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IL BUIO OLTRE GAZA
TRA MOSCA E WASHINGTON C’È DI MEZZO TEHERAN
di
Fëdor LUK’JANOV
La questione iraniana è il barometro delle relazioni tra il Cremlino e la Casa Bianca. Le due superpotenze sono chiamate a districare la matassa iraniana, insieme od ognuna per proprio conto a difesa dei rispettivi interessi economici e strategici.
L’
1. AUTUNNO 2008 HA INAUGURATO una nuova situazione internazionale. Il forte inasprimento delle relazioni tra la Russia e gli Stati Uniti dovuto alla crisi nel Caucaso, le scosse finanziarie globali e l’arrivo al potere a Washington di un politico di nuova generazione hanno influito sull’equilibrio delle forze e delle priorità. Cambiamenti saranno inevitabili, ma senza dubbio la questione iraniana resterà uno dei principali punti dell’agenda internazionale e dei rapporti russo-americani. Negli Usa la tensione nella discussione sul programma nucleare iraniano cresce sempre di più. E poiché Barack Obama durante tutta la campagna elettorale ha promesso un approccio con Teheran radicalmente diverso, dall’amministrazione democratica si attendono ora iniziative serie. Tanto più che i rapporti con l’Iran si trovano al centro di un groviglio di problemi, ognuno dei quali ha un carattere particolare. E per le relazioni russo-americane la questione iraniana, se non è il tema principale, è quantomeno il barometro dello stato e delle prospettive dei rapporti bilaterali. 2. Ma qual è l’equilibrio delle forze nel triangolo Mosca-Teheran-Washington? Il peggioramento nelle relazioni della Russia con i più influenti paesi d’Occidente, evidente nel 2008, spinge obiettivamente Mosca ad attivare contatti con quegli Stati che si considerano oppositori degli Stati Uniti. Essendosi trovata in un inequivocabile vuoto dopo gli eventi del Caucaso, la Russia cerca ora di colmare tale lacuna con un nuovo sistema di rapporti. Ciò può essere dimostrato, ad esempio, con il ritorno all’idea di un’Opec del gas. Questa ipotesi era stata sollevata in passato dal leader spirituale dell’Iran nell’ambito di un sofisticato gioco diplomatico, maestra del quale, nei secoli, è stata la Persia. L’effettiva realizzabilità di questa idea è messa in dubbio da molti, come minimo per il fatto che il mercato del gas, a differenza di quello petrolifero, ha un carattere regionale e non globale. Nei mercati europeo, asiatico e nordamericano,
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agiscono princìpi propri di formazione dei prezzi, pertanto è poco probabile un coordinamento degli sforzi dei vari fornitori. È vero, la Russia e l’Iran hanno un potenziale mercato comune: l’Europa. Tuttavia Mosca e Teheran saranno presto concorrenti più che alleate. D’altra parte, se si considera l’idea di un cartello del gas come elemento per giochi politici allo scopo di far lievitare i prezzi, ciò è del tutto possibile. L’Europa reagisce a qualsiasi discorso sulla possibilità di un’intesa sul prezzo del gas in modo molto nervoso. Allo stesso tempo dopo la guerra in Ossezia del Sud, provocata dal regime georgiano, Mosca non fa mistero del carattere decisamente negativo, per non dire ostile, delle relazioni con l’amministrazione americana. Considerando i legami molto stretti tra Tbilisi e Washington, l’America viene considerata responsabile della morte dei militari russi in Ossezia del Sud. Ciò, aggiunto all’ampio sostegno dato dagli Usa alla Georgia, diminuisce di molto la disponibilità della Russia a trovare posizioni comuni con gli Stati Uniti sulle questioni internazionali, compresa la soluzione del problema iraniano. Certo è che l’uscita di scena della squadra di George Bush rende possibile quantomeno immaginare che la Russia e gli Stati Uniti inaugurino un nuovo capitolo delle loro relazioni. A Mosca non si ha fretta di versare acconti all’amministrazione democratica, ma si registra un’accoglienza favorevole dei segnali giunti da Washington dopo il 4 novembre. L’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca, inoltre, apre la possibilità del dialogo tra Washington e Teheran. Obama più di una volta ha detto di essere intenzionato ad avviare trattative con la dirigenza iraniana senza alcuna condizione preliminare. A sua volta, per il presidente dell’Iran, il nuovo inquilino della Casa Bianca, a differenza del suo predecessore, è un interlocutore ammissibile. Non a caso il presidente iraniano Ahmadi-Nejad è stato uno dei primi a fare gli auguri a Obama dopo la sua elezione. Washington è effettivamente interessata alla