signoria, forma di organizzazione statale, che dominò in Italia nell’ultimo periodo del Medio Evo, continuazione logica dell’aspetto che avevano assunto i Comuni. L’età delle Signorie (poi divenute Principati) fu una età di transizione fra il medioevo e l’evo moderno, compresa tra la fine del 1200 e il 1450, passaggio accompagnato dalla decadenza delle due massime istituzioni medioevali: l’impero e il papato. In questo periodo inoltre si consolidano i due aspetti più rovinosi della politica italiana, che impedirono all’Italia di costituirsi in forte monarchia nazionale, come sarebbe avvenuto, per esempio, in Francia: il formarsi di tanti staterelli comunali ostili gli uni agli altri e la conseguente mancanza di uno Stato italiano abbastanza forte da potersi opporre validamente a una eventuale coalizione degli altri. La Signoria nasce da un’interna evoluzione del Comune, dal grande sviluppo delle industrie e dei commerci, si crea dalla graduale sostituzione delle milizie comunali con milizie mercenarie, dal prestigio dei capitani di ventura, condottieri di queste milizie. Il termine Signoria indica a Firenze, già nel 1300, il Governo, il potere esecutivo; signori di Firenze sono i Priori delle Arti; a Venezia i rappresentanti di quella ricca classe di commercianti vengono detti signori. Ma la Signoria vera e propria, con le sue caratteristiche particolari, ebbe inizio, si può dire, a Milano, dove già Napo della Torre e poi Matteo Visconti si erano fatti nominare vicari imperiali. Con l’affermarsi di una casata, nel dominio di una regione, si ha la trasformazione della Signoria a carattere meno stabile, in Principato. Tra il 1300 ed il 1500 la gens Rusconi è presente nella storia patria con uomini politici, d’arme e di fede così che si può stilare una galleria di famiglia di

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tutto rispetto, vicina ai grandi avvenimenti che portano alla definizione di uno stato italiano: ALBERTO, è Podestà di Milano nel 1341 e di Piacenza nel 1356. RODOLFO, nel 1316 fu Podestà di Chiavenna. LOTTARIO, dell’Ordine dei Padri Predicatori, fu Vicario Generale della Diocesi di Como con ampie facoltà attorno al 1330. GASPARE, Canonico della Cattedrale di Como fu eletto dal Capitolo in economo e conservatore dei beni della Chiesa comasca nel 1361. Tutta una serie di Canonici della Cattedrale di Como testimonierà con la loro fede la presenza di questa famiglia anche nelle cose spirituali. Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano (Pavia,1351-Melegnano, 1402): figlio di Galeazzo II Visconti, sposò nel 1361 Isabella di Valois, che gli portò in dote la contea di Vertus (per cui, in Italia, fu chiamato conte di Virtù). Mortogli il padre (1378), che teneva di fatto la signoria di Milano, riunì saldamente nelle proprie mani tutti i domini viscontei, sbarazzandosi dello zio Bernabò e dei suoi figli (1385). Con guerre e con intrighi estese i suoi domini fuori del milanese: riuscì ad impadronirsi di Verona e Vicenza, scacciandone gli Scaligeri (1387), poi di Padova, Feltre e Belluno, scacciandone i da Carrara (1388). Sbaragliò una forte coalizione di principi e di città (1389-92), perdendo solo pochi territori. Ottenne dall’Imperatore regolare investitura del ducato di Milano (1395) e delle contee di Anghiera e di Pavia (1396). Con un successivo diploma del 1397, si fece concedere anche il titolo di duca di Lombardia. Acquistò Pisa e la Lunigiana (1398), occupò Perugia, altre città umbre (1400) e Bologna (1402). Morì di peste prima di poter coronare il suo sogno di riunificazione dell’Italia settentrionale e centrale sotto il proprio regno. Favorì le lettere e le arti, facendo costruire alcune chiese, la Certosa di Pavia e il Duomo di Milano.

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Saranno canonici: GERARDO nel 1240, MICHELE nel 1251, NICOLÒ nel 1316, AIROLDO circa il 1352, BELTRAMO circa l’anno suddetto, PIETRO nel 1353, GIACOMO nel 1440, ANTONIO nel 1529, GIULIO nel 1530, GIACOMO nel 1638. GIOVANNI, prevosto della Collegiata di S. Fedele in Como fu uno dei Prelati che intervennero vivamente al Concilio di Basilea attorno al 1432. L’Italia sarebbe stata presto interessata ad un’altra sanguinosa guerra. Carlo V, re di Spagna, Napoli e Sicilia, principe dei Paesi Bassi (Gand 1500 San Jèromine de Yuste 1558); figlio dell’arciduca d’Austria Filippo il Bello d’Asburgo e di Giovanna la Pazza, figlia di Ferdinando il Cattolico, ereditò da questa i diritti sulla corona di Spagna. Nel 1516 divenne re di Spagna (col nome di Carlo I), di Sardegna, Sicilia e Napoli. Fin dal 1506 aveva ereditato la signoria dei Paesi Bassi. Nel 1519 ereditò dal padre i domini della Casa d’Austria e il titolo di re di Germania e dei Romani. Nel 1521 iniziò la lunga contesa, per il predominio in Europa, fra Carlo e Francesco I re di Francia, lotta che diede luogo a quattro guerre successive. La prima di queste (1521-25) finì con la sconfitta di Francesco I, che fu fatto prigioniero a Pavia; la seconda (1526-29) fu pure vinta da Carlo sui Francesi, collegati coi principi italiani e col Papa, e si concluse con l’apoteosi di Carlo, incoronato a Bologna nel 1530 re d’Italia e imperatore. Nel frattempo vi era stato il “sacco” di Roma (1527), quando i Lanzichecchi occuparono la città saccheggiandola, ed era caduta la repubblica di Firenze. Fra il 1530 e il 1535, Carlo guerreggiò contro i Barbareschi, a cui prese Tunisi, e contro i Turchi. Seguì la terza guerra contro Francesco I (1535-38), per la successione del ducato di Milano e il dominio sull’Italia, che si concluse con la vittoria dei Francesi. La quarta guerra (1542-44), caratterizzata dall’intervento dei turchi a fianco dei francesi, terminò con la pace di Crepy. Carlo lottò contro i Luterani, che nel 1530 provocarono la protesta di Augusta e, nel 1546, batté a Mühlberg la Lega di Smalcalda; ma nel 1555, con la

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Pace di Augusta, dovette forzatamente rinunciare al consolidamento dell’autorità imperiale in Germania. Nel 1552, Carlo riprese la guerra contro la Francia, dove regnava Enrico II, successore di Francesco I; questa guerra finì nel 1556 con l’esclusione del re di Francia dall’Italia. Nello stesso anno abdicò, lasciando al figlio Filippo II il regno di Spagna e i possedimenti in Italia e nelle Fiandre, e designando alla successione imperiale (domini germanici) il fratello Ferdinando. Si ritirò quindi nel convento di S. Giusto, nell’Estremadura, dove trascorse gli ultimi due anni della sua vita. Fu alla Bicocca, località presso Niguarda, frazione di Milano, dove, il 27 aprile 1522, gli imperiali, al comando di Prospero Colonna, sconfissero i francesi, capitanati dal comandante De Foix Lautrec che un Rusca, come vedremo, rischiò di distruggere la casata. Il principe Prospero Colonna, figlio di Antonio principe di Salerno, era uno dei più famosi capitani del suo tempo (Lanuvio 1452-Milano 1523). Partecipò ardentemente alle lotte della sua famiglia contro gli Orsini, combattè nella guerra di Ferrara (1482-84) contro gli Stati della Chiesa. Dopo la rivolta di Aquila e la congiura dei baroni, combatté contro Ferdinando I d’Aragona (1485-86) parteggiando per Innocenzo VIII (1432- 1492). Innocenzo VIII, ovvero Giovanni Battista Cybo, genovese, fu eletto Papa il 29 agosto del 1484 ed è sepolto a Roma in San Pietro. Morto il suo predecessore, Sisto IV, a Roma si verificarono disordini, saccheggi, e combattimenti in mezzo alle strade. Nel conclave, vista l’impossibilità di essere eletto, Giuliano della Rovere riuscì a imporre l’elezione del cardinale Giovanni Battista Cybo, vescovo di Molfetta, che era completamente suo succube. E già all’inizio del pontificato Innocenzo VIII diede il via ai processi contro le streghe con la bolla “Summis desiderantes”, che prevedeva gravi pene ecclesiastiche anche per chi si fosse opposto alla guerra contro le presunte fattucchiere. La bolla fu poi interpretata in maniera diversa in molti luoghi e le contraddizioni non mancarono. A Bressanone il vescovo Georg Golser, e così come lui i due inquisitori di Colonia, Sprenger e Institoris, nel 1487 pubblicarono il libro “Malleus maleficarum” (tradotto “Il martello delle streghe”), un prontuario della stregoneria, e sui connessi

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processi. In Germania i roghi mieterono tante vittime per oltre due secoli e mezzo. Sotto Innocenzo VIII le finanze papali (l’amministratore della Curia era un corrotto) erano ridotte così male che si dovette dare in pegno la stessa tiara e una parte del tesoro pontificio. Il Papa aveva anche un figlio e una figlia a cui si dedicava con maggiore attenzione e cura di quanto facesse con la sua carica. Tanto che organizzò in Vaticano le nozze del suo figlio legittimo Franceschetto con Maddalena figlia del suo alleato Lorenzo de’ Medici. In segno di gratitudine a Lorenzo il papa nominò Cardinale il tredicenne Giovanni, figlio di Lorenzo e futuro papa Leone X. Innocenzo VIII fu poi il primo papa ad intrattenere rapporti con la “Sublime Porta”. Il principe Gen, sconfitto nella faida contro il fratello il sultano Bàyazìd, fuggì a Rodi dai cavalieri di San Giovanni. In seguito fu trasferito in Francia e infine a Roma dove rimase imprigionato, dietro cospicuo compenso in danaro di Bàyazìd, in Vaticano fin quasi alla morte. Il Sultano tra l’altro gli regalò un frammento della “Santa lancia”, frammento che si può osservare nella mano del papa nel monumento funebre scolpito dal Pollaiolo. Il principe Prospero Colonna fu poi con Carlo VIII, alla conquista di Napoli (1494), ma in seguito aiutò Ferdinando II d’Aragona nella riconquista del Regno e fu nominato Gran Conestabile. Col consenso del re di Napoli passò quindi al servizio della Spagna e militò con Consalvo de Cordova. Insieme al cugino Fabrizio scelse e addestrò i tredici Italiani della Disfida di Barletta (1503). Dieci anni dopo decise le sorti della battaglia di Creazzo combattendo contro Venezia nella guerra per la Lega di Blois. Nel 1515 Prospero Colonna, Capitano generale delle truppe di Massimiliano II Sforza, lottò per impedire a Francesco I la conquista del Milanese, ma fu fatto prigioniero presso Saluzzo. Liberato, ebbe da Carlo V il comando generale dell’esercito imperiale in Italia, cacciò i Francesi da Milano battendoli, dicevamo, alla Bicocca (1522) costringendoli a sgombrare anche da Genova. GIOVANNI TOMMASO figlio di ANTONIO RUSCONI, membro del Collegio dei nobili Giureconsulti di Como, nel 1515 fu deputato per la patria a dare omaggio al re di Francia Francesco I. Servì poi come uditore Odetto di Lautrec, comandante prima armata francese in Italia, e con lui andò in Francia