normalizzazione delle relazioni con Teheran per una serie di motivi. A) La stabilizzazione dell’Iraq e la graduale uscita delle truppe americane non sono possibili senza l’appoggio dell’Iran. Teheran, probabilmente, è l’unico paese che ha tratto profitto dall’invasione di Baghdad da parte degli Stati Uniti nel 2003 e dal rovesciamento del regime di Saddam Hussein. Il nemico giurato dell’Iran è stato giustiziato e l’influenza iraniana si è diffusa in un’ampia parte dell’Iraq. B) Nella misura in cui l’Afghanistan si va trasformando in uno dei più deflagranti conflitti regionali, sorge il problema del ruolo dei paesi confinanti, prima di tutto dell’Iran, nella stabilizzazione della situazione. Teheran e al-Qå‘ida sono apertamente ostili l’una all’altra, e gli iraniani si comportano con il Pakistan, giocatore chiave in questo conflitto, con gelosia e disprezzo allo stesso tempo. Nei colloqui con i rappresentanti iraniani spesso è possibile ascoltare questa argomentazione: se anche a Islamabad è permesso avere l’arma atomica, come è possibile vietarla all’Iran, paese dall’antica cultura e con una tradizione politica da grande potenza? A Teheran non è affatto conveniente il successo
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dei taliban, sunniti radicali legati all’Arabia Saudita, che è il paese che l’Iran considera suo principale concorrente nel mondo islamico. L’Iran è potenzialmente capace di diventare una potenza regionale influente in grado di contribuire al bilanciamento delle forze e degli interessi in quell’area esplosiva. C) La diversificazione delle fonti di rifornimento energetico dell’Europa e la diminuzione della sua dipendenza dalla Russia, temi su cui insistono gli Stati Uniti, sono realizzabili solo se verrà sbloccata la collaborazione con Teheran. In particolare, soltanto il gas iraniano potrà aiutare a dare un senso al progetto Nabucco. Certo è ingenuo pensare a un immediato successo di un eventuale dialogo. Anche se esso iniziasse, dopo mezz’ora sarebbe chiaro che non è possibile parlare di nulla così in fretta. L’Iran non intende esaminare il suo diritto all’uso del nucleare finché gli Stati Uniti non si siano rassegnati a tale possibilità. Inoltre Israele e le rispettive lobby in America guardano a Obama con sospetto, e perciò quest’ultimo sarà costretto a intavolare un qualsiasi colloquio con il presidente iraniano iniziando dall’esigere di rispettare la sicurezza dello Stato ebraico. Ma è insensato parlare di ciò con Ahmadi-Nejad, così come non ha senso chiedergli di cessare di sostenere Õizbullåh in Libano e Õamås in Palestina. D’altro canto è vero che nel 2009 in Iran si svolgeranno le elezioni presidenziali. La situazione economica all’interno del paese è precaria, e quindi è anche possibile un cambio di potere. E l’arrivo di qualsiasi altra persona al posto di Ahmadi-Nejad permetterebbe di distendere almeno un po’ la situazione. All’Iran, almeno in modo formale, è legato anche un altro problema: il destino del sistema di difesa antimissilistico nell’Europa centrale e orientale, programma che suscita un duro rigetto da parte della Russia. Ufficialmente i vertici americani hanno sempre detto che il radar nella Repubblica Ceca e i missili intercettatori in Polonia servirebbero a difendere l’Europa dai potenziali missili balistici dell’Iran. A Mosca, da una parte non hanno creduto a questa motivazione, dall’altra, nel 2007, Vladimir Putin ha proposto a Washington un impegno comune per prevenire le minacce, utilizzando le infrastrutture russe. In realtà non c’è stato un seguito a questa proposta, così come è rimasta sulla carta la dichiarazione strategica adottata dai presidenti di Usa e Russia nell’aprile del 2008 a Socˇi. La profonda irritazione di Mosca per le posizioni degli Stati Uniti è stata esplicita quando il presidente Dmitrij Medvedev, nel giorno in cui Barack Obama ha vinto le elezioni, ha annunciato una serie di misure per contrastare il sistema di difesa antimissile. In teoria un approccio globale alla soluzione dei problemi legati al programma nucleare-missilistico dell’Iran e al sistema di difesa antimissili Usa è possibile. Ciò necessita un lavoro molto serio da parte della Russia, degli Stati Uniti e dell’Europa. E presupposto del suo successo è la condizione che il sistema di difesa antimissilistico americano sia pensato contro l’Iran, senza avere altri scopi. Quest’ultimo aspetto non è affatto evidente. Considerato il clima generale dei rapporti internazionali è difficile supporre che questo scenario sia realizzabile.