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nel 1522 dopo la disfatta della Bicocca. Perdonato da Francesco Sforza, tornò in Italia nel 1525. Servì da Uditore Carlo Duca di Borbone. Nel maggio del 1527 Filiberto Duca d’Orange lo fece Uditore Generale della Curia Romana, ossia imperiale. Nel luglio 1530 fu ordinato Senatore Ducale. Fu Podestà di Alessandria nel 1532, di Milano nel 1535, di Lodi nel 1536, di Novara nel 1538 e forse anche di Cremona. Nel 1546 fu incaricato di chiedere per Como, all’imperatore Carlo V, la riconferma del grado di Senatore e la concessione d’un posto fisso nel Senato e nel Magistrato Ordinario comasco. Nel 1556 fu presentato dal Comune di Como a candidato per la carica di Senatore Ducale dello Stato di Milano. Mori senza prole il 5 dicembre 1557 in Milano all’età di 80 anni, lasciando erede universale suo fratello GIOVANNI ANTONIO sacerdote e Canonico della Cattedrale di Como. A sua moglie Cecilia Mazenta, figlia di Simone e sorella di Lodovico presidente del Magistrato Straordinario (la quale si risposò con Giovanni Angolo Ricci segretario ducale) lasciò le sue case di Milano. Non si sa con quale diritto Donna Cecilia abbia lasciato morendo, nel 1582, ad uno dei suoi nipoti ex frate, Guido Mazenta, giureconsulto e ai suoi discendenti, il cognome del primo marito. Non mancarono tra questi uomini di chiesa dei martiri della causa cristiana. NICOLÒ, figlio di GIOVANNI ANTONIO e di Daria Quadrio, discendente da un ramo luganese dei Rusca, Arciprete di Sondrio, fu ucciso nel 1618 per la fede cattolica dai Grigioni, detto da allora il martire della Valtellina. Grigioni (in tedesco Graubünden, o in francese Grisons) è il più vasto Cantone della Svizzera (kmq 7.106) e il meno densamente popolato (abitanti 181.000). Confina con l’Austria, il Liechtenstein, l’Italia, e con i cantoni di San Gallo, Glarona, Uri e Ticino. Il nome deriva dalla Lega Grigia, costituita nel XVI secolo da genti ladine e che formò, con altre Leghe di montanari, uno Stato indipendente che si difese contro l’Austria e occupò (1512) la Valtellina. La regione, che fece parte della provincia romana della Rezia, poi del ducato d’Alemagna, e fu in seguito Stato autonomo, divenne Cantone della Confederazione svizzera nel 1803.

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Nel periodo feudale e comunale fu campo di continue lotte. Appartenne poi, fino al 1512, al ducato di Milano, e passò in quell’anno ai Grigioni in base al trattato di Teglio. Nei secoli XVI e XVII, come via di comunicazione tra la Lombardia e il Tirolo, la valle divenne teatro di aspri combattimenti tra Spagnoli e Austriaci. Nel luglio 1620 ebbe luogo il famoso Sacro Macello di Valtellina, in altre parole la strage compiuta dai Cattolici valtellinesi ribellatisi ai Grigioni, protestanti, che volevano imporre loro la Riforma. Si arrivò ben presto alla Guerra dei Trent’Anni, conflitto che si svolse tra le maggiori potenze europee dal 1618 al 1648. Anni di importanza decisiva per la storia dell’Europa e per formazione della coscienza politica e religiosa moderna. Pretesto del conflitto furono appunto i contrasti religiosi tra protestanti e cattolici; in realtà lo scontro si tradusse ben presto nella volontà di imporre i propri interessi dinastici ed economici, da parte dei Borbone, da un lato, e degli Asburgo dall’altro. Il conflitto si concluse con il declino dell’influenza del papato e del cattolicesimo in genere su alcuni stati dell’Europa centro-settentrionale e con la definitiva affermazione del protestantesimo. In ambito politico, la lotta di predominio tra Francia e Austria, potenze entrambe cattolicissime, ma nello stesso tempo rivali per ragioni egemoniche, vide la temporanea decadenza dell’Austria e l’assurgere della Francia al ruolo di massima potenza europea. La guerra assunse proporzioni vastissime, impegnando quasi tutti i maggiori Stati dell’Europa centrale e occidentale: dalla Spagna alla Boemia e all’Austria, e dalla Francia agli stati tedeschi, alla Svezia e alla Danimarca. Generalmente è divisa in cinque periodi: boemo-palatino-valtellinico (1618-1626), danese (1626-1629); italiano (1628-1631), svedese (1630-1635), francese (1635-1648). La pace di Westfalia segnò il trionfo della libertà religiosa in Germania, assegnò l’Alsazia alla Francia, la Pomerania, Stettino, Wismar e Rugen alla Svezia, e la Pomerania orientale al Brandeburgo. Riconobbe inoltre, per la prima volta nella storia dei rapporti internazionali, la necessità di regolare con norme le relazioni tra gli stati. Furono quindi istituite le ambasciate permanenti.

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Lo stato di guerra tra la Francia e la Spagna non cessò tuttavia con la pace di Westfalia. Ebbe termine solo nel 1659 quando venne firmata la pace dei Pirenei, dopo che la diplomazia francese e le vittorie di Turenne avevano annientato il predominio della Spagna in Europa. Pochi anni dopo, alla fine del ‘600, un membro della famiglia Rusconi si stabilì a Bologna. Era l’inizio di un altro ramo, il nostro.

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CAPITOLO 4

LA FAMIGLIA RUSCONI A BOLOGNA

La famiglia Rusconi a Bologna CARLO ANTONIO RUSCONI SENIORE (Como 1670 – Bologna 1761), fu Domenico, membro del Consiglio di Stato, fu il primo ad abitare a Bologna, ebbe un ricchissimo patrimonio, e sposò Anna Maria Zambelli. Il Conte Carlo Antonio Rusconi, parente di Pietro Giacomo e di Carlo Francesco, autore del ramo da cui discende il Conte Carlo Giuseppe, nacque a Como nel 1670 e ancora giovinetto, si trasferì a Bologna, mentre la sorella Margherita a Cento, nel Ferrarese. Lì sposò un parente dei Rusconi ma non ebbe figli. A Bologna Carlo Antonio comprò un palazzo in via Galliera al civico 506, che divenne poi la residenza dei suoi discendenti, e fu gonfaloniere del popolo per alcuni anni (1738, 1742, 1744). Nella sua chiesa parrocchiale di San Benedetto di Bologna, attorno al 1742, fece costruire una cappella gentilizia in onore di Sant’Antonio. Si stabilì a San Pietro in Casale, dove aveva molti poderi, e dove morì nel 1761 all’età di 91 anni. È sepolto nella cripta della chiesa parrocchiale di San Pietro in Casale (BO). Da notare nei primi personaggi della Casata la ricorrenza del nome Antonio. Ciò era dovuto in onore di Sant’Antonio, il loro santo protettore. FRANCESCO ANTONIO Rusconi (1709 – 1771), fu Carlo Antonio. Sepolto a San Pietro in Casale (BO). Gonfaloniere del popolo del Comune di Bologna nel 1756. Sposò Caterina Cavazza ed è sepolto, con il padre, nella parrocchia di San Pietro in Casale (BO). PIETRO ANTONIO Rusconi (1738 – 1810), fu Francesco Antonio. Gonfaloniere del popolo del Comune di Bologna nel 1776. Dai Decurioni del Comune di Como ottenne una testimoniale di nobiltà della casata Rusconi. Sposò Francesca Gandolfi. Fu sepolto nella Certosa di Bologna.

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GIACOMO FILIPPO Rusconi (1770 – 1850). Nato a Bologna nel 1770, abitò in via Pelacani, ora via Petroni, e, nella grande villa di Mezzolara di Budrio. È padre del bisnonno Carlo Giacomo e fece parte del prestigioso corpo degli ussari bolognesi che andarono in missione a Milano, inoltre fu gonfaloniere del Comune di Bologna. Nel 1837 Giacomo Filippo è cofondatore della Cassa di Risparmio di Bologna con altri illustri 99 cittadini, come Gioacchino Rossini e il cardinal Opizzoni (vedasi Figura VII a pag. 63). Il 10 febbraio del 1827 ricevette l’Ordine Militare di Cristo, in San Pietro, su ordine di Papa Leone XII dalle mani del Cardinal Opizzoni (vedasi Figura II a pag. 58) e fu direttore delle poste pontificie a Bologna, Modena, e Reggio Emilia e Roma. Leone XII, al secolo Annibale Sermattei della Genga, (Ancona 1760-Roma 1829), prese il posto di Pio VII. Fu eletto papa il 28 settembre del 1823 ed è sepolto in San Pietro. La sua elezione fu favorita nel conclave dai cardinali che si dichiararono decisi a fermare la via al papato al papa che non fosse stato disposto a porre in essere un rigido programma di restaurazione ecclesiastica. Il nuovo papa era stato nunzio apostolico in Germania, ed era dotato di un rigoroso spirito diplomatico. Trasferì la propria residenza dal Quirinale, dove era stato eletto, in Vaticano. Licenziò il segretario di Stato cardinal Consalvi e nominò l’anziano della Somaglia che nel 1828 fu sostituito dal cardinal Bernetti. Leone XII, nell’ottica di un profondo rinnovamento spirituale, nel 1825 indisse a Roma un Giubileo. Il segretario di Stato, e alcune potenze straniere, tentarono di dissuadere il papa a non celebrare l’Anno Santo. Si temeva che, fra i pellegrini, si mescolassero rivoluzionari. E così furono disposti imponenti servizi d’ordine pubblico e di sicurezza, ogni pellegrino fu perquisito, e fu impedita la diffusione di scritti sovversivi. Anche sulla statua ellenistica del “Pasquino” sulla quale venivano affisse le cosidette “pasquinare”, cioè le colorite critiche rivolte a personaggi e istituzioni, in quell’anno “tacque” per paura della polizia. Pure il poeta e patriota Massimo D’Azeglio per tutta la durata dell’Anno Santo si tenne lontano da Roma. Durante il Giubileo furono impiccati in Piazza del Popolo (appena costruita)