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3. Con buona probabilità Teheran continuerà anche in futuro a rappresentare il pomo della discordia tra Mosca e Washington. Gli Stati Uniti insistono su una propria visione dell’Iran come fattore di instabilità per quella regione e per il mondo intero. Di conseguenza il regime iraniano va o sostituito o isolato attraverso sanzioni internazionali o unilaterali. Fra l’altro, anche se Barack Obama propende per una svolta nei rapporti con Teheran, il suo segretario di Stato, Hillary Clinton, ha sempre sostenuto posizioni molto più rigide e tradizionali per l’establishment americano. La Russia, di conseguenza, agisce in modo da spingere Teheran alla collaborazione, e respinge ogni tentativo di limitare l’Iran più di quanto sia ammesso dal diritto internazionale. Per di più la Russia non ha problemi a definire il regime iraniano come alleato. Tra Mosca e Teheran è in corso, come è immaginabile, un gioco diplomatico molto complicato, attraverso il quale ciascuna delle parti cerca di utilizzare l’altra per i propri interessi. Mosca e Washington valutano in modo diverso il regime iraniano. Gli Stati Uniti sono inclini a considerarlo imprevedibile ed estremista, e di conseguenza l’acquisizione da parte di Teheran dell’arma atomica rappresenta un’enorme minaccia per tutti. Le bellicose dichiarazioni di Ahmadi-Nejad e l’appello a distruggere Israele non vengono intese come retorica per alzare la posta, ma come una dichiarazione di intenti. La Russia non è affatto entusiasta delle prospettive atomiche dell’Iran, ma non ritiene che se si dovessero concretizzare, sarebbe la fine del mondo. Come sostengono alcuni esperti russi, lo status nucleare serve a Teheran per affermarsi come potenza regionale e i dirigenti iraniani non saranno di certo meno irresponsabili di quelli, ad esempio, del Pakistan. Alle invettive antisraeliane Mosca si rapporta in maniera più serena, vedendo in esse il tentativo di dimostrare da parte dell’Iran sicurezza nelle proprie forze, e non un piano di azione concreto. Nel caso di disgelo dell’approccio americano sotto la presidenza Obama, la cosa più interessante non sarà il pomposo inizio, ma la seconda fase. Dopo l’avvio del dialogo e le prime delusioni, la Casa Bianca potrebbe perdere la pazienza e sbilanciarsi verso una posizione di rigidità. Barack Obama, già sospettato di non essere preparato a difendere in modo deciso le posizioni americane, dovrà quindi smentire questi sospetti in modo particolarmente convincente. D’altra parte per l’amministrazione Obama sarà molto più facile trovare un linguaggio comune con gli europei, notoriamente ben disposti nei confronti del successore di Bush. Ciò significa che la Russia potrebbe trovarsi in una situazione di isolamento all’interno del quintetto che si occupa della questione iraniana.
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4. In generale, la soluzione del problema nucleare dell’Iran sarà un indicatore particolare delle condizioni del sistema internazionale, visto che in essa si intersecano una serie di questioni chiave. In primo luogo sarà un test per valutare se gli attori planetari saranno capaci di azioni multilaterali, alle quali la nuova amministrazione americana ha affermato
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di voler tornare. In secondo luogo, sarà il banco di prova per considerare la validità del diritto internazionale e dei suoi istituti come mezzi per risolvere i conflitti di principio. Dal destino del programma nucleare iraniano dipenderà, in particolare, il destino dell’Accordo di non proliferazione delle armi atomiche: si vedrà se esso cesserà, de facto, di essere uno dei pilastri dell’ordine mondiale. In terzo luogo, sarà un riscontro della solidità delle relazioni russo-americane, per le quali la questione iraniana può rappresentare un motivo di gravissimo scontro, ma può anche diventare l’esempio di come si possa raggiungere una comprensione reciproca. Per il momento è difficile giudicare se la nuova amministrazione americana sarà capace di un radicale rinnovamento della maniera di trattare con Teheran. Considerata la grande fiducia di cui gode Obama sia negli Stati Uniti sia nel mondo, si può prevedere che egli abbia più chance di qualsiasi altro. Se si realizzasse, sebbene sia molto improbabile, un tale sviluppo degli eventi, per Mosca la situazione non sarebbe vantaggiosa, dal momento che un riavvicinamento tra l’Iran e gli Stati Uniti significherebbe: • sbocco di Teheran al mercato del gas europeo, dove la produzione iraniana sarebbe la più pericolosa concorrente di quella russa; • apertura del mercato iraniano alle tecnologie occidentali, cosa che metterebbe la Russia in una situazione molto svantaggiosa, visto che Mosca già da tempo cerca di accaparrarsi segmenti di tale mercato (in particolare l’energia nucleare); • riduzione della tensione generale in Medio Oriente, che, in parte, ha permesso di mantenere alti i prezzi degli idrocarburi; • la possibile attivazione di Teheran (con il tacito accordo di Washington) nella regione del Caspio, dove vi è una serie di problemi non risolti, compresa la spartizione dello stesso Mar Caspio. Il fatto più paradossale è che il regolamento delle relazioni tra Teheran e Washington potrebbe anche, in fondo, tralasciare il problema principale: quello delle armi atomiche. Visto che il tipo di relazioni reciproche cambia in modo radicale, non è da escludere del tutto un nuovo approccio più tollerante dell’amministrazione statunitense nei confronti del nuovo status dell’Iran. Fresco nella memoria è l’esempio dell’India, alla quale gli Usa hanno ufficialmente perdonato l’acquisizione dell’atomica aggirando il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, dopo aver concluso a Delhi un accordo nel campo dell’energia nucleare. Ancora più recente è l’esempio del Pakistan. Comunque, per il momento, questi ragionamenti hanno un carattere puramente speculativo. L’Iran resta il problema internazionale più complicato, la cui soluzione è legata a una moltitudine di fattori della politica regionale e globale. E non c’è da aspettarsi grandi passi in avanti.
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