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due carbonari: Targhini e Montanari. Uomini che stavano diffondendo l’ideale dell’unità di Italia. Il Pontefice si mise in mostra per la decisione con cui affrontò le società segrete e la Carboneria. Mandò il cardinale legato Rivarola con le guardie a Ravenna per scovare i carbonari. Qui ne furono catturati 508, di cui 7 furono condannati a morte, 54 condannati ai lavori forzati, e 59 rinchiusi in prigione. I carbonari si vendicarono uccidendo il cardinale. Seguì allora un’ondata di arresti e persecuzioni capitali. Questi accadimenti furono divulgati all’estero a mezzo della propaganda liberare che criticò il papato di Leone XII, accusandolo di oscurantismo medioevale. Nonostante tutto il papa proseguì nel rinnovamento morale di Roma. Punizioni erano inflitte a chi non adempieva al precetto pasquale e gli stranieri presenti ebbero l’obbligo di adeguarsi a queste disposizioni. Ma quello che più suscitò il malumore nella popolazione era la legge che proibiva il vino nelle osterie. Quando Leone XII morì di lui fu scritto: “Qui riposa della Genga, per la sua pace e per la nostra”. Giacomo Filippo morì celibe nel 1850 e fu sepolto a Mezzolara di Budrio nell’oratorio di Villa Rusconi. Lasciò il suo patrimonio ed il suo cognome Rusconi a Carlo Giacomo dalle Tombe che prese discendenza. Fu fratello di Germano (padre di Carlo, patriota, scrittore e traduttore di grandi opere come quelle di Shakespeare, ed a lui è intestata una via a Bologna). Altro fratello fu Carlo (eroe di Albuquerque) decorato da S. M. Cattolica re Carlo II. Altro fratello ancora fu Francesco, che fu Capitano della guardia nazionale di Bologna, pure lui gonfaloniere del Comune di Bologna. Sepolto, secondo i suoi desideri, nella tomba di famiglia di Santa Ninfa di Mezzolara di Budrio. Papa Gregorio XVI, al secolo Bartolomeo Alberto Cappellari, gli concesse di poter inserire una lapide in sua memoria con un’iscrizione latina (vedasi il testo tradotto dal latino a pag. 90). Papa Gregorio XVI (Belluno 1765 – 1846 è sepolto a Roma in San Pietro) fu eletto papa il 2 febbraio del 1831 e prese il posto di Pio VIII che fu Pontefice per solo un anno (1829-1830). Nel conclave del 1930 si ripropose la stessa

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situazione dell’anno prima. Ovvero il contrasto tra cardinali “politicanti” e “zelanti”. I primi collaboravano alacremente con l’Austria del Metternich e volevano garantire la stabilità dello Stato Pontificio. Gli “zelanti” invece avevano l’obiettivo dell’indipendenza della Chiesa nei confronti dei vari governi. Si trovò un accordo su Bartolomeo Cappellari che prese il nome di Gregorio XVI in memoria di Gregorio XV, di Gregorio VII e d anche di Gregorio I. Il nuovo papa era entrato nell’ordine dei camaldolesi e quando il papato subì una delle più brucianti umiliazioni della sua storia nel 1799 scrisse il libro dal titolo “Il trionfo della Santa Sede e della chiesa sugli attacchi degli innovatori”. Il volume ebbe una grande influenza sull’evoluzione dell’ultramodernismo. Gregorio aveva esperienza di curia e conosceva molto bene le difficoltà dei nemici della chiesa in quel periodo anche se non conosceva lingue straniere e di politica se ne intendeva poco. Era un uomo colto, modesto e semplice anche da papa, un tradizionalista e non vedeva di buon occhio gli ideali liberali. Dai suoi tratti somatici spiccava il grosso naso rossastro che alimentò il sospetto nel popolo che il pontefice avesse un debole per il buon vino. In realtà era l’effetto di un uso esagerato di tabacco da naso. In un primo tempo confermò il segretario di stato Bernetti, ma più tardi nel 1856 nominò, il monaco Lambruschini, avverso a tutto quello che avesse a che fare con la parola rivoluzione. In un quadro storico che vide lo sbocciare dei moti risorgimentali di Bologna, nella Marche, in Umbria. Proprio durante un congresso svoltosi a Bologna gli insorti dichiararono che il potere della chiesa era in contraddizione con le Sacre Scritture. Al papa non rimase che chiedere aiuto alle truppe austriache che sedarono la rivolta che tuttavia alimentò l’antica rivalità tra Francia e Austria. La Francia non sopportava che l’Austria, con la scusa di difendere il papa, diffondesse il rispettivo influsso in Italia. E su idea francese, nel 1831, i leader delle grandi potenze si incontrarono a Roma per presentare al Pontefice un documento redatto dall’ambasciatore prussiano von Bunsen. La carta enunciava varie riforme amministrative per la Santa Sede: amnistia, partecipazione dei laici all’amministrazione e all’esercizio della giustizia, restituzione dei consigli provinciali (soppressi da Leone XII) autonomia dei Comuni, creazione di un consiglio di stato composto da laici e la nomina di una consulta finanziaria.

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La Santa Sede accettò di avviare un tentativo di riforma abolendo l’Uditore Santissimi, con cui poteva interrompere processi e cassare ogni sentenza. Ma di riforme vere e proprie, soprattutto in campo politico, neppure a parlarne. Nel 1831, in Romagna, scoppiò un altro moto rivoluzionario poiché le truppe austriache si erano ritirate dallo Stato della Chiesa. E l’anno successivo gli austriaci intervennero nuovamente occupando Bologna. Mentre i francesi occuparono il porto di Ancona e assieme ai francesi rimasero in Italia fino al 1838. La protezione straniera era a spese della Santa Sede cosa che aggravò maggiormente la precaria situazione finanziaria. Nel 1856 Bernetti lasciò il proprio incarico, su pressioni di Metternich, e Lambruschini divenne segretario di stato reprimendo duramente sugli spiriti rivoluzionari. Per Lambruschini la Francia era un amico da sconfiggere e l’Italia era un covo di atei da combattere e “convertire” con pene durissime. Il governo pontificio considerò proibito tutto quello che avesse a che fare con il progresso: ferrovie, ponti sospesi, illuminazione a gas. Nel 1840 la grande corrente risorgimentale seguiva Mazzini, che si batteva per la caduta dei governi reazioni italiani e la fine del potere papale. Ma i fallimenti di tutti i moti mazziniani delusero subito i cittadini “illuminati”. Nacque così il neoguelfismo capeggiato da Vincenzo Gioberti, sacerdote piemontese, a sostegno dello Stato Pontificio. Nel 1841 Gregorio XVI raggiunse un accordo con il Portogallo, ma i suoi sforzi a sostegno dei cattolici in Russia non ebbero altrettanto successo. Con la Prussia esplose una grave crisi in merito ai matrimoni misti. Nel 1837 il papa protestò a gran voce contro l’imprigionamento dell’arcivescovo di Colonia Klemens August von Droste-Vischering, passato alla storia come il “fatto di Colonia”. Solo nel settembre 1841, con re Federico Guglielmo IV si arrivò ad un accordo: venne scarcerato ma dovette dimettersi. Il papa conquistò grandi meriti in ambito missionario: nel 1839 i cristiani ottennero in Turchia la libertà religiosa. Nel 1838 Algeri divenne sede vescovile. Nel resto dell’Africa in India, Cina, Corea e Oceania sorsero diocesi e vicariati apostolici. La Chiesa cattolica ispirò in America grandi progressi. Gregorio XVI si dedicò molto anche all’arte: durante il suo pontificato le collezioni del Vaticano si arricchirono del museo etrusco e egiziano e venne

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fondato, a Roma, l’Istituto archeologico tedesco. Gregorio nominò cardinale il geniale poliglotta Giuseppe Mezzofanti e l’erudito paleografo Angelo Mai. Ma il beniamino del papa era il loquace barbiere di corte Gaetano Moroni. Questi deve la propria celebrità al Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica composto da 103 volumi. CARLO GIACOMO riconosciuto Rusconi (1821-1894), fu Giacomo Filippo. Il Comune di Bologna ricevette “in legato testamentario” (2 giugno 1920) oggetti e libri d’arte che furono destinati alla Sala X dell’Archiginnasio e al Museo Civico di Bologna. Detto legato recita: “Donazione di: Rusconi-Verzaglia e Carlo Giacomo Rusconi”. Carlo Giacomo sposò Caterina Rubbi e fu un grande proprietario terriero. Ebbe il titolo di Marchese (titolo pontificio). È sepolto a Mezzolara di Budrio nella tomba di famiglia. GIACOMO FILIPPO Rusconi, nostro nonno (1853 – 1916), fu Carlo Giacomo e il fratello PIETRO GIACOMO (1858 – 1915). Giacomo Filippo, nato a Bologna e morto sempre a Bologna, era Marchese e Cavaliere della Corona d’Italia, capitano del regio esercito ed è sepolto nella Certosa nella parte monumentale. Sposò la Contessa Giulia Verzaglia (poi Marchesa per matrimonio), e abitava in via San Vitale al civico 62, nei pressi della Chiesa di Santa Maria della Pietà detta dei Mendicanti. Nei primi del Novecento visse con loro, come dama di compagnia, Margherita Bronzi, nata Conti Branzanti Bronzi di Ravenna, nostra nonna, che nacque a Bologna nel 1879 e morì nel 1954. Nostro nonno non ebbe figli dalla moglie e dall’unione con Margherita nacquero due bimbi: Carlo Antonio, nostro padre, nato a Bologna nel 1905, morto nel 1980, e Caterina, nostra zia. Il nonno Giacomo li mantenne molto amorevolmente: la casa in via Casse, studi al collegio San Luigi, conti bancari e postali intestati alla nonna Margherita. Vennero riconosciuti nel testamento olografo e con una serie di lettere e documenti. Ricevettero una grande eredità da dividere equamente, composta da poderi e dalla grande casa padronale della “Prazzina” a Molinella ed altro. Il nonno ordinò che nei testamenti portassero il cognome Rusconi. Nostro

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padre fece domanda, presso il tribunale di Bologna in tale senso, ma le leggi del Regno, molto severe allora, “non riconoscevano i figli nati da unioni fuori dal matrimonio”. Il nonno morì nel 1916 e venne sepolto a S. Ninfa di Mezzolara nella tomba di famiglia. Ma nel 1920 venne traslato e tumulato presso la grande tomba alla Certosa di Bologna nella parte monumentale, ora è di proprietà di noi Bronzi Rusconi e cugini Boriani. La marchesa Giulia, con amore materno, seguì i ragazzi tanto da farsi chiamare “zia”! Molto spesso Carlo e Caterina andavano per brevi vacanze alla “Riniera”. La villa di Castel San Pietro, dove conobbero lo scultore Cleto Tomba, amico di famiglia. Una volta nostro padre disse che alla villa si recò in visita il grande Guglielmo Marconi. Poco prima di morire Giulia fece testamento, del quale c’è copia, ed era controfirmato da mio padre, ed in esso si formalizzò il lascito, l’eredità per Carlo Antonio e la zia. CARLO ANTONIO, nostro padre (1905 – 1980) e la sorella, nostra zia, CATERINA (1908 –1993). Carlo Antonio ha generato sette figli e la sorella Caterina tre. La casata continua con figli e nipoti.

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Illustrazioni

FIGURA I “La Lettura”: tela del pittore Luigi Folli (1830-1891), dipinta nel giardino della Villa Rusconi a Mezzolara. Proprietà della famiglia Bronzi Rusconi.

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Illustrazioni

FIGURA II Effigie di Giacomo Filippo Rusconi (1770-1850), con decorazione di Cavaliere dell’ordine della Croce di Cristo. Proprietà della famiglia Bronzi Rusconi.

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Illustrazioni

FIGURA III Tomba di famiglia di Carlo Antonio Rusconi (1670-1761) nella parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a San Pietro in Casale (BO).

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Illustrazioni

FIGURA IV Arcadia: pergamena datata 1839 (ora di proprietà della famiglia Bronzi Rusconi), rilasciata a Ismeno Cianeo. Si tratta in verità di Giacomo Filippo Rusconi (1770-1850), pastore arcade, come riportato nelle notizie di Vincenzo Paolo Rusconi, cultore della storia dell’Arcadia.

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Illustrazioni

FIGURA V Stemma gentilizio della Casata Rusconi.

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Illustrazioni

“Nil difficile volenti”

FIGURA VI Stemma gentilizio dei Marchesi Rusconi che si trovava nelle cancellate di Villa Rusconi a Mezzolara. In alto il motto della famiglia.

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Illustrazioni

FIGURA VII Sala dei Cento, Sede centrale della Cassa di Risparmio in Bologna. Nella lapide marmorea compare il nome di Giacomo Filippo Rusconi quale fondatore, nel 1837, della Cassa di Risparmio insieme ad altri illustri personaggi. Tra questi: Gioacchino Rossini, Marco Minghetti, il Cardinale Opizzoni.

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Illustrazioni

FIGURA VIII Villa Rusconi a Mezzolara di Budrio (Archivio della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia di S. Giorgio in Poggiale). La foto dovrebbe essere collocata intorno al 1907. La villa, già Magnani, risale al tardo ’400 e fu dotata di merli nel 1840. Attualmente è proprietà del Comune di Budrio che la adibirà a scuola di musica.

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Illustrazioni

FIGURA IX Villa Rusconi a S. Pietro in Casale (BO). Fu la casa di campagna del Conte Carlo Antonio Rusconi (1670-1761) nei primi del ’700. Era attorniata da immensi poderi di proprietà Rusconi. Ora appartiene alla famiglia Terzi.

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Illustrazioni

FIGURA X Villa Rusconi “La Riniera” di Castel S. Pietro Terme (BO): casa di vacanze in collina, appartenuta prima a Carlo Giacomo poi a Giacomo Filippo Rusconi fino al 1930. Attualmente di proprietà della famiglia Gardi.

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Illustrazioni

FIGURA XI M.se Carlo Giacomo Rusconi, fu Giacomo Filippo (1821-1894). È sepolto nella tomba di famiglia, a S. Ninfa di Mezzolara.

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Illustrazioni

FIGURA XII Foto di Giacomo Filippo Rusconi (1853-1916), Marchese, Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia (sotto il Re Vittorio Emanuele III nel 1906). Capitano della Milizia di Bologna (grado conferitogli dal Re Umberto I nel 1895). È sepolto nel cimitero monumentale di Bologna, la Certosa, nella tomba di famiglia Bronzi Rusconi e dei cugini Boriani.

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Illustrazioni

FIGURA XIII Effige del Cardinale di Ravenna Antonio Rusconi (stampa tratta dal volume di ALBERTO PIO RUSCONI “Memorie storiche della casata Rusca Rusconi”). Il Cardinale Rusconi morì a Ravenna nel 1825.

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Illustrazioni

FIGURA XIV Frontespizio dell’Orazione del 1909 del Vescovo di Bologna Giacomo della Chiesa, divenuto Papa col nome di Benedetto XV, per l’Oratorio di Santa Ninfa a Mezzolara, nella Cappella Rusconi.

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Illustrazioni

FIGURA XV Attestato del Cardinale Svampa al Marchese G. F. Rusconi.

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Illustrazioni

FIGURA XVI Stemma del blasone dei Rusconi (1680). Stampa dalla Biblioteca dell’Università di Ferrara.

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CAPITOLO 5

PARENTI ILLUSTRI

Parenti illustri CARLO FRANCESCO SAVERIO RUSCONI, fu Pietro, fratello di Giacomo Filippo. Ufficiale della Marina Militare Spagnola, fu decorato con le insegne della battaglia di Baylen e della ritirata sopra l’isola di Lion (Albuquerque). Baylen era una cittadina spagnola dell’Andalusia nella quale il 19 luglio 1808, fu combattuta una battaglia della guerra d’indipendenza spagnola contro i Francesi (1808-1814). L’armata napoleonica era intervenuta in Spagna per l’insurrezione nazionale promossa e sostenuta dall’Inghilterra, ma fu battuta in Andalusia dalle forze spagnole del generale Castaños (18.000 uomini). La sconfitta vide i Francesi, fiduciosi della propria macchina bellica, procedere a corpi separati nel territorio andaluso, sotto la guida rispettivamente di Dupont, Vedel e Dufour. Furono sorpresi e ripetutamente battuti in diversi scontri sino a che non furono costretti ad arrendersi. Carlo Saverio, distintosi in questo contesto, fu insignito della carica di intendente degli eserciti con re Ferdinando VII, poi Console generale ed incaricato d’affari per la Spagna, del Regno Lombardo Veneto. Sposò Maria Ascari, nobile di Padova, ed ebbe eredi. Nel 1832 fu Console del Ducato di Lucca. Venne ordinato cavaliere dell’Ordine del re Carlo III, come da rogito esistente custodito nel reale Collegio di Spagna di Bologna. L’ordine equestre di Carlo III di Borbone fu istituito nel 1771 con la protezione dell’Immacolata concezione. Il re di Francia Luigi XVIII lo ordinò Cavaliere del Giglio. Ricevette la croce dal Rettore d’allora assistito dal principe Lambertini, dal segretario del re don Francesco Rodriguez, dal Commendatore Ferretti, dal Brigadiere Conto Fantuzzi. L’avvenimento venne riportato dalla Gazzetta di Bologna del 21 giugno 1816

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Parenti illustri

ed anche sulla lapide sepolcrale che si trova nella parrocchia di San Pietro in Casale. Morì a Venezia all’età di 56 anni. GERMANO ALFONSO RUSCONI, fratello di Giacomo Filippo, fu Pietro. Si arruolò nelle truppe austriache e nel 1796 fu Maggiore della Guardia Nazionale e fu anche Capitano dei cavalieri Cispadani. La Repubblica Cispadana, creata da Napoleone Bonaparte alla fine dell’autunno del 1796, comprendeva Modena e Reggio ribellatesi agli Estensi, Ferrara e Bologna, che si erano ribellate a loro volta al Papa. La costituzione fu promulgata il 27 marzo 1797. La Repubblica Cispadana adottò come bandiera il tricolore, che poi divenne il vessillo nazionale italiano. La Repubblica Cisalpina fu costituita sempre da Napoleone Bonaparte il 29 giugno 1797 con l’unione delle Repubbliche Cispadana e Transpadana. Napoleone vittorioso in più battaglie contro eserciti più forti del suo, impose al Piemonte l’armistizio di Cherasco, nel maggio 1796, poi all’Austria il Trattato di Campoformio, nell’ottobre 1797. Aveva frattanto introdotto in Italia lo spirito democratico della Rivoluzione. La Repubblica Cisalpina era composta dalla Lombardia, dai territori della Repubblica veneta sulla destra dell’Adige (Polesine), dalla Valtellina (tolta al cantone dei Grigioni), dal Ducato di Modena, dal Principato di Massa e Carrara, e dalle Legazioni di Bologna, Ferrara e delle Romagne. Aveva un’ampiezza di 42.000 chilometri quadrati con una popolazione di 3.240.000 abitanti. Ne era capitale Milano, dove risiedevano il Governo e l’Assemblea legislativa detta Gran Consiglio, costituita di Seniori e di Juniori. Il Governo era formato da un Direttorio di cinque membri. La Costituzione era simile a quella francese del 1795. Il territorio fu diviso in 13 Dipartimenti che prendevano nome dai fiumi. La Repubblica Cisalpina, che era stata subito riconosciuta dalla Francia e dalle potenze che gravitavano nella sua orbita, ebbe anche il riconoscimento austriaco nella Pace di Campoformio. La sua vita fu tumultuosa e si sciolse il 28 aprile del 1799, quando gli AustroRussi vinsero i Francesi a Cassano d’Adda e occuparono la Lombardia. Dopo Marengo, il 14 giugno 1800, Napoleone la rilanciò ingrandendola con l’aggiunta del Novarese e del Tortonese. Con atti del 25 gennaio, divenuti

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Parenti illustri

esecutivi il 14 febbraio 1802, cambiò nome in Repubblica Italiana e dopo la proclamazione dell’impero divenne il Regno Italico. Giovò a risuscitare la coscienza nazionale degli Italiani. Germano Alfonso sposò Candida Calzolari, nel 1805 fu scelto corpo di guardia d’onore, nominato dal Comune di Bologna per la venuta di Napoleone I e fu anche guardia del corpo del re di Spagna. È sepolto nella Certosa di Bologna. CONTE CARLO GIUSEPPE RUSCONI, fu Germano Alfonso, nipote di Giacomo Filippo. Nato a Bologna nel 1819 a lui la città petroniana ha intitolata una via (tuttora esistente): la laterale di via Ludovico Berti e nella targa della via è scritto patriota e scrittore. Divenne avvocato e fu consigliere governativo di legazione in patria, poi deputato alla Camera legislativa nel 1848 e alla Costituente romana nel 1849. Esponente della repubblica romana come deputato alla Costituente fu ministro degli Esteri nel 1849 in missione diplomatica a Londra. Esule per un breve periodo in Gran Bretagna, con l’Unità d’Italia rivestì la carica di Consigliere di Stato. Dopo la restaurazione del Governo Pontificio visse in esilio. Fu deputato al Parlamento del Regno d’Italia nel 1862 e divenne Segretario Generale del Regio Consiglio di Stato: divenne anche ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e commendatore della Corona d’Italia. Tra le sue opere letterarie: “La repubblica romana” (1850), “Il romanzo storico Giovani Bentivoglio” (1836); scrisse memorie autobiografiche, aneddoti. Fu aggregato all’Ateneo di Londra per la traduzione italiana del teatro di Shakespeare (1874), di cui si fecero sette edizioni. Tradusse anche le opere di Byron (1842) e il teatro di Schiller e pubblicò inoltre opere storiche e letterarie. Fu uno dei rappresentanti italiani alla conferenza monetaria internazionale radunata a Parigi nel 1881. Le sue opere si possono consultare negli archivi dell’Università di Bologna, in Archiginnasio, e nella biblioteca Alessandrina di Roma. Morì a Bologna nel 1889 ed è sepolto nella Certosa.

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CAPITOLO 6

RICORDI DI NOBILTÀ

Ricordi di nobiltà n viso massiccio, rassicurante, dall’espressione fiera e serena, incorniciato da una grande barba e da grossi baffi. In testa un cappello floscio a larghe tese. Era il ritratto di nostro nonno, il Marchese Giacomo Filippo Rusconi, proprietario, con il fratello, di beni nel centro di Bologna, ma anche nelle campagna bolognese nei Comuni di Budrio, e Molinella e Castel San Pietro. L’avevamo visto, per la prima volta, in una vecchia foto ingiallita dal tempo che nostro padre aveva conservato tra gli oggetti di famiglia. Svuotando uno scatolone di vecchie foto seppiate e documenti consumati, era saltata fuori l’immagine di quell’uomo dal volto buono. Eravamo una prole di sette fratelli: sei maschi e una femmina. Ed erano gli anni del dopoguerra, ci eravamo trasferiti in un villino in via Guidotti, poco distante da Porta Saragozza. Di lui, del Marchese Giacomo Filippo Rusconi, mio padre cominciò a parlarci quando io avevo poco più di cinque anni. Noi Bronzi a quell’epoca abitavamo in fondo a viale Risorgimento, ai piedi della collina che sovrasta via Saragozza. Tuttavia erano racconti vaghi, perché il nonno era già morto da molti anni, nel 1916, quando nostro padre era ancora un bambino. Papà e la zia erano nati fuori dal matrimonio e abitavano in via delle Casse, nel centro storico di Bologna, con la madre, nonna Margherita, la dama di compagnia della moglie di mio nonno che si chiamava Giulia Verzaglia e che morì nel 1930. Nostra nonna Margherita aveva dato il proprio cognome Bronzi a mio padre, come usava e ancor usa per le donne non sposate che oggi siamo soliti chiamare ragazze madri. Ed anche quando, in età più avanzata, mio padre ci portava a far visita, tutti noi fratelli, alla tomba del nonno in Certosa, nella nostra mente, non riuscivamo a farci un’idea precisa di questo avo così importante. Avo che riposa-

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va e riposa tutt’ora, dietro un’imponente lastra di marmo nel settore monumentale del grande cimitero bolognese. Sulla lapide non c’era una fotografia del defunto (come si usa ai nostri tempi), ma solo il doppio nome e quel cognome che era, per noi bimbi, così inspiegabilmente diverso dal nostro. Che il nonno Giacomo Filippo Rusconi fosse un uomo buono, noi ragazzi avevamo potuto constatarlo con mano, perché la villa e i poderi, nel Comune di Molinella, che aveva lasciato a nostro padre, nominandolo nell’anno della sua morte erede universale con sua sorella Caterina, erano quelli dove noi andavamo a trascorrere le vacanze in estate. Anche i terribili anni della guerra li trascorremmo lì in campagna. Non ci piovevano bombe sulla testa e i generi alimentari non mancavano. E un racconto più preciso sul nonno e sulla famiglia, nostro padre lo abbordò solo negli anni Cinquanta, quando noi figli fummo in grado di valutare meglio le cose. Nostra nonna Margherita, che morì nel 1954, fece a sua volta in tempo a raccontarci di lui, di come l’avesse sempre amata come, se non di più, della stessa moglie Giulia. Moglie che non osteggiò mai Margherita, come si fa con una rivale, conscia com’era della propria sterilità che aveva impedito al marito di continuare la stirpe in maniera legittima, o meglio, secondo i criteri di madre Chiesa. Per cui, quando il marito, nel dicembre del 1916, sentendosi prossimo alla fine, vergò di suo pugno un testamento in favore di Carlo Antonio e di Caterina Bronzi, vincolandoli a versare alla loro mamma “lire 200 mensili”, oltre a mantenerla pienamente vita natural durante, “ordinando” altresì che essi aggiungessero al cognome della madre il suo di Rusconi, lei non sollevò alcuna obiezione. Del resto, le volontà testamentarie del marchese si sarebbero attuate solo alla morte di lei, Giulia Verzaglia. Un evento che il testatore auspicava il più lontano possibile. Era nostro padre che spesso ci raccontava del nonno, suo padre. Come detto era andato fuori dal matrimonio con mia nonna Margherita Bronzi, che era la dama di compagnia della Marchesa, quando abitavano a Bologna, attorno alla metà dell’Ottocento. Ci parlava di suo padre nelle più disparate occasioni: in casa, in campagna a Mezzolara, a Molinella, nella casa padronale, dove andavamo d’estate, ultima dimora dei Rusconi.

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Raccontava le vicende del Marchese Rusconi, storie, almeno per noi, molto appassionanti. Ci spiegava di mia nonna Margherita che venne sempre aiutata economicamente dal nonno; abitava in via Casse, in centro, con mio padre e sua sorella, la zia Caterina. Mio nonno pagò la retta alla scuola dall’ordine religioso dei Barnabiti, l’istituto San Luigi, per garantire gli studi di mio padre (ci sono le carte che testimoniano il fatto), e credo anche di nostra zia perché anche lei portasse a termine gli studi scolastici. Nostro padre fece lo stesso con il sottoscritto, ma senza i medesimi risultati. Io frequentai qualche anno poi preferii cambiare orientamento scolastico. Papà ci narrava dei Rusconi che erano arrivati da Como e dalla Svizzera. Proprio da Como, città che nostro padre, a partire dal lontano 1929, frequentò spesso per lavoro, perché aveva preso la rappresentanza di una ditta, per una strana coincidenza, di prodotti per l’edilizia. Lavoro che successivamente intrapresi anch’io. A sentire quei racconti ci si trovava dalla zia Caterina a Mezzolara di Budrio, vicino ai fondi che aveva lasciato il nonno in eredità, sia d’estate che nel principio dell’autunno, sotto una grande magnolia, albero che ricordo molto bene, dalle foglie lucide e caratteristiche, dove intorno al sua tronco erano state sistemate diverse seggiole. La zia narrava del suo rapporto particolare con la Marchesa: episodi, incontri, come il tradizionale saluto del nonno dalla finestra di via San Vitale. Da Bologna verso le proprietà decentrate e viceversa era il percorso che il nonno faceva spesso con la carrozza a cavalli. E in questo contesto si inserisce un personaggio caratteristico di allora delle campagne bolognesi: il maniscalco. Il fabbro De Paoli aveva la bottega vicino alle proprietà del nonno. Nostro padre ci diceva che era stato il maniscalco di famiglia. Quando arrivava da Bologna con la carrozza era lui che si preoccupava dei suoi cavalli. Il maniscalco era anche cacciatore e andava spesso a caccia alle anitre assieme al nonno ed al bisnonno Carlo Giacomo. Una passione che trasmisero a mio padre ed a quasi tutti noi figli. A tal proposito conserviamo ancora dei fucili da caccia del nonno. Parlando a proposito di Mezzolara la zia mi raccontava che il grande Napoleone III, con la sua bellissima moglie Eugenia, di vent’anni più giovane di

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lui, erano amici del bisnonno e del nonno. Loro stessi andavano a caccia insieme e si vedevano e si frequentavano nela tenuta di Mezzolara della villa dei Bonaparte (in cui c’è una stemma imperiale, tuttora visibile - vedasi pag. 94), che venne in seguito data in affitto. A Mezzolara di Budrio noi andavamo a vedere Villa Rusconi, dove ora il Comune di Budrio si sta preoccupando di ristrutturarla. E tra questi ricordi si inserisce la figura di mio cugino Giacomo (il crudele destino della vita l’ha poi portato via ancora giovane) appassionato di libri antichi. Mia zia conservava una ricca biblioteca con moltissimi volumi. Entrambi, in bicicletta, precorrevamo assieme quei 12 chilometri tra la Prazzina di Molinella e Mezzolara, dove c’erano le case di campagna, e andavamo a sfogliare i libri antichi fantasticando con la fantasia immaginando la vita di quei personaggi. Echeggiavano nomi di altre figure importanti come quella di Beethoven, il grande musicista prediletto della famiglia Rusconi, come attestano molte lettere dell’archivio di famiglia. Scorrevamo le gesta di quegli Avi, i Rusconi: il bisnonno e il capostipite Carlo Antonio Giacomo Filippo Rusconi, cofondatore della Cassa di Risparmio, direttore generale delle poste pontificie del Regno, oltre alle proprietà nella Bassa Bolognese. Abitavano nel centro di Bologna in via Pelacani, ora via Giuseppe Petroni, con annessa la stalla in via Vinazzetti. E, se vogliamo, possiamo dire che quella parte di San Vitale era un po’ rusconiana. Le chiese di San Sigismondo e San Vitale Agricola erano le loro chiese: quelle del prozio e del bisnonno. Mentre quella dei “mendicanti” di Santa Maria della Pietà, quasi alla porta San Vitale, era quella del nonno. Ci raccontavano anche dei grandi lasciti e delle donazioni, del nonno, del bisnonno e del prozio, dato che possedevano molti beni terreni che avevano ereditato da Giacomo Filippo. Per esempio nel Comune di Bologna, nella Sala X dell’Archiginnasio, ed in altri archivi bolognesi, ci sono donazioni importanti, evidenziate dai lapidari. Abbiamo trovato testamenti olografi degli avi che vengono prima di mio padre dal 1600, ad oggi. Il nonno fu nominato Capitano da re Umberto I e Cavaliere della Corona d’Italia da Vittorio Emanuele III, mentre Giacomo Filippo ricevette la croce di Cristo dal cardinal Opizzoni su ordine del papa.

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A San Pietro in Casale, andando a cercare la tomba del Seniore, abbiamo rintracciato la lapide con incisioni in latino. Lì sono sepolti Carlo Antonio e il figlio Francesco Antonio.

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APPENDICE

DIMORE E ARALDICA DEI RUSCONI

Dimore e araldica dei Rusconi

N

el Comune di San Pietro in Casale si trova Villa Rusconi, che fu inizialmente di proprietà di Carlo Antonio. La villa, che nel corso degli anni passò a proprietà di privati, dovrebbe essere stata costruita nella prima metà del XVII secolo, come attestava l’aspetto originario che si trova in un disegno del Settecento, conservato dalla proprietà, che raffigura il fabbricato prima delle modifiche esterne ed interne eseguite verso la fine del XVIII secolo. Nella cripta della chiesa parrocchiale di San Pietro in Casale (BO) si trova la tomba di famiglia Rusconi dove troneggia una lapide in latino (vedasi Figura III a pag. 59) che recita: “Qui fu sepolto Carlo Antonio di Domenico Rusconi all’età di 91 anni. Morì il 18 giugno 1761. A Carlo figlio di Pietro Rusconi nobile per nascita in Bologna, cavaliere dell’Ordine di Carlo III, cavaliere del Giglio d’Oro, sovrintendente ai commerci di Venezia verso il Regno di Spagna e la Repubblica di Lucca, che trasferendosi in giovane età in Spagna dopo aver svolto il primo servizio militare fra le guardie del Sacro Palazzo accolto nell’esercito Regio, con ferma fedeltà verso il sovrano in tempi difficilissimi, avendo combattuto strenuamente fra i primi in tutte le battaglie in Albuquerque, meritò lodi, ricompense e onori. Visse 67 anni, pio, solerte, amico affabile, generoso verso i nemici, stimato e ovunque gradito, morì in Venezia il 5 dicembre 1832. Il figlio di Pietro Rusconi per mezzo di Giacomo Cavaliere dell’Ordine Equestre, nominato curatore per il testamento del fratello, con Luigia madre sua in lacrime insieme con lui piange”.

A Mezzolara di Budrio è situata invece la Villa Rusconi, che fu di Giacomo

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Filippo, poi di Carlo Giacomo ed infine dei fratelli Pietro e Giacomo Filippo Rusconi. Ora è di proprietà del Comune di Budrio che la adibirà a scuola di musica. L’edificio risulta dalla trasformazione, in stile pseudomedioevale, di un fabbricato più antico di cui rimangono tre arcate della facciata che si possono attribuire alla fine del 1400 o ai primi del 1500. La trasformazione dello stabile sarebbe avvenuta, secondo alcune fonti storiche, intorno al 1840. Tuttavia dalle caratteristiche della parte ottocentesca si può posticipare la ristrutturazione alla seconda metà dell’800. Qui si trova anche l’oratorio di Santa Ninfa, dedicato alla martire cristiana uccisa a Palermo, oratorio che fu benedetto, nel 1909, da Giacomo della Chiesa, arcivescovo di Bologna, poi papa Benedetto XV. Nell’oratorio si trova la tomba di famiglia Rusconi. Sulla lapide è incisa in latino la frase: “Giacomo Filippo figlio di Pietro Rusconi, Cavaliere da nostro Signore Gregorio XVI Pontefice massimo proposto all’ufficio delle lettere postali. Ornato del privilegio di essere in questa cappella posta nel mezzo dei suoi fondi, tumulata la sua spoglia mortale quando a Dio piacerà che la di lui morte avvenga ordino ed assegno un annuo reddito di scudi cinquanta col quale si debba far celebrare tutti i giovedì di ogni settimana la santa messa all’altare della vergine martire Santa Ninfa titolare della detta cappella e questa messa perpetuamente si applichi per l’anima sua e serva di comodo ai contadini. In memoria della quale ordinazione comando che quivi venga posta la presente lapide incisa nell’anno 1842”. Benedetto XV (Genova 1854 – 1922, sepolto in san Pietro) fu eletto papa il 3 settembre 1914. Giacomo della Chiesa, di nobile famiglia, a Genova si laureò in giurisprudenza. Divenne nunzio apostolico in Spagna grazie alla protezione del cardinal Rampolla. Quando quest’ultimo nel 1887 fu nominato segretario di stato della Chiesa, Giacomo della Chiesa passò ai suoi ordini come stretto collaboratore.

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Il nuovo spirito che si respirava in Vaticano e le idee politico-ecclesiastiche di Giacomo della Chiesa erano fortemente contrastanti. Per questo motivo nell’ottobre del 1907 fu ordinato arcivescovo di Bologna. Pur essendo Bologna una sede cardinalizia, lo zucchetto rosso gli fu concesso solo nel 1914. Sua madre si lamentò con Pio X per il lungo ritardo. Le fu risposto: “Suo figlio fa pochi passi, ma lunghi”. Quando il cardinale andò a Roma per il Conclave che lo vedeva favorito, si ricordò che anche Benedetto XIV era stato arcivescovo di Bologna, e in memoria di quel Pontefice, a elezione avvenuta, volle chiamarsi Benedetto XV. Il conclave del 1914 si celebrò sotto due grandi preoccupazioni: la guerra e l’integralismo. Sin dalla prima tornata si misero in luce due cardinali moderati che però non avevano goduto di molte fiducie da parte della Curia. Erano Maffi di Pisa e della Chiesa di Genova. Ma Maffi si scontrò con un’opposizione massiccia, mentre i voti per della Chiesa andarono via via aumentando. Si arrivò alla decima votazione del 3 settembre e della Chiesa fu eletto con 38 voti contro i 18 ottenuti dal candidato spinto dai seguaci della politica di Pio X, Serafini. Il nuovo papa era di statura bassa, esile e leggermente deforme, ma era molto intelligente. Benedetto XV si dimostrò contrario ai sistemi di spionaggio e alla caccia delle streghe che si erano diffusi con Pio X nel quadro della lotta al modernismo. Alla provocazione del conflitto mondiale il papa rispose con una assoluta neutralità e con appelli alla pace. La rigorosa neutralità permise alla Santa Sede di mettere in campo un piano di aiuti che furono dati senza pregiudizi religiosi, nazionali o etici. Soprattutto in Oriente il papa si diede da fare moltissimo e per questo, nel 1921, a Costantinopoli, gli fu dedicato un monumento. Benedetto XV cercò comunque di aiutare i sofferenti della guerra intervenendo a favore delle popolazioni civili dei prigionieri e dei feriti. Dal 1915 in avanti il Vaticano favorì lo scambio di prigionieri, raccolse somme di denaro da devolvere alle popolazioni colpite dalla guerra, impegnandosi nella ricerca dei dispersi. Gli interventi di aiuto del papa a favore della pace si indirizzarono all’Italia in particolare. Ciò perché, nel caso di una sconfitta, era temuta una rivoluzione per mano delle sinistre. Tuttavia non gli riuscì di impedire, dal

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marzo del 1915 in poi, che molti cattolici italiani si dichiarassero favorevoli all’intervento bellico. Benedetto XV tentò l’arma della diplomazia cercando di convincere la monarchia danubiana a fare delle concessioni territoriali all’Italia. Ma l’Austria arrivò a prospettare una soluzione in tal senso quando il nostro Paese aveva già stipulato un patto con l’Intesa. Accordo che in un articolo escludeva la Santa Sede da tutte le trattative di pace. L’Italia aveva paura che tornasse in gioco la “questione romana”. La repubblica romana si istituì a Roma dopo l’assassinio di Pellegrino Rossi e la successiva fuga di papa Pio IX a Gaeta, nel novembre del 1848. Essa venne proclamata il 9 febbraio del 1849 e dal 19 marzo furono alla sua guida Mazzini, Armellini e Saffi, gli uomini del triumvirato. Tuttavia la repubblica ebbe vita breve. Fu attaccata da truppe francesi che intendevano restaurare il potere papale e, nonostante il valoroso impegno delle truppe di Garibaldi, e di molti volontari in sua difesa, dovette cedere le armi per l’intervento di truppe austriache nelle Marche ed in Romagna. Il 3 luglio del 1849 fu costretta alla resa. L’Italia si attenne alla legge delle Guarentigie e non limitò che marginalmente la libertà d’azione del Vaticano anche se il quotidiano “L’Osservatore Romano” dovette subire le censure per mano del governo italiano. Dopo l’intervento dell’Italia il papa, promovendo un documento di pace, si preoccupò di far sedere i leader degli Stati in guerra attorno ad un tavolo. Ma il documento non fu preso in considerazione: la Germania rifiutò l’appello alla pace, mentre Russia, Francia, Italia non risposero nemmeno. Anche se esclusa dalle trattative di pace di Parigi del 1919 la Santa Sede poté raccogliere un diffuso apprezzamento per l’opera svolta. Quando la guerra finì Benedetto XV si impegnò alla riconciliazione con la Francia che ebbe successo nel 1921, con l’arrivo di un ambasciatore francese in Vaticano. Così come migliorarono i rapporti con l’Italia. Nel 1919 il sacerdote siciliano don Luigi Sturzo fondò il partito popolare italiano, fazione politica tollerata dal Vaticano e che conquistò alle elezioni molti seggi in parlamento. Questo permise una più incisiva presenza dei cattolici nella vita politica del paese. Benedetto XV pubblicò il Codex furis canonici nella Pentecoste del 1917. Il

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nuovo Codice entrò in vigore l’anno successivo. La Chiesa ebbe così un prontuario giuridico moderno, in cui però emergevano, ben chiare, le tendenze accentratrici del Vaticano. Nel 1917 Benedetto XV costituì anche la Congregazione per le chiese d’Oriente. Il papa promosse le missioni che durante la guerra avevano molto patito. Lo stile missionario di stampo nazionalistico e colonialistico stava vivendo una crisi profonda. Con l’enciclica Maximum illud del 1919 Benedetto XV diede le linee di un programma missionario con alla base l’universalità della Chiesa. Questa enciclica fu molto importante ed innovativa per la storia delle missioni. La morte colse d’improvviso e inaspettatamente, Benedetto XV che fu ricordato per la saggezza e la concretezza: qualità che diedero al suo papato un prestigio mondiale. I possedimenti terrieri dei Rusconi di Mezzolara confinavano con quelli posseduti da Napoleone III, marito di Eugenia, che corrispondevano come estensione, a 10 mila tornature bolognesi. L’imperatore nel 1854, un anno dopo aver sposato Eugenia, diede in affitto la proprietà all’ingegnere Annibale Certani. Eugènia Maria de Montijo de Guzmán, imperatrice dei Francesi (Granada 1826 - Madrid 1920), figlia del conte Cipriano di Montijo, duca di Penaranda e di Maria Manuela Kirkpatrick di Closeburn, sposò nel 1853 Napoleone III, imperatore dei Francesi, sul quale esercitò notevole e non sempre benefica influenza. Sostenne il potere dei papi e la politica asburgica avversando il Risorgimento italiano. Dopo la caduta del marito lo seguì in esilio in Inghilterra ove rimase fino alla morte. Portava una grande pena nel cuore. Oltre alla rovina della Corona di Francia, aveva patito molto per la morte del loro figlio, Eugenio, principe imperiale (1856-1879). Alla morte di Napoleone III, nel 1873, Eugenio divenne pretendente al trono di Francia. Diventato scomodo al governo francese si aggregò volontario allo Stato Maggiore delle forze inglesi operanti nell’Africa meridionale contro gli Zulù, dai quali fu ucciso quello stesso anno durante una ricognizione. E nel 1914 proprio Eugenia, quasi novantenne, venne a Mezzolara di Budrio con al seguito il segretario di stato particolare, il corso conte Pieri, figlio del

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ministro della polizia di Napoleone III, per un’ispezione di questo “tenimento”, come si chiamava allora. Accompagnata dal principe Antonio Ercolani e signora, fu ricevuta dall’affittuario, il signor Benni, nella villetta di proprietà nei pressi della tenuta. In particolare osservò i nuovi fabbricati colonici, le nuove stalle che lei stessa aveva fatto costruire. Percorse anche a piedi dei tratti di strada, con agilità nonostante l’età, a piedi e non esitò ad entrare nelle case coloniche ad ispezionare l’ordine e la pulizia dei locali. Andò a trovare i contadini, si compiacque del benessere degli agricoltori, si soffermò ad osservare una fila di prosciutti appesi a stagionare al soffitto delle cucine dei suoi coloni: “Oh les beaux jambons!”, esclamò ammirando il numero dei prosciutti e le loro proporzioni. Malgrado la gita fosse stata tenuta segreta, ben presto si diffuse in paese la voce della presenza della sovrana. I paesani offrirono nella casa patronale dei Majani un sontuoso rinfresco. Nel visitare le sale della casa la sovrana riconobbe subito appeso ad una parete un ritratto ad olio della bellissima Elisa Napoleone Baciocchi, figlia di Elisa Bonaparte e del principe Felice Baciocchi, che un tempo era il proprietario della tenuta di Mezzolara, del Palazzo di Giustizia di Bologna, della villa Caccia Guerra a porta Santo Stefano.

FIGURA 4 Lo stemma imperiale napoleonico sulla facciata della villa Bonaparte a Mezzolara (tratto da “Mezzolara, una tenuta e una comunità tra il XVI e il XIX secolo”, 1998, Bologna).

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Nel Comune di Castel San Pietro si trova invece Villa Riniera, che comprò Carlo Giacomo, poi passò a Giacomo Filippo ed è ora di proprietà della famiglia Gardi. Si tratta di una bella villa dalle forme neoclassiche che fu, con ogni probabilità, costruita verso la fine del XIX secolo. Dopo esser stata di proprietà di Giacomo dalle Vacche, passò di proprietà alla famiglia Rusconi. È circondata da un bel parco ben curato e custodiva arredi e mobili preziosi.

L’araldica di Vittorio Spreti Notizie araldiche di Vittorio Spreti e collaboratori tratte dalla “Enciclopedia storico-nobiliare italiana delle famiglie nobili e titolate viventi riconosciute dal Regio governo d’Italia compresi: città, comunità, mense vescovili, abbazie, parrocchie ed enti nobili e titolati riconosciuti”. RUSCA ARMA: d’argento troncato: sopra al leone leopardato di rosso, che passa sulla troncatura e accompagnato in alto da sei trifogli di ruta, tre per parte, tre e uno: sotto a tre bandelle di rosso. RESIDENZA: Milano. Altro ramo della famiglia Rusconi di Como. Al vivente ACHILLE di Giacomo, di Pietro Melchiade, di Pietro, di Pietro Giuseppe, di Giacomo, di Carlo Giuseppe Eutichio, di Eutichio, di Paolo Francesco, con D.M. 28 giugno 1925, è stata riconosciuta, per antico possesso, la nobiltà e per l’arma sopra descritta. La famiglia è iscritta nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana e nell’Elenco-Ufficio Nobiliare Italiano con il titolo di nobile, in persona di ACHILLE, nato a Varese il 26 novembre 1864 e che sposò, a Milano, il 5 maggio 1890, Giuditta Pagani.

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Figli: Maria, nata a Milano il 17 febbraio 1891; Luigi nato a Milano il 22 gennaio 1897, sposò a Legnano il 25 giugno I924 Carlotta (Tina) Cattoretti. Figlio di Luigi Massimiliano nato a Legnano nel luglio del 1925. RUSCONI ARMA: Interzato in fascia: nel primo d’oro all’aquila dal volo spiegato di nero, linguata di rosso, imbeccata, menibrata e coronata del campo; secondo d’argento al leone leopardato di rosso accostato da sei foglie di rusco di verde, tre per parte, due e nel terzo d’argento a tre bande di rosso. CIMIERO: Un grifone troncato di nero e di rosso, imbeccato, membrato e coronato d’oro, linguato di rosso che tiene con la destra una fronda di rusco di verde. SOSTEGNI: Due grifi controrampanti troncati di nero e di rosso, coli le zampe anteriori d’oro, imbeccati e coronati dello stesso, che tengono con la destra un ramo rusco di verde. (Il ramo marchionale non porta nello stemma i sostegni dei due grifi ma il grifone del cimiero tiene inoltre con la sinistra un nastro con il motto sottodescritto, comune a tutta la famiglia). MOTTO: Nil difficile volenti. DIMORE: Bagnacavallo, Forlì, Bologna, Cento. Molti scrittori storici sostengono che fu un’antica, potente ed illustre famiglia delle origini romane e dell’appartenenza a questo casato di S. Eutichio, vescovo di Como, morto nel 539, e di Lamberto, arcivescovo dì Milano nel 1021. La prima notizia genealogica, secondo il Litta, riguarda un’esenzione dai dazi concessa nell’anno 988 ad Ariberto Rusca, cittadino comasco. I cognomi Rusca, Ruschi, Rusconi, sono nei primi secoli e sono stati usati alternativamente. In uno stesso storico documento si trova, ad esempio, citato un fratello detto Rusca, un altro Ruscone collettivamente chiamati poi Rusconi. I Rusca erano già potenti nel Comasco fin dai primordi del secolo

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XII, e alla testa della fazione Ghibellina che sostenne lunga lotta contro quella Guelfa dei Vitani. LAMBERTO RUSCA, nel 1121 fu un uomo consolare ed un illustre capitano della Repubblica Comasca, Morì, a causa della ferite riportate in battaglia, il 12 settembre del 1126.

FIGURA 5 Stampa del secolo XIV riportante i domini Rusconi a Bellinzona (Svizzera). Tratta dal volume storico di Pio Alberto Rusconi.

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LOTARIO, nel maggio del 1176 in battaglia fra le truppe di parte imperiale ed i Milanesi, era il capitano delle truppe imperiali, riuscì a salvare la vita dello stesso imperatore Federico I Barbarossa. Si impossessò dello stendardo portato da un alfiere milanese, stendardo a strisce bianche e rosse, che era quello di Porta Comasina. L’imperatore, grato a Lotario del provvidenziale soccorso, lo ordinò Conte di Lugano, Locarno e Bellinzona, concedendogli di portare nell’insegna lo stendardo bianco e rosso (a ricordo di quello tolto ai Milanesi) abbassato sotto il leone, e sormontato dall’aquila imperiale; tali colori ed emblemi sono tuttora conservati nello stemma gentilizio di questa famiglia (Figura V, pag. 61). Dai documenti comaschi emerge che nel 1142 OTTONE RUSCA intervenne in una controversia tra i conti di Castel Seprio a favore degli Uomini di Mendrisio. BERNARDO RUSCA, ricordato fin dal 1153, fu rettore di Como nel 1159; Rusca, di Giovanni, nel 1176; Giovanni, di Lotario, nel 1182 e 1198 console del Comune di Como e nel 1199 podestà di Milano. LOTARIO, di altro Lotario, nel 1197 e 1200 console del Comune, nel 1213 podestà in Valtellina, poi nel 1215 a Chiavenna e vicario del podestà di Como nel 1220. Nella genealogia documentata capostipite è RUGGERO, detto anche ALBERTO, che fu podestà di Chiavenna nel 1213-1214, e padre di LOTTARIO, che, in qualità di capo della fazione ghibellina in Como, gettò le fondamenta della signoria di questa famiglia. PIETRO, di lui figlio, podestà di Milano nel 1286, vendette ai Comaschi il castello di Bellinzona nel 1307. Morì nel 1340. FRANCHINO di Pietro, bandito nel 1302, ritornò in patria nel 1311, e fu capitano generale e signore generale del Comune e del popolo di Como nel 1313 e Vicario imperiale. Nel 1301 sposò Zaccarina, di Matteo Visconti. Come Vicario dell’imperatore Lodovico, dopo il 1328 batté monete d’argento, e fu

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Vicario imperiale per Lodovico il Bavaro nel 1327 e del re Giovanni nel 1331. Rinunziò al dominio della città ad Azzo Visconti nel 1335. Morì a Como il 14 agosto 1339. Il figlio LOTTARIO, milite e podestà di Milano nel 1356, poi di Piacenza, di Asti, di Vercelli; nel 1386 gli fu confermata la cittadinanza di Milano. Morì nel 1399. Da Enrica, figlia naturale di Bernabò Visconti, ebbe FRANCHINO; nel 1396 fu militare agli ordini di Gian Galeazzo Visconti e nel 1402 suo luogotenente a Pisa. Tra il 1403 e il 1408, più volte respinto, rientrò a Como; signore di Castel S. Pietro, detto Castel Ruscone nella Pieve di Blaserna batté moneta come il suo l’avo. Morì nel novembre del 1412. Nella signoria di Como seguì LOTTARIO, nominato da Sigismondo nel 1413 Vicario imperiale di tutto il Comasco, poi Conte di Lugano e delle terre vicine: Capolago, Riva S. Vitale, Morcote Sonvico, Blaserna con la Valle di Chiavenna e la Torre di Olonio, da cui gli venne il titolo comitale per sé e per i discendenti maschi, con diritto di sostituzione dì quelli di GIOVANNI, suo fratello e dei suoi discendenti. Anch’egli batté moneta perché signore di Como e di altre province. Morì nel 1419 a Castel Rusconi senza avere figli legittimi. FRANCHINO, di lui nipote, ottenne nel 1438 da Filippo Maria Visconti, l’investitura della terra e Castello d’Arona nel contado di Angera e di tutta la Pieve di Travaglia. Sostituite l’anno dopo con la Pieve, il Castello di Locarno e le Valli di Maggia Verzasca e Lavizara e confermate poi da Federico III, con l’aggiunta di altre terre sulla riviera del Lago Maggiore: da Brissago e Ascona per Locarno, Gambarogno e Luino fino a Porto di Valtravaglia sopra Laveno nella spiaggia opposta. Franchino morì nel 1466. I beni feudali e allodiali nel 1470 furono divisi tra i figli PIETRO, ANTONIO e GIAN NICOLÒ, a cui poi rimasero dopo la morte di Franchino, suo nipote, nel 1484. Il secolo XVI segnò la decadenza di tutti i rami di questo casato. Da GIACOMO PIETRO, figlio di Giovannì, che morì nel 1514, discende il

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ramo dei Rusconi di Bologna e di Cento per mezzo di Giovanni Antonio, famoso architetto del XVI secolo. A lui è attribuita l’opera intitolata: “L’architettura secondo i Precetti di Vitruvio”, stampata dal Giolito in Venezia nel 1590. Sposò, in seconde nozze, Ambrogia Serbelloni, da cui nacque Gio Giacomo, padre di Domenico che morì nel 1599. Da Domenico discende BARTOLOMEO, padre di altro DOMENICO e di CARLO, che visse a Como come i suoi avi. Erede dei beni del fratello, fu padre di DOMENICO FRANCESCO, che da Como si trasferì a Bologna e di BARTOLOMEO, il cui figlio PIETRO Giacomo nel 1725 divise col fratello Carlo FRANCESCO le sostanze ereditate e passò a stabilirsi a Cento, nella provincia di Ferrara. Nella nuova dimora i Rusconi non furono da meno dei loro predecessori, e la loro Casta crebbe di lustro e decoro, sia con ricchi acquisti e nobili parentele, sia conseguendo alte cariche e dignità pubbliche. Fra i personaggi che particolarmente emersero sono da segnalare: il beato VINCENZO, figlio di Lotario, ricordato nel “Martirologio Serafico” il 13 novembre; la beata BEATRICE Rusconi-Casati, che morì il 16 marzo del 1490 nel rione di Breara a Milano. CARLO GIUSEPPE, nel 1849 ministro per gli Affari Esteri della Repubblica Romana, apprezzato drammaturgo e romanziere. FELICE, generale del Genio militare, fu decorato con due medaglie d’argento al valor militare per le campagne dell’Indipendenza. PIER DIONISIO, conseguì le primarie magistrature in Cento come discendente di questa illustre famiglia fu iscritto alla nobiltà bolognese fin dal 1781. Assieme ai fratelli fu insignito anche della cittadinanza nobile di Ferentino, di Veroli, di Anagni, di Alatri, di Piperno e di Ravenna. Papa Pio VII riconobbe i suoi meriti e quelli della sua famiglia, e conferì il titolo di Marchese trasmissibile ai suoi discendenti, fra cui FRANCESCO ANTONIO e DOMENICO.

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FRANCESCO ANTONIO, laureato in legge, fu Podestà di Cento, sua patria. Di lui esiste una raccolta di rime pei tipi Bodoniani. Ospitò più volte nel suo palazzo il cardinal Ugolini, legato di Ferrara. Il figlio MICHELE, laureato in legge, dotto in ebraico, greco e latino, abilissimo nell’epigrafia e nelle scienze sacre, frequentò il Collegio Filologico dell’Università di Bologna. Nel suo palazzo di Cento, il 15 luglio 1857, ospitò Pio IX e da lui fu ordinato cavaliere di San Gregorio Alagno. Dalla contessa Vittoria, figlia del conte Giuseppe Catucci da Narni e di Marianna dei Malatesta di Rimini, conti di Sogliano, ebbe FRANCESCO SAVERIO e PIETRO IGNAZIO. Tre sono i rami di questa famiglia: quello di ANDREA, col titolo di Conte e nobile di Ravenna, residente a Bagnacavallo, andò ad abitare il di lui avo Cesare, e gli altri due dimoranti a Bologna. Sono iscritti nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana e nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano, con il titolo di nobile di Ravenna per D. M. di riconoscimento, il 21 luglio 1903, Conte per Decreto del Capo del Governo del 17 dicembre 1927, in persona di STEFANO, di Andrea Stefano di Cesare, nato a Bagnacavallo il 23 settembre 1866, si sposò a Firenze l’8 luglio con Maria Blanc Tassinari ed andò ad abitare a Forlì. Fratelli: MASSIMO, nato a Bagnacavallo il 26 settembre 1868. GIUSEPPE, nato il 27 settembre 1872; CESARE, nato il 15 giugno 1881, tenente colonnello dei Granatieri, Cavaliere della Corona d’Italia, Cavaliere Maurìziano, decorato di due medaglie di bronzo e due croci di guerra al valor militare. Si sposò a Cagliari il 27 luglio del 1925 con Anna Loy Nieddu. Sono iscritti nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano con i titoli dì Marchese, nobile di Bologna, nobile di Ravenna, in persona di SAVERIO FRANCESCO, di MICHELE di Francesco, nato a Bologna nel marzo del 1891. L’8 novembre del 1919 sposò Beatrice Olimpia dei conti della Gherardesca. FRANCHINO, nato a Bologna il 17 giugno 1892, cameriere segreto di spada e cappa di Sua Santità, commendatore di S. Gregorio Magno. Il 26 aprile del 1923 sposò Telda Piera dei Conti della Gherardesca.

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Dimore e araldica dei Rusconi

PAOLA, nata a Bologna il 4 giugno del 1926; MARIA TERESA, nata a Bologna il 2 febbraio 1928. Sono iscritti nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana e nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano coi titoli di Marchese per riconoscimento del 1886 nobile di Bologna, nobile di Ferrara, patrizio di Foligno, in persona di FILIPPO di FERDINANDO, di GIUSEPPE. RUSCONI - CLERICI ARMA: Tronca, nel primo di rosso al leone leopardato di argento, coronato d’oro e che tiene con la destra un rusco di verde, accostato da due trifogli di verde; nel secondo d’argento a tre pali rossi; col capo d’azzurro all’aquila, cucita di nero e coronata d’oro. Il Codice Araldico Lombardo, riconosce la residenza a Milano e Modena. Questo ramo della famiglia Rusconi di Como ottenne il riconoscimento dell’antica nobiltà con Decreto del settembre 1774 del Tribunale Araldico in persona dei fratelli Pietro, Ignazio e Giovanni, di Carlo. Fu poi confermato nella nobiltà, con Sovrana Risoluzione, il 21 novembre del 1816 in persona del dottor Giuseppe, abbiatico del suddetto Pietro. Per le generazioni più antiche di questa famiglia, si possono consultare le tavole genealogiche pubblicate da Alberto Rusconi (Memorie storiche del casato Rusca o Rusconi, Bologna, 1874). Però la genealogia ufficiale riconosciuta, come risulta dagli atti del riconoscimento del 1774, ha per capostipite RAVASINO, celebre e valente militare ed esimio dottore in legge come dagli atti del XV secolo. Ravasino nel 1450, insieme con altri comaschi, fu incaricato di trattare la sottomissione di Como a Francesco Sforza e a prestargli giuramento di fedeltà per i suoi concittadini; fu anche uno dei compilatori degli Statuti Comaschi del 1458 e decurione della sua città nel 1472. Ebbe figlio Giovanni FRANCESCO, vivente alla fine del XV secolo, che insieme col fratello Giovanni ANDREA, giureconsulto di Como, furono ordinati cittadini antichi di Milano con diploma del Duca Lodovico Maria Sforza del 24 ottobre 1498. Giovanni Francesco ebbe figlio il dottore e fisico ANGELO, che fu, a sua volta, padre di GUIDO; Guido generò ANGELO, che sposò la nobile Angela

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Dimore e araldica dei Rusconi

Mozzoni, del fu Francesco. Dal matrimonio nacque il figlio ALESSANDRO. Da Alessandro nacque CARLO ANTONIO tenente di cavalleria nel reggimento di don Ascanio Maria Gonzaga (1671, 1672). Il figlio di Carlo Antonio fu un altro ALESSANDRO, nominato Giudice - Commissario per tre bienni consecutivi nelle controversie relative all’uso delle acque del fiume Olona. Carica attestata con diploma del 20 aprile del 1683 di Carlo Il. Alessandro diede i natali a CARLO (marito di Margherita Clerici, figlia del luogotenente Pietro Francesco, 1714, 1736, 1737), il quale assunse il cognome Clerici, essendo stato nominato erede universale del nonno materno). Carlo fu capitano di fanteria e da sua moglie Angela Brentano ebbe otto figli, di cui tre femmine e cinque maschi. Di questi, due furono cavalieri dell’Ordine Gerosolimitano e gli altri tre, cioè i già ricordati PIETRO, IGNAZIO e GIOVANNI, si sposarono. Dal primogenito PIETRO, nato a Milano il 20 maggio 1783, discendono gli attuali iscritti nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano con il titolo di nobile. GIUSEPPE nato a Milano, 16 luglio 1883 (sposò Clementina Castiglioni), di Giulio (nato a Milano il 25 novembre 1848), sposò a Milano, nel luglio del 1878, Eva Paganini; di Lorenzo prese parte al combattimento di Monte Suello il 3 luglio del 1866 e fu ordinato cavaliere della Corona d’Italia nel 1917.

 La storia dei Rusconi per il momento finisce qui. Ma noi fratelli continueremo nella ricerca dell’esistenza di altri documenti preziosi per arricchire il nostro archivio di famiglia “Rusconi”. E concludiamo questa nostra memoria storica con un ambizioso auspicio: quello di riportare l’oratorio di Santa Ninfa (annesso alla villa Rusconi di Mezzolara di Budrio e tomba dei nostri Avi), con l’aiuto sempre imprescindibile di nostri patrocinanti, agli antichi splendori di un tempo.

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Si ringraziano: il Prof. L. Parmeggiani e la Prof.ssa F. Servetti Donati per le notizie riguardanti Mezzolara; la Biblioteca Civica di Cento per il materiale fornitoci.

